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La domenica della nonviolenza. 88
- Subject: La domenica della nonviolenza. 88
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 27 Aug 2006 12:29:23 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 88 del 27 agosto 2006 In questo numero: 1. Murray Bookchin: Il marxismo come ideologia borghese (1980) 2. Severino Vardacampi: Una postilla 1. MAESTRI E COMPAGNI. MURRAY BOOKCHIN: IL MARXISMO COME IDEOLOGIA BORGHESE (1980) [Da "A. rivista anarchica", n. 81, febbraio 1980 (disponibile anche nel sito www.arivista.org) riprendiamo il seguente saggio tradotto dalla rivista trimestrale "Our Generation", vol. 13, n. 3, edita a Montreal, in Canada. Murray Bookchin, pensatore e militante libertario americano, e' stato tra i principali punti di riferimento della "ecologia sociale"; nato a New York nel 1921, figlio di emigrati russi (la nonna materna era una rivoluzionaria populista), ha fatto l'operaio metalmeccanico, il sindacalista, lo scrittore, il docente universitario; e' deceduto sul finire di luglio 2006. Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 agosto 2006 riprendiamo il seguente necrologio scritto dall'assessore del Comune di Venezia Beppe Caccia: "La traiettoria biografica di Murray Bookchin - che, nato nel Bronx nel 1921 da una coppia di immigrati russi rivoluzionari (la madre attivista wobbly), si e' spento il 30 luglio scorso a Burlington nel Vermont - ha attraversato l'intero Novecento, ma i suoi prolifici (oltre una ventina i titoli, centinaia gli articoli pubblicati) e generosi contributi teorici hanno cercato di accompagnare le piu' diverse correnti del pensiero radicale del diciannovesimo e ventesimo secolo dritte nel ventunesimo. L'intera sua opera puo' essere definita, con le parole utilizzate dallo stesso Bookchin, come una sorta di Aufhebung militante, di progressiva 'assunzione, sussunzione e superamento' dei contenuti del marxismo come dell'anarchismo, della scuola di Francoforte come dell'antropologia culturale, dell'urbanesimo utopistico di Lewis Mumford come dell'etica della responsabilita' di Hans Jonas. Uno sforzo che a taluni e' apparso come un patchwork un po' naif, ma sempre compiuto nel segno dell'anticipazione, talvolta profetica, e del desiderio collettivo di liberta'. Questo operaio autodidatta, tra i protagonisti del grande sciopero della General Motors del 1946, pubblica nel 1952, sotto lo pseudonimo di Lewis Herber per sfuggire alla caccia alle streghe maccartista, un articolo dal titolo 'The Problems of Chemicals in Food'; e dodici anni piu' tardi il libro dedicato ad Our Synthetic Environment, che precede di sei mesi il ben piu' noto Primavera silenziosa di Rachel Carson: scrive profeticamente nel 1964 degli effetti della chimica di sintesi sulla salute umana, grazie all'ingresso dei pesticidi nella catena alimentare, della diffusione del cancro come malattia tipica di quel 'cancro sociale' rappresentato dal capitalismo e perfino dell'obesita' come disturbo caratteristico di un'affluent society. Espulso giovanissimo dalle fila del Partito comunista, dai primi anni Cinquanta si orienta verso un socialismo libertario. Negli anni Sessanta, rivolto alle dinamiche gruppettare che stavano affermandosi nella nuova sinistra americana, pubblica Listen Marxist!, dove sostiene un 'anarchismo della post scarsita''. 'Il problema - scrive - non e' quello di abbandonare il marxismo o di cancellarlo... in uno stadio piu' avanzato di sviluppo del capitale rispetto a quello con cui Marx aveva a che fare un secolo fa, in una fase piu' avanzata di sviluppo tecnologico rispetto a quanto lo stesso Marx potesse aver previsto, e' necessaria una nuova critica, che porti a nuove forme di lotta, di organizzazione, di propaganda, di stili di vita'. Arrivato con questo informalissimo curriculum all'insegnamento universitario, nel 1971 Bookchin fonda con altri l''Istituto per l'Ecologia Sociale' a Plainfield, Vermont, che continua ad essere un importante punto di riferimento internazionale per le sue ricerche nel campo della teoria sociale, dell'eco-filosofia e delle tecnologie alternative. E' a questo punto del suo percorso che Bookchin si definisce, mettendo in guardia verso i rischi che comporta qualsiasi gabbia ideologica, 'un ecologista sociale e un municipalista libertario'. Nel 1982 pubblica quella che puo' a ragione essere ritenuta la prima sintesi del suo impegno teorico e militante, Ecologia della liberta' (tradotto in Italia, insieme a Per una societa' ecologica e Democrazia diretta, da Eleuthera): 'il dominio dell'uomo sulla natura e' originariamente causato dal dominio reale dell'uomo sull'uomo. La soluzione a lungo termine della crisi ecologica dipendera' da una trasformazione fondamentale di come organizziamo la societa', una nuova politica basata sulla democrazia face-to-face, su assemblee di vicinato e sulla dissoluzione delle gerarchie'. Tra i promotori del Green Left Network, ma anche critico acuto e feroce del suo programma, tiene particolarmente alla distinzione politica tra l''ecologia sociale', finalizzata alla radicale trasformazione dei rapporti sociali, e l''ambientalismo' come tentativo di intervenire sugli impatti piu' devastanti dell'economia capitalistica: 'Parlare di "limiti dello sviluppo" nel mercato capitalistico - scriveva nel 1990 in 'Remaking society' rivolto soprattutto agli analisti del Club di Roma e ad autori come Lester Brown o Rifkin - e' privo di significato; e' come parlare di porre limiti alla guerra in una societa' guerriera. La compassione morale a cui danno voce oggi molti ambientalisti benpensanti e' cosi' naif come la compassione morale delle multinazionali e' manipolativa. Il capitalismo non puo' essere piu' "convinto" a porre dei limiti al proprio sviluppo di quanto un essere umano possa essere "convinto" a smettere di respirare'. Allo stesso tempo conduce una battaglia durissima contro i sostenitori della deep ecology, denunciandone gli aspetti piu' spiritualisti e reazionari. Ma e' infine la sua proposta 'comunalista', nel tentativo di 'andare oltre le tendenze del secolo passato', a restare il contributo di maggiore originalita' per i movimenti del XXI secolo. Una proposta articolata con grande chiarezza in From Urbanization to Cities (1987), in grado, a vent'anni di distanza, di continuare a far pulizia di tanta retorica debole della 'partecipazione' e di altrettanto furbesco ambientalismo, 'eco-compatibile' soprattutto con le contemporanee forme del dominio. 