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La nonviolenza e' in cammino. 1379
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1379
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 6 Aug 2006 00:20:13 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1379 del 6 agosto 2006 Sommario di questo numero: 1. Cindy Sheehan: Perche'? 2. Severino Vardacampi: Chi si rivede, monsieur Jourdain 3. Un piccolo passo 4. Annalena Di Giovanni intervista Dov Khenin 5. Emanuele Fiano: Questa scia di morte deve finire 6. Peppe Sini, Tomas Stockmann: Un'obiezione al testo che precede 7. Nanni Salio: Il pacifismo e' morto? 8. Luciano Bonfrate: A chi si e' arreso 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: PERCHE'? [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a dsposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan, giunta al suo trentaduesimo giorno di digiuno contro la guerra. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com] Il mio viaggio verso la Giordania dall'aeroporto John Fitzgerald Kennedy a New York, e' cominciato con sapore mediorientale ieri. Mentre mi trovavo ancora all'aeroporto, infatti, un signore mi si e' avvicinato. Era un profugo iracheno, che ora vive in Giordania. Mi ha riconosciuta, e mi ha detto che era onorato di conoscermi e grato per il mio impegno, ma voleva anche trasmettermi qualcosa. Ha detto che il popolo iracheno e' riconoscente per cio' che il movimento pacifista sta facendo negli Usa per porre fine all'occupazione, ma che per il suo paese era ormai "troppo tardi". Ha aggiunto che chiunque poteva andarsene lo aveva fatto, e che la maggior parte del suo paese era al di la' delle possibilita' di ricostruzione. La leggendaria Babilonia, che e' esistita per secoli e secoli, non e' durata tre anni dopo che ci sono arrivati gli americani. Centinaia di migliaia di iracheni morti, da aggiungere all'oltre un milione di quelli che sono morti durante il periodo delle sanzioni. Il signore mi ha informato tristemente che gli americani non stanno facendo nulla per fermare la violenza settaria in Iraq,e che anzi la incoraggiano, e che lui aveva ormai ben poca speranza per il futuro del paese in cui e' nato e che ama. * All'aeroporto Queen Alia di Amman, io e il mio gruppo siamo stati accolti da Munther, che ha lavorato con il governo giordano e come consulente per le ong per molti anni. E' stato uno dei facilitatori che aiutarono, nel 1999, ad arrivare all'accordo di pace fra Giordania e Israele. E' un esperto per tutto cio' che riguarda l'acqua e l'agricoltura. Si ritiene fortunato a vivere in Giordania con la sua famiglia, ma in passato gli hanno sparato, ed hanno persino lanciato razzi sulla sua casa, a causa del suo impegno pacifista. Munther capisce bene che una pace vera e duratura non puo' essere raggiunta tramite una guerra eterna, ed ha pagato un duro prezzo per i suoi convincimenti. * Ma la testimonianza piu' terribile del giorno e' stata quella della dottoressa Nada, una medica irachena che e' rimasta a Baghdad ad aiutare la sua gente durante il periodo delle sanzioni e poi durante l'invasione. Primario in un grande ospedale di Baghdad, la dottoressa Nada dice che le sanzioni hanno ucciso due milioni di bambini. I piccoli morivano per l'uranio impoverito lasciato dal primo errore del Golfo compiuto dal primo George. Morivano di guerra, di inquinamento e malattie, ma anche perche' non c'erano medicine con cui curarli. All'incontro, la dottoressa ha portato con se' la piccola Farrah, di tre anni, figlia di un'amica. Una bimba dai corti capelli scuri e dai grandi occhi castani. C'erano un mucchio di bambini all'aeroporto Queen Alia ieri, e dozzine di essi che giocavano attorno all'albergo. Il mio cuore scoppia dal dolore quando penso a tutti i piccoli in Iraq, in Palestina, in Libano, che vivono esistenze orribili e la cui vita viene troncata dalla malvagia macchina della guerra che sembra dirigere il nostro mondo. La dottoressa Nada ci ha raccontato dei sette giorni strazianti che ha passato in un pronto soccorso di Baghdad, dal 2 al 9 aprile del 2003. Cento persone ferite all'ora arrivavano all'ospedale, e molte sono morte perche' non era possibile soccorrerle in tempo. La dottoressa Nada era responsabile del "triage" e doveva continuare a lavorare sapendo che il paziente numero cento di quell'ora sarebbe quasi certamente morto. Le persone operate venivano stipate nelle sale d'aspetto, e neppure identificate. La dottoressa ha detto che ricorda quel periodo come "parti amputate di corpi che nuotavano in un mare di sangue". Lei e' rimasta in Iraq per tutti quegli anni, ma ora vive in Giordania. Non poteva piu' sopportare la continua violenza delle milizie, delle squadre delle morte, i rapimenti, e tutto il resto. "Anche se gli americani non avessero ucciso un solo innocente in Iraq", mi ha detto, "essi hanno responsabilita' in ogni morte, perche' non stanno proteggendo gli iracheni, e l'occupazione fomenta la violenza". * Domani io lascero' la Giordania per andare a Camp Casey, a cercare di confrontarmi con George Bush sugli orrori delle sue politiche fallimentari in Medio Oriente. Abbiamo saputo che comincera' le sue vacanze laggiu' il 9 agosto. Munther commentava la cosa con me, ieri. Diceva che non poteva credere che George Bush non avesse ne' il coraggio ne' la cortesia di incontrarmi. Gli ho risposto: "Non ha neppure il coraggio di stare nella stessa citta' con me, ormai". Questo cowboy vigliacco ed i suoi amici, cosi' svelti nel condannare bambini ad una fine precoce, devono essere messi di fronte alla realta' dei loro crimini. Dobbiamo essere ostinati e perseveranti per la pace, nella pace, quanto essi lo sono per la guerra. Io non posso piu' sopportare di vedere altre innocenti Farrah ed altri innocenti Casey assassinati. Percio' domenica saro' di nuovo seduta in quel fossato, a ripetere la stessa domanda: "Perche'?". 2. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: CHI SI RIVEDE, MONSIEUR JOURDAIN Oh, il caro vecchio argomento del salto nel buio. Anche lei qui, mon cher ami? Quanto tempo era che non la sentivo questa celestiale musica: quando trent'anni e passa orsono chiedevamo profondi cambiamenti per inverare i diritti umani di tutti gli esseri umani, era il refrain preferito dei governanti di allora: nulla si puo' cambiare, volete forse che i cosacchi in piazza San Pietro abbeverino i cavalli? (ingenuo com'ero, una volta che capitai in San Pietro cercai questi grandi abbeveratoi, ma restai assai deluso). Chi avrebbe immaginato che tanti anni dopo ancor oggi chi governa il paese usasse di bel nuovo le medesime parole. Davvero, per un verso non si finisce mai di imparare, e per l'altro ogni giorno constati come il buon vecchio Qoelet non ne sbagliasse una. Ma una differenza c'e', in verita': i governanti di allora tramite i servizi cosiddetti deviati e i neofascisti all'uopo addestrati e armati tramavano per ammazzare noi; i governanti di oggi tramite l'esercito contribuiscono alla coalizione che ammazza gli afgani, che tanto sono lontani, e che non c'e' gran pericolo che ci raggiungano, giacche' il previdente governo Prodi d'antan ha pensato bene di riaprire nel '98 i campi di concentramento in cui recludere i migranti in fuga dalla guerra e dalla fame. * Diciamolo ancora una volta, chiaro e forte: la partecipazione militare italiana alla guerra afgana e' un crimine. E' un crimine poiche' la guerra sempre consiste nel far morire degli esseri umani, ed e' un crimine poiche' viola la Costituzione della Repubblica Italiana che la guerra ripudia. Almeno questo foglio continuera' a sostenere questa ineludibile verita': che la guerra e' un crimine, e chi la fa, chi la vota, chi la giustifica e la propaganda, e' un criminale e un complice di criminali. 3. RIFLESSIONE. UN PICCOLO PASSO La decisione governativa di proporre il dimezzamento del lasso di tempo per ottenere la cittadinanza italiana in quanto residenti in questo paese e' una buona cosa, sebbene cinque anni siano ancora un periodo esageratamente lungo. Ma la proposta e' del tutto inadeguata rispetto al nocciolo della questione del riconoscimento dei diritti ancora scandalosamente negati alle persone immigrate in Italia, che e' il seguente: a) va riconosciuto subito l'elettorato attivo e passivo a tutti i residenti per tutte le elezioni amministrative. Non vi sono impedimenti costituzionali a questo. Ed e' cosa assolutamente necessaria e urgente; b) vanno riconosciuti tutti i diritti sociali e di liberta' a tutti i residenti nel territorio italiano anche se non desiderino assumere la cittadinanza italiana e preferiscano mantenere quella del proprio paese d'origine; c) occore abolire tutti gli elementi razzisti e fascisti presenti nell'attuale normativa concernente gli immigrati: a cominciare dall'abolizione dei cosiddetti Centri di permanenza temporanea istituiti con la legge Turco-Napolitano, veri e propri campi di concentramento in flagrante contrasto con la Costituzione. 4. RIFLESSIONE. ANNALENA DI GIOVANNI INTERVISTA DOV KHENIN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 agosto 2006. Annalena Di Giovanni scrive sul quotidiano "Il manifesto". Dov Khenin (1958), politologo, giurista, ambientalista, e' parlamentare alla Knesset (il parlamento israeliano), ed e' impegnato contro la guerra] La prospettiva di un appoggio incondizionato della Knesset, il parlamento israeliano, al conflitto in Libano, si e' debolmente incrinata lunedi' scorso, quando una prima richiesta di interrogazione parlamentare e' stata avanzata e poi bocciata. Dov Khenin, parlamentare e rappresentante del partito Khadash, ne era stato il promotore. "E' stata una mozione estremamente minoritaria. A presentarla eravamo noi di Khadash, insieme a Tajammu e ad una coalizione formata da islamisti e minoranze etniche. Chiedevamo l'apertura di una inchiesta governativa su tre aspetti del conflitto in Libano. il primo di questi era il massacro del villaggio di Qana: vogliamo averne spiegazioni. il secondo punto riguardava il come ed il perche' si era deciso - a livello politico - di aprire un fronte in Libano ed entrare in guerra. Il terzo punto del quale chiedevamo conto era l'effettivo coinvolgimento americano nelle decisoni israeliane per quanto riguarda il conflitto in corso". * = Annalena Di Giovanni: Nell'interrogazione parlamentare erano menzionate le accuse provenute da piu' parti sulla supposta sperimentazione di nuovi tipi di armi contro la popolazione sia libanese che palestinese? - Dov Khenin: No. So che ong di medici per i diritti umani hanno chiesto un'inchiesta sul massacro di Qana, ma per quanto riguarda l'uso di armi non convenzionali, non essendo per ora in possesso di dati concreti, non sapremmo neanche in che termini formulare l'interrogazione parlamentare. * = Annalena Di Giovanni: Qual e' stata la replica del governo alla vostra interrogazione parlamentare? - Dov Khenin: Non e' arrivata al governo: era una bozza presentata da un gruppo minoritario di parlamentari. Il resto della Knesset l'ha immediatamente bocciata, sia maggioranza che opposizione. * = Annalena Di Giovanni: Vuol dire che il parlamento