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La nonviolenza e' in cammino. 1387
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1387
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 14 Aug 2006 00:44:58 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1387 del 14 agosto 2006 Sommario di questo numero: 1. Grazia Bellini e Flavio Lotti: Un invito ad Assisi il 26 agosto 2. Maria G. Di Rienzo: Cindy ricoverata 3. Missy Comley Beattie: Gente di pietra 4. Katia Haddad: Hezbollah contro la democrazia 5. Floriana Lipparini: La negazione del femminile 6. Lisa Foa: Del mio passato... 7. Il "Cos in rete" di agosto 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. GRAZIA BELLINI E FLAVIO LOTTI: UN INVITO AD ASSISI IL 26 AGOSTO [Dalla Tavola della pace (per contatti: segreteria at perlapace.it) riceviamo e diffondiamo. Grazia Bellini e Flavio Lotti sono coordinatori nazionali della Tavola della pace] Cari amici, vi invitiamo ad aderire e a partecipare alla manifestazione per la pace in Medio Oriente che si terra' sabato 26 agosto ad Assisi. La guerra non va in vacanza e diventa ogni giorno piu' crudele. In Libano, in Galilea come a Gaza, in Iraq e in Afghanistan. Queste guerre sono una tragedia per tutti. Anche per noi. Non mettiamo la testa sotto la sabbia. Non arrendiamoci all'idea di un conflitto e di un odio senza fine. Incontriamoci ad Assisi per gridare ancora piu' forte la nostra denuncia e il nostro progetto di pace. La pace e' possibile ma ci dobbiamo impegnare tutti. Grazia Bellini e Flavio Lotti, coordinatori nazionali della Tavola della pace * Per adesioni e informazioni: Tavola della pace, via della viola 1, 06100 Perugia, tel. 0755736890, fax: 0755739337, e-mail: segreteria at perlapace.it, sito: www.tavoladellapace.it 2. TESTIMONI. MARIA G. DI RIENZO: CINDY RICOVERATA [Da Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) riceviamo questa notizia. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005 Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com] La sera di venerdi' 11 agosto Cindy Sheehan e' stata ricoverata al Providence Health Center a Waco, in Texas. La temperatura a Crawford, dove ha organizzato come lo scorso anno il campeggio pacifista a "Camp Casey", ha toccato nel pomeriggio i massimi del secolo. Cindy, che era al trentasettesimo giorno di digiuno di protesta contro la guerra, e' giunta all'ospedale pallida ed esausta, seriamente disidratata. Gia' il giorno prima, mentre partecipava a Seattle al convegno dei Veterani per la pace, Cindy aveva dovuto far ricorso alle cure del pronto soccorso ospedaliero. Venerdi' ha interrotto il digiuno perche' era a rischio la sua vita. La sua amica Tiffany Burns assicura che sara' presente alle prossime iniziative pacifiste programmate a "Camp Casey", che lo scorso anno vide la partecipazione di oltre 10.000 persone in 26 giorni: "Il suo spirito non e' venuto meno, e non esserci la renderebbe troppo triste". 3. TESTIMONIANZE. MISSY COMLEY BEATTIE: GENTE DI PIETRA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Missy Comley Beattie. Missy Comley Beattie vive a New York, ha lavorato come autrice per National Public Radio e "Nashville Life Magazine", fa parte di "Gold Star Families for Peace"; suo nipote Chase J. Comley, caporale dei marine, e' morto in Iraq il 6 agosto 2005] "Guarda tutte quelle persone di pietra". Questo e' cio' che disse uno dei miei figli, anni orsono, quando passammo in auto accanto a un cimitero militare. File e file di persone di pietra, erette su monticelli di terra che coprono bare avvolte nelle bandiere, in cui giacciono persone vere. Di persone vere in questa guerra che e' piu' che catastrofica ne sono morte moltissime: circa 2.600 di esse sono soldati statunitensi. Migliaia di iracheni muoiono ogni mese. Le truppe della coalizione non sono percepite come liberatori di iracheni grati, sfuggiti alle grinfie di un dittatore; siamo invece occupanti, e la nostra invasione ha scatenato una violenza settaria che non mostra segno di requie. La vita e' cosi' brutta, in Iraq, che i cittadini rimpiangono i giorni in cui Saddam Hussein era al potere. Proprio la scorsa settimana, testimoniando di fronte alla commissione del Senato per le forze armate, il comandante statunitense per il Medio Oriente, generale John Abizaid, ha mormorato la verita': "guerra civile". Questo fara' venire le convulsioni a Donald Rumsfeld, il pomposo mezzano della guerra che ora sta negando di aver mai descritto rosee prospettive del conflitto. Anche George Bush non puo' essere stato lieto dell'ammissione di Abizaid. Dopotutto, in ogni discorso che questo presidente fantoccio legge, ripete "vittoria totale", ad oltranza, al suo seguito ipnotizzato. E recentemente ha detto che ci sono giorni in cui purtroppo non sentiamo buone notizie provenire dall'Iraq. Come mai, forse perche' le uniche notizie che provengono dall'Iraq sono orrende e fanno il paio solo con le atrocita' in Libano? * Nel frattempo, George e' in vacanza a Crawford. Mentre saliva una piccola collina in bicicletta ha urlato giulivo: "Attacco aereo!". Le nostre truppe viaggiano in veicoli disastrati, che rischiano ogni momento di saltare per aria su una bomba piazzata in strada, e George, circondato dagli agenti dei servizi segreti, gioca al soldato nel suo ranch di 1.600 acri. La sua nuova vicina