[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La domenica della nonviolenza. 86
- Subject: La domenica della nonviolenza. 86
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 13 Aug 2006 11:22:02 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 86 del 13 agosto 2006 In questo numero: 1. Piergiorgio Bellocchio ricorda Grazia Cherchi 2. Camillo De Piaz ricorda Grazia Cherchi 3. Lalla Romano ricorda Grazia Cherchi 1. PERSONE. PIERGIORGIO BELLOCCHIO RICORDA GRAZIA CHERCHI [Dalla bella rivista "Una citta'", n. 44 dell'ottobre 1995 (disponibile anche nel sito www.unacitta.it). Piergiorgio Bellocchio (Parma 1931), intellettuale militante, saggista e narratore, organizzatore culturale, acuto moralista, e' stato fondatore e direttore dei "Quaderni piacentini", una delle riviste piu' vivaci e influenti dell'esperienza della nuova sinistra in Italia. Grazia Cherchi, giornalista, consulente editoriale, saggista, narratrice; una splendida figura ad un tempo ironica e carismatica della cultura democratica italiana dagli anni Sessanta agli anni Novanta; e' scomparsa nel 1995. Opere di Granzia Cherchi: la gran parte della sua opera e' dispersa in giornali e riviste e in testi legati all'attivita' editoriale mai pubblicati; una sua raccolta di racconti brevi e' Basta poco per sentirsi soli, e/o, Roma 1991; il suo unico romanzo e' Fatiche d'amore perdute, Longanesi, Milano 1993; una bella, vivace e rappresentativa raccolta di articoli, ritratti e interviste e' Scompartimento per lettori e taciturni, Feltrineli, Milano 1997] - "Una citta'": Possiamo partire da un particolare anche curioso, quel suo scarso attaccamento ai libri come oggetti materiali... - Piergiorgio Bellocchio: Fra le altre cose sapute a posteriori, un'amica comune mi ha detto che Grazia destinava molti dei suoi libri ai carcerati di San Vittore. E poi ne regalava continuamente, ad amici e conoscenti. Molti erano libri mandati da editori e autori che lei non aveva ne' tempo ne' voglia di leggere; per tacere del problema dello spazio, che ci affligge tutti... Ma Grazia si disfaceva volentieri anche dei libri che aveva letto con interesse e dei quali aveva scritto... Ricordo ancora che eravamo rimasti colpiti, per averlo letto in non so piu' quale testo, di come Marx trattava i libri di cui si serviva: li smembrava, li faceva a pezzi, conservando solo le pagine che gli interessavano, e buttando il resto. Io ero rimasto un po' orripilato, mentre Grazia si era divertita moltissimo, dichiarandosi perfettamente d'accordo con Marx. Riteneva che i libri sono solo degli strumenti e come tali devono esser trattati, senza diventare oggetti di culto. Io invece il culto dei libri l'ho avuto, assai forte, e un po', anche se molto meno, ce l'ho ancora. Piu' in generale, Grazia non aveva alcun attaccamento alle cose. Tutti, chi piu' chi meno, ci curiamo del luogo dove abitiamo e lavoriamo, stabilendo anche rapporti affettivi con qualche oggetto, mobile, soprammobile, un orologio, una pianta, un fiore, un quadro, un gioiello, un amuleto, a prescindere dal loro valore venale. Lei no, in questo era di una laicita' assoluta. Ricordo la casa di Milano dove aveva abitato fino ai primi anni Ottanta, in via Fiori Chiari, zona Brera: un appartamentino disadorno, tenuto malissimo... Unico tocco personale, due stampine da pochi soldi, i ritratti di Lenin e Kafka. E non credo che se li fosse comprati lei, erano quasi certamente regali di amici. Che lei aveva onorato, riconoscendo nei due personaggi due polarita', due tensioni che entrambe le appartenevano. La letteratura e la politica. L'azione e l'angoscia dell'impotenza... Ma se ricordo cosi' bene quei due ritratti, e' proprio perche' non c'era altro nella casa che fosse degno di nota. La sua vita si risolveva pienamente nella dimensione del presente. Del futuro - del suo personale futuro - non si curava. Ignoro se si sia mai preoccupata di maturare una pensione, qualche forma di garanzia. Diceva: "E' inutile preoccuparsi del futuro che non c'e', quando verra' vedremo". Non me la vedo risparmiare, investire. Non che dissipasse, beninteso, ha sempre vissuto modestamente, aveva scarsi bisogni. Ma non concepiva la preoccupazione, che e' di tutti e che in molti arriva all'angoscia, per l'invecchiamento, la malattia, la perdita del lavoro. Era anche negata per le cose pratiche, nessuna manualita'. Se c'era da piantare un chiodo, credo ricorresse all'aiuto di un amico. Non guidava l'auto, non aveva neanche la bicicletta (anche se, immagino, l'avra' pur praticata da ragazza). Detestava lo sport. Non parliamo poi delle questioni burocratiche: pagare una bolletta, riscuotere un assegno erano cose che la mandavano in crisi. Una specie di blocco che in parte era riuscita a superare, col tempo, grazie all'aiuto e al consiglio dei suoi molti amici. Alla fine un conto in banca aveva dovuto aprirlo, ma erano pratiche che le restavano fondamentalmente ostiche. Il contratto d'affitto dell'appartamento a Brera dove ha abitato tanti anni era intestato a me, perche' l'idea di leggersi e firmare delle scartoffie la disturbava. Per pagare l'affitto e le varie bollette s'affidava