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La nonviolenza e' in cammino. 1401
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1401
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 28 Aug 2006 00:16:27 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1401 del 28 agosto 2006 Sommario di questo numero: 1. L'uomo nel coccodrillo 2. Cindy Sheehan: La mia ricerca di pace 3. Murray Bookchin: Una sintesi di "Tecnologia e rivoluzione libertaria" (1971) 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. L'UOMO NEL COCCODRILLO Solo il delirio militarista e razzista diffuso dai gruppi dirigenti e dai mass-media occidentali (le idee dominanti sono le idee della classe dominante, come scrisse quell'antico esule) puo' stupidamente ignorare o subdolamente occultare quale sia l'interpretazione che della guerra libanese di questa estate e' stata data dai regimi, dai media e dalle popolazioni arabe e/o musulmane (e queste non solo per averla ricevuta dai regimi e dai media ivi dominanti, o per prolungato indottrinamento, ma anche per proprio intimo convincimento) di tutti i paesi del Medio Oriente che non siano Israele: che Hezbollah ha vinto una guerra di resistenza contro Israele, che Israele e' un regime stragista, che l'occidente colonialista, razzista, imperialista e guerrafondaio e' complice di Israele (ovvero che di quella sua politica Israele e' avamposto), e che il mondo arabo e islamico (le due cose non coincidono, ovviamente, ma la tendenza indotta prima dal crollo dell'Urss e poi dal sempre piu' feroce ed esplicito razzismo guerrafondaio occidentale e' in qualche modo a sommarle al di la' di tutte le differenze, complessita' e contraddizioni) dopo aver subito una serie inenarrabile di sconfitte militari e di umiliazioni politiche, di massacri e di rapine di terre e diritti, ed insieme di errori, di orrori e di vilta' commessi da autocratici gruppi dirigenti statali, politici e politico-militari la cui corruzione e il cui cinismo sono ormai proverbiali, ha trovato nella resistenza di Hezbollah alla guerra stragista israeliana un simbolo vittorioso in cui riconoscersi. Ovviamente cancellando del tutto la realta' del ruolo della Siria nella lunga guerra civile libanese, ovviamente cancellando del tutto lo stillicidio di attacchi missilistici terroristici di Hezbollah contro la popolazione civile israeliana, ovviamente cancellando del tutto la causa occasionale dell'inizio della guerra attualmente nella fase del cessate il fuoco dopo un mese di devastazioni ed eccidi apocalittici, ovviamente cancellando del tutto tutto cio' che questa percezione ipersemplificata e per cosi' dire intimamente risarcitoria complessifica o contraddice (in termini di epistemologia fallibilista: falsifica): dopo un secolo di ricerche psicoanalitiche e fenomenologiche (e dopo l'esperienza dei totalitarismi novecenteschi) sappiamo tutti bene come funzionino - e con quanta potenza - certi meccansmi, a livello individuale e collettivo. * Questa e' la percezione di gran lunga piu' diffusa nel mondo arabo e musulmano mediorientale. Dinanzi a cio', che truppe occidentali (e di paesi come l'Italia che gia' partecipa con piena criminale corresponsabilita' con propri contingenti militari alle guerre stragiste e razziste dell'Iraq e dell'Afghanistan) occupino il Libano meridionale con un mandato che, al di la' dell'uso talleyrandiano delle parole per occultare il pensiero, e' inteso di fatto in primo luogo a contrastare la possibile prosecuzione dell'azione terroristica di Hezbollah (la cui smilitarizzazione e il cui disarmo possono essere ottenuti solo con un negoziato politico interno libanese e con un'azione di polizia anch'essa interna libanese; ma sia il disarmo che la smilitarizzazione di Hezbollah sono resi assai piu' improbabili dal fatto che secondo la percezione piu' diffusa Hezbollah e' uscito dalla prova di questa estate come vincitore militare, politico e morale e come rappresentativo dei diritti e della dignita' del mondo arabo e musulmano, e possa quindi ragionevolmente aspirare a, anzi: tout court prevedere un suo consistente rafforzamento nel quadro politico-istituzionale libanese - ergo: un futuro ruolo egemone nel parlamento e nel governo di Beirut, ancor piu' consistenti aiuti diretti dai regimi suoi tradizionali patrocinatori, ed una "capitalizzazione" in termini politici, elettorali, finanziari ed organizzativi dell'attuale vastissima simpatia popolare in Libano e nell'intero mondo arabo e musulmano); ebbene, sic stantibus rebus questa occupazione militare del Libano meridionale da parte di truppe occidentali puo' agevolmente essere presentata dai propagandisti fondamentalisti e percepita dalle popolazioni vittime della guerra come complicita' con lo stato di Israele e con i crimini di guerra e contro l'umanita' dall'esercito israeliano effettualmente compiuti: non un'interposizione contro la guerra, ma un'occupazione militare a fini di controllo e oppressione al posto e per conto delle truppe dell'Idf. Questa spedizione militare e' un crimine e una follia. In se stessa e perche' impedisce di realizzare gli interventi che realmente occorrerebbero. * Altro e' infatti l'intervento internazionale che occorre. Un intervento non armato e nonviolento: con Corpi civili di pace. Un intervento non armato e nonviolento: che rechi soccorsi a tutte le vittime; che rispetti l'integrita' territoriale e la sovranita' popolare libanese; che favorisca processi di smilitarizzazione e disarmo con incentivi positivi; che agevoli processi di riconoscimento, di dialogo, di riconciliazione, di convivenza. Un intervento non armato e nonviolento che sostenga i vari e complessi negoziati che devono sostituire il conflitto militare spostandolo sul piano politico e diplomatico; un intervento nonviolento di interposizione-mediazione che