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La nonviolenza e' in cammino. 1414
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1414
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 10 Sep 2006 00:19:17 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1414 del 10 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Luciano Bonfrate: Aquile 2. Per una definizione critica e pluridimensionale della nonviolenza 3. Murray Bookchin: Municipalismo libertario perche' (1999) 4. Mario Pianta presenta "Comunita' partecipate" a cura di Erika Lombardi e Grazia Naletto 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. CONTRORIME. LUCIANO BONFRATE: AQUILE "Or tu chi se' che vuo' sedere a scranna, per giudicar di lungi mille miglia con la veduta corta d'una spanna?" (Paradiso, XIX, 79-81) Sento alla radio che la Nato dice di avere in questa sola settimana soppresso trecentocinquanta afgani che essendo stati uccisi per cio' stesso son stati dichiarati talebani. Ancora una grande vittoria. Esultera' il ministro. 2. MATERIALI. PER UNA DEFINIZIONE CRITICA E PLURIDIMENSIONALE DELLA NONVIOLENZA [Da un piu' ampio testo gia' piu' volte riprodotto su questo foglio riprendiamo e riproponiamo ancora una volta il seguente paragrafo] I. Il termine "nonviolenza", distinto dalla locuzione "non violenza" La parola "nonviolenza" e' stata coniata dal filosofo ed educatore italiano Aldo Capitini (1899-1968) e traduce i due termini creati da Mohandas Gandhi (1869-1948) per definire la sua proposta teorico-pratica: "ahimsa" e "satyagraha". La parola "nonviolenza" designa un concetto del tutto distinto dalla semplice locuzione "non violenza" o "non-violenza"; la locuzione "non violenza" infatti indica la mera astensione dalla violenza (ed in quanto tale puo' comprendere anche la passivita', la fuga, la rassegnazione, la vilta', l'indifferenza, la complicita', l'omissione di soccorso); il concetto di "nonviolenza" afferma invece l'opposizione alla violenza come impegno attivo e affermazione di responsabilita'. Infatti i due termini usati da Gandhi, che il termine capitiniano di "nonviolenza" unifica e traduce, hanno un campo semantico ampio ma molto forte e ben caratterizzato: "ahimsa" significa "contrario della violenza", "negazione assoluta della violenza", quindi "opposizione alla violenza fino alla radice di essa"; "satyagraha" significa "adesione al vero, contatto con il bene, forza della verita', vicinanza all'essere, coesione essenziale". * II. La nonviolenza non e' un'ideologia La "nonviolenza" quindi e' un concetto che indica la scelta e l'mpegno di un intervento attivo contro la violenza, la sopraffazione, l'ingiustizia (non solo quella dispiegata e flagrante, ma anche quella cristallizzata e camuffata, quella acuta e quella cronica, quella immediata e quella strutturale). La nonviolenza non e' un'ideologia ne' una fede: ci si puo' accostare alla nonviolenza a partire da diverse ideologie e da diverse fedi religiose e naturalmente mantenendo quei convincimenti. Ad esempio nel corso dello scorso secolo vi sono stati uomini e donne che si sono accostati alla nonviolenza aderendo a fedi diverse: induista, cristiana, buddhista, islamica, ebraica, altre ancora, o anche non aderendo ad alcuna fede. Ugualmente vi sono stati uomini e donne che si sono accostati alla nonviolenza aderendo a ideologie diverse: liberali, socialiste (nelle varie articolazioni di questo concetto teorico e movimento storico), patriottiche, internazionaliste, democratiche in senso lato. * III. La nonviolenza e' una teoria-prassi sperimentale e aperta La nonviolenza infatti e' una teoria-prassi, ovvero un insieme di riflessioni ed esperienze, creativa, sperimentale, aperta. Non dogmatica, non autoritaria, ma che invita alla responsabilita' personale nel riflettere e nell'agire. * IV. La nonviolenza e' un concetto pluridimensionale Molti equivoci intorno alla nonviolenza nascono dal fatto che essa e' un concetto a molte dimensioni, cosicche' talvolta chi si appropria di una sola di queste dimensioni qualifica la sua collocazione e il suo agire come "nonviolenti", in realta' commettendo un errore e una mistificazione, poiche' si da' nonviolenza solo nella compresenza delle varie sue dimensioni (ovviamente, e' comunque positivo che soggetti diversi conoscano e accolgano anche soltanto alcuni aspetti della nonviolenza, ma questo non li autorizza a dichiarare di praticare la nonviolenza). Proviamo a indicare alcune delle dimensioni fondamentali della nonviolenza: - la nonviolenza e' un insieme di ragionamenti e valori morali; - la nonviolenza e' un insieme di tecniche comunicative, relazionali, deliberative, organizzative e di azione; - la nonviolenza e' un insieme di strategie di intervento sociale e di gestione dei conflitti; - la nonviolenza e' un progetto sociale di convivenza affermatrice della dignita' di tutti gli esseri umani; - la nonviolenza e' un insieme di analisi e proposte logiche, psicologiche, sociologiche, economiche, politiche ed antropologiche. Come si vede, lo studio della nonviolenza implica la coscienza della pluridimensionalita' di essa, delle sue articolazioni, delle sue implicazioni. Ed anche del fatto che essa implica saldezza sui principi ed insieme un atteggamento ricettivo, critico, sperimentale, aperto; che non ha soluzioni preconfezionate ma richiede ogni volta nella situazione concreta un riflettere e un agire contestuale, critico e creativo. 