al portinaio, gli dava i soldi (e una buona mancia) e ci pensava lui ad andare in banca, alla Sip, all'Enel ecc. Ma questa sua profonda ripugnanza per questo genere di cose non le impediva di battersi, e con successo, con gli editori per ottenere un buon contratto e un buon acconto a favore degli autori che proteggeva. Il suo aiuto agli scrittori che considerava buoni, interessanti o anche solo promettenti, non si limitava all'editing, si impegnava per farli pubblicare e alle migliori condizioni, e poi per farli recensire... * - "Una citta'": Se tu dovessi immaginare per Grazia un'"antologia personale", sul tipo di quell'autobiografia attraverso pagine di autori letti (vedi il libro di Mengaldo uscito recentemente da Bollati Boringhieri), che autori ti verrebbero in mente? - Piergiorgio Bellocchio: Credo che se gliel'avessero proposta, ne sarebbe stata tentata, incuriosita. Ma e' difficile farlo per un altro. E tanto piu' per Grazia, lettrice onnivora e fervorosissima, "viziosa" quant'altri mai nel senso del "vice impuni, la lecture". Bisognerebbe sapere le sue letture degli anni di liceo, quando non la conoscevo ancora, che sono poi quelle piu' profondamente formative. Comunque ritengo che un autore fondamentale sia stato Dostoevskij, e si arrabbiava con chi lo giudicava reazionario: a dispetto delle idee dell'uomo Dostoevskij, l'opera era rivoluzionaria. E aveva ragione. Ne aveva avuto una significativa conferma anche da Maria Regis, l'animatrice delle Edizioni Oriente, che confessava di essere diventata comunista (comunista attiva, militante) proprio dopo aver letto Dostoevskij tra la fine degli anni Trenta e i primi Quaranta. Si', credo che Dostoevskij sia stato il suo primo grande amore. Non la converti' subito al comunismo, come Maria Regis, ma nutri' potentemente il suo spirito di rivolta, il suo odio per l'ipocrisia, l'opportunismo, la vilta', il suo bisogno di liberta' e verita'. Altro grande incontro, Kafka, di cui ho gia' fatto cenno. In questo era decisamente anti-lukacsiana. Negli anni '50-'60 erano di moda quei giochetti culturali, quegli aut aut tipo: Tolstoj o Dostoevskij? Kafka o Mann? Joyce o Proust? Io li ho sempre trovati fastidiosi, non accettavo di dover scegliere tra questo e quello, preferivo tenermeli tutti. Grazia invece non aveva dubbi: Dostoevskij e Kafka. Pur apprezzando moltissimo Tolstoj e Mann. Due autori fondamentali per la nostra generazione negli anni '50 furono Sartre e Camus. Il nostro marxismo nasceva sulla base di quello che allora si chiamava esistenzialismo. Su un piano strettamente letterario, penso che Grazia apprezzasse piu' Camus, il primo Camus, quello dello Straniero, di Caligola, del Malinteso. Poi ci fu la famosa rottura, e Grazia, come quasi tutti, opto' decisamente per Sartre. Non solo per la sua opera filosofica e letteraria, ma anche e soprattutto forse per la sua figura di grande maestro senza cattedra, sempre al centro del dibattito culturale e dello scontro politico, punto di riferimento fisso, e ancora per il suo stile di vita libero, spregiudicato, la sua disponibilita' al rischio, a spendersi senza risparmio, sempre. Alla lunga, confesso, a me era venuto un po' a noia, proprio per questa presenza costante, per questo suo prender posizione sempre e su tutto: "tacesse, qualche volta!" mi scappava di dire. Grazia invece credo che l'abbia sempre ammirato e amato in toto, fino alla fine. Un tratto molto forte del suo carattere era la fedelta'. Per esempio, ha sempre conservato una viva stima e simpatia per Moravia, nonostante non apprezzasse gli ultimi romanzi (forse anche aveva smesso di leggerlo): colui che aveva saputo scrivere Gli indifferenti, Agostino, La disubbidienza ecc. meritava rispetto e riconoscenza per sempre. Non vorrei pero' dare l'impressione che Grazia amasse solo gli scrittori eccessivi, estremisti... Tra i suoi autori prediletti c'era Cechov, e tra i poeti Sereni... Ma tornando a cio' che si diceva all'inizio, l'elenco sarebbe davvero troppo lungo e complicato, per una lettrice come Grazia che si e' nutrita di libri per tutta la vita... Occorre aggiungere che il suo interesse per gli scrittori non si limitava all'opera, ma si estendeva alla biografia, alla psicologia, ai loro rapporti con la famiglia, l'ambiente intellettuale, le vicende politiche. Leggeva volentieri gli epistolari, i diari, le testimonianze. Non a caso tra i critici che ammirava c'era Edmund Wilson. * - "Una citta'": Tu eri sicuramente l'amico piu' antico di Grazia. Come vi eravate conosciuti? - Piergiorgio Bellocchio: L'ho conosciuta nella seconda meta' degli anni '50 e siamo entrati rapidamente in un rapporto di confidenza, amicizia, collaborazione. Grazia aveva vent'anni ed era iscritta al secondo o terzo anno di filosofia a Milano, che allora era una bella facolta', forse c'era ancora Banfi, c'erano Paci, Umberto Segre, Dal Pra, Geymonat, per dire i primi nomi che mi vengono in mente. Io avevo qualche anno di piu', e insieme ad altri costituimmo a Piacenza un circolo, Incontri di cultura, nel quale Grazia rappresentava il gruppo dei piu' giovani, tra cui anche due miei fratelli, Alberto e Marco. Per