La nonviolenza e' in cammino. 1387



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1387 del 14 agosto 2006

Sommario di questo numero:
1. Grazia Bellini e Flavio Lotti: Un invito ad Assisi il 26 agosto
2. Maria G. Di Rienzo: Cindy ricoverata
3. Missy Comley Beattie: Gente di pietra
4. Katia Haddad: Hezbollah contro la democrazia
5. Floriana Lipparini: La negazione del femminile
6. Lisa Foa: Del mio passato...
7. Il "Cos in rete" di agosto
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. GRAZIA BELLINI E FLAVIO LOTTI: UN INVITO AD ASSISI IL 26
AGOSTO
[Dalla Tavola della pace (per contatti: segreteria at perlapace.it) riceviamo e
diffondiamo. Grazia Bellini e Flavio Lotti sono coordinatori nazionali della
Tavola della pace]

Cari amici,
vi invitiamo ad aderire e a partecipare alla manifestazione per la pace in
Medio Oriente che si terra' sabato 26 agosto ad Assisi.
La guerra non va in vacanza e diventa ogni giorno piu' crudele. In Libano,
in Galilea come a Gaza, in Iraq e in Afghanistan.
Queste guerre sono una tragedia per tutti. Anche per noi. Non mettiamo la
testa sotto la sabbia. Non arrendiamoci all'idea di un conflitto e di un
odio senza fine.
Incontriamoci ad Assisi per gridare ancora piu' forte la nostra denuncia e
il nostro progetto di pace.
La pace e' possibile ma ci dobbiamo impegnare tutti.
Grazia Bellini e Flavio Lotti, coordinatori nazionali della Tavola della
pace
*
Per adesioni e informazioni: Tavola della pace, via della viola 1, 06100
Perugia, tel. 0755736890, fax: 0755739337, e-mail: segreteria at perlapace.it,
sito: www.tavoladellapace.it

2. TESTIMONI. MARIA G. DI RIENZO: CINDY RICOVERATA
[Da Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) riceviamo questa
notizia.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il
mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George
Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per
chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla
sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento
contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More
Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito
www.koabooks.com]

La sera di venerdi' 11 agosto Cindy Sheehan e' stata ricoverata al
Providence Health Center a Waco, in Texas. La temperatura a Crawford, dove
ha organizzato come lo scorso anno il campeggio pacifista a "Camp Casey", ha
toccato nel pomeriggio i massimi del secolo.
Cindy, che era al trentasettesimo giorno di digiuno di protesta contro la
guerra, e' giunta all'ospedale pallida ed esausta, seriamente disidratata.
Gia' il giorno prima, mentre partecipava a Seattle al convegno dei Veterani
per la pace, Cindy aveva dovuto far ricorso alle cure del pronto soccorso
ospedaliero.
Venerdi' ha interrotto il digiuno perche' era a rischio la sua vita.
La sua amica Tiffany Burns assicura che sara' presente alle prossime
iniziative pacifiste programmate a "Camp Casey", che lo scorso anno vide la
partecipazione di oltre 10.000 persone in 26 giorni: "Il suo spirito non e'
venuto meno, e non esserci la renderebbe troppo triste".

3. TESTIMONIANZE. MISSY COMLEY BEATTIE: GENTE DI PIETRA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Missy Comley Beattie. Missy Comley Beattie vive a New York, ha lavorato come
autrice per National Public Radio e "Nashville Life Magazine", fa parte di
"Gold Star Families for Peace"; suo nipote Chase J. Comley, caporale dei
marine, e' morto in Iraq il 6 agosto 2005]