3. MAESTRI E COMPAGNI. MURRAY BOOKCHIN: MUNICIPALISMO LIBERTARIO PERCHE' (1999) [Da "A. rivista anarchica", anno 29, n.258, novembre 1999 (disponibile anche nel sito www.arivista.org) riprendiamo (nella traduzione di Guido Lagomarsino) il seguente intervento di Murray Bookchin tenuto a una conferenza internazionale sul tema "La politica dell'ecologia sociale: il municipalismo libertario" svoltasi a Plainfield, nel Vermont, dal 26 al 29 agosto 1999, a cui erano presenti partecipanti provenienti dall'Australia, Canada, Giappone, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia, Stati Uniti e Uruguay. Naturalmente le tesi di Bookchin sono proposte di riflessione su cui si puo' e si deve discutere, le riproponiamo nel nostro foglio non solo come ricordo e omaggio a un intellettuale e militante acuto e valoroso, ma anche e soprattutto come materiale per approfondire la comune riflessione anche da prospettive radicalmente diverse e su specifici punti - o anche nell'impianto complessivo e nella tradizione di riferimento - fin confliggenti; come e' noto noi pensiamo che la nonviolenza debba confrontarsi criticamente con molte diverse tradizioni che recano comunque preziosi contributi critici e/o propositivi; e se certi giudizi sembraranno forzati o ingenerosi, o finanche in toto non condivisibili, ebbene, chi legge sapra' ad un tempo ascoltare, criticare, discernere, valutare (p. s.). Murray Bookchin, pensatore e militante libertario americano, e' stato tra i principali punti di riferimento della "ecologia sociale"; nato a New York nel 1921, figlio di emigrati russi (la nonna materna era una rivoluzionaria populista), ha fatto l'operaio metalmeccanico, il sindacalista, lo scrittore, il docente universitario; e' deceduto sul finire di luglio 2006. Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 agosto 2006 riprendiamo il seguente necrologio scritto dall'assessore del Comune di Venezia Beppe Caccia: "La traiettoria biografica di Murray Bookchin - che, nato nel Bronx nel 1921 da una coppia di immigrati russi rivoluzionari (la madre attivista wobbly), si e' spento il 30 luglio scorso a Burlington nel Vermont - ha attraversato l'intero Novecento, ma i suoi prolifici (oltre una ventina i titoli, centinaia gli articoli pubblicati) e generosi contributi teorici hanno cercato di accompagnare le piu' diverse correnti del pensiero radicale del diciannovesimo e ventesimo secolo dritte nel ventunesimo. L'intera sua opera puo' essere definita, con le parole utilizzate dallo stesso Bookchin, come una sorta di Aufhebung militante, di progressiva 'assunzione, sussunzione e superamento' dei contenuti del marxismo come dell'anarchismo, della scuola di Francoforte come dell'antropologia culturale, dell'urbanesimo utopistico di Lewis Mumford come dell'etica della responsabilita' di Hans Jonas. Uno sforzo che a taluni e' apparso come un patchwork un po' naif, ma sempre compiuto nel segno dell'anticipazione, talvolta profetica, e del desiderio collettivo di liberta'. Questo operaio autodidatta, tra i protagonisti del grande sciopero della General Motors del 1946, pubblica nel 1952, sotto lo pseudonimo di Lewis Herber per sfuggire alla caccia alle streghe maccartista, un articolo dal titolo 'The Problems of Chemicals in Food'; e dodici anni piu' tardi il libro dedicato ad Our Synthetic Environment, che precede di sei mesi il ben piu' noto Primavera silenziosa di Rachel Carson: scrive profeticamente nel 1964 degli effetti della chimica di sintesi sulla salute umana, grazie all'ingresso dei pesticidi nella catena alimentare, della diffusione del cancro come malattia tipica di quel 'cancro sociale' rappresentato dal capitalismo e perfino dell'obesita' come disturbo caratteristico di un'affluent society. Espulso giovanissimo dalle fila del Partito comunista, dai primi anni Cinquanta si orienta verso un socialismo libertario. Negli anni Sessanta, rivolto alle dinamiche gruppettare che stavano affermandosi nella nuova sinistra americana, pubblica Listen Marxist!, dove sostiene un 'anarchismo della post scarsita''. 'Il problema - scrive - non e' quello di abbandonare il marxismo o di cancellarlo... in uno stadio piu' avanzato di sviluppo del capitale rispetto a quello con cui Marx aveva a che fare un secolo fa, in una fase piu' avanzata di sviluppo tecnologico rispetto a quanto lo stesso Marx potesse aver previsto, e' necessaria una nuova critica, che porti a nuove forme di lotta, di organizzazione, di propaganda, di stili di vita'. Arrivato con questo informalissimo curriculum all'insegnamento universitario, nel 1971 Bookchin fonda con altri l''Istituto per l'Ecologia Sociale' a Plainfield, Vermont, che continua ad essere un importante punto di riferimento internazionale per le sue ricerche nel campo della teoria sociale, dell'eco-filosofia e delle tecnologie alternative. E' a questo punto del suo percorso che Bookchin si definisce, mettendo in guardia verso i rischi che comporta qualsiasi gabbia ideologica, 'un ecologista sociale e un municipalista libertario'. Nel 1982 pubblica quella che puo' a ragione essere ritenuta la prima sintesi del suo impegno teorico e militante, Ecologia della liberta' (tradotto in Italia, insieme a Per una societa' ecologica e Democrazia diretta, da Eleuthera): 'il dominio dell'uomo sulla natura e' originariamente causato dal dominio reale dell'uomo sull'uomo. La soluzione a lungo termine della crisi ecologica dipendera' da una trasformazione fondamentale di come organizziamo la societa', una nuova politica basata sulla democrazia face-to-face, su assemblee di vicinato e sulla dissoluzione delle gerarchie'. Tra i promotori del Green Left Network, ma anche critico acuto e feroce del suo programma, tiene particolarmente alla distinzione politica tra l''ecologia sociale', finalizzata alla radicale trasformazione dei rapporti sociali, e l''ambientalismo' come tentativo di intervenire sugli impatti piu' devastanti dell'economia capitalistica: 'Parlare di "limiti dello sviluppo" nel mercato capitalistico - scriveva nel 1990 in 'Remaking society' rivolto soprattutto agli analisti del Club di Roma e ad autori come Lester Brown o Rifkin - e' privo di significato; e' come parlare di porre limiti alla guerra in una societa' guerriera. La compassione morale a cui danno voce oggi molti ambientalisti benpensanti e' cosi' naif come la compassione morale delle multinazionali e' manipolativa. Il capitalismo non puo' essere piu' "convinto" a porre dei limiti al proprio sviluppo di quanto un essere umano possa essere "convinto" a smettere di respirare'. Allo stesso tempo conduce una battaglia durissima contro i sostenitori della deep ecology, denunciandone gli aspetti piu' spiritualisti e reazionari. Ma e' infine la sua proposta 'comunalista', nel tentativo di 'andare oltre le tendenze del secolo passato', a restare il contributo di maggiore originalita' per i movimenti del XXI secolo. Una proposta articolata con grande chiarezza in From Urbanization to Cities (1987), in grado, a vent'anni di distanza, di continuare a far pulizia di tanta retorica debole della 'partecipazione' e di altrettanto furbesco ambientalismo, 'eco-compatibile' soprattutto con le contemporanee forme del dominio. 