tre o quattro anni organizzammo, con un certo successo, conferenze-dibattiti facendo venire intellettuali tra i piu' noti per parlare di argomenti che a noi premevano particolarmente. Organizzavamo anche proiezioni di film e mostre. Venne Fortini, con cui si stabiIi' un rapporto che doveva diventare decisivo, Ernesto De Martino, Enzo Paci, Danilo Dolci, Carlo Bo ecc. ecc., per dire come ci animasse una notevole apertura che andava dal cattolicismo problematico al marxismo. Poi, un po' per naturale usura, un po' perche' la condizione dello studente non e' permanente, subentrano il lavoro, magari il matrimonio, il trasferimento ecc., il circolo fini'. Ma anche perche' in Grazia e me nacque l'idea della rivista, per non essere piu' solo degli organizzatori, dei mediatori, ma per dire qualcosa in proprio. Ci sentivamo maturi per tentare qualcosa di piu' importante. C'erano anche le nostre ambizioni personali. Del resto, ambizioni e doveri sono sempre abbastanza intrecciati. Nelle intenzioni originarie "Quaderni piacentini" doveva occuparsi anche di problemi cittadini, ma abbastanza presto perse ogni connotazione localistica per diventare una rivista nazionale. Il passaggio non fu del tutto indolore: alcuni del gruppo, tra cui anche mio fratello Alberto che faceva il sindacalista a Piacenza (prima di spostarsi a Roma e poi a Milano), protestarono contro questa tendenza ad abbandonare i problemi della citta', ma prevalse la volonta' di Grazia e mia di dare alla rivista quella fisionomia che ha poi mantenuto per vent'anni. Avevamo capito, anche dai contatti subito stabiliti con i "Quaderni rossi" di Torino, con Fortini e altri intellettuali, che la rivista poteva essere uno strumento di coagulo di quel marxismo critico che dopo l'esperienza di "Ragionamenti" ('55-'57), si era alquanto disperso. Erano gli anni di avvio del centro-sinistra, c'era il boom economico, l'Italia stava cambiando faccia, e occorreva non lasciare l'opera di revisione del marxismo solo ai liquidatori piu' o meno opportunisti. A livello internazionale, la guerra d'Algeria e l'avvento di De Gaulle erano stati avvenimenti di fortissimo impatto non solo per la Francia. C'era il Vietnam, la decolonizzazione in Africa, la nuova sinistra americana, la rivoluzione cubana. Erano anni drammatici e fervidi, leggevamo molto anche la stampa estera, soprattutto francese, ci documentavamo. Per alcuni anni abbiamo avuto un corrispondente dagli Stati Uniti. La rivista aveva un'ottica internazionale, mentre non ci hanno mai incuriosito o preoccupato i giochetti della politica di casa nostra, tipo correnti o sottocorrenti Dc... quelle cose cui "l'Espresso" e "la Repubblica" hanno sempre dedicato il massimo d'attenzione e di spazio. Abbiamo certo fatto errori, sbagliato certe ipotesi e previsioni, e preso qualche abbaglio, ma mai per mero dottrinarismo. Non ci siamo mai fatta alcuna illusione sulla capacita' di autoriformarsi del sistema sovietico, e proprio per questo abbiamo investito troppo sulla Cina... In compenso, abbiamo previsto con qualche anno d'anticipo quel che sarebbe stato il '68... Non eravamo dottrinari ne' settari, ripeto, diversissimi in cio' dalla tradizione minoritaria della sinistra (bordighiani, anarchici, trotskisti, leninisti, maoisti ecc.). Seguivamo anche riviste italiane come "Nuovi argomenti", "Comunita'", "Il Mulino", "Tempo presente", di orientamento assai diverso dal nostro. Su "Tempo presente" scrivevano Silone e Chiaromonte, che per il Pci erano dei rinnegati, ne' piu' ne' meno, ma nessuno puo' accusarci di esserci mai minimamente accodati a questo tipo di giudizio, anzi pregiudizio, nemmeno nei nostri momenti piu' estremistici. Grazia aveva un'altissima opinione di Chiaromonte saggista politico e critico teatrale. Orwell, non lo abbiamo mai considerato uno scrittore da mettere semplicemente nel fronte anticomunista. E perfino di un Celine, finito fascista e razzista, sapevamo distinguere i suoi esiti politici dall'eccezionale importanza della sua opera letteraria. Non abbiamo mai cessato di essere problematici. Il nostro marxismo non era una corazza, e faceva acqua da molte parti. Confesso che questo lo sentivo come un difetto, che cercavo anche di mascherare, dopo mi sono accorto che era stato un grande vantaggio... * - "Una citta'": Ma abbastanza presto voi due smettete quasi di scrivere sulla rivista. - Piergiorgio Bellocchio: Non vorrei fare qui la storia dei "Quaderni piacentini", ma siccome si parla di Grazia, diciamo che nei primi due anni lei ha scritto, e molto bene, con quel suo stile vivace, pungente, polemico (che ha ritrovato intatto vent'anni dopo), poi lei decide di non scrivere piu' (e anch'io, se non scelgo il silenzio, come lei, diminuisco notevolmente il mio contributo). Cos'era successo? Intanto c'era stata un'aggregazione rapida di intellettuali, chi piu' vecchio chi piu' giovane di noi, tutti di notevole valore e di chiare competenze, ed essendo la nostra non una rivista di mera agitazione ma di analisi e di studio, ci sembrava ovvio che il pezzo economico lo scrivesse un economista, il pezzo storico lo storico di professione e cosi' via. Questo