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La domenica della nonviolenza. 85
- Subject: La domenica della nonviolenza. 85
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 6 Aug 2006 10:22:15 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 85 del 6 agosto 2006 In questo numero: 1. Dal 6 al 9 agosto nell'anniversario delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki 2. Guenther Anders: Comandamenti dell'era atomica 3. Hannah Arendt: In catene 4. Simone Weil: Uscire dalla caverna 5. Eduardo Galeano: Alcune scintille da "Memoria del fuoco" 6. Letture: Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini 7. Riletture: Assia Djebar, La donna senza sepoltura 8. Riletture: Silvia Vegetti Finzi (a cura di), Psicoanalisi al femminile 9. Riedizioni: Lodovico Antonio Muratori: Opere 1. INIZIATIVE. DAL 6 AL 9 AGOSTO NELL'ANNIVERSARIO DELLE ATOMICHE SU HIROSHIMA E NAGASAKI [Nuovamente presentiamo il programma delle iniziative che si svolgeranno in questi giorni ad Aviano e Pordenone; ringraziamo Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) per avercelo inviato. Il programma completo ed ulteriori materiali sono consultabili nel sito del Comitato "Via le bombe" (www.vialebombe.org). Tiziano Tissino e' impegnato nel movimento nonviolento dei "Beati i costruttori di pace" ed in numerose altre esperienze ed iniziative nonviolente; e' tra i promotori dell'azione legale contro la presenza delle bombe atomiche americane ad Aviano e del Comitato "Via le bombe" (sito: www.vialebombe.org)] 6-9 agosto 2006: LXI anniversario delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki: l'associazione "Beati i costruttori di pace" invita la cittadinanza a partecipare alle seguenti iniziative. * Domenica 6 agosto, Aviano, di fronte alla Base Usaf, ore 8: cerimonia in ricordo di Hiroshima, nell'ora dello sgancio dell'atomica (8,12). E' stato invitato il presidente della Camera dei Deputati. * Lunedi' 7 agosto, Pordenone, ore 9,30-19, Bastia del Castello di Torre: convegno "Fuori le atomiche dall'Italia, fuori le atomiche dalla storia", a cura del comitato "Via le bombe", con il patrocinio del "Coordinamento regionale enti locali per la pace". * Martedi' 8 agosto, Citizens' Weapons Inspection alla Base Usaf di Aviano. * Mercoledi' 9 agosto, Aviano, di fronte alla Base Usaf, ore 11, cerimonia conclusiva nell'ora dell'atomica su Nagasaki. Gli enti locali per la pace e gli aderenti alla rete "Mayors for Peace" sono stati invitati ad essere presenti con il proprio gonfalone. 2. DOCUMENTI. GUENTHER ANDERS: COMANDAMENTI DELL'ERA ATOMICA [Nuovamente riproponiamo il seguente testo allegato alla lettera 4 (di Anders a Eatherly, del 2 luglio 1959), precedentemente apparso nella "Frankfurter Allgemeine Zeitung" del 13 luglio 1957, che estraiamo dalla corrispondenza tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992, ivi alle pp. 38-50, nella traduzione di Renato Solmi. Di Anders segnaliamo anche particolarmente le "Tesi sull'eta' atomica" che abbiamo ripubblicato da ultimo ne "La nonviolenza e' in cammino" n. 1373. Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di non comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel 1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato contro la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e' uno dei maggiori filosofi contemporanei; e' stato il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che mettono in pericolo la sopravvivenza stessa della civilta' umana; insieme a Hannah Arendt (di cui fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire. Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961; La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale), Bollati Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e legittima difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1997. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo senza mondo, Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar, Bari 1993; Amare, ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e' antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006. In rivista testi di Anders sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra", "Micromega". Opere su Guenther Anders: cfr. ora la bella monografia di Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno scritto, tra altri, Norberto Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli intellettuali italiani che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo Cesare Cases e Renato Solmi] Il tuo primo pensiero dopo il risveglio sia: "Atomo". Poiche' non devi cominciare un solo giorno nell'illusione che quello che ti circonda sia un mondo stabile. Quello che ti circonda e' qualcosa che domani potrebbe essere gia' semplicemente "stato"; e noi, tu e io e tutti i nostri contemporanei, siamo piu' "caduchi" di tutti quelli che finora sono stati considerati tali. Poiche' la nostra caducita' non significa solo il nostro essere "mortali"; e neppure che ciascuno di noi puo' essere ucciso. Questo era vero anche in passato. Ma significa che