e' compatto a favore del conflitto? - Dov Khenin: Si puo' dire che almeno 110 dei membri della Knesset (il totale dei parlamentari e' 120, ndr) appoggiano in pieno la guerra in Libano. Siamo soltanto in dieci ad opporci. * = Annalena Di Giovanni: Oggi Olmert ha affermato che le infrastrutture di Hezbollah sono state distrutte dall'esercito israeliano. Qual e' la posizione del suo schieramento riguardo alla guerra in corso? - Dov Khenin: Non c'e' bisogno di essere un esperto per rendersi conto che sono le infrastrutture libanesi ad essere distrutte, non certo quelle di Hezbollah, che oltretutto ha visto crescere la propria popolarita' a livelli senza precedenti da quando sono cominciati i bombardamenti. La nostra posizione e' che finche' non si aprira' un autentico processo politico, l'escalation militare sara' l'unica disastrosa strada. Ne usciremo tutti sconfitti. Il primo grande sconfitto e' il processo di pace, e poi tutti i civili che ne subiscono e ne subiranno le conseguenze. * = Annalena Di Giovanni: La percezione e' che a guidare il governo israeliano ci siano due leaders deboli, che finiscono col seguire l'agenda dettata dall'esercito, particolarmente nella figura di Dan Halutz. Stupisce soprattutto il cambio di immagine di Peretz. - Dov Khenin: Peretz ha raccolto voti promettendo un cambiamento sociale, ma ci ha portato soltanto guerra. Quando ha deciso di affiancarsi ad Olmert, sapeva benissimo il genere di scelte che andava ad assecondare: sostanzialmente, spazzar via gli interlocutori palestinesi ed arabi, portando avanti scelte unilaterali. Peretz alla lunga non puo' pretendere di competere con i leaders della destra nazionalista. In definitiva, puo' darsi che l'esercito suggerisca le scelte del governo, e che l'America prema per portare avanti il conflitto ed estenderlo magari alla Siria; ma alla fine la responsabilita' ricade su chi decide a Gerusalemme. Sono loro che accettano le pressioni. * = Annalena Di Giovanni: Entrambi rivendicano un vantaggio, in questa guerra. Ma gli israeliani sono convinti di vincere? - Dov Khenin: Sono convinti di non avere scelta. Pensano che la guerra distruggera' Hezbollah, e che altrimenti Hezbollah distruggera' loro. Per questo appoggiano la guerra. Ma allo stesso modo, l'opposizione contro la guerra cresce di giorno in giorno. Sabato erano in cinquemila a Tel Aviv a manifestare contro le operazioni in Libano; dopotutto, fu cosi' che, negli anni '80, riuscimmo a spingere per il ritiro dal Libano. Speriamo di farcela anche stavolta. 5. DOCUMENTAZIONE. EMANUELE FIANO: QUESTA SCIA DI MORTE DEVE FINIRE [Dal quotidiano "Liberazione" del 4 agosto 2006. Ci sembra opportuno proporre alla riflessione delle lettrici e dei lettori questo appassionato e sincero intervento di un autorevole intellettuale e militante democratico impegnato per la pace, anche se evidentemente alcune tesi in esso sostenute ci trovano in profondo dissenso: ma e' solo ascoltando la voce di chi esprime punti di vista diversi - e per quanto essi possano addolorarci - che si puo' raggiungere una reciproca comprensione, base necessaria per costruire pace e convivenza: e sappiamo che in questo impegno per la pace e la convivenza Emanuele Fiano e' da sempre pienamente impegnato (p. s.). Emanuele Fiano, nato a Milano nel 1963, e' figlio del sopravvissuto e testimone della Shoah Nedo Fiano; architetto, gia' presidente della Comunita' ebraica milanese, ha promosso numerose iniziative per l'incontro e la convivenza multiculturale, come la creazione del "Giardino dei Giusti" al Monte Stella, l'istituzione della giornata contro la pena di morte e numerose iniziative per il dialogo tra israeliani e palestinesi; gia' capogruppo Ds al Consiglio comunale di Milano, e' attualmente deputato dell'Ulivo e segretario di "Sinistra per Israele"] Caro direttore, morti, distruzioni, missili, guerra e pace in Medio Oriente, da dove comincio? Quale parte di me devo prima coinvolgere per offrire ai lettori di "Liberazione" un punto di vista che sicuramente risultera' avverso o provocatorio per la maggior parte di loro? Comincio dalla testa, dalla razionalita', perche' non voglio che i miei sentimenti di ebreo comunque vicino a Israele e alla difesa della sua esistenza, e per di piu' parlamentare di sinistra e quindi esposto a possibili critiche di incoerenza con altri atteggiamenti nel mio schieramento, possano in qualche modo farmi scudo se pronuncio idee non condivise: vorrei che il confronto fosse razionale e non emotivo. 1) Israele, nella guerra in Libano, difende se stesso, i suoi abitanti e il suo territorio dall'aggressione di un nemico spietato, votato alla sua distruzione, emissario politico-militare del pan-sciismo iraniano di Ahmadinejad, unico leader mondiale vivente sinceramente antisemita, negazionista della Shoah e profeta della distruzione di Israele; 2) la mia opinione e' che Israele combatta una guerra anche per l'Occidente che - consapevole o no - incontra nel rischio-Iran, con la sua corsa alle armi non convenzionali, nel suo proporsi come leader di un movimento sciita anti-occidentale, un rischio mortale di cui le milizie armate di Hezbollah sono l'avanguardia; 3) la questione "sproporzionale": la linea di politica estera del governo Prodi, si e' configurata in queste settimane, con coraggio e coerenza, seguendo quattro principi: a) l'inizio della crisi Libano/Israele e' dovuta all'aggressione Hezbollah; b) Israele ha diritto di reagire e di difendere la sua sopravvivenza; c) la reazione di Israele e' sproporzionata in rapporto alla quantita' di vita umane