'L'immediato obiettivo dell'agenda del municipalismo libertario e' quello di riaprire la sfera pubblica in opposizione ad ogni statalismo, di permettere il massimo di democrazia nel senso letterale del termine, di creare istituti che in forma embrionale possano dare potenza alla gente'; 'Non vi puo' essere politica senza comunita'. E per comunita' intendo una libera associazione di cittadini su base municipale, rinforzata nella propria autonoma capacita' economica dai propri organismi di base e il sostegno confederativo di altre comunita', organizzate in reti territoriali'. Una radicalita' ricca d'innovazione, che spiega forse l'incontro mancato con Bookchin di tanta parte della discussione italiana ed europea". Tra le opere di Murray Bookchin: I limiti della citta', Feltrinelli, Milano 1975; Post-scarcity anarchism, La Salamandra, Milano 1979; L'ecologia della liberta', Eleuthera, Milano 1988 (terza edizione); Per una societa' ecologica, Eleuthera, Milano 1989; Filosofia dell'ecologia sociale, Ila Palma, Palermo 1993; Democrazia diretta, Eleuthera, Milano 1993. Due saggi di Murray Bookchin abbiamo riproposto ne "La domenica della nonviolenza" n. 87] Il marxismo, forse il piu' notevole tentativo di demistificazione della societa' borghese, si e' rivelato a sua volta la piu' astuta e sottile mistificazione del capitalismo della nostra epoca. Non mi riferisco, con cio', al "positivismo" latente nel pensiero di Marx, ne' a un riconoscimento a posteriori dei suoi "limiti storici". Una seria critica del marxismo deve prendere le mosse dalla sua intrinseca natura di prodotto piu' avanzato - anzi, di momento culminante - dell'Illuminismo borghese. Non e' piu' sufficiente vedere in Marx un punto di partenza per la nuova critica sociale, accettare la validita' del suo "metodo" nonostante il contenuto limitato che poteva abbracciare nel suo periodo storico, considerarne liberatori gli obiettivi scindendoli dai mezzi e attribuirne gli errori e le manchevolezze ai seguaci e agli epigoni. In realta', il "fallimento" di Marx nella creazione e nello sviluppo di una critica radicale del capitalismo e di una pratica rivoluzionaria non si puo' neppure definire tale nel senso di un'impresa inadeguata agli obiettivi che si era proposti. Al contrario, nei suoi aspetti migliori, il marxismo tradisce se stesso, poiche' assimila inavvertitamente i caratteri piu' dubbi del pensiero illuminista ed e' sorprendentemente vulnerabile dalle sue implicazioni borghesi. Nei suoi aspetti peggiori, invece, la teoria marxista rappresenta l'apologia di un'epoca storica nuova, testimone della fusione tra "libero mercato" e pianificazione economica, tra proprieta' privata e proprieta' nazionalizzata, tra competitivita' e manipolazione oligopolistica della produzione e dei consumi, tra economia e stato - in breve, l'epoca moderna del capitalismo di stato. La sorprendente congruenza del "socialismo scientifico" di Marx - un socialismo che considerava la razionalizzazione economica, la pianificazione produttiva e lo "stato proletario" come obiettivi prioritari del progetto rivoluzionario - con l'intrinseco sviluppo del capitalismo verso il monopolio, verso il controllo politico e verso un apparente "stato di benessere" ha gia' fatto si' che alcune sue correnti istituzionalizzate, come la socialdemocrazia e l'eurocomunismo, contribuissero attivamente alla stabilizzazione di un'epoca di grande razionalizzazione del capitalismo. In effetti, ci basta una lieve modifica prospettica per essere in grado di valerci dell'ideologia marxista per definire "socialista" l'era capitalista in cui viviamo. Questa mutazione prospettica puo' essere liquidata come "volgarizzazione", come "tradimento" del marxismo? Oppure realizza in pieno le tesi principali di Marx - secondo una logica che Marx stesso non fu in grado di cogliere? Quando Lenin descrive il socialismo come "nulla piu' che un monopolio capitalista di stato volto a favore del popolo", volgarizza anch'egli il pensiero marxista e ne contamina l'integrita'? O rivela invece le premesse che vi sono insite, e che ne fanno, storicamente, l'ideologia piu' sofisticata del capitalismo avanzato? Il senso di queste domande consiste nell'appurare se esistono elementi condivisi da tutti i marxisti, tali da costituire una base reale per la socialdemocrazia, l'eurocomunismo e le idee di Lenin. Una teoria che viene cosi' spesso "volgarizzata", "tradita" e, peggio, istituzionalizzata in forme di potere burocratico da quasi tutti i suoi seguaci fa pensare che questi suoi "tradimenti" siano, tutto sommato, una condizione normale della sua esistenza. Cio' che appare come una "volgarizzazione", un "tradimento" e una manifestazione burocratica nel fervore incandescente delle dispute dottrinali puo' invece rivelarsi, alla fredda luce della storia, una fedele realizzazione dei suoi obiettivi. In ogni caso, oggi, tutti i ruoli storici sembrano essere stati male assegnati. Puo' darsi che non sia il marxismo a doversi rinnovare per mettersi nuovamente al passo con le fasi piu' avanzate del capitalismo, ma siano invece queste ultime, nelle societa' borghesi piu' tradizionali, a dover guadagnare ancora terreno per raggiungere il marxismo, la piu' sofisticata anticipazione ideologica dello sviluppo capitalista. Sia ben chiaro che non si tratta di un gioco di parole puramente accademico. La realta' offre esempi paradossali e incontestabili, piu' ancora della storia. La bandiera rossa sventola su un mondo di nazioni socialiste che si fanno guerra tra loro, mentre al di fuori dei loro confini i partiti marxisti si preparano a un mondo sempre piu' orientato verso il capitalismo di stato e che, per colmo d'ironia, funge da arbitro tra i paesi socialisti in lizza - o si allinea con loro. Il proletariato, come la plebe del mondo antico, gode di una partecipazione attiva a un mondo, la cui maggiore minaccia