possiamo essere uccisi in blocco, che possiamo essere uccisi come "umanita'". Dove "umanita'" non e' solo l'umanita' attuale, quella che si estende e si distribuisce attraverso le regioni terrestri; ma e' anche quella che si estende attraverso le regioni del tempo: poiche', se l'umanita' attuale sara' uccisa, si estinguera' con lei anche l'umanita' passata, e anche quella futura. La porta davanti alla quale ci troviamo reca quindi la scritta: "Nulla sara' stato", e sull'altro verso le parole: "Il tempo e' stato solo un interludio". Ma, in questo caso, il tempo non sara' stato un interludio fra due eternita' (come speravano i nostri antenati), ma un interludio fra due nulla: fra il nulla di cio' che, nessuno potendolo ricordare, "sara' stato" come se non fosse mai stato, e il nulla di cio' che non potra' mai essere. E poiche' non ci sara' nessuno per distinguere i due nulla, essi si confonderanno in un nulla unico. Ecco quindi la nuova, apocalittica forma di caducita' che e' la nostra, e accanto alla quale tutto cio' che ha avuto finora questo nome e' diventato un'inezia. - E perche' questo non ti sfugga, il tuo primo pensiero dopo il risveglio sia: "Atomo". * La possibilita' dell'apocalisse E questo sia il tuo secondo pensiero dopo il risveglio: "La possibilita' dell'apocalisse e' opera nostra. Ma noi non sappiamo quello che facciamo". No, non lo sappiamo; e non lo sanno nemmeno quelli che dispongono e decidono di essa; poiche' anch'essi sono come noi; anch'essi sono noi; anch'essi sono radicalmente incompetenti. E' vero che questa incompetenza non e' colpa loro, ma e' piuttosto l'effetto di una circostanza che non si puo' attribuire a nessuno di loro ne' di noi: la sproporzione continuamente crescente fra la nostra facolta' produttiva e la nostra facolta' immaginativa, fra cio' che possiamo produrre e cio' che possiamo immaginare. Poiche', nel corso dell'epoca tecnica, il rapporto tradizionale tra fantasia e azione si e' rovesciato. Se era naturale, per i nostri antenati, considerare la fantasia "esorbitante", esuberante, eccessiva, e cioe' tale che superava e trascendeva l'ambito del reale, oggi i poteri della nostra fantasia (e i limiti della nostra sensibilita' e della nostra responsabilita') sono inferiori a quelli della nostra prassi; per cui si puo' dire che oggi la nostra fantasia non e' all'altezza degli effetti che possiamo produrre. Non e' solo la nostra ragione a essere kantianamente limitata e finita, ma anche la nostra immaginazione e - a maggior ragione - la nostra sensibilita'. Possiamo pentirci, tutt'al piu', dell'uccisione di un uomo: e' tutto cio' che si puo' chiedere alla nostra sensibilita'; possiamo rappresentarci, tutt'al piu', l'uccisione di dieci uomini: e' tutto cio' che si puo' chiedere alla nostra immaginazione; ma ammazzare centomila persone non presenta piu' alcuna difficolta'. E cio' non solo per ragioni tecniche; e non solo perche' l'azione si e' ridotta a semplice collaborazione e partecipazione, a un "azionare" che rende invisibile l'effetto, ma anche e proprio per una ragione di ordine morale: e cioe' perche' la strage in massa trascende di gran lunga la sfera di quelle azioni che siamo in grado di rappresentarci concretamente e a cui possiamo reagire sentimentalmente; e la cui esecuzione potrebbe essere inibita dall'immaginazione o dai sentimenti. - Le tue verita' successive dovrebbero quindi essere queste: "L'inibizione diminuisce progressivamente con l'ingrandirsi oltre misura dell'azione"; e "L'uomo e' minore (piu' piccolo) di se stesso". Questa e' la formula della nostra attuale schizofrenia, e cioe' del fatto che le nostre varie facolta' operano separatamente, come entita' isolate e prive di coordinazione che hanno perso il contatto fra loro. Ma non e' per formulare nozioni definitive e fatalmente disfattistiche su noi stessi che devi formulare queste verita': ma, al contrario, per inorridire della finitezza e per vedere in essa uno scandalo; per sciogliere e allentare quei limiti irrigiditi e trasformarli in barriere da superare; per revocare e abolire la schizofrenia. Naturalmente, finche' ti e' concesso di sopravvivere, puoi anche metterti a sedere, rinunciare ad ogni speranza e rassegnarti alla tua schizofrenia. Ma se non sei disposto a questo, devi cercare di raggiungere te stesso, di portarti alla tua propria altezza. E cio' significa (questo e' il tuo compito) che devi cercare di colmare l'abisso fra le due facolta': la facolta' produttiva e la facolta' riproduttiva; che devi livellare la differenza di altezza che le separa; o, in altri termini, che devi sforzarti di allargare l'ambito limitato della tua immaginazione (e quello ancora piu' ristretto del tuo sentimento), finche' sentimento ed immaginazione arrivino ad apprendere e a concepire l'enormita' che sei stato in grado di produrre; finche' tu possa accettare o respingere cio' che hai inteso. Insomma, il tuo compito consiste nell'allargare la tua fantasia morale. * Non aver paura di aver paura Il tuo compito successivo e' quello di allargare il tuo senso