apra spazi alle societa' civili, spazi di democrazia, spazi di affermazione dei diritti umani, spazi di ascolto reciproco, spazi di comunicazione non eterodiretta e non sussunta alla propaganda, spazi che possono essere aperti solo recando del tutto gratuitamente aiuti umanitari e beni e servizi infrastrutturali che consentano a tutti i superstiti vite dignitose e una ragionevole sicurezza. Un intervento non armato e nonviolento che sia consapevole che il processo di democratizzazione libanese e' ancora fragile e che la vicenda bellica ha inferto ad esso un colpo tremendo. Un intervento nonviolento che sia consapevole che restano inoltre i due nodi politici decisivi dell'area, senza una gestione e risoluzione negoziale, politica e nonviolenta dei quali non vi sara' ne' pace ne' giustizia ne' convivenza: il primo, la necessita' che Israele cessi di occupare i territori palestinesi (con tutte le pratiche fin efferate all'occupazione connesse: tra cui le reiterate stragi che costituiscono evidenti crimini contro l'umanita'), e che al piu' presto sorga lo stato di Palestina; il secondo, la necessita' che cessino gli attentati terroristici e la costante minaccia di genocidio contro la popolazione israeliana di origine ebraica, ovvero che vi siano atti politici e diplomatici ufficiali ed espliciti negoziati fin minuziosissimamente da parte di tutti i governi e le forze politiche legali dei paesi dell'area di riconoscimento dello stato di Israele e di cessazione di ogni complicita' diretta e indiiretta con il terrorismo e con la propaganda antiebraica e fin esplicitamente genocidaria che lo alimenta. Solo un percorso nonviolento, solo una scelta nonviolenta, puo' portare alla risoluzione di questi due nodi. Gli interventi armati non solo non servono, ma hanno come esito principale di alimentare paura e incomunicabilita', odio e violenza, disprezzo e chiusura, devastazioni ed eccidi. * Che in italia di tutto cio' non si voglia avere alcuna contezza; che in Italia si menta spudoratamente sulle tragiche ambiguita' e sugli immani rischi di una missione militare, armata e di guerra spacciandola per il suo contrario; che in italia non si percepisca quale e quanto grave responsabilita' abbia anche il nostro paese nelle guerre in corso e nel razzismo contro le vittime delle guerre e di un ordine iniquo del mondo che condanna le popolazioni di interi continenti alla rapina neocoloniale delle loro risorse, alle dittature, alle guerre e alla fame; che in Italia non si veda come le politiche correnti facciano crescere il cancro del razzismo sia antiebraico, sia antiarabo, sia antimusulmano; tutto cio' ci persuade ancor piu' della necessita' che le persone amiche della nonviolenza dispieghino ogni loro capacita' di impegno per far luce sulla tragica distretta dell'ora, e per costruire qui e adesso un'alternativa nonviolenta nella politica internazionale, un'alternativa nonviolenta concreta e urgente. Un'alternativa fondata sul riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani; una politica fondata sull'opposizione a tutte le guerre e tutti i terrorismi; una politica fondata sul contrastare in modo netto, concreto e intransigente ogni oppressione: totalitaria, imperialista, coloniale, razzista, classista, patriarcale. Abbandonando hic et nunc, qui, in italia, ogni subalternita', ogni ambiguita', ogni delega, ogni illusione, ogni rassegnazione: occorre una politica della nonviolenza, che e' l'unico modo per inverare nel nostro paese e nell'azione internazionale del nostro paese la legalita' costituzionale, il portato e il valore del pensiero giuridico che fonda la convivenza temprato al vaglio dell'esperienza storica cosi' come si e' strutturato nei principi fondamentali di quel monumento civile che e' la Costituzione della Repubblica Italiana. 2. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: LA MIA RICERCA DI PACE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com] L'unica cosa che ho voluto essere in vita mia era essere una madre. Non ho mai pensato ad avere una carriera, perche' volevo occuparmi dei miei bambini. La mia famiglia d'origine mostro' di avere parecchi problemi mentre io crescevo, cosi' per me ho voluto una famiglia mia da amare e nutrire. Quando mio marito Pat ed io sapemmo di aspettare Casey, il nostro primo figlio, andammo in estasi. Eravamo sposati da piu' di un anno quando decidemmo di provarci e ci eravamo riusciti al primo mese. Casey nacque nel "Giorno della memoria", il 29 maggio 1979. Non potevo distogliere gli occhi dal mio caro figlio appena nato. Era cosi' sveglio, e i suoi occhi sembravano penetrare la mia anima; pareva quasi che sapesse sempre cosa stavo pensando. Era un bimbo tranquillo, sebbene gli piacesse stare alzato sino a tardi. Casey ed io ci siamo guardati un bel mucchio di vecchi film in bianco e nero, mentre stavamo insieme sulla sedia a dondolo regalataci da nonno Miller. Casey non aveva neppure un anno quando restai incinta di Carly. Dopo la nascita di Casey, mio marito ed io decidemmo che gli altri figli li avremmo avuti a casa, cosi' non avrei dovuto lasciare Casey per andare in ospedale e le nascite saremmo stati noi a gestirle. Mentre ero in travaglio per la nascita di Carly, Casey entro' nella stanza con la sua macchina fotografica giocattolo e disse "Sorridi, mamma". Convinto di aver preso la mia fotografia ando' a farsi vezzeggiare da varie nonne, zie, e altri amici e parenti che si erano radunati da noi per la nascita della nostra bellissima bambina. Amavo Casey cosi' tanto che, mentre ero incinta di Carly, mi domandavo se il mio cuore potesse trovare altrettanto amore per un altro bambino. Dopo che lei fu nata, scoprii che il cuore umano non ha limiti nel carico d'amore che puo' portare. Quando nacquero Andrew, e poi Janey, i nostri cuori si espansero in proporzione