innocenti perse e alla distruzione di infrastrutture civili; d) la reazione di Israele e i missili di Hezbollah devono ora fermarsi per permettere poi l'interposizione di una forza di pace internazionale. Condivido i primi due punti. Sul terzo punto condivido lo sgomento per i morti civili di qualsiasi nazionalita' e per il peso distruttivo che la struttura civile del Libano ha dovuto sopportare. Il mio dolore per quei morti e' sincero, il mio cordoglio totale. Resta tuttavia inevasa la domanda che ho rivolto da tempo: come si combatte una guerriglia armata fino ai denti, capace di colpire obiettivi civili da grande distanza, che non ha nessuna legittima rivendicazione territoriale da avanzare? Come si combatte chi spara missili mortali dall'interno di un complesso residenziale civile? Come si contrasta chi nasconde gli armamenti in gallerie situate sotto villaggi i cui accessi sono all'interno delle abitazioni? Certo, nessuno togliera' mai dai nostri occhi le immagini dei bambini innocenti morti a Cana, uccisi dal bombardamento israeliano, nessuno potra' mai scusarsi abbastanza, nessuno potra' giustificare, cosi' come nessuno dovrebbe mai sostenere inutilmente che esistono guerre chirurgiche, bombe intelligenti o tecnologie belliche non-invasive. * Qualche anno fa, nei bombardamenti della Nato sul Kosovo i morti civili furono centinaia e centinaia, come ben sanno i lettori di "Liberazione". Il governo italiano considero' quell'intervento legittimato da uno scopo umanitario, che anch'io condivisi: il che dimostra che vi sono casi in cui l'uso della forza, ancorche' devastante, puo' esser legittimato anche da governi di centrosinistra. Se si condivide quindi il diritto di Israele a reagire, rimane aperta - non retoricamente e con tutta la consapevolezza del dramma della perdita di vite umane innocenti - la domanda sul come si combatta la guerriglia che si nasconde tra i civili, o addirittura si fa scudo di essi. Tuttavia questa domanda senza risposta non ridara' la vita a coloro che muoiono senza colpa in Libano, in Israele, in Palestina. Ma questa scia di morte deve finire. A questo serve la politica. * Ma mentre mi e' chiaro perfettamente il finale che vorrei fosse scritto quanto prima per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, e cioe' la nascita di uno stato palestinese in pace, accanto allo stato di Israele, con confini coincidenti con quelli precedenti all'occupazione del 1967, e quindi con la liberazione di quei territori da parte di Israele, non mi e' affatto chiaro di quale sia il quadro finale dell'eventuale processo politico che dovesse prendere il posto del conflitto tra Israele e Hezbollah. Vi sono domande su questo punto che non possono essere taciute: l'Iran e la Siria vogliono veramente un Medio Oriente pacificato? Non credo, ma cio' non mi impedisce di ritenere che vada perseguita comunque la strada di un cessate il fuoco con interposizione internazionale. L'unica soluzione che riesco a immaginare per il confine nord di Israele e' quella di una separazione forzata, con disarmo di Hezbollah. Detto questo pero' nessuno puo' dimenticare l'altro conflitto. I palestinesi, le cui condizioni umanitarie, sociali, economiche, nei Territori sono drammatiche e non piu' sopportabili, sono disponibili una volta per tutte, con il governo di Hamas, a rifiutare il terrorismo e a riconoscere Israele? Israele e' disponibile a trattare con Hamas e Abu Mazen sulla base di un mutuo riconoscimento, sulla base di un percorso interrotto che prevedeva territori in cambio di pace, e oggi eventualmente di interposizione di forze internazionali? Tra Israele e palestinesi serve la riapertura di un tavolo politico di trattativa, tra Israele e Hezbollah serve il disarmo di Hezbollah e poi la separazione forzata. * Ho lasciato per ultimo il mio cuore: ma non lo dimentico, anche se non pretendo di esprimere opinioni dimostrabili. Il cuore mi dice che Israele fa la guerra perche' vuole la pace, Israele non ama la guerra, non ci sono feste in Israele per i 350.000 sfollati, per i 30.000 soldati al fronte, non ci sono feste per i bambini uccisi a Cana, a Tiro, a Beirut o a Gaza: e ovviamente non ci sono feste per i morti e i feriti di Haifa, Zfat o Kiriat Shmona. Gli israeliani, quelli con cui parlo io ogni giorno, che vivono al nord, che da settimane vivono nei rifugi, bombardati dai katiusha ogni giorno e non solo da quando e' scoppiata la guerra, che piangono la notte per i loro ragazzi al fronte, i miei amici che furono in piazza per fermare la guerra del 1982, che appoggiavano la pace di Rabin e Arafat, costoro che insieme a Amos Oz, a Avraham B. Yehoshua, David Grossmann, furono la frusta morale di quell'Israele che non capiva la necessita', allora, di una trattativa con i palestinesi. Anche quell'Israele e' oggi con il governo dalla parte di una guerra per la sopravvivenza, guerra devastante per il Libano e per i libanesi, e' vero, guerra con troppi morti innocenti, morti per i quali il nostro cordoglio non va mai fatto mancare, ma guerra di sopravvivenza. Io credo che israeliani e palestinesi vogliano in maggioranza la pace e che ne abbiano diritto. A questo diritto va data una risposta il piu' rapidamente possibile perche' il diritto non salvaguardato diventa rabbia, odio e guerra. Ma l'Occidente - anche quando legittimamente critichi certe scelte del governo israeliano - non deve isolare Israele e gli ebrei che nel mondo ne difendono i diritti. Gli ebrei non controbattano qualsiasi critica al governo di Israele con la controaccusa di antisemitismo. Israele non dimentichi mai le parole di Rabin: "Continueremo il processo di pace come se i terroristi non esistessero; combatteremo i terroristi con tutte le nostre forze come se non esistesse il processo di pace". 