e' rappresentata da una popolazione diffusa e frammentaria di intellettuali, cittadini, femministe, omosessuali, ecologisti - in breve, da una popolazione trans-classista, che esprime gli ideali utopici di rivoluzioni democratiche ormai sepolte nella notte dei tempi. Dire che oggi il marxismo non tiene in nessun conto questa costellazione non-marxista significa peccare di eccessiva generosita' nei confronti di un'ideologia che e' divenuta l'impersonificazione "rivoluzionaria" dello stato capitalista reazionario. Le caratteristiche strutturali del marxismo si adattano perfettamente a relegare questi nuovi fenomeni nell'oscurita', a distorcerne il significato e, se vi sono altre possibilita', a ridurli a categorie economiche. Dal canto loro, i paesi e i movimenti socialisti non sono meno "socialisti" per le loro "distorsioni" che per i "risultati" che dichiarano di aver conseguito. Anzi, le "distorsioni" acquistano maggior significato dei "risultati", perche' rivelano inequivocabilmente l'apparato ideologico che serve a mistificare il capitalismo di stato. Di conseguenza, e' piu' che mai necessario analizzare questo apparato, scoprirne le radici, svelarne la logica e bandirne lo spirito dalla causa rivoluzionaria. Illuminato dal fuoco spietato della critica, apparira' quale realmente e' - non "incompletezza", "volgarizzazione", "travisamento", bensi' l'essenza storica della controrivoluzione, di quella controrivoluzione che, piu' di ogni altra ideologia dai tempi del cristianesimo ad oggi, ha usato efficacemente l'illusione libertaria per soffocare la liberta'. * Marxismo e dominazione La convergenza tra illuminismo e marxismo e' tale che entrambi sembrano condividere una concezione scientistica della realta'. Cio' che spesso svia i critici dello scientismo marxista, tuttavia, e' la misura in cui il "socialismo scientifico" oggettivizza l'idea rivoluzionaria, privandola percio' di ogni contenuto etico e di ogni finalita'. I recenti tentativi, ad opera di alcuni neomarxisti, di infondere in questa dottrina un significato psicologico, culturale e linguistico, affrontano candidamente il problema sul terreno stesso della teoria marxista, senza sfiorarne l'intrinseca natura. Percio', per quanto la loro opera possa risultare utile in termini rigorosamente scientifici, essi contribuiscono, consciamente o inconsciamente, a perpetuare il carattere mistificante del marxismo. Di fatto, dal punto di vista della metodologia scientifica, il marxismo puo' essere letto in molti modi diversi. Il celebre paragone che Marx traccia, nella prefazione al Capitale, tra la sperimentazione del fisico che riproduce allo "stato puro" i fenomeni naturali e la scelta dell'autore di collocare in Inghilterra il locus classicus del capitalismo industriale del suo tempo, rivela chiaramente una predisposizione scientifica, ulteriormente confermata dall'affermazione, secondo cui Il capitale avrebbe rivelato le "leggi naturali" del "movimento economico" del capitalismo; secondo la quale, inoltre, l'opera avrebbe affrontato il problema della "formazione economica della societa' [non solo del capitalismo - nota di Bookchin]... come processo storico naturale". D'altra parte, queste affermazioni sono controbilanciate dal carattere dialettico dei Grundrisse e dello stesso Capitale, dialettica che indaga sulle trasformazioni interne della societa' capitalista da un punto di vista organico e immanente, che mal si accorda con la concezione della realta' che ha il fisico. Cio' che contribuisce decisamente ad unire in Marx lo scientismo del fisico alla dialettica, tuttavia, e' lo stesso concetto di "legge" - il preconcetto secondo il quale la realta' sociale e la sua traiettoria si possono spiegare in termini tali da rimuovere dal processo sociale ogni idea umana, ogni influsso culturale e, significativamente, ogni fine etico. Marx chiarisce la funzione di queste "forze" culturali, psicologiche ed etiche in modo tale che esse appaiano contingenti alle "leggi" che agiscono oltre la volonta' dell'uomo. Le volonta' degli uomini, interagendo e ostacolandosi a vicenda, si "elidono" l'una con l'altra e consentono al "fattore economico" di determinare liberamente il corso degli eventi. O, per dirla nei termini magniloquenti usati da Engels, queste volonta' comprendono "innumerevoli forze intersecantesi, una serie infinita di parallelogrammi di forze da cui scaturisce un'unica risultante - l'evento storico". Percio', alla lunga, "sono le forze economiche a prevalere" (lettera a J. Bloch). Non e' per nulla chiaro se Marx, che prendeva a paradigma il laboratorio del fisico, fosse d'accordo con la geometria sociale di Engels. In ogni caso, cio' che interessa non e' stabilire se le "leggi" sociali siano o meno dialettiche. Il fatto e' che esse costituiscono una base consistente e oggettiva per lo sviluppo sociale, caratteristica dell'approccio illuministico alla realta'. Dobbiamo fermarci a considerare con attenzione tutte le implicazioni del fenomeno sopra descritto in quella che potremmo chiamare la "teoria della conoscenza" di Marx. Anche nella filosofia greca era presente un concetto di legge, ma piu' nel senso di "destino", di moira, che di "necessita'" come oggi la intendiamo. Nella moira era insito il concetto di "necessita'" sorretta da un significato, da un fine eticamente condizionato, stabilito dal "destino". La realizzazione pratica del "destino" era compito della giustizia, o dike, che preservava l'ordine del mondo mantenendo tutti gli elementi del cosmo entro i confini assegnati. La natura mitica di questa concezione della "legge" non deve impedirci di coglierne i profondi contenuti etici. "Necessita'" non significa semplicemente necessita', ma necessita' morale, con un significato e uno scopo. Se la conoscenza umana ha il diritto di presumere che esista un ordine mondiale - presunzione che la scienza moderna condivide con la mitologia antica, al fine di rendere possibile la conoscenza - essa ha anche il diritto di presumere che quest'ordine possieda una sua intelligibilita' o un significato, e che possa essere tradotto dal pensiero umano in una serie di rapporti finalizzati. Dal concetto di fine, di obiettivo, contenuto implicitamente