"Guarda tutte quelle persone di pietra". Questo e' cio' che disse uno dei
miei figli, anni orsono, quando passammo in auto accanto a un cimitero
militare. File e file di persone di pietra, erette su monticelli di terra
che coprono bare avvolte nelle bandiere, in cui giacciono persone vere.
Di persone vere in questa guerra che e' piu' che catastrofica ne sono morte
moltissime: circa 2.600 di esse sono soldati statunitensi. Migliaia di
iracheni muoiono ogni mese. Le truppe della coalizione non sono percepite
come liberatori di iracheni grati, sfuggiti alle grinfie di un dittatore;
siamo invece occupanti, e la nostra invasione ha scatenato una violenza
settaria che non mostra segno di requie. La vita e' cosi' brutta, in Iraq,
che i cittadini rimpiangono i giorni in cui Saddam Hussein era al potere.
Proprio la scorsa settimana, testimoniando di fronte alla commissione del
Senato per le forze armate, il comandante statunitense per il Medio Oriente,
generale John Abizaid, ha mormorato la verita': "guerra civile". Questo
fara' venire le convulsioni a Donald Rumsfeld, il pomposo mezzano della
guerra che ora sta negando di aver mai descritto rosee prospettive del
conflitto.
Anche George Bush non puo' essere stato lieto dell'ammissione di Abizaid.
Dopotutto, in ogni discorso che questo presidente fantoccio legge, ripete
"vittoria totale", ad oltranza, al suo seguito ipnotizzato. E recentemente
ha detto che ci sono giorni in cui purtroppo non sentiamo buone notizie
provenire dall'Iraq. Come mai, forse perche' le uniche notizie che
provengono dall'Iraq sono orrende e fanno il paio solo con le atrocita' in
Libano?
*
Nel frattempo, George e' in vacanza a Crawford. Mentre saliva una piccola
collina in bicicletta ha urlato giulivo: "Attacco aereo!". Le nostre truppe
viaggiano in veicoli disastrati, che rischiano ogni momento di saltare per
aria su una bomba piazzata in strada, e George, circondato dagli agenti dei
servizi segreti, gioca al soldato nel suo ranch di 1.600 acri.
La sua nuova vicina di casa, Cindy Sheehan, e' tornata a Crawford sperando
di potergli fare faccia a faccia la domanda che, lo scorso anno, fu la
scintilla per il movimento pacifista: "Per quale nobile causa mio figlio
Casey e' morto in Iraq?".
L'addetto stampa della Casa Bianca, Tony Snow, che si trova a Crawford con
Bush, stava parlando ai giornalisti di Israele e Libano quando qualcuno ha
chiesto: "Quali sono i piani rispetto a Cindy Sheehan? Il presidente la
incontrera' o no?". La risposta di Snow e' caratteristica del condiscendente
disprezzo dell'amministrazione Bush: "I piani? Le consigliera' di portarsi
dell'acqua, o del Gatorade, o magari entrambi".
Magari uno dei giornalisti avrebbe potuto ricordare a Tony Snow la sua prima
apparizione televisiva, quando lavorava per Fox News. Tony pianse, mentre
ricordava la sua guarigione dal cancro, e la morte di sua madre, per lo
stesso male, quando lui aveva diciassette anni. Sembra che Tony abbia
emozioni solo per se stesso, anche se dalla sua malattia e' completamente
guarito. Per Cindy Sheehan, che ha sofferto una perdita per la quale non
esiste guarigione, non ha mostrato una briciola di compassione. Che si porti
da bere, e' lo sciocco suggerimento.
E' Tony Snow che ha bisogno di liquidi. Deve essere rimasto disidratato dopo
la lunga corsa in bicicletta con il suo capo. E cosi' tutta la squadra del
presidente in vacanza a Crawford.
Ad ognuno di loro, dedico una frase del dottor Elton Trueblood: "Un uomo
comincia a capire il significato della vita quando pianta alberi che faranno
ombra, sapendo che non sedera' mai sotto le loro chiome".
Bush dovrebbe piantare alberi che facciano ombra per Cindy Sheehan, a
Crawford. Tristemente, sappiamo che non lo fara'. Si lancera' invece in
"attacchi aerei" con la sua bicicletta mentre il Medio Oriente divampa, e
quelli di noi che piangono i loro morti, e i morti a venire, si chiedono
quale sara' il prossimo paese ad essere investito dalla furia del suo cuore
di ghiaccio.
*
"Guardate tutte quelle persone di pietra": ce ne saranno molte di piu',
prima che Bush lasci il suo incarico.

4. TESTIMONIANZE. KATIA HADDAD: HEZBOLLAH CONTRO LA DEMOCRAZIA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Katia Haddad. Katia Haddad e' docente all'Universita' Saint-Joseph di
Beirut; il suo ultimo libro e' La letteratura francofona del Maghreb.
Antologia critica, 2000]