da un lato. Dall'altro, c'era il problema di tenere insieme un gruppo di persone sempre piu' numeroso. Tutte persone intelligenti e spesso legate anche da sincera amicizia, ma tenerle unite e farle produrre, e' un altro conto. Il ruolo di chi dirige l'impresa, e deve governare e comporre tensioni e contrasti (che non mancano mai, e non mancarono neanche nella nostra rivista), non e' uno scherzo. Dove questo ruolo non sia coperto o sia carente, l'impresa fallisce. In questo compito Grazia si rivelo' sempre di un'eccezionale bravura. Incombevano poi tutte le questioni pratiche, materiali. L'autogestione restera' uno dei maggiori titoli d'onore della rivista, ma e' costata cara in termini di impegno. Avendo l'ambizione e l'orgoglio di gestire in toto la rivista, dalla programmazione degli articoli alla correzione delle bozze, dalla stampa alle spedizioni a abbonati e librerie, per non parlare della contabilita', il lavoro era a tempo pieno. In quegli anni si parlava molto di militanza. Io andavo molto meno di altri a distribuire volantini davanti ai cancelli delle fabbriche. Ma credo di essere stato un buon militante anch'io facendomi i calli alle mani a furia di confezionare pacchi che legavo con lo spago. E tante altre sfacchinate che avrebbero inorridito il 99% dei nostri intellettuali, anche quelli che si dicevano militanti. Agli inizi c'era anche il problema di pagarla, la rivista. Il mio status economico allora mi permetteva di coprire le passivita', in attesa di tempi migliori. Che vennero molto presto. Entro un paio d'anni la rivista raggiunse il pareggio, diventando potenzialmente attiva. Ma i nostri principi ci vietavano di considerare anche l'ipotesi di un profitto. Che poi non sarebbe finito nelle nostre tasche: avremmo potuto pagare l'affitto di una modesta sede, un telefono, una segretaria. Nossignore, abbiamo continuato a svolgere il lavoro nelle nostre case, senza neppure rimborsarci le spese (telefono, viaggi ecc.). Anche i collaboratori lavoravano rigorosamente gratis, compensavamo solo le traduzioni (quando non le facevamo noi). E quando le entrate superavano le uscite, pareggiavamo il conto diminuendo il prezzo di copertina, o semplicemente non adeguandolo ai costi in continua crescita, e aumentando il numero delle pagine... Tant'e' che quando la rivista passo' a Franco Angeli, nell'80, ci disse che eravamo dei matti, e triplico' subito le nostre tariffe. E non per guadagnarci granche', ma semplicemente per starci dentro, per pagare il lavoro redazionale e amministrativo, e continuando a non compensare i collaboratori, beninteso. Poiche' ricevevamo molti libri dagli editori - anche a pagamento di pubblicita' -, li distribuivamo tra i collaboratori. Questo era l'unico compenso che ricevevano. E qualche pranzo. Eravamo ospitali, questo si'. Le riunioni plenarie con 15-20 persone avvenivano raramente, un paio di volte l'anno, per la difficolta' di combinare la disponibilita' di persone che stavano a Torino, Milano, Roma, Firenze, Napoli, Bologna ecc. Frequentissimi invece gli incontri a due, tre, quattro. Che finivano, o cominciavano, a tavola. John Halliday, un caro amico inglese e collaboratore di "Quaderni piacentini", diceva che la nostra rivista "si fondava sui pranzi". E non aveva torto. Quanto a Grazia, non ha mai avuto un felicissimo rapporto col cibo, e credo che un po' fingesse i piaceri della tavola, nell'interesse della rivista. Gli amici e collaboratori venivano volentieri a Piacenza. Ma piu' spesso ci muovevamo noi. Presto la sede della rivista divento' di fatto Milano, dove Grazia si era trasferita stabilmente (io preferivo fare il pendolare): a Milano vedevamo Fortini, Masi, Bologna, Salvati, Beccalli, Sereni, Giudici, Fachinelli ecc. A Torino c'era forse il gruppo piu' nutrito: Baranelli, Ciafaloni, Donolo, Rieser, Pianciola, Viale, i Gobetti, i Lanzardo... A Bologna vedevamo, tra gli altri, Federico Stame e Gianni Sofri. A Firenze, Timpanaro. A Roma, Cases (prima che venisse a Pavia e poi a Torino), Jervis, Vittorio e Lisa Foa, Elsa Morante... Col tempo io mi sono sempre piu' dedicato al lavoro amministrativo: gli abbonati, le librerie, le fatturazioni ecc. Faccende noiose, ma tutto sommato preferibili al lavoro di stimolo della produttivita' dei collaboratori, dove invece Grazia eccelleva. E l'ha dimostrato anche nella seconda parte della sua vita. * - "Una citta'": Elsa Morante era legata all'esperienza dei "Quaderni piacentini"? - Piergiorgio Bellocchio: Tra gli scrittori di primissimo rango, Elsa Morante e' stata certamente quella che ha meglio capito l'importanza e l'originalita' di un'esperienza come la nostra, cogliendo anche lo spessore etico e la scelta di vita su cui la rivista si basava. Era una lettrice puntuale, acuta, attentissima, ricordo discussioni molto animate su questo o quell'articolo. Ne era nata una vera amicizia e negli anni Settanta ci si vedeva spesso, a Roma, a Milano. La rivista era letta e apprezzata da molti scrittori e intellettuali, ma da nessuno, ripeto, piu' acutamente e profondamente della Morante. * - "Una citta'": L'amicizia per Grazia era un valore fondamentale? - Piergiorgio