La nonviolenza e' in cammino. 1413



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1413 del 9 settembre 2006

Sommario di questo numero:
1. Le vittime afgane
2. Osvaldo Caffianchi: Cantata di un uomo senz'arte ne' parte
3. Per una definizione del concetto di nonviolenza
4. Manuela Cartosio: Donne migranti
5. Ne' multiculturalismo ne' eurocentrismo, intercultura
6. A Pisa nel centenario della nascita del satyagraha
7. Una festa per Luminaria a Palermo
8. A Roma il 21 settembre
9. A Venezia dal 7 al 9 ottobre
10. Il "Cos in rete" di settembre
11. Mario Pianta presenta il "Dictionnaire de l'autre economie" a cura di
Jean-Louis Laville e Antonio David Cattani
12. Letture: Brunetto Salvarani, Educare al pluralismo religioso
13. Riedizioni: Paolo Sarpi, Opere
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LE VITTIME AFGANE

Le vittime afgane.
La guerra che le uccide.

2. CONTRORIME. OSVALDO CAFFIANCHI: CANTATA DI UN UOMO SENZ'ARTE NE' PARTE

Sono un uomo senz'arte ne' parte
ma so leggere i segni nel cielo:
quando annuvola poi vien la pioggia
quando vien la canicola sudi.

Sono un uomo senz'arte ne' parte
ma so che sono cose diverse
ammazzare o salvare le vite.
So che servono a uccider le armi.

Sono un uomo senz'arte ne' parte
ma lo so che la guerra e' assassina
e che sono assassini gli eserciti
e chi guerre ed eserciti usa.

Sono un uomo senz'arte ne' parte:
ma ho saputo negare il consenso
alla guerra, agli eserciti, alle armi
ed a tutti i governi assassini.

3. MATERIALI. PER UNA DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI NONVIOLENZA
[Riproduciamo ancora una volta il seguente testo gia' pubblicato in passato
su questo foglio]