Sono parecchi i libanesi che si chiedono, nella loro disgrazia, che tipo di
societa' emergera' dal presente conflitto. "La milizia Hezbollah ha derubato
della speranza i giovani libanesi", ha detto il leader del partito
progressista socialista, e della comunita' drusa, Walid Joumblatt in
un'intervista rilasciata al "Financial Times" il 2 agosto, dando voce
all'angoscia di molti.
Per quanto riguarda il capo di Hezbollah, Nasrallah, la logica consente di
dubitare fortemente (ed usiamo un eufemismo) delle sue convinzioni
democratiche e del tipo di societa' che egli promuove. Naturalmente
Nasrallah ed i suoi partigiani asseriscono, e tale opinione e' condivisa da
numerosi libanesi, che l'iniziativa militare presa dal suo partito il 12
luglio abbia restituito dignita' al Libano: ha opposto una resistenza
inaspettata e devastante all'enorme macchina da guerra israeliana, cosa che
nessun esercito regolare arabo e' stato mai in grado di fare in sessant'anni
di conflitti.
Tuttavia, la capacita' di Hassan Nasrallah di anticipare gli eventi sembra
essersi fermata li'. Egli asserisce di non essersi aspettato la
"sproporzionata" reazione israeliana. Una conseguenza, fra le altre, e' che
un milione di libanesi si trovano per strada, profughi nel loro stesso
paese, sofferenti, assetati, affamati: mendicano un tetto sopra la testa e
vivono della carita' di altri senza che alcuna struttura sia stata
predisposta dal "Partito di dio" [traduzione di "Hezbollah" - ndr] per dar
loro rifugio e conforto.
In breve, la restaurazione della dignita' nazionale e' stata acquisita a
spese della dignita' degli individui. Ed e' questo cio' che c'e' di
profondamente antidemocratico nella societa' vagheggiata dallo sceicco
Nasrallah, ovvero che il gruppo debba sempre prevalere sulla persona.
Il "Partito di dio" sta in realta' combattendo un nemico esterno, Israele,
ed un nemico interno, la democrazia. La democrazia si basa sull'esistenza di
persone libere nelle loro decisioni, nei loro giudizi e nelle loro scelte. I
proclami di Hezbollah e dei suoi alleati sin dall'inizio della guerra
consistono nella proibizione di ogni domanda, sotto diversi pretesti:
"Nessuna voce deve alzarsi al di sopra dei cannoni", "Dobbiamo preservare
l'unita' nazionale", eccetera, ma tutto cio' nasconde una sola
argomentazione, e cioe' che chiunque osi porre domande e' un traditore, un
alleato di Israele, una spia! Ed ora noi conosciamo il destino che Hezbollah
riserva ai traditori: venticinque "spie" (ma come e' stato accertato
questo?) sono state "giustiziate" il mese scorso a Tiro, senza alcuna forma
di processo. Contemporaneamente Hezbollah proferisce minacce contro chiunque
eserciti il diritto democratico della richiesta di esibizione delle prove a
carico.
Per capirne la logica, e' sufficiente rileggere l'articolo 2 dell'accordo
siglato fra Hezbollah stesso e la "Libera corrente patriottica" del generale
Michel Aoun nel febbraio scorso: "La democrazia consensuale resta
l'essenziale fondamento del sistema politico libanese. Essa rappresenta
l'effettiva concretizzazione dello spirito costituzionale e dell'essenza del
patto nazionale di coesistenza. Tuttavia ogni approccio alle questioni
nazionali in accordo con i principi di maggioranza e minoranza, resta
tributario alla realizzazione delle condizioni storiche e sociali necessarie
all'esercizio di una vera democrazia, in cui il cittadino acquisisce il suo
specifico valore". La terza frase di questo articolo e' estremamente
ambigua: la provvisoria rinuncia a cio' che lo sceicco Chamseddine, leader
spirituale della comunita' sciita, chiamo' "la democrazia dei numeri", si
suppone rassicurante per la comunita' cristiana, ma va a braccetto con la
rinuncia al ruolo di "cittadino". Il patto e' chiaro, ma e' un patto
ripugnante. Perche' la rinuncia di Hezbollah alla "democrazia dei numeri" e'
illusoria, come tre recenti eventi dimostrano.
*
Dopo l'assassinio di Rafic Hariri il 14 febbraio 2005, per mettere a tacere
le voci che gia' si erano levate chiedendo il ritiro dal Libano delle truppe
siriane (accusate dell'omicidio), Hezbollah organizzo' l'8 marzo successivo
una manifestazione grandemente pubblicizzata, ma partecipata essenzialmente
dai suoi partigiani, per dire "Grazie, Siria".
Nella contromanifestazione del 14 marzo oltre un milione di libanesi scese
nelle strade per dimostrare che i sostenitori della democrazia erano piu'
numerosi di quelli che sostenevano la Siria ed i suoi alleati in Libano.
Lo scorso 10 maggio, dopo aver firmato la "carta d'intenti" con Aoun,
Hezbollah ha di nuovo organizzato una manifestazione il cui obiettivo, fra
gli altri, era di mostrare che grazie alla partecipazione dei sostenitori di
Aoun la sua forza era aumentata. Ma la partecipazione e' sembrata assai
scarsa. La stessa delusione si e' ripetuta il 31 maggio, quando alla
protesta contro una trasmissione satirica televisiva che aveva preso in giro
lo sceicco Nasrallah, i suoi fedeli si sono riversati nelle strade per
provocare disordini.
Tutti e tre questi tentativi si sono fondati sull'ipotesi che Hezbollah
muova i grandi numeri. Ogni volta l'ipotesi e' stata smentita: pur
concedendo che la comunita' sciita sia quella piu' numerosa in Libano oggi e
che (cosa che e' lungi dall'essere provata) essa nella sua interezza
sostenga Hezbollah, le aspirazioni democratiche del popolo libanese hanno
attraversato tutti i confini comunitari, cosicche' in tutte e tre le
occasioni Hezbollah si e' trovato numericamente minoritario.
Per quanto riguarda la "democrazia consensuale", Hezbollah la viola di
continuo pretendendo di credere che il consenso e l'unanimita' siano
sinonimi. Partito di minoranza nel consiglio dei ministri ed in parlamento,
Hezbollah tenta di rovesciare l'equazione chiedendo in primo luogo
l'introduzione di un rappresentante di Aoun per poter dirigere una minoranza
con funzioni di blocco, ed in secondo luogo le elezioni anticipate, sicuro
di ottenere la maggioranza con il suo alleato Aoun semplicemente accusando
la maggioranza parlamentare attuale di essere "illusoria".
Nel frattempo, Hezbollah continua ad impiegare l'uso della forza con i suoi
partner libanesi, usando ed abusando del ricatto: boicotta il consiglio dei
ministri quando le sue decisioni non gli aggradano, minaccia la "guerra
civile" se si menziona il disarmo, e cosi' via. Hezbollah obietta ai numeri
se essi vanno a suo sfavore, e li esalta se gli conviene. In questo modo,
sta cannibalizzando le istituzioni democratiche. La logica di Hezbollah e'
sempre una logica di violenza camuffata. Sebbene il suo principale
avversario, Walid Joumblatt, abbia persino moderato i toni contro il
"Partito di dio", quest'ultimo continua la sua opposizione a tutto campo:
questa e' la sua logica democratica. Fino a quando?

5. RIFLESSIONE. FLORIANA LIPPARINI: LA NEGAZIONE DEL FEMMINILE
[Estraiamo queste riflessioni di Floriana Lipparini (per contatti:
effe.elle at fastwebnet.it) da un suo piu' ampio intervento apparso nella bella
mailing list femminista e pacifista "Lisistrata" (per contatti:
lisistrata at yahoogroups.com). Floriana Lipparini, giornalista (tra l'altro ha
lavorato per il mensile "Guerre e Pace", che per qualche tempo ha anche
diretto, occupandosi soprattutto della guerra nella ex Jugoslavia),
impegnata nel movimento delle donne (Collettivo della Libreria Utopia, Donne
per la pace, Genere e politica, Associazione Rosa Luxemburg), ha coordinato
negli anni del conflitto jugoslavo il Laboratorio pacifista delle donne di
Rijeka, un'esperienza di condivisione e relazione nel segno del femminile,
del pacifismo, dell'interculturalita', dell'opposizione nonviolenta attiva
alla guerra, da cui e' lentamente nato un libro, Per altre vie. Donne fra
guerre e nazionalismi, edito in Croazia da Shura publications, in edizione
bilingue, italiana e croata]

