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La nonviolenza e' in cammino. 1412
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1412
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 8 Sep 2006 00:48:39 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1412 dell'8 settembre 2006 Sommario di questo numero: 1. Armando Stracciaroli: Dell'arte dell'ascolto e del conflitto 2. Michael N. Nagler: Speranza o terrore? Gandhi e l'altro 11 settembre (parte seconda e conclusiva) 3. La "Carta" del Movimento Nonviolento 4. Per saperne di piu' 1. CONTRORIME. ARMANDO STRACCIAROLI: DELL'ARTE DELL'ASCOLTO E DEL CONFLITTO [Ringraziamo il nostro amico Armando Stracciaroli per questo intervento, alcune cui formule potranno forse dispiacere a taluno] Non e' la nonviolenza l'arte vile di chiedere il permesso agli assassini di dissentire, e al colpo di staffile piagnucolando fare sorrisini. La nonviolenza e' lotta. Non e' lo stupidissimo monile dell'insipiente al naso e dei supini la lagna e del meschino e del puerile che invece di lottar si strappa i crini. La nonviolenza e' lotta. La nonviolenza e' la lotta alla guerra piu' forte della guerra, che la guerra nega ed estingue, e questa e' la sua scienza. La nonviolenza e' lotta. La nonviolenza e' lotta alla violenza piu' forte di ogni atto di violenza che la violenza affronta, spezza e atterra. La nonviolenza e' lotta. La nonviolenza e' lotta, senza lotta non si da' nonviolenza, non si da' dialogo, giustizia, liberta'. 2. RIFLESSIONE. MICHAEL N. NAGLER: SPERANZA O TERRORE? GANDHI E L'ALTRO 11 SETTEMBRE (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Ringraziamo di cuore gli amici del Centro Gandhi di Pisa e della redazione dei "Quaderni satyagraha" (via Santa Cecilia 30, 56127 Pisa, sito: www.centrogandhi.it) per averci messo a disposizione come anticipazione il seguente testo di Michael N. Nagler (nella traduzione di Marco Pieroni) dal Centro Gandhi pubblicato fuori commercio in edizione speciale per il convegno "100 anni di Satyagraha - la forza della nonviolenza" (Pisa, 8-11 settembre 2006), in collaborazione con Nonviolent Peaceforce, 425 Oak Grove Street, Minneapolis, MN 55403 Usa, sito: www.nonviolentpeaceforce.org e con Metta - Center for Nonviolence Education, P.O. Box 183, Tomales, CA 94971 Usa, sito: www.mettacenter.org e con Gandhi Serve Foundation, sito:www.gandhiserve.org ; il testo e' gia' disponibile altresi' nel sito del Centro Gandhi: www.centrogandhi.it Naturalmente quella qui esposta e' solo una delle interpretazioni della nonviolenza; altre se ne danno, diverse e in taluni punti finanche conflggenti con quella proposta da Nagler in questo testo (nel quale peraltro non mancano - come accade sovente nelle scritture pubblicistiche - opinioni discutibili e ricostruzioni talora anche piu' che discutibili), testo che costituisce comunque senza dubbio un utile ed autorevole contributo di memoria e di riflessione (p. s.). Michael N. Nagler, prestigioso studioso e amico della nonviolenza, e' professore emerito e fondatore del Peace Studies Program alla University of California di Berkeley. Tra le sue opere in inglese: (con Eknath Easwaran), The Upanishads, Nilgiri Press, 1987; America Without Violence: Why Violence Persists and How You Can Stop It, Island Press, 1982; Is There No Other Way: The Search for a Nonviolent Future, Inner Ocean Publishing, 2001; in italiano: Per un futuro nonviolento, Ponte alle grazie, Firenze 2005. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito d el Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef; Una guerra senza violenza, Lef (traduzione del primo, e fondamentale, libro di Gandhi: Satyagraha in South Africa). Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'; Feltrinelli ha recentemente pubblicato l'antologia Per la pace, curata e introdotta da Thomas Merton. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma 1999; tra le piu' recenti pubblicazioni segnaliamo le seguenti: Antonio Vigilante, Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004; Mark Juergensmeyer, Come Gandhi, Laterza, Roma-Bari 2004; Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005; Enrico Peyretti, Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; Fulvio Cesare Manara, Una forza che da' vita. Ricominciare con Gandhi in un'eta' di terrorismi, Unicopli, Milano 2006] Chi puo' praticare il satyagraha? Chiunque puo' praticare il satyagraha. Essendo basato sulla forza dell'anima, non e' limitato alla forza del corpo. La formula per una campagna nonviolenta - resistere saldamente all'ingiustizia senza tentare di costringere, umiliare, o danneggiare i propri persecutori - puo' essere attuata in una miriade di modi creativi che si sono costantemente aggiunti dal tempo di Gandhi, come vedremo avanti, e permette la partecipazione di persone provenienti da ogni settore della vita. Nelle emergenze, alcune belle e riuscite campagne sono state effettuate sulla spinta del momento: forse la piu' famosa e' la dimostrazione davanti alla prigione di Rosenstrasse con cui le donne disarmate salvarono i loro mariti ebrei dalla Gestapo nella Berlino del 1943 (15). Ma riesce molto meglio quando i satyagrahi sono addestrati e hanno una strategia. Non dobbiamo essere un Gandhi o un Martin Luther King prima di intraprendere una lotta. Quando Gandhi ha mobilitato milioni di persone nelle