Una premessa terminologica
Scriviamo la parola "nonviolenza" tutta attaccata, come ci ha insegnato
Capìtini, per distinguerla dalla locuzione "non violenza"; la locuzione "non
violenza" significa semplicemente non fare la violenza; la parola
"nonviolenza" significa combattere contro la violenza, nel modo piu' limpido
e piu' intransigente.
Chiamiamo le persone che si accostano alla nonviolenza "amici della
nonviolenza" e non "nonviolenti", perche' nessuno puo' dire di essere
"nonviolento", siamo tutti impastati di bene e di male, di luci e di ombre,
e' amica della nonviolenza la persona che rigorosamente opponendosi alla
violenza cerca di muovere verso altre piu' alte contraddizioni, verso altri
piu' umani conflitti, con l'intento di umanizzare l'agire, di riconoscere
l'umanita' di tutti.
Con la parola "nonviolenza" traduciamo ed unifichiamo due distinti e
intrecciati concetti gandhiani: "ahimsa" e "satyagraha". Sono due parole
densissime che hanno un campo semantico vastissimo ed implicano una
concettualizzazione ricca e preziosa.
Poiche' qui stiamo cercando di esprimerci sinteticamente diciamo che ahimsa
designa l'opposizione alla violenza, e' il contrario della violenza, ovvero
la lotta contro la violenza; ma e' anche la conquista dell'armonia, il fermo
ristare, consistere nel vero e nel giusto; e' il non nuocere agli altri (ne'
con atti ne' con omissioni), e quindi innocenza, l'in-nocenza nel senso
forte dell'etimo. Ahimsa infatti si compone del prefisso "a" privativo, che
nega quanto segue, e il tema "himsa" che potremmo tradurre con "violenza",
ma anche con "sforzo", "squilibrio", "frattura", "rottura dell'armonia",
"scissura dell'unita'"; in quanto opposizione alla lacerazione di cio' che
deve restare unito, l'ahimsa e' dunque anche ricomposizione della comunita',
riconciliazione.
Satyagraha e' termine ancora piu' denso e complesso: tradotto solitamente
con la locuzione "forza della verita'" puo' esser tradotto altrettanto
correttamente in molti altri modi: accostamento all'essere (o all'Essere, se
si preferisce), fedelta' al vero e quindi al buono e al giusto, contatto con
l'eterno (ovvero con cio' che non muta, che vale sempre), adesione al bene,
amore come forza coesiva, ed in altri modi ancora: e' bella la definizione
della nonviolenza che da' Martin Luther King, che e' anche un'eccellente
traduzione di satyagraha: "la forza dell'amore"; ed e' bella la definizione
di Albert Schweitzer: "rispetto per la vita", che e' anch'essa un'ottima
traduzione di satyagraha. Anche satyagraha e' una parola composta: da un
primo elemento, "satya", che e' a sua volta derivato dalla decisiva
parola-radice "sat", e da "agraha". "Agraha" potremmo tradurla contatto,
adesione, forza che unisce, armonia che da' saldezza, vicinanza; e' la forza
nel senso del detto "l'unione fa la forza", e' la "forza di attrazione"
(cioe' l'amore); e' cio' che unisce in contrapposizione a cio' che disgrega
ed annichilisce. "Satya" viene tradotto per solito con "verita'", ed e'
traduzione corretta, ma con uguale correttezza si potrebbe tradurre in modi
molto diversi, poiche' satya e' sostantivazione qualificativa desunta da
sat, che designa l'essere, il sommo bene, che e' quindi anche sommo vero,
che e' anche (per chi aderisce a fedi religiose) l'Essere, Dio. Come si vede
siamo in presenza di un concetto il cui campo di significati e' vastissimo.
Con la sola parola nonviolenza traduciamo insieme, e quindi unifichiamo,
ahimsa e satyagraha. Ognun vede come si tratti di un concetto di una
complessita' straordinaria, tutto l'opposto delle interpretazioni
banalizzanti e caricaturali correnti sulle bocche e nelle menti di chi
presume di tutto sapere solo perche' nulla desidera capire.
*
Ma cosa e' questa nonviolenza? lotta come umanizzazione
La nonviolenza e' lotta come amore, ovvero conflitto, suscitamento e
gestione del conflitto, inteso sempre come comunicazione, dialogo, processo
di riconoscimento di umanita'. La nonviolenza e' lotta o non e' nulla; essa
vive solo nel suo incessante contrapporsi alla violenza.
Ed insieme e' quella specifica, peculiare forma di lotta che vuole non solo
vincere, ma con-vincere, vincere insieme (Vinoba conio' il motto, stupendo,
"vittoria al mondo"; un motto dei militanti afroamericani dice all'incirca
lo stesso: "potere al popolo"); la nonviolenza e' quella specifica forma di
lotta il cui fine e' il riconoscimento di umanita' di tutti gli esseri
umani: e' lotta di liberazione che include tra i soggetti da liberare gli
stessi oppressori contro il cui agire si solleva a combattere.
Essa e' dunque eminentemente responsabilita': rispondere all'appello
dell'altro, del volto muto e sofferente dell'altro. E' la responsabilita' di
ognuno per l'umanita' intera e per il mondo.
Ed essendo responsabilita' e' anche sempre nonmenzogna: amore della verita'
come amore per l'altra persona la cui dignita' di essere senziente e
pensante, quindi capace di comprendere, non deve essere violata (e mentire
e' violare la dignita' altrui in cio' che tutti abbiamo di piu' caro: la
nostra capacita' di capire).
Non e' dunque una ideologia ma un appello, non un dogma ma una prassi.
Ed essendo una prassi, ovvero un agire concreto e processuale, si da' sempre
in situazioni e dinamiche dialettiche e contestuali, e giammai in astratto.
Non esiste una nonviolenza meramente teorica, poiche' la teoria nonviolenta
e' sempre e solo la riflessione e l'autocoscienza della nonviolenza come
prassi. La nonviolenza o e' in cammino, vale da dire lotta nel suo farsi, o
semplicemente non e'.
Esistono tante visioni e interpretazioni della nonviolenza quanti sono i
movimenti storici e le singole persone che si accostano ad essa e che ad
essa accostandosi la fanno vivere, poiche' la nonviolenza vive solo nel
conflitto e quindi nelle concrete esperienze e riflessioni delle donne e
degli uomini in lotta per l'umanita'.
*
Tante visioni della nonviolenza quente sono le persone che ad essa si
accostano
Ogni persona che alla nonviolenza si accosta da' alla sua tradizione un
apporto originale, un contributo creativo, un inveramento nuovo e ulteriore,
e cosi' ogni amica e ogni amico della nonviolenza ne da' una interpretazione
propria e diversa dalle altre. Lo sapeva bene anche Mohandas Gandhi che
defini' le sue esperienze come semplici "esperimenti con la verita'", non
dogmi, non procedure definite e routinarie, non ricette preconfezionate, ma
esperimenti: ricerca ed apertura.
*
La nonviolenza come insieme di insiemi
Io che scrivo queste righe propendo per proporre questa definizione della
nonviolenza cosi' come a me pare di intenderla e praticarla: la nonviolenza
e' cosa complessa, un insieme di insiemi, aperto e inconcluso.
1. E' un insieme di concetti e scelte logico-assiologici, ovvero di criteri
per l'azione: da questo punto di vista ad esempio la nonviolenza e'
quell'insieme di scelte morali che potremmo condensare nella formula del
"principio responsabilita'" in cui ha un ruolo cruciale la scelta della
coerenza tra i mezzi e i fini (secondo la celebre metafora gandhiana: tra i
mezzi e i fini vi e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e la pianta).
2. E' un insieme di tecniche interpretative (il riconoscimento dell'altro,
ergo il rifiuto del totalitarismo, della cancellazione o della sopraffazione
del diverso da se'), deliberative (per prendere le decisioni senza escludere
alcuno) ed operative (per l'azione di trasformazione delle relazioni:
interpersonali, sociali, politiche); come esempio di tecnica deliberativa
nonviolenta potremmo citare il metodo del consenso; come esempio di tecniche
operative potremmo citare dallo sciopero a centinaia di altre forme di lotta
cui ogni giorno qualcuna se ne aggiunge per la creativita' di chi contro la
violenza ovunque si batte.
3. E' un insieme di strategie: e ad esempio una di esse risorse strategiche
consiste nell'interpretazione del potere come sempre retto da due pilastri:
la forza e il consenso; dal che deriva che si puo' sempre negare il consenso
e cosi', attraverso la noncollaborazione, contrastare anche il potere piu'
forte.
4. E' un insieme di progettualita' (di convivenza, sociali, politiche):
significativo ad esempio e' il concetto capitiniano di "omnicrazia", ovvero:
il potere di tutti. La nonviolenza come potere di tutti, concetto di una
ricchezza e complessita' straordinarie, dalle decisive conseguenze sul
nostro agire.
*
Un'insistenza
Insistiamo su questo concetto della nonviolenza come insieme di insiemi,
poiche' spesso molti equivoci nascono proprio da una visione riduzionista e
stereotipata; ad esempio, e' certo sempre buona cosa fare uso di tecniche
nonviolente anziche' di tecniche violente, ma il mero uso di tecniche
nonviolente non basta a qualificare come nonviolenta un'azione o una
proposta: anche i nazisti prima della presa del potere fecero uso anche di
tecniche nonviolente.
Un insieme di insiemi, complesso ed aperto.
Un agire concreto e sperimentale e non un'ideologia sistematica e astratta.
Un portare ed agire il conflitto come prassi di umanizzazione, di
riconoscimento e liberazione dell'umanita' di tutti gli esseri umani; come
responsabilita' verso tutte le creature.
La nonviolenza e' in cammino. La nonviolenza e' questo cammino. Il cammino
vieppiu' autocosciente dell'umanita' sofferente in lotta per il
riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.
*
Una grande esperienza e speranza storica
Non patrimonio di pochi, la nonviolenza si e' incarnata in grandi esperienze
e speranze storiche, due sopra tutte: la Resistenza, e il movimento delle
donne; ed e' il movimento delle donne, la prassi nonviolenta del movimento
delle donne, la decisiva soggettivita'  autocosciente portatrice di speranza
e futuro qui e adesso, in un mondo sempre piu' minacciato dalla catastrofe e
dall'annichilimento della civilta' umana.

