La nonviolenza e' in cammino. 1414



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1414 del 10 settembre 2006

Sommario di questo numero:
1. Luciano Bonfrate: Aquile
2. Per una definizione critica e pluridimensionale della nonviolenza
3. Murray Bookchin: Municipalismo libertario perche' (1999)
4. Mario Pianta presenta "Comunita' partecipate" a cura di Erika Lombardi e
Grazia Naletto
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. CONTRORIME. LUCIANO BONFRATE: AQUILE

"Or tu chi se' che vuo' sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta d'una spanna?"
(Paradiso, XIX, 79-81)

Sento alla radio che la Nato dice
di avere in questa sola settimana
soppresso trecentocinquanta afgani
che essendo stati uccisi per cio' stesso
son stati dichiarati talebani.

Ancora una grande vittoria.
Esultera' il ministro.

2. MATERIALI. PER UNA DEFINIZIONE CRITICA E PLURIDIMENSIONALE DELLA
NONVIOLENZA
[Da un piu' ampio testo gia' piu' volte riprodotto su questo foglio
riprendiamo e riproponiamo ancora una volta il seguente paragrafo]

I. Il termine "nonviolenza", distinto dalla locuzione "non violenza"
La parola "nonviolenza" e' stata coniata dal filosofo ed educatore italiano
Aldo Capitini (1899-1968) e traduce i due termini creati da Mohandas Gandhi
(1869-1948) per definire la sua proposta teorico-pratica: "ahimsa" e
"satyagraha".
La parola "nonviolenza" designa un concetto del tutto distinto dalla
semplice locuzione "non violenza" o "non-violenza"; la locuzione "non
violenza" infatti indica la mera astensione dalla violenza (ed in quanto
tale puo' comprendere anche la passivita', la fuga, la rassegnazione, la
vilta', l'indifferenza, la complicita', l'omissione di soccorso); il
concetto di "nonviolenza" afferma invece l'opposizione alla violenza come
impegno attivo e affermazione di responsabilita'.
Infatti i due termini usati da Gandhi, che il termine capitiniano di
"nonviolenza" unifica e traduce, hanno un campo semantico ampio ma molto
forte e ben caratterizzato: "ahimsa" significa "contrario della violenza",
"negazione assoluta della violenza", quindi "opposizione alla violenza fino
alla radice di essa"; "satyagraha" significa "adesione al vero, contatto con
il bene, forza della verita', vicinanza all'essere, coesione essenziale".
*
II. La nonviolenza non e' un'ideologia
La "nonviolenza" quindi e' un concetto che indica la scelta e l'mpegno di un
intervento attivo contro la violenza, la sopraffazione, l'ingiustizia (non
solo quella dispiegata e flagrante, ma anche quella cristallizzata e
camuffata, quella acuta e quella cronica, quella immediata e quella
strutturale).
La nonviolenza non e' un'ideologia ne' una fede: ci si puo' accostare alla
nonviolenza a partire da diverse ideologie e da diverse fedi religiose e
naturalmente mantenendo quei convincimenti. Ad esempio nel corso dello
scorso secolo vi sono stati uomini e donne che si sono accostati alla
nonviolenza aderendo a fedi diverse: induista, cristiana, buddhista,
islamica, ebraica, altre ancora, o anche non aderendo ad alcuna fede.
Ugualmente vi sono stati uomini e donne che si sono accostati alla
nonviolenza aderendo a ideologie diverse: liberali, socialiste (nelle varie
articolazioni di questo concetto teorico e movimento storico), patriottiche,
internazionaliste, democratiche in senso lato.
*
III. La nonviolenza e' una teoria-prassi sperimentale e aperta
La nonviolenza infatti e' una teoria-prassi, ovvero un insieme di
riflessioni ed esperienze, creativa, sperimentale, aperta. Non dogmatica,
non autoritaria, ma che invita alla responsabilita' personale nel riflettere
e nell'agire.
*
IV. La nonviolenza e' un concetto pluridimensionale
Molti equivoci intorno alla nonviolenza nascono dal fatto che essa e' un
concetto a molte dimensioni, cosicche' talvolta chi si appropria di una sola
di queste dimensioni qualifica la sua collocazione e il suo agire come
"nonviolenti", in realta' commettendo un errore e una mistificazione,
poiche' si da' nonviolenza solo nella compresenza delle varie sue dimensioni
(ovviamente, e' comunque positivo che soggetti diversi conoscano e accolgano
anche soltanto alcuni aspetti della nonviolenza, ma questo non li autorizza
a dichiarare di praticare la nonviolenza).
Proviamo a indicare alcune delle dimensioni fondamentali della nonviolenza:
- la nonviolenza e' un insieme di ragionamenti e valori morali;
- la nonviolenza e' un insieme di tecniche comunicative, relazionali,
deliberative, organizzative e di azione;
- la nonviolenza e' un insieme di strategie di intervento sociale e di
gestione dei conflitti;
- la nonviolenza e' un progetto sociale di convivenza affermatrice della
dignita' di tutti gli esseri umani;
- la nonviolenza e' un insieme di analisi e proposte logiche, psicologiche,
sociologiche, economiche, politiche ed antropologiche.
Come si vede, lo studio della nonviolenza implica la coscienza della
pluridimensionalita' di essa, delle sue articolazioni, delle sue
implicazioni.
Ed anche del fatto che essa implica saldezza sui principi ed insieme un
atteggamento ricettivo, critico, sperimentale, aperto; che non ha soluzioni
preconfezionate ma richiede ogni volta nella situazione concreta un
riflettere e un agire contestuale, critico e creativo.

3. MAESTRI E COMPAGNI. MURRAY BOOKCHIN: MUNICIPALISMO LIBERTARIO PERCHE'
(1999)
[Da "A. rivista anarchica", anno 29, n.258, novembre 1999 (disponibile anche
nel sito www.arivista.org) riprendiamo (nella traduzione di Guido
Lagomarsino) il seguente intervento di Murray Bookchin tenuto a una
conferenza internazionale sul tema "La politica dell'ecologia sociale: il
municipalismo libertario" svoltasi a Plainfield, nel Vermont, dal 26 al 29
agosto 1999, a cui erano presenti partecipanti provenienti dall'Australia,
Canada, Giappone, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia, Stati Uniti e Uruguay.