nella nozione di ordine universale, i filosofi greci derivavano il diritto a parlare di "giustizia" e di "conflitto" nell'ordine cosmico, di "attrazione" e di "repulsione", di "ingiustizia" e di "compenso". Vista la necessita' di giungere ad una filosofia della natura che renda possibile una visione ecologica piu' acuta e profonda nei rapporti contorti dell'uomo con il mondo naturale, esiste anche per noi il bisogno, meno mitico, di sviluppare una nuova sensibilita' di tipo ellenico. L'illuminismo, svuotando il concetto di legge di ogni contenuto, ha prodotto il cosmo oggettivo, ordinato ma privo di significato. Laplace, il piu' grande astronomo di quel periodo, nella sua famosa risposta a Napoleone non solo elimino' del tutto Dio dalla descrizione del cosmo, ma soppresse anche l'ethos classico che reggeva l'universo. Tuttavia, l'Illuminismo lascio' all'ethos un campo d'azione - il campo sociale, nel quale l'ordine aveva ancora un significato e il cambiamento aveva uno scopo. Il pensiero illuminista mantenne la visione etica di una umanita' morale che si poteva educare a vivere in una societa' morale. Questa visione, fortemente impregnata dei concetti di liberta', di uguaglianza e di razionalita', costitui' il fertile terreno sul quale si svilupparono, nel secolo seguente, il pensiero socialista e anarchico. Per colmo d'ironia, Marx completo' il pensiero illuminista riportando nella societa' il cosmo di Laplace - non in modo rozzamente meccanicistico, ma certamente da scienziato, in aperta e violenta opposizione con ogni forma di utopia sociale. Assai piu' significativo dell'idea di Marx, secondo il quale egli avrebbe dato al socialismo una base scientifica, e' il fatto, secondo il quale egli diede basi scientifiche al "destino" sociale. Di conseguenza, gli "uomini" erano da considerarsi (secondo le parole dello stesso Marx nella prefazione al Capitale) la "personificazione delle categorie economiche, i portatori di interessi di classe particolari", e non individui dotati di volonta' e capaci di perseguire finalita' etiche. L'umanita' era divenuta l'oggetto di una legge sociale, una legge privata di ogni significato morale, come la legge cosmica di Laplace. La scienza non era piu' semplicemente un mezzo per descrivere la societa', ma era divenuta il destino stesso della societa'. Cio' che appare particolarmente significativo in questa sovversione del contenuto etico della legge - in questa sovversione della dialettica - e' il modo in cui la dominazione e' elevata a fatto naturale. Essa e' connessa alla liberta', come condizione preliminare e necessaria all'emancipazione sociale. Marx, che in un certo senso si avvicino' alla concezione hegeliana, secondo la quale la realizzazione delle potenzialita' umane passava attraverso la consapevolezza e la liberta', non possiede un criterio morale o spirituale intrinseco per affermare questo destino. Tutta la sua teoria e' prigioniera della riduzione dell'etica a legge, della soggettivita' a oggettivita', della liberta' a necessita'. La dominazione diviene ammissibile come condizione preliminare e necessaria alla liberta', il capitalismo come condizione preliminare e necessaria al socialismo, la centralizzazione come condizione preliminare e necessaria alla decentralizzazione, lo stato come condizione preliminare e necessaria al comunismo. Sarebbe stato sufficiente affermare che il progresso materiale e tecnologico e' condizione preliminare e necessaria alla liberta', ma Marx, come vedremo, dice molto di piu' e in modo tale che se ne possono trarre implicazioni sinistre per la realizzazione della liberta'. I limiti che il pensiero libertario piu' puro poneva ad ogni trasgressione oltre i confini morali dell'agire sono bollati come "ideologia" e liquidati. Naturalmente, anche Marx avrebbe considerato una societa' totalitaria come una malefica deviazione dalla sua visione sociale; tuttavia, il suo apparato teoretico non contiene formulazioni etiche tali da escludere il concetto di dominazione dalla sua analisi sociale. Secondo l'ottica marxiana, una esclusione di questo genere avrebbe dovuto essere la conseguenza di una legge sociale oggettiva - del processo della "storia naturale" -, cioe' di una legge moralmente neutrale. Percio' il concetto di dominazione non puo' essere criticato nei termini di un'etica che si richiami intrinsecamente alla giustizia e alla liberta'; lo si puo' criticare - o convalidare - solo sulla base di leggi oggettive con una loro propria validita', che esistono, cioe', al di sopra degli "uomini" e al di sopra delle "ideologie". Questo errore, che trascende il problema dello "scientismo" marxista, si rivela fatale, poiche' apre la via alla dominazione, che diviene l'incubo latente in ogni forma e in ogni successiva rielaborazione dell'ideale marxista. * La conquista della natura La sua drammatica importanza diviene evidente se esaminiamo le basi su cui si sviluppa l'ideale di Marx, poiche' scopriamo che, a questo livello, il concetto di dominazione assume una funzione "guida" e chiarificatrice. Assai piu' rilevante della concezione marxista di sviluppo sociale come "storia dei conflitti di classe" e' l'idea del passaggio dell'umanita' dallo stadio animale a quello sociale, dello "sradicamento" dell'umanita' dall'"eternita'" ciclica della natura e del suo inserimento nella temporalita' lineare della storia. Per Marx, l'umanita' assurge a una dimensione sociale solo quando l'"uomo" acquisisce gli strumenti tecnici e le strutture istituzionali che gli consentono di "conquistare" la natura; una "conquista" che presuppone la sostituzione della parrocchialita' tribale con l'umanita' "universale", dei rapporti di parentela con dei rapporti economici, del lavoro concreto con il lavoro astratto, della storia naturale con la storia sociale. In questo risiede il carattere "rivoluzionario" del ruolo che il capitalismo gioca sulla scena sociale. "L'era borghese della storia deve creare le basi materiali per un mondo nuovo - da una parte, il rapporto universale fondato sulla mutua dipendenza degli uomini, e i mezzi per questo rapporto; dall'altra, lo sviluppo delle forze produttive dell'uomo e la trasformazione della produzione