e alla fine eravamo completi: mamma, papa', due ragazzi e due ragazze, e facevamo ogni cosa insieme ed eravamo una famiglia molto unita. * Quando Casey mori' nella malconcepita guerra di George per il profitto, la nostra famiglia fu lacerata. Molte persone, in buona fede, mi diranno: "Ma almeno hai ancora gli altri tre figli". Tecnicamente e' corretto, ma non e' di grande aiuto. Qualcuno va mai da chi ha subito un'amputazione a dirgli: "Ebbene, hai perso il braccio, ma almeno hai ancora le altre membra?". Certo sono molto fortunata ad avere una famiglia grande e meravigliosa. Conosco numerose madri che hanno perso l'unico figlio grazie a Bush e compagnia, e alla loro avidita' di danaro e potere, ma io sono madre di quattro figli, non di tre. Carly, Andrew e Janey avevano un fratello maggiore, che era parte delle loro vite, e che e' stato ucciso dalle bugie. Non pensavo certo di avere altri bambini, i miei sono sulla ventina e io sono sul crinale dei cinquant'anni, ma la rimozione chirurgica dell'utero che ho subito nei giorni scorsi e' stata lo stesso traumatica: ci ho portato e nutrito i quattro amori della mia vita ed era parte di me. Ma mi riprendero'. Tuttavia, ne' i dolori del parto ne' quelli che soffro ora possono essere paragonati a quello che ho provato il 4 aprile del 2004, quando ho saputo che al mio figlio maggiore avevano sparato in testa in un'imboscata. Non mi riprendero' mai dal dolore della morte di mio figlio. Sulle ferite crescono cicatrici, le incisioni guariscono, le ossa rotte si saldano, ma un cuore fatto a pezzi dalla morte di un figlio non riesce facilmente, se mai lo fa, a rimettersi insieme. * Sono ancora qui in Texas e mi sto riprendendo dagli interventi chirurgici e spero di essere salda sui piedi la prossima settimana, per andare a protestare contro George e il sindaco Rocky a Salt Lake City, e di stare abbastanza bene per quando lui tornera' a Crawford nel week-end del Labor Day. Apparentemente George Bush e' uno di quelli che incontrano gli elettori del suo collegio, cosi' visto che ora lo sono anch'io non vedo l'ora di avere quell'incontro che gli sto chiedendo da un anno intero. Voglio un incontro per mettere George di fronte alle sue frodi: deve dirmi perche' lui e gli altri avidi neoconservatori hanno sostenuto che Saddam aveva ordinato l'11 settembre, che aveva armi di distruzione di massa e che stava tentando di comprare uranio dal Niger. Voglio l'incontro per poter esprimere a George in termini molto umani quanto faccia male seppellire una parte di se stessi. Non e' di solito ne' naturale ne' normale seppellire un figlio. Voglio incontrarmi con George per chiedergli di portare fuori gli altri nostri figli dall'incubo iracheno, mentre so che i guerrafondai stanno attivando ancora piu' marines da mandare in Medio Oriente e stanno bloccando in Iraq altri reparti che vorrebbero solo tornare a casa. Voglio l'incontro perche' non voglio che un'altra madre provi questo dolore non necessario e infinito. Sebbene alcune persone tentino di demonizzarmi e di attribuire oscuri motivi alla mia ricerca di pace, questo e' sempre stato il mio scopo principale: non uno di piu'. 3. MAESTRI E COMPAGNI. MURRAY BOOKCHIN: UNA SINTESI DI "TECNOLOGIA E RIVOLUZIONE LIBERTARIA" (1971) [Da "A. rivista anarchica", n. 31, giugno 1974 (disponibile anche nel sito www.arivista.org). Il testo e' preceduto dalla seguente nota introduttiva redazionale: "Riportiamo qui un condensato del saggio 'Tecnologia e rivoluzione libertaria', di Murray Bookchin, pubblicato nel volume 'Post Scarcity Anarchism' uscito negli Stati Uniti nel 1971. L'autore, che puo' essere giustamente considerato come uno dei piu' interessanti interpreti attuali delle idee libertarie, sostiene in questo scritto la tesi della piena realizzabilita' di rapporti diretti e non gerarchici tra gli uomini, in una societa' che sappia sfruttare libertariamente le possibilita' offerte dalla moderna tecnologia. Quest'ultima infatti, ha oggi raggiunto un tale grado di perfezione qualitativa da poter essere utilizzata per poter liberare completamente l'uomo dal lavoro manuale, e comunque da ogni attivita' ripetitiva umiliante e non creativa, la cui presenza e necessita', sostiene Bookchin, costituisce l'ostacolo principale all'istaurazione dell'uguaglianza e all'esercizio della solidarieta'. Se cio' non viene attuato, non e' per deficienza di mezzi materiali ma perche' non esiste la volonta' di farlo: la societa' divisa in classi non e' in grado di sviluppare le proprie potenzialita' tecnologiche per fini diversi dall'oppressione e dallo sfruttamento. Al contrario, se i rapporti umani fossero svincolati dai negativi condizionamenti del profitto, del privilegio, del potere, la tecnologia di cui disponiamo potrebbe fin d'ora fornire gli strumenti per attuare quei rapporti che gli anarchici vanno teorizzando da sempre: comunita' sufficientemente ristrette per prendere decisioni assembleari e non delegate, ricche energeticamente eppure in equilibrio ecologico con la natura, autosufficienti, o quasi, ma liberate dalla schiavitu' del lavoro e della fatica. La tesi, nelle sue linee fondamentali, non e' nuova in campo anarchico, e a qualcuno potra' sembrar riecheggiare certe utopie scientiste dell'800. Ma qui le possibili applicazione libertarie della tecnologia sono esposte con una serieta', una ricchezza di documentazione e una competenza tale da farli apparire non la semplice estensione di un'aspirazione ideale, ma un punto di partenza concreto per lo studio di una societa' 'fatta a misura d'uomo', una societa' sufficientemente accessibile da rappresentare un vero e proprio obiettivo. Nel contempo, questo scritto costituisce una autorevole risposta a quanti sostengono, in buona o mala fede, che rapporti veramente paritetici tra gli individui possono esistere in una societa' estremamente semplificata sul piano tecnologico, ridotta ad una economia di mera sopravvivenza. Al contrario, Bookchin afferma che non e' il progresso tecnico a postulare la divisione del lavoro e quindi la disuguaglianza, appunto, che impedisce oggi alla tecnologia di estrinsecare tutta la potenzialita' liberatoria". Murray Bookchin, pensatore e militante libertario americano, e' stato tra i principali punti di riferimento della "ecologia sociale"; nato a New York nel 1921, figlio di emigrati russi (la nonna materna era una rivoluzionaria populista), ha fatto l'operaio metalmeccanico, il sindacalista, lo scrittore, il docente universitario; e' deceduto sul finire di luglio 2006. Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 agosto 2006 riprendiamo il seguente necrologio scritto dall'assessore del Comune di Venezia Beppe Caccia: "La traiettoria biografica di Murray Bookchin - che, nato nel Bronx nel 1921 da una coppia di immigrati russi rivoluzionari (la madre attivista wobbly), si e' spento il 30 luglio scorso a Burlington nel Vermont - ha attraversato l'intero Novecento, ma i suoi prolifici (oltre una ventina i titoli, centinaia gli articoli pubblicati) e generosi contributi teorici hanno cercato di accompagnare le piu' diverse correnti del pensiero radicale del diciannovesimo e ventesimo secolo dritte nel ventunesimo. L'intera sua opera puo' essere definita, con le parole utilizzate dallo stesso Bookchin, come una sorta di Aufhebung militante, di progressiva 'assunzione, sussunzione e superamento' dei contenuti del marxismo come dell'anarchismo, della scuola di Francoforte come dell'antropologia culturale, dell'urbanesimo utopistico di Lewis Mumford come dell'etica della responsabilita' di Hans Jonas. Uno sforzo che a taluni e' apparso come un patchwork un po' naif, ma sempre compiuto nel segno dell'anticipazione, talvolta profetica, e del desiderio collettivo di liberta'. Questo operaio autodidatta, tra i protagonisti del grande sciopero della General Motors del 1946, pubblica nel 1952, sotto lo pseudonimo di Lewis Herber per sfuggire alla caccia alle streghe maccartista, un articolo dal titolo 'The Problems of Chemicals in Food'; e dodici anni piu' tardi il libro dedicato ad Our Synthetic Environment, che precede di sei mesi il ben piu' noto Primavera silenziosa di Rachel Carson: scrive profeticamente nel 1964 degli effetti della chimica di sintesi sulla salute umana, grazie all'ingresso dei pesticidi nella catena alimentare, della diffusione del cancro come malattia tipica di quel 'cancro sociale' rappresentato dal capitalismo e perfino dell'obesita' come disturbo caratteristico di un'affluent society. Espulso giovanissimo dalle fila del Partito comunista, dai primi anni Cinquanta si orienta verso un socialismo libertario. Negli anni Sessanta, rivolto alle dinamiche gruppettare che stavano affermandosi nella nuova sinistra americana, pubblica Listen Marxist!, dove sostiene un 'anarchismo della post scarsita''. 'Il problema - scrive - non e' quello di abbandonare il marxismo o di cancellarlo... in uno stadio piu' avanzato di sviluppo del capitale rispetto a quello con cui Marx aveva a che fare un secolo fa, in una fase piu' avanzata di sviluppo tecnologico rispetto a quanto lo stesso Marx potesse aver previsto, e' necessaria una nuova critica, che porti a nuove forme di lotta, di organizzazione, di propaganda, di stili di vita'. Arrivato con questo informalissimo curriculum all'insegnamento universitario, nel 1971 Bookchin fonda con altri l''Istituto per l'Ecologia Sociale' a Plainfield, Vermont, che continua ad essere un importante punto di riferimento internazionale per le sue ricerche nel campo della teoria sociale, dell'eco-filosofia e delle tecnologie alternative. E' a questo punto del suo percorso che Bookchin si definisce, mettendo in guardia verso i rischi che comporta qualsiasi gabbia ideologica, 'un ecologista sociale e un municipalista libertario'. Nel 1982 pubblica quella che puo' a ragione essere ritenuta la prima sintesi del suo impegno teorico e militante, Ecologia della liberta' (tradotto in Italia, insieme a Per una societa' ecologica e Democrazia diretta, da Eleuthera): 'il dominio dell'uomo sulla natura e' originariamente causato dal dominio reale dell'uomo sull'uomo. La soluzione a lungo termine della crisi ecologic a dipendera' da una trasformazione fondamentale di come organizziamo la societa', una nuova politica basata sulla democrazia face-to-face, su assemblee di vicinato e sulla dissoluzione delle gerarchie'. Tra i promotori del Green Left Network, ma anche critico acuto e feroce del suo programma, tiene particolarmente alla distinzione politica tra l''ecologia sociale', finalizzata alla radicale trasformazione dei rapporti sociali, e l''ambientalismo' come tentativo di intervenire sugli impatti piu' devastanti dell'economia capitalistica: 'Parlare di "limiti dello sviluppo" nel mercato capitalistico - scriveva nel 1990 in 'Remaking society' rivolto soprattutto agli analisti del Club di Roma e ad autori come Lester Brown o Rifkin - e' privo di significato; e' come parlare di porre limiti alla guerra in una societa' guerriera. La compassione morale a cui danno voce oggi molti ambientalisti benpensanti e' cosi' naif come la compassione morale delle multinazionali e' manipolativa. Il capitalismo non puo' essere piu' "convinto" a porre dei limiti al proprio sviluppo di quanto un essere umano possa essere "convinto" a smettere di respirare'. Allo stesso tempo conduce una battaglia durissima contro i sostenitori della deep ecology, denunciandone gli aspetti piu' spiritualisti e reazionari. Ma e' infine la sua proposta 'comunalista', nel tentativo di 'andare oltre le tendenze del secolo passato', a restare il contributo di maggiore originalita' per i movimenti del XXI secolo. Una proposta articolata con grande chiarezza in From Urbanization to Cities (1987), in grado, a vent'anni di distanza, di continuare a far pulizia di tanta retorica debole della 'partecipazione' e di altrettanto furbesco ambientalismo, 'eco-compatibile' soprattutto con le contemporanee forme del dominio. 