6. RIFLESSIONE. PEPPE SINI, TOMAS STOCKMANN: UN'OBIEZIONE AL TESTO CHE PRECEDE Siamo contrari a ogni guerra. E siamo contrari ad ogni terrorismo. Alcune delle opinioni sostenute nel testo che precede ci trovano pertanto del tutto contrari: dal nostro punto di vista, infatti, ne' la guerra della Nato contro la Jugoslavia del 1999, ne' quelle attualmente in corso in Medio Oriente e in Afghanistan, sono ammissibili. Il che non significa che il terrorismo non vada contrastato: ma la guerra e' essa stessa terrorismo e alimentatrice di terrorismo ulteriore. Pensiamo che solo la scelta della nonviolenza, da parte delle persone e dei popoli ma anche (e decisivamente) da parte degli ordinamenti giuridici, sia adeguata a inverare civile convivenza e riconoscimento di umanita' per tutti gli esseri umani, sia adeguata a contrastare tutte le uccisioni. Ma mentre pensiamo che sia necessario procedere in questa direzione rifiutiamo l'ipocrisia di chi non riconosce ad altri i diritti che rivendica per se'. E ci pare che molta retorica corrente nella parte piu' ambigua del cosiddetto movimento pacifista e della solidarieta' internazionale (la parte parastatale, burocratica e carrierista, e quella flagrantemente militarista, squadrista e violentista) sia peggio che superficiale e ignorante, sia retorica disonesta e criminale. Che la popolazione israeliana sia aggredita dal terrorismo e' una verita'. Che agiscano nel Medio Oriente forze politiche e regimi statali che hanno nella loro agenda o nella loro propaganda la distruzione di Israele e il genocidio della popolazione ebraica e' una verita'. Come e' una verita' che il popolo palestinese e' ferocemente oppresso dall'occupazione israeliana dei Territori. Come e' una verita' che i bombardamenti, le devastazioni e gli omicidi mirati da parte dell'esercito israeliano in Libano e nei Territori palestinesi costituiscono a tutti gli effetti crimini di guerra e crimini contro l'umanita'. Ne consegue dal nostro punto di vista che ogni solidarieta' con le vittime del terrorismo e della guerra per essere credibile e quindi efficace non puo' essere strabica o reticente: deve solidarizzare con tutte le vittime, deve puntare a salvare tutte le vite, deve sostenere tutte le forze di pace, deve contrastare tutte le organizzazioni assassine. Noi siamo solidali allo stesso modo con la popolazione israeliana, come con quella palestinese, come con quella libanese. E pensiamo che la solidarieta' internazionale debba attivarsi per aiutare tutte le vittime. Ci opponiamo a tutte le azioni terroriste e belliche. Chiediamo pace, sicurezza, convivenza per i popoli e per gli stati di Israele, Libano, Palestina. Crediamo che la nascita dello stato palestinese, con la cessazione dell'occupazione israeliana, sia il passo decisivo da compiere adesso. Crediamo che il riconoscimento esplicito ed ufficiale dell'esistenza di Israele - e del suo diritto alla sicurezza - sia il passo che deve essere compiuto subito e senza reticenze da parte di tutti gli stati e le forze politiche legali dell'area mediorientale. Crediamo che il cessate il fuoco su tutti i fronti sia la richiesta urgente dell'umanita' intera. 7. RIFLESSIONE. NANNI SALIO: IL PACIFISMO E' MORTO? [Ringraziamo Nanni Salio (per contatti: info at cssr-pas.org) per questo intervento. Almeno su un punto di esso che puo' dar luogo a un grave equivoco ci sembra necessario segnalare un netto dissenso: laddove l'autore scrive: "Bene, voi inviate i militari in Afghanistan, ma contemporaneamente vi chiediamo di stanziare cento milioni di euro... per costruire qui e ora e non domani, dopodomani, mai, i Corpi civili di pace con tutti gli annessi e connessi". No, non e' mai ammissibile cedere alla guerra, ed accettare la guerra in cambio di quattro baiocchi sarebbe la piu' ignobile delle rese e la piu' laida delle complicita': e' ovvio che non e' questo l'intendimento dell'autore, ma la frase cosi' formulata potrebbe prestarsi purtroppo al grave equivoco, equivoco reso piu' grave dal fatto che in queste settimane anche autorevoli personalita' una volta impegnate per la pace hanno fatto propria la scellerata retorica della bonta' della criminale partecipazione italiana alla guerra afgana e si sono volontariamente asservite a sostenerla (p. s.). Giovanni (Nanni) Salio, torinese, nato nel 1943, ricercatore nella facolta' di Fisica dell'Universita' di Torino, segretario dell'Ipri (Italian Peace Research Institute), si occupa da alcuni decenni di ricerca, educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli della cultura nonviolenta in Italia; e' il fondatore e presidente del Centro studi "Domenico Sereno Regis", dotato di ricca biblioteca ed emeroteca specializzate su pace, ambiente, sviluppo (sede: via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824 - 011549005, fax: 0115158000, e-mail: regis at arpnet.it, sito: www.cssr-pas.org). Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, II edizione riveduta, Perugia 1983; Ipri (a cura di Giovanni Salio), Se vuoi la pace educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; con Antonino Drago, Scienza e guerra: i fisici contro la guerra nucleare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Le centrali nucleari e la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Progetto di educazione alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Ipri (introduzione e cura di Giovanni Salio), I movimenti per la pace, vol. I. Le ragioni e il futuro, vol. II. Gli attori principali, vol. III. Una prospettiva mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Le guerre del Golfo e le ragioni della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991; con altri, Domenico Sereno Regis, Satyagraha, Torino 1994; Il potere della nonviolenza: dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento, Verona 2001; con D. Filippone, G. Martignetti, S. Procopio, Internet per l'ambiente, Utet, Torino 2001] Il pacifismo e' sempre vivo e sempre morto Guardando il grafico elaborato da Nigel Young, ci rendiamo facilmente conto che, in una prospettiva storica, il pacifismo e' sempre stato vivo e morto al tempo stesso. [Segue un grafico sui livelli di partecipazione nei movimenti per la pace di massa dal 1815 al 1979, che qui non possiamo riprodurre, che raffigura l'alternarsi tra elevata e scarsa mobilitazione; al grafico fa seguito la seguente nota dell'autore: "(Tratto da: G. Salio, Il potere della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995, p.138. Il grafico si ferma alla fine degli anni '70, ma cio' che e' avvenuto dopo e' sostanzialmente identico, anche se il picco del 15 febbraio 2003 e' il piu' alto in assoluto)"]. Le grandi mobilitazioni contro le guerre, incipienti o in corso, non sono quasi mai riuscite a impedirle. Di certo non hanno impedito le piu' disastrose, anche se esistono alcuni esempi di interposizione, soprattutto di gruppi di donne, che hanno evitato scontri violenti tra fazioni opposte. Al piu', come in Vietnam, ne hanno accelerato la fine, dopo che il prezzo pagato in termini di vite umane, risorse distrutte e danni economici ha raggiunto livelli non piu' sostenibili. Secondo alcuni commentatori, la protesta contro la guerra in Vietnam ha avuto successo quando "Wall Street e' scesa in piazza". Siamo tutti pacifisti e "passifiste" come dicono i francesi, cioe' passivi. Tutti vorremmo una pace che non richiede impegno, che viene da se', vorremmo essere "lasciati in pace". E' un'aspirazione comprensibile e persino condivisibile, ma purtroppo il mondo non e' cosi'. Bastano piccole minoranze al potere e piccole minoranze armate, per mettere a ferro e a fuoco intere regioni e in prospettiva il mondo intero. Queste minoranze, questi bulli, hanno una ideologia militarista che li sprona, sono determinati, hanno un'agenda politica precisa, che intendono realizzare costi quel che costi. Di fronte a simili avversari il puro e semplice pacifismo non basta. E tanto meno la retorica della pace e le mobilitazioni su larga scala, da "seconda potenza mondiale", che si limitano a fare il primo passo dell'azione, quella della protesta generica di massa. * L'azione nonviolenta Come dovrebbe essere ormai ben noto, il XX secolo non e' stato solo il piu' violento della storia, ma anche quello nel corso del quale si sono sviluppate grandiose lotte nonviolente coronate da successo. Il progetto A force more powerful, curato dal centro di ricerca che fa capo a Gene Sharp e' un utilissimo strumento per far conoscere questa storia spesso dimenticata e occultata e per trarne la debita lezione, che si applica anche ai giorni nostri (si vedano i numeri di "Azione nonviolenta", da gennaio a luglio 2006). Per sintetizzare, come sostiene Michael Nagler: "la guerra talvolta funziona, ma non e' mai efficace. La nonviolenza talvolta funziona, ma e' sempre efficace". (Michael Nagler, Per un futuro nonviolento, Ponte alle grazie, Firenze 2005). E' di qui che dobbiamo iniziare, se non vogliamo cadere nelle faticose e spesso inconcludenti polemiche che hanno caratterizzato il dibattito sul voto pro o contro l'intervento in Afghanistan e la questione dello stato di salute del movimento per la pace. La lezione che si puo' trarre dalle lotte nonviolente guidate dai grandi maestri (Gandhi, King, Mandela, Capitini) e' che "ci sono alternative". Ma queste alternative vanno preparate per tempo, non si possono improvvisare, richiedono impegno, determinazione, chiarezza di obiettivi, risorse. * Una politica dell'azione nonviolenta Paradossalmente, e' stato meno difficile, storicamente, "abbattere un dittatore" con una lotta nonviolenta che far cambiare politica economica e militare a un governo eletto democraticamente (si veda a tale proposito il documentario Bringing Down A Dictator, che completa la serie di video del progetto A force more Powerful, sull'azione del movimento Otpor che ha portato alla caduta del governo Milosevic in Jugoslavia: questione complessa e controversa, per le accuse di sostegno se non di connivenza con gruppi Usa finanziati non solo da Soros ma anche dalla Cia, ma che merita comunque attenzione). Nel primo caso l'obiettivo e' chiaro, ben individuato, l'oppressione colpisce direttamente larghi settori della popolazione e pertanto favorisce la crescita di un ampio movimento di opposizione, come e' avvenuto nelle lotte contro l'apartheid in Sudafrica e negli Usa, o per la liberazione dell'India dal dominio inglese. Per cambiare una politica economica o militare bisogna invece procedere per singoli obiettivi, che possono apparire minimi e non sempre raccolgono un grande consenso. Nel corso della lotta, pochi sono disposti a passare alla disobbedienza civile, pagando il prezzo che essa comporta, carcere compreso. Le bombe che cadono in Afghanistan, in Palestina, in Iraq o in Libano sono lontane da noi. Ne siamo colpiti moralmente ma non materialmente. La nostra indignazione non basta: possiamo andare tranquillamente