materiale in dominazione scientifica degli agenti naturali", scriveva Marx il Le future conseguenze della dominazione inglese in India (luglio 1853). "L'industria e il commercio borghesi creano queste condizioni materiali per un mondo nuovo nello stesso modo in cui le rivoluzioni geologiche hanno creato la superficie della terra. Quando una grande rivoluzione sociale avra' preso possesso dei risultati dell'era borghese, dei mercati mondiali e delle forze moderne di produzione, e avra' sottoposto ogni cosa al controllo esercitato in comune da tutti i popoli piu' progrediti, solo allora il progresso dell'umanita' cessera' di assomigliare a quell'orrenda divinita' pagana, che beveva il nettare solo nei teschi dei nemici uccisi". L'autorevolezza delle formulazioni di Marx - lo schema evoluzionistico, l'uso di analogie geologiche per illustrare lo sviluppo storico, il rozzo scientismo con cui affronta i fenomeni sociali, l'oggettivizzazione delle azioni umane in una sfera al di la' di ogni valutazione etica e dell'esercizio della volonta' dell'uomo - e' ancora piu' sorprendente, se si pensa al periodo cui esse appartengono (il "periodo" dei Grundrisse). Inoltre, le sue affermazioni sono sorprendenti anche se pensiamo alla "missione" storica che Marx attribuiva agli inglesi in India: la "distruzione" dei modi di vita tradizionali della civilta' indiana ("la distruzione della vecchia civilta' asiatica") e la "rigenerazione" dell'India come nazione borghese ("porre le fondamenta materiali per una societa' di tipo occidentale in Asia"). La coerenza di Marx merita rispetto, non certo una dissennata rimanipolazione di idee classiche con esegetico eclettismo, ne' un abbellimento teoretico o un "ammodernamento" che porti a conclusioni forzate e prese a prestito da ideologie del tutto estranee al suo pensiero. Riguardo al concetto di sviluppo storico come conquista della natura, Marx e' assai piu' rigoroso dei suoi futuri seguaci e dei neomarxisti dei giorni nostri. All'incirca cinque anni piu' tardi, nei Grundrisse, avrebbe parlato della "grande influenza civilizzatrice del capitale" in termini pienamente coerenti con il concetto della "missione" inglese in India: "la creazione (da parte del capitale) di un livello sociale, al cui confronto tutti i livelli precedenti appaiono come progressi estremamente localizzati, come idolatria della natura. Per la prima volta, la natura diviene semplicemente un oggetto per l'umanita', un mero strumento; cessa di essere considerata una potenza e una forza in se stessa, e la conoscenza teoretica delle sue leggi indipendenti diviene solo uno stratagemma per soggiogarla ai bisogni dell'uomo, sia come oggetto di consumo, sia come mezzo di produzione. Seguendo questa strada, il capitale si e' spinto oltre i confini delle nazioni e oltre i pregiudizi; oltre la deificazione della natura e il soddisfacimento ereditario e autosufficiente dei bisogni esistenti, delimitati entro confini ben definiti; infine, oltre la riproduzione dei modi di vita tradizionali. Ha esercitato, in questo senso, un ruolo incessantemente distruttivo, rivoluzionario, abbattendo tutti gli ostacoli che si frapponevano allo sviluppo delle forze produttive, all'espansione dei bisogni, alla diversificazione della produzione, allo sfruttamento e allo scambio delle forze naturali e intellettuali". Queste parole potrebbero essere tratte direttamente dalla concezione di d'Holbach della natura come "immenso laboratorio", dal peana di d'Alambert nei confronti della nuova scienza, che "travolge tutto dinanzi a se'... come un fiume che ha rotto gli argini", dall'ipostatizzazione di Diderot del ruolo della tecnica nel progresso umano, dall'atteggiamento favorevole di Montesquieu verso la violenza alla natura - atteggiamento che, combinato ad arte con la metafora di William Petty sulla natura come "madre" e sul lavoro come "padre" di tutti i beni materiali, rivela chiaramente la matrice illuminista del pensiero marxiano. Come osservo' Ernst Cassirer a proposito dell'Illuminismo: "Tutto il XVIII secolo fu permeato da questa convinzione, e cioe' che fosse giunto ormai il momento di privare la natura dei suoi segreti tanto accuratamente celati, non lasciarla piu' nell'oscurita', come un mistero incomprensibile, dinanzi al quale provare meraviglia, di sottoporla finalmente alla chiara luce della ragione e di analizzarne tutte le forze fondamentali" (La filosofia dell'Illuminismo). Anche prescindendo dalle radici illuministiche della dottrina marxista, la concezione della natura come "oggetto" che l'"uomo" deve usare porta non solo alla totale materializzazione della natura, ma anche dell'"uomo" stesso. In realta', i processi storici si muovono, anche piu' di quanto Marx fosse disposto ad ammettere, ciecamente, come quelli naturali, nel senso che entrambi mancano di ogni consapevolezza. L'ordine sociale si sviluppa secondo leggi che sono sovrumane tanto quanto l'ordine naturale. La teoria marxista considera l'"uomo" come l'impersonificazione di due aspetti della realta' materiale: in primo luogo, come produttore, che definisce se stesso attraverso il lavoro; in secondo luogo, come essere sociale, con funzioni prevalentemente economiche. Quando Marx dichiara che "gli uomini si distinguono dagli animali perche' sono dotati di una coscienza, perche' seguono una religione, o per qualsiasi altra ragione, (tuttavia essi stessi) cominciarono a distinguersi dagli altri animali quando iniziarono a produrre i mezzi per il proprio sostentamento" (L'ideologia tedesca), egli si riferisce all'umanita' come a una "forza" del processo produttivo, distinta dalle altre "forze" materiali solo in conseguenza della capacita' dell'"uomo" di concettualizzare le operazioni produttive che gli animali compiono istintivamente. E' difficile stabilire con esattezza quanto questa concezione dell'umanita' si distacchi da quella classica. Per Aristotele, l'"uomo" esprimeva la propria umanita' per il fatto di vivere in polis e perche' era in grado di "rendere bella la propria esistenza". Tutto il periodo greco distingueva gli "uomini" dagli animali per le loro facolta' razionali. Se il "modo di produzione" non deve essere considerato semplicemente