'L'immediato obiettivo dell'agenda del municipalismo libertario e' quello di riaprire la sfera pubblica in opposizione ad ogni statalismo, di permettere il massimo di democrazia nel senso letterale del termine, di creare istituti che in forma embrionale possano dare potenza alla gente'; 'Non vi puo' essere politica senza comunita'. E per comunita' intendo una libera associazione di cittadini su base municipale, rinforzata nella propria autonoma capacita' economica dai propri organismi di base e il sostegno confederativo di altre comunita', organizzate in reti territoriali'. Una radicalita' ricca d'innovazione, che spiega forse l'incontro mancato con Bookchin di tanta parte della discussione italiana ed europea". Tra le opere di Murray Bookchin: I limiti della citta', Feltrinelli, Milano 1975; Post-scarcity anarchism, La Salamandra, Milano 1979; L'ecologia della liberta', Eleuthera, Milano 1988 (terza edizione); Per una societa' ecologica, Eleuthera, Milano 1989; Filosofia dell'ecologia sociale, Ila Palma, Palermo 1993; Democrazia diretta, Eleuthera, Milano 1993. Alcuni saggi di Murray Bookchin abbiamo riproposto ne "La domenica della nonviolenza" nn. 87 e 88] Di fatto, il problema reale da affrontare oggi non e' se questa nuova tecnologia puo' provvedere o meno ai mezzi per vivere in una societa' liberata dalla fatica, ma se puo' aiutarci a umanizzare la societa', se puo' contribuire alla creazione di rapporti del tutto nuovi tra uomo e uomo. La richiesta di un reddito annuo garantito e' ancora legata alle promesse quantitative della tecnologia - alla possibilita' di soddisfare senza fatica le esigenze materiali. Questo approccio quantitativo e' gia' superato dagli sviluppi tecnologici che portano con se' una nuova promessa qualitativa - la promessa di uno stile di vita decentrato, comunitario; o di cio' che preferisco chiamare le forme ecologiche di associazione umana. Sto ponendo una domanda del tutto diversa da cio' che ci si chiede di solito di fronte alla tecnologia moderna. Questa tecnologia sta forse definendo una nuova dimensione della liberta' umana e della liberazione dell'uomo? Oltre a liberare l'uomo dal bisogno e dal lavoro puo' anche condurlo a una libera, armoniosa ed equilibrata comunita' umana - un'ecocomunita', capace di promuovere l'illimitato sviluppo delle sue potenzialita'? Infine, puo' portare l'uomo oltre il regno delle liberta' nel regno della vita e del desiderio? Con l'avvento degli elaboratori entriamo in una dimensione completamente nuova dei sistemi di controllo industriali. L'elaboratore e' in grado di svolgere tutti i compiti di routine che gravavano di solito sulla mente dell'operaio di circa una generazione fa. Sostanzialmente, il moderno elaboratore digitale e' un elaboratore elettronico capace di eseguire operazioni aritmetiche a una velocita' enormemente superiore a quella del cervello umano. La velocita' costituisce il fattore cruciale: l'enorme rapidita' delle operazioni dell'elaboratore - una superiorita' quantitativa rispetto ai calcoli umani - ha una profonda importanza qualitativa. Grazie alla sua rapidita' l'elaboratore puo' eseguire operazioni matematiche e logiche molto raffinate. Sostenuto da unita' di memoria che immagazzinano milioni di bit di informazioni, e usando l'aritmetica binaria (la sostituzione dei tasti da 0 a 9 con i tasti 0 e 1) un elaboratore ben programmato puo' eseguire operazioni che si avvicinano a molte attivita' logiche altamente sviluppate della mente. Si puo' discutere se l'"intelligenza" dell'elaboratore sia, o sara' mai, creativa o innovativa (benche' ogni pochi anni si verifichino dei cambiamenti radicali nella tecnologia degli elaboratori); non si puo' tuttavia dubitare che l'elaboratore digitale sia in grado di assumersi tutti i compiti mentali pesanti e chiaramente non creativi svolti dall'uomo (nell'industria, nella scienza e nella tecnica) nel reperimento delle informazioni e nei trasporti. L'uomo moderno, in effetti, ha prodotto una "mente" elettronica per coordinare, costruire e valutare gran parte delle sue operazioni industriali di routine. Usati correttamente, entro la sfera di competenza per la quale sono stati progettati, gli elaboratori sono piu' veloci ed efficienti dell'uomo stesso. Qual e' l'importanza reale di questa nuova rivoluzione industriale? Quali sono le sue applicazioni immediate e prevedibili nei confronti del lavoro? Vediamo di delineare l'impatto di questa nuova tecnologia sul processo lavorativo esaminando le sue applicazioni alla fabbricazione dei motori d'automobile nello stabilimento della Ford di Cleveland. Questo esempio singolo di raffinatezza tecnologica ci aiutera' a valutare il potenziale liberatorio della nuova tecnologia in tutte le industrie manifatturiere. Prima che la cibernetica fosse introdotta nell'industria automobilistica, lo stabilimento Ford aveva bisogno di circa 300 operai che usavano una grande varieta' di utensili e di macchine per trasformare un blocco in un motore. Il processo dalla colata fino al motore completamente rifinito prendeva molte ore-uomo di esecuzione. Con lo sviluppo di quello che chiamiamo normalmente un sistema di macchine "automatizzato", il tempo richiesto per trasformare la colata in motore fu ridotto a meno di 15 minuti. Tolti pochi addetti per sorvegliare il pannello di controllo automatico, le 300 unita' lavorative originarie vennero eliminate. Piu' tardi fu aggiunto un elaboratore al sistema di macchine, il quale divenne un sistema cibernetico realmente