Bellocchio: Lo e' sempre stato, che io ricordi, fin da quando aveva vent'anni o poco piu'. Poi, avendo scelto di non farsi una famiglia propria, lo e' diventato sempre di piu'. Aveva avuto diverse occasioni di sposarsi, ma la tendenza opposta e' stata piu' forte. La sua e' stata una scelta consapevole, determinata e almeno apparentemente senza rimpianti. Quindi la sua famiglia diventavano gli amici, sui quali riversava tutta quell'attenzione, quell'affetto, quella protezione che di regola viene investita nell'ambito familiare, sul coniuge, i figli, i nipoti. Sulla famiglia in genere bisognerebbe dire cose abbastanza severe. Penso che finisca per sottrarre troppe energie, che si traduca in un impoverimento, nelle dimissioni da responsabilita' piu' ampie, in quella che don Milani chiamava "avarizia". Certo, l'ideale sarebbe di esser capaci di esercitare il proprio ruolo nell'ambito della famiglia senza sottrarsi alle responsabilita' sociali e senza uccidere le amicizie. Ma non ci si riesce quasi mai. Non c'e' dubbio che Grazia investisse moltissimo, anche affettivamente, nei rapporti che intratteneva con tanti amici. Pero' per lei l'amicizia doveva essere qualcosa di attivo. Per lei il meglio dell'amicizia, oltre lo scambio intellettuale, era il lavoro comune: doveva esserci uno scopo e lo scopo era che le persone con cui aveva rapporto si realizzassero. Frequentando lei soprattutto scrittori e intellettuali, era abbastanza ovvio che i frutti dell'amicizia fossero spesso dei libri. Da quindici anni lavorava, oltre che in editoria, nei giornali, soprattutto "l'Unita'", circondata dalla stima e dall'amicizia di tutti. E tuttavia aveva nostalgia di una rivista, se non proprio autogestita, dotata di una forte autonomia. E mi pare che un progetto del genere (un settimanale) fosse stato un anno fa molto vicino a realizzarsi, e non so per quali motivi non se ne fece niente. Dopo "Quaderni piacentini" mi era passata la voglia di impegnarmi in un'impresa collettiva, e non a caso "Diario" e' una rivista a due, e ti diro' che prima di parlarne ad Alfonso (che si associo') ero deciso a farla da solo. Per Grazia questo non aveva senso, era certamente piu' "politica" di me. Lei voleva coinvolgere delle persone, formare un team, una squadra. Questa occasione non si e' data, ma se avesse avuto la fortuna di vivere piu' a lungo, avrebbe quasi sicuramente finito per realizzarla. E avrebbe dato un contributo straordinario, su questo non c'e' dubbio, perche' era integra. L'eta' cambia quasi tutti, e non in meglio, ma lei era rimasta ancora ottimista e piena di voglia di fare. Non era cambiata. * - "Una citta'": Era ancora animata dall'ottimismo e dal volontarismo dei Quaderni? - Piergiorgio Bellocchio: Se c'era qualche motivo di speranza, nelle persone e nelle situazioni, lei tendeva a coglierlo. Era ottimismo della volonta', non illusione. Era sempre una persona molto lucida, molto realistica, sapeva cosa ci si poteva aspettare dalle persone, aveva conosciuto la delusione e ne aveva fatto tesoro. Conosceva bene i limiti, e il tributo di zavorra che bisogna pagare, il che invece di scoraggiare deve convincere a dare di piu'. Cio' che lei puntualmente faceva. Anche l'ultima fase della sua vita ce la mostra quale era sempre stata. Ha utilizzato anche le ultime ore per tentare di portare a termine quel che stava facendo. Amici che l'hanno assistita mi hanno riferito che era preoccupata di non riuscire a rispettare certe scadenze. La vita, pensava, va spesa secondo quello che e' il proprio istinto, la propria etica e il destino che si e' scelto, a prescindere dal fatto che ce ne resti molta, poca, pochissima. E lei sapeva bene di essere alla fine. E tuttavia non ha cambiato nulla delle sue abitudini e del suo stile. Anche il non far sapere nulla delle proprie condizioni di salute, anche questo e' molto suo. Pochissimi erano stati messi al corrente, ma anche loro molto tardi. E questi pochissimi li aveva scelti, mi sembra, tra persone singole, per non disturbare altri che avevano impegni e responsabilita' di famiglia. Non voleva disturbare nessuno, anche se tanti sarebbero stati ben lieti di dare una mano quando si era ancora in tempo a salvarla. Ognuno, dopo la morte, ha pensato all'ultima volta in cui l'aveva vista. Io l'avevo vista a fine marzo, e mi aveva rimproverato di essermi disinteressato dell'uscita del mio libro. Piu' precisamente mi rimproverava di non averla incaricata di occuparsi lei del "lancio", vale a dire di chiedere a questo piuttosto che a quello presso quel tal giornale di fare la recensione. Io mi ero perfino un po' scocciato del suo zelo, ancorche' a mio esclusivo vantaggio. E questo rimprovero me lo faceva, l'ho ricostruito dopo, pressapoco negli stessi giorni in cui stava per subire o aveva appena subito l'intervento chirurgico, tra una chemioterapia e l'altra. Poi l'avevo vista ancora, l'ultima volta, a fine giugno, a pranzo da un comune amico, e lei era allegra e vivace anche piu' del solito. L'amico mi ha poi detto che quello stesso giorno, al mattino, un paio d'ore prima, lei aveva avuto il risultato dell'analisi da cui risultava che il fegato