Vorrei aggiungere qualche riflessione. Il punto e' che comunque il piccolo
Libano viene distrutto, muoiono civili innocenti, forse si usano armi
chimiche... Nel frattempo muoiono altri civili in Israele e in Palestina. E
naturalmente muoiono i soldati, vite non meno importanti, anche se hanno
scelto la guerra.
Personalmente penso che la situazione sia impari, fra il potente Occidente
bianco, globalizzante, neoliberista, colonialista, espansionista,
superarmato, e il Sud del mondo comunque piu' debole, comunque sfruttato,
comunque invaso, comunque disprezzato da chi vuole uno scontro di civilta'.
Detto questo, e ribadito che vi sono sempre responsabilita' da capire,
ingiustizie storiche e ingiustizie attuali da riconoscere e riparare
(pensiamo all'esempio del Sudafrica: solo se si ha il coraggio di
riconoscere la verita', si puo' andare oltre), resta il fatto che non si
possono fare gerarchie di fronte alla violenza, di fronte alla morte, di
fronte alle vittime. Pero' non basta: dobbiamo dire a piu' chiare lettere
che questa follia ha cause, ha origini millenarie, poggia su concezioni
individuali e collettive, su una visione del mondo, su filosofie, su
religioni...
I fondamentalismi, gli integralismi, i nazionalismi non nascono dal nulla.
Dietro c'e' un concetto deviato di identita', di confine, di stato, di
nemico...
E dietro ancora c'e' la negazione del femminile come valore positivo e
necessario al costruirsi di una civilta' accettabile e umana. A Oriente e a
Occidente, a Nord e a Sud non sono i valori cosiddetti femminili a ispirare
le politiche (una bella eccezione e' quella di Michelle Bachelet in Cile).
Quali potrebbero essere? Forse maggior consapevolezza della fragilita' e
dell'unicita' di ogni esistenza, forse maggior senso del limite, maggior
cura della vita e dei corpi, piu' spazio per i sentimenti, piu' risparmio
delle risorse...
Attenzione, non sto dicendo che il femminile e' il positivo e il maschile il
negativo. Dico che lo squilibrio dato dalla negazione di una delle
componenti dell'umanita' e' causa del disastro.
Lo si vede particolarmente bene la' dove esistono fanatici religiosi, si
tratti di neocon Usa, integralisti islamici o superortodossi ebrei, che
manovrano per spingere i governi a combattere ferocemente il Nemico con la
enne maiuscola, insomma l'Altro. Sono tutte ideologie violente che odiano il
femminile e pensano che la propria identita' debba essere pura e
incontaminata. L'esistenza stessa degli altri per loro e' un pericolo, e si
appellano al loro dio per sentirsi i giusti, i prescelti, gli eletti.
Se vogliamo una civilta' nonviolenta che costruisca ponti invece di confini,
il lavoro va fatto alla radice, decostruendo i castelli di menzogne e
ricostruendo il senso del nostro abitare la terra. I confini sono
artificiali, un tempo la terra era fatta di acque.

6. MEMORIA. LISA FOA: DEL MIO PASSATO...
[Dalla rivista "Una citta', n. 31 dell'aprile 1994 (disponibile anche nel
sito: www.unacitta.it). Lisa Giua Foa, nata nel 1923 a Torino da una
famiglia di illustri intellettuali antifascisti, partigiana, intellettuale,
storica e saggista, attenta osservatrice dell'est, un lungo impegno politico
nel Pci, tra i fondatori del "Manifesto", poi in "Lotta Continua", poi
ancora impegnata, da ultimo nella Fondazione Alexander Langer. Opere di Lisa
Foa: tra le altre segnaliamo: La societa' sovietica, Loescher, Torino 1973;
sua la prefazione a Yolande Mukagasana, La morte non mi ha voluta, La
meridiana, Molfetta (Bari) 1998; E' andata cosi', Sellerio, Palermo 2004.
Scritti su Lisa Foa: segnaliamo il profilo scritto da Adriano Sofri in
Italiane, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 2004; e la pagina a
lei dedicata dal quotidiano "Il manifesto" del 5 marzo 2005, che riporta
anche un suo profilo estratto dal capolavoro di Natalia Ginzburg, Lessico
famigliare, Einaudi e Mondadori, varie edizioni ("Lisetta era identica al
fratello Renzo, alta, magra, pallida, diritta con gli occhi accesi, con i
capelli corti e un ciuffo sulla fronte. Andavamo insieme in bicicletta...".
E ancora alla fine del libro: "Lisetta non era molto cambiata, dal tempo che
andavamo in bicicletta e mi raccontava i romanzi di Salgari. Era sempre
magra, dritta e pallida, con gli occhi accesi e col ciuffo sugli occhi.
Sognava, a quattordici anni, imprese avventurose: e aveva avuto qualcosa di
quello che aveva sognato, durante la Resistenza. Era stata arrestata, a
Milano, e incarcerata a Villa Triste. L'aveva interrogata la Ferida. Amici
travestiti da infermieri l'avevano aiutata a fuggire. Poi si era ossigenata
i capelli, per non essere riconosciuta. Aveva avuto, tra fughe e
travestimenti, una bambina...")]