di casa, Cindy Sheehan, e' tornata a Crawford sperando di potergli fare faccia a faccia la domanda che, lo scorso anno, fu la scintilla per il movimento pacifista: "Per quale nobile causa mio figlio Casey e' morto in Iraq?". L'addetto stampa della Casa Bianca, Tony Snow, che si trova a Crawford con Bush, stava parlando ai giornalisti di Israele e Libano quando qualcuno ha chiesto: "Quali sono i piani rispetto a Cindy Sheehan? Il presidente la incontrera' o no?". La risposta di Snow e' caratteristica del condiscendente disprezzo dell'amministrazione Bush: "I piani? Le consigliera' di portarsi dell'acqua, o del Gatorade, o magari entrambi". Magari uno dei giornalisti avrebbe potuto ricordare a Tony Snow la sua prima apparizione televisiva, quando lavorava per Fox News. Tony pianse, mentre ricordava la sua guarigione dal cancro, e la morte di sua madre, per lo stesso male, quando lui aveva diciassette anni. Sembra che Tony abbia emozioni solo per se stesso, anche se dalla sua malattia e' completamente guarito. Per Cindy Sheehan, che ha sofferto una perdita per la quale non esiste guarigione, non ha mostrato una briciola di compassione. Che si porti da bere, e' lo sciocco suggerimento. E' Tony Snow che ha bisogno di liquidi. Deve essere rimasto disidratato dopo la lunga corsa in bicicletta con il suo capo. E cosi' tutta la squadra del presidente in vacanza a Crawford. Ad ognuno di loro, dedico una frase del dottor Elton Trueblood: "Un uomo comincia a capire il significato della vita quando pianta alberi che faranno ombra, sapendo che non sedera' mai sotto le loro chiome". Bush dovrebbe piantare alberi che facciano ombra per Cindy Sheehan, a Crawford. Tristemente, sappiamo che non lo fara'. Si lancera' invece in "attacchi aerei" con la sua bicicletta mentre il Medio Oriente divampa, e quelli di noi che piangono i loro morti, e i morti a venire, si chiedono quale sara' il prossimo paese ad essere investito dalla furia del suo cuore di ghiaccio. * "Guardate tutte quelle persone di pietra": ce ne saranno molte di piu', prima che Bush lasci il suo incarico. 4. TESTIMONIANZE. KATIA HADDAD: HEZBOLLAH CONTRO LA DEMOCRAZIA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Katia Haddad. Katia Haddad e' docente all'Universita' Saint-Joseph di Beirut; il suo ultimo libro e' La letteratura francofona del Maghreb. Antologia critica, 2000] Sono parecchi i libanesi che si chiedono, nella loro disgrazia, che tipo di societa' emergera' dal presente conflitto. "La milizia Hezbollah ha derubato della speranza i giovani libanesi", ha detto il leader del partito progressista socialista, e della comunita' drusa, Walid Joumblatt in un'intervista rilasciata al "Financial Times" il 2 agosto, dando voce all'angoscia di molti. Per quanto riguarda il capo di Hezbollah, Nasrallah, la logica consente di dubitare fortemente (ed usiamo un eufemismo) delle sue convinzioni democratiche e del tipo di societa' che egli promuove. Naturalmente Nasrallah ed i suoi partigiani asseriscono, e tale opinione e' condivisa da numerosi libanesi, che l'iniziativa militare presa dal suo partito il 12 luglio abbia restituito dignita' al Libano: ha opposto una resistenza inaspettata e devastante all'enorme macchina da guerra israeliana, cosa che nessun esercito regolare arabo e' stato mai in grado di fare in sessant'anni di conflitti. Tuttavia, la capacita' di Hassan Nasrallah di anticipare gli eventi sembra essersi fermata li'. Egli asserisce di non essersi aspettato la "sproporzionata" reazione israeliana. Una conseguenza, fra le altre, e' che un milione di libanesi si trovano per strada, profughi nel loro stesso paese, sofferenti, assetati, affamati: mendicano un tetto sopra la testa e vivono della carita' di altri senza che alcuna struttura sia stata predisposta dal "Partito di dio" [traduzione di "Hezbollah" - ndr] per dar loro rifugio e conforto. In breve, la restaurazione della dignita' nazionale e' stata acquisita a spese della dignita' degli individui. Ed e' questo cio' che c'e' di profondamente antidemocratico nella societa' vagheggiata dallo sceicco Nasrallah, ovvero che il gruppo debba sempre prevalere sulla persona. Il "Partito di dio" sta in realta' combattendo un nemico esterno, Israele, ed un nemico interno, la democrazia. La democrazia si basa sull'esistenza di persone libere nelle loro decisioni, nei loro giudizi e nelle loro scelte. I proclami di Hezbollah e dei suoi alleati sin dall'inizio della guerra consistono nella proibizione di ogni domanda, sotto diversi pretesti: "Nessuna voce deve alzarsi al di sopra dei cannoni", "Dobbiamo preservare l'unita' nazionale", eccetera, ma tutto cio' nasconde una sola argomentazione, e cioe' che chiunque osi porre domande e' un traditore, un alleato di Israele, una spia! Ed ora noi conosciamo il destino che Hezbollah riserva ai traditori: venticinque "spie" (ma come e' stato accertato questo?) sono state "giustiziate" il mese scorso a Tiro, senza alcuna forma di processo. Contemporaneamente Hezbollah proferisce minacce contro chiunque eserciti il diritto democratico della richiesta di esibizione delle prove a carico. Per capirne la logica, e' sufficiente rileggere l'articolo 2 dell'accordo siglato fra Hezbollah stesso e la "Libera corrente patriottica" del generale Michel Aoun nel febbraio scorso: "La democrazia consensuale resta