era saturo di metastasi. Aveva in tasca la sentenza di morte ed era li' allegra e tranquilla, non per recitare la commedia, ma per vivere la sua vita di sempre... Sapere di aver davanti un tempo molto limitato, la considero la cosa peggiore che possa capitare a una persona. Sapere che di li' ad un anno, alcuni mesi, e forse meno, l'avventura finisce. Io penso che in una situazione del genere cadrei in uno stato di grave depressione e confusione. In Grazia invece, a detta di coloro che le sono stati vicini, questa tragica consapevolezza non ha modificato in nulla la sua esistenza. Ha continuato a fare tutto quello che faceva prima, e a un prezzo altissimo, perche' aveva sempre meno forza, doveva sottoporsi alle cure, non riusciva piu' a nutrirsi. Ma se non la quantita', la qualita' del lavoro e' rimasta quella, eccellente, di sempre. Stringendo coi denti l'ultimo fiato di vita che le rimaneva. E senza cercare la compassione di nessuno, meno che mai la sua. 2. PERSONE. CAMILLO DE PIAZ RICORDA GRAZIA CHERCHI [Dalla bella rivista "Una citta'", n. 44 dell'ottobre 1995 (disponibile anche nel sito www.unacitta.it). Padre Camillo De Piaz e' nato nel 1918 a Tirano, religoso cattolico, fa parte dell'ordine dei Servi di Maria (serviti); ha condotto studi umanistici e filosofici a Vicenza e Venezia, e teologici a Roma; a Milano durante la Resistenza ha doto vita, assieme a David Maria Turoldo e altri, al foglio clandestino "L'uomo"; nell'immediato dopoguerra, sempre con David Maria Turoldo, partecipa alla fondazione del centro cultuale della Corsia dei Servi; attualmente vive a Madonna di Tirano (Valtellina), suo paese natale. Ha pubblicato vari libri, ne ha tradotti altri ed e' stato collaboratore di varie case editrici. Sulla sua figura si legga il bel libro (a cura di Giuseppe Gozzini), Sulla frontiera. Camillo De Piaz, la Resistenza, il Concilio e oltre, Schewiller, Milano 2006 (dal sito della casa editrice - www.librischeiwiller.it - riportiamo la seguente breve scheda di presentazione del libro: "Camillo De Piaz e' nato a Madonna di Tirano nel 1918 (il padre lavorava nelle Ferrovie Retiche). Ne e' partito bambino, per il seminario, vi e' ritornato nel 1957, dopo che il Sant'Uffizio lo allontano' dalla Corsia dei Servi di Milano. Qui, con padre Davide Maria Turoldo, negli anni della Resistenza e del dopoguerra, aveva svolto una preziosa azione culturale in stretto rapporto con il mondo milanese, cattolico e laico, e con la cerchia sempre piu' larga dei gruppi del cattolicesimo italiano che prepararono e vissero le stagioni del "dialogo" e del Concilio: stagione di liberta' e di felicita', di attesa e speranza. Quelle stagioni indimenticabili, e le successive esperienze di vita, di studio, di riflessione che ad essa seguono, ritornano qui in un dialogo a due voci, tra passato e presente, silenzio e coraggio, parola e ascolto. A interrogarlo, a ritessere insieme i fili della memoria, e' Giuseppe Gozzini con lunghe conversazioni, con letture e pazienti ricerche. Ne esce non una biografia, ma un discorso corale: tante sono le presenze, gli interessi, i grandi temi che entrano in queste pagine e ruotano anzitutto intorno ad una convinzione: 'Alla base di tutto l'esserci della Corsia fu la consapevolezza che sia la fede sia le scelte politiche non si possono vivere e praticare se non all'interno di una cultura. Di qui la necessita' di uscire dall'inerzia di una fede accolta per tradizione, la capacita' di lasciarsi "tentare" per trarre invece tutto il profitto possibile dalla cultura'")] Quello che mi sto domandando e' che cosa ci manchera' di piu' con la scomparsa di Grazia, quale il vuoto maggiore che lei lascia morendo. A proposito di questo qualcuno, nei giorni della morte, ha parlato del rispetto per gli altri come della sua caratteristica peculiare. E' un'indicazione giusta ma inadeguata. Anche sulla base dell'esperienza personale, credo che si tratti di qualcosa di piu' profondo: una capacita', davvero straordinaria, di mettersi negli altri. Senza prevaricazioni e senza espropriazioni e lasciando intatta l'identita' propria e quella altrui. E questa sua capacita' di mettersi negli altri era ed e' l'aspetto che mi colpiva di piu' anche come cristiano e chi mi conosce sa che lo posso dire senza essere sospettato di voler portare acqua al solito mulino. Come cio' si combinasse con la nettezza del giudizio e con l'assoluta mancanza di ogni compiacenza, Grazia era "una dura" in un certo senso, costituiva il fascino particolare della sua personalita', la sua diversita'. Un altro rimpianto riguarda il fatto che Grazia sia venuta a mancare proprio nel corso, nel mezzo di un'evoluzione che, in questi ultimi tempi, si stava profilando sempre piu' chiaramente nel suo lavoro: quel lasciarsi alle spalle, non dico il catastrofismo che e' sempre stato alieno da lei perche' piuttosto di spettanza di altri, di spettanza della destra, ma la protesta fine a se stessa, la denuncia per la denuncia, per andare alla ricerca di quanto di positivo, di propositivo, di buono, di altro, si cela o stia lievitando nelle pieghe della vita, non solo culturale, del paese. Ne fanno fede le sue interviste e anche voi di "Una citta'" ne siete buoni testimoni. Ebbene, se abbiamo voluto un po' di bene a Grazia, se l'abbiamo amata per quello che era, questa e' una lezione da non lasciar perdere. 