Mi chiedete di parlarvi del mio passato, ma non e' molto facile in questo
momento. Negli ultimi tempi si sono rotti molti fili, molte connessioni e
per certi aspetti puo' anche essere un bene che sia cosi', in fondo dobbiamo
prepararci a cambiare secolo. Ma io alle volte sento un po' di nostalgia per
i tempi andati, quando era piu' facile scegliere. Non mi riferisco tanto a
quello che si usa definire il "crollo delle ideologie", che d'altra parte si
erano venute via via logorando e quando sono crollate avevano gia' perso da
tempo il potere di sedurre, di attrarre. Penso piuttosto a quei momenti che
hanno un carattere direi manicheo oggettivo in cui l'alternativa non puo'
essere che tra il Bene e il Male, come fu la Resistenza. Ma adesso si dice
che le categorie del fascismo e dell'antifascismo sono superate, anche se
poi assistiamo a dei fatti come le ultime elezioni amministrative che,
almeno a Roma e a Napoli, hanno riportato in vita proprio quella vecchia
contrapposizione. Certamente il mondo e' molto cambiato da allora, molto
piu' complicato e affollato. Ma quella fase felice, di autentica
liberazione, in cui le persone, la maggioranza delle persone, erano
diventate migliori, disinteressate, generose, erano capaci di gesti di
altruismo e solidarieta', cosi' semplicemente, senza stare a pensarci su
molto, ebbene tutto questo mi sembra debba essere ricordato e salvato al di
la' delle categorie storiche.
*
Ho avuto un'esperienza carceraria molto limitata durante la Resistenza. Sono
stata arrestata dalla banda Koch nell'estate del '44 a Milano. Mi presero in
casa di amici. Ero andata a Lecco a portare del materiale e sono capitata
perche' la casa era vicina alla stazione e avevo un vuoto di tempo: un
rallentamento della prudenza che poteva costare caro. E infatti dopo un po'
e' arrivata la polizia, cioe' quella strana polizia speciale che era la
banda Koch, una di quelle organizzazioni, piu' criminali che poliziesche in
senso proprio, che pullulavano nella Repubblica di Salo'. Non aspettatevi da
me delle memorie dal carcere, ci sono stata troppo poco, una quindicina di
giorni nei sotterranei della villa dove abitava quella banda, in via Paolo
Uccello, poi a San Vittore per altre due settimane e poi in un ospedale
piantonata: aspettavo un figlio e feci finta di stare male, e poi
dall'ospedale sono scappata. Una reclusione cosi' non ti permette di fare
delle riflessioni filosofiche sulla vita, di leggere e meditare. Era una
reclusione particolare quella della Resistenza. Ti hanno beccato ma non ti
puoi rilassare, devi subito pensare a come sopravvivere. Devi giocare
d'astuzia per non farti torturare, aguzzare l'intelligenza per raccontare
delle storie plausibili che non presentino troppe falle, cercare di
comunicare in qualche modo con l'esterno. Sei cosi' preso dai problemi
immediati, minuto per minuto, che non hai tempo di pensare ad altro. Non era
un carcere quello, era un incidente di percorso. Il vero carcere e' una cosa
diversa, i tempi sono lunghi, ti rilassi, la tua vita e' organizzata dagli
altri. Li' era il contrario, dovevi organizzarti tu stessa la tua vita, la
tua sopravvivenza. E nemmeno c'era tempo o voglia di stringere amicizie al
di fuori del cerchio delle "politiche". Mi ricordo vagamente delle detenute
"comuni", che a quel tempo erano soprattutto accusate di borsa nera o di
aborto, povere ragazze allo sbando, disponibili a parlare e spiegare le loro
ragioni e con cui in altri momenti avresti potuto fare causa comune. Ma
bisognava diffidare...
*
E anche l'evasione in realta' e' stata una liberazione, perche' io stavo
alla maternita' di via Commenda ed e' venuto un piccolo commando a prelevare
me e una mia amica, piantonata anche lei. La cosa piu' bella era la
solidarieta' di tutti, delle suore, dei medici, delle infermiere. Il
primario del reparto, che si chiamava Alfieri ed era fratello del gerarca
fascista, tutte le mattine passando diceva senza nemmeno guardarmi in
faccia: "questa qui bisogna mandarla via". Ma subito dopo tornavano i suoi
assistenti a rassicurarmi: "stia tranquilla, finche' siamo qui nessuno la
mandera' via". Credo che fossero disposti a nascondermi nei sotterranei
piuttosto che rimandarmi a San Vittore. E poi, quando un pomeriggio, alle
due, in un momento di tranquillita', sono arrivati i compagni a disarmare i
poliziotti e a chiuderli dentro uno sgabuzzino, i medici che incontravamo
per le scale mentre fuggivamo in camicia da notte e scalze si congratulavano
con noi: "brave, brave che tagliate la corda". Una volta per strada, prima
di salire in macchina, abbiamo dato uno sguardo alle finestre per
assicurarci che i poliziotti non ci sparassero e c'erano invece le suore e
le infermiere che sventolavano i fazzoletti. Insomma, era una festa
collettiva. Eppure era tutta gente che poteva aspettarsi qualche
rappresaglia o essere accusata di favoreggiamento. Nell'autunno del '44 i
partigiani non erano alle porte di Milano.
*
Vorrei dire un'altra cosa a proposito dell'atmosfera di allora. C'era
qualche cosa che assomigliava alla gioiosita'. Certo si vivevano drammi e
profonde tristezze, c'era tanta gente che ti moriva intorno, ma ci si abitua
presto all'eccezionalita', alla precarieta' della vita, altrimenti non si
potrebbe sopravvivere. Pensate un po' ai bosniaci, agli abitanti di
Sarajevo, assediati e ammazzati per due anni. C'era soprattutto una grande
pulsione di vita, era come se si dovesse vivere con intensita' moltiplicata,
anche per quelli che erano scomparsi. Credo che sia sempre cosi' nei periodi
eccezionali. Ma c'erano anche momenti elettrizzanti di estrema felicita',
quando riuscivi a realizzare delle cose o toccavi con mano la solidarieta',
a volte anche da parte di sconosciuti. Bastava un'occhiata durante un
rastrellamento o una perquisizione in treno per capire chi ti poteva dare
una mano. Per questo dicevo prima che la gente era diventata migliore, che
ciascuno dava il meglio di se stesso. Pensiamo cosa era stata la vita sotto
il fascismo, quella condizione umiliante di sottomissione, di acquiescenza,
sempre con la testa china. Dopo l'8 settembre in quel vuoto di potere che si
era creato e per di piu' con i tedeschi in casa, le persone avevano cessato
di vivere come sudditi e avevano capito che la loro sorte dipendeva da
quello che decidevano di fare, dalla loro iniziativa. Era come un recupero
generale di libero arbitrio dopo la dittatura.
*
Anche in questo senso, piu' personale, e' stata una guerra di liberazione,
di emancipazione, cui hanno partecipato infinitamente molti piu' italiani
dei partigiani e resistenti in senso letterale.
*
Cosa contava di piu', gli ideali o il gruppo di amici? C'era tutto mescolato
insieme, le cose da fare e i legami con le persone con cui le facevi. Ma
forse non e' il caso di parlare di ideali, sa un po' di oleografia da testi
scolastici di una volta. Purtroppo la Resistenza e' stata imbalsamata, e
questa e' forse la ragione per cui non la si considera piu' attuale.
*
Per anni le generazioni che vi hanno partecipato sono state viste dai piu'