Naturalmente le tesi di Bookchin sono proposte di riflessione su cui si puo'
e si deve discutere, le riproponiamo nel nostro foglio non solo come ricordo
e omaggio a un intellettuale e militante acuto e valoroso, ma anche e
soprattutto come materiale per approfondire la comune riflessione anche da
prospettive radicalmente diverse e su specifici punti - o anche
nell'impianto complessivo e nella tradizione di riferimento - fin
confliggenti; come e' noto noi pensiamo che la nonviolenza debba
confrontarsi criticamente con molte diverse tradizioni che recano comunque
preziosi contributi critici e/o propositivi; e se certi giudizi sembraranno
forzati o ingenerosi, o finanche in toto non condivisibili, ebbene, chi
legge sapra' ad un tempo ascoltare, criticare, discernere, valutare (p. s.).
Murray Bookchin, pensatore e militante libertario americano, e' stato tra i
principali punti di riferimento della "ecologia sociale"; nato a New York
nel 1921, figlio di emigrati russi (la nonna materna era una rivoluzionaria
populista), ha fatto l'operaio metalmeccanico, il sindacalista, lo
scrittore, il docente universitario; e' deceduto sul finire di luglio 2006.
Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 agosto 2006 riprendiamo il seguente
necrologio scritto dall'assessore del Comune di Venezia Beppe Caccia: "La
traiettoria biografica di Murray Bookchin - che, nato nel Bronx nel 1921 da
una coppia di immigrati russi rivoluzionari (la madre attivista wobbly), si
e' spento il 30 luglio scorso a Burlington nel Vermont - ha attraversato
l'intero Novecento, ma i suoi prolifici (oltre una ventina i titoli,
centinaia gli articoli pubblicati) e generosi contributi teorici hanno
cercato di accompagnare le piu' diverse correnti del pensiero radicale del
diciannovesimo e ventesimo secolo dritte nel ventunesimo. L'intera sua opera
puo' essere definita, con le parole utilizzate dallo stesso Bookchin, come
una sorta di Aufhebung militante, di progressiva 'assunzione, sussunzione e
superamento' dei contenuti del marxismo come dell'anarchismo, della scuola
di Francoforte come dell'antropologia culturale, dell'urbanesimo utopistico
di Lewis Mumford come dell'etica della responsabilita' di Hans Jonas. Uno
sforzo che a taluni e' apparso come un patchwork un po' naif, ma sempre
compiuto nel segno dell'anticipazione, talvolta profetica, e del desiderio
collettivo di liberta'. Questo operaio autodidatta, tra i protagonisti del
grande sciopero della General Motors del 1946, pubblica nel 1952, sotto lo
pseudonimo di Lewis Herber per sfuggire alla caccia alle streghe
maccartista, un articolo dal titolo 'The Problems of Chemicals in Food'; e
dodici anni piu' tardi il libro dedicato ad Our Synthetic Environment, che
precede di sei mesi il ben piu' noto Primavera silenziosa di Rachel Carson:
scrive profeticamente nel 1964 degli effetti della chimica di sintesi sulla
salute umana, grazie all'ingresso dei pesticidi nella catena alimentare,
della diffusione del cancro come malattia tipica di quel 'cancro sociale'
rappresentato dal capitalismo e perfino dell'obesita' come disturbo
caratteristico di un'affluent society. Espulso giovanissimo dalle fila del
Partito comunista, dai primi anni Cinquanta si orienta verso un socialismo
libertario. Negli anni Sessanta, rivolto alle dinamiche gruppettare che
stavano affermandosi nella nuova sinistra americana, pubblica Listen
Marxist!, dove sostiene un 'anarchismo della post scarsita''. 'Il problema -
scrive - non e' quello di abbandonare il marxismo o di cancellarlo... in uno
stadio piu' avanzato di sviluppo del capitale rispetto a quello con cui Marx
aveva a che fare un secolo fa, in una fase piu' avanzata di sviluppo
tecnologico rispetto a quanto lo stesso Marx potesse aver previsto, e'
necessaria una nuova critica, che porti a nuove forme di lotta, di
organizzazione, di propaganda, di stili di vita'. Arrivato con questo
informalissimo curriculum all'insegnamento universitario, nel 1971 Bookchin
fonda con altri l''Istituto per l'Ecologia Sociale' a Plainfield, Vermont,
che continua ad essere un importante punto di riferimento internazionale per
le sue ricerche nel campo della teoria sociale, dell'eco-filosofia e delle
tecnologie alternative. E' a questo punto del suo percorso che Bookchin si
definisce, mettendo in guardia verso i rischi che comporta qualsiasi gabbia
ideologica, 'un ecologista sociale e un municipalista libertario'. Nel 1982
pubblica quella che puo' a ragione essere ritenuta la prima sintesi del suo
impegno teorico e militante, Ecologia della liberta' (tradotto in Italia,
insieme a Per una societa' ecologica e Democrazia diretta, da Eleuthera):
'il dominio dell'uomo sulla natura e' originariamente causato dal dominio
reale dell'uomo sull'uomo. La soluzione a lungo termine della crisi
ecologica dipendera' da una trasformazione fondamentale di come organizziamo
la societa', una nuova politica basata sulla democrazia face-to-face, su
assemblee di vicinato e sulla dissoluzione delle gerarchie'. Tra i promotori
del Green Left Network, ma anche critico acuto e feroce del suo programma,
tiene particolarmente alla distinzione politica tra l''ecologia sociale',
finalizzata alla radicale trasformazione dei rapporti sociali, e
l''ambientalismo' come tentativo di intervenire sugli impatti piu'
devastanti dell'economia capitalistica: 'Parlare di "limiti dello sviluppo"
nel mercato capitalistico - scriveva nel 1990 in 'Remaking society' rivolto
soprattutto agli analisti del Club di Roma e ad autori come Lester Brown o
Rifkin - e' privo di significato; e' come parlare di porre limiti alla
guerra in una societa' guerriera. La compassione morale a cui danno voce
oggi molti ambientalisti benpensanti e' cosi' naif come la compassione
morale delle multinazionali e' manipolativa. Il capitalismo non puo' essere
piu' "convinto" a porre dei limiti al proprio sviluppo di quanto un essere
umano possa essere "convinto" a smettere di respirare'. Allo stesso tempo
conduce una battaglia durissima contro i sostenitori della deep ecology,
denunciandone gli aspetti piu' spiritualisti e reazionari. Ma e' infine la
sua proposta 'comunalista', nel tentativo di 'andare oltre le tendenze del
secolo passato', a restare il contributo di maggiore originalita' per i
movimenti del XXI secolo. Una proposta articolata con grande chiarezza in
From Urbanization to Cities (1987), in grado, a vent'anni di distanza, di
continuare a far pulizia di tanta retorica debole della 'partecipazione' e
di altrettanto furbesco ambientalismo, 'eco-compatibile' soprattutto con le
contemporanee forme del dominio. 'L'immediato obiettivo dell'agenda del
municipalismo libertario e' quello di riaprire la sfera pubblica in
opposizione ad ogni statalismo, di permettere il massimo di democrazia nel
senso letterale del termine, di creare istituti che in forma embrionale
possano dare potenza alla gente'; 'Non vi puo' essere politica senza
comunita'. E per comunita' intendo una libera associazione di cittadini su
base municipale, rinforzata nella propria autonoma capacita' economica dai
propri organismi di base e il sostegno confederativo di altre comunita',
organizzate in reti territoriali'. Una radicalita' ricca d'innovazione, che
spiega forse l'incontro mancato con Bookchin di tanta parte della
discussione italiana ed europea". Tra le opere di Murray Bookchin: I limiti
della citta', Feltrinelli, Milano 1975; Post-scarcity anarchism, La
Salamandra, Milano 1979; L'ecologia della liberta', Eleuthera, Milano 1988
(terza edizione); Per una societa' ecologica, Eleuthera, Milano 1989;
Filosofia dell'ecologia sociale, Ila Palma, Palermo 1993; Democrazia
diretta, Eleuthera, Milano 1993. Alcuni saggi di Murray Bookchin abbiamo
riproposto ne "La domenica della nonviolenza" nn. 87 e 88 e ne "La
nonviolenza e' in cammino" n. 1401]

Cari amici,
la mia eta', i malanni cronici e la calura estiva mi costringono a non
muovermi di casa; per questo mi dispiace molto di non poter essere presente
alla vostra conferenza sul municipalismo libertario. Vorrei, pero', grazie a
Janet Biehl, che ha accondisceso a leggervi queste mie parole, darvi il
benvenuto nel Vermont e farvi i miei auguri per le discussioni che avranno
luogo nei prossimi tre giorni. Se qualcuno di voi vorra' venirmi a trovare,
alla fine dei lavori, a Burlington, che oggi e' bene o male il mio rifugio
sicuro, sara' felicissimo di riceverlo. Non fatevi scrupoli a chiamarmi e
magari sara' possibile riuscire a vederci durante o dopo questo incontro.
Intanto, in questo messaggio, vorrei toccare alcune delle questioni
sollevate in proposito nelle precedenti discussioni sul municipalismo
libertario, esponendo le mie opinioni a riguardo. Forse la cosa piu'
importante e' la distinzione che andrebbe fatta tra comunitarismo e
municipalismo libertario, una distinzione che spesso va smarrita quando si
discute della politica del municipalismo libertario.
Con il termine comunitarismo io intendo riferirmi a quei movimenti e a
quelle ideologie che aspirano a trasformare la societa' creando cosiddette
alternative nel campo economico e dell'esistenza personale, come le
cooperative alimentari, le scuole, le tipografie, i centri comunitari, le
aziende agricole di quartiere, gli squats e cosi' via elencando. Tra gli
esponenti del comunitarismo, che si ispirano alle opere di Proudhon, ci sono
state personalita' come Martin Buber, Harry Boyte, Colin Ward, per fare
qualche nome. Che sia o no esplicitamente teorizzato, il comunitarismo mira
a distaccare lentamente lo sviluppo dell'umanita' dalla logica delle imprese
private (banche, grandi aziende, supermercati, fabbriche e sistemi
industriali in agricoltura) e avvicinarlo allo stile di vita che promuovono,
con imprese pubbliche e valori collettivi. La parola "comunitario" spesso e'
sostituibile col termine "cooperativo", una forma di produzione e di scambio
che risulta attraente non solo perche' richiama un senso d'amicizia e di
collettivo, ma anche perche' e' sotto il "controllo operaio" o la "gestione
operaia".
Il comunitarismo non cerca di creare un centro di potere che serva ad
abbattere un giorno il capitalismo, ma cerca di metterglisi in concorrenza,
di svalutarlo, di sopravvivergli, di fungere da barriera morale all'avidita'
e alla malvagita' che agli occhi di tanta gente rende cosi' riprovevole
l'economia borghese. Non si tratta, per dirla in breve, di una politica, ma
di una pratica, spesso limitata a gruppi di piccole dimensioni che fanno la
"scelta" di acquistare o di lavorare in un'azienda cooperativa. Quando
indico in Proudhon uno dei padri del comunitarismo, anche se non e'
esattissimo, faccio risalire la nascita di questa ideologia e di questa
pratica a circa centocinquanta anni fa, a un'epoca in cui la maggior parte
della produzione di oggetti era affidata agli artigiani e quella agricola e
alimentare a piccoli contadini. Da allora sono nate tante cooperative,
animate dalle piu' ambiziose speranze e destinate in genere a fallire, a
vivacchiare o a trasformarsi in imprese orientate al profitto. Per riuscire
a sopravvivere sul mercato capitalista, sono state regolarmente costrette ad
adattarvisi o sono state semplicemente annientate dalla concorrenza di
aziende animate da uno spirito di rapina e, nei fatti, piu' efficienti, ma
tutte orientate al profitto.
*
Un progetto antistatale
Anche dove le cooperative riescono a difendersi dalla concorrenza
capitalista, tendono a chiudersi in se stesse, a concentrarsi sui propri
problemi e interessi e, nella misura in cui sono in rapporto tra loro, a
puntare tutto sulla propria sopravvivenza o la propria espansione.
Soprattutto, capita molto raramente, se mai succede, che diventino centri di
potere popolare. Questo in parte perche' le questioni attinenti ai pubblici
poteri in quanto tali non le toccano e in parte perche' non hanno gli
strumenti per mobilitare la gente su temi che le coinvolga, a proposito del
chi dovrebbe governare la societa' e del come dovrebbe governarla.
Sostenendosi con le idee che esprimono in campo sociale (e, con l'andar del
tempo, anche come idee socialmente valide queste sono defunte) sperano di
riuscire a superare a poco a poco il capitalismo senza doversi confrontare
con le imprese capitaliste e con lo Stato capitalista. Cosi', col tempo,
tendono a chiudersi in se stesse, ad essere settarie e limitate, a riunire
in se' non collettivisti ma capitalisti collettivi e, in ultima analisi, a
essere piu' capitaliste che socialiste nella pratica e negli interessi.
Il municipalismo libertario, invece, e' decisamente un'espressione politica
antistatale che vuole la democrazia, il rapporto diretto, faccia a faccia,
il dialogo, il confronto. e' soprattutto attento alle questioni fondamentali
del potere. Pone questi interrogativi: dove dovra' sussistere il potere?
Quale parte della societa' dovra' esercitarlo? Quali istituzioni sono
necessarie per rendere possibile ed efficace un esercizio del potere non
statale? Se e' vero che vivere/lavorare in una cooperativa puo' essere una
cosa buona per instillare nelle persone valori, interessi, relazioni di
stampo collettivista, le cooperative non offrono i mezzi istituzionali per
l'acquisizione del potere. Consentitemi di sottolineare questo termine,
"istituzioni", perche' mi viene in mente uno slogan degli anarchici spagnoli
che diceva: "Guerra alle istituzioni, non al popolo". Io ritengo che uno
slogan del genere crei confusione e disorientamento, perche' lascia
intendere che le persone politically correct siano individui "autonomi",
liberi da ogni obbligo istituzionale, mentre le istituzioni in quanto tali
sarebbero una sorta di gabbie che impediscono all'individuo di scoprire il
proprio "io autentico" e di realizzarsi.
No: e' un grosso errore. Gli animali, senza dubbio, possono vivere senza
istituzioni (spesso perche' il loro comportamento e' geneticamente
condizionato), ma gli esseri umani ne hanno bisogno per modellare in modo
creativo le strutture sociali, basate non tanto su una supposta genetica o
su certe usanze, ma soprattutto su "forme di liberta'" (come le definivo
gia' negli anni Sessanta) razionalmente costituite che servono a organizzare
ed esprimere il potere in forma tanto collettiva quanto personale. Percio',
se oggi dovessi riscrivere in forma piu' estesa il mio articolo "The Forms
of Freedom", vi aggiungerei che sono necessarie costituzioni e leggi
formulate per mezzo di assemblee di democrazia diretta e aperte al dialogo.
In effetti, per molto tempo sono stati gli oppressi a richiedere e a
pretendere costituzioni e leggi, quali strumenti di controllo, anzi di
eliminazione del potere arbitrario esercitato da re, tiranni, nobili e
dittatori. Ignorare questo fatto storico e regredire a un "istinto di
solidarieta'", a un "istinto rivoluzionario", a un "istinto di
condivisione", significa abbandonare un auspicabilissimo mondo civile per
ritirarsi nel mondo della bestialita', optare per una zoologia sociale che
non ha senso applicare all'umanita' intesa come specie dalle capacita'
d'innovazione che crea e ricrea se stessa come crea e ricrea il mondo.
A differenza del comunitarismo, il municipalismo libertario si preoccupa del
potere: non semplicemente del potere di autocontrollo che si puo' acquisire
partecipando a una riunione ispiratrice, ma il potere concreto che si
esprime in forme organizzate di liberta', concepite in modo razionale e
costituite con modalita' democratiche. Se da un lato posso ben comprendere
il rifiuto di Proudhon, nella sua qualita' di deputato alla Camera francese,
di votare una bozza di costituzione (che era orientata verso la tutela della
proprieta' e la costruzione di uno Stato), respingo completamente le ragioni
che adduceva per questa scelta. "No!", aveva dichiarato, "Io non voto contro
la costituzione perche' e' una costituzione piu' o meno cattiva, ma perche'
e' una costituzione". Un comportamento cosi' fatuo lo faceva regredire,
intellettualmente come politicamente, nel mondo del potere arbitrario contro
il quale, nell'VIII secolo a. C. si schieravano i contadini greci oppressi;
come faceva Esiodo, che denunciava i "baroni", come li definiva, che non
facevano che asservire e sfruttare gli agricoltori ellenici, e rivendicava
una societa' basata sulla legge, non sull'arbitrio degli uomini.
Il municipalismo libertario vuole raggiungere il potere, non vuole
semplicemente sfruttare la rivendicazione del potere a scopi di propaganda e
di spettacolo, e non respinge l'uso del potere, ma vuole darlo in mano alla
gente nelle assemblee popolari.
E non ci serve molto che ci vengano a dire che per arrivare a una comunita'
basata sui principi del municipalismo libertario bisogna prima prepararle il
terreno, cementandola con uno stile di vita basato sulla reciprocita' come
quello offerto dalle attivita' cooperative. Fin troppo spesso le cooperative
sono diventate fini a se stesse e, quando ce l'hanno fatta, hanno
privilegiato gli scopi che rispondevano alle proprie logiche interne,
opposte alle comunita' per le quali volevano rappresentare un riferimento.
Ne ho viste tante, di cooperative alimentari che non solo chiudevano gli
occhi davanti alle altre dello stesso tipo, entrando addirittura in
concorrenza con loro, ma che abdicavano a tutte le loro supposte attivita'
"educative", togliendo a tutti i propri associati ogni potere e
trasformandoli in semplici clienti. Costrette dal capitalismo ad adottare i
metodi dell'organizzazione capitalistica, assumono manager e specialisti del
business di un genere o di un altro, col risultato che, invece di educare i
propri associati, esse rivestono il capitalismo con i panni eleganti delle
istituzioni virtuose.
*
Educazione e formazione
Il municipalismo libertario si impegna in ogni modo per non affondare nella
palude comunitaria, perdendo la propria identita' per dedicarsi alla
costruzione, al mantenimento e all'espansione di cooperative,
indipendentemente dal fatto che questa sia o no una cosa buona. Il
municipalismo libertario e' il tentativo di recuperare e superare la
definizione aristotelica dell'uomo quale "zoon politikon", animale politico.
"L'uomo" o quanto meno, l'uomo greco, nella politica di Aristotele, e' chi
vive nella "polis", cioe' in un municipio e non, come spesso si ritiene
erroneamente, una citta'-stato. E' questo uno dei "teloi", dei fini
dell'uomo, una forma che si attua in quanto essere umano. Per esprimersi in
termini religiosi, egli e' destinato a essere l'abitante della polis, della
citta', nella misura in cui realizza la propria umanita'. I suoi "teloi",
che comprendono un sistema di leggi (di diritti come di doveri)
razionalmente e democraticamente costituito, includono anche la sua facolta'
di essere cittadino, vale a dire un essere umano preparato, con una
formazione o "paideia" che dura tutta la vita, in modo da possedere tutte le
competenze che servono per assumersi tutti gli impegni di autogoverno. Deve
essere capace, intellettualmente come fisicamente, di surrogare tutte le
funzioni sociopolitiche assunte dallo Stato, in particolare quelle
dell'apparato fatto di militari, polizia, burocrati, rappresentanti
legislativi e cosi' via. Lo Stato non e' liquidato solo istituzionalmente,
ma anche soggettivamente, rendendo la gestione della societa' una faccenda
rigorosamente umana. Lo Stato, in sostanza, e' sostituito da cittadini
liberi e istruiti che, all'interno di assemblee popolari, ne eliminano la
pretesa di avere la competenza esclusiva su di loro, giustificando la
propria esistenza di Stato col fatto che i cittadini che lo costituiscono
sarebbero bambini ignoranti che hanno bisogno di un "padre" capace di
gestire le loro faccende.
Vorrei aggiungere che la paideia richiede un'educazione e una formazione
rigorose, anzi la costruzione di un carattere e di un integrita' etica, se
si deve giustificare la competenza del cittadino (la sua capacita' di
sostituire lo Stato). E' cosi' non solo eliminando lo Stato, ma anche
eliminando la gerarchia. Un'educazione e una formazione rigorose implicano a
loro volta non fatui tentativi di "espressione dell'io", spesso di un io
appena sbozzato e non ancora formato, ma un processo di apprendimento
sistematico, programmato con cura, bene organizzato. L'umanita' non puo'
produrre cittadini se l'educazione e la formazione che essa assicura ai
giovani avviene attraverso gruppi d'incontro che si presumono "spontanei",
in cui lo studente e' chiamato ad accettare qualsiasi cosa gli venga
somministrata. Proprio questa attenzione alla paideia rende la Repubblica di
Platone un'opera cosi' grande nonostante i suoi tanti difetti: in realta',
molti dei testi migliori dalla filosofia greca racchiudono idee su come
educare i giovani per farne dei cittadini capaci non solo di riflettere in
modo sistematico, ma anche di usare le armi per difendersi e per difendere
la democrazia. La democrazia ateniese, vorrei aggiungere, fu raggiunta
quando la cavalleria aristocratica fu sostituita dagli opliti, i soldati di
fanteria, la milizia civile del V secolo a. C., che assicuro' la supremazia
del popolo al posto di quella della nobilta'.
*
La questione del potere
Cosi', il municipalismo libertario non esclude il potere, un potere
concreto, non semplicemente quella forma alla moda di "potere di
autocontrollo", che sovente altro non e' che uno stato di esaltazione
emotiva piu' o meno simile a quello che danno certe droghe. Si tratta di una
ripresa e un'estensione della tesi aristotelica secondo la quale gli essere
umani sono costituiti per vivere come "animali politici". E' una comunita'
strutturata, che possiede una sua costituzione e una sua legislazione,
fondate su basi razionali e democratiche. E' formazione degli individui,
membri a pieno titolo del municipio, foggiati eticamente e intellettualmente
attraverso un processo di costruzione del carattere che definiamo paideia.
Sono il municipio e la confederazione di municipi che, grazie alle
competenze, al potere di autodifesa, alle istituzioni democratiche e al
metodo che affronta problemi e questioni con il dialogo, non solo e' in
grado di sostituire lo Stato, ma anche di svolgere le funzioni socialmente
necessarie di cui lo Stato si e' appropriato a spese del potere popolare,
con la scusa che i suoi componenti sarebbero ragazzini incapaci.
E' questo il regno della politica, il suo universo reale, che rischia di
essere completamente cancellato da una societa' che sempre piu' assomiglia a
una Disneyland e che ci spinge a dar vita a un movimento per
riappropriarcene e svilupparlo. Se si lascia che questo regno della politica
sia soffocato all'interno di istituzioni e di attivita' comunitarie, si
perde del tutto di vista la necessita' di ripristinarlo, anzi si svolge un
ruolo bambinesco, se non reazionario, di disgregazione. Lo Stato si
giustifica non solo per l'indifferenza dei suoi componenti rispetto alle
faccende pubbliche, ma anche, e soprattutto, per la loro incapacita' di
gestire queste faccende. Chiunque si faccia complice di questa apologia
ideologica dello statalismo, negando l'esigenza di un regno della politica o
confondendolo superficialmente con la creazione di cooperative, di
istituzioni, di gruppi d'incontro, di feste di strada, di dimostrazioni, di
scontri tra i giovani e "l'autorita'", nei panni di patetici e normali
lavoratori con addosso le uniformi di polizia, si fa anche complice di
quelle tesi ideologiche secondo le quali la formazione di assemblee
pubbliche dotate di pieni poteri sarebbe una forma di "statismo" e la
"liberta'" sarebbe raggiungibile semplicemente tirando un mattone a un
poliziotto o creando una "zona temporaneamente autonoma".
Non voglio certo ignorare i giganteschi problemi che comporta questo insieme
di concetti. E' importantissimo il tipo di movimento (anzi di "avanguardia",
un termine abusato, che la nuova sinistra ha guastato associandolo ai
bolscevichi) che va creato, che deve svolgere un ruolo educativo e, ebbene
si', di leadership, indispensabile per generare le trasformazioni richieste
dal municipalismo libertario. Consentitemi, intanto, di dissociarmi da I. S.
Bleihkman, il massimo esponente dei comunisti anarchici di Pietrogrado che,
quando i marinai di Kronstadt, insieme alla guarnigione di Pietrogrado e
agli operai piu' coscienti decisero di "uscire allo scoperto" con le armi in
pugno, nel luglio del 1917, per costituire un governo sovietico, rispondeva
all'appello a organizzarsi con la stupida parola d'ordine: "Saranno le
strade a organizzarvi!". Le strade, manco a dirlo, non organizzarono un bel
niente e nessuno e, mancando una vera leadership, l'insurrezione falli' nel
giro di pochi giorni.
*
Fasi distinte
Riesaminando una gran mole di materiali relativi alle rivoluzioni del
passato, il problema principale che ho incontrato e' stato appunto quello
del tipo di organizzazione che potrebbe fare la differenza, tra la
sopravvivenza e la morte, in un sollevamento rivoluzionario. Mi si e' fatta
sempre piu' chiara in testa l'esigenza di creare un'organizzazione capace di
operare positivamente e di prendere iniziative (un'avanguardia), che sia
impegnata nella propria rigorosa paideia, che sappia formare proprie
istituzioni, basate su una costituzione razionale, che s'impegni a cooptare
cittadini istruiti e motivati, che abbia una propria struttura e propri
programmi. Questa organizzazione potrebbe essere benissimo considerata una
sorta di polis in via di formazione, capace di tutelare i principi di fondo
del municipalismo libertario, evitando che siano assorbiti da qualcuno
(destino abituale delle buone idee oggigiorno), che sappia alimentarli,
farli crescere e applicarli in situazioni complesse e difficili.
Se non si hanno principi solidi e chiari, si e' semplicemente senza
principi: si svolazza nell'etere delle opinioni vaghe, senza autentiche
idee, con concetti improvvisati e non con concezioni profonde, si fanno
castelli in aria e non teorie solide con solide fondamenta. E' vero che i
principi si possono cambiare, ma la tesi secondo la quale i principi devono
restare nel vago e' lo specchio dell'attuale mentalita' postmoderna, priva
di spina dorsale, che vede tutto relativo, che ritiene che non ci sia nulla
di fondamentale, che ritiene che idee prive di forma, come amebe, meritino
una seria attenzione, che pensa che ogni struttura sia autoritaria se non
totalitaria e che i sentimenti siano piu' importanti di un pensiero profondo
e sistematico. Senza un'organizzazione chiaramente definibile, si ricade
nella tirannia del non strutturato, proprio come, nel caso del compromesso
con il consenso, si maschera il fatto che una minoranza (sia essa di uno, di
dieci o di venticinque su cento) costituisce un nuovo sistema autoritario al
cui interno uno, dieci o venticinque stabiliscono una vera tirannia che puo'
negare la scelta dei novantanove, novanta o settantacinque della
maggioranza, con l'assurda affermazione che un quasi consenso bloccherebbe
la "tirannia" della maggioranza.
Ho proposto che si crei attraverso fasi distinte un movimento del
municipalismo libertario, un movimento che, credo, in ragione delle idee
avanzate, della sua preparazione e della sua esperienza abbia tutti i
diritti di ritenersi di avanguardia. Certo, qualsiasi altra organizzazione
puo' dichiararsi tale. Io non sostengo certo che un'organizzazione
municipalista libertaria abbia il diritto di negare ad altre la facolta' di
ritenersi avanguardie; saranno i fatti e le masse a decidere. Non voglio
nemmeno negare ad altre organizzazioni che si dicono d'avanguardia il
diritto di farlo, ne' tento di limitare loro questa possibilita'. Ma e' mia
opinione che non si verifichera' mai un importante cambiamento della
societa' senza un movimento di avanguardia bene organizzato, che prenda
molto sul serio la propria struttura e che stabilisca regole precise di
adesione...
*
L'ultima occasione
Oggi il mondo sta cambiando a una velocita' davvero stupefacente. Ho
affermato piu' volte che, se il capitalismo non distruggera' il pianeta, il
mondo forse tra trent'anni, ma sicuramente entro cinquanta, subira' una
trasformazione che va al di la' di ogni nostra fantasia. Il mondo contadino
scomparira' del tutto, non solo: anche quella natura che noi definiamo
"selvaggia" non ci sara' piu'. E' probabile che l'automazione dell'industria
raggiunga livelli impensabili e che la superficie della terra subisca enormi
trasformazioni. Non so, e non sapro' mai, se questi cambiamenti
provocheranno una crisi ecologica o se saranno affrontati, sia pur in modo
insufficiente, dalla scienza e dalla tecnica. Sono tanti gli interrogativi
su come sara' il mondo di domani, e io non cerchero' di ragionarci troppo
sopra, ora la mia vita sta volgendo al termine.
Di una cosa, comunque, io sono convinto: se un movimento municipalista
libertario non riuscira' a favorire la nascita di un sistema a democrazia
diretta e confederale, si dovranno rivedere drasticamente tutti gli ideali
libertari. Non raccontiamoci storie, vi chiedo, nella speranza di riuscire a
realizzare una societa' autenticamente libertaria senza creare una sfera
pubblica, partendo da una politica elettorale che coinvolga la base e che si
fondi sulla costituzione di assemblee a democrazia diretta. E' questa, io
credo, l'ultima occasione offerta al movimento libertario. Se non siete
d'accordo, benissimo, ma in tal caso vi chiedo di usare un'etichetta diversa
per le vostre idee: lasciate stare il nome di "municipalismo libertario" e
seguite la vostra strada fiancheggiata da imprese comunitarie e cooperative,
se non da monasteri taoisti e da dimore mistiche. Vorrei pregare i miei
critici di non contaminare le idee che non apprezzano e nello stesso tempo
affermano di sostenere. Grazie.

4. LIBRI. MARIO PIANTA PRESENTA "COMUNITA' PARTECIPATE" A CURA DI ERIKA
LOMBARDI E GRAZIA NALETTO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 agosto 2006.
Mario Pianta e' nato ad Asti nel 1956, economista, ricercatore del Cnr,
docente universitario di politica economica, impegnato nel movimento per la
pace, collalbora al quotidiano "Il manifesto"; tra le opere di Mario Pianta:
Stati Uniti: il declino di un impero tecnologico, Edizioni Lavoro, Roma
1988; (a cura di), L'economia globale, Edizioni Lavoro, Roma 1989; (con
Giulio Perani), L'industria militare in Italia, Edizioni Associate, Roma
1989; (a cura di), Jesse Jackson. La politica dell'arcobaleno, Datanews,
Roma 1989; (con Alberto Castagnola), La riconversione dell'industria
militare, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1990;
(con altri), Tecnologia, crescita e occupazione, 1998; Globalizzazione dal
basso, Manifestolibri, Roma 2001.
Erika Lombardi e' consulente per la U. O. Autopromozione sociale del Comune
di Roma per le politiche per lo sviluppo dell'altra economia, docente del
master "Lavorare nel non profit" dell'Universita' di Urbino, responsabile
della formazione per Lunaria, si occupa delle forme di lavoro nel terzo
settore e di cooperazione. E' coautrice di Lavorare bene. Manuale sulle
forme e l'organizzazione del lavoro nel terzo settore (Edizioni Lavoro,
1999); L'abc del terzo settore (Edizioni Lavoro, 2001); Lavorare nel terzo
settore (Carocci, 2005); Comunita' partecipate (Manifestolibri, 2006).
Grazia Naletto e' la coordinatrice di Lunaria per le attivita' di ricerca e
informazione sulle migrazioni e per le attivita' di comunicazione
dell'associazione. Ha fatto parte della redazione di "Onde lunghe" e di
"Carta" e ha curato la rubrica "Eppur si muove" nel supplemento settimanale
"Extra" del quotidiano "Il manifesto"; insegna nei corsi di Lunaria sul
terzo settore e svolge attivita' di formazione sulla comunicazione per le
organizzazioni non profit. E' coautrice di L'abc del terzo settore (Edizioni
Lavoro, 2001); Atlante di un'altra economia (Manifestolibri, 2005); Lavorare
nel terzo settore (Carocci, 2005); Comunita' partecipate (Manifestolibri,
2006)]

Un altro mondo e' sicuramente possibile, ma non cosi' vicino. Ci sono pero'
altri modi, concreti, a portata di citta' e di province. Il catalogo e'
raccolto nel libro Comunita' partecipate. Guida alle buone pratiche locali,
a cura di Erika Lombardi e Grazia Naletto (Manifestolibri, pp. 191, euro
18), che presenta cinquanta esperienze esemplari, risultato di una ricerca
dell'associazione Lunaria, in collaborazione con la presidenza del Consiglio
provinciale di Roma. Cinque sono i campi di attivita' documentati:
democrazia e diritti, welfare e servizi, altraeconomia, ambiente, pace e
solidarieta'. In tutti c'e' un intreccio importante tra richieste dei
movimenti, pratiche della societa' civile e politiche realizzate dagli enti
locali, a partire da valori condivisi e dalla ricerca comune di soluzioni
concrete. La democrazia e la partecipazione sono i fondamenti su cui e'
stato possibile far crescere questi percorsi, i meccanismi che li
sostengono, i linguaggi che li animano.
La ricerca di una democrazia piu' democratica, di una partecipazione piu'
diretta, ad esempio, viene esaminata nel caso del bilancio partecipativo,
una delle bandiere diffuse ovunque dal Forum sociale mondiale, che vede
assemblee di cittadini dire la loro sulle priorita' delle politiche e delle
spese degli enti locali. Poi c'e' l'elaborazione di programmi partecipati,
in cui la societa' civile vincola le amministrazioni locali, ci sono le
primarie per la selezione dei candidati alle elezioni locali e nazionali, ci
sono le iniziative per riconoscere il diritto di voto e cittadinanza agli
immigrati. In ciascuno di questi casi e' spiegata l'importanza dei principi
in gioco, si descrivono i meccanismi istituzionali, si citano gli enti
locali all'avanguardia nelle realizzazioni. I comuni di Grottammare (in
provincia di Ascoli Piceno) e Pieve Emanuele (in provincia di Milano) sono
tra quelli che hanno sperimentato piu' a fondo la partecipazione diretta dei
cittadini alle scelte di bilancio; la Regione Toscana ha regolato con una
legge del 2004 le procedure per la realizzazione di primarie per le elezioni
regionali, per la scelta delle candidature, a presidente e a consigliere
regionale. Diversi comuni, come Genova, Ancona e Torino, si sono mossi per
il diritto di voto agli immigrati per il consiglio comunale o di quartiere.
*
Politica locale, tradizionalmente, vuol dire soprattutto spesa pubblica per
servizi, in cui la burocrazia spesso prevale sull'emergere di nuovi bisogni,
di nuove marginalita', di modelli piu' efficaci di intervento sociale.
Strade diverse si sono aperte in alcune regioni con una realizzazione
innovativa ed equilibrata della legge sull'assistenza e i servizi sociali
(328 del 2000), che da' spazio alla partecipazione del terzo settore nella
definizione degli interventi, un passo verso un welfare municipale che resta
pero' irrealizzato nella maggior parte delle regioni (e in tutto il sud).
Una nuova attenzione agli effetti di genere delle politiche locali e alle
disuguaglianze tra uomini e donne (gender auditing) ha portato il Comune di
Modena a quantificare benefici e costi per le donne che derivano dalle
scelte di spesa della citta'. Per le politiche per la casa rivolte ai piu'
esclusi dal mercato, gli immigrati, bisogna guardare ad Arezzo, dove i fondi
regionali sono stati usati per creare un'associazione (La casa) che
coinvolge organizzazioni di immigrati, sociali e sindacali e offre
informazioni, intermediazione e garanzia per gli immigrati senza casa.
Sull'altraeconomia le esperienze sono piu' note, dal commercio equo alla
finanza alternativa, dalle nuove assicurazioni etiche ai distretti solidali.
Il ruolo delle citta' qui e' quello di recepire le spinte che hanno portato
alla crescita di queste esperienze e farle uscire dalle loro piccole
nicchie. Ad esempio acquistando i prodotti del commercio equo e
dell'agricoltura biologica per le mense scolastiche, orientando i consumi
dei cittadini, favorendo l'incontro sul proprio territorio di un'offerta
innovativa e una domanda consapevole. Ma le novita' maggiori qui sono il
grande successo delle feste e fiere dell'altraeconomia, l'attenzione alla
scelta di sponsor etici per le iniziative degli enti locali, i gruppi di
acquisto solidali, le politiche per le periferie.
Molto vicine a queste sono le politiche per la sostenibilita' ambientale,
con esperienze di acquisti verdi, risparmio energetico (anche con la
certificazione energetica degli edifici), il riciclaggio su vasta scala, la
mobilita' alternativa e car sharing, i prodotti a denominazione comunale di
origine. Se nel welfare, nell'altraeconomia e nella sostenibilita'
ambientale le esperienze documentate in Comunita' partecipate puntano a
rinnovare alcune delle funzione centrali degli enti locali, come la
destinazione dei bilanci e il governo del territorio, altre esperienze hanno
alzato lo sguardo oltre i confini delle citta'.
Il Coordinamento degli enti locali per la pace, che festeggia il prossimo
ottobre i venti anni di attivita', con una grande conferenza in Umbria,
coinvolge oggi 600 realta' ed e' al centro del successo delle marce
Perugia-Assisi e della diffusione dell'educazione alla pace e ai diritti
umani. Questa si pratica poi anche con scambi giovanili e campi di lavoro,
con il riconoscimento dei diritti piu' scomodi, da quelli di chi lotta
contro le mafie in Italia, a quelli di chi arriva in Italia da luoghi di
conflitto a chiedere asilo. Ben noto e' l'impegno delle citta' nella
cooperazione decentrata, collaborando con le citta' dei paesi meno
sviluppati, un flusso di risorse stimate in 400 milioni di euro in questi
anni, piu' concreto e meno corrotto dei finanziamenti dei governi.
Inevitable il capitolo sull'acqua come bene comune, le campagne contro la
privatizzazione, la ricerca di modelli di gestione alternativi.
*
Comunita' partecipate disegna un orizzonte larghissimo, con potenzialita' di
crescita enormi, ma solleva al tempo stesso seri interrogativi. Come vanno
pensati i rapporti tra societa' civile e politiche locali? Anche quando le
distanze tra i due mondi si avvicinano, come in tutti questi casi, i rischi
sono noti, e li ricorda Giulio Marcon nell'introduzione al volume. Quando i
poteri locali sembrano ascoltare le voci di movimento, ci puo' essere in
agguato una tattica di rinvio, la cooptazione istituzionale, uno scambio
politico strumentale. E, sul versante della societa' civile, si puo'
scivolare in critiche povere di alternative, in pratiche di pura
testimonianza o, viceversa, in uno strisciante collateralismo verso i poteri
locali.
Quali sono allora i punti fermi per non confondere i ruoli? L'autonomia
della societa' civile, con la sua continua capacita' di critica e di
proposta, anche con le amministrazioni piu' disponibili, il mantenimento di
profonde radici nei movimenti sociali, una competenza che si sottragga al
fascino del potere. E che fare quando nascono opportunita' consistenti di
sviluppo a partire da queste esperienze? Il dilemma qui e' tra
l'affermazione di identita' sociali alternative (con il rischio della pura
testimonianza) e la trasformazione in protagonisti delle iniziative
economiche (con il rischio di "cambiare pelle"). Un caso di questo tipo lo
troviamo alla Citta' dell'altraeconomia a Roma, in costruzione in una parte
dell'antico Mattatoio a Testaccio. Dopo molti anni in cui le realta'
dell'altraeconomia romana premevano sul Comune, dal 2003 si progetta uno
spazio che possa ospitarle e dare loro visibilita'. Nel 2005 il Comune
stanzia 5 milioni di euro per la ristrutturazione dell'ex Mattatoio e i
servizi di lancio della struttura, che dovrebbe essere gestita da un
consorzio tra le organizzazioni dell'altraeconomia. Ma qui iniziano i guai:
le 35 organizzazioni coinvolte, troppo eterogenee, non si mettono d'accordo
su statuto, finanziamenti e ruolo del consorzio. Dopo mesi di stallo, il
Comune sceglie un'altra strada, piu' operativa, il modello dell'incubatore
amministrato dal Comune che prende accordi con i singoli "inquilini" della
Citta' dell'altraeconomia, lasciando aperta la porta a un consorzio
possibile. Il distacco tra pratiche sociali e iniziative economiche resta
una questione irrisolta all'interno stesso della societa' civile.
*
In libreria. Storie locali da manuale
Con le esperienze locali, fioriscono i libri su queste pratiche (e sulle
teorie che le sostengono). Il quadro piu' generale delle politiche locali si
trova nel nuovo manuale scritto da Donatella della Porta, La politica
locale. Potere, istituzioni e attori tra centro e periferia (Il Mulino, 17
euro). Sul fronte opposto, i meccanismi che muovono movimenti e societa'
civile verso pratiche del cambiamento locale sono analizzati da Giulio
Marcon in Come fare politica senza entrare in un partito (Feltrinelli, 2005,
10 euro). Sulla democrazia partecipativa un quadro dettagliato e' fornito da
Percorsi condivisi. Contributi per un atlante delle pratiche partecipative
in Italia, a cura di Giovanni Allegretti e Maria Elena Frascaroli (Alinea
editrice, 2006, 25 euro), il caso di una quartiere di Rome e' presentato in
M. Smeriglio, G. Peciola, L. Ummarino, Pillola rossa o pillola blu? pratiche
di democrazia partecipativa nel Municipio Roma XI (Carta, 2005). Uno studio
dei problemi di democrazia e partecipazione e' nel libro Comitati di
cittadini e democrazia urbana, a cura di Donatella della Porta (Rubettino,
2004, 13,50 euro), che analizza le identita', le strutture organizzative, i
nodi della rappresentanza, l'oscillazione tra conflitto e cooperazione. I
rapporti possibili tra politiche locali e terzo settore sono esaminati in Lo
sviluppo locale: una nuova frontiera per il non profit, a cura di Giancarlo
Provasi (Franco Angeli, 2006, 20 euro). Le citta' sono il teatro principale
dell'integrazione/emarginazione degli immigrati e sulla questione
dell'immigrazione e della lotta al razzismo e' illuminante In che razza di
societa' vivremo? L'Europa, i razzismi, il futuro di Laura Balbo (Bruno
Mondadori, 2006, 11 euro). Sulle buone pratiche ambientali una ricca mappa
e' offerta da Karl-Ludwig Schibel e Silvia Zamboni in Le citta' contro
l'effetto serra. Cento buoni esempi da imitare (Edizioni Ambiente, 2005, 18
euro). E poi c'e' addirittura l'Atlante di un'altra economia. Politiche e
pratiche del cambiamento, a cura di Virginia Cobelli e Grazia Naletto
(Manifestolibri, 2005,18 euro), che raccoglie i contributi all'edizione di
due anni fa del forum di "Sbilanciamoci!", con capitoli - tra gli altri - di
Saskia Sassen, Francesco Gesualdi, Maria Cecilia Guerra, Francesco
Garibaldo.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1414 del 10 settembre 2006

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