3. PERSONE. LALLA ROMANO RICORDA GRAZIA CHERCHI [Dalla bella rivista "Una citta'", n. 44 dell'ottobre 1995 (disponibile anche nel sito www.unacitta.it). Lalla Romano (1906-2001), pittrice, poetessa, scrittrice di grande valore e finezza, e' stata una delle voci piu' vive della cultura italiana del Novecento. Varie sue opere sono state recentemente ristampate nella collana dei Tascabili Einaudi; una edizione complessiva delle opere letterarie (a cura di Cesare Segre) e' Opere, due volumi, Mondadori, Milano 1991 e 1992. Su Lalla Romano cfr. Fiora Vincenti, Lalla Romano, La Nuova Italia, Firenze 1974; Annamaria Catalucci, Invito alla lettura di Lalla Romano, Mursia, Milano 1980; Antonio Ria (a cura di), Intorno a Lalla Romano. Saggi critici e testimonianze, Mondadori, Milano 1996] Io sono molto vecchia, a novembre compiro' 89 anni: fra me e Grazia c'era molta distanza di anni. Pavese, che era un amico e anche un po' maestro per certe sentenze, diceva che la vera affinita' fra due persone e' avere la stessa eta'. Nel sesso come nelle idee non c'e' niente che avvicini due persone come la stessa eta'. Allora per capirsi, per essere amici quando c'e' una grande differenza di eta' ci deve essere qualcosa di molto piu' forte, una fondamentale somiglianza e fratellanza. Grazia la conoscevo attraverso i "Quaderni piacentini", soprattutto con la famosa rubrica dei libri da leggere e da non leggere. La stimavo molto, l'ho sempre stimata molto, ma ci eravamo incontrate poche volte. Succedeva che la chiamavo al telefono e le dicevo: "sono díaccordo con te". Poi mettevo giu'. Supponevo, ma non gliene ho mai parlato, che verso di me avesse una certa diffidenza in quanto moglie di un dirigente bancario, quindi una borghese. Ma lei pure lo era e in seguito mi ha detto che aveva una grandissima opinione di mio marito. Poi, non so neanche come, ci siamo ritrovate e abbiamo scoperto reciprocamente molte affinita': non solo la passione per il pensiero, per l'arte, per l'impegno mentale, ma anche una profonda diffidenza e ripugnanza per certe cose e invece delle fraternita' anche molto semplici, molto umili. Grazia, in uno scritto che preparo' per il convegno sulla mia pittura e che era anche un tentativo di ritratto, ha ricordato che nessuna di noi due era pratica di cose domestiche (che pure facevamo, ma solo per necessita' e senza bravura) e che entrambe, se eravamo sole, risolvevamo il problema del cibo facendo bollire delle patate. Quando era possibile andavamo a mangiare insieme, in genere al Regoli. Io dovevo fare solo pochi passi a piedi, era lei che passava a prendermi a casa e mi portava sempre un mazzo di margherite bianche. Sapeva che io le amo molto e le comprava, credo, al mercato perche' erano particolarmente fresche e duravano molto tempo. Anche questo creava un legame fra di noi: arrivava sempre con il suo magnifico mazzo di fiori e cosi' non mi mancavano mai. Lei poi non voleva mai che al ristorante si spendesse troppo e cio' anche per ragioni d'eta' per me e di salute per lei: mangiavamo un primo e poi pochissimo, il meno che si potesse. Lo considerava importante. Una piccola differenza era che io preferivo il mio solito angolo in una stanza al buio, mentre lei la stanza piu' grande perche' c'era piu' luce, ma le nostre differenze erano sempre minime. Lei disapprovava casa mia perche' troppo ingombra di libri e cose, ma la sua non me l'ha mai lasciata vedere perche' doveva essere anche peggio: in fatto di disordine anche Grazia doveva essere insuperabile. Grazia mi aiutava molto passandomi certi libri, spesso piccolissimi, ma importanti. Capiva subito quando una cosa mi avrebbe coinvolto. Quest'estate mi aveva mandato L'esecuzione capitale di Troppmann, una specie di straordinario reportage con il quale il grande scrittore russo Ivan Turgheniev racconta la sua angosciata e lucida partecipazione come invitato allo "spettacolo" di una esecuzione tramite ghigliottina nella Parigi del 1870. E' un racconto molto breve, ma molto importante. Grazia aveva una sua estrema pulizia mentale e morale. Non ho mai intravisto in Grazia l'ombra della meschinita'. Era invece molto severa, quello si'. Tra coloro che l'hanno ricordata dopo la sua morte, mi e' piaciuto quello che ha detto Pampaloni a proposito di un aspetto aristocratico nella sua origine sarda. Come del resto hanno detto tutti, era molto riservata, segreta quasi. Eravamo profondamente amiche ma non ci facevamo mai domande di carattere intimo. Non le ho mai domandato se aveva un fratello o qualcuno. Aveva amicizie "singole" e, pur rimanendo sempre se stessa, con ognuno stabiliva un rapporto personale. Era amica anche di persone molto piu' giovani, che aiutava. Di qualcuno mi parlava, mi faceva capire che le importava molto, ma non mi obbligava a conoscerlo. Mi lasciava libera. Poi del suo rapporto con molti personaggi della letteratura ho saputo qualcosa solo quando abbiamo lavorato insieme al libro