giovani come avessero un'aureola attorno alla testa, e anche voi, ragazzi
del '68, avete mitizzato la Resistenza. Ma era una vita molto terrena,
materiale, una vita che aveva una sua normalita'. La vita clandestina libera
da molte noiose incombenze e da' un senso elettrizzante di liberta'. Eri
sempre piu' o meno per la strada, ti dovevi spostare molto, cambiare spesso
casa, una vita da nomadi insomma, ma che dopo un po' diventa un'abitudine. E
poi si doveva pur sempre fare la spesa e lavare i piatti. Anche le persone
erano piu' o meno come erano state sempre, con i loro difetti e le loro
virtu', nessuno era un eroe o si sentiva tale. Oppure diciamo che gli eroi
sono sempre delle persone molto normali.
*
In quanto agli amici, erano certamente molto importanti. C'era allora, sotto
il fascismo e durante la guerra, una capacita' di amicizia molto piu' forte
di quanto mi sembra ci sia stata dopo. Credo che succeda sempre sotto una
dittatura. L'ho vista anche, ad esempio, nei polacchi dell'opposizione e di
Solidarnosc, ed e' anche per questo che mi sono sempre sentita molto vicina
a loro, mi ricordavano i tempi andati.
Devo dire per inciso che i polacchi mi sembrano piu' bravi di noi, hanno una
capacita' di amicizia molto duratura, mentre qui da noi c'e' stata subito
una sorta di diaspora, la politica ha portato molte divisioni. Anche questo
lato dell'amicizia fa parte di quella capacita' di essere migliori di cui
dicevo prima.
*
A Torino credo che ci fosse una situazione particolare, con legami di
amicizia molto forti, veri sodalizi. Ma qui bisogna distinguere. Quelli che
erano gia' da tempo antifascisti, quando nel '43 si presentarono le
circostanze opportune avevano gia' il destino segnato: non avevano fatto per
anni che attendere la guerra, lo scontro finale. Ma per la maggior parte
delle persone che presero parte alla Resistenza, questo fu il risultato di
una scelta, e il momento della scelta e' stato certamente quando si e'
realizzata la coincidenza tra gli eventi che possono rendere migliori le
persone e le persone che decidono di essere migliori. Sono i momenti magici
della storia, ci sono sempre stati e torneranno ad esserci.
*
Torino non e' emblematica dell'Italia di quel periodo perche' e' sempre
stata un angolo appartato. A Torino il fascismo ha tardato a penetrare o
almeno non e' penetrato nelle sue forme piu' invadenti e grottesche. Era
comunque pesante, era pesante la propaganda, l'inquadramento dei giovani; i
libri di testo erano fascisti anche se non lo erano tutti i professori. I
miei compagni di scuola erano conformisti, come lo erano in genere gli
italiani. Non che ci fosse un consenso attivo, c'era un piccolo conformismo
quotidiano. Non era un clima particolarmente oppressivo, tranne ovviamente
per chi era messo in carcere o sottoposto a particolare sorveglianza. Ma la
vita era abbastanza normale.
C'era ovviamente la censura, ma si trovavano molti libri e molti, poi,
venivano portati dalla Francia, che era un po' il nostro entroterra. Il
cinema era una grande risorsa perche' si potevano vedere normalmente i film
americani e francesi. Era comunque in genere una vita grigia, squallida,
deprimente. Il fascismo era molto stupido, banale, volgare. E poi dalla
guerra in Etiopia nel '35 era diventato piu' aggressivo, razzista. Nel '38
le leggi antisemite passarono in mezzo all'indifferenza generale.
Queste cose bisogna ricordarle adesso che si dice che il fascismo appartiene
al passato. Il razzismo, l'indifferenza sono fenomeni largamente diffusi
anche oggi e trovano un punto di riferimento politico ben preciso.
Negli ultimi tempi in Italia anche da sinistra ci si e' messi a considerare
il fascismo non dico con simpatia ma almeno con molto minore ripugnanza. Mi
pare molto strano che il secolo che ha visto il fascismo trionfante in mezza
Europa e una terribile guerra per sconfiggerlo si chiuda da noi con una
semi-assoluzione.
*
Nel resto dell'Europa non succede. In Francia del collaborazionismo e del
regime di Vichy si continua sempre a parlare e discutere, e quell'esperienza
rimane un angoscioso trauma nazionale, come l'affare Dreyfus e
l'antisemitismo o come la guerra in Algeria. Adesso si e' aperto anche un
processo contro un ottuagenario collaborazionista. In Germania, un paese che
pure ha vissuto molte rimozioni, il problema del nazismo e dei campi di
sterminio ritorna periodicamente in modo lacerante, e lo si vede anche ora
alle proiezioni del film di Spielberg. Da noi invece c'e' una marcata
propensione alla memoria corta, quando non succede di peggio. Tempo fa ad
esempio e' uscito un libro che parla di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, i
due attori che aderirono alla Repubblica di Salo', come di due interessanti
personaggi dall'anima complessa e tormentata. Non ci sono state particolari
reazioni. Io li ho conosciuti bene perche' facevano parte della banda Koch.
Mi sono detta: ma guarda un po', noi che stavamo di sotto, nelle cantine di
quella villa di via Paolo Uccello, cosi' fissati sui nostri problemi di
sopravvivenza fisica, non ci siamo accorti del dramma di questi due
personaggi che arrivavano su macchine fuoriserie, prendevano la cocaina,
banchettavano nei piani superiori e poi si divertivano a torturare o veder
torturare la gente.
Poi sono stati fucilati, ma di questo si poteva anche fare a meno. In fondo
erano sconfitti e non erano piu' in grado di nuocere. Se li avessero
lasciati in vita avrebbero potuto spiegare loro stessi perche' erano andati
a finire volontari nella banda Koch e nessuno avrebbe potuto scrivere un
libro sui turbamenti delle loro anime.
*
Tornando al dopoguerra. La politica ha subito diviso perche' il mondo si e'
subito diviso, si e' rotta la grande alleanza antifascista e si e'
riproposto il vecchio conflitto fra l'Occidente e l'Unione Sovietica. Mi
ricordo che la guerra era finita da pochi mesi e gia' si parlava della
possibilita' di una nuova guerra. Il clima era bruttissimo, pesante. Si
creava di nuovo una situazione di manicheismo, ma questa volta costruita,
artificiale, ideologica. Era come una cappa che piombava sulla testa. Tutto
cio' ha avuto ripercussioni molto forti sulle persone perche' obbligava a
schierarsi. E quello, bisogna dirlo, e' stato un periodo per niente magico
in cui tutti davano il peggio di se'. La guerra di liberazione era stato un
momento attivo, di presa di coscienza, di scelta autonoma, e invece adesso
tutti si schieravano sotto delle bandiere ed erano come travolti da forze
incontrollabili che spingevano verso una polarizzazione estrema: o si stava
con l'atlantismo o si stava con il campo socialista. Quei famosi trattati
per la spartizione del mondo di Yalta e Potsdam, su di noi hanno avuto
questo effetto: un turbine che ci ha schiacciati tutti.
*
E poi la vita italiana diventava sempre piu' ripiegata su se stessa, non ci
si occupava quasi mai di quanto succedeva nel mondo, mancavano le
informazioni piu' elementari, per esempio, su quello che stava avvenendo