4. RIFLESSIONE. MANUELA CARTOSIO: DONNE MIGRANTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 settembre 2006. Manuela Cartosio e'
giornalista e saggista, particolarmente attenta ai movimenti e alle lotte
sociali]

Il rapporto tra donne migranti e donne native e' il grande assente nelle
riflessioni femminili seguite all'uccisione di Hina Saleem, agli stupri
commessi da extracomunitari e, da ultimo, al suicidio della vedova indiana
Kaur che ci ha "affidato" i due figli prima di buttarsi sotto il treno (e
poco cambia che il secondo marito avesse 37 e non 70 anni). Il richiamo "E
le femministe che dicono?", pur se sgrammaticato, malevolo e ignorante, ha
avuto il merito di mettere in piazza un rovello fin qui confinato nella
pubblicistica femminile: "Il multiculturalismo e' un male per le donne?".
Si', lo e', se scade in un relativismo culturale indifferente, se chiude gli
occhi di fronte alla non liberta' delle donne in diverse comunita'
straniere, segnatamente quelle di religione islamica e con forti legami di
clan. E pero', aggiungono "le femministe", non sono solo i padri pachistani
a tagliare la gola "per ragioni d'onore" alle figlie trasgressive e ribelli,
non sono solo i nordafricani a stuprare le donne. I delitti contro le donne
vengono sussunti sotto l'ampio mantello di un patriarcato declinato
diversamente nel tempo e nello spazio, ma in ultima istanza identico.
Giusta o sbagliata che sia questa reductio ad unum, l'analisi guarda ai
patriarchi, omette le donne migranti e soprattutto svicola sul complicato o
inesistente rapporto tra loro e noi. Parlo in prima persona. Perche' io, che
pure mi occupo di queste cose per mestiere, ho scoperto solo qualche giorno
fa che oltre la meta' delle donne violentate a Milano sono straniere?
Perche' io, che pure mi picco di sapere qualcosa di Brescia, solo "dopo
Hina" ho realizzato che i film e i romanzi anglo-pachistani potrebbero
essere ambientati in Val Trompia?
Mi sono data due risposte. Le donne immigrate invisibili e segregate come le
pachistane non le vogliamo vedere perche' ci riportano a una condizione di
"vittima", spesso connivente, che ci siamo scrollate di dosso solo l'altro
ieri. I diritti non si insegnano, ci diciamo, ognuna se li deve conquistare.
Anche questo e' vero, ma rischia di diventare un alibi che delega tutta la
fatica dell'incontro-scontro a operatrici socio-assistenziali, insegnati,
ginecologhe, mediatrici culturali. Le donne migranti latinoamericane o
slave, invece, le vediamo benissimo. Stanno nelle nostre case, ci
sostituiscono nei lavori di cura, accudiscono i nostri bambini e i nostri
vecchi. Ci risolvono un sacco di problemi, ma ce ne pongono uno enorme con
noi stesse: essere non solo "padrone" di altre donne (e gia' sarebbe una
bella gatta da pelare), ma anche ladre di affetti. Siamo parte attiva in
quel grande esproprio di affetti di cui parla il rapporto della Nazioni
Unite diffuso ieri sulle donne migranti. I soldi (non tantissimi) che
paghiamo a badanti e colf diventano rimesse che tengono in piedi l'economia
dei paesi poveri. Ma non compensano la cura sottratta alle loro famiglie e
dirottata sulle nostre, la lunga assenza, i matrimoni saltati per aria, le
sindromi d'abbandono dei figli. Oltre che diseguale, come tutti i rapporti
salariari, il nostro rapporto con colf e badanti straniere e', salvo
rarissime eccezioni, un viluppo di sensi di colpa e di bugie.
Se non si scioglie questo nodo, non ci sara' inclusione delle migranti nel
movimento delle donne. Stiamo parlando di un fenomeno di massa. Il mezzo
milione stimato di badanti fotografa solo il presente. Nell'arco degli
ultimi dieci anni milioni di donne italiane hanno usufruito del lavoro delle
migranti. Ragazze, vogliamo parlarne?

5. RIFLESSIONE. NE' MULTICULTURALISMO NE' EUROCENTRISMO, INTERCULTURA

Sarebbe opportuno farla finita con un falso dilemma tutto interno alla
subalternita' alle culture del privilegio e della discriminazione, dello
sfruttamento e del razzismo, del patriarcato e dell'autoritarismo: il falso
dilemma secondo cui o si accetta un multiculturalismo che legittima ogni
violenza purche' ristretta ad un orizzonte comunitario e identitario, o si
deve ricadere in un eurocentrismo angusto e tracotante che approda alla
weltanschauung dei totalitarismi storici e nuovi.
Ne' l'eurocentrismo colonialista e imperialista, ne' il multiculturalismo
complice di tutte le oppressioni: occorre una pratica viva
dell'intercultura, che a tutti gli esseri umani riconosca tutti i diritti
umani, che sappia che una e' l'umanita', ed unica e infinitamente preziosa
ogni persona, e che l'identita' altro non e' che l'intreccio delle
innumerevoli alterita' incontrate e vissute, ereditate e criticate in
ascolto e conflitto incessanti; e che quante piu' sono le relazioni tanto
piu' ogni individuo e' colmo di doni e di liberta'. Di alterita' e
prossimita' - di responsabilita' quindi - si nutre viva policroma
l'esistenza degna.