del tempo. Poiche' decisivo per la nostra situazione attuale non e' solo (cio' che ormai sanno tutti) che lo spazio terrestre si e' contratto, e che tutti i luoghi che si potevano considerare lontani fino a ieri sono ormai localita' viciniori; ma che anche lo spazio temporale si e' contratto, e che tutti i punti del nostro sistema temporale si sono avvicinati; che i futuri che potevano sembrare fino a ieri a distanza irraggiungibile, confinano ormai direttamente col nostro presente; che li abbiamo trasformati in comunita' attigue. Cio' vale sia per il mondo orientale che per quello occidentale. Per il mondo orientale, poiche' il futuro vi e' pianificato in una misura senza precedenti; e il futuro pianificato non e' piu' un futuro "in grembo agli dei", ma un prodotto in fabbricazione: che, per il fatto di essere previsto, e' gia' visto come parte integrante dello spazio in cui ci si trova. In altri termini: poiche' tutto cio' che si fa, lo si fa per quel prodotto futuro, esso getta gia' la sua ombra sul presente, appartiene gia', in un senso pragmatico, al presente stesso. E cio' vale, in secondo luogo (ed e' il caso che ci riguarda), per gli uomini del mondo occidentale attuale; poiche' questo, anche senza proporselo direttamente, opera gia' sui futuri piu' remoti: decidendo, ad esempio, della salute o della degenerazione, e forse dell'esistenza o dell'inesistenza dei suoi nipoti. E non importa che esso, o, piuttosto, che noi, si miri consapevolmente a questo risultato: poiche' cio' che conta, da un punto di vista morale, e' soltanto il fatto. E dal momento che il fatto - l'"azione a distanza" non pianificata - ci e' noto, continuando ad agire come se non sapessimo quello che facciamo commettiamo un delitto colposo. E il tuo pensiero successivo dopo il risveglio sia: "Non esser vile, abbi il coraggio di aver paura! Astringiti a fornire quel tanto di paura che corrisponde alla grandezza del pericolo apocalittico!" Anche e proprio la paura fa parte dei sentimenti che siamo incapaci o riluttanti a fornire; e dire che abbiamo gia' paura, che ne abbiamo anche troppa, e che viviamo, anzi, nell'"epoca della paura", e' una frase priva di senso, che, se non e' diffusa ad arte col preciso intento di ingannare, e' pur sempre uno strumento ideale per impedire l'avvento di una paura veramente adeguata all'enormita' del pericolo, e per renderci indolenti e passivi. - E' vero piuttosto il contrario: che viviamo in un'epoca refrattaria all'angoscia e assistiamo quindi passivamente all'evoluzione in corso. Percio' vi e' tutta una serie di ragioni (a prescindere dai limiti della nostra capacita' di sentire), che non e' possibile enumerare qui (1). Ma non possiamo fare a meno di menzionarne una, a cui gli eventi del recente passato conferiscono un'attualita' e un'importanza particolare. Si tratta della mania delle competenze, e cioe' della persuasione, inculcata in noi dalla divisione del lavoro, che ogni problema rientri in un determinato ambito giuridico in cui non abbiamo il diritto di interferire e di dire la nostra. Cosi', per esempio, il problema atomico rientra nella competenza dei politici e dei militari. E questo "non aver diritto" si trasforma subito e automaticamente in "non aver bisogno". In altri termini: non c'e' bisogno che mi occupi dei problemi di cui non sono tenuto e autorizzato ad occuparmi. E posso fare a meno di aver paura, poiche' la paura stessa viene "sbrigata" in un altro ressort. Percio' ripeti dopo il tuo risveglio: "Res nostra agitur". Il che significa due cose: 1) che la cosa ci riguarda perche' ci puo' colpire; e 2) che la pretesa di alcuni a una competenza di carattere esclusivo e' infondata, perche' siamo tutti, in quanto uomini, ugualmente incompetenti. Credere che in puncto "fine del mondo" possa aver luogo una competenza maggiore o minore, e che quelli che (in seguito a una divisione casuale del lavoro, delle responsabilita' e dei compiti) sono diventati politici o militari, e che si occupano della fabbricazione e dell'"impiego" della bomba piu' attivamente o piu' direttamente di noi, siano percio' piu' "competenti" di noi, e' una follia pura e semplice. Chi cerca di farcelo credere (che si tratti di questi pretesi competenti o di altri) dimostra solo la sua incompetenza morale. Ma la nostra situazione morale finisce per diventare intollerabile quando quei pretesi competenti (che sono incapaci di vedere i problemi se non in termini tattici) pretendono di insegnarci che non abbiamo nemmeno il diritto di aver paura, e tanto meno di porci problemi morali: dal momento che la coscienza morale implica una responsabilita', e la responsabilita' e' affar loro, affare dei competenti; con la nostra paura, con la nostra angoscia morale, invaderemmo - secondo loro - un campo di loro competenza. In conclusione: devi rifiutarti di riconoscere un ceto privilegiato, un "clero dell'apocalisse": un gruppo che si arroghi una competenza esclusiva per la catastrofe che sarebbe la catastrofe di tutti. Se ci e' lecito variare il detto rankiano ("ugualmente vicini a