nell'altra parte dell'Europa, ormai separata. C'erano solo campagne di
propaganda dove tutto appariva o bello o brutto. Succedeva piu' o meno lo
stesso in tutti i paesi occidentali, ma qui in Italia c'era questa
prevalenza democristiana, clericale. E' stato un grande disincanto. Io
ingenuamente mi ero immaginata che, caduto il fascismo, I'ltalia sarebbe
diventata come la Francia e l'lnghilterra, un paese cioe' dove ci sarebbe
stata una piena democrazia, con il rispetto delle persone, dei diritti umani
e civili. E invece veniva fuori un paese oscurantista, bigotto, con la
religione usata come strumento politico, con il vecchio mondo fascista che
pian piano ritornava a galla, con la solita retorica italiana.
*
E non e' che la sinistra si comportasse molto meglio. Certo, sosteneva le
lotte degli operai e dei contadini poveri, impediva la clericalizzazione
totale dell'ltalia, difendeva le liberta' elementari. Ma in sostanza
contrapponeva una religione a un'altra religione, un'ideologia ad un'altra
ideologia. E usava le stesse armi della retorica.
Ad esempio, il modo di presentarsi dei politici era piu' o meno simile: in
tutti i comizi si urlava sempre, c'erano sempre masse osannanti, insomma si
faceva appello agli impulsi piu' elementari.
E nella vita quotidiana le ripercussioni furono ovviamente molto brutte,
perche' tutti eravamo diventati molto conformisti, settari, dogmatici o in
un senso o nell'altro. Era difficile parlare, intendersi, le amicizie si
incrinavano, le persone cessavano di frequentarsi. Era una specie di
malattia collettiva. Ma questo e' durato pochi anni, nel periodo piu' acuto
della guerra fredda, quando negli Stati Uniti c'era il maccartismo. Ma
l'atmosfera e' rimasta a lungo segnata da quell'ondata di oscurantismo che
sollecitava una mentalita' del tipo "dio, patria e famiglia" e rafforzava
tendenze fascistoidi e certe propensioni qualunquiste tipiche degli
italiani. Per la sinistra una svolta salutare e' stata quella del '56, con
il XX congresso del partito comunista sovietico, la destalinizzazione e i
movimenti popolari in Polonia e in Ungheria. Sia pure con fatica e
lentamente si e' capito che bisognava riconsiderare anche il proprio modo di
essere comunisti o socialisti. Si e' cominciato a essere meno credenti e
piu' laici, e questo ha migliorato anche molti rapporti personali. Non ci si
e' ancora resi ben conto quanto si debba a quei movimenti di opposizione
nell'Est e quanto abbiano aiutato a cambiare la nostra mente.
*
Ho lavorato a "Rinascita" piu' tardi, nei primi anni Sessanta, quando la
situazione era gia' molto diversa. E' difficile parlare di Togliatti proprio
perche' e' stato oggetto di tante polemiche. Mi pare pero' molto ingiusto il
modo in cui e' diventato una sorta di capro espiatorio di tutte le
nefandezze del comunismo. Era certamente un personaggio che aveva vissuto,
partecipato e collaborato alla terribile fase dello stalinismo negli anni
Trenta con responsabilita' di primo piano.
Quando l'ho conosciuto io, verso la fine della sua vita, mi pareva molto
segnato da quelle esperienze, e anzi, forse a Botteghe Oscure era il solo
che ne avesse tratto qualche insegnamento. Gli altri dirigenti comunisti
erana tutti, come dire, piu' spensierati e trionfalistici. Togliatti,
invece, sembrava abbastanza consapevole di quante tragedie si fosse lasciato
alle spalle.
Mi ricordo che in quegli anni la "Pravda" dava spesso notizia di riabilitati
tra gli scomparsi nelle grandi epurazioni, persone che lui aveva conosciuto
e ne parlava con evidente tristezza, oppure rimorso, chissa'... In ogni caso
il giornale che lui dirigeva pubblicava piu' informazioni sulle incrinature
del mondo comunista dell'altra stampa di partito, e anche al tempo del
conflitto tra Urss e Cina era relativamente aperto alle discussioni. Se ne
parlava spesso in redazione. Il suo moderatismo, tanto criticato dal
movimento del '68, credo gli fosse suggerito proprio da quelle esperienze.
Aveva fatto e visto molte guerre civili e la sua ossessione doveva essere di
non farne un'altra. Si poteva intuire dai suoi accenni alla guerra di
Spagna, che per lui era certo stata una pagina molto nera. Quella
preoccupazione non era notoriamente condivisa da tutti i dirigenti del Pci,
e credo che un giorno gli verra' riconosciuto il merito storico di avere
evitato una guerra civile in Italia, e non si continuera' a parlare soltanto
della sua "doppiezza", che era una caratteristica dell'epoca largamente
diffusa. In quell'ltalia del dopoguerra ben pochi erano democratici fino in
fondo e con convinzione.
*
Anche il '68 e' stato certamente un altro momento magico, liberatorio, un
momento di svolta per la modernizzazione dell'Italia. Forse non era nelle
intenzioni dei sessantottini modernizzare l'Italia, ma in realta' e' quello
che e' avvenuto. Quella ribellione antiautoritaria ha dato una scossa
salutare a un paese che si stava incartapecorendo, e ha permesso nei decenni
successivi tutte quelle riforme civili che hanno cambiato la nostra
societa'. Non credo che senza quel momento liberatorio, di rottura, i
cambiamenti sarebbero venuti per normale evoluzione storica, sotto la spinta
dello sviluppo delle forze produttive, come si diceva una volta. I partiti
dominanti erano troppo conservatori, retrogradi, e la sinistra era troppo
incerta e paurosa di toccare i tabu' di una societa' cattolica. La sinistra
per muoversi aveva bisogno di essere scavalcata, di perdere il monopolio dei
movimenti sociali. C'e' molta irriconoscenza in genere per il '68, continua
a rappresentare una sorta di spauracchio del nostro mondo politico e
culturale. Bisogna certo riconoscere che la fase liberatoria e' durata poco,
e il movimento e' rifluito, ripiegando sulle vecchie categorie ideologiche e
politiche, anche se con una forte dose di fondamentalismo, per il ritorno
cioe' alla "purezza delle origini". Ma il riflusso e', ahime', un passaggio
obbligato che nessuno ha trovato ancora il modo di evitare nei grandi come
nei piccoli rivolgimenti. Del resto tutto quello che e' avvenuto a partire
da allora e' materia ancora troppo incandescente che non si osa in genere
affrontare. Troppi cadaveri negli armadi, in senso letterale. Mi ha colpito
molto ad esempio che i servizi segreti, con tutto quello che hanno
combinato, siano oggi sotto accusa soltanto perche' hanno rubato un po' di
miliardi, in fondo un peccatuccio veniale... Ma per tornare al '68,
bisognera' ripensarci su. Le celebrazioni del ventennale sono state a mio
parere un po' troppo gioiose e festaiole, e infatti hanno lasciato poca
traccia. Le ex "guardie rosse" in Cina hanno avuto certo una sorte piu'
tragica ma hanno anche fatto delle riflessioni piu' profonde. Credo che il
giudizio sul '68 sia un indice molto significativo. Fino a quando si
continuera' a maledire o esorcizzare quell'esperienza, vorra' dire che non
siamo pronti ai cambiamenti. Non alle riforme istituzionali e politiche, che
si possono sempre fare, ma ai veri cambiamenti nel modo di pensare e di
comportarsi.

7. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI AGOSTO
[Da Lanfranco Mencaroni (per contatti: l.mencaroni at libero.it), infaticabile
animatore dell'"Associazione nazionale amici di Aldo Capitini", riceviamo e
volentieri diffondiamo]

Cari amici,
vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di agosto 2006 del "Cos in rete"
(www.cosinrete.it).
Nello spirito del Cos [in sigla, i Centri di orientamento sociale promossi
da Capitini nel dopoguerra - ndr] di Capitini, le nostre e le vostre
risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani:
nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere
di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta,
antifascismo, tra cui: Un'aggiunta religiosa; La giustizia globalizzata; La
cyberdemocrazia continua; Il consumerismo; La fatiscente solidarieta'
femminile; Come diventammo ricchi consumisti; Orizzonti per un nuovo mondo;
L'eternita' di Martin Luther King; Il destino dei precari; La realta' dei
ceti popolari; Il falso problema della famiglia; La sinistra senza Capitini
e don Milani ecc.; piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla
riflessione attuale sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al "Cos
in rete" e' libera e aperta a tutti mandando i contributi all'indirizzo di
posta elettronica capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel blog del
Cos: http://cos.splinder.com
Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato
indirizzo in www.aldocapitini.it

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1387 del 14 agosto 2006

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