6. INCONTRI. A PISA NEL CENTENARIO DELLA NASCITA DEL SATYAGRAHA

Si svolge a Pisa da ieri all'11 settembre 2006 un convegno internazionale
sul tema "Il potere della nonviolenza" nel centenario della nascita del
satyagraha (11 settembre 1906).
Il convegno e' promosso dalla prestigiosa rivista "Quaderni satyagraha" e
dal Centro Gandhi di Pisa; partecipano molte autorevoli personalita' della
riflessione e dell'impegno nonviolento.
Per informazioni, adesione e partecipazione contattare il Centro Gandhi di
Pisa, tel. 3355861242, fax: 1782205126, e-mail:
11settembre.nonviolenza at centrogandhi.it, sito: www.centrogandhi.it

7. INCONTRI. UNA FESTA PER LUMINARIA A PALERMO
[Da Giovanna Fiume (per contatti: fiumegio at unipa.it) riceviamo e volentieri
diffondiamo. Giovanna Fiume insegna storia moderna presso la facolta' di
Scienze politiche dell'Universita' di Palermo. Fa parte della direzione di
"Quaderni storici", della redazione della "Rivista di storia delle donne" e
del comitato scientifico di "Crime, histoire & societes". Ha pubblicato: La
crisi sociale del 1848 in Sicilia (Messina 1982); Bande armate in Sicilia.
Violenza e organizzazione del potere, 1819-1849 (Palermo 1984); La vecchia
dell'aceto. Un processo per veneficio nella Palermo di fine Settecento
(Palermo 1990). Ha curato il volume Madri. Storia di un ruolo sociale
(Venezia 1995) e Il santo patrono e la citta', San Benedetto il Moro. Culti
strategie, devozioni di eta' moderna (Venezia 1999). Con M. Modica ha
pubblicato Benedetto il Moro. Santita', agiografia e primi processi di
canonizzazione (Palermo 1998)]

Sabato 9 settembre alle ore 20,30 allo Spasimo faremo festa.
Luminaria, una nuova associazione di donne, si presenta alla citta' di
Palermo con uno spettacolo corsaro, meticcio, articolato fra dimensioni
apparentemente incompatibili: una piece teatrale tratta da un racconto del
Novecento, la lettura salmodiata di una Sura del Corano e alcuni rap
composti e proposti tra rabbia e dolcezza dai ragazzi di una nostra
periferia. Questa scelta di contaminazione delle differenze nasce dalla
convinzione che si possano costituire inediti paradigmi per la costruzione
di una nuova coscienza globale.
La Sirena di Tomasi di Lampedusa descrive la nostra isola come luogo di
seduzione e straniamento, un "luogo geometrico di vite fallite", dove "la
costa e' selvaggia, il mare e' del colore dei pavoni, il fiume frettoloso,
le alghe fioriscono" e dove gli intellettuali se ne stanno "sempre con le
lunghe orecchie intente a spiare lo strascichio dei passi della Morte" e "i
libri nel sottosuolo dell'Universita' poiche' mancano i fondi per le
scaffalature vanno imputridendo lentamente".
Da qui nessun altrove. Lo sanno bene le ragazze e i ragazzi dello Zen che,
sull'esempio di Scampia, hanno creato un centro sociale intitolato a
Giovanni Vitale, vittima della violenza, dove si incontrano, scrivono,
compongono e cantano, non per sfogo immediato, o non solo, ma per deliberata
volonta' di denuncia, di riscatto e desiderio di progetto. Cosi' nasce lo
spettacolo Du Zen.
Ma il progetto che i tempi ci impongono e' un approccio e un approdo
interculturale, una contaminazione, appunto, nel senso piu' profondo di
intreccio empatico e intima osmosi, che puo' trovare nel dialogo
interreligioso una vocazione potente. Questa e' l'intenzione sottesa alla
recitazione della Sura 24 dedicata alla luce, metafora del divino presso
tutte le civilta': una lampada in una nicchia e' alimentata con l'olio di un
ulivo ne' orientale ne' occidentale; e' l'Albero della Vita al centro
dell'Eden, la colonna centrale dell'albero delle Sephirot nella Cabbala
ebraica, l'ulivo del Getsemani e quello riconosciuto dalla colomba di Noe'.
E' l'ulivo della pace, ma anche della giustizia, raggiunte attraverso la
nonviolenza.
L'attrice e regista Patrizia D'Antona interpretera' la Lighea del racconto
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, accompagnata dalle musiche di Rita Collura
e Giuseppe Costa; Asma Gherib recitera' in arabo la Sura del Corano dedicata
alla luce; il "Laboratorio Zen insieme" proporra' una fantasia di storie e
canzoni rap, dal progetto di Melania Messina.
*
Dove si accendono sempre piu' spesso le luci del versatile talento delle
donne, tante luci, talvolta una luminaria...
Costruire un'associazione di donne e' tra le imprese piu' difficili che ci
siano. Il gruppo, l'organizzazione, il collettivo vogliono occupare lo
spazio pubblico, a partire da quell'ibrido di passaggio che furono i
salotti, i saloni e i cafes letterari, tra Sette e Ottocento. Ma vi portano
modi e contenuti della sfera privata, poiche' le donne, a differenza degli
uomini, non possono lasciare i propri corpi a casa, ma li conducono sempre
con se'. Le donne sono i loro corpi, maledizione e risorsa della loro
condizione storica. Il corpo femminile e' stato escluso dalla sfera pubblica
quando, agli albori dell'eta' contemporanea, essa e' stata definita come
spazio della cittadinanza. Proprio in ragione della loro biologia, le donne
non sono state cittadine, ma piuttosto mogli e riproduttrici di cittadini -
un ruolo sociale basato sul fondamento biologico che le donne partoriscono,
costruito come se si trattasse del riconoscimento della loro essenziale
"natura". Dalla natura sarebbe provenuto cosi' il fondamento della loro
diseguaglianza e della loro conseguente, inevitabile, esclusione. La nozione
di cittadinanza, quindi, si e' troppo a lungo costruita attraverso
l'esclusione delle donne. Le associazioni di donne sono da questo punto di
vista borderline, al confine tra pubblico e privato; portano un mondo di
idee, progetti, desideri, pratiche nella sfera pubblica, contaminandone il
linguaggio, dando al privato (relazioni familiari, sessualita', ecc.) una
connotazione pubblicistica e nello stesso tempo femminilizzano la sfera
pubblica. Dove si accendono sempre piu' spesso le luci del versatile talento
delle donne, tante luci, talvolta una luminaria...
Muovendo da queste considerazioni, Luminaria ha inserito fra i suoi scopi:
l'elaborazione, la valorizzazione e la diffusione della cultura e della
politica di genere, in ogni campo della espressione artistica e della
conoscenza, del pensiero femminile e femminista, della cultura antimafiosa,
di tutela ambientale, di sviluppo equo e solidale, di rispetto verso gli
animali, di dialogo interculturale e interreligioso; la creazione di spazi
di comunicazione tra donne e tra donne e uomini, dove realizzare pratiche di
relazione e di reciproca valorizzazione; spazi di amicizia e di solidarieta'
fra donne migranti e native; spazi di dialogo nazionale e internazionale, a
partire dall'area mediterranea, volti al ristabilimento e al mantenimento
della cultura della pace e della nonviolenza; la ricerca e l'attivazione di
occasioni di dialogo e di cooperazione con donne delle periferie (delle
citta' e del mondo), con una particolare attenzione ai problemi locali di
interesse globale; la promozione della tutela e la valorizzazione dei beni
naturali, culturali, storici e monumentali; l'apertura di sportelli
informativi sulle azioni positive a vantaggio delle donne; l'organizzazione
di spettacoli teatrali e musicali, concerti, rassegne, mostre, festival,
cineforum, seminari, conferenze, workshop e consulte; la pubblicazione di
saggi, riviste, libri, ricerche e studi attinenti alle politiche di genere,
per contribuire allo sviluppo socioculturale e civile delle cittadine e dei
cittadini tutti e alla sempre piu' ampia diffusione della democrazia e della
solidarieta' in tutti i rapporti umani, alla difesa pratica e nonviolenta
delle liberta' civili, politiche e dei diritti sociali, individuali e
collettivi.