un mezzo per la sopravvivenza, bensi' un "modo di vita", tale per cui l'"uomo" si identifica con "cio' che produce e con il modo di produrre" (L'ideologia tedesca), allora l'umanita' puo' essere considerata uno strumento di produzione. La dominazione "dell'uomo sull'uomo" e' soprattutto un fenomeno tecnico, piuttosto che un fenomeno etico. Secondo questa concezione incredibilmente riduttiva, la validita' della dominazione "dell''uomo sull'uomo" si deve valutare solo in termini di bisogni e possibilita' tecniche, per quanto sgradito avrebbe potuto essere un simile criterio anche a Marx, se ne avesse compreso appieno la brutale evidenza. Anche la dominazione, come vedremo a proposito del saggio di Engels, Sull'autorita', diviene cosi' un fenomeno tecnico necessario alla realizzazione della liberta'. La societa', a sua volta, diviene un modo di lavorare, da valutarsi in rapporto alla sua capacita' di soddisfare i bisogni materiali. La societa' di classe non potra' essere eliminata finche' il "modo di produrre" non consentira' di disporre di tempo libero e di benessere materiali sufficienti a realizzare l'emancipazione dell'uomo. Finche' non raggiungera' un livello tecnico soddisfacente, il processo evolutivo dell'"uomo" non sara' completo. In questo senso, gli ideali comunitari delle epoche passate erano pura ideologia, poiche' un tentativo prematuro di realizzare una societa' egualitaria "generalizzerebbe solo i bisogni, e con i bisogni si riprodurrebbero inevitabilmente i conflitti e tutti i vecchi problemi" (L'ideologia tedesca). Infine, anche qualora si raggiungesse un livello tecnico adeguato, "la liberta' non potra' realizzarsi finche' il bisogno e le necessita' esterne renderanno indispensabile il lavoro dell'uomo. E' nella natura stessa delle cose che la liberta' risieda al di fuori della sfera della produzione materiale, nel significato piu' comune del termine. Anche l'uomo civilizzato, come il selvaggio, deve lottare con la natura per soddisfare i propri bisogni, per salvaguardare la propria vita e per riprodurla, e cio' e' vero in tutte le societa' e con qualsiasi modo di produzione. Con il progresso, si ampliano anche le necessita' naturali, perche' aumentano i bisogni, ma nel contempo si accrescono anche le forze produttive, per mezzo delle quali i bisogni vengono soddisfatti. In una situazione cosiffatta, la liberta' puo' consistere solo nel fatto che l'uomo socializzato e i prodotti associati regolino i loro scambi con la natura in modo razionale e la assoggettino al comune controllo, invece di farsi governare da essa come da una forza cieca e incontrollata; infine, nel fatto che essi assolvano questo compito col minore spreco di energie e nelle condizioni piu' adeguate e piu' consone alla natura umana. Tuttavia, cio' attiene ancora alla dimensione del bisogno, della necessita'. Oltre questa dimensione ha inizio lo sviluppo della potenzialita' umana, fine a se stesso, ovvero la dimensione della liberta', che tuttavia puo' realizzarsi solo sulle fondamenta della necessita' e del bisogno. Premessa e condizione essenziale a questo sviluppo e' la riduzione dell'orario di lavoro" (Il capitale, vol. III). Lo schema concettuale borghese raggiunge qui il suo punto culminante nelle immagini del "selvaggio che deve lottare con la natura", dell'espansione illimitata dei bisogni contrapposta alla limitazione "ideologica" degli stessi (ovvero, alla concezione ellenica di misura, di equilibrio e di autosufficienza), della razionalizzazione della produzione e del lavoro come obiettivi fini a se stessi di una natura puramente tecnica, della netta dicotomia tra liberta' e necessita' e del conflitto con la natura come condizione della vita sociale in tutte le sue forme: di classe e non di classe, privatistica o comunitaria. In conseguenza di cio', oggi il socialismo si muove entro un'orbita nella quale, per usare le parole di Max Horkheimer, "la dominazione della natura comporta la dominazione dell'uomo", non solo "la sottomissione della natura esterna, umana e non umana", ma anche della natura interiore dell'uomo (Eclisse della ragione). In seguito alla separazione dal mondo naturale, l'"uomo" non puo' sperare di redimersi dalla societa' di classe e dallo sfruttamento finche' lui stesso, come forza tecnica tra le forze tecniche create dal suo stesso ingegno, non riuscira' a trascendere la propria oggettivazione. La condizione preliminare e necessaria a questo superamento e' quantitativamente misurabile: "premessa e condizione essenziale a questo sviluppo e' la riduzione dell'orario di lavoro". Finche' cio' non si sara' realizzato, l'"uomo" sara' sottoposto alla tirannia della legge sociale, alla schiavitu' del bisogno e della necessita' di sopravvivenza. Il proletariato, come tutte le altre classi, e' prigioniero dei processi impersonali della storia. Come classe maggiormente soggetta alla disumanizzazione operata dalla societa' borghese, esso puo' trascendere la propria oggettivazione solo attraverso il carattere "urgente, non piu' mistificabile e assolutamente imperativo dei propri bisogni". Per Marx, "il problema non e' cio' che questo o quel proletariato, o anche tutto il proletariato, considera come suo obiettivo. Il problema e' che cosa e' il proletariato e che cosa, in conseguenza del suo essere, deve fare". (La sacra famiglia) Il suo "essere", qui, e' un oggetto, e la legge sociale non e' "destino", ma necessita'. La soggettivita' del proletariato e' un prodotto della sua oggettivita' - concezione, questa, che per colmo d'ironia trova una sorta di conferma nel fatto che ogni appello rivoluzionario rivolto esclusivamente a fattori oggettivi che intervengono nella formazione della "coscienza proletaria" o coscienza di classe si ritorcono come un boomerang contro il socialismo, in forma di una classe lavoratrice che ha "aderito al capitalismo" e che reclama la sua parte di benessere nel sistema. Cosi', come l'azione si fonda sulla reazione e la motivazione si fonda sul bisogno, lo spirito borghese diviene lo "spirito terreno" del marxismo. La disillusione della natura porta alla disillusione dell'umanita'. L'"uomo" diviene un agglomerato di interessi e la coscienza di classe