fasi cruciali della sua campagna, probabilmente nessuno di loro aveva lo stesso grado di padronanza di se stesso e di pieta' universale che lui aveva raggiunto. E' meraviglioso avere l'ispirazione di un grande capo e la visione strategica per una lotta prolungata, ma dai giorni di Gandhi e di King (o di Cesar Chavez e altri) gli attivisti hanno trovato modi di organizzarsi e rimanere ragionevolmente nonviolenti di fronte a una dura repressione. Negli ultimi trenta anni circa masse di persone, in molti casi senza un singolo "carismatico" capo, hanno portato avanti ripetutamente campagne che sono state in gran parte esenti dalla violenza almeno nell'azione e che non soltanto hanno persuaso (o se non e' stato possibile, costretto) i loro governanti a cambiare corso ma anche a farsi semplicemente da parte se non lo facevano. * Quando possiamo praticare il satyagraha? Ci sono tre condizioni per una lotta nonviolenta riuscita, o una campagna satyagraha: - La causa deve essere giusta. E' possibile usare le tecniche nonviolente nelle cause piu' dubbie ma le leggi del successo che stiamo discutendo non possono essere prese in considerazione in questi casi. Sbagliare le tecniche esteriori, o le forme per lo stesso satyagraha puo' condurre a una seria confusione: per esempio, recentemente un giornalista ha fatto riferimento ai metodi "gandhiani" nel caso dei coloni israeliani pesantemente armati e ideologizzati. I metodi privi dello spirito nonviolento condurranno spesso a cattivi risultati, e non dovremmo incolpare il satyagraha per ogni volta che cediamo alla violenza quando perdiamo una battaglia. - Bisogna avere coraggio. L'energia di base del satyagraha e' precisamente l'energia della paura convertita in forza attiva e creativa. Lo stesso si puo' dire della rabbia. Come Martin Luther King ha spiegato, nel movimento per i diritti civili, ne' ingoiarono la loro rabbia, ne' la lasciarono esplodere; "hanno controllato la rabbia e l'hanno liberata con disciplina per ottenere il massimo effetto". Questa e' una delle migliori formulazioni di cosa sia realmente il satyagraha, "un'uscita in assenza di vie d'uscita" che non e' ne' repressione basata sulla paura, ne' espressione basata sulla rabbia, ne' lotta, ne' fuga. Le campagne satyagraha possono andare avanti per anni. Quindi richiedono che il coraggio dei satyagrahi sia mantenuto. La pazienza e', quindi, una chiave essenziale per un successo nonviolento. Uno dei termini per la nonviolenza in arabo e' in effetti sabr, o a volte sumud, "pazienza, resistenza"; similmente, in America Latina si parla di firmeza permanente, "infinita determinazione". Per citare ancora King: "Noi uniremo la vostra capacita' di infliggere la sofferenza con la nostra capacita' di resistere alla sofferenza"; e ha aggiunto: "Noi non vi odieremo, ma non possiamo obbedire alle vostre leggi ingiuste. Percio' noi faremo appello al vostro cuore e alla vostra coscienza cosicche' vi vinceremo progressivamente". Questo conduce al terzo requisito: - Si deve superare la cattiva volonta' nei confronti dell'avversario. Per la maggior parte di noi questa sara' una lotta costante in cui riusciremo a sbalzi e gradualmente. Piu' vividamente ci ricordiamo che il nostro avversario reale non e' la persona ma l'ingiustizia, piu' il potere del satyagraha informera' le nostre azioni. Inoltre, aiuteremo il nostro avversario a vedersi non come un tiranno o un torturatore, ma come un essere umano bloccato in una relazione falsa. Nel 1922 Gandhi si chiamo' fuori da un satyagraha fino a quel momento ben riuscito, tra la costernazione di alcuni dei suoi piu' stretti collaboratori, quando alcuni dimostranti in una citta' chiamata Chauri Chaura persero il controllo e assassinarono i poliziotti che li avevano ingiuriati. Meglio non fare niente, penso', che nuocere sotto la bandiera del satyagraha. Queste sono le condizioni minime per una lotta satyagraha. Ma in se stesse non garantiscono il successo. Come abbiamo visto, un successo immediato e di lunga durata ("funzionare" e funzionare) sara' "matematicamente proporzionato" alla preparazione degli attivisti, e in piu' la strategia e la sincronizzazione sono critiche, particolarmente nelle lotte prolungate. Nel satyagraha, come in molte altre lotte, dobbiamo essere astuti come serpenti e innocenti come colombe. Una volta che si incontrano queste condizioni minime, cos'altro dovrebbe cercare un satyagrahi? * Gli ingredienti di una lotta ben riuscita Durante gli anni che vanno dalla storica riunione del 1906 all'indipendenza dell'India, quarantadue anni piu' tardi, gli studiosi e gli attivisti insieme hanno imparato molto circa la scienza del satyagraha applicata alle lotte politiche su grande scala, piu' di quanto potremmo sperare di coprire in questo breve testo. Accennero' soltanto a cinque considerazioni che potrebbero servire a dare un'idea di cosa puo' fare la differenza fra successo e fallimento (e perche' e' cosi' sbagliato concludere che "la nonviolenza non funziona" solo perche' un gruppo che si e' astenuto dall'usare apertamente la violenza non ha realizzato i suoi obiettivi). * L'addestramento Da un certo punto di vista, l'intera vita di una persona dovrebbe essere un addestramento alla nonviolenza; ecco perche' Gandhi ha voluto i suoi piu' stretti collaboratori a vivere con lui nei suoi ashram. Esattamente come