8. INCONTRI. A ROMA IL 21 SETTEMBRE
[Dalla Commissione Internazionale Giustizia e Pace della Famiglia Domenicana
(per contatti:  tel. 0657940656, fax: 065750675, cell. 3280722672, e-mail:
jp at curia.op.org) riceviamo e volentieri diffondiamo]

Il giorno 21 settembre e' la Giornata mondiale della pace promossa dalle
Nazioni Unite nel 2001 affinche' tutto il mondo osservi un giorno di pace e
nonviolenza (http://idpvigil.com). "Beati gli operatori di pace perche'"
saranno chiamati figli di Dio", con queste parole il maestro dell'Ordine
Domenicano, fra Carlos Azpiroz Costa, op, apre la lettera che invita la
Famiglia Domenicana nel mondo ad unirsi con un piccolo gesto per la pace e
in solidarieta' con i tanti fratelli e sorelle in Medio Oriente che chiedono
di non essere lasciati soli.
I domenicani e le domenicane, insieme ad altre famiglie religiose e alla
societa' civile che crede nella pace e nella nonviolenza, sono chiamate e
chiamati da piu' parti a prendere posizione per difendere la pace e la
convivenza tra i popoli. L'escalation di violenza e crudelta' che si sta
consumando nel mondo e il grido incessante delle nostre sorelle e dei nostri
fratelli in quei paesi ci ha spinto a invitarvi a una marcia per la pace a
Roma da piazza Venezia al Colosseo il 21 settembre alle ore 17,30
(appuntamento a piazza Madonna di Loreto, a fianco a Piazza Venezia).
Ci auguriamo possiate tutti e tutte essere presenti in questa "camminata di
pace" per esprimere con forza la nostra convinzione che la pace e' possibile
ora in Iraq e negli altri paesi del martoriato Medio Oriente.
Con gioia abbiamo ricevuto gia' l'adesione di altre realta' della societa'
civile.
Se desiderate esprimere la vostra adesione, vi preghiamo di contattarci.
I promotori internazionali di Giustizia e Pace della Famiglia Domenicana
sr. Marie-Therese Perdriault, op
fr. Prakash Lohale, op
*
Per informazioni: Commissione Internazionale Giustizia e Pace della Famiglia
Domenicana, Convento Santa Sabina, piazza Pietro d'Illiria 1, 00153 Roma,
tel. 0657940656, fax: 065750675, cell. 3280722672, e-mail: jp at curia.op.org

9. INCONTRI. A VENEZIA DAL 7 AL 9 OTTOBRE
[Da Giovanni Benzoni (per contatti: tel. 3282517362, e-mail:
giovannibenzoni at fastwebnet.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Giovanni
Benzoni, amico della nonviolenza, animatore di innumerevoli rilevanti
iniziative, di vasta esperienza amministrativa, giornalistica ed editoriale,
suscitatore di impegno civile e promotore di cultura, e' responsabile del
"progetto Iride" per la Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace; e' in
gran parte merito suo la realizzazione dell'annuale "Salone dell'editoria di
pace" a Venezia, e dell'Annuario della pace, volume che costutuisce un
prezioso e irrinunciabile strumento di riflessione e di lavoro. Un suo
profilo autobiografico, scritto con amabilissima verve e autoironia e
generosamente messo a nostra disposizione, e' nel n. 1070 di questo foglio]