Dio"), potremmo dire che "ognuno di noi e' ugualmente vicino alla fine possibile". E percio' ognuno di noi ha lo stesso diritto, e lo stesso dovere, di elevare ad alta voce il suo monito. A cominciare da te. * Contro la discussione di carattere tattico Non solo la nostra immaginazione, la nostra sensibilita' e la nostra responsabilita' vengono meno di fronte alla "cosa": ma non siamo neppure in grado di pensarla. Poiche' sotto qualunque categoria cercassimo di sussumerla, la penseremmo in modo sbagliato: per il semplice fatto di ridurla sotto una determinata categoria o classe di concetti, ne faremmo un oggetto fra gli altri e la minimizzeremmo. Anche se puo' esistere in molti esemplari, e' unica nel suo genere, non appartiene a nessuna specie: e', quindi, un monstrum. Disgraziatamente e' proprio questa ("mostruosa") inclassificabilita' a portarci a trascurare la cosa, o a dimenticarla addirittura. Tendiamo a considerare come inesistente tutto cio' che non siamo in grado di classificare. Ma nella misura in cui si parla della cosa (cio' che peraltro non avviene ancora nella conversazione quotidiana fra gli uomini), tendiamo a classificarla (poiche' e' la soluzione piu' comoda e meno inquietante) come un'arma, o piu' in generale come un mezzo. Ma essa non e' un mezzo, poiche' e' essenziale alla natura del mezzo risolversi nello scopo raggiunto e scomparire, come la via nella meta. Il che non accade in questo caso. Poiche' anzi l'effetto inevitabile (e perfino l'effetto consapevolmente ricercato) della cosa e' maggiore di ogni scopo pensabile; poiche' questo, per forza di cose, scompare e si annulla nell'effetto. Scompare e si annulla insieme al mondo in cui c'erano ancora "fini e mezzi". Ed e' chiaro che una cosa che distrugge, con la sua sola esistenza, lo schema "fini e mezzi", non puo' essere un mezzo. Percio' la tua massima successiva sia: "Nessuno mi fara' credere che la bomba sia un mezzo". E dal momento che non e' un mezzo come i milioni di mezzi che compongono il nostro mondo, non puoi tollerare che sia prodotta come se si trattasse di un frigorifero, di un dentifricio e nemmeno di una pistola, per costruire la quale nessuno ci interpella. - E come non devi credere a quelli che la chiamano un "mezzo", non devi credere nemmeno ai persuasori piu' sottili che sostengono che la cosa serve esclusivamente alla "dissuasione", ed e' prodotta, cioe', solo allo scopo di non essere usata. Poiche' non si sono mai visti oggetti il cui impiego si esaurisse nel loro non essere usati; o, tutt'al piu', vi sono stati oggetti che, in determinati casi, non furono usati (e cioe' quando la minaccia del loro uso, spesso gia' avvenuto, si era gia' rivelata sufficiente). Del resto, non dobbiamo mai dimenticare che la cosa e' gia' stata "usata" realmente (e senza giustificazione adeguata) a Hiroshima e Nagasaki. Infine, non dovresti permettere che l'oggetto il cui effetto supera ogni immaginazione sia classificato in modo falso con un'etichetta sciocca e minimizzante. Quando l'esplosione di una bomba H e' definita ufficialmente "azione Opa" o "azione nonnino", non e' solo una manifestazione di cattivo gusto, ma anche un inganno consapevole. Inoltre devi opporti e ribellarti tutte le volte che la cosa (la cui semplice presenza e' gia' una forma di uso) e' discussa da un punto di vista puramente "tattico". Questo tipo di discussione e' assolutamente inadeguato, poiche' l'idea di potersi servire tatticamente delle armi atomiche presuppone l'esistenza di una situazione politica indipendente dal fatto stesso della loro esistenza. Ma questa e' una supposizione affatto irreale, poiche' la situazione politica (l'espressione "era atomica" e' perfettamente giustificata) e' definita dal fatto delle armi atomiche. Non sono le armi atomiche a presentarsi, fra le altre cose, sulla scena politica, ma sono gli avvenimenti politici a svolgersi all'interno della situazione atomica; e la maggior parte delle azioni politiche sono passi intrapresi all'interno di questa situazione. I tentativi di utilizzare la possibilita' della fine del mondo come una pedina sullo scacchiere della politica internazionale, indipendentemente o meno dalla loro astuzia, sono segni di accecamento. L'epoca delle astuzie e' finita. Percio' devi farti un principio di sabotare tutte le analisi in cui i tuoi contemporanei cercano di esaminare il fatto del pericolo atomico da un punto di vista puramente tattico, e di portare la discussione sul punto essenziale: sulla minaccia che pesa sull'umanita' di un'apocalisse provocata da lei stessa; e fallo anche a costo di essere deriso come persona priva di realismo politico. In realta', ad essere poco realisti, sono proprio i puri tattici, che vedono le armi atomiche solo come mezzi, e che non capiscono che i fini che cercano o pretendono di raggiungere mediante la loro tattica, sono completamente svuotati di significato dall'uso (anzi, dalla semplice possibilita' dell'uso) di questi mezzi. * La decisione e' gia' stata presa Non lasciarti ingannare da chi sostiene che ci troveremmo