chiuso. L'elaboratore regola l'intero processo di lavorazione operando attraverso un impulso elettronico che cicla con una frequenza di decimi di milionesimo di secondo. * Non c'e' ragione che vieti ai principi tecnologici posti alla base delle applicazioni cibernetiche alla produzione dei motori d'automobile di essere applicati praticamente in ogni area della manifattura di massa, dall'industria metallurgica a quella alimentare, da quella elettronica a quella dei giocattoli, dalla fabbricazione di ponti prefabbricati a quella di case prefabbricate. Molte fasi della produzione dell'acciaio, di utensili e stampi, di apparecchiature elettroniche e nella chimica industriale sono ora parzialmente e largamente automatizzate. Quello che tende a frenare l'avanzamento della completa automazione in ogni fase dell'industria moderna e' l'enorme costo necessario per sostituire le attrezzature industriali esistenti con quelle nuove e piu' raffinate, oltre all'innato conservatorismo di molte grandi societa'. Infine, come ho detto prima, per molte industrie e' ancora meno costoso usare il lavoro che le macchine. Certo, ogni industria ha i suoi problemi particolari e l'applicazione di una tecnologia che liberi dalla fatica a un impianto specifico farebbe emergere senza dubbio una quantita' di problemi che richiederebbero accurate soluzioni. In molte industrie sarebbe necessario alterare la forma del prodotto e la disposizione degli impianti in modo che il processo di fabbricazione possa prestarsi alle tecniche automatizzate. Sostenere tuttavia in base a cio' che e' impossibile applicare una tecnologia completamente automatizzata a un'industria specifica e' altrettanto assurdo quanto sarebbe stato assurdo ottant'anni fa sostenere che il volo era impossibile perche' l'elica di un aeroplano sperimentale non girava abbastanza velocemente o perche' il telaio era troppo fragile per poter resistere al vento. Non c'e' praticamente alcuna industria che non possa essere completamente automatizzata se ci si propone di riprogettare il prodotto, gli impianti, le procedure di lavorazione e i metodi di trattamento. In effetti, e' difficile poter dire come, dove e quando, una data industria sara' automatizzata, e cio' non per i problemi particolari che si possono incontrare ma invece per gli enormi balzi che si verificano ogni pochi anni nella tecnologia moderna. Quasi ogni rapporto sull'automazione applicata deve essere considerato oggi come provvisorio: non appena un'industria automatizzata e stata descritta, i progressi tecnologici rendono questa descrizione obsoleta. * E' facile prevedere un tempo, per niente lontano, nel quale l'economia organizzata razionalmente potrebbe fabbricare automaticamente piccole fabbriche "in scatola" senza lavoro umano; le parti potrebbero essere prodotte con cosi' poco sforzo che il lavoro di manutenzione si ridurrebbe per lo piu' alla semplice azione di togliere il pezzo difficoltoso da una macchina e sostituirlo con un altro - un compito non piu' difficile di quello di strappare un foglio e buttarlo nel cestino. Le macchine farebbero e riparerebbero gran parte delle macchine necessarie per tenere in piedi questa economia altamente industrializzata. Una tecnologia come questa, orientata interamente verso i bisogni umani e liberata da ogni considerazione di profitto e perdita, eliminerebbe la sofferenza del bisogno e della fatica - la condanna, inflitta sotto forma di rifiuto, sofferenza e inumanita', imposta da una societa' basata sulla scarsita' del lavoro. Le possibilita' create da una tecnologia cibernetica non si limiterebbero piu' a soddisfare semplicemente i bisogni materiali. Saremmo liberi di cercare come la macchina, la fabbrica e la miniera possano essere usate per incoraggiare la solidarieta' umana e per creare un rapporto equilibrato con la natura e con una ecocomunita' realmente organica. Dovrebbe forse questa nostra nuova tecnologia essere basata sulla stessa divisione nazionale del lavoro che esiste oggi? Il tipo corrente di organizzazione industriale - un'estensione, di fatto, delle forme industriali create dalla rivoluzione industriale - favorisce l'accentramento industriale (anche se un sistema di organizzazione dei lavoratori basato sulla fabbrica singola e sulla comunita' locale starebbe procedendo verso l'eliminazione di questa caratteristica). Oppure la nuova tecnologia tende di per se' verso un sistema di produzione a scala ridotta, basato su una economia regionale e strutturato fisicamente su scala umana? Questo tipo di organizzazione industriale pone tutte le decisioni economiche nelle mani della comunita' locale. Nella misura in cui la produzione materiale viene decentrata e resa locale, si assicura il primato della comunita' sulle istituzioni nazionali - ponendo che qualcuna di queste istituzioni naturali raggiunga delle dimensioni significative. In queste circostanze l'assemblea popolare della comunita' locale, riunita in una democrazia basata sui rapporti diretti, si assume la piena direzione della vita sociale. Il problema e' se la societa' futura sara' organizzata attorno alla tecnologia, oppure se la tecnologia e' ora sufficientemente malleabile per poter essere organizzata attorno alla societa'. Per rispondere a questa domanda dobbiamo ancora esaminare alcuni tratti della nuova tecnologia. * La nuova tecnologia non ha prodotto soltanto componenti elettronici altamente miniaturizzati e attrezzature produttive piu' piccole, ma anche macchine molto versatili e multifunzionali. Per piu' di un secolo, nel campo della progettazione delle macchine, si e' andati sempre piu' verso la specializzazione tecnologica e verso quegli strumenti monofunzionali sui quali si basava la divisione intensiva del lavoro richiesta dal nuovo sistema di fabbrica. Le operazioni industriali erano subordinate