Si svolgera' dal 7 al 9 ottobre a Venezia il sesto salone dell'editoria di
pace, appuntamento di grande impotanza per tutte le persone impegnate per la
pace e per una cultura della pace e della dignita' umana.
Il filo conduttore del salone quest'anno sara' "Fare pace tra verita' e
menzogna".
Per partecipare e contirbuire all'iniziativa (di cui e' gia' disponibile un
programma di massima), contattare l'infaticabile animatore del salone
Giovanni Benzoni: tel. 3282517362, e-mail: giovannibenzoni at fastwebnet.it

10. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI SETTEMBRE
[Dagli amici dell'associazione nazionale Amici di Aldo Capitini (per
contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo]

Cari amici,
vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di settembre 2006 del "C.O.S. in rete",
www.cosinrete.it
Nello spirito del Cos di Capitini, le nostre e le vostre risposte e
osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani:
nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere
di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta,
antifascismo, tra cui: Dittature di destra e di sinistra; Informarsi per
fare; Ricchi e poveri in eterno?; Le barriere contro i poveri; Stare
insieme, stare meglio; Clamans in deserto del rock; Le oscure radici
dell'Europa; La guerra fascista di Spagna; Il papa e Israele; Cattolici e
guerra; Le illusioni della filantropia; All'alba del liberalsocialismo; ecc.
Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale
sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al C.O.S.
in rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi a:
capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del cos a
http://cos.splinder.com
Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato
indirizzo in: www.aldocapitini.it

11. LIBRI. MARIO PIANTA PRESENTA IL "DICTIONNAIRE DE L'AUTRE ECONOMIE" DI
JEAN-LOUIS LAVILLE E ANTONIO DAVID CATTANI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 settembre 2006.
Mario Pianta e' nato ad Asti nel 1956, economista, ricercatore del Cnr,
docente universitario di politica economica, impegnato nel movimento per la
pace, collalbora al quotidiano "Il manifesto"; tra le opere di Mario Pianta:
Stati Uniti: il declino di un impero tecnologico, Edizioni Lavoro, Roma
1988; (a cura di), L'economia globale, Edizioni Lavoro, Roma 1989; (con
Giulio Perani), L'industria militare in Italia, Edizioni Associate, Roma
1989; (a cura di), Jesse Jackson. La politica dell'arcobaleno, Datanews,
Roma 1989; (con Alberto Castagnola), La riconversione dell'industria
militare, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1990;
(con altri), Tecnologia, crescita e occupazione, 1998; Globalizzazione dal
basso, Manifestolibri, Roma 2001.
Jean-Louis Laville, sociologo, e' docente al Conservatoire National des Arts
et Metiers (Cnam), ricercatore al Centre National de la recherche
scientifique (Cnrs), dirige il Centre de recherche et d'information sur la
democratie et l'autonomie (Crida) a Parigi. Autore di numerose
pubblicazioni, tra cui: con R. Sainsaulieu, Sociologie de l'association,
1997; con E. Mingione, La nuova sociologia economica, 1999; con Laurent
Gardin, Le iniziative locali in Europa, Bollati Boringhieri, Torino 1999;
con Michele La Rosa,  Christian Marazzi, Federico Chicchi, Reinventare il
lavoro, Sapere 2000, 2006; con Antonio David Cattani, Dictionnaire de
l'autre economie, 2006.
Antonio David Cattani e' docente unversitario di sociologia ed autore e
curatore di varie pubblicazioni]