l'essenziale fondamento del sistema politico libanese. Essa rappresenta l'effettiva concretizzazione dello spirito costituzionale e dell'essenza del patto nazionale di coesistenza. Tuttavia ogni approccio alle questioni nazionali in accordo con i principi di maggioranza e minoranza, resta tributario alla realizzazione delle condizioni storiche e sociali necessarie all'esercizio di una vera democrazia, in cui il cittadino acquisisce il suo specifico valore". La terza frase di questo articolo e' estremamente ambigua: la provvisoria rinuncia a cio' che lo sceicco Chamseddine, leader spirituale della comunita' sciita, chiamo' "la democrazia dei numeri", si suppone rassicurante per la comunita' cristiana, ma va a braccetto con la rinuncia al ruolo di "cittadino". Il patto e' chiaro, ma e' un patto ripugnante. Perche' la rinuncia di Hezbollah alla "democrazia dei numeri" e' illusoria, come tre recenti eventi dimostrano. * Dopo l'assassinio di Rafic Hariri il 14 febbraio 2005, per mettere a tacere le voci che gia' si erano levate chiedendo il ritiro dal Libano delle truppe siriane (accusate dell'omicidio), Hezbollah organizzo' l'8 marzo successivo una manifestazione grandemente pubblicizzata, ma partecipata essenzialmente dai suoi partigiani, per dire "Grazie, Siria". Nella contromanifestazione del 14 marzo oltre un milione di libanesi scese nelle strade per dimostrare che i sostenitori della democrazia erano piu' numerosi di quelli che sostenevano la Siria ed i suoi alleati in Libano. Lo scorso 10 maggio, dopo aver firmato la "carta d'intenti" con Aoun, Hezbollah ha di nuovo organizzato una manifestazione il cui obiettivo, fra gli altri, era di mostrare che grazie alla partecipazione dei sostenitori di Aoun la sua forza era aumentata. Ma la partecipazione e' sembrata assai scarsa. La stessa delusione si e' ripetuta il 31 maggio, quando alla protesta contro una trasmissione satirica televisiva che aveva preso in giro lo sceicco Nasrallah, i suoi fedeli si sono riversati nelle strade per provocare disordini. Tutti e tre questi tentativi si sono fondati sull'ipotesi che Hezbollah muova i grandi numeri. Ogni volta l'ipotesi e' stata smentita: pur concedendo che la comunita' sciita sia quella piu' numerosa in Libano oggi e che (cosa che e' lungi dall'essere provata) essa nella sua interezza sostenga Hezbollah, le aspirazioni democratiche del popolo libanese hanno attraversato tutti i confini comunitari, cosicche' in tutte e tre le occasioni Hezbollah si e' trovato numericamente minoritario. Per quanto riguarda la "democrazia consensuale", Hezbollah la viola di continuo pretendendo di credere che il consenso e l'unanimita' siano sinonimi. Partito di minoranza nel consiglio dei ministri ed in parlamento, Hezbollah tenta di rovesciare l'equazione chiedendo in primo luogo l'introduzione di un rappresentante di Aoun per poter dirigere una minoranza con funzioni di blocco, ed in secondo luogo le elezioni anticipate, sicuro di ottenere la maggioranza con il suo alleato Aoun semplicemente accusando la maggioranza parlamentare attuale di essere "illusoria". Nel frattempo, Hezbollah continua ad impiegare l'uso della forza con i suoi partner libanesi, usando ed abusando del ricatto: boicotta il consiglio dei ministri quando le sue decisioni non gli aggradano, minaccia la "guerra civile" se si menziona il disarmo, e cosi' via. Hezbollah obietta ai numeri se essi vanno a suo sfavore, e li esalta se gli conviene. In questo modo, sta cannibalizzando le istituzioni democratiche. La logica di Hezbollah e' sempre una logica di violenza camuffata. Sebbene il suo principale avversario, Walid Joumblatt, abbia persino moderato i toni contro il "Partito di dio", quest'ultimo continua la sua opposizione a tutto campo: questa e' la sua logica democratica. Fino a quando? 5. RIFLESSIONE. FLORIANA LIPPARINI: LA NEGAZIONE DEL FEMMINILE [Estraiamo queste riflessioni di Floriana Lipparini (per contatti: effe.elle at fastwebnet.it) da un suo piu' ampio intervento apparso nella bella mailing list femminista e pacifista "Lisistrata" (per contatti: lisistrata at yahoogroups.com). Floriana Lipparini, giornalista (tra l'altro ha lavorato per il mensile "Guerre e Pace", che per qualche tempo ha anche diretto, occupandosi soprattutto della guerra nella ex Jugoslavia), impegnata nel movimento delle donne (Collettivo della Libreria Utopia, Donne per la pace, Genere e politica, Associazione Rosa Luxemburg), ha coordinato negli anni del conflitto jugoslavo il Laboratorio pacifista delle donne di Rijeka, un'esperienza di condivisione e relazione nel segno del femminile, del pacifismo, dell'interculturalita', dell'opposizione nonviolenta attiva alla guerra, da cui e' lentamente nato un libro, Per altre vie. Donne fra guerre e nazionalismi, edito in Croazia da Shura publications, in edizione bilingue, italiana e croata] Vorrei aggiungere qualche riflessione. Il punto e' che comunque il piccolo Libano viene distrutto, muoiono civili innocenti, forse si usano armi chimiche... Nel frattempo muoiono altri civili in Israele e in Palestina. E naturalmente muoiono i soldati, vite non meno importanti, anche se hanno scelto la guerra. Personalmente penso che la situazione sia impari, fra il potente Occidente bianco, globalizzante, neoliberista, colonialista, espansionista, superarmato, e il Sud del mondo comunque piu' debole, comunque sfruttato, comunque invaso, comunque disprezzato da chi vuole uno scontro di civilta'. Detto questo, e ribadito che vi sono sempre responsabilita' da capire, ingiustizie storiche e ingiustizie attuali da riconoscere e riparare (pensiamo all'esempio del Sudafrica: solo se si ha il coraggio di riconoscere la verita', si puo' andare oltre), resta il fatto che non si possono fare gerarchie di fronte alla violenza, di fronte alla morte, di fronte alle vittime. Pero' non basta: dobbiamo dire a piu' chiare lettere che questa follia ha cause, ha origini millenarie, poggia su concezioni individuali e collettive, su una visione del mondo, su filosofie, su religioni... I fondamentalismi, gli integralismi, i nazionalismi non nascono dal nulla. Dietro c'e' un concetto deviato di identita', di confine, di stato, di nemico... E dietro ancora c'e' la negazione del femminile come valore positivo e necessario al costruirsi di una civilta' accettabile e umana. A Oriente e a Occidente, a Nord e a Sud non sono i valori cosiddetti femminili a ispirare le politiche (una bella eccezione e' quella di Michelle Bachelet in Cile). Quali potrebbero essere? Forse maggior consapevolezza della fragilita' e dell'unicita' di ogni esistenza, forse maggior senso del limite, maggior cura della vita e dei corpi, piu' spazio per i sentimenti, piu' risparmio delle risorse... Attenzione, non sto dicendo che il femminile e' il positivo e il maschile il negativo. Dico che lo squilibrio dato dalla negazione di una delle componenti dell'umanita' e' causa del disastro. Lo si vede particolarmente bene la' dove esistono fanatici religiosi, si tratti di neocon Usa, integralisti islamici o superortodossi ebrei, che manovrano per spingere i governi a combattere ferocemente il Nemico con la enne maiuscola, insomma l'Altro. Sono tutte ideologie violente che odiano il femminile e pensano che la propria identita' debba essere pura e incontaminata. L'esistenza stessa degli altri per loro e' un pericolo, e si appellano al loro dio per sentirsi i giusti, i prescelti, gli eletti. Se vogliamo una civilta' nonviolenta che costruisca ponti invece di confini, il lavoro va fatto alla radice, decostruendo i castelli di menzogne e ricostruendo il senso del nostro abitare la terra. I confini sono artificiali, un tempo la terra era fatta di acque. 6. MEMORIA. LISA FOA: DEL MIO PASSATO... [Dalla rivista "Una citta', n. 31 dell'aprile 1994 (disponibile anche nel sito: www.unacitta.it). Lisa Giua Foa, nata nel 1923 a Torino da una famiglia di illustri intellettuali antifascisti, partigiana, intellettuale, storica e saggista, attenta osservatrice dell'est, un lungo impegno politico nel Pci, tra i fondatori del "Manifesto", poi in "Lotta Continua", poi ancora impegnata, da ultimo nella Fondazione Alexander Langer. Opere di Lisa Foa: tra le altre segnaliamo: La societa' sovietica, Loescher, Torino 1973; sua la prefazione a Yolande Mukagasana, La morte non mi ha voluta, La meridiana, Molfetta (Bari) 1998; E' andata cosi', Sellerio, Palermo 2004. Scritti su Lisa Foa: segnaliamo il profilo scritto da Adriano Sofri in Italiane, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 2004; e la pagina a lei dedicata dal quotidiano "Il manifesto" del 5 marzo 2005, che riporta anche un suo profilo estratto dal capolavoro di Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Einaudi e Mondadori, varie edizioni ("Lisetta era identica al fratello Renzo, alta, magra, pallida, diritta con gli occhi accesi, con i capelli corti e un ciuffo sulla fronte. Andavamo insieme in bicicletta...". E ancora alla fine del libro: "Lisetta non era molto cambiata, dal tempo che andavamo in bicicletta e mi raccontava i romanzi di Salgari. Era sempre magra, dritta e pallida, con gli occhi accesi e col ciuffo sugli occhi. Sognava, a quattordici anni, imprese avventurose: e aveva avuto qualcosa di quello che aveva sognato, durante la Resistenza. Era stata arrestata, a Milano, e incarcerata a Villa Triste. L'aveva interrogata la Ferida. Amici travestiti da infermieri l'avevano aiutata a fuggire. Poi si era ossigenata i capelli, per non essere riconosciuta. Aveva avuto, tra fughe e travestimenti, una bambina...")] Mi chiedete di parlarvi del mio passato, ma non e' molto facile in questo momento. Negli ultimi tempi si sono rotti molti fili, molte connessioni e per certi aspetti puo' anche essere un bene che sia cosi', in fondo dobbiamo prepararci a cambiare secolo. Ma io alle volte sento un po' di nostalgia per i tempi andati, quando era piu' facile scegliere. Non mi riferisco tanto a quello che si usa definire il "crollo delle ideologie", che d'altra parte si erano venute via via logorando e quando sono crollate avevano gia' perso da tempo il potere di sedurre, di attrarre. Penso piuttosto a quei momenti che hanno un carattere direi manicheo oggettivo in cui l'alternativa non puo' essere che tra il Bene e il Male, come fu la Resistenza. Ma adesso si dice che le categorie del fascismo e dell'antifascismo sono superate, anche se poi assistiamo a dei fatti come le ultime elezioni amministrative che, almeno a Roma e a Napoli, hanno riportato in vita proprio quella vecchia contrapposizione. Certamente il mondo e' molto cambiato da allora, molto piu' complicato e affollato. Ma quella fase felice, di autentica liberazione, in cui le persone, la maggioranza delle persone, erano diventate migliori, disinteressate, generose, erano capaci di gesti di altruismo e solidarieta', cosi' semplicemente, senza stare a pensarci su molto, ebbene tutto questo mi sembra debba essere ricordato e salvato al di la' delle categorie storiche. * Ho avuto un'esperienza carceraria molto limitata durante la Resistenza. Sono stata arrestata dalla banda Koch nell'estate del '44 a Milano. Mi presero in casa di amici. Ero andata a Lecco a portare del materiale e sono capitata perche' la casa era vicina alla stazione e avevo un vuoto di tempo: un rallentamento della prudenza che poteva costare caro. E infatti dopo un po' e' arrivata la polizia, cioe' quella strana polizia speciale che era la banda Koch, una di quelle organizzazioni, piu' criminali che poliziesche in senso proprio, che pullulavano nella Repubblica di Salo'. Non aspettatevi da me delle memorie dal carcere, ci sono stata troppo poco, una quindicina di giorni nei sotterranei della villa dove abitava quella banda, in via Paolo Uccello, poi a San Vittore per altre due settimane e poi in un ospedale piantonata: aspettavo un figlio e feci finta di stare male, e poi dall'ospedale sono scappata. Una reclusione cosi' non ti permette di fare delle riflessioni filosofiche sulla vita, di leggere e meditare. Era una reclusione particolare quella della Resistenza. Ti hanno beccato ma non ti puoi rilassare, devi subito pensare a come sopravvivere. Devi giocare d'astuzia per non farti torturare, aguzzare l'intelligenza per raccontare delle storie plausibili che non presentino troppe falle, cercare di comunicare in qualche modo con l'esterno. Sei cosi' preso dai problemi immediati, minuto per minuto, che non hai tempo di pensare ad altro. Non era un carcere quello, era un incidente di percorso. Il vero carcere e' una cosa diversa, i tempi sono lunghi, ti rilassi, la tua vita e' organizzata dagli altri. Li' era il contrario, dovevi organizzarti tu stessa la tua vita, la tua sopravvivenza. E nemmeno c'era tempo o voglia di stringere amicizie al di fuori del cerchio delle "politiche". Mi ricordo vagamente delle detenute "comuni", che a quel tempo erano soprattutto accusate di borsa nera o di aborto, povere ragazze allo sbando, disponibili a parlare e spiegare le loro ragioni e con cui in altri momenti avresti potuto fare causa comune. Ma bisognava diffidare... * E anche l'evasione in realta' e' stata una liberazione, perche' io stavo alla maternita' di via Commenda ed e' venuto un piccolo commando a prelevare me e una mia amica, piantonata anche lei. La cosa piu' bella era la solidarieta' di tutti, delle suore, dei medici, delle infermiere. Il primario del reparto, che si chiamava Alfieri ed era fratello del gerarca fascista, tutte le mattine passando diceva senza nemmeno guardarmi in faccia: "questa qui bisogna mandarla via". Ma subito dopo tornavano i suoi assistenti a rassicurarmi: "stia tranquilla, finche' siamo qui nessuno la mandera' via". Credo che fossero disposti a nascondermi nei sotterranei piuttosto che rimandarmi a San Vittore. E poi, quando un pomeriggio, alle due, in un momento di tranquillita', sono arrivati i compagni a disarmare i poliziotti e a chiuderli dentro uno sgabuzzino, i medici che incontravamo per le scale mentre fuggivamo in camicia da notte e scalze si congratulavano con noi: "brave, brave che tagliate la corda". Una volta per strada, prima di salire in macchina, abbiamo dato uno sguardo alle finestre per assicurarci che i poliziotti non ci sparassero e c'erano invece le suore e le infermiere che sventolavano i fazzoletti. Insomma, era una festa collettiva. Eppure era tutta gente che poteva aspettarsi qualche rappresaglia o essere accusata di favoreggiamento. Nell'autunno del '44 i partigiani non erano alle porte di Milano. * Vorrei dire un'altra cosa a proposito dell'atmosfera di allora. C'era qualche cosa che assomigliava alla gioiosita'. Certo si vivevano drammi e profonde tristezze, c'era tanta gente che ti moriva intorno, ma ci si abitua presto all'eccezionalita', alla precarieta' della vita, altrimenti non si potrebbe sopravvivere. Pensate un po' ai bosniaci, agli abitanti di Sarajevo, assediati e ammazzati per due anni. C'era soprattutto una grande pulsione di vita, era come se si dovesse vivere con intensita' moltiplicata, anche per quelli che erano scomparsi. Credo che sia sempre cosi' nei periodi eccezionali. Ma c'erano anche momenti elettrizzanti di estrema felicita', quando riuscivi a realizzare delle cose o toccavi con mano la solidarieta', a volte anche da parte di sconosciuti. Bastava un'occhiata durante un rastrellamento o una perquisizione in treno per capire chi ti poteva dare una mano. Per questo dicevo prima che la gente era diventata migliore, che ciascuno dava il meglio di se stesso. Pensiamo cosa era stata la vita sotto il fascismo, quella condizione umiliante di sottomissione, di acquiescenza, sempre con la testa china. Dopo l'8 settembre in quel vuoto di potere che si era creato e per di piu' con i tedeschi in casa, le persone avevano cessato di vivere come sudditi e avevano capito che la loro sorte dipendeva da quello che decidevano di fare, dalla loro iniziativa. Era come un recupero generale di libero arbitrio dopo la dittatura. * Anche in questo senso, piu' personale, e' stata una guerra