ancora (e ci troveremo forse sempre) nello stadio sperimentale, nello stadio delle esperienze di laboratorio. Poiche' questa e' solo una frase. E non solo perche' abbiamo gia' gettato delle bombe (cio' che molti stranamente dimenticano), e l'epoca "in cui si fa sul serio" e' quindi gia' cominciata da un pezzo; ma anche perche' (ed e' la ragione piu' importante) non e' possibile parlare, in questo caso, di esperimenti. La tua ultima massima sara', quindi, questa: "Per quanto felice possa essere l'esito degli esperimenti, e' lo sperimentare stesso che fallisce". E fallisce perche' si puo' parlare di esperimenti solo dove l'evento sperimentale non esce e non spezza l'ambito isolato e circoscritto del laboratorio; condizione che non si ritrova in questo caso. Poiche' fa proprio parte dell'essenza della cosa, e dell'effetto ricercato della maggior parte degli esperimenti attuali, accrescere il piu' possibile la forza esplosiva e il fall-out radioattivo dell'arma; e cioe', per quanto contraddittoria possa essere la formula, provare fino a che punto si possa superare ogni limite sperimentale. Cio' che e' prodotto dai cosiddetti "esperimenti" non rientra piu', quindi, nella classe degli effetti sperimentali, ma nello spazio reale, nell'ambito della storia (dove si trovano, ad esempio, i pescatori giapponesi contagiati dal fall-out) e perfino della storia futura, poiche' e' il futuro stesso ad essere investito (ad esempio la salute delle prossime generazioni), e si puo' quindi dire che il futuro, secondo la formula filosofica del libro di Jungk, "e' gia' cominciato". E' quindi del tutto illusoria e ingannevole l'affermazione a cui si ricorre cosi' volentieri, che l'impiego della cosa non e' stato ancora deciso. - E' vero, invece, che la decisione e' gia' avvenuta attraverso i cosiddetti esperimenti. Fa quindi parte dei tuoi doveri denunciare e distruggere l'apparenza che noi si viva ancora nella "preistoria" atomica: e chiamare per nome cio' che e'. * Siamo manipolati dai nostri apparecchi Ma tutti questi postulati e questi divieti si possono condensare in un solo comandamento: "Abbi solo quelle cose le cui massime potrebbero diventare le tue massime e quindi le massime di una legislazione universale". E' un postulato che puo' lasciare interdetti: l'espressione "massime delle cose" puo' sembrare, a tutta prima, paradossale. Ma solo perche' strano e paradossale e' il fatto stesso designato dall'espressione. Cio' che vogliamo dire e' solo che, vivendo in un mondo di apparecchi, siamo soggetti al trattamento dei nostri apparecchi (e sempre in un modo determinato dalla natura degli apparecchi). Ma poiche', d'altra parte, siamo gli utenti di questi apparecchi, e trattiamo il nostro prossimo per mezzo di essi, finiamo per trattare il nostro prossimo, anziche' secondo i nostri principi, secondo i modi di operare degli apparecchi, e cioe', in certo qual modo, secondo le loro massime. Il postulato esige che ci rendiamo conto di queste massime come se fossero le nostre (dal momento che lo sono effettivamente e di fatto); che la nostra coscienza morale, anziche' dedicarsi all'esame di se stessa (che e' ormai un lusso privo di conseguenze), si dedichi a quello degli "impulsi nascosti" e dei "principi" dei nostri apparecchi. Esaminando scrupolosamente la propria anima alla maniera tradizionale, un ministro atomico non vi troverebbe, probabilmente, nulla di particolarmente peccaminoso; ma esaminando la "vita intima" dei suoi aggeggi, vi troverebbe niente meno che l'erostratismo, e un erostratismo su scala cosmica; poiche' erostratico e' il modo in cui le armi atomiche trattano l'umanita'. Solo quando ci saremo abituati a questa nuova forma di azione morale ("l'analisi del cuore degli apparecchi"), avremo qualche motivo di sperare che, dovendo decidere del nostro essere o non-essere, sapremo decidere per la conservazione del nostro essere. * Impossibilita' di non-potere Il tuo principio successivo sia: "Non credere che quando saremo riusciti a compiere il primo passo, la cessazione dei cosiddetti esperimenti, il pericolo si possa considerare passato, e che noi si possa dormire sugli allori". Poiche' la fine degli esperimenti non significa ancora quella della produzione di bombe e tanto meno la distruzione delle bombe e dei tipi che sono gia' stati sperimentati e che sono pronti per l'uso. Vi possono essere varie ragioni per una cessazione degli esperimenti: uno stato vi si puo' risolvere, ad esempio, perche' ogni ulteriore esperimento sarebbe superfluo, dal momento che la produzione dei tipi sperimentati o la riserva di bombe esistenti bastano gia' per ogni eventualita'; insomma, perche' sarebbe assurdo e antieconomico uccidere l'umanita' piu' di una volta. Non credere nemmeno che avremmo diritto di stare tranquilli una volta che fossimo riusciti ad eseguire il secondo passo (l'arresto della produzione di bombe A e H), o che potremmo metterci a sedere dopo il terzo passo (la distruzione di tutte le riserve). Anche in un mondo completamente "pulito" (e cioe' in un mondo dove non ci