l'addestramento militare disumanizza sistematicamente i futuri soldati (e questo e' uno dei costi piu' tristi del sistema di guerra), cosi' l'addestramento per il satyagraha richiede una crescita del nostro coraggio e della nostra umanita'. Allo stato attuale stiamo lentamente sviluppando il modo di fare questo tipo di addestramento. La maggior parte delle organizzazioni che effettuano l'intervento nonviolento (si veda la parte III, piu' avanti) offre ora brevi addestramenti per i loro operatori sul campo ed esiste piu' di un'organizzazione il cui unico scopo e' fare addestramento (per esempio il Training for Change di Filadelfia). * La strategia Una lotta nonviolenta e' come una conversazione con i propri avversari, una conversazione che deve avvenire nel regno dell'azione, perche' essi non sono disposti ad ascoltare le nostre parole molto a lungo. A volte possiamo creare una situazione in cui devono lasciarci entrare in una zona illegale, per esempio, e devono usare cosi' tanta violenza per fermarci che l'opinione pubblica ci concedera' il suo appoggio. Un'altra strategia e' quella di condurre l'avversario in un confronto dove la sua violenza e la nostra nonviolenza si fronteggino in modo evidente, e l'ultima prevalga. Oggi questo lo chiamiamo "un momento nonviolento". Un buon esempio e' il cruciale satyagraha del 1930 che considero' solo una questione di tempo per l'India l'ottenere la sua indipendenza. * La sincronizzazione Come in ogni "conversazione", a volte esprimiamo il nostro punto di vista parlando, a volte gesticolando, altre volte ancora facendo qualche cosa di concreto. Molto dipende dall'umore o dalla compiacenza ad ascoltare della controparte, e parte del satyagraha consiste nel portarla gradualmente ad ascoltarci. Noi siamo sempre pronti a supporre che il nostro avversario e' disponibile a venirci incontro, spesso piu' di quanto egli possa farlo. Supponendo il meglio, noi tendiamo a evocare il meglio. Gandhi ha continuato a fidarsi di Smuts anche dopo che quest'ultimo lo aveva colpevolmente tradito. Alla fine, come sappiamo, e' stato sostenuto sia dal successo politico sia dall'ammirazione personale di Smuts. D'altra parte, dobbiamo uniformarci alla determinazione del nostro avversario. C'e' un importante confine fra la fase del fare una petizione e l'esigenza di un satyagraha, dal punto di vista della resistenza nonviolenta: il punto a cui l'avversario non e' piu' tanto disposto ad ascoltarci e noi abbiamo bisogno di un via per aprire il suo cuore. Cosi' Gandhi ha scritto: "Le cose di importanza fondamentale per la gente non sono assicurate dalla sola ragione ma devono essere acquistate con la loro sofferenza... Se desiderate qualcosa realmente importante da essere fatta non dovete soltanto soddisfare la ragione, dovete spostare anche il cuore (16). Quando questo diventa necessario e' meglio essere consapevoli che c'e' una differenza qualitativa tra la sofferenza passiva e involontaria di una vittima e la sofferenza volontaria di un vincitore, che in virtu' di questa sofferenza si erge sopra le circostanze e ha un potente effetto su chi guarda. Come direbbe Martin Luther King, "la sofferenza non meritata e' redentiva". Abbiamo attraversato questo confine nel febbraio del 2003, quando il presidente George W. Bush ha dichiarato che non aveva bisogno di prendere sul serio milioni di persone che avevano dimostrato in tutto il mondo contro l'invasione pianificata dell'Iraq: erano solo "un gruppo di discussione". In quel momento la protesta non era piu' adeguata (qual e' il senso di dire alla gente come vi sentite, quando vi hanno appena detto che non gli importa?). Il passo seguente era la disobbedienza civile. E qui e' bene ricordarsi che piu' e' costruttivo il programma che abbiamo in corso e prima cominciamo la "conversazione" con il nostro avversario, meno la "legge della sofferenza" sara' richiesta. * La concretezza C'e' un'affinita' naturale tra "l'adesione alla verita'", ovvero la sua realta', e l'azione concreta. In generale, i gruppi per la pace oggi fanno un uso eccessivo di simboli. Marciare (quando non avviene nei posti che sono proibiti o e' in qualche modo impedito), fare raduni, tenere cartelli agli angoli delle strade, portare striscioni, tutte queste azioni hanno un'utilita' molto limitata nel satyagraha. Possono far arrivare un messaggio - premesso che il nostro pubblico sia dell'umore giusto per ascoltarlo - e possono generare un senso provvisorio di comunita' e di sostegno reciproco, ma un sentimento piu' profondo e durevole di comunita' e' quello che viene dal lavorare insieme per un obiettivo concreto. Nel migliore dei casi, allora, i simboli possono unire i nostri spiriti e a volte trasmettere il giusto messaggio ad altri; nel peggiore, una protesta o una dichiarazione puo' farci "sentire bene" senza generare un reale cambiamento (puo' persino segnalare che non abbiamo modo di fare un cambiamento reale, che e' un grave errore nel satyagraha). Il punto non e' scaricare la pressione, ma sfruttarla "liberandola con disciplina per ottenere il massimo effetto". Cindy Sheehan e' stata definita "un simbolo" della resistenza alla guerra in Iraq, ma e' una persona molto reale (io l'ho incontrata) con una rimostranza molto reale contro il presidente. La marcia di Gandhi verso il mare nel 1930 era un simbolo drammatico, ma non si