diviene la generalizzazione di questi interessi a livello di coscienza. Nella misura in cui il concetto classico di realizzazione dell'individuo attraverso la polis perde terreno di fronte al concetto di autoconservazione attraverso il socialismo, il pensiero borghese acquista un grado tale di sofisticazione, che i suoi primi portavoce (Hobbes, Locke) sembrano quasi degli ingenui. Ora l'incubo della dominazione si rivela in tutta la sua logica autoritaria. Come la necessita' diviene il fondamento della liberta', cosi' l'autorita' diviene il fondamento di ogni coordinazione razionale. Questo concetto, gia' implicito nella netta separazione operata da Marx tra la dimensione della necessita' e quella della liberta' - una separazione che sara' aspramente criticata da Fourier -, viene definito in termini espliciti nel saggio di Engels, Sull'autorita'. Per Engels, la fabbrica e' un fatto naturale della tecnica, non un modo specificatamente borghese per razionalizzare il lavoro: di conseguenza, essa dovra' esistere nella societa' comunista, cosi' come in quella capitalista, "indipendentemente dall'organizzazione sociale". Perche' sia possibile coordinare l'attivita' della fabbrica, e' necessario che le maestranze rinuncino ad ogni "autonomia" e "obbediscano ciecamente". Nella societa' classista e nella societa' senza classi, la dimensione della necessita' sara' sempre una dimensione di autorita' e di obbedienza, di governanti e governati. In modo assolutamente coerente all'ideologia di classe, Engels considera l'abbinamento tra socialismo, autoritarismo e comando come un fatto perfettamente naturale. Da attributo sociale, la dominazione diviene condizione essenziale alla sopravvivenza in una societa' tecnicamente avanzata. * Gerarchia e dominazione Strutturare un ideale rivoluzionario su una "legge sociale" priva di qualsiasi contenuto etico, su un ordine privo di significato, su un aspro contrasto tra "uomo" e natura, sulla necessita' piuttosto che sulla consapevolezza - tutto cio', oltre al fatto di considerare la dominazione una condizione essenziale alla liberta', l'associa al concetto esattamente opposto, cioe' quello della coercizione. La consapevolezza diviene il riconoscimento della mancanza di autonomia, cosi' come la liberta' diviene il riconoscimento della necessita'. Ne deriva una politica "libertaria" che riflette lo sviluppo della societa' capitalistica piu' avanzata verso la nazionalizzazione della produzione, verso la pianificazione, la centralizzazione, il controllo razionalizzato della natura - e il controllo razionalizzato dell'"uomo". Se il proletariato non sa comprendere da solo il proprio "destino", un partito che parla in suo nome puo' definirsi come espressione della sua coscienza, anche se opera in senso contrario agli interessi di quella classe. Se il capitalismo e' il mezzo attraverso il quale l'umanita' opera storicamente la conquista della natura, le tecniche dell'industria borghese dovranno solo essere riorganizzate per servire la causa del socialismo. Se l'etica non e' altro che ideologia, gli obiettivi del socialismo sono il prodotto della storia, piuttosto che dell'intelligenza umana, e i problemi dei fini e dei mezzi per raggiungerli dovranno essere esaminati non alla luce della ragione e della dialettica, ma secondo i criteri dettati dalla storia. Alcuni brani degli scritti di Marx sembrano potersi contrapporre a questo quadro ripugnante del socialismo marxista. Nel suo "Discorso per l'anniversario del 'Giornale del Popolo'" (aprile 1856), ad esempio, Marx definisce "infame" la schiavitu' dell'"uomo" nel tentativo di conquistare la natura. La "luce pura della scienza sembra poter brillare solo sullo sfondo di un'oscura ignoranza" e il nostro progresso tecnologico "sembra ottenere il risultato di conferire vita intellettuale alle forze materiali e di tramutare, avvilendola, la vita umana in una forza materiale". Queste valutazioni di tipo morale ricorrono negli scritti di Marx piu' come spiegazioni di uno sviluppo storico che come giustificazioni tali da dargli significato. Ma Alfred Schmidt, che le cita estesamente nel suo Il concetto di natura in Marx, dimentica di dirci che Marx le considera spesso un segno di immaturita' e di sentimentalismo. Il "discorso" si fa beffe di coloro che "piangono" sulle miserie che il progresso tecnologico e scientifico porta con se'. "Da parte nostra", dichiara Marx, "non sottovalutiamo l'acume di chi non cessa di sottolineare queste contraddizioni. Sappiamo che per fare funzionare al meglio le forze nuove e agguerrite delle societa' occorrono uomini agguerriti - e da tali uomini e' formata la classe operaia". Il discorso, infatti, si conclude con un tributo all'industria moderna e in particolare al proletariato inglese, il "primogenito dell'industria moderna". Anche se consideriamo sincere quelle affermazioni di Marx, esse restano tuttavia marginali rispetto al contenuto dei suoi scritti. Il tentativo di redimere Marx e alcune parti della sua opera dalla logica che ispira il suo pensiero e' puramente ideologico, perche' impedisce di valutare con chiarezza il significato del marxismo nelle sue applicazioni pratiche e di comprendere in quale misura un'"analisi di classe" possa svelare le cause dell'oppressione. Eccoci dunque giunti al punto cruciale, al punto debole della teoria socialista in generale: i limiti dell'analisi di classe, la possibilita' di interpretare la storia e le crisi dei giorni nostri per mezzo di una teoria basata sui rapporti di classe e di proprieta'. Il socialismo antiautoritario - e, specificatamente, il comunismo anarchico - si fonda sul concetto secondo il quale la gerarchia e la dominazione non possono essere classificate nell'ambito del dominio di classe e dello sfruttamento economico, e secondo il quale questi due fenomeni rivestono un'importanza assai maggiore ai fini di una reale comprensione dell'ideale rivoluzionario. Prima che l'"uomo" iniziasse a sfruttare l'"uomo", comincio' a dominare la donna; e ancora prima, se accettiamo il parere di Paul Radin, i vecchi iniziarono ad esercitare il loro potere sui giovani attraverso la gerarchia dei gruppi di eta', delle gerontocrazie, del culto degli