di liberazione, di emancipazione, cui hanno partecipato infinitamente molti piu' italiani dei partigiani e resistenti in senso letterale. * Cosa contava di piu', gli ideali o il gruppo di amici? C'era tutto mescolato insieme, le cose da fare e i legami con le persone con cui le facevi. Ma forse non e' il caso di parlare di ideali, sa un po' di oleografia da testi scolastici di una volta. Purtroppo la Resistenza e' stata imbalsamata, e questa e' forse la ragione per cui non la si considera piu' attuale. * Per anni le generazioni che vi hanno partecipato sono state viste dai piu' giovani come avessero un'aureola attorno alla testa, e anche voi, ragazzi del '68, avete mitizzato la Resistenza. Ma era una vita molto terrena, materiale, una vita che aveva una sua normalita'. La vita clandestina libera da molte noiose incombenze e da' un senso elettrizzante di liberta'. Eri sempre piu' o meno per la strada, ti dovevi spostare molto, cambiare spesso casa, una vita da nomadi insomma, ma che dopo un po' diventa un'abitudine. E poi si doveva pur sempre fare la spesa e lavare i piatti. Anche le persone erano piu' o meno come erano state sempre, con i loro difetti e le loro virtu', nessuno era un eroe o si sentiva tale. Oppure diciamo che gli eroi sono sempre delle persone molto normali. * In quanto agli amici, erano certamente molto importanti. C'era allora, sotto il fascismo e durante la guerra, una capacita' di amicizia molto piu' forte di quanto mi sembra ci sia stata dopo. Credo che succeda sempre sotto una dittatura. L'ho vista anche, ad esempio, nei polacchi dell'opposizione e di Solidarnosc, ed e' anche per questo che mi sono sempre sentita molto vicina a loro, mi ricordavano i tempi andati. Devo dire per inciso che i polacchi mi sembrano piu' bravi di noi, hanno una capacita' di amicizia molto duratura, mentre qui da noi c'e' stata subito una sorta di diaspora, la politica ha portato molte divisioni. Anche questo lato dell'amicizia fa parte di quella capacita' di essere migliori di cui dicevo prima. * A Torino credo che ci fosse una situazione particolare, con legami di amicizia molto forti, veri sodalizi. Ma qui bisogna distinguere. Quelli che erano gia' da tempo antifascisti, quando nel '43 si presentarono le circostanze opportune avevano gia' il destino segnato: non avevano fatto per anni che attendere la guerra, lo scontro finale. Ma per la maggior parte delle persone che presero parte alla Resistenza, questo fu il risultato di una scelta, e il momento della scelta e' stato certamente quando si e' realizzata la coincidenza tra gli eventi che possono rendere migliori le persone e le persone che decidono di essere migliori. Sono i momenti magici della storia, ci sono sempre stati e torneranno ad esserci. * Torino non e' emblematica dell'Italia di quel periodo perche' e' sempre stata un angolo appartato. A Torino il fascismo ha tardato a penetrare o almeno non e' penetrato nelle sue forme piu' invadenti e grottesche. Era comunque pesante, era pesante la propaganda, l'inquadramento dei giovani; i libri di testo erano fascisti anche se non lo erano tutti i professori. I miei compagni di scuola erano conformisti, come lo erano in genere gli italiani. Non che ci fosse un consenso attivo, c'era un piccolo conformismo quotidiano. Non era un clima particolarmente oppressivo, tranne ovviamente per chi era messo in carcere o sottoposto a particolare sorveglianza. Ma la vita era abbastanza normale. C'era ovviamente la censura, ma si trovavano molti libri e molti, poi, venivano portati dalla Francia, che era un po' il nostro entroterra. Il cinema era una grande risorsa perche' si potevano vedere normalmente i film americani e francesi. Era comunque in genere una vita grigia, squallida, deprimente. Il fascismo era molto stupido, banale, volgare. E poi dalla guerra in Etiopia nel '35 era diventato piu' aggressivo, razzista. Nel '38 le leggi antisemite passarono in mezzo all'indifferenza generale. Queste cose bisogna ricordarle adesso che si dice che il fascismo appartiene al passato. Il razzismo, l'indifferenza sono fenomeni largamente diffusi anche oggi e trovano un punto di riferimento politico ben preciso. Negli ultimi tempi in Italia anche da sinistra ci si e' messi a considerare il fascismo non dico con simpatia ma almeno con molto minore ripugnanza. Mi pare molto strano che il secolo che ha visto il fascismo trionfante in mezza Europa e una terribile guerra per sconfiggerlo si chiuda da noi con una semi-assoluzione. * Nel resto dell'Europa non succede. In Francia del collaborazionismo e del regime di Vichy si continua sempre a parlare e discutere, e quell'esperienza rimane un angoscioso trauma nazionale, come l'affare Dreyfus e l'antisemitismo o come la guerra in Algeria. Adesso si e' aperto anche un processo contro un ottuagenario collaborazionista. In Germania, un paese che pure ha vissuto molte rimozioni, il problema del nazismo e dei campi di sterminio ritorna periodicamente in modo lacerante, e lo si vede anche ora alle proiezioni del film di Spielberg. Da noi invece c'e' una marcata propensione alla memoria corta, quando non succede di peggio. Tempo fa ad esempio e' uscito un libro che parla di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, i due attori che aderirono alla Repubblica di Salo', come di due interessanti personaggi dall'anima complessa e tormentata. Non ci sono state particolari reazioni. Io li ho conosciuti bene perche' facevano parte della banda Koch. Mi sono detta: ma guarda un po', noi che stavamo di sotto, nelle cantine di quella villa di via Paolo Uccello, cosi' fissati sui nostri problemi di sopravvivenza fisica, non ci siamo accorti del dramma di questi due personaggi che arrivavano su macchine fuoriserie, prendevano la cocaina, banchettavano nei piani superiori e poi si divertivano a torturare o veder torturare la gente. Poi sono stati fucilati, ma di questo si poteva anche fare a meno. In fondo erano sconfitti e non erano piu' in grado di nuocere. Se li avessero lasciati in vita avrebbero potuto spiegare loro stessi perche' erano andati a finire volontari nella banda Koch e nessuno avrebbe potuto scrivere un libro sui turbamenti delle loro anime. * Tornando al dopoguerra. La politica ha subito diviso perche' il mondo si e' subito diviso, si e' rotta la grande alleanza antifascista e si e' riproposto il vecchio conflitto fra l'Occidente e l'Unione Sovietica. Mi ricordo che la guerra era finita da pochi mesi e gia' si parlava della possibilita' di una nuova guerra. Il clima era bruttissimo, pesante. Si creava di nuovo una situazione di manicheismo, ma questa volta costruita, artificiale, ideologica. Era come una cappa che piombava sulla testa. Tutto cio' ha avuto ripercussioni molto forti sulle persone perche' obbligava a schierarsi. E quello, bisogna dirlo, e' stato un periodo per niente magico in cui tutti davano il peggio di se'. La guerra di liberazione era stato un momento attivo, di presa di coscienza, di scelta autonoma, e invece adesso tutti si schieravano sotto delle bandiere ed erano come travolti da forze incontrollabili che spingevano verso una polarizzazione estrema: o si stava con l'atlantismo o si stava con il campo socialista. Quei famosi trattati per la spartizione del mondo di Yalta e Potsdam, su di noi hanno avuto questo effetto: un turbine che ci ha schiacciati tutti. * E poi la vita italiana diventava sempre piu' ripiegata su se stessa, non ci si occupava quasi mai di quanto succedeva nel mondo, mancavano le informazioni piu' elementari, per esempio, su quello che stava avvenendo nell'altra parte dell'Europa, ormai separata. C'erano solo campagne di propaganda dove tutto appariva o bello o brutto. Succedeva piu' o meno lo stesso in tutti i paesi occidentali, ma qui in Italia c'era questa prevalenza democristiana, clericale. E' stato un grande disincanto. Io ingenuamente mi ero immaginata che, caduto il fascismo, I'ltalia sarebbe diventata come la Francia e l'lnghilterra, un paese cioe' dove ci sarebbe stata una piena democrazia, con il rispetto delle persone, dei diritti umani e civili. E invece veniva fuori un paese oscurantista, bigotto, con la religione usata come strumento politico, con il vecchio mondo fascista che pian piano ritornava a galla, con la solita retorica italiana. * E non e' che la sinistra si comportasse molto meglio. Certo, sosteneva le lotte degli operai e dei contadini poveri, impediva la clericalizzazione totale dell'ltalia, difendeva le liberta' elementari. Ma in sostanza contrapponeva una religione a un'altra religione, un'ideologia ad un'altra ideologia. E usava le stesse armi della retorica. Ad esempio, il modo di presentarsi dei politici era piu' o meno simile: in tutti i comizi si urlava sempre, c'erano sempre masse osannanti, insomma si faceva appello agli impulsi piu' elementari. E nella vita quotidiana le ripercussioni furono ovviamente molto brutte, perche' tutti eravamo diventati molto conformisti, settari, dogmatici o in un senso o nell'altro. Era difficile parlare, intendersi, le amicizie si incrinavano, le persone cessavano di frequentarsi. Era una specie di malattia collettiva. Ma questo e' durato pochi anni, nel periodo piu' acuto della guerra fredda, quando negli Stati Uniti c'era il maccartismo. Ma l'atmosfera e' rimasta a lungo segnata da quell'ondata di oscurantismo che sollecitava una mentalita' del tipo "dio, patria e famiglia" e rafforzava tendenze fascistoidi e certe propensioni qualunquiste tipiche degli italiani. Per la sinistra una svolta salutare e' stata quella del '56, con il XX congresso del partito comunista sovietico, la destalinizzazione e i movimenti popolari in Polonia e in Ungheria. Sia pure con fatica e lentamente si e' capito che bisognava riconsiderare anche il proprio modo di essere comunisti o socialisti. Si e' cominciato a essere meno credenti e piu' laici, e questo ha migliorato anche molti rapporti personali. Non ci si e' ancora resi ben conto quanto si debba a quei movimenti di opposizione nell'Est e quanto abbiano aiutato a cambiare la nostra mente. * Ho lavorato a "Rinascita" piu' tardi, nei primi anni Sessanta, quando la situazione era gia' molto diversa. E' difficile parlare di Togliatti proprio perche' e' stato oggetto di tante polemiche. Mi pare pero' molto ingiusto il modo in cui e' diventato una sorta di capro espiatorio di tutte le nefandezze del comunismo. Era certamente un personaggio che aveva vissuto, partecipato e collaborato alla terribile fase dello stalinismo negli anni Trenta con responsabilita' di primo piano. Quando l'ho conosciuto io, verso la fine della sua vita, mi pareva molto segnato da quelle esperienze, e anzi, forse a Botteghe