dimentichi che ha raggiunto un mare reale e ha preso del sale reale, illegalmente. Il simbolo migliore e' lo stesso atto concreto. * I numeri e la pubblicita' Un termine recente per satyagraha e' "il potere del popolo", il potere di un gran numero di persone di resistere alla repressione organizzata. E' stato coniato durante l'insurrezione filippina del 1986, ma questa insurrezione ha anche coinvolto quello che mi piace chiamare "il potere della persona": il potere quasi illimitato della verita' che risiede inalterata nell'individuo. Satyagraha e' "la forza dell'anima", dopo tutto, ed e' bene ricordarsi che soltanto un individuo ha un'anima. Le organizzazioni, le folle e le multinazionali non ce l'hanno. Ci sono certamente momenti in cui i numeri sono di grande aiuto, ma nel satyagraha ci sono anche momenti in cui una singola persona e' la chiave. Nel 1942, quando Gandhi non volle distrarre i britannici dalla loro "conversazione" con le potenze dell'Asse, ma cio' nonostante riteneva che dovesse essere data comunque attenzione alle richieste dell'India, ha invitato una persona, il suo grande discepolo Vinoba Bhave, a effettuare il "satyagraha di uno". Un milione di persone fanno il loro effetto, ma e' lo stesso effetto ottenuto da una singola persona che e' un milione di volte piu' preparata. * Quando non dovremmo praticare il satyagraha? In Germania alcuni mesi fa un adolescente impazzito si e' intrufolato in una folla di persone senza destare sospetti e ne ha ferite diciannove prima di essere bloccato. Ora, se satyagraha significasse che non possiamo mai usare la violenza, non potremmo usarlo in una tale situazione. Ma satyagraha, si ricordi, non e' principalmente una proibizione di qualcosa, e' amore in azione, e' una sfida per noi a portare l'amore-in-azione a farsi carico di una situazione. Gandhi stesso era molto chiaro su questo punto (tenete a mente l'11 settembre mentre leggete questo): "Togliere la vita puo' essere un dovere... Si supponga che un uomo in preda alla follia giri furiosamente, spada nella mano, uccidendo chiunque incontra sulla sua strada, e nessuno ha abbastanza coraggio da catturarlo vivo. Chiunque elimini questo pazzo si guadagnera' la gratitudine della comunita' ed e' da considerarsi un benefattore" (17). Un vero satyagrahi non esiterebbe a fermare una tale persona e, se non c'e' altro modo, a fermarlo con una forza letale. Tuttavia, ci sono tre cose che sono indicative della profonda differenza di metodo fra il satyagrahi e la persona che ancora fa affidamento sulla violenza: - per quanto sta in noi, non odiare la sfortunata persona che e' causa di pericolo; - prepararsi a tali emergenze prima che accadano, percha' se abbiamo avuto tempo per prepararci possiamo usarlo per risposte nonviolente; - non concludere che il nostro uso della forza ha risolto la situazione. La situazione implica la cultura che conduce oggi a tanti episodi di questo genere; la nostra responsabilita' ci conduce a fare qualcosa per cambiare quella. Per noi, la forza fisica e' un segno del fallimento, non del successo. E' conveniente qui precisare che sia Gandhi sia King hanno usato spesso la parola "morale" per descrivere il satyagraha, ma questo perche' non c'era nessun adeguato linguaggio a disposizione - e cosi' e' ancora - per descrivere le forze non fisiche. Un satyagrahi tendera' inevitabilmente a mantenere un dato credo che puo' differire fortemente da quello della maggioranza. Lui o lei credera' che ci sia una strada per risolvere ogni conflitto in modo che tutte le parti ne traggano vantaggio, e che non importa quanto depravata la gente possa essere, c'e' sempre un cuore di bonta' sepolto nel loro profondo. Lui o lei non credera', come la maggioranza ancora crede, che la forza distruttiva puo' risolvere permanentemente i problemi e condurre a fini costruttivi. Cio' nonostante, il satyagraha non e' propriamente parlando una religione o un dogma. Se uno e' un vero satyagrahi non manterra' nessuno di questi credi in modo acritico, e certamente non li usera' per rifiutare o stigmatizzare gli altri. Cerchera' sempre la piu' alta verita', tenendo tutte le sue credenze come ipotesi da esaminare costantemente nel laboratorio dell'esperienza. Cio' gli permette di "aderire fermamente alla verita'" senza creare divisioni: noi riconosciamo che la nostra verita' e' privilegiata soltanto nel senso che e' la verita' che dobbiamo vivere e mettere alla prova: ognuno ha una qualche verita' ed essere umani significa lavorare insieme per il perfezionamento delle nostre verita'. * Il programma costruttivo Come abbiamo gia' visto, il satyagraha ha avuto due corde al suo arco nonviolento fin dall'inizio nel 1894. Ha implicato sia la non-cooperazione con la malvagita' - il rifiuto di obbedire alle leggi sul passaggio, le limitazioni alla circolazione e altre misure ingiuste (a volte la parola satyagraha significa soltanto questa parte) -, sia la cooperazione col bene sotto la forma della formazione politica e non solo nella comunita' indiana, gli esperimenti di vita comunitaria, l'agricoltura e la semplicita'. Il lato cooperativo alla fine si ritrova formalizzato nel "programma costruttivo" della lotta indiana. Anche all'interno del movimento per la pace non e' stato spesso sufficientemente apprezzato, oggi e' persino ignorato dietro il bagliore della resistenza