fossero piu' bombe A o H, e dove quindi, apparentemente, non "avremmo" bombe), continueremmo, tuttavia, ad averle, poiche' sapremmo come fare per produrle. Nella nostra epoca contrassegnata dalla riproduzione meccanica non si puo' dire che un oggetto possibile non esista, poiche' cio' che conta non sono gli oggetti fisici reali, ma i loro tipi, i loro "modelli". Anche dopo aver eliminato tutti gli oggetti fisici che hanno a che fare con la produzione delle bombe A o H, l'umanita' potrebbe cadere vittima dei loro disegni. Si potrebbe concludere, allora, che bisogna distruggere questi ultimi. Ma anche questo e' impossibile, poiche' i modelli sono indistruttibili come le idee di Platone; in un certo senso sono addirittura la loro realizzazione diabolica. Insomma, anche se ci riuscisse di distruggere fisicamente i fatali apparecchi e i loro "modelli", e di salvare cosi' la nostra generazione: anche questa sarebbe solo una pausa, sarebbe solo una dilazione. La produzione potrebbe essere ripresa ogni giorno, il terrore rimane, e dovrebbe restare, quindi, anche la tua paura. D'ora in poi l'umanita' dovra' vivere, per tutta l'eternita', sotto l'ombra minacciosa del mostro. Il pericolo apocalittico non si lascia eliminare una volta per tutte, con un atto solo, ma solo con una serie indefinita di atti quotidiani. Dobbiamo comprendere, insomma (e questa comprensione finisce di mostrarci il carattere fatale della nostra situazione), che la nostra lotta contro la permanenza fisica degli ordigni e la loro costruzione, sperimentazione ed accumulazione rimane, in definitiva, insufficiente. Poiche' la meta che dobbiamo raggiungere non puo' consistere nel non-avere la cosa, ma solo nel non adoperarla mai, anche se non possiamo fare in modo di non averla; nel non adoperarla mai, anche se non ci sara' mai un giorno in cui non potremmo adoperarla. Ecco quindi il tuo compito: far capire all'umanita' che nessuna misura fisica, nessuna distruzione di oggetti materiali potra' mai rappresentare una garanzia assoluta e definitiva, e che dobbiamo, invece, essere fermamente decisi a non compiere mai quel passo, anche se sara', in un certo senso, sempre possibile. Se non riusciamo - si', tu, tu ed io - a infondere questa coscienza e questa convinzione nell'umanita', siamo perduti. * Note 1. Cfr. Guenther Anders, Die Antiquierheit des Menschen, C. H. Beksche Verlagsbuchhandlung, pp. 264 sgg. 3. MAESTRE. HANNAH ARENDT: IN CATENE [Da Hannah Arendt, Vita activa, Bompiani, Milano 1964, 1994, p. 110. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] La difficolta' dell'utilitarismo e' che rimane preso nella catena interminabile dei mezzi e dei fini senza arrivare mai a un principio che giustifichi la categoria di mezzi e fini, cioe' dell'utilita' stessa. L'espressione "al fine di" e' diventata il contenuto di "in nome di". In altre parole, l'utilita' posta come significato genera l'assenza di significato. 4. MAESTRE. SIMONE WEIL: USCIRE DALLA CAVERNA [Da Simone Weil, Quaderni. Volume terzo, Adelphi, Milano 1988, p. 352. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Uscire dalla caverna significa imparare a non cercare la finalita' nell'avvenire. 5. CLASSICI. EDUARDO GALEANO: ALCUNE SCINTILLE DA "MEMORIA DEL FUOCO" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 agosto 2006 riprendiamo questi testi di Eduardo Galeano estratti dal suo capolavoro Memoria del fuoco, Sansoni, Firenze 1989-1991. Eduardo Galeano e' nato nel 1940 a Montevideo (Uruguay); giornalista e scrittore, nel 1973 in seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal suo paese; ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura. Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Tra le sue opere, fondamentali sono: Le vene aperte dell'America Latina, recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco, Sansoni, Firenze; e i recenti A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano, e Le labbra del tempo, Sperling & Kupfer, Milano. Tra gli altri suoi libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes, Mondadori, Milano] 1538 Santo Domingo. Lo specchio Il sole di mezzogiorno fa fumare le pietre e luccicare i metalli. C'e' trambusto nel porto. I galeoni hanno portato da Siviglia l'artiglieria pesante per la fortezza di Santo Domingo. Il governatore, Fernandez de Oviedo, dirige il trasporto delle colubrine e dei cannoni. A colpi di frusta, i negri trascinano il carico a tutta velocita'. Scricchiolano i carri, inclinati dai ferri e dai bronzi, e attraverso il turbinio altri schiavi vanno e vengono buttando paioli d'acqua sul fuoco che si sprigiona dalle assi surriscaldate. In mezzo al traffico e al vocio, una ragazza india sta cercando il suo padrone. Ha la pelle coperta di bolle. Ogni passo e' una conquista e i pochi vestiti che indossa le tormentano la pelle bruciata. Per tutta la notte e meta' del giorno, questa ragazza ha sopportato, di urlo in urlo, i bruciori dell'acido. Lei stessa ha arrostito le radici di guao e le ha stropicciate tra le palme delle mani fino a farne una