al mare e l'azione di generica protesta verra' posticipata a dopo le vacanze. Ben vengano comunque le grandi manifestazioni di milioni di persone (Roma, 15 febbraio 2003), purche' poi non ci si limiti a congratularsi e ad andare "tutti a casa". E non basta neppure esporre la bandiera della pace da tutti i balconi. Occorre alzare il livello della lotta, passando, se necessario, alla disobbedienza civile. Se i tifosi di quello squallido mercato sportivo chiamato calcio sono capaci di bloccare le linee ferroviarie in cinquantamila, senza pagare alcun prezzo e impedendo di fatto qualsiasi intervento della polizia, perche' mai il movimento per la pace non e' stato capace di attivarsi assediando il parlamento per impedire di inviare i nostri militari in Iraq, in spregio a qualsiasi diritto costituzionale e internazionale? Ma ci sono riusciti in Turchia, paese che non brilla certo in quanto a democrazia. Il pacifismo e la nonviolenza "della domenica" non impediranno mai alla colossale macchina della guerra, che funziona ventiquattr'ore al giorno, con i nostri soldi, di entrare in azione quando un manipolo di politici e/o di militari lo decida. Senza una chiara e condivisa politica della nonviolenza, il movimento per la pace e' destinato a restare intrappolato negli happening delle manifestazioni piu' o meno grandi e degli slogan piu' o meno d'effetto. Come sostiene Galtung, il movimento per la pace, soprattutto italiano, e' un movimento "estetizzante". Puo' essere una bella cosa, ma non basta. * Progettare la transizione Il movimento per la pace e' un "movimento che non c'e'" o, se vogliamo essere generosi, che "non c'e' ancora". Esiste invece una serie di molteplici gruppi, associazioni, comitati, che procedono in ordine sparso, promuovendo anche iniziative egregie che tuttavia non riescono a incidere a livello di decisioni politiche collettive. Qualcuno sa indicare qual e' il programma del movimento per la pace, quali i suoi obiettivi concreti, non generici, sottoscritti da chi e come? I punti nodali, intrecciati e inseparabili, sono il modello di difesa e il modello di sviluppo. Entrambi debbono essere modificati, se si vuole incidere sulle cause profonde che alimentano le guerre in corso e creano le condizioni per quelle future. Per far cio' occorre progettare sia la transizione da uno sviluppo centrato sulla crescita e su un sistema energetico non sostenibile a un modello di economia nonviolenta, equo e sostenibile, per le popolazioni odierne quanto per quelle future, basato su fonti energetiche rinnovabili, sia la transizione dall'attuale modello di difesa offensivo a un modello esclusivamente difensivo (transarmo) che consenta di sviluppare man mano la difesa popolare nonviolenta sino alla completa sostituzione del modello militare. Ma per costruire queste alternative occorre individuare obiettivi specifici e predisporre il sistema logistico per conseguirli, ovvero passare dallo spontaneismo a una politica dal basso, partecipata, organizzata, indipendente da tutte quelle forze politiche che invece inseguono i falsi e pericolosi miti di una modernita' decadente. Concretamente, tutto cio' significa che il movimento dovrebbe concentrare le proprie modeste energie per condurre delle campagne mirate a ottenere alcuni primi obiettivi intermedi. Per esempio: riduzione delle spese militari del 5% all'anno e utilizzo dei fondi per la costruzione dei Corpi civili di pace (in sigla: Ccp), promuovendoli sia a livello italiano, sia europeo e delle Nazioni Unite. Ma i Ccp non nascono da soli: richiedono scuole, corsi di formazioni, centri di ricerca. L'esperienza fallimentare del "Comitato consultivo per la difesa civile e non armata" insegna, tra le altre cose, che questi obiettivi sono scarsamente condivisi nell'ambito dei movimenti di base, compreso quello per la pace. C'e' poca consapevolezza dell'importanza di una transizione a un modello alternativo. Nel dibattito parlamentare sulla questione Afghanistan quasi nessuno ha sollevato questo punto. E anche qui, molto concretamente, per rispondere a coloro che ritengono sprezzantemente che i "pacifisti" dicano solo delle "sciocchezze" occorre ribadire che per costruire una alternativa bisogna "mettere mano al portafoglio". Bene, voi inviate i militari in Afghanistan, ma contemporaneamente vi chiediamo di stanziare cento milioni di euro (questa si' una "sciocchezza" per il bilancio dello stato e rispetto al bilancio delle spese militari) per costruire qui e ora e non domani, dopodomani, mai, i Corpi civili di pace con tutti gli annessi e connessi. Altrimenti, le "sciocchezze" continuiamo a raccontarcele a vicenda. E la stessa cosa si puo' dire per il modello di sviluppo. Coloro che continuano a parlare di crescita economica hanno l'obbligo morale e scientifico di dimostrare che essa e' compatibile con i limiti di un pianeta finito e con l'esigenza di equita' verso tutti gli esseri viventi e intergenerazionale. L'attuale sistema energetico, basato sui combustibili fossili, e' arrivato al capolinea. Volenti o nolenti dobbiamo programmare al piu' presto una efficace transizione se non vogliamo che il sistema ci crolli addosso con una implosione catastrofica. I progetti, i centri di ricerca, le idee non mancano di certo e sono di patrimonio molto piu' diffuso rispetto alla questione militare che sembra bloccata sul piano mentale e ideativo. Oltre all'esempio concreto ed efficace di paesi virtuosi come la Germania e la Danimarca, si possono segnalare il progetto di legge 784 presentato l'11 luglio scorso (primo firmatario Ronchi) e