completamente al prodotto. Col tempo, questo limitato approccio programmatico ha "allontanato l'industria da una linea razionale di sviluppo nel campo dei macchinari per la produzione", osservano Eric W. Leaver e John J. Brown; "si e' andati verso una specializzazione sempre piu' antieconomica... specializzare le macchine in base al prodotto finale significa buttarle via quando il prodotto non e' piu' richiesto. Invece il lavoro per le macchine per la produzione puo' essere ridotto a una serie di funzioni fondamentali - modellare, tenere, tagliare e cosi' via - e queste funzioni, se correttamente analizzate, possono essere messe a punto e usate per agire su un pezzo nel modo voluto". In linea di principio, un trapano del tipo immaginato da Leaver e Brown potrebbe fare un buco abbastanza piccolo da far passare un filo sottile o abbastanza grande da far passare un tubo. Le macchine con questo raggio di operazione erano un tempo considerate economicamente proibitive. Dalla meta' degli anni '50, tuttavia, sono state progettate e adoperate diverse di queste macchine. Nel 1954, per esempio, venne costruita in Svizzera una alesatrice orizzontale per il River Rouge Plant della Ford a Dearborn nel Michigan. Questa alesatrice ha proprio le qualita' di una macchina di Leaver e Brown. Dotata di cinque calibri illuminati come un microscopio ottico, puo' lavorare dei fori piu' piccoli della cruna di un ago o piu' grandi di un pugno. I fori sono precisi al decimillesimo di pollice. L'importanza di una macchina dotata di questa ampiezza di campo operativo puo' difficilmente essere sopravvalutata. Essa consente di fare una grande varieta' di prodotti in un unico impianto. Una comunita' piccola o di modeste dimensioni, usando macchine multifunzionali, potrebbe soddisfare molte delle sue limitate esigenze industriali, senza essere gravata da attrezzature industriali sottoutilizzate. Vi sarebbero meno perdite in utensili di scarto e meno bisogno di impianti monofunzionali: l'economia della comunita' sarebbe piu' compatta e versatile, piu' completa e piu' contenuta in se stessa, di quella di qualsiasi comunita' esistente oggi nei paesi industrialmente avanzati. Lo sforzo da impiegarsi per riadattare le macchine ai nuovi prodotti sarebbe enormemente ridotto: riadattare vorrebbe dire cambiare le dimensioni e non il disegno. Infine, le macchine multifunzionali con un ampio raggio di operazioni sono relativamente facili da automatizzare. I mutamenti richiesti per utilizzare queste macchine in un impianto industriale reso cibernetico riguarderebbero in generale i circuiti e i programmi piuttosto che la forma e la struttura delle macchine. Le macchine monofunzionali continuerebbero naturalmente ad esistere e sarebbero ancora usate per la produzione di massa di una grande varieta' di beni. Oggi molte macchine monofunzionali, altamente automatizzate, potrebbero essere impiegate con piccolissime modifiche dalle comunita' decentrate. Le macchine per imbottigliare e inscatolare, ad esempio, sono installazioni compatte, automatiche, e altamente razionalizzate. Potremmo attenderci di vedere macchine automatiche tessili, per i trattamenti chimici e dei prodotti alimentari di dimensioni piu' ridotte. Se si passasse dalla automobili, autobus e autocarri tradizionali, ai veicoli elettrici si avrebbero senza dubbio delle attrezzature industriali molto piu' piccole rispetto agli attuali stabilimenti automobilistici. Molte delle altre attrezzature centralizzate potrebbero essere decentrate in modo efficiente semplicemente rimpicciolendole al massimo e distribuendo la loro utilizzazione tra diverse comunita'. Non pretendo che tutte le attivita' economiche umane possano essere completamente decentrate, ma la maggioranza di esse puo' essere certamente ridotta a dimensioni umane e comunitarie. Questo e' certo: possiamo trasferire il centro del potere economico a un livello locale, e da forme burocratiche accentrate alle assemblee popolari locali. Questo trasferimento costituirebbe un mutamento rivoluzionario di vaste proporzioni, poiche' creerebbe le potenti basi economiche della sovranita' e dell'autonomia della comunita' locale. * E' forse la societa' cosi' "complessa" da porre in contraddizione una societa' industriale avanzata con una decentrata tecnologia per la vita? La mia risposta a questa domanda e' un categorico no. Molta della "complessita'" sociale del nostro tempo ha la sua origine negli scritti, nell'amministrazione, nella manipolazione e nel costante sperpero dell'impresa capitalistica. Il piccolo borghese resta a bocca aperta davanti al sistema borghese di archiviazione e documentazione - file di armadi pieni di fatture, libri cantabili, atti assicurativi, moduli fiscali e gli inevitabili dossiers; e' incantato dall'"esperienza" di dirigenti industriali, tecnici, inventori di linee, manipolatori finanziari e degli architetti del consenso di mercato; e' totalmente mistificato dallo stato, polizia, tribunali, prigioni, uffici, segretariati, da tutto il puzzolente e nauseante complesso per la coercizione, il controllo e il dominio. La societa' moderna e' incredibilmente complessa, complessa anche oltre l'umana comprensione, se accettiamo le sue premesse: proprieta', produzione per la produzione, concorrenza, accumulazione di capitale, sfruttamento, finanza, accentramento, coercizione, burocrazia e dominio dell'uomo sull'uomo. Per ognuna di queste premesse vi sono le istituzioni che le realizzano - uffici, "personale" a milioni, moduli, immense quantita' di carta, scrivanie, macchine da scrivere, telefoni e, naturalmente, file e file di archivi. Come nei romanzi di Kafka, questi oggetti sono reali ma stranamente onirici, e anche indefinibili nel paesaggio sociale. L'economia ha una maggiore realta' ed e' facilmente dominabile dalla mente e dai