di ritratti del "giudice fotografo", di Vincenzo Cottinelli. Lei avrebbe dovuto preparare le schede bio-bibiografiche, e purtroppo non e' riuscita. Io ho avuto invece il compito di scrivere un breve commento per ogni immagine: alcuni di questi sono stati rivisti con l'aiuto di Grazia a meta' del luglio scorso. Per esempio sotto un'immagine molto bella di lei con i suoi amici di allora, Fofi e Bellocchio, io avevo scritto: complicita' e amore, e lei mi ha fatto correggere in: complicita' e tenerezza. Sotto la sua fotografia ho scritto: una romantica donna emiliana. E' una frase presa dal suo romanzo, Fatiche d'amore perdute (che non mi era piaciuto: e' buono, ma per me rispecchiava troppo quell'epoca, io ero troppo vecchia nel '68 e non ne ero entusiasta, ma la mia opinione su questo non e' importante. Considero invece un capolavoro Basta poco per sentirsi soli, la sua raccolta di piccoli racconti). Lei, con quella sua severita', con i suoi giudizi non attirava l'idea della persona romantica, invece questa definizione e' molto bella. Era una donna estremamente attraente e non so chi mi aveva fatto notare che era diventata piu' bella: per quegli occhi magnifici che aveva, per l'espressione della faccia che esercitava una straordinaria attrazione su chiunque. Il libro di ritratti di Vincenzo Cottinelli si chiamera' Sguardi. Un titolo molto bello perche' nello sguardo c'e' tutto l'essere umano. Poi non sempre le fotografie mostrano gli occhi, c'e' una foto in cui il personaggio, mi pare Noam Chomsky, e' di profilo. Ma un profilo puo' equivalere a uno sguardo, perche' sguardo vuol dire l'espressione intensa di un essere umano. Penso che anche gli animali hanno sguardi. Hanno qualche cosa di naturale, di mentale e spirituale insieme. La sua perdita e' irreparabile. Qualcuno ha detto che i libri saranno meno buoni. Quanti editing faceva? Quanti consigli dava anche privatamente, oltre a quelli che dava per lavoro? Quanto grande era il suo apporto al mondo della cultura? Uso questa espressione anche se detesto persino la parola perche' e' un equivoco: la cultura vera e' un'altra cosa e in questo, con Grazia, ci capivamo al volo. Grazia mi ha aiutata enormemente, in tutto, nel farmi coraggio, nel non cedere. E io credo che nella vita riceviamo anche gli aiuti se li sappiamo capire e accettare. Grazia e' arrivata a quel punto della mia vita. Anche se ci conoscevamo gia' da prima, non siamo mai state a discutere il perche'. Lei non faceva domande a me ne' io le facevo a lei. Ma anche se su certe cose non abbiamo parlato, non ho mai sentito che mi mancasse qualche cosa nel rapporto con lei. Sul mio incontro con lei ho scritto pubblicamente: "tardi ma per sempre", intendendo che e' stata un'amicizia recente e breve. Ma non rimpiango il fatto che non ci siamo frequentate di piu': di fatto lo rimpiango, ma nella mia concezione del destino sono convinta che quando lei ha contato di piu' per me ci siamo viste molto ed era il momento giusto. Sembro ottimista, ma penso che nella vita, nonostante sia tragica (tragica per tutti perche' ci aspetta la morte), ci sia un ritmo per cui le cose sono state cosi' e cosi' dovevano essere. Arrivo persino al punto di dire che non bisogna disperarsi davanti alla scomparsa. Nella mia vita ho avuto una scomparsa piu' grande: quella di mio marito, che Grazia ha conosciuto e con cui ho avuto una vita in comune di 54 anni, preceduti da qualche anno di conoscenza. Ebbene, anche questa scomparsa per me tragica ha avuto il suo senso. Tutti dobbiamo accettare per forza quel che succede, ma bisogna anche accettarlo proprio come facente parte della nostra storia. Cosi' non ho rimpianti se non quello della perdita, quello che proviamo tutti quando perdiamo le persone care. Quella di Grazia e' una di quelle che contano, che pesano nella mia vita. Ma l'importanza di cio' che e' stato rimarra' sempre. All'ultimo saluto, la mattina del funerale, ho conosciuto il fratello, ho rivisto altre persone molto importanti per lei, come Edoarda Masi e altri, che conoscevo ma che non incontravo da tanto tempo. C'era molta verita' nelle persone presenti, perche' tutte facevano parte del suo mondo. Con Fofi Grazia aveva ultimamente avuto una polemica, secondo me importante. Lei sapeva da tanto tempo di essere condannata, lo teneva segreto e questo faceva parte del suo carattere che e' poi la stessa cosa del destino. Nel suo destino c'era qualche cosa che doveva in qualche modo finire. E quella polemica che l'aveva un po' ferita aveva sottolineato la delusione storica che sentiamo tutti. Fofi aveva detto: "Si', ma le cose sono un poí cambiate adesso...". Anche lei lo sapeva ma non voleva che fosse. Ora credo che a quelli per cui Grazia ha contato capiti come a me: non possiamo piu' scrivere, piu' impegnarci in niente senza domandarci che cosa ne direbbe Grazia. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 86 del 13 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1386
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1387
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1386
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1387
- Indice: