La nonviolenza e' in cammino. 1412



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1412 dell'8 settembre 2006

Sommario di questo numero:
1. Armando Stracciaroli: Dell'arte dell'ascolto e del conflitto
2. Michael N. Nagler: Speranza o terrore? Gandhi e l'altro 11 settembre
(parte seconda e conclusiva)
3. La "Carta" del Movimento Nonviolento
4. Per saperne di piu'

1. CONTRORIME. ARMANDO STRACCIAROLI: DELL'ARTE DELL'ASCOLTO E DEL CONFLITTO
[Ringraziamo il nostro amico Armando Stracciaroli per questo intervento,
alcune cui formule potranno forse dispiacere a taluno]

Non e' la nonviolenza l'arte vile
di chiedere il permesso agli assassini
di dissentire, e al colpo di staffile
piagnucolando fare sorrisini.
La nonviolenza e' lotta.

Non e' lo stupidissimo monile
dell'insipiente al naso e dei supini
la lagna e del meschino e del puerile
che invece di lottar si strappa i crini.
La nonviolenza e' lotta.

La nonviolenza e' la lotta alla guerra
piu' forte della guerra, che la guerra
nega ed estingue, e questa e' la sua scienza.
La nonviolenza e' lotta.

La nonviolenza e' lotta alla violenza
piu' forte di ogni atto di violenza
che la violenza affronta, spezza e atterra.
La nonviolenza e' lotta.

La nonviolenza e' lotta, senza lotta
non si da' nonviolenza, non si da'
dialogo, giustizia, liberta'.

2. RIFLESSIONE. MICHAEL N. NAGLER: SPERANZA O TERRORE? GANDHI E L'ALTRO 11
SETTEMBRE (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Ringraziamo di cuore gli amici del Centro Gandhi di Pisa e della redazione
dei "Quaderni satyagraha" (via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa, sito:
www.centrogandhi.it) per averci messo a disposizione come anticipazione il
seguente testo di Michael N. Nagler (nella traduzione di Marco Pieroni) dal
Centro Gandhi pubblicato fuori commercio in edizione speciale per il
convegno "100 anni di Satyagraha - la forza della nonviolenza" (Pisa, 8-11
settembre 2006), in collaborazione con Nonviolent Peaceforce, 425 Oak Grove
Street, Minneapolis, MN 55403 Usa, sito: www.nonviolentpeaceforce.org e con
Metta - Center for Nonviolence Education, P.O. Box 183, Tomales, CA 94971
Usa, sito: www.mettacenter.org e con Gandhi Serve Foundation,
sito:www.gandhiserve.org ; il testo e' gia' disponibile altresi' nel sito
del Centro Gandhi: www.centrogandhi.it
Naturalmente quella qui esposta e' solo una delle interpretazioni della
nonviolenza; altre se ne danno, diverse e in taluni punti finanche
conflggenti con quella proposta da Nagler in questo testo (nel quale
peraltro non mancano - come accade sovente nelle scritture pubblicistiche -
opinioni discutibili e ricostruzioni talora anche piu' che discutibili),
testo che costituisce comunque senza dubbio un utile ed autorevole
contributo di memoria e di riflessione  (p. s.).
Michael N. Nagler, prestigioso studioso e amico della nonviolenza, e'
professore emerito e fondatore del Peace Studies Program alla University of
California di Berkeley. Tra le sue opere in inglese: (con Eknath Easwaran),
The Upanishads, Nilgiri Press, 1987; America Without Violence: Why Violence
Persists and How You Can Stop It, Island Press, 1982; Is There No Other Way:
The Search for a Nonviolent Future, Inner Ocean Publishing, 2001; in
italiano: Per un futuro nonviolento, Ponte alle grazie, Firenze 2005.
Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo
pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della
nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio
d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di
convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra,
avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro
la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della
nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito d
el Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico.
Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la
teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione
economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il
30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di
quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e
che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti
discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione,
della sua opera. Opere di Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un
giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una
natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere
contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua
riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede
significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In
italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e
autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la
liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton;
Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura
della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e
fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi
sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato
l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi
ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali
della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono
stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi
massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda
il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza
civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi:
tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente
accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro
di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung,
Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente
detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il
Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il
Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il
Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e'
quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia
cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti
nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente
utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L.
Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti
Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci,
Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di
Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti
pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark
Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini,
L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con
la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini)
2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi
in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006]

Chi puo' praticare il satyagraha?
Chiunque puo' praticare il satyagraha. Essendo basato sulla forza
dell'anima, non e' limitato alla forza del corpo. La formula per una
campagna nonviolenta - resistere saldamente all'ingiustizia senza tentare di
costringere, umiliare, o danneggiare i propri persecutori - puo' essere
attuata in una miriade di modi creativi che si sono costantemente aggiunti
dal tempo di Gandhi, come vedremo avanti, e permette la partecipazione di
persone provenienti da ogni settore della vita. Nelle emergenze, alcune
belle e riuscite campagne sono state effettuate sulla spinta del momento:
forse la piu' famosa e' la dimostrazione davanti alla prigione di
Rosenstrasse con cui le donne disarmate salvarono i loro mariti ebrei dalla
Gestapo nella Berlino del 1943 (15). Ma riesce molto meglio quando i
satyagrahi sono addestrati e hanno una strategia. Non dobbiamo essere un
Gandhi o un Martin Luther King prima di intraprendere una lotta. Quando
Gandhi ha mobilitato milioni di persone nelle fasi cruciali della sua
campagna, probabilmente nessuno di loro aveva lo stesso grado di padronanza
di se stesso e di pieta' universale che lui aveva raggiunto. E' meraviglioso
avere l'ispirazione di un grande capo e la visione strategica per una lotta
prolungata, ma dai giorni di Gandhi e di King (o di Cesar Chavez e altri)
gli attivisti hanno trovato modi di organizzarsi e rimanere ragionevolmente
nonviolenti di fronte a una dura repressione. Negli ultimi trenta anni circa
masse di persone, in molti casi senza un singolo "carismatico" capo, hanno
portato avanti ripetutamente campagne che sono state in gran parte esenti
dalla violenza almeno nell'azione e che non soltanto hanno persuaso (o se
non e' stato possibile, costretto) i loro governanti a cambiare corso ma
anche a farsi semplicemente da parte se non lo facevano.