pasta. Si e' spalmata di guao il corpo intero, dalla radice dei capelli alla punta dei piedi, perche' il guao brucia la pelle e le toglie il colore, e cosi' trasforma le indie e le negre in bianche dame di Castiglia. - Mi riconosce, signore? Oviedo la scansa con uno spintone; ma la ragazza insiste, con un filo di voce, attaccata al padrone come un'ombra, mentre Oviedo corre gridando ordini ai capisquadra. - Sa chi sono? La ragazza cade a terra e da terra continua a chiedere: - Signore, signore, non sa dunque chi sono? * 1711 Paramaribo. Esse portano la vita tra i capelli Per quanti negri crocifiggano o appendano a un gancio di ferro infilato tra le costole, le fughe dalle quattrocento piantagioni della costa del Suriname continuano senza sosta. All'interno della selva, un leone nero sventola sulla bandiera gialla dei cimarrones. In mancanza di proiettili, le armi sparano sassolini o bottoni d'osso; ma il folto impenetrabile e' il migliore alleato contro i coloni olandesi. Prima di scappare, le schiave rubano chicchi di riso, di mais e di grano, fagioli e semi di zucca. Le loro enormi chiome fungono da granai. Quando arrivano ai rifugi scavati nella giungla, le donne scuotono la testa e fecondano, cosi', la terra libera. * 1777. Se fosse nato donna Dei sedici fratelli di Benjamin Franklin, Jane e' quella che piu' gli assomiglia per talento e forza di volonta'. Ma all'eta' in cui Benjamin se ne ando' di casa per farsi strada nel mondo, Jane si sposo' con un sellaio povero che la prese senza dote, e dieci mesi piu' tardi diede alla luce il suo primo figlio. Da allora, per un quarto di secolo, Jane ha partorito un figlio ogni due anni. Alcuni bambini sono morti, e ogni morte le ha aperto una ferita al petto. I sopravvissuti hanno preteso cibo, vestiti, istruzione e conforto. Jane ha passato notti in bianco cullando quelli che piangevano, ha fatto montagne di bucato e il bagno a intere bande di bambini, e' corsa dal mercato alla cucina, ha lavato torri di piatti, insegnato abbecedari e mestieri, lavorato gomito a gomito con suo marito nel laboratorio e si e' occupata dei pensionanti la cui pigione aiutava a riempire la pentola. Jane e' stata sposa devota e vedova esemplare. E quando i figli furono ormai cresciuti, si e' fatta carico dei genitori pieni di acciacchi e delle figlie zitelle e dei nipoti rimasti senza nessuno. Jane non conobbe mai il piacere di lasciarsi galleggiare in un lago, portata alla deriva da un filo di aquilone, come suole fare Benjamin nonostante l'eta' avanzata. Jane non ebbe mai tempo di pensare, ne' di permettersi dubbi. Benjamin e' tuttora un amante focoso, ma Jane ignora che il sesso puo' procurare qualcos'altro oltre ai figli. Benjamin, fondatore di una nazione di inventori, e' uno dei grandi uomini di ogni tempo. Jane e' una donna del suo tempo, uguale a quasi tutte le donne di tutti tempi, che ha compiuto il suo dovere su questa terra e ha espiato la sua parte di colpa nella maledizione biblica. Ha fatto il possibile per non diventare pazza e ha cercato invano un po' di silenzio. Il suo caso non avra' alcun interesse per gli storici. * 1914 Montevideo. Delmira In questa camera d'affitto gli diede appuntamento l'uomo che era stato suo marito; e volendo averla, volendo tenersela, lui la amo', la uccise e si uccise. I giornali uruguayani pubblicano la foto del corpo che giace vicino al letto, Delmira abbattuta da due colpi di revolver, nuda come le sue poesie, le calze calate, tutta svestita di rosso: - Andiamo oltre nella notte, andiamo... Delmira Augustini scriveva in trance. Aveva cantato le febbri dell'amore senza peccati nascosti, ed era stata condannata da coloro che castigano nelle donne cio' che applaudono negli uomini, perche' la castita' e' un dovere femminile e il desiderio, come la ragione, un privilegio maschile. In Uruguay le leggi camminano davanti alla gente, che seguita a separare l'anima dal corpo come se fossero la Bella e la Bestia. Sul cadavere di Delmira si spargono lacrime e frasi a proposito di una cosi' grave perdita delle lettere nazionali, ma in fondo gli afflitti tirano un respiro di sollievo: la morta e' morta, e meglio cosi'. Ma e' morta? Non saranno ombra della sua voce ed eco del suo corpo tutti gli amanti che arderanno nelle notti del mondo? Non le faranno un posticino nelle notti del mondo perche' la sua bocca liberata possa cantare e possano danzare i suoi piedi splendenti? * 1939 San Salvador de Bahia. Le donne degli dei Ruth Landes, antropologa nordamericana, viene in Brasile. Vuole conoscere la vita dei negri in un paese senza razzismo. A Rio de Janeiro la riceve il ministro Osvaldo Aranha. Il ministro le spiega che il governo si propone di purgare la razza brasiliana, infetta di sangue negro, perche' il sangue negro e' il responsabile dell'arretratezza del paese. Da Rio, Ruth va a Bahia. I negri sono la stragrande maggioranza di questa citta', dove in altri tempi ebbero il loro trono i vicere' opulenti di zucchero e schiavi, e negro qui e' tutto cio' che conta, dalla religione fino al cibo passando