'L'immediato obiettivo dell'agenda del municipalismo libertario e' quello di riaprire la sfera pubblica in opposizione ad ogni statalismo, di permettere il massimo di democrazia nel senso letterale del termine, di creare istituti che in forma embrionale possano dare potenza alla gente'; 'Non vi puo' essere politica senza comunita'. E per comunita' intendo una libera associazione di cittadini su base municipale, rinforzata nella propria autonoma capacita' economica dai propri organismi di base e il sostegno confederativo di altre comunita', organizzate in reti territoriali'. Una radicalita' ricca d'innovazione, che spiega forse l'incontro mancato con Bookchin di tanta parte della discussione italiana ed europea". Tra le opere di Murray Bookchin: I limiti della citta', Feltrinelli, Milano 1975; Post-scarcity anarchism, La Salamandra, Milano 1979; L'ecologia della liberta', Eleuthera, Milano 1988 (terza edizione); Per una societa' ecologica, Eleuthera, Milano 1989; Filosofia dell'ecologia sociale, Ila Palma, Palermo 1993; Democrazia diretta, Eleuthera, Milano 1993. Alcuni saggi di Murray Bookchin abbiamo riproposto ne "La domenica della nonviolenza" nn. 87 e 88 e ne "La nonviolenza e' in cammino" n. 1401] Cari amici, la mia eta', i malanni cronici e la calura estiva mi costringono a non muovermi di casa; per questo mi dispiace molto di non poter essere presente alla vostra conferenza sul municipalismo libertario. Vorrei, pero', grazie a Janet Biehl, che ha accondisceso a leggervi queste mie parole, darvi il benvenuto nel Vermont e farvi i miei auguri per le discussioni che avranno luogo nei prossimi tre giorni. Se qualcuno di voi vorra' venirmi a trovare, alla fine dei lavori, a Burlington, che oggi e' bene o male il mio rifugio sicuro, sara' felicissimo di riceverlo. Non fatevi scrupoli a chiamarmi e magari sara' possibile riuscire a vederci durante o dopo questo incontro. Intanto, in questo messaggio, vorrei toccare alcune delle questioni sollevate in proposito nelle precedenti discussioni sul municipalismo libertario, esponendo le mie opinioni a riguardo. Forse la cosa piu' importante e' la distinzione che andrebbe fatta tra comunitarismo e municipalismo libertario, una distinzione che spesso va smarrita quando si discute della politica del municipalismo libertario. Con il termine comunitarismo io intendo riferirmi a quei movimenti e a quelle ideologie che aspirano a trasformare la societa' creando cosiddette alternative nel campo economico e dell'esistenza personale, come le cooperative alimentari, le scuole, le tipografie, i centri comunitari, le aziende agricole di quartiere, gli squats e cosi' via elencando. Tra gli esponenti del comunitarismo, che si ispirano alle opere di Proudhon, ci sono state personalita' come Martin Buber, Harry Boyte, Colin Ward, per fare qualche nome. Che sia o no esplicitamente teorizzato, il comunitarismo mira a distaccare lentamente lo sviluppo dell'umanita' dalla logica delle imprese private (banche, grandi aziende, supermercati, fabbriche e sistemi industriali in agricoltura) e avvicinarlo allo stile di vita che promuovono, con imprese pubbliche e valori collettivi. La parola "comunitario" spesso e' sostituibile col termine "cooperativo", una forma di produzione e di scambio che risulta attraente non solo perche' richiama un senso d'amicizia e di collettivo, ma anche perche' e' sotto il "controllo operaio" o la "gestione operaia". Il comunitarismo non cerca di creare un centro di potere che serva ad abbattere un giorno il capitalismo, ma cerca di metterglisi in concorrenza, di svalutarlo, di sopravvivergli, di fungere da barriera morale all'avidita' e alla malvagita' che agli occhi di tanta gente rende cosi' riprovevole l'economia borghese. Non si tratta, per dirla in breve, di una politica, ma di una pratica, spesso limitata a gruppi di piccole dimensioni che fanno la "scelta" di acquistare o di lavorare in un'azienda cooperativa. Quando indico in Proudhon uno dei padri del comunitarismo, anche se non e' esattissimo, faccio risalire la nascita di questa ideologia e di questa pratica a circa centocinquanta anni fa, a un'epoca in cui la maggior parte della produzione di oggetti era affidata agli artigiani e quella agricola e alimentare a piccoli contadini. Da allora sono nate tante cooperative, animate dalle piu' ambiziose speranze e destinate in genere a fallire, a vivacchiare o a trasformarsi in imprese orientate al profitto. Per riuscire a sopravvivere sul mercato capitalista, sono state regolarmente costrette ad adattarvisi o sono state semplicemente annientate dalla concorrenza di aziende animate da uno spirito di rapina e, nei fatti, piu' efficienti, ma tutte orientate al profitto. * Un progetto antistatale Anche dove le cooperative riescono a difendersi dalla concorrenza capitalista, tendono a chiudersi in se stesse, a concentrarsi sui propri problemi e interessi e, nella misura in cui sono in rapporto tra loro, a puntare tutto sulla propria sopravvivenza o la propria espansione. Soprattutto, capita molto raramente, se mai succede, che diventino centri di potere popolare. Questo in parte perche' le questioni attinenti ai pubblici poteri in quanto tali non le toccano e in parte perche' non hanno gli strumenti per mobilitare la gente su temi che le coinvolga, a proposito del chi dovrebbe governare la societa' e del come dovrebbe governarla. Sostenendosi con le idee che esprimono in campo sociale (e, con l'andar del tempo, anche come idee socialmente valide queste sono defunte) sperano di riuscire a superare a poco a poco il capitalismo senza doversi confrontare