C'e' il Fattore C dei produttori (cooperazione, comunita', collettivita',
collaborazione), ci sono le quattro R dei consumatori (ridurre, riciclare,
riutilizzare, riparare) e le quattro A dei modelli di economia alternativa
(altrimenti, altrove, alterita', alternanza). E' L'alfabeto per un
linguaggio nuovo, necessario a un mondo di idee e di pratiche che restano
illegibili con le categorie economiche tradizionali e che si trovano in un
dizionario titolato Dictionnaire de l'autre economie, curato da Jean-Louis
Laville e Antonio David Cattani (Desclee de Brouwer, pp. 564, 32 euro).
Cinquantasei voci, da altermondialisation a utopie, con autori che vanno da
Patrick Viveret a Euclides Andre' Mance, da Alain Caille' a Jose' Louis
Coraggio.
Il lavoro, impegnativo, costituisce un primo passo, spesso interrotto a
meta' percorso. I punti di forza del volume sono nel titolo e negli autori.
Intitolarlo all'altra economia e' una scelta importante per unificare le
moltissime esperienze e prospettive diverse, per trovare una definizione
condivisa dall'America latina all'Europa. Quella che vi viene confermata e'
una categoria in Italia ormai consolidata, mentre in Francia prevaleva
quella di economia sociale (con un ruolo fondamentale alle cooperative) e
nel mondo anglosassone si continua a insistere sulle non profit
organisations. Avere riunito punti di vista francesi e latinoamericani e' un
secondo pregio, con alcune voci tratte da un precedente volume brasiliano, A
outra economia, a cura di Antonio David Cattani (Veraz, 2003).
Sono passi avanti, questi, che tuttavia si fermano a meta' strada. Sotto il
titolo restano allineate troppe voci sovrapposte - economia alternativa,
economia morale, economia non mercantile, economia non monetaria, economia
popolare, economia sociale, economia solidale (vista da Nord e da Sud),
terzo settore - senza che i testi, troppo brevi, portino a una
sistematizzione dei temi. Vengono raccolte le molte definizioni diverse,
senza uno sforzo di sintesi su come potremmo definire oggi un sistema altro
rispetto all'economia di mercato del capitalismo neoliberista.
E' utile lo sforzo di ritorno alle origini delle teorie e delle pratiche.
Scopriamo che i padri riconosciuti dell'altraeconomia sono, stando al numero
delle citazioni, Karl Polanyi, Karl Marx, Marcel Mauss e Max Weber e
troviamo spesso i debiti riconoscimenti a Owen, Saint Simon, Fourier e
Proudhon.
Il punto chiave, che l'introduzione di Jean-Louis Laville ribadisce, resta
quello sottolineato da Polanyi nella sua analisi del capitalismo liberista
di inizio Novecento: la necessita' di "reinserire" l'economia di mercato
dentro la societa' e le sue relazioni, rovesciando l'assolutizzazione della
razionalita' economica e l'idea che ci si possa affidare a un sistema di
mercati capaci di autoregolarsi. Tra le alternative all'individualismo della
razionalita' economica emergono dal dizionario lo "spirito del dono", la
reciprocita', la solidarieta', l'associazionismo. Ancora piu' eterogenee
sono le strade che, nelle voci del volume, possono allontanarci della
"dittatura dei mercati". La questione di fondo restano le relazioni tra la
sfera delle attivita' sociali, in cui si opera come persone e cittadini, e
quella delle attivita' economiche, in cui siamo produttori, lavoratori,
consumatori, risparmiatori.
Tra le immagini piu' convincenti presentate dal libro c'e' quella proposta
dal grande storico Fernand Braudel, ossia un'economia mondiale costituita da
tre piani: l'economia terra terra legata alla riproduzione della societa',
fatta di lavoro domestico, autoproduzione e autoconsumo, scambi su mercati
locali; un "primo piano" di economia concorrenziale di mercato e un "piano
alto" abitato dagli oligopoli delle imprese multinazionali. L'espansione
capitalistica ha invaso con logiche di mercato il piano terra della
quotidianita', insieme al mondo del vivente, la sfera dei saperi e dei beni
pubblici, e un primo compito dell'altraeconomia sta nel respingere questa
invasione e tutelare la dimensione prevalentemente sociale di questo ambito.
Dopo la difesa, l'attacco: si possono fare incursioni dove i mercati stessi
falliscono per la natura pubblica o relazionale dei beni prodotti,
affiancando e integrando con altre attivita' economiche e sociali - tipiche
del terzo settore e delle imprese sociali - la difesa del welfare state e
dell'intervento pubblico per servizi sociali, scuola, sanita',
infrastrutture e ambiente. Infine, al "piano nobile" delle multinazionali,
gli abusi piu' gravi possono essere fronteggiati con relazioni dal basso:
commercio equo, microcredito, cooperazione decentrata.
Se proviamo a ordinare le molte prospettive aperte dal volume, emergono una
varieta' di strategie complementari: in primo luogo ridimensionare la sfera
delle attivita' economiche rispetto agli ambiti del sociale e della
politica; poi accrescere i vincoli che questi ultimi possono imporre ai modi
di svolgimento della produzione, dei consumi e della finanza; sperimentare
infine attivita' economiche fuori dalle logiche capitalistiche e di mercato,
da un lato tramite esperienze radicate nell'agire sociale e solidale e
dall'altro reinventando un intervento pubblico non statalista. Nel primo
caso la sfida e' nella forma sociale in cui realizzare attivita' economiche:
associazioni che forniscono servizi, fondazioni, imprese sociali e
cooperative presentano tutte luci e ombre con una difficolta' di definizione
dei confini discussa nell'articolo di Alessandro Messina in questa stessa
pagina [del quotidiano "Il manifesto" - ndr]. Nel secondo caso, la relazione
tra societa' civile e politica diventa centrale, con la capacita' della
prima di condizionare la visione del "bene comune" interpretato dalle
strutture di potere, dai meccanismi di decisione e dalle elite della
politica.
Piu' spazio alla sfera del sociale e della politica vuol dire naturalmente
piu' democrazia, una politica che non sia ridotta e esercizio del potere,
piu' partecipazione e ruolo dei cittadini; come ricorda Laville, "la visione
di un'altra economia diventa necessaria se non rinunciamo alla finalita' di
un approfondimento della democrazia".
Per quanto confusa nella definizione e molteplice nelle direzioni da
perseguire, la strada dell'altraeconomia appare cosi' obbligata se cerchiamo
alternative concrete, qui e ora, al capitalismo neoliberista. Lo raccontano
con grande efficacia gli autori latinoamericani che nel Dizionario mostrano
come le pratiche di un'altraeconomia nel Sud del mondo si siano moltiplicate
negli ultimi vent'anni alla ricerca di risposte (e di sopravvivenza) alle
politiche neoliberiste. E lo mostrano anche le esperienze piu' avanzate
diffuse in Europa per fornire servizi capaci di andare incontro a bisogni
insoddisfatti, per aprire spazi all'agricoltura biologica e a produzioni
amiche dell'ambiente, al commercio equo e alla finanza etica, ai consumi
critici e alla condivisione dei saperi.
*
Bibliografia: Per esplorare vie alternative
Che cosa leggere per esplorare l'altraeconomia? Fondamentale e' La grande
trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca,
pubblicato in gran fretta a Londra da Karl Polanyi nel 1944 (Einaudi 2000,
pp. 383, 24 euro), per offrire un'alternativa ai disastri del liberismo nel
dopoguerra. L'introduzione di Alfredo Salsano all'edizione italiana
ricostruisce il percorso di Polanyi e il suo profilo intellettuale che si
forma a un crocevia della cultura della sinistra europea, con un
orientamento radicalsocialista, non marxista, ostile sia al mercato sia alla
pianificazione centralizzata e con una forte attenzione alla pratica
sindacale. La "grande trasformazione" e' la capacita' della societa' di
fermare la "dittatura dell'economia" imponendo l'intervento dello stato per
regolare i mercati, aprendo le porte a quello che sara' il welfare state.
Polanyi continera' poi a lavorare soprattutto sull'intreccio tra storia e
antropologia, con i saggi raccolti in Economie primitive, arcaiche e moderne
e Traffici e mercati negli antichi imperi (entrambi da Einaudi).
Non molto ricca e' la riflessione recente sulle alternative "di sistema" al
capitalismo neoliberista che sappiano partire da pratiche concrete. Tra
queste c'e' il numero 20 della "Revue du Mauss", Quelle autre
mondialisation? (La Decouverte-Mauss 2002) con contributi, tra gli altri di
Morin, Laidi, Latouche.
Dagli Usa viene Alternatives to economic globalization (Berrett-Koehler,
2002) realizzato da un folto gruppo di critici della globalizzazione
(soprattutto americani) guidato da John Cavanagh e Jerry Mander, che
concentrandosi sulla critica alle corporations suggerisce dieci principi per
societa' sostenibili e propone di rovesciare i processi di globalizzazione
con limiti alle imprese e attenzione alla dimensione locale. Seymour Melman
in After capitalism. From managerialism to workplace democracy (Knopf, 2001)
svolge una lucida analisi del capitalismo militarizzato degli Usa e vede una
via d'uscita in una democrazia sul posto di lavoro, che tolga potere ai
manager e lo restitusca al controllo dei lavoratori.
Dalle teorie alle pratiche: una sintesi e' in Susan George, Un altro mondo
e' possibile se... (Feltrinelli, 2003, pp. 220, 13 euro). Un riepilogo
(illustrato) e' in nel Piccolo dizionario critico della globalizzazione di
Ignacio Ramonet, Ramon Chao e Jacek Wozniak (Sperling & Kupfer, 2004, pp.
432, 16 euro). La storia della ricerca di un'altraeconomia in Italia dal
1848 a oggi e' in Giulio Marcon, Le utopie del ben fare. Percorsi della
solidarieta': dal mutualismo al terzo settore ai movimenti, (L'ancora del
Mediterraneo, 2004, pp. 330, euro 20). Impossibile non ricordare, poi, il
mensile "Altreconomia. L'informazione per agire" (www.altreconomia.it) che
da anni racconta le pratiche concrete del cambiamento. La rivista e molti
libri si possono trovare ormai anche nelle botteghe del commercio equo di
tutta Italia.