antenati. La dominazione degli esseri umani su altri esseri umani e' di molto antecedente la stessa formazione delle classi sociali e dei modi di oppressione economica. Se "la storia di tutte le societa' finora esistite e' la storia dei conflitti di classe", essa e' preceduta da una fase storica piu' remota, e piu' importante: quella della dominazione sociale ad opera delle gerontocrazie, del patriarcato, e anche delle burocrazie. Indagare sulle origini della gerarchia e della dominazione non e', evidentemente, lo scopo di questo scritto. Ho esaminato a fondo il problema nel mio libro The Ecology of Freedom (L'ecologia della liberta'), di prossima pubblicazione. L'indagine ci porterebbe oltre i confini dell'economia politica, nella sfera dell'economia domestica e passeremmo dalla dimensione sociale a quella familiare, dal conflitto di classe a quello sessuale. Disporremmo cosi' di una nuova serie di dati e di riferimenti psico-sociali, attraverso i quali interpretare il carattere e la natura dell'oppressione, e saremmo in grado di aprire un nuovo orizzonte e di attribuire un significato nuovo e diverso alla liberta'. Dovremmo sicuramente accantonare la funzione che Marx assegna all'interesse e alla tecnica come fattori sociali determinanti - il che non significa negarne la funzione storica, ma semplicemente indagare anche nell'ambito di fattori non economici, quali lo status sociale, l'ordine, il riconoscimento, nell'ambito, cioe', di diritti e doveri che rappresentano forse persino un peso, dal punto di vista materiale, per gli strati dominanti della societa'. Una cosa, perlomeno, e' chiara: non si potra' piu' sostenere che una societa' senza classi, senza sfruttamento materiale, sara' necessariamente una societa' liberata. Nulla fa pensare che la burocrazia sia incompatibile con una societa' senza classi, e cosi' la dominazione sulla donna, i giovani, i gruppi etnici e persino le categorie dei professionisti. Tutto cio' dimostra i limiti dell'opera di Marx, la sua incapacita' di comprendere una dimensione storica tanto importante per la dimensione della liberta' stessa. Nei confronti dell'autorita' Marx e' cosi' cieco da farla diventare un fatto puramente tecnico della produzione, un "fatto naturale" nel rapporto metabolico dell'"uomo" con la natura. Anche la donna non e' sfruttata perche' l'uomo l'ha resa docile (o "debole", per usare un termine con il quale Marx definiva il lato del carattere femminile che considerava piu' amabile), ma perche' il suo lavoro e' legato alla schiavitu' dell'uomo. I bambini sono "fanciulleschi", espressione di una natura umana selvatica e indisciplinata. La natura, e' inutile dirlo, non e' altro che un oggetto, e con un'azione di conquista bisogna impadronirsi delle sue leggi e controllarle. Non puo' esistere una teoria marxista sulla famiglia, sul femminismo, sull'ecologia, perche' Marx nega l'esistenza di questi problemi o, peggio, li tramuta in problemi economici. Di conseguenza, il tentativo di formulare il femminismo in termini marxiani si risolve nella sterile richiesta di "salario per le casalinghe", la psicologia marxista non e' altro che una rilettura di Freud attraverso Marcuse, e l'ecologia vista con gli occhi di Marx rivela soltanto che "l'inquinamento giova al profitto". Lungi dal consentire una chiarificazione di questi problemi, che gioverebbe a una piu' esatta definizione dell'ipotesi rivoluzionaria, questi tentativi di ibridazione li rendono ancora piu' oscuri, e non ci aiutano a capire che le donne della "classe dominante" sono dominate, a loro volta, dagli uomini della loro stessa classe, che Freud e' semplicemente l'alter ego di Marx, che il raggiungimento dell'equilibrio ecologico presuppone una nuova sensibilita' e una nuova concezione etica, le quali non solo differiscono dal pensiero marxista, ma sono in netto contrasto con esso. Il marxismo non e' solo la piu' sofisticata ideologia del capitalismo di stato, ma impedisce una concezione veramente rivoluzionaria della liberta'. Esso altera a tal punto la nostra percezione dei problemi sociali, da non consentirci di formulare un'ipotesi rivoluzionaria valida per cio' che concerne i rapporti tra i sessi, la famiglia, la comunita', l'educazione e lo sviluppo di una sensibilita' e di un'etica realmente rivoluzionarie. Ad ogni passo ci imbattiamo in categorie economiche che reclamano la priorita' assoluta e che compromettono fin dall'inizio l'esito dell'impresa. E limitarsi ad emendare o a modificare queste categorie economiche significa riconoscere il loro peso e la loro influenza nel programma rivoluzionario in forma alterata, senza porre in dubbio il rapporto che le lega ad alcuni aspetti fondamentali. Significa, in sostanza, avviare la nostra analisi in un vicolo cieco. L'elaborazione e lo sviluppo di un'ipotesi rivoluzionaria deve prescindere fin dall'inizio dalle categorie marxiane e deve prendere le mosse, invece, dalle categorie create dalla societa' gerarchica ai suoi primi albori, per collocare poi le categorie economiche nel loro giusto contesto. Cio' che vogliamo demolire non e' piu' soltanto il capitalismo, bensi' un mondo piu' antico e arcaico, che sopravvive nel presente - la dominazione degli esseri umani da parte di altri esseri umani, il fondamento razionale della gerarchia in quanto tale. 2. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: UNA POSTILLA Sia consentito a un vecchio marxista amico della nonviolenza esprimere gratitudine e ammirazione per Murray Bookchin, anche se trova ingenerosi e inadeguati alcuni dei giudizi sommari contenuti nel testo che precede: nell'opera di Marx naturalmente vi e' anche ben altro che economicismo e autoritarismo forieri di totalitarismo, ed altresi' l'illuminismo e' stato anche ben altro che ragion strumentale preconizzante la societa' amministrata. Non sono in Voltaire o in Diderot la ghigliottina e il fascismo, come non sono in Marx i gulag. Ma detto questo la lettura di questo saggio vivamente raccomandiamo, i nodi che pone non possono essere elusi. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 88 del 27 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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