sensi, ma anch'essa e' molto intricata - solo pero' se accettiamo che i bottoni devono avere migliaia di forme diverse, che i tessuti debbano variare continuamente in qualita' e forma per cercare un'illusione di varieta' e di innovazione, che i bagni debbano traboccare per una pazzesca varieta' di prodotti farmaceutici e di bellezza, e che le cucine siano ingombrate da un numero infinito di stupidi apparecchi. Se scegliamo tra questi detestabili rifiuti uno o due beni di alta qualita' appartenenti alle categorie piu' utili e se eliminiamo l'economia monetaria, il potere dello stato, il sistema creditizio, le carte e la polizia necessarie per tenere la societa' in uno stato forzato di bisogno, insicurezza e dominio, allora la societa' non solo diventerebbe ragionevolmente umana, ma anche abbastanza semplice. Non voglio minimizzare il fatto che dietro un solo yard di filo elettrico di alta qualita' c'e' una miniera di rame, le macchine necessarie per lavorarlo, uno stabilimento per produrre materiale isolante, un complesso per fondere e forgiare il rame, un sistema di trasporti per distribuire il filo - e dietro ciascuno di questi complessi ci sono altre miniere, impianti, fabbriche di macchinari, e cos' via. Le miniere di rame, del tipo che possa essere sfruttato dai macchinari esistenti, non si trovano dovunque, anche se si puo' recuperare dai rifiuti della nostra societa' attuale abbastanza rame e altri metalli utili da rifornire le future generazioni di tutto cio' che servira' loro. Ammettiamo comunque che il rame appartenga a quella ampia categoria di materiali che possono essere forniti soltanto da un sistema di distribuzione a scala nazionale: in che senso sarebbe necessaria una divisione del lavoro nel senso corrente del termine? Non ce ne sarebbe affatto bisogno. Primo, il rame puo' essere distribuito, assieme ad altri beni, tra le libere autonome comunita' indipendentemente dal fatto che queste lo estraggano o lo richiedano: questo sistema di distribuzione non ha bisogno della mediazione di istituzioni burocratiche accentrate. Secondo, e forse piu' importante, una comunita' che vive in una regione con ampie risorse di rame non sarebbe una vera comunita' mineraria. L'estrazione del rame sarebbe una delle molte attivita' economiche alle quali si dedicherebbe - una parte del piu' ampio, completo e organico spazio economico. Lo stesso avverrebbe nel caso di comunita' il cui clima fosse il piu' adatto per coltivare prodotti alimentari specializzati o le cui risorse fossero rare e valide esclusivamente per la societa' nel suo complesso. Ogni comunita' si avvicinerebbe a un'autarchia locale o regionale e cercherebbe di raggiungere la totalita', perche' la totalita' produce uomini completi, maturi, che vivono in relazione simbiotica con il loro ambiente. Anche se una porzione sostanziale dell'economia ricadesse nella sfera della divisione nazionale del lavoro, il peso economico generale della societa' resterebbe ancora nella comunita'; e se non c'e' una distorsione della comunita', non verra' sacrificata alcuna porzione di umanita' agli interessi dell'umanita' nel suo insieme. Un senso basilare di decenza, simpatia e aiuto reciproco sta nel fondo del comportamento umano. Persino in questa abietta societa' borghese non troviamo strano che degli adulti salvino dei bambini da un pericolo anche se quest'atto puo' mettere in pericolo loro stessi; non troviamo strano che dei minatori, per esempio, rischino la vita per salvare dei loro compagni di lavoro rimasti sotto una frana, o che dei soldati striscino sotto il fuoco avversario per salvare un compagno ferito. Ci possono colpire invece quei casi in cui l'aiuto e' negato - quando le grida di una ragazza che e' stata accoltellata e sta per essere uccisa vengono ignorate in un quartiere residenziale della classe media. Tuttavia, non c'e' niente in questa societa' che sembri garantire un minimo di solidarieta'. La solidarieta' che vediamo esiste malgrado la societa', contro tutte le sue realta', come una lotta interminabile tra l'innata decenza dell'uomo e l'innata indecenza della societa'. Possiamo immaginare come agirebbero gli uomini se questa indecenza se ne andasse del tutto, se la societa' si guadagnasse il rispetto, persino l'amore, degli individui? Noi siamo il frutto di una violenta, insanguinata ed ignobile storia - i prodotti finali del dominio dell'uomo sull'uomo. Questa condizione di dominio puo' forse non finire: il futuro puo' far crollare noi e la nostra civilta' in un wagneriano Goetterdaemmerung. Come sarebbe idiota tutto questo! Possiamo pero' forse porre fine al dominio dell'uomo sull'uomo, possiamo riuscire finalmente a spezzare la catena che ci lega al passato e guadagnare una societa' umanistica e anarchica. Non sarebbe il colmo dell'assurdita', anzi dell'imprudenza, se noi giudicassimo il comportamento delle future generazioni con quei criteri che disprezziamo nel nostro tempo? Degli uomini liberi non saranno ingordi, una comunita' liberata non cerchera' di dominarne un'altra perche' ha un monopolio potenziale del rame, gli "esperti" in elaboratori non cercheranno di rendere schiave delle grosse scimmie e i romanzi sentimentali su languenti vergini tubercolotiche non saranno piu' scritti. Noi possiamo chiedere una sola cosa agli uomini e donne liberi del futuro: di perdonarci se ci volle tanto tempo e un cosi' duro sforzo. Come Brecht, possiamo credere che cerchino di pensare a noi non troppo severamente e che ci diano la loro simpatia e comprensione perche' siamo vissuti nel profondo di un inferno sociale. Ma allora sapranno certamente cosa pensare senza che glielo diciamo noi. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1401 del 28 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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