nonviolenta. Tuttavia in un certo senso e' molto piu' importante. Con un buon programma costruttivo, il confronto e l'ostruzione possono quasi diventare inutili; senza di esso persino le rivolte nonviolente piu' efficaci hanno visto il loro lavoro andare a vuoto. Nelle Filippine, in Sudafrica, in Serbia e nell'ondata di "rivoluzioni colorate" che hanno avuto seguito nell'Europa orientale, studenti coraggiosi e altre persone hanno spodestato regimi dispotici, e lo hanno fatto con costi piu' bassi e solitamente molto meno tempo di quanto sarebbe stato nel caso in un rovesciamento violento, solo per vedere le loro societa' scivolare nuovamente nella violenza strutturale che aveva causato tutte le precedenti agitazioni (Viktor Yanukovych, spodestato dalla famosa rivoluzione arancione dell'Ucraina, e' ora nuovamente al potere). In India, il Programma Costruttivo fu sviluppato attraverso diciotto progetti che andavano dall'eliminazione dell'intoccabilita' al boicottaggio dei tessuti stranieri e all'emancipazione delle donne. Tutti sono stati raggruppati intorno al principio dello swadeshi o del localismo, e il piece de resistance che ha simbolizzato e tenuto tutto insieme era il charkha, l'arcolaio. Oggi ci sono innumerevoli progetti che alla fine saranno la matrice di nuova civilizzazione libera dalla violenza. Molti stanno ricostruendo le comunita' che sono state oppresse e sfruttate, solitamente da industrie multinazionali e governi conniventi, facendo cosi' in modo che la morsa soffocante di quelle istituzioni sia significativamente allentata, spesso senza che se ne accorgano, o siano comunque in grado di opporsi (18). Tutto quello di cui difettano per sbloccare il loro potenziale rivoluzionario e' la consapevolezza che essi sono di fatto un programma costruttivo ampiamente disperso che puo' essere coordinato ed equilibrato con i metodi ostruttivi quando necessario. Cio' nonostante, questi progetti stanno andando avanti, un po' dappertutto nel mondo (19); qui e la', gruppi come il Positive Futures Network negli Stati Uniti, stanno cercando di sviluppare e divulgare la grande visione che darebbe origine a questa crescita di coscienza. * III. Il satyagraha oggi "La nonviolenza e' venuta fra gli uomini e vivra'. E' l'annunciatrice della pace del mondo" (M. K. Gandhi) Quando il Mahatma Gandhi cadde sotto le pallottole di un assassino, il radiocronista Paul Grimes trasmise la notizia affermando: "Il Mahatma Gandhi e' morto... anche la forza dell'anima e la nonviolenza sono morte". Era completamente in errore. Poiche' la nonviolenza e la pace generalmente sono ignorate nella cultura moderna, molti di noi ignorano in che misura queste forze si siano notevolmente sviluppate negli anni successivi al gennaio 1948, sia quantitativamente sia qualitativamente, sia nell'estensione sia nella varieta' delle tecniche che la gente ha trovato e messo in atto in questa "nuova" forza. In un solo anno, tra il 1989 e il 1990, ci furono tredici rivolte contro governi dispotici, di cui almeno dodici erano prevalentemente non violente (non guastate cioe' dal ricorso alla violenza) se non completamente nonviolente (guidate cioe' dal desiderio attivo del benessere dell'avversario). L'eccezione, la Romania, fu di gran lunga la rivoluzione piu' violenta delle transizioni post-comuniste, e tipicamente realizzo' il minor cambiamento. Tutte, tranne una - la disastrosa rivolta di Tienanmen in Cina - portarono i loro partecipanti alla liberta'. E, come dice il Dalai Lama: "Se perdete, almeno state attenti a non perdere la lezione". Noi possiamo imparare una lezione dalla tragedia di Tienanmen: gli studenti e gli altri dimostranti insistettero troppo e per troppo tempo nell'occupare quella piazza che e' il simbolo stesso della Cina. Se a un certo punto avessero lasciato la piazza al regime, disseminandosi in tutto il paese, educando e organizzando nelle scuole, nelle campagne, nelle fabbriche, e' possibile che oggi non soltanto sarebbero vivi, ma avrebbero acquisito una posizione piu' favorevole per raggiungere la liberta'. Cio' che abbiamo appena fatto - ricavando una lezione dai punti di forza e dalle debolezze di una campagna nonviolenta - illustra una delle caratteristiche piu' promettenti del satyagraha durante gli ultimi cento anni, e aggiunge un nuovo elemento alla storia umana: l'apprendere intenzionale dagli eventi nonviolenti per costruirne di migliori, infine per sviluppare una cultura nonviolenta. Perche' soltanto gli strateghi militari dovrebbero studiare il loro passato e comprenderne la lezione? Proprio come Hitler trasse giovamento dall'indifferenza del mondo verso il genocidio degli armeni; cosi' anche il regime cinese si senti' evidentemente incoraggiato dall'indifferenza del mondo di fronte alla repressione brutale degli studenti ribelli della Birmania nel 1988, e cosi' noi stiamo imparando, lentamente ma con sicurezza, che cosa il satyagraha puo' fare e come puo' essere usato. Come oggi sappiamo, decine di satyagrahi della lotta per la liberta' dell'India vennero negli Stati Uniti per aiutare il movimento per i diritti civili; e molti leader americani fecero un viaggio di istruzione-pellegrinaggio in India, compreso lo stesso Martin Luther King (20). Dopo la rivoluzione del 2000 di Otpor, che fece vacillare il presidente Slobodan Milosevic in Serbia, sebbene i media e il grande pubblico