con le imprese capitaliste e con lo Stato capitalista. Cosi', col tempo, tendono a chiudersi in se stesse, ad essere settarie e limitate, a riunire in se' non collettivisti ma capitalisti collettivi e, in ultima analisi, a essere piu' capitaliste che socialiste nella pratica e negli interessi. Il municipalismo libertario, invece, e' decisamente un'espressione politica antistatale che vuole la democrazia, il rapporto diretto, faccia a faccia, il dialogo, il confronto. e' soprattutto attento alle questioni fondamentali del potere. Pone questi interrogativi: dove dovra' sussistere il potere? Quale parte della societa' dovra' esercitarlo? Quali istituzioni sono necessarie per rendere possibile ed efficace un esercizio del potere non statale? Se e' vero che vivere/lavorare in una cooperativa puo' essere una cosa buona per instillare nelle persone valori, interessi, relazioni di stampo collettivista, le cooperative non offrono i mezzi istituzionali per l'acquisizione del potere. Consentitemi di sottolineare questo termine, "istituzioni", perche' mi viene in mente uno slogan degli anarchici spagnoli che diceva: "Guerra alle istituzioni, non al popolo". Io ritengo che uno slogan del genere crei confusione e disorientamento, perche' lascia intendere che le persone politically correct siano individui "autonomi", liberi da ogni obbligo istituzionale, mentre le istituzioni in quanto tali sarebbero una sorta di gabbie che impediscono all'individuo di scoprire il proprio "io autentico" e di realizzarsi. No: e' un grosso errore. Gli animali, senza dubbio, possono vivere senza istituzioni (spesso perche' il loro comportamento e' geneticamente condizionato), ma gli esseri umani ne hanno bisogno per modellare in modo creativo le strutture sociali, basate non tanto su una supposta genetica o su certe usanze, ma soprattutto su "forme di liberta'" (come le definivo gia' negli anni Sessanta) razionalmente costituite che servono a organizzare ed esprimere il potere in forma tanto collettiva quanto personale. Percio', se oggi dovessi riscrivere in forma piu' estesa il mio articolo "The Forms of Freedom", vi aggiungerei che sono necessarie costituzioni e leggi formulate per mezzo di assemblee di democrazia diretta e aperte al dialogo. In effetti, per molto tempo sono stati gli oppressi a richiedere e a pretendere costituzioni e leggi, quali strumenti di controllo, anzi di eliminazione del potere arbitrario esercitato da re, tiranni, nobili e dittatori. Ignorare questo fatto storico e regredire a un "istinto di solidarieta'", a un "istinto rivoluzionario", a un "istinto di condivisione", significa abbandonare un auspicabilissimo mondo civile per ritirarsi nel mondo della bestialita', optare per una zoologia sociale che non ha senso applicare all'umanita' intesa come specie dalle capacita' d'innovazione che crea e ricrea se stessa come crea e ricrea il mondo. A differenza del comunitarismo, il municipalismo libertario si preoccupa del potere: non semplicemente del potere di autocontrollo che si puo' acquisire partecipando a una riunione ispiratrice, ma il potere concreto che si esprime in forme organizzate di liberta', concepite in modo razionale e costituite con modalita' democratiche. Se da un lato posso ben comprendere il rifiuto di Proudhon, nella sua qualita' di deputato alla Camera francese, di votare una bozza di costituzione (che era orientata verso la tutela della proprieta' e la costruzione di uno Stato), respingo completamente le ragioni che adduceva per questa scelta. "No!", aveva dichiarato, "Io non voto contro la costituzione perche' e' una costituzione piu' o meno cattiva, ma perche' e' una costituzione". Un comportamento cosi' fatuo lo faceva regredire, intellettualmente come politicamente, nel mondo del potere arbitrario contro il quale, nell'VIII secolo a. C. si schieravano i contadini greci oppressi; come faceva Esiodo, che denunciava i "baroni", come li definiva, che non facevano che asservire e sfruttare gli agricoltori ellenici, e rivendicava una societa' basata sulla legge, non sull'arbitrio degli uomini. Il municipalismo libertario vuole raggiungere il potere, non vuole semplicemente sfruttare la rivendicazione del potere a scopi di propaganda e di spettacolo, e non respinge l'uso del potere, ma vuole darlo in mano alla gente nelle assemblee popolari. E non ci serve molto che ci vengano a dire che per arrivare a una comunita' basata sui principi del municipalismo libertario bisogna prima prepararle il terreno, cementandola con uno stile di vita basato sulla reciprocita' come quello offerto dalle attivita' cooperative. Fin troppo spesso le cooperative sono diventate fini a se stesse e, quando ce l'hanno fatta, hanno privilegiato gli scopi che rispondevano alle proprie logiche interne, opposte alle comunita' per le quali volevano rappresentare un riferimento. Ne ho viste tante, di cooperative alimentari che non solo chiudevano gli occhi davanti alle altre dello stesso tipo, entrando addirittura in concorrenza con loro, ma che abdicavano a tutte le loro supposte attivita' "educative", togliendo a tutti i propri associati ogni potere e trasformandoli in semplici clienti. Costrette dal capitalismo ad adottare i metodi dell'organizzazione capitalistica, assumono manager e specialisti del business di un genere o di un altro, col risultato che, invece di educare i propri associati, esse rivestono il capitalismo con i panni eleganti delle istituzioni virtuose. * Educazione e formazione Il municipalismo libertario si impegna in ogni modo per non affondare nella palude comunitaria, perdendo la propria identita' per dedicarsi alla costruzione, al mantenimento e all'espansione di cooperative, indipendentemente dal fatto che questa sia o no una cosa buona. Il municipalismo libertario e' il tentativo di recuperare e superare la definizione aristotelica dell'uomo quale "zoon politikon", animale politico. "L'uomo" o quanto meno, l'uomo greco, nella politica di Aristotele, e' chi vive nella "polis", cioe' in un municipio e non, come spesso si ritiene erroneamente, una citta'-stato. E' questo uno dei "teloi", dei fini dell'uomo, una forma che si attua in quanto essere umano. Per esprimersi in termini religiosi, egli e' destinato a essere l'abitante della polis, della citta', nella misura in cui realizza la propria umanita'. I suoi "teloi", che comprendono un sistema di leggi (di diritti come di doveri) razionalmente e democraticamente costituito, includono anche la sua facolta' di essere cittadino, vale a dire un essere umano preparato, con una formazione o "paideia" che dura tutta la vita, in modo da possedere tutte le competenze che servono per assumersi tutti gli impegni di autogoverno. Deve essere capace, intellettualmente come fisicamente, di surrogare tutte le funzioni sociopolitiche assunte dallo Stato, in particolare quelle dell'apparato fatto di militari, polizia, burocrati, rappresentanti legislativi e cosi' via. Lo Stato non e' liquidato solo istituzionalmente, ma anche soggettivamente, rendendo la gestione della societa' una faccenda rigorosamente umana. Lo Stato, in sostanza, e' sostituito da cittadini liberi e istruiti che, all'interno di assemblee popolari, ne eliminano la pretesa di avere la competenza esclusiva su di loro, giustificando la propria esistenza di Stato col fatto che i cittadini che lo costituiscono sarebbero bambini ignoranti che hanno bisogno di un "padre" capace di gestire le loro faccende. Vorrei aggiungere che la paideia richiede un'educazione e una formazione rigorose, anzi la costruzione di un carattere e di un integrita' etica, se si deve giustificare la competenza del cittadino (la sua capacita' di sostituire lo Stato). E' cosi' non solo eliminando lo Stato, ma anche eliminando la gerarchia. Un'educazione e una formazione rigorose implicano a loro volta non fatui tentativi di "espressione dell'io", spesso di un io appena sbozzato e non ancora formato, ma un processo di apprendimento sistematico, programmato con cura, bene organizzato. L'umanita' non puo' produrre cittadini se l'educazione e la formazione che essa assicura ai giovani avviene attraverso gruppi d'incontro che si presumono "spontanei", in cui lo studente e' chiamato ad accettare qualsiasi cosa gli venga somministrata. Proprio questa attenzione alla paideia rende la Repubblica di Platone un'opera cosi' grande nonostante i suoi tanti difetti: in realta', molti dei testi migliori dalla filosofia greca racchiudono idee su come educare i giovani per farne dei cittadini capaci non solo di riflettere in modo sistematico, ma anche di usare le armi per difendersi e per difendere la democrazia. La democrazia ateniese, vorrei aggiungere, fu raggiunta quando la cavalleria aristocratica fu sostituita dagli opliti, i soldati di fanteria, la milizia civile del V secolo a. C., che assicuro' la supremazia del popolo al posto di quella della nobilta'. * La questione del potere Cosi', il municipalismo libertario non esclude il potere, un potere concreto, non semplicemente quella forma alla moda di "potere di autocontrollo", che sovente altro non e' che uno stato di esaltazione emotiva piu' o meno simile a quello che danno certe droghe. Si tratta di una ripresa e un'estensione della tesi aristotelica secondo la quale gli essere umani sono costituiti per vivere come "animali politici". E' una comunita' strutturata, che possiede una sua costituzione e una sua legislazione, fondate su basi razionali e democratiche. E' formazione degli individui, membri a pieno titolo del municipio, foggiati eticamente e intellettualmente attraverso un processo di costruzione del carattere che definiamo paideia. Sono il municipio e la confederazione di municipi che, grazie alle competenze, al potere di autodifesa, alle istituzioni democratiche e al metodo che affronta problemi e questioni con il dialogo, non solo e' in grado di sostituire lo Stato, ma anche di svolgere le funzioni socialmente necessarie di cui lo Stato si e' appropriato a spese del potere popolare, con la scusa che i suoi componenti sarebbero ragazzini incapaci. E' questo il regno della politica, il suo universo reale, che rischia di essere completamente cancellato da una societa' che sempre piu' assomiglia a una Disneyland e che ci spinge a dar vita a un movimento per riappropriarcene e svilupparlo. Se si lascia che questo regno della politica sia soffocato all'interno di istituzioni e di attivita' comunitarie, si perde del tutto di vista la necessita' di ripristinarlo, anzi si svolge un ruolo bambinesco, se non reazionario, di disgregazione. Lo Stato si giustifica non solo per l'indifferenza dei suoi componenti rispetto alle faccende pubbliche, ma anche, e soprattutto, per la loro incapacita' di gestire queste faccende. Chiunque si faccia complice di questa apologia ideologica dello statalismo, negando l'esigenza di un regno della politica o confondendolo superficialmente con la creazione di cooperative, di istituzioni, di gruppi d'incontro, di feste di strada, di dimostrazioni, di scontri tra i giovani e "l'autorita'", nei panni di patetici e normali lavoratori con addosso le uniformi di polizia, si fa anche complice di quelle tesi ideologiche secondo le quali la formazione di assemblee pubbliche dotate di pieni poteri sarebbe una forma di "statismo" e la "liberta'" sarebbe raggiungibile semplicemente tirando un mattone a un poliziotto o creando una "zona temporaneamente autonoma". Non voglio certo ignorare i giganteschi problemi che comporta questo insieme di concetti. E' importantissimo il tipo di movimento (anzi di "avanguardia", un termine abusato, che la nuova sinistra ha guastato associandolo ai bolscevichi) che va creato, che deve svolgere un ruolo educativo e, ebbene si', di leadership, indispensabile per generare le trasformazioni richieste dal municipalismo libertario. Consentitemi, intanto, di dissociarmi da I. S. Bleihkman, il massimo esponente dei comunisti anarchici di Pietrogrado che, quando i marinai di Kronstadt, insieme alla guarnigione di Pietrogrado e agli operai piu' coscienti decisero di "uscire allo scoperto" con le armi in pugno, nel luglio del 1917, per costituire un governo sovietico, rispondeva all'appello a organizzarsi con la stupida parola d'ordine: "Saranno le strade a organizzarvi!". Le strade, manco a dirlo, non organizzarono un bel niente e nessuno e, mancando una vera leadership, l'insurrezione falli' nel giro di pochi giorni. * Fasi distinte Riesaminando una gran mole di materiali relativi alle rivoluzioni del passato, il problema principale che ho incontrato e' stato appunto quello del tipo di organizzazione che potrebbe fare la differenza, tra la sopravvivenza e la morte, in un sollevamento rivoluzionario. Mi si e' fatta sempre piu' chiara in testa l'esigenza di creare un'organizzazione capace di operare positivamente e di prendere iniziative (un'avanguardia), che sia impegnata nella propria rigorosa paideia, che sappia formare proprie istituzioni, basate su una costituzione razionale, che s'impegni a cooptare cittadini istruiti e motivati, che abbia una propria struttura e propri programmi. Questa organizzazione potrebbe essere benissimo considerata una sorta di polis in via di formazione, capace di tutelare i principi di fondo del municipalismo libertario, evitando che siano assorbiti da qualcuno (destino abituale delle buone idee oggigiorno), che sappia alimentarli, farli crescere e applicarli in situazioni complesse e difficili. Se non si hanno principi solidi e chiari, si e' semplicemente senza principi: si svolazza nell'etere delle opinioni vaghe, senza autentiche idee, con concetti improvvisati e non con concezioni profonde, si fanno castelli in aria e non teorie solide con solide fondamenta. E' vero che i principi si possono cambiare, ma la tesi secondo la quale i principi devono restare nel vago e' lo specchio dell'attuale mentalita' postmoderna, priva di spina dorsale, che vede tutto relativo, che ritiene che non ci sia nulla di fondamentale, che ritiene che idee prive di forma, come amebe, meritino una seria attenzione, che pensa che ogni struttura sia autoritaria se non totalitaria e che i sentimenti siano piu' importanti di un pensiero profondo e sistematico. Senza un'organizzazione chiaramente definibile, si ricade nella tirannia del non strutturato, proprio come, nel caso del compromesso con il consenso, si maschera il fatto che una minoranza (sia essa di uno, di dieci o di venticinque su cento) costituisce un nuovo sistema autoritario al cui interno uno, dieci o venticinque stabiliscono una vera tirannia che puo' negare la scelta dei novantanove, novanta o settantacinque della maggioranza, con l'assurda affermazione che un quasi consenso bloccherebbe la "tirannia" della maggioranza. Ho proposto che si crei attraverso fasi distinte un movimento del municipalismo libertario, un movimento che, credo, in ragione delle idee avanzate, della sua preparazione e della sua esperienza abbia tutti i diritti di ritenersi di avanguardia. Certo, qualsiasi altra organizzazione puo' dichiararsi tale. Io non sostengo certo che un'organizzazione municipalista libertaria abbia il diritto di negare ad altre la facolta' di ritenersi avanguardie; saranno i fatti e le masse a decidere. Non voglio nemmeno negare ad altre organizzazioni che si dicono d'avanguardia il diritto di farlo, ne' tento di limitare loro questa possibilita'. Ma e' mia opinione che non si verifichera' mai un importante cambiamento della societa' senza un movimento di avanguardia bene organizzato, che prenda molto sul serio la propria struttura e che stabilisca regole precise di adesione... * L'ultima occasione Oggi il mondo sta cambiando a una velocita' davvero stupefacente. Ho affermato piu' volte che, se il capitalismo non distruggera' il pianeta, il mondo forse tra trent'anni, ma sicuramente entro cinquanta, subira' una trasformazione che va al di la' di ogni nostra fantasia. Il mondo contadino scomparira' del tutto, non solo: anche quella natura che noi definiamo "selvaggia" non ci sara' piu'. E' probabile che l'automazione dell'industria raggiunga livelli impensabili e che la superficie della terra subisca enormi trasformazioni. Non so, e non sapro' mai, se questi cambiamenti provocheranno una crisi ecologica o se saranno affrontati, sia pur in modo insufficiente, dalla scienza e dalla tecnica. Sono tanti gli interrogativi su come sara' il mondo di domani, e io non cerchero' di ragionarci troppo sopra, ora la mia vita sta volgendo al termine. Di una cosa, comunque, io sono convinto: se un movimento municipalista libertario non riuscira' a favorire la nascita di un sistema a democrazia diretta e confederale, si dovranno rivedere drasticamente tutti gli ideali libertari. Non raccontiamoci storie, vi chiedo, nella speranza di riuscire a realizzare una societa' autenticamente libertaria senza creare una sfera pubblica, partendo da una politica elettorale che coinvolga la base e che si fondi sulla costituzione di assemblee a democrazia diretta. E' questa, io credo, l'ultima occasione offerta al movimento libertario. Se non siete d'accordo, benissimo, ma in tal caso vi chiedo di usare un'etichetta diversa per le vostre idee: lasciate stare il nome di "municipalismo libertario" e seguite la vostra strada fiancheggiata da imprese comunitarie e cooperative, se non da monasteri taoisti e da dimore mistiche. Vorrei pregare i miei critici di non contaminare le idee che non apprezzano e nello stesso tempo affermano di sostenere. Grazie. 