Oscure era il solo che ne avesse tratto qualche insegnamento. Gli altri dirigenti comunisti erana tutti, come dire, piu' spensierati e trionfalistici. Togliatti, invece, sembrava abbastanza consapevole di quante tragedie si fosse lasciato alle spalle. Mi ricordo che in quegli anni la "Pravda" dava spesso notizia di riabilitati tra gli scomparsi nelle grandi epurazioni, persone che lui aveva conosciuto e ne parlava con evidente tristezza, oppure rimorso, chissa'... In ogni caso il giornale che lui dirigeva pubblicava piu' informazioni sulle incrinature del mondo comunista dell'altra stampa di partito, e anche al tempo del conflitto tra Urss e Cina era relativamente aperto alle discussioni. Se ne parlava spesso in redazione. Il suo moderatismo, tanto criticato dal movimento del '68, credo gli fosse suggerito proprio da quelle esperienze. Aveva fatto e visto molte guerre civili e la sua ossessione doveva essere di non farne un'altra. Si poteva intuire dai suoi accenni alla guerra di Spagna, che per lui era certo stata una pagina molto nera. Quella preoccupazione non era notoriamente condivisa da tutti i dirigenti del Pci, e credo che un giorno gli verra' riconosciuto il merito storico di avere evitato una guerra civile in Italia, e non si continuera' a parlare soltanto della sua "doppiezza", che era una caratteristica dell'epoca largamente diffusa. In quell'ltalia del dopoguerra ben pochi erano democratici fino in fondo e con convinzione. * Anche il '68 e' stato certamente un altro momento magico, liberatorio, un momento di svolta per la modernizzazione dell'Italia. Forse non era nelle intenzioni dei sessantottini modernizzare l'Italia, ma in realta' e' quello che e' avvenuto. Quella ribellione antiautoritaria ha dato una scossa salutare a un paese che si stava incartapecorendo, e ha permesso nei decenni successivi tutte quelle riforme civili che hanno cambiato la nostra societa'. Non credo che senza quel momento liberatorio, di rottura, i cambiamenti sarebbero venuti per normale evoluzione storica, sotto la spinta dello sviluppo delle forze produttive, come si diceva una volta. I partiti dominanti erano troppo conservatori, retrogradi, e la sinistra era troppo incerta e paurosa di toccare i tabu' di una societa' cattolica. La sinistra per muoversi aveva bisogno di essere scavalcata, di perdere il monopolio dei movimenti sociali. C'e' molta irriconoscenza in genere per il '68, continua a rappresentare una sorta di spauracchio del nostro mondo politico e culturale. Bisogna certo riconoscere che la fase liberatoria e' durata poco, e il movimento e' rifluito, ripiegando sulle vecchie categorie ideologiche e politiche, anche se con una forte dose di fondamentalismo, per il ritorno cioe' alla "purezza delle origini". Ma il riflusso e', ahime', un passaggio obbligato che nessuno ha trovato ancora il modo di evitare nei grandi come nei piccoli rivolgimenti. Del resto tutto quello che e' avvenuto a partire da allora e' materia ancora troppo incandescente che non si osa in genere affrontare. Troppi cadaveri negli armadi, in senso letterale. Mi ha colpito molto ad esempio che i servizi segreti, con tutto quello che hanno combinato, siano oggi sotto accusa soltanto perche' hanno rubato un po' di miliardi, in fondo un peccatuccio veniale... Ma per tornare al '68, bisognera' ripensarci su. Le celebrazioni del ventennale sono state a mio parere un po' troppo gioiose e festaiole, e infatti hanno lasciato poca traccia. Le ex "guardie rosse" in Cina hanno avuto certo una sorte piu' tragica ma hanno anche fatto delle riflessioni piu' profonde. Credo che il giudizio sul '68 sia un indice molto significativo. Fino a quando si continuera' a maledire o esorcizzare quell'esperienza, vorra' dire che non siamo pronti ai cambiamenti. Non alle riforme istituzionali e politiche, che si possono sempre fare, ma ai veri cambiamenti nel modo di pensare e di comportarsi. 7. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI AGOSTO [Da Lanfranco Mencaroni (per contatti: l.mencaroni at libero.it), infaticabile animatore dell'"Associazione nazionale amici di Aldo Capitini", riceviamo e volentieri diffondiamo] Cari amici, vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di agosto 2006 del "Cos in rete" (www.cosinrete.it). Nello spirito del Cos [in sigla, i Centri di orientamento sociale promossi da Capitini nel dopoguerra - ndr] di Capitini, le nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo, tra cui: Un'aggiunta religiosa; La giustizia globalizzata; La cyberdemocrazia continua; Il consumerismo; La fatiscente solidarieta' femminile; Come diventammo ricchi consumisti; Orizzonti per un nuovo mondo; L'eternita' di Martin Luther King; Il destino dei precari; La realta' dei ceti popolari; Il falso problema della famiglia; La sinistra senza Capitini e don Milani ecc.; piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al "Cos in rete" e' libera e aperta a tutti mandando i contributi all'indirizzo di posta elettronica capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel blog del Cos: http://cos.splinder.com Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato indirizzo in www.aldocapitini.it 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1387 del 14 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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