*
Quando possiamo praticare il satyagraha?
Ci sono tre condizioni per una lotta nonviolenta riuscita, o una campagna
satyagraha:
- La causa deve essere giusta. E' possibile usare le tecniche nonviolente
nelle cause piu' dubbie ma le leggi del successo che stiamo discutendo non
possono essere prese in considerazione in questi casi. Sbagliare le tecniche
esteriori, o le forme per lo stesso satyagraha puo' condurre a una seria
confusione: per esempio, recentemente un giornalista ha fatto riferimento ai
metodi "gandhiani" nel caso dei coloni israeliani pesantemente armati e
ideologizzati. I metodi privi dello spirito nonviolento condurranno spesso a
cattivi risultati, e non dovremmo incolpare il satyagraha per ogni volta che
cediamo alla violenza quando perdiamo una battaglia.
- Bisogna avere coraggio. L'energia di base del satyagraha e' precisamente
l'energia della paura convertita in forza attiva e creativa. Lo stesso si
puo' dire della rabbia. Come Martin Luther King ha spiegato, nel movimento
per i diritti civili, ne' ingoiarono la loro rabbia, ne' la lasciarono
esplodere; "hanno controllato la rabbia e l'hanno liberata con disciplina
per ottenere il massimo effetto". Questa e' una delle migliori formulazioni
di cosa sia realmente il satyagraha, "un'uscita in assenza di vie d'uscita"
che non e' ne' repressione basata sulla paura, ne' espressione basata sulla
rabbia, ne' lotta, ne' fuga. Le campagne satyagraha possono andare avanti
per anni. Quindi richiedono che il coraggio dei satyagrahi sia mantenuto. La
pazienza e', quindi, una chiave essenziale per un successo nonviolento. Uno
dei termini per la nonviolenza in arabo e' in effetti sabr, o a volte sumud,
"pazienza, resistenza"; similmente, in America Latina si parla di firmeza
permanente, "infinita determinazione". Per citare ancora King: "Noi uniremo
la vostra capacita' di infliggere la sofferenza con la nostra capacita' di
resistere alla sofferenza"; e ha aggiunto: "Noi non vi odieremo, ma non
possiamo obbedire alle vostre leggi ingiuste. Percio' noi faremo appello al
vostro cuore e alla vostra coscienza cosicche' vi vinceremo
progressivamente".
Questo conduce al terzo requisito:
- Si deve superare la cattiva volonta' nei confronti dell'avversario. Per la
maggior parte di noi questa sara' una lotta costante in cui riusciremo a
sbalzi e gradualmente. Piu' vividamente ci ricordiamo che il nostro
avversario reale non e' la persona ma l'ingiustizia, piu' il potere del
satyagraha informera' le nostre azioni. Inoltre, aiuteremo il nostro
avversario a vedersi non come un tiranno o un torturatore, ma come un essere
umano bloccato in una relazione falsa. Nel 1922 Gandhi si chiamo' fuori da
un satyagraha fino a quel momento ben riuscito, tra la costernazione di
alcuni dei suoi piu' stretti collaboratori, quando alcuni dimostranti in una
citta' chiamata Chauri Chaura persero il controllo e assassinarono i
poliziotti che li avevano ingiuriati. Meglio non fare niente, penso', che
nuocere sotto la bandiera del satyagraha.
Queste sono le condizioni minime per una lotta satyagraha. Ma in se stesse
non garantiscono il successo. Come abbiamo visto, un successo immediato e di
lunga durata ("funzionare" e funzionare) sara' "matematicamente
proporzionato" alla preparazione degli attivisti, e in piu' la strategia e
la sincronizzazione sono critiche, particolarmente nelle lotte prolungate.
Nel satyagraha, come in molte altre lotte, dobbiamo essere astuti come
serpenti e innocenti come colombe. Una volta che si incontrano queste
condizioni minime, cos'altro dovrebbe cercare un satyagrahi?
*
Gli ingredienti di una lotta ben riuscita
Durante gli anni che vanno dalla storica riunione del 1906 all'indipendenza
dell'India, quarantadue anni piu' tardi, gli studiosi e gli attivisti
insieme hanno imparato molto circa la scienza del satyagraha applicata alle
lotte politiche su grande scala, piu' di quanto potremmo sperare di coprire
in questo breve testo. Accennero' soltanto a cinque considerazioni che
potrebbero servire a dare un'idea di cosa puo' fare la differenza fra
successo e fallimento (e perche' e' cosi' sbagliato concludere che "la
nonviolenza non funziona" solo perche' un gruppo che si e' astenuto
dall'usare apertamente la violenza non ha realizzato i suoi obiettivi).
*
L'addestramento
Da un certo punto di vista, l'intera vita di una persona dovrebbe essere un
addestramento alla nonviolenza; ecco perche' Gandhi ha voluto i suoi piu'
stretti collaboratori a vivere con lui nei suoi ashram. Esattamente come
l'addestramento militare disumanizza sistematicamente i futuri soldati (e
questo e' uno dei costi piu' tristi del sistema di guerra), cosi'
l'addestramento per il satyagraha richiede una crescita del nostro coraggio
e della nostra umanita'. Allo stato attuale stiamo lentamente sviluppando il
modo di fare questo tipo di addestramento. La maggior parte delle
organizzazioni che effettuano l'intervento nonviolento (si veda la parte
III, piu' avanti) offre ora brevi addestramenti per i loro operatori sul
campo ed esiste piu' di un'organizzazione il cui unico scopo e' fare
addestramento (per esempio il Training for Change di Filadelfia).