12. LETTURE. BRUNETTO SALVARANI: EDUCARE AL PLURALISMO RELIGIOSO
Brunetto Salvarani, Educare al pluralismo religioso. Bradford chiama Italia,
Emi, Bologna 2006, pp. 224, euro 12. Nella vastissima produzione
pubblicistica di Brunetto Salvarani sui temi del dialogo ecumenico ed
interreligioso e dell'educazione volta al riconoscimento e all'incontro tra
le culture, i popoli, le persone, questo suo recente libro svolge e
argomenta con la consueta ampiezza e profondita' di sguardo alcuni
convincimenti di fondo, documenta decisive esperienze sia consolidate sia in
fieri, propone pratiche buone e necessarie. Con una simpatetica
presentazione di Flavio Pajer. Per una volta ci sia consentito rilevare come
anche la dedica che il volume apre abbia una propria portata ermeneutica e
contribuisca a chiarire alcuni riferimenti concreti e aggettanti: essa
recita "A Bruno Hussar, Domenico Milani e Raimon Panikkar, uomini sul
confine e grandi educatori al pluralismo religioso", ed in poche parole
definisce e propone piu' che una plurale ed aperta lezione, una espansiva e
respirante rete di amicizie, nitida una sequela.

13. RIEDIZIONI. PAOLO SARPI: OPERE
Paolo Sarpi: Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano 2006, pp.
XXIV + 562, euro 12,90 (in suppl. a "Il sole 24 ore"). Dalla classica
Letteratura Italiana Ricciardi una selezione rappresentativa della
produzione di Sarpi, dai Pensieri ai Consulti, dall'epistolario alla
Relazione dello stato della religione (saggio di traduzione e annotazioni),
alla Istoria del concilio tridentino (di cui si offrono alcune centinaia di
pagine) per le cure di Gaetano e Luisa Cozzi. L'opera pubblicistica e
storiografica di Sarpi non e' solo la testimonianza di un uomo coraggioso e
di uno studioso e militante di straordinaria acutezza, ma anche un esempio
di stile nitido e rigoroso, ed il suo capolavoro, l'Istoria del concilio
tridentino, e' uno degli autentici capolavori della letteratura italiana.
Purtroppo chi ha curato questa comunque meritoria recente riproposta
antologica non ha tenuto adeguatamente conto della particolare disposizione
della fondamentale introduzione di Gaetano Cozzi, distribuita tra gli
excerpta delle opere in quanto organizzata per fasi della vita e dell'azione
di Sarpi in guisa di piu' "note introduttive" (ciascuna ad una o a un gruppo
di opere, di quel periodo rappresentative) che tuttavia svolgono un unico
discorso continuato, cosicche' sfortunatamente mancano in questa nuova
edizione alcune parti di quel fondamentale studio. I lettori esigenti (ed
ogni lettore deve essere esigente se lettore vuol essere) potranno o andare
all'edizione originale (che nelle buone biblioteche pubbliche non dovrebbe
mancare), o almeno recuperare l'intero saggio ad un tempo biografico ed
interpretativo nella non molto lontana riedizione einaudiana di alcune parti
del testo ricciardiano, e particolarmente rifarsi a Paolo Sarpi, Pensieri,
Einaudi, Torino 1976, ove tutte le note introduttive di Gaetano Cozzi sono
riportate in sequenza a ricomporre un unico saggio alle pp. XI-CXXXIII, con
bibliografia alle pp. CXXXV-CXXXIX.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1413 del 9 settembre 2006

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