per la musica. E nonostante cio', a Bahia tutti credono, anche i negri, che la pelle chiara sia un marchio di buona qualita'. Non tutti: Ruth scopre l'orgoglio della negritudine nelle donne dei templi africani. In quei templi sono quasi sempre donne, sacerdotesse negre, che ricevono nei loro corpi gli dei venuti dall'Africa. Splendenti e rotonde come palle di cannone, esse offrono agli dei i loro vasti corpi, che sembrano case dove e' bello arrivare e restare. In loro entrano gli dei e in loro ballano. Dalle mani delle sacerdotesse possedute, il popolo riceve coraggio e consolazione; e dalle loro bocche ascolta le voci del destino. Le sacerdotesse negre di Bahia accettano amanti, non mariti. Il matrimonio da' prestigio, ma toglie liberta' e allegria. A nessuna di loro interessa formalizzare le nozze davanti al prete o al giudice: nessuna vuole essere sposa sposata, signora di. Testa alta, languido dondolio: le sacerdotesse si muovono come regine della Creazione. Esse condannano i loro uomini all'incomparabile tormento di essere gelosi degli dei. * 1983 Lima. Tamara vola due volte Rosa fu torturata, sotto il controllo di un medico che ordinava quando fermarsi, e violentata, e fucilata con pallottole a salve. Ha passato otto anni in prigione, senza processo ne' spiegazioni, finche' l'anno scorso l'hanno espulsa dall'Argentina. Ora, all'aeroporto di Lima, aspetta. Al di sopra delle Ande, sua figlia Tamara arriva volando da lei. Tamara viaggia accompagnata da due delle nonne che l'hanno trovata. Divora tutto quello che le servono sull'aereo, senza lasciare una briciola di pane ne' un granello di zucchero. A Lima, Rosa e Tamara scoprono se stesse. Si guardano allo specchio, insieme, e sono identiche: gli stessi occhi, la stessa bocca, gli stessi nei negli stessi posti. Quando si fa notte, Rosa fa il bagno a sua figlia. Nel metterla a letto, le sente addosso un odore come di latte, dolciastro; e la lava di nuovo. E ancora una volta. E per quanto sapone usi, non c'e' modo di toglierle quell'odore. E' un odore strano... E improvvisamente, Rosa ricorda. Quello e' l'odore dei bebe' quando hanno finito di poppare: Tamara ha dieci anni e stanotte odora di neonata. 6. LETTURE. ANDREA TORTORETO: LA FILOSOFIA DI ALDO CAPITINI Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini. Dalla compresenza alla societa' aperta, Clinamen, Firenze 2005, pp. 184, euro 17,90. Premiata nel 2003 con il "Premio nazionale Aldo Capitini", una utile monografia sulla quale dovremo tornare per una presentazione piu' adeguata; l'autore opera presso l'Universita' di Perugia ove e' assai viva l'eredita' di Aldo Capitini soprattutto grazie al magistero intellettuale e morale di Mario Martini e all'alacre operare suo e dei suoi collaboratori (tra cui ci piace qui ricordare Giuseppe Moscati, cui siamo grati anche di averci fatto conoscere questo libro). Per richieste alla casa editrice: e-mail: editrice at clinamen.it, sito: www.clinamen.it 7. RILETTURE. ASSIA DJEBAR: LA DONNA SENZA SEPOLTURA Assia Djebar, La donna senza sepoltura, Il Saggiatore, Milano 2002, pp. 192, euro 14. Leggere Assia Djebar e' sempre una festa dello spirito, e un'occasione di incontro ad un tempo con se stessi e con l'alterita', con la storia e con la coscienza. 8. RILETTURE. SILVIA VEGETTI FINZI (A CURA DI): PSICOANALISI AL FEMMINILE Silvia Vegetti Finzi (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. XVIII + 402, lire 28.000. Una serie di ritratti di illustri psicoanaliste (ma anche psicoanalizzate: vedi il capitolo su Anna O. e Dora steso proprio da Silvia Vegetti Finzi) scritti da studiose di diversa formazione; un libro di acuto e aggettante impegno ermeneutico che raccomandiamo per molti diversi motivi. Della curatrice ovviamente va letta anche la bella Storia della psicoanalisi, che resta a nostro avviso una delle introduzioni migliori per accostarsi alla conoscenza del vasto e plurale movimento, della complessa diramatissima e mescidatissima riflessione, della pratica terapeutica e dei molteplici usi ulteriori della tradizione psicoanalitica. 9. RIEDIZIONI. LODOVICO ANTONIO MURATORI: OPERE Lodovico Antonio Muratori: Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano 2006, pp. LIV + 550, euro 12,90 (in suppl. a "Il sole 24 ore"). Dalla classica Letteratura Italiana Ricciardi una ahinoi pur sempre troppo ristretta selezione di scritti rappresentativa dell'immenso lavoro muratoriano e dell'originale riflessione sua nei piu' variati campi del sapere. Il piu' oggi negletto e uno dei piu' necessari dei nostri autori tra Sei e Settecento (la cui inesauribile operosita' si estese fino all'anno della morte, nel 1750), cui siamo ancora tutti debitori di un impegno di ricercatore editore e storico insuperato. Tra i testi antologizzati anche alcuni estratti da "Il cristianesimo felice nelle missioni de' padri della Compagnia di Gesu' nel Paraguai". ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 85 del 6 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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