*
La strategia
Una lotta nonviolenta e' come una conversazione con i propri avversari, una
conversazione che deve avvenire nel regno dell'azione, perche' essi non sono
disposti ad ascoltare le nostre parole molto a lungo. A volte possiamo
creare una situazione in cui devono lasciarci entrare in una zona illegale,
per esempio, e devono usare cosi' tanta violenza per fermarci che l'opinione
pubblica ci concedera' il suo appoggio. Un'altra strategia e' quella di
condurre l'avversario in un confronto dove la sua violenza e la nostra
nonviolenza si fronteggino in modo evidente, e l'ultima prevalga. Oggi
questo lo chiamiamo "un momento nonviolento". Un buon esempio e' il cruciale
satyagraha del 1930 che considero' solo una questione di tempo per l'India
l'ottenere la sua indipendenza.
*
La sincronizzazione
Come in ogni "conversazione", a volte esprimiamo il nostro punto di vista
parlando, a volte gesticolando, altre volte ancora facendo qualche cosa di
concreto. Molto dipende dall'umore o dalla compiacenza ad ascoltare della
controparte, e parte del satyagraha consiste nel portarla gradualmente ad
ascoltarci. Noi siamo sempre pronti a supporre che il nostro avversario e'
disponibile a venirci incontro, spesso piu' di quanto egli possa farlo.
Supponendo il meglio, noi tendiamo a evocare il meglio. Gandhi ha continuato
a fidarsi di Smuts anche dopo che quest'ultimo lo aveva colpevolmente
tradito. Alla fine, come sappiamo, e' stato sostenuto sia dal successo
politico sia dall'ammirazione personale di Smuts.
D'altra parte, dobbiamo uniformarci alla determinazione del nostro
avversario. C'e' un importante confine fra la fase del fare una petizione e
l'esigenza di un satyagraha, dal punto di vista della resistenza
nonviolenta: il punto a cui l'avversario non e' piu' tanto disposto ad
ascoltarci e noi abbiamo bisogno di un via per aprire il suo cuore. Cosi'
Gandhi ha scritto: "Le cose di importanza fondamentale per la gente non sono
assicurate dalla sola ragione ma devono essere acquistate con la loro
sofferenza... Se desiderate qualcosa realmente importante da essere fatta
non dovete soltanto soddisfare la ragione, dovete spostare anche il cuore
(16). Quando questo diventa necessario e' meglio essere consapevoli che c'e'
una differenza qualitativa tra la sofferenza passiva e involontaria di una
vittima e la sofferenza volontaria di un vincitore, che in virtu' di questa
sofferenza si erge sopra le circostanze e ha un potente effetto su chi
guarda. Come direbbe Martin Luther King, "la sofferenza non meritata e'
redentiva".
Abbiamo attraversato questo confine nel febbraio del 2003, quando il
presidente George W. Bush ha dichiarato che non aveva bisogno di prendere
sul serio milioni di persone che avevano dimostrato in tutto il mondo contro
l'invasione pianificata dell'Iraq: erano solo "un gruppo di discussione". In
quel momento la protesta non era piu' adeguata (qual e' il senso di dire
alla gente come vi sentite, quando vi hanno appena detto che non gli
importa?). Il passo seguente era la disobbedienza civile. E qui e' bene
ricordarsi che piu' e' costruttivo il programma che abbiamo in corso e prima
cominciamo la "conversazione" con il nostro avversario, meno la "legge della
sofferenza" sara' richiesta.
*
La concretezza
C'e' un'affinita' naturale tra "l'adesione alla verita'", ovvero la sua
realta', e l'azione concreta. In generale, i gruppi per la pace oggi fanno
un uso eccessivo di simboli. Marciare (quando non avviene nei posti che sono
proibiti o e' in qualche modo impedito), fare raduni, tenere cartelli agli
angoli delle strade, portare striscioni, tutte queste azioni hanno
un'utilita' molto limitata nel satyagraha.
Possono far arrivare un messaggio - premesso che il nostro pubblico sia
dell'umore giusto per ascoltarlo - e possono generare un senso provvisorio
di comunita' e di sostegno reciproco, ma un sentimento piu' profondo e
durevole di comunita' e' quello che viene dal lavorare insieme per un
obiettivo concreto. Nel migliore dei casi, allora, i simboli possono unire i
nostri spiriti e a volte trasmettere il giusto messaggio ad altri; nel
peggiore, una protesta o una dichiarazione puo' farci "sentire bene" senza
generare un reale cambiamento (puo' persino segnalare che non abbiamo modo
di fare un cambiamento reale, che e' un grave errore nel satyagraha). Il
punto non e' scaricare la pressione, ma sfruttarla "liberandola con
disciplina per ottenere il massimo effetto".
Cindy Sheehan e' stata definita "un simbolo" della resistenza alla guerra in
Iraq, ma e' una persona molto reale (io l'ho incontrata) con una rimostranza
molto reale contro il presidente. La marcia di Gandhi verso il mare nel 1930
era un simbolo drammatico, ma non si dimentichi che ha raggiunto un mare
reale e ha preso del sale reale, illegalmente. Il simbolo migliore e' lo
stesso atto concreto.
*
I numeri e la pubblicita'
Un termine recente per satyagraha e' "il potere del popolo", il potere di un
gran numero di persone di resistere alla repressione organizzata. E' stato
coniato durante l'insurrezione filippina del 1986, ma questa insurrezione ha
anche coinvolto quello che mi piace chiamare "il potere della persona": il
potere quasi illimitato della verita' che risiede inalterata nell'individuo.
Satyagraha e' "la forza dell'anima", dopo tutto, ed e' bene ricordarsi che
soltanto un individuo ha un'anima. Le organizzazioni, le folle e le
multinazionali non ce l'hanno. Ci sono certamente momenti in cui i numeri
sono di grande aiuto, ma nel satyagraha ci sono anche momenti in cui una
singola persona e' la chiave. Nel 1942, quando Gandhi non volle distrarre i
britannici dalla loro "conversazione" con le potenze dell'Asse, ma cio'
nonostante riteneva che dovesse essere data comunque attenzione alle
richieste dell'India, ha invitato una persona, il suo grande discepolo
Vinoba Bhave, a effettuare il "satyagraha di uno". Un milione di persone
fanno il loro effetto, ma e' lo stesso effetto ottenuto da una singola
persona che e' un milione di volte piu' preparata.
*
Quando non dovremmo praticare il satyagraha?
In Germania alcuni mesi fa un adolescente impazzito si e' intrufolato in una
folla di persone senza destare sospetti e ne ha ferite diciannove prima di
essere bloccato. Ora, se satyagraha significasse che non possiamo mai usare
la violenza, non potremmo usarlo in una tale situazione. Ma satyagraha, si
ricordi, non e' principalmente una proibizione di qualcosa, e' amore in
azione, e' una sfida per noi a portare l'amore-in-azione a farsi carico di
una situazione. Gandhi stesso era molto chiaro su questo punto (tenete a
mente l'11 settembre mentre leggete questo): "Togliere la vita puo' essere
un dovere... Si supponga che un uomo in preda alla follia giri furiosamente,
spada nella mano, uccidendo chiunque incontra sulla sua strada, e nessuno ha
abbastanza coraggio da catturarlo vivo. Chiunque elimini questo pazzo si
guadagnera' la gratitudine della comunita' ed e' da considerarsi un
benefattore" (17).
Un vero satyagrahi non esiterebbe a fermare una tale persona e, se non c'e'
altro modo, a fermarlo con una forza letale. Tuttavia, ci sono tre cose che
sono indicative della profonda differenza di metodo fra il satyagrahi e la
persona che ancora fa affidamento sulla violenza:
- per quanto sta in noi, non odiare la sfortunata persona che e' causa di
pericolo;
- prepararsi a tali emergenze prima che accadano, percha' se abbiamo avuto
tempo per prepararci possiamo usarlo per risposte nonviolente;
- non concludere che il nostro uso della forza ha risolto la situazione.
La situazione implica la cultura che conduce oggi a tanti episodi di questo
genere; la nostra responsabilita' ci conduce a fare qualcosa per cambiare
quella. Per noi, la forza fisica e' un segno del fallimento, non del
successo.
E' conveniente qui precisare che sia Gandhi sia King hanno usato spesso la
parola "morale" per descrivere il satyagraha, ma questo perche' non c'era
nessun adeguato linguaggio a disposizione - e cosi' e' ancora - per
descrivere le forze non fisiche.
Un satyagrahi tendera' inevitabilmente a mantenere un dato credo che puo'
differire fortemente da quello della maggioranza. Lui o lei credera' che ci
sia una strada per risolvere ogni conflitto in modo che tutte le parti ne
traggano vantaggio, e che non importa quanto depravata la gente possa
essere, c'e' sempre un cuore di bonta' sepolto nel loro profondo. Lui o lei
non credera', come la maggioranza ancora crede, che la forza distruttiva
puo' risolvere permanentemente i problemi e condurre a fini costruttivi.
Cio' nonostante, il satyagraha non e' propriamente parlando una religione o
un dogma. Se uno e' un vero satyagrahi non manterra' nessuno di questi credi
in modo acritico, e certamente non li usera' per rifiutare o stigmatizzare
gli altri. Cerchera' sempre la piu' alta verita', tenendo tutte le sue
credenze come ipotesi da esaminare costantemente nel laboratorio
dell'esperienza. Cio' gli permette di "aderire fermamente alla verita'"
senza creare divisioni: noi riconosciamo che la nostra verita' e'
privilegiata soltanto nel senso che e' la verita' che dobbiamo vivere e
mettere alla prova: ognuno ha una qualche verita' ed essere umani significa
lavorare insieme per il perfezionamento delle nostre verita'.
*
Il programma costruttivo
Come abbiamo gia' visto, il satyagraha ha avuto due corde al suo arco
nonviolento fin dall'inizio nel 1894. Ha implicato sia la non-cooperazione
con la malvagita' - il rifiuto di obbedire alle leggi sul passaggio, le
limitazioni alla circolazione e altre misure ingiuste (a volte la parola
satyagraha significa soltanto questa parte) -, sia la cooperazione col bene
sotto la forma della formazione politica e non solo nella comunita' indiana,
gli esperimenti di vita comunitaria, l'agricoltura e la semplicita'. Il lato
cooperativo alla fine si ritrova formalizzato nel "programma costruttivo"
della lotta indiana.
Anche all'interno del movimento per la pace non e' stato spesso
sufficientemente apprezzato, oggi e' persino ignorato dietro il bagliore
della resistenza nonviolenta. Tuttavia in un certo senso e' molto piu'
importante. Con un buon programma costruttivo, il confronto e l'ostruzione
possono quasi diventare inutili; senza di esso persino le rivolte
nonviolente piu' efficaci hanno visto il loro lavoro andare a vuoto. Nelle
Filippine, in Sudafrica, in Serbia e nell'ondata di "rivoluzioni colorate"
che hanno avuto seguito nell'Europa orientale, studenti coraggiosi e altre
persone hanno spodestato regimi dispotici, e lo hanno fatto con costi piu'
bassi e solitamente molto meno tempo di quanto sarebbe stato nel caso in un
rovesciamento violento, solo per vedere le loro societa' scivolare
nuovamente nella violenza strutturale che aveva causato tutte le precedenti
agitazioni (Viktor Yanukovych, spodestato dalla famosa rivoluzione arancione
dell'Ucraina, e' ora nuovamente al potere).
In India, il Programma Costruttivo fu sviluppato attraverso diciotto
progetti che andavano dall'eliminazione dell'intoccabilita' al boicottaggio
dei tessuti stranieri e all'emancipazione delle donne. Tutti sono stati
raggruppati intorno al principio dello swadeshi o del localismo, e il piece
de resistance che ha simbolizzato e tenuto tutto insieme era il charkha,
l'arcolaio. Oggi ci sono innumerevoli progetti che alla fine saranno la
matrice di nuova civilizzazione libera dalla violenza. Molti stanno
ricostruendo le comunita' che sono state oppresse e sfruttate, solitamente
da industrie multinazionali e governi conniventi, facendo cosi' in modo che
la morsa soffocante di quelle istituzioni sia significativamente allentata,
spesso senza che se ne accorgano, o siano comunque in grado di opporsi (18).
Tutto quello di cui difettano per sbloccare il loro potenziale
rivoluzionario e' la consapevolezza che essi sono di fatto un programma
costruttivo ampiamente disperso che puo' essere coordinato ed equilibrato
con i metodi ostruttivi quando necessario. Cio' nonostante, questi progetti
stanno andando avanti, un po' dappertutto nel mondo (19); qui e la', gruppi
come il Positive Futures Network negli Stati Uniti, stanno cercando di
sviluppare e divulgare la grande visione che darebbe origine a questa
crescita di coscienza.
*
III. Il satyagraha oggi
"La nonviolenza e' venuta fra gli uomini e vivra'. E' l'annunciatrice della
pace del mondo" (M. K. Gandhi)

Quando il Mahatma Gandhi cadde sotto le pallottole di un assassino, il
radiocronista Paul Grimes trasmise la notizia affermando: "Il Mahatma Gandhi
e' morto... anche la forza dell'anima e la nonviolenza sono morte". Era
completamente in errore.
Poiche' la nonviolenza e la pace generalmente sono ignorate nella cultura
moderna, molti di noi ignorano in che misura queste forze si siano
notevolmente sviluppate negli anni successivi al gennaio 1948, sia
quantitativamente sia qualitativamente, sia nell'estensione sia nella
varieta' delle tecniche che la gente ha trovato e messo in atto in questa
"nuova" forza. In un solo anno, tra il 1989 e il 1990, ci furono tredici
rivolte contro governi dispotici, di cui almeno dodici erano prevalentemente
non violente (non guastate cioe' dal ricorso alla violenza) se non
completamente nonviolente (guidate cioe' dal desiderio attivo del benessere
dell'avversario). L'eccezione, la Romania, fu di gran lunga la rivoluzione
piu' violenta delle transizioni post-comuniste, e tipicamente realizzo' il
minor cambiamento. Tutte, tranne una - la disastrosa rivolta di Tienanmen in
Cina - portarono i loro partecipanti alla liberta'. E, come dice il Dalai
Lama: "Se perdete, almeno state attenti a non perdere la lezione".
Noi possiamo imparare una lezione dalla tragedia di Tienanmen: gli studenti
e gli altri dimostranti insistettero troppo e per troppo tempo nell'occupare
quella piazza che e' il simbolo stesso della Cina. Se a un certo punto
avessero lasciato la piazza al regime, disseminandosi in tutto il paese,
educando e organizzando nelle scuole, nelle campagne, nelle fabbriche, e'
possibile che oggi non soltanto sarebbero vivi, ma avrebbero acquisito una
posizione piu' favorevole per raggiungere la liberta'.
Cio' che abbiamo appena fatto - ricavando una lezione dai punti di forza e
dalle debolezze di una campagna nonviolenta - illustra una delle
caratteristiche piu' promettenti del satyagraha durante gli ultimi cento
anni, e aggiunge un nuovo elemento alla storia umana: l'apprendere
intenzionale dagli eventi nonviolenti per costruirne di migliori, infine per
sviluppare una cultura nonviolenta. Perche' soltanto gli strateghi militari
dovrebbero studiare il loro passato e comprenderne la lezione? Proprio come
Hitler trasse giovamento dall'indifferenza del mondo verso il genocidio
degli armeni; cosi' anche il regime cinese si senti' evidentemente
incoraggiato dall'indifferenza del mondo di fronte alla repressione brutale
degli studenti ribelli della Birmania nel 1988, e cosi' noi stiamo
imparando, lentamente ma con sicurezza, che cosa il satyagraha puo' fare e
come puo' essere usato. Come oggi sappiamo, decine di satyagrahi della lotta
per la liberta' dell'India vennero negli Stati Uniti per aiutare il
movimento per i diritti civili; e molti leader americani fecero un viaggio
di istruzione-pellegrinaggio in India, compreso lo stesso Martin Luther King
(20). Dopo la rivoluzione del 2000 di Otpor, che fece vacillare il
presidente Slobodan Milosevic in Serbia, sebbene i media e il grande
pubblico non seppero o non appresero granche' di questo importante evento,
l'International Center for Nonviolent Conflict diede vita a un gruppo
denominato Center for Advancement of Nonviolent Conflict (Canvas) in modo
che i veterani della lotta serba potessero condividere le loro esperienze
con altri, influenzando positivamente quell'ondata di "rivoluzioni colorate"
che hanno determinato le transizioni alla democrazia in Georgia, Ucraina,
Libano e Kyrgyztan (si veda la bibliografia finale per ulteriori
particolari). Otpor stesso ricevette un sostegno importante da alcune
organizzazioni governative americane - a un costo ridicolmente basso se
confrontato a quello dato alle spedizioni militari - e dalle traduzioni in
serbo dei testi fondamentali del teorico della nonviolenza Gene Sharp.
Studiosi e attivisti stanno sviluppando costantemente il vocabolario di
questa nuova scienza e stanno introducendo aria fresca nei venti di
cambiamento politico che stanno spazzando il mondo.
Le altre insurrezioni citate sopra, in Lettonia, Bulgaria, Kazakhistan,
Ungheria, Indonesia e Cile tra gli altri posti, abbracciano una popolazione
di 1,7 miliardi di persone, cioe' un terzo del pianeta. Se facciamo un passo
indietro e guardiamo a tutto il secolo passato, comprendendo anche l'India
nel conteggio, abbiamo un dato sbalorditivo: 3,3 miliardi di persone, cioe'
piu' della meta' della popolazione umana della terra, ora gode delle
liberta' che precedentemente le erano negate (e nella maggior parte dei casi
senza alcun ricorso alla violenza) grazie al satyagraha (21).
Considerando il semplice risultato di queste lotte - e, si ricordi, noi
stiamo parlando soltanto di una tipologia, vale a dire delle insurrezioni -
e' triste e scioccante che il mondo in generale conosca ancora cosi' poco,
racconti cosi' poco e insegni ancora meno circa "l'arma incomparabile" del
satyagraha.
Tuttavia da un altro punto di vista, che potenziale ci sarebbe per il
cambiamento! Questa e' forse la sfida piu' grande e piu' urgente che sta di
fronte agli uomini di buona volonta': aprire gli occhi del mondo ai molti
usi di questo potere.
Come mio piccolo contributo, lasciatemi concludere questa breve indagine dei
movimenti di questo tipo avanzando l'osservazione che oggi molti di questi
sono classificabili come Programma Costruttivo senza Programma Ostruttivo,
oppure come Programma Ostruttivo senza Programma Costruttivo. Pochi hanno
goduto dell'equilibrio e del coordinamento di queste due componenti della
nonviolenza, che sono risultate cosi' efficaci nelle lotte di Gandhi e in
quelle di Martin Luther King negli Stati Uniti. Oggi in Brasile stiamo
assistendo a uno dei piu' grandi movimenti sociali che il mondo abbia mai
visto: il movimento contadino dei senza terra (Movimento dos Trabalhadores
Rurais Sem Terra, Mst), con piu' di un milione e mezzo di membri. Il Mst e'
quasi interamente basato su cio' che Gandhi chiamava Programma Costruttivo.
Mettendo in pratica un articolo della Costituzione brasiliana che assegna le
terre inutilizzate a coloro che le rendono produttive, centinaia di migliaia
di brasiliani in condizioni di miseria hanno occupato i terreni non
coltivati (soltanto il 3% della popolazione del Brasile possiede quasi i due
terzi del terreno arabile) e formato cooperative con scuole, ambulatori
sanitari, industrie edili - in una parola, realizzando societa' parallele
quasi complete - e hanno rivendicato dal loro governo, spesso con successo,
il diritto a quella terra. Tuttavia nel complesso il Mst non si e' dotato di
alcuna misura per le necessita' del satyagraha, nel senso di una resistenza
attiva. Una volta a confronto con la brutalita' della polizia e dei
paramilitari inviati a sgomberare le terre occupate, i contadini sono
scappati, oppure hanno combattuto con qualsiasi arma avessero a portata di
mano, e in questi scontri oltre mille attivisti sono stati uccisi.
Piu' spesso abbiamo assistito ad azioni ostruttive, prive di azione
costruttiva, e abbiamo visto societa' che ricadevano in molte delle stesse
difficolta' da cui avevano cominciato a liberarsi (come nelle Filippine, in
Sudafrica e in Serbia). Ma, dappertutto, la gente sta imparando che la
volonta' collettiva non ha bisogno del sostegno della violenza, come accade
per l'oppressione patrocinata dagli stati. Sta imparando di aver avuto in
eredita' il satyagraha, che puo' far proprio con lo studio, la preparazione
personale e la pratica.
Un esperimento gandhiano va oltre la semplice promessa. Da quando nel 1981
un'organizzazione denominata International Peace Brigades fu fondata durante
una storica riunione a Grindstone Island nel Canada, circa un dozzina di
altre organizzazioni e' venuta alla luce per portare avanti un sogno che e'
rimasto irrealizzato quando il Mahatma ha abbandonato le sue spoglie
mortali: il sogno che gente disarmata, o piuttosto gente armata mentalmente
con l'arma incomparabile del satyagraha, potesse prestare la propria
presenza, i propri buoni uffici e nel caso estremo le loro vite alla causa
della pace in conflitti aperti anche su grande scala. La storia di cio' che
ora e' denominato Third Party Nonviolent Intervention (Tpni) e' ormai
documentata relativamente bene e l'importante testimonianza di questo
percorso e' disponibile al mondo (22). Il sogno, che era cominciato molto
prima con l'esercito della pace di Gandhi (lo Shanti Sena), ha fatto un
passo avanti decisivo nel 1999, quando David Hartsough, attivista di san
Francisco per i diritti umani e la pace, e Mel Ducan, veterano organizzatore
della Comunita' St. Paul, si conobbero alla Hague Peace Conference. In tre
anni hanno messo in piedi un'organizzazione con uffici a St. Paul e a San
Francisco, che si e' guadagnata l'approvazione di sette premi Nobel per la
Pace, ha stabilito basi in Europa e Asia e ha cominciato abilmente a
sviluppare una rete di partecipanti e volontari di ogni parte del mondo per
creare una forza di intervento nonviolento che potrebbe salvare il mondo
dall'imbarazzante alternativa tra il restare passivi e l'intervenire in
maniera distruttiva con la coercizione militare, quando gli odi divampano
fuori da ogni controllo. Al momento di questo scritto il Nonviolent
Peaceforce porta avanti con successo un progetto pilota in Sri Lanka, che
comprende trenta gruppi operativi sul campo e i loro sostenitori. Questi
uomini e donne coraggiosi provenienti da molte parti del mondo (Nonviolent
Peaceforce ha affiliate 94 associazioni dei cinque continenti) permette alle
madri angosciate di salvare i loro bambini che erano stati rapiti per essere
usati come soldati, salva le vite di individui che sono sotto attacco
diretto e in particolare ha permesso il ritorno a casa di 1.600 abitanti dei
villaggi che erano fuggiti sotto la minaccia di rappresaglie militari in una
delle parti piu' pericolose dell'isola. Mentre le prospettive sono ancora
lontane dall'essere chiarite in Sri Lanka, al momento in cui scrivo,
comunque il lavoro umile di Nonviolent Peaceforce ha contribuito
sostanzialmente a una parvenza di vita normale e di stabilita' nelle quattro
zone chiave in cui sono presenti. Nonviolent Peaceforce ora ha una squadra
esplorativa in Mindanao e si sta muovendo per avviare simili operazioni in
Nord Uganda e Colombia. Con l'inizio di accordi cooperativi con diverse
agenzie dell'Onu, Nonviolent Peaceforce si e' messa nella giusta posizione
per ottenere il sostegno di governi illuminati che permetterebbe loro di
avanzare verso una successiva fase molto piu' estesa di globale
peacekeeping. Con gli altri sviluppi in corso che avvengono nell'altra
"superpotenza", la societa' civile, Nonviolent Peaceforce ha un potenziale
cospicuo da offrire all'umanita' con la "prova oculare" che possiamo vivere
senza guerra. E perfino, in un certo giorno benedetto, senza odio.
*
Dove stiamo andando?
Comunita' che sostengono l'agricoltura, banche etiche, sistemi energetici
fuori della rete, monete locali e sistemi di baratto, citta' verdi,
programmi di studi per la pace, il World Social Forum, mille fiori del
programma costruttivo stanno sbocciando in questo mondo. Attraverso la
mobilitazione del potere della gente si generano spazi di liberta' per i
popoli della terra. La sensazione trasmessa dai mass-media che il mondo sia
fagocitato dalla violenza e che non ci sia niente che noi possiamo fare a
questo proposito (poiche' dopo tutto e' nella natura umana distruggere ed
essere distrutti!) - la stessa sensazione trasmessa dal radiocronista Paul
Grimes quando Gandhi mori' - e' tragicamente fuorviante.
Senza spendere troppo della nostra energia lamentando le imperfezioni della
stampa, del sistema di istruzione e della cultura in generale, possiamo
muoverci in avanti, indirizzandoci verso alcune aree dove noi che cerchiamo
un cambiamento nonviolento largo e profondo abbiamo ancora bisogno di
crescere. Costruiamo un mondo in cui ogni bambino impari il satyagraha, una
scienza che ancora a pochi di noi nel mondo moderno e' stata svelata.
Stiamo gia' facendo i primi passi. Basandosi sull'opera di Gene Sharp del
Center for the Study of Nonviolent Sanctions di Harvard, i cui tre volumi
sulla Politica dell'azione nonviolenta (23) hanno descritto quasi duecento
tattiche specifiche (sebbene non tutte sembrino adatte ai criteri del
satyagraha gandhiano), l'International Center on Nonviolent Conflict ha
prodotto un gioco in dvd sulle strategie nonviolente, A Force More Powerful!
Recentemente, la futurologa americana Joanna Macy ha descritto tre zone o
tre dimensioni in cui il cambiamento verso un futuro nonviolento ha
cominciato a definirsi: ci sono riforme politiche come la campagna contro la
pena di morte negli Stati Uniti, le lotte antimilitariste, come il
contro-reclutamento e la campagna per la messa al bando delle mine, e
naturalmente il coraggioso lavoro del Tpni. Queste azioni hanno l'obiettivo
di limitare o di invertire i danni del sistema dominante sotto cui stiamo
vivendo - cioe' fanno parte del programma ostruttivo. Inoltre ci sono i
molti esperimenti in tante zone del mondo che ci daranno i pezzi di un nuovo
mondo sostenibile - un programma costruttivo (sebbene di nuovo non molta
della gente illuminata che le realizza e' consapevole di cio'). Insieme
costituiscono il satyagraha nel suo significato piu' ampio. E, bisogna
aggiungere, c'e' il lavoro cruciale di innalzamento della coscienza, sia
conoscitivo sia spirituale, cruciale perche' il cambiamento verso un nuovo
sistema e' troppo urgente per essere lasciato ai modi usuali di sviluppo
culturale. Dobbiamo generare questo cambiamento di paradigma piu'
coscientemente dei cambiamenti precedenti che hanno segnato le tappe dello
sviluppo umano, mentre allo stesso tempo traiamo le nostre energie da cio'
che Agostino ci ricorda essere il nostro desiderio inconscio piu' profondo,
il desiderio di pace con tutto cio' che vive.
*
Conclusioni
Il 7 dicembre 1961, Eleanor Roosevelt, in un editoriale per il "New York
Post", scrisse che "cio' che accadde a Pearl Harbor venti anni fa mette in
rilievo il fatto che dovremmo essere sempre pronti al peggio, anche se il
peggio sembra altamente improbabile". I quattro anni che seguirono l'attacco
su Pearl Harbor costarono la vita a dieci milioni di esseri umani. E' tempo
di realizzare che anche se ci puo' essere un qualche valore nel prepararsi
al peggio, a meno che noi non siamo consapevoli del meglio e lavoriamo per
esso, sara' sicuramente il peggio a capitarci. Ogni volta che noi ricordiamo
l'11 settembre, come dovremmo, noi dobbiamo ricordarci di entrambi. Se
facessimo cosi', proprio mentre sentiamo l'angoscia del recente 11 settembre
piu' profondamente, noi non cadremmo nella disperazione. Non piangeremmo per
le azioni disperate che hanno fallito cosi' malamente in Afghanistan e in
Iraq.
Sicuramente Eleanor Roosevelt non sapeva che proprio un anno prima della sua
dichiarazione Vinoba Bhave, considerato il principale discepolo di Gandhi a
causa del suo orientamento spirituale, stava attraversando la valle di
Chambal in Madhya Pradesh durante uno dei suoi padayatra o pellegrinaggi a
piedi. Gli fu detto che la zona era "infestata" dai dacoits, considerati
banditi da diverse generazioni, ma Bhave, evitando saggiamente il
pregiudizio che disumanizza, disse che no, la regione "non e' infestata da
dacoits", ma "e' abitata da gente virtuosa". Fondandosi sulla sua autorita'
nonviolenta, invio' un messaggio a quegli uomini che, se si fossero
presentati a lui e si fossero convertiti, egli avrebbe fatto in modo che
fossero trattati equamente dalla legge. Avrebbero dovuto pagare qualche
penalita', ma successivamente nessun'altra punizione sarebbe stata inflitta
a loro stessi o alle loro famiglie.
Sorprendentemente (per alcuni), costoro vennero a deporre le loro armi ai
suoi piedi, evitando uno scontro sanguinoso con le autorita'. Potrebbe il
satyagraha essere anche la risposta al terrorismo? Potrebbe indicare la
fuoriuscita dalla guerra?
La storia ci ha messo davanti due 11 settembre, ognuno dei quali al limitare
del XX secolo, portatori di opposti messaggi. Essi pongono davanti a
ciascuno di noi una scelta. Scegliendo la nonviolenza, Gandhi direbbe che
noi abbiamo deciso che i figli dei nostri figli possano vivere.
*
Per ulteriori studi
- Ackerman P., Duvall J., A Force More Powerful: a Century of Nonviolent
Conflict, New York, Palgrave, 2000.
- Boardman E., Taking a Stand: A Guide to Peace Teams and Accompaniment
Projects, Gabriola Island, Canada, New Society, 2005.
- Easwaran E., Gandhi the Man: The Story of His Transformation, Petaluma,
CA, Nilgiri Press, 1972-1997.
- Easwaran E., Badshah Khan, Il Gandhi musulmano, Torino, Sonda, 1990 (per
altre notizie sullíautore Eknath Easwaran si rimanda al sito
www.easwaran.org).
- Gandhi M. K., Antiche come le montagne, Milano, Comunita, 1978.
- Gandhi M. K., Una guerra senza violenza, Firenze, Lef, 2005.
- Gandhi M. K., Constructive Programme: its Meaning and Place, Ahmedabad,
Navajivan, 1941.
- Gandhi M. K., Sarvodaya: un'economia a servizio degli ultimi, in "Quaderni
satyagraha", n. 6, Pisa, Centro Gandhi, 2004.
- Pignatti Morano M., Il peace-keeping non armato, Firenze, Lef, 2005.
- Nagler M., Per un futuro nonviolento, Milano, Ponte alle Grazie, 2005.
- Slattery L., et al., Engage: Exploring Nonviolent Living, Oakland, Pace e
Bene Press, 2005.
- Zunes S., Kurtz L., Asher B., Nonviolent Social Movements: a Geographical
Perspective, Oxford, Blackwell, 1999.
*
Film
- Ackerman P., Duvall J., Bringing Down a Dictator (2002).
- Attenborough R., Gandhi (1980).
- British Broadcasting System, Gandhi's India.
*
Siti web
www.nonviolentpeaceforce.org
www.mettacenter.org
www.gandhiserve.com (include CWMG)
www.nonviolence.org
www.calpeacepower.org
www.cnvc.org
www.rainonline.org
*
Note
15. Si veda N. Stolzfuss, Resistance of the Heart: Intermarriage and the
Rosenstrasse Protest in Nazi Germany, New York, W. W. Norton & Co., 1996.
16. Pubblicato in "Young India", cfr. CWMG, cit., vol. 54 (5 novembre 1931),
p. 48.
17. "Young India", 11 aprile 1926, p. 395, cfr. All Men Are Brothers, p.
119.
18. Un modo efficace e' creare istituzioni parallele, come ad esempio nella
prima Intifada in Palestina.
19. Questi progetti sono regolarmente segnalati nelle riviste "Ye!" e "Ode";
altri sono discussi in F. Moore Lappe' - A. Lappe', Hope's Edge, New York,
Jeremy P. Tarcher/Putnam, 2003, www.greatturningtimes.org e altre fonti.
20. S. Kapur, Raising Up a Prophet: the African American Encounter with
Gandhi, Boston, Beacon Press, 1992.
21. Cfr. R. Deats, The Global Spread of Active Nonviolence, in Peace in the
way, ed. by W. Wink, Maryknoll, NY, Orbis Books, 2000, pp. 283-295.
22 Si veda lo studio di fattibilita' del Nonviolent Peaceforce nel sito
www.nonviolentpeaceforce.org
23. Editi in italiano dal Gruppo Abele di Torino (ndt).
(Parte seconda - Fine)

3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

4. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1412 dell'8 settembre 2006

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