4. LIBRI. MARIO PIANTA PRESENTA "COMUNITA' PARTECIPATE" A CURA DI ERIKA LOMBARDI E GRAZIA NALETTO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 agosto 2006. Mario Pianta e' nato ad Asti nel 1956, economista, ricercatore del Cnr, docente universitario di politica economica, impegnato nel movimento per la pace, collalbora al quotidiano "Il manifesto"; tra le opere di Mario Pianta: Stati Uniti: il declino di un impero tecnologico, Edizioni Lavoro, Roma 1988; (a cura di), L'economia globale, Edizioni Lavoro, Roma 1989; (con Giulio Perani), L'industria militare in Italia, Edizioni Associate, Roma 1989; (a cura di), Jesse Jackson. La politica dell'arcobaleno, Datanews, Roma 1989; (con Alberto Castagnola), La riconversione dell'industria militare, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1990; (con altri), Tecnologia, crescita e occupazione, 1998; Globalizzazione dal basso, Manifestolibri, Roma 2001. Erika Lombardi e' consulente per la U. O. Autopromozione sociale del Comune di Roma per le politiche per lo sviluppo dell'altra economia, docente del master "Lavorare nel non profit" dell'Universita' di Urbino, responsabile della formazione per Lunaria, si occupa delle forme di lavoro nel terzo settore e di cooperazione. E' coautrice di Lavorare bene. Manuale sulle forme e l'organizzazione del lavoro nel terzo settore (Edizioni Lavoro, 1999); L'abc del terzo settore (Edizioni Lavoro, 2001); Lavorare nel terzo settore (Carocci, 2005); Comunita' partecipate (Manifestolibri, 2006). Grazia Naletto e' la coordinatrice di Lunaria per le attivita' di ricerca e informazione sulle migrazioni e per le attivita' di comunicazione dell'associazione. Ha fatto parte della redazione di "Onde lunghe" e di "Carta" e ha curato la rubrica "Eppur si muove" nel supplemento settimanale "Extra" del quotidiano "Il manifesto"; insegna nei corsi di Lunaria sul terzo settore e svolge attivita' di formazione sulla comunicazione per le organizzazioni non profit. E' coautrice di L'abc del terzo settore (Edizioni Lavoro, 2001); Atlante di un'altra economia (Manifestolibri, 2005); Lavorare nel terzo settore (Carocci, 2005); Comunita' partecipate (Manifestolibri, 2006)] Un altro mondo e' sicuramente possibile, ma non cosi' vicino. Ci sono pero' altri modi, concreti, a portata di citta' e di province. Il catalogo e' raccolto nel libro Comunita' partecipate. Guida alle buone pratiche locali, a cura di Erika Lombardi e Grazia Naletto (Manifestolibri, pp. 191, euro 18), che presenta cinquanta esperienze esemplari, risultato di una ricerca dell'associazione Lunaria, in collaborazione con la presidenza del Consiglio provinciale di Roma. Cinque sono i campi di attivita' documentati: democrazia e diritti, welfare e servizi, altraeconomia, ambiente, pace e solidarieta'. In tutti c'e' un intreccio importante tra richieste dei movimenti, pratiche della societa' civile e politiche realizzate dagli enti locali, a partire da valori condivisi e dalla ricerca comune di soluzioni concrete. La democrazia e la partecipazione sono i fondamenti su cui e' stato possibile far crescere questi percorsi, i meccanismi che li sostengono, i linguaggi che li animano. La ricerca di una democrazia piu' democratica, di una partecipazione piu' diretta, ad esempio, viene esaminata nel caso del bilancio partecipativo, una delle bandiere diffuse ovunque dal Forum sociale mondiale, che vede assemblee di cittadini dire la loro sulle priorita' delle politiche e delle spese degli enti locali. Poi c'e' l'elaborazione di programmi partecipati, in cui la societa' civile vincola le amministrazioni locali, ci sono le primarie per la selezione dei candidati alle elezioni locali e nazionali, ci sono le iniziative per riconoscere il diritto di voto e cittadinanza agli immigrati. In ciascuno di questi casi e' spiegata l'importanza dei principi in gioco, si descrivono i meccanismi istituzionali, si citano gli enti locali all'avanguardia nelle realizzazioni. I comuni di Grottammare (in provincia di Ascoli Piceno) e Pieve Emanuele (in provincia di Milano) sono tra quelli che hanno sperimentato piu' a fondo la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte di bilancio; la Regione Toscana ha regolato con una legge del 2004 le procedure per la realizzazione di primarie per le elezioni regionali, per la scelta delle candidature, a presidente e a consigliere regionale. Diversi comuni, come Genova, Ancona e Torino, si sono mossi per il diritto di voto agli immigrati per il consiglio comunale o di quartiere. * Politica locale, tradizionalmente, vuol dire soprattutto spesa pubblica per servizi, in cui la burocrazia spesso prevale sull'emergere di nuovi bisogni, di nuove marginalita', di modelli piu' efficaci di intervento sociale. Strade diverse si sono aperte in alcune regioni con una realizzazione innovativa ed equilibrata della legge sull'assistenza e i servizi sociali (328 del 2000), che da' spazio alla partecipazione del terzo settore nella definizione degli interventi, un passo verso un welfare municipale che resta pero' irrealizzato nella maggior parte delle regioni (e in tutto il sud). Una nuova attenzione agli effetti di genere delle politiche locali e alle disuguaglianze tra uomini e donne (gender auditing) ha portato il Comune di Modena a quantificare benefici e costi per le donne che derivano dalle scelte di spesa della citta'. Per le politiche per la casa rivolte ai piu' esclusi dal mercato, gli immigrati, bisogna guardare ad Arezzo, dove i fondi regionali sono stati usati per creare un'associazione (La casa) che coinvolge organizzazioni di immigrati, sociali e sindacali e offre informazioni, intermediazione e garanzia per gli immigrati senza casa. Sull'altraeconomia le esperienze sono piu' note, dal commercio equo alla finanza alternativa, dalle nuove assicurazioni etiche ai distretti solidali. Il ruolo delle citta' qui e' quello di recepire le spinte che hanno portato alla crescita di queste esperienze e farle uscire dalle loro piccole nicchie. Ad esempio acquistando i prodotti del commercio equo e dell'agricoltura biologica per le mense scolastiche, orientando i consumi dei cittadini, favorendo l'incontro sul proprio territorio di un'offerta innovativa e una domanda consapevole. Ma le novita' maggiori qui sono il grande successo delle feste e fiere dell'altraeconomia, l'attenzione alla scelta di sponsor etici per le iniziative degli enti locali, i gruppi di acquisto solidali, le politiche per le periferie. Molto vicine a queste sono le politiche per la sostenibilita' ambientale, con esperienze di acquisti verdi, risparmio energetico (anche con la certificazione energetica degli edifici), il riciclaggio su vasta scala, la mobilita' alternativa e car sharing, i prodotti a denominazione comunale di origine. Se nel welfare, nell'altraeconomia e nella sostenibilita' ambientale le esperienze documentate in Comunita' partecipate puntano a rinnovare alcune delle funzione centrali degli enti locali, come la destinazione dei bilanci e il governo del territorio, altre esperienze hanno alzato lo sguardo oltre i confini delle citta'. Il Coordinamento degli enti locali per la pace, che festeggia il prossimo ottobre i venti anni di attivita', con una grande conferenza in Umbria, coinvolge oggi 600 realta' ed e' al centro del successo delle marce Perugia-Assisi e della diffusione dell'educazione alla pace e ai diritti umani. Questa si pratica poi anche con scambi giovanili e campi di lavoro, con il riconoscimento dei diritti piu' scomodi, da quelli di chi lotta contro le mafie in Italia, a quelli di chi arriva in Italia da luoghi di conflitto a chiedere asilo. Ben noto e' l'impegno delle citta' nella cooperazione decentrata, collaborando con le citta' dei paesi meno sviluppati, un flusso di risorse stimate in 400 milioni di euro in questi anni, piu' concreto e meno corrotto dei finanziamenti dei governi. Inevitable il capitolo sull'acqua come bene comune, le campagne contro la privatizzazione, la ricerca di modelli di gestione alternativi. * Comunita' partecipate disegna un orizzonte larghissimo, con potenzialita' di crescita enormi, ma solleva al tempo stesso seri interrogativi. Come vanno pensati i rapporti tra societa' civile e politiche locali? Anche quando le distanze tra i due mondi si avvicinano, come in tutti questi casi, i rischi sono noti, e li ricorda Giulio Marcon nell'introduzione al volume. Quando i poteri locali sembrano ascoltare le voci di movimento, ci puo' essere in agguato una tattica di rinvio, la cooptazione istituzionale, uno scambio politico strumentale. E, sul versante della societa' civile, si puo' scivolare in critiche povere di alternative, in pratiche di pura testimonianza o, viceversa, in uno strisciante collateralismo verso i poteri locali. Quali sono allora i punti fermi per non confondere i ruoli? L'autonomia della societa' civile, con la sua continua capacita' di critica e di proposta, anche con le amministrazioni piu' disponibili, il mantenimento di profonde radici nei movimenti sociali, una competenza che si sottragga al fascino del potere. E che fare quando nascono opportunita' consistenti di sviluppo a partire da queste esperienze? Il dilemma qui e' tra l'affermazione di identita' sociali alternative (con il rischio della pura testimonianza) e la trasformazione in protagonisti delle iniziative economiche (con il rischio di "cambiare pelle"). Un caso di questo tipo lo troviamo alla Citta' dell'altraeconomia a Roma, in costruzione in una parte dell'antico Mattatoio a Testaccio. Dopo molti anni in cui le realta' dell'altraeconomia romana premevano sul Comune, dal 2003 si progetta uno spazio che possa ospitarle e dare loro visibilita'. Nel 2005 il Comune stanzia 5 milioni di euro per la ristrutturazione dell'ex Mattatoio e i servizi di lancio della struttura, che dovrebbe essere gestita da un consorzio tra le organizzazioni dell'altraeconomia. Ma qui iniziano i guai: le 35 organizzazioni coinvolte, troppo eterogenee, non si mettono d'accordo su statuto, finanziamenti e ruolo del consorzio. Dopo mesi di stallo, il Comune sceglie un'altra strada, piu' operativa, il modello dell'incubatore amministrato dal Comune che prende accordi con i singoli "inquilini" della Citta' dell'altraeconomia, lasciando aperta la porta a un consorzio possibile. Il distacco tra pratiche sociali e iniziative economiche resta una questione irrisolta all'interno stesso della societa' civile. * In libreria. Storie locali da manuale Con le esperienze locali, fioriscono i libri su queste pratiche (e sulle teorie che le sostengono). Il quadro piu' generale delle politiche locali si trova nel nuovo manuale scritto da Donatella della Porta, La politica locale. Potere, istituzioni e attori tra centro e periferia (Il Mulino, 17 euro). Sul fronte opposto, i meccanismi che muovono movimenti e societa' civile verso pratiche del cambiamento locale sono analizzati da Giulio Marcon in Come fare politica senza entrare in un partito (Feltrinelli, 2005, 10 euro). Sulla democrazia partecipativa un quadro dettagliato e' fornito da Percorsi condivisi. Contributi per un atlante delle pratiche partecipative in Italia, a cura di Giovanni Allegretti e Maria Elena Frascaroli (Alinea editrice, 2006, 25 euro), il caso di una quartiere di Rome e' presentato in M. Smeriglio, G. Peciola, L. Ummarino, Pillola rossa o pillola blu? pratiche di democrazia partecipativa nel Municipio Roma XI (Carta, 2005). Uno studio dei problemi di democrazia e partecipazione e' nel libro Comitati di cittadini e democrazia urbana, a cura di Donatella della Porta (Rubettino, 2004, 13,50 euro), che analizza le identita', le strutture organizzative, i nodi della rappresentanza, l'oscillazione tra conflitto e cooperazione. I rapporti possibili tra politiche locali e terzo settore sono esaminati in Lo sviluppo locale: una nuova frontiera per il non profit, a cura di Giancarlo Provasi (Franco Angeli, 2006, 20 euro). Le citta' sono il teatro principale dell'integrazione/emarginazione degli immigrati e sulla questione dell'immigrazione e della lotta al razzismo e' illuminante In che razza di societa' vivremo? L'Europa, i razzismi, il futuro di Laura Balbo (Bruno Mondadori, 2006, 11 euro). Sulle buone pratiche ambientali una ricca mappa e' offerta da Karl-Ludwig Schibel e Silvia Zamboni in Le citta' contro l'effetto serra. Cento buoni esempi da imitare (Edizioni Ambiente, 2005, 18 euro). E poi c'e' addirittura l'Atlante di un'altra economia. Politiche e pratiche del cambiamento, a cura di Virginia Cobelli e Grazia Naletto (Manifestolibri, 2005,18 euro), che raccoglie i contributi all'edizione di due anni fa del forum di "Sbilanciamoci!", con capitoli - tra gli altri - di Saskia Sassen, Francesco Gesualdi, Maria Cecilia Guerra, Francesco Garibaldo. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1414 del 10 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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