non seppero o non appresero granche' di questo importante evento, l'International Center for Nonviolent Conflict diede vita a un gruppo denominato Center for Advancement of Nonviolent Conflict (Canvas) in modo che i veterani della lotta serba potessero condividere le loro esperienze con altri, influenzando positivamente quell'ondata di "rivoluzioni colorate" che hanno determinato le transizioni alla democrazia in Georgia, Ucraina, Libano e Kyrgyztan (si veda la bibliografia finale per ulteriori particolari). Otpor stesso ricevette un sostegno importante da alcune organizzazioni governative americane - a un costo ridicolmente basso se confrontato a quello dato alle spedizioni militari - e dalle traduzioni in serbo dei testi fondamentali del teorico della nonviolenza Gene Sharp. Studiosi e attivisti stanno sviluppando costantemente il vocabolario di questa nuova scienza e stanno introducendo aria fresca nei venti di cambiamento politico che stanno spazzando il mondo. Le altre insurrezioni citate sopra, in Lettonia, Bulgaria, Kazakhistan, Ungheria, Indonesia e Cile tra gli altri posti, abbracciano una popolazione di 1,7 miliardi di persone, cioe' un terzo del pianeta. Se facciamo un passo indietro e guardiamo a tutto il secolo passato, comprendendo anche l'India nel conteggio, abbiamo un dato sbalorditivo: 3,3 miliardi di persone, cioe' piu' della meta' della popolazione umana della terra, ora gode delle liberta' che precedentemente le erano negate (e nella maggior parte dei casi senza alcun ricorso alla violenza) grazie al satyagraha (21). Considerando il semplice risultato di queste lotte - e, si ricordi, noi stiamo parlando soltanto di una tipologia, vale a dire delle insurrezioni - e' triste e scioccante che il mondo in generale conosca ancora cosi' poco, racconti cosi' poco e insegni ancora meno circa "l'arma incomparabile" del satyagraha. Tuttavia da un altro punto di vista, che potenziale ci sarebbe per il cambiamento! Questa e' forse la sfida piu' grande e piu' urgente che sta di fronte agli uomini di buona volonta': aprire gli occhi del mondo ai molti usi di questo potere. Come mio piccolo contributo, lasciatemi concludere questa breve indagine dei movimenti di questo tipo avanzando l'osservazione che oggi molti di questi sono classificabili come Programma Costruttivo senza Programma Ostruttivo, oppure come Programma Ostruttivo senza Programma Costruttivo. Pochi hanno goduto dell'equilibrio e del coordinamento di queste due componenti della nonviolenza, che sono risultate cosi' efficaci nelle lotte di Gandhi e in quelle di Martin Luther King negli Stati Uniti. Oggi in Brasile stiamo assistendo a uno dei piu' grandi movimenti sociali che il mondo abbia mai visto: il movimento contadino dei senza terra (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra, Mst), con piu' di un milione e mezzo di membri. Il Mst e' quasi interamente basato su cio' che Gandhi chiamava Programma Costruttivo. Mettendo in pratica un articolo della Costituzione brasiliana che assegna le terre inutilizzate a coloro che le rendono produttive, centinaia di migliaia di brasiliani in condizioni di miseria hanno occupato i terreni non coltivati (soltanto il 3% della popolazione del Brasile possiede quasi i due terzi del terreno arabile) e formato cooperative con scuole, ambulatori sanitari, industrie edili - in una parola, realizzando societa' parallele quasi complete - e hanno rivendicato dal loro governo, spesso con successo, il diritto a quella terra. Tuttavia nel complesso il Mst non si e' dotato di alcuna misura per le necessita' del satyagraha, nel senso di una resistenza attiva. Una volta a confronto con la brutalita' della polizia e dei paramilitari inviati a sgomberare le terre occupate, i contadini sono scappati, oppure hanno combattuto con qualsiasi arma avessero a portata di mano, e in questi scontri oltre mille attivisti sono stati uccisi. Piu' spesso abbiamo assistito ad azioni ostruttive, prive di azione costruttiva, e abbiamo visto societa' che ricadevano in molte delle stesse difficolta' da cui avevano cominciato a liberarsi (come nelle Filippine, in Sudafrica e in Serbia). Ma, dappertutto, la gente sta imparando che la volonta' collettiva non ha bisogno del sostegno della violenza, come accade per l'oppressione patrocinata dagli stati. Sta imparando di aver avuto in eredita' il satyagraha, che puo' far proprio con lo studio, la preparazione personale e la pratica. Un esperimento gandhiano va oltre la semplice promessa. Da quando nel 1981 un'organizzazione denominata International Peace Brigades fu fondata durante una storica riunione a Grindstone Island nel Canada, circa un dozzina di altre organizzazioni e' venuta alla luce per portare avanti un sogno che e' rimasto irrealizzato quando il Mahatma ha abbandonato le sue spoglie mortali: il sogno che gente disarmata, o piuttosto gente armata mentalmente con l'arma incomparabile del satyagraha, potesse prestare la propria presenza, i propri buoni uffici e nel caso estremo le loro vite alla causa della pace in conflitti aperti anche su grande scala. La storia di cio' che ora e' denominato Third Party Nonviolent Intervention (Tpni) e' ormai documentata relativamente bene e l'importante testimonianza di questo percorso e' disponibile al mondo (22). Il sogno, che era cominciato molto prima con l'esercito della pace di Gandhi (lo Shanti Sena), ha fatto un passo avanti decisivo nel 1999, quando David Hartsough, attivista di san Francisco per i diritti umani e la pace, e Mel Ducan, veterano organizzatore della Comunita' St. Paul, si conobbero alla Hague Peace Conference. In tre anni hanno messo in piedi un'organizzazione con uffici a St. Paul e a San Francisco, che si e' guadagnata l'approvazione di sette premi Nobel per la Pace, ha stabilito basi in Europa e Asia e ha cominciato abilmente a sviluppare una rete di partecipanti e volontari di ogni parte del mondo per creare una forza di intervento nonviolento che potrebbe salvare il mondo dall'imbarazzante alternativa tra il restare passivi e l'intervenire in maniera distruttiva con la coercizione militare, quando gli odi divampano fuori da ogni controllo. Al momento di questo scritto il Nonviolent Peaceforce porta avanti con successo un progetto pilota in Sri Lanka, che comprende trenta gruppi operativi sul campo e i loro sostenitori. Questi uomini e donne coraggiosi provenienti da molte parti del mondo (Nonviolent Peaceforce ha affiliate 94 associazioni dei cinque continenti) permette alle madri angosciate di salvare i loro bambini che erano stati rapiti per essere usati come soldati, salva le vite di individui che sono sotto attacco diretto e in particolare ha permesso il ritorno a casa di 1.600 abitanti dei villaggi che erano fuggiti sotto la minaccia di rappresaglie militari in una delle parti piu' pericolose dell'isola. Mentre le prospettive sono ancora lontane dall'essere chiarite in Sri Lanka, al momento in cui scrivo, comunque il lavoro umile di Nonviolent Peaceforce ha contribuito sostanzialmente a una parvenza di vita normale e di stabilita' nelle quattro zone chiave in cui sono presenti. Nonviolent Peaceforce ora ha una squadra esplorativa in Mindanao e si sta muovendo per avviare simili operazioni in Nord Uganda e Colombia. Con l'inizio di accordi cooperativi con diverse agenzie dell'Onu, Nonviolent Peaceforce si e' messa nella giusta posizione per ottenere il sostegno di governi illuminati che permetterebbe loro di avanzare verso una successiva fase molto piu' estesa di globale peacekeeping. Con gli altri sviluppi in corso che avvengono nell'altra "superpotenza", la societa' civile, Nonviolent Peaceforce ha un potenziale cospicuo da offrire all'umanita' con la "prova oculare" che possiamo vivere senza guerra. E perfino, in un certo giorno benedetto, senza odio. * Dove stiamo andando? Comunita' che sostengono l'agricoltura, banche etiche, sistemi energetici fuori della rete, monete locali e sistemi di baratto, citta' verdi, programmi di studi per la pace, il World Social Forum, mille fiori del programma costruttivo stanno sbocciando in questo mondo. Attraverso la mobilitazione del potere della gente si generano spazi di liberta' per i popoli della terra. La sensazione trasmessa dai mass-media che il mondo sia fagocitato dalla violenza e che non ci sia niente che noi possiamo fare a questo proposito (poiche' dopo tutto e' nella natura umana distruggere ed essere distrutti!) - la stessa sensazione trasmessa dal radiocronista Paul Grimes quando Gandhi mori' - e' tragicamente fuorviante. Senza spendere troppo della nostra energia lamentando le imperfezioni della stampa, del sistema di istruzione e della cultura in generale, possiamo muoverci in avanti, indirizzandoci verso alcune aree dove noi che cerchiamo un cambiamento nonviolento largo e profondo abbiamo ancora bisogno di crescere. Costruiamo un mondo in cui ogni bambino impari il satyagraha, una scienza che ancora a pochi di noi nel mondo moderno e' stata svelata. Stiamo gia' facendo i primi passi. Basandosi sull'opera di Gene Sharp del Center for the Study of Nonviolent Sanctions di Harvard, i cui tre volumi sulla Politica dell'azione nonviolenta (23) hanno descritto quasi duecento tattiche specifiche (sebbene non tutte sembrino adatte ai criteri del satyagraha gandhiano), l'International Center on Nonviolent Conflict ha prodotto un gioco in dvd sulle strategie nonviolente, A Force More Powerful! Recentemente, la futurologa americana Joanna Macy ha descritto tre zone o tre dimensioni in cui il cambiamento verso un futuro nonviolento ha cominciato a definirsi: ci sono riforme politiche come la campagna contro la pena di morte negli Stati Uniti, le lotte antimilitariste, come il contro-reclutamento e la campagna per la messa al bando delle mine, e naturalmente il coraggioso lavoro del Tpni. Queste azioni hanno l'obiettivo di limitare o di invertire i danni del sistema dominante sotto cui stiamo vivendo - cioe' fanno parte del programma ostruttivo. Inoltre ci sono i molti esperimenti in tante zone del mondo che ci daranno i pezzi di un nuovo mondo sostenibile - un programma costruttivo (sebbene di nuovo non molta della gente illuminata che le realizza e' consapevole di cio'). Insieme costituiscono il satyagraha nel suo significato piu' ampio. E, bisogna aggiungere, c'e' il lavoro cruciale di innalzamento della coscienza, sia conoscitivo sia spirituale, cruciale perche' il cambiamento verso un nuovo sistema e' troppo urgente per essere lasciato ai modi usuali di sviluppo culturale. Dobbiamo generare questo cambiamento di paradigma piu' coscientemente dei cambiamenti precedenti che hanno segnato le tappe dello sviluppo umano, mentre allo stesso tempo traiamo le nostre energie da cio' che Agostino ci ricorda essere il nostro desiderio inconscio piu' profondo, il desiderio di pace con tutto cio' che vive. * Conclusioni Il 7 dicembre 1961, Eleanor Roosevelt, in un editoriale per il "New York Post", scrisse che "cio' che accadde a Pearl Harbor venti anni fa mette in rilievo il fatto che dovremmo essere sempre pronti al peggio, anche se il peggio sembra altamente improbabile". I quattro anni che seguirono l'attacco su Pearl Harbor costarono la vita a dieci milioni di esseri umani. E' tempo di realizzare che anche se ci puo' essere un qualche valore nel prepararsi al peggio, a meno che noi non siamo consapevoli del meglio e lavoriamo per esso, sara' sicuramente il peggio a capitarci. Ogni volta che noi ricordiamo l'11 settembre, come dovremmo, noi dobbiamo ricordarci di entrambi. Se facessimo cosi', proprio mentre sentiamo l'angoscia del recente 11 settembre piu' profondamente, noi non cadremmo nella disperazione. Non piangeremmo per le azioni disperate che hanno fallito cosi' malamente in Afghanistan e in Iraq. Sicuramente Eleanor Roosevelt non sapeva che proprio un anno prima della sua dichiarazione Vinoba Bhave, considerato il principale discepolo di Gandhi a causa del suo orientamento spirituale, stava attraversando la valle di Chambal in Madhya Pradesh durante uno dei suoi padayatra o pellegrinaggi a piedi. Gli fu detto che la zona era "infestata" dai dacoits, considerati banditi da diverse generazioni, ma Bhave, evitando saggiamente il pregiudizio che disumanizza, disse che no, la regione "non e' infestata da dacoits", ma "e' abitata da gente virtuosa". Fondandosi sulla sua autorita' nonviolenta, invio' un messaggio a quegli uomini che, se si fossero presentati a lui e si fossero convertiti, egli avrebbe fatto in modo che fossero trattati equamente dalla legge. Avrebbero dovuto pagare qualche penalita', ma successivamente nessun'altra punizione sarebbe stata inflitta a loro stessi o alle loro famiglie. Sorprendentemente (per alcuni), costoro vennero a deporre le loro armi ai suoi piedi, evitando uno scontro sanguinoso con le autorita'. Potrebbe il satyagraha essere anche la risposta al terrorismo? Potrebbe indicare la fuoriuscita dalla guerra? La storia ci ha messo davanti due 11 settembre, ognuno dei quali al limitare del XX secolo, portatori di opposti messaggi. Essi pongono davanti a ciascuno di noi una scelta. Scegliendo la nonviolenza, Gandhi direbbe che noi abbiamo deciso che i figli dei nostri figli possano vivere. * Per ulteriori studi - Ackerman P., Duvall J., A Force More Powerful: a Century of Nonviolent Conflict, New York, Palgrave, 2000. - Boardman E., Taking a Stand: A Guide to Peace Teams and Accompaniment Projects, Gabriola Island, Canada, New Society, 2005. - Easwaran E., Gandhi the Man: The Story of His Transformation, Petaluma, CA, Nilgiri Press, 1972-1997. - Easwaran E., Badshah Khan, Il Gandhi musulmano, Torino, Sonda, 1990 (per altre notizie sullíautore Eknath Easwaran si rimanda al sito www.easwaran.org). - Gandhi M. K., Antiche come le montagne, Milano, Comunita, 1978. - Gandhi M. K., Una guerra senza violenza, Firenze, Lef, 2005. - Gandhi M. K., Constructive Programme: its Meaning and Place, Ahmedabad, Navajivan, 1941. - Gandhi M. K., Sarvodaya: un'economia a servizio degli ultimi, in "Quaderni satyagraha", n. 6, Pisa, Centro Gandhi, 2004. - Pignatti Morano M., Il peace-keeping non armato, Firenze, Lef, 2005. - Nagler M., Per un futuro nonviolento, Milano, Ponte alle Grazie, 2005. - Slattery L., et al., Engage: Exploring Nonviolent Living, Oakland, Pace e Bene Press, 2005. - Zunes S., Kurtz L., Asher B., Nonviolent Social Movements: a Geographical Perspective, Oxford, Blackwell, 1999. * Film - Ackerman P., Duvall J., Bringing Down a Dictator (2002). - Attenborough R., Gandhi (1980). - British Broadcasting System, Gandhi's India. * Siti web www.nonviolentpeaceforce.org www.mettacenter.org www.gandhiserve.com (include CWMG) www.nonviolence.org www.calpeacepower.org www.cnvc.org www.rainonline.org * Note 15. Si veda N. Stolzfuss, Resistance of the Heart: Intermarriage and the Rosenstrasse Protest in Nazi Germany, New York, W. W. Norton & Co., 1996. 16. Pubblicato in "Young India", cfr. CWMG, cit., vol. 54 (5 novembre 1931), p. 48. 17. "Young India", 11 aprile 1926, p. 395, cfr. All Men Are Brothers, p. 119. 18. Un modo efficace e' creare istituzioni parallele, come ad esempio nella prima Intifada in Palestina. 19. Questi progetti sono regolarmente segnalati nelle riviste "Ye!" e "Ode"; altri sono discussi in F. Moore Lappe' - A. Lappe', Hope's Edge, New York, Jeremy P. Tarcher/Putnam, 2003, www.greatturningtimes.org e altre fonti. 20. S. Kapur, Raising Up a Prophet: the African American Encounter with Gandhi, Boston, Beacon Press, 1992. 21. Cfr. R. Deats, The Global Spread of Active Nonviolence, in Peace in the way, ed. by W. Wink, Maryknoll, NY, Orbis Books, 2000, pp. 283-295. 22 Si veda lo studio di fattibilita' del Nonviolent Peaceforce nel sito www.nonviolentpeaceforce.org 23. Editi in italiano dal Gruppo Abele di Torino (ndt). (Parte seconda - Fine) 3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 4. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1412 dell'8 settembre 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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