piu' in generale la campagna per un "Contratto mondiale sull'energia e il clima", che richiama quella lanciata anni fa per l'acqua (si veda il bel libriccino Energia, rinnovabilita', democrazia, Edizioni Punto Rosso, Milano 2005). Il bicchiere e' sempre mezzo pieno e mezzo vuoto. Ogni tanto e' utile vedere la parte vuota per fare autocritica e individuare nuove linee di azione, ma poi occorre anche fare l'inventario delle moltissime cose che riempiono l'altra meta'. E allora ci si accorge che esistono anche i militari che disobbediscono agli ordini, per ragioni di coscienza (dai refusnik israeliani agli obiettori statunitensi, vedi Courage to Resist, newsletter di sostegno degli obiettori militari, tra i quali spicca il caso del luogotenente Ehren Watada, www.thankyoult.org); le donne come Cindy Sheehan che assediano il ranch di Bush; i ploughshares che, interpretando alla lettera la profezia di Isaia 2, 4: "Muteranno le loro spade in aratri e le loro lance in falci; una nazione non alzera' la spada contro un'altra, e non praticheranno piu' la guerra", entrano nelle basi militari per distruggere e manomettere le autentiche armi di distruzione di massa (dal nostro Turi Vaccaro ai preti e alle suore statunitensi, sulla scia dei fratelli Berrigan): la rete gia' esistente di Corpi civili di pace (www.reteccp.org) e le molteplici lotte contro l'attuale modello distruttivo, dai no-Tav alle donne indiane del movimento contro le dighe del Narmada, a tanti altri. E ritorna la speranza, unita alla necessita' di un impegno quotidiano, costruttivo, per creare fiducia, organizzazione, capacita' di lottare serenamente, senza cadere nella sindrome autodistruttiva del burn out. * Conflitti Operativamente, la nonviolenza e' l'arte di trasformare costruttivamente i conflitti, dal micro al macro, intesi non come sinonimo di violenza, ne' tanto meno di guerra, ma come occasioni che si ripresentano incessantemente nella nostra vita, individuale e collettiva, che ci pongono di fronte a un bivio: da un lato l'opportunita' di una crescita costruttiva, dall'altra la deriva verso la distruttivita'. Ma come tutte le arti, come tutte le buone pratiche, anche questa non viene spontaneamente da se': bisogna coltivarla, giorno dopo giorno, passo dopo passo, rialzandosi dopo le cadute. E gli attivisti dei movimenti debbono imparare ad affrontare costruttivamente anche i conflitti interni alle proprie organizzazioni e tra le organizzazioni, oltre ai conflitti interiori, dentro ognuno di noi. Non ci sono solo avversari esterni, ma la lotta e' dentro di noi. La nostra debolezza deriva anche da questa scarsa capacita' di lavorare su di noi, individualmente e collettivamente. Abbiamo accumulato molta esperienza, ma non ne facciamo tesoro e continuiamo a comportarci da dilettanti, oppure ci limitiamo alle dispute filosofiche, importanti ma insufficienti. Forse ci sono molti "scienziati per la pace", molti "generali", e pochi "ingegneri per la pace", pochi "operatori per la pace". C'e' bisogno di un lavoro quotidiano, tutti i giorni, tutto il giorno, dentro strutture autogestite, che possano essere uno stimolo continuo per fare ricerca, formazione, educazione e progettare/attuare l'azione diretta nonviolenta. Ce n'e' quanto basta per impegnare seriamente e concretamente tutta quanta la nostra vita, senza perderci nelle nostre nevrosi da impotenza. * Il tempo stringe Da un lato, dobbiamo continuare a fare i "profeti di sventura", consapevoli di quanto ci suggerisce Guenther Anders in una bella parabola: "Noe' era stanco di fare il profeta di sventura e di annunciare incessantemente una catastrofe che non arrivava e che nessuno prendeva sul serio. Un giorno, si vesti' di un vecchio sacco e si sparse della cenere sul capo. Questo gesto era consentito solo a chi piangeva il proprio figlio diletto o la sposa. Vestito dell'abito della verita', attore del dolore, ritorno' in citta', deciso a volgere a proprio vantaggio la curiosita', la cattiveria e la superstizione degli abitanti. Ben presto ebbe radunato attorno a se' una piccola folla curiosa e le domande cominciarono ad affiorare. Gli venne chiesto se qualcuno era morto e chi era il morto. Noe' rispose che erano morti in molti e, con gran divertimento di quanti lo ascoltavano, che quei morti erano loro. Quando gli fu chiesto quando si era verificata la catastrofe, egli rispose: domani. Approfittando quindi dell'attenzione e dello sgomento, Noe' si erse in tutta la sua altezza e prese a parlare: dopodomani il diluvio sara' una cosa che sara' stata. E quando il diluvio sara' stato, non sara' mai esistito. Quando il diluvio avra' trascinato via tutto cio' che c'e', tutto cio' che sara' stato, sara' troppo tardi per ricordarsene, perche' non ci sara' piu' nessuno. Allora, non ci saranno piu' differenze tra i morti e coloro che li piangono. Se sono venuto davanti a voi, e' per invertire i tempi, e' per piangere oggi i morti di domani. Dopodomani sara' troppo tardi. Dopo di che se ne torno' a casa, si sbarazzo' del suo abito, della cenere che gli ricopriva il capo, e ando' nel suo laboratorio. A sera, un carpentiere busso' alla sua porta e gli disse: lascia che ti aiuti a costruire l'arca, perche' quello che hai detto diventi falso. Piu' tardi, un copritetto si aggiunse ai due dicendo: piove sulle montagne, lasciate che vi aiuti, perche' quello che hai detto diventi falso" (Citato da Jean-Pierre Dupuy, Piccola metafisica degli tsunami. Male e responsabilita' nelle catastrofi del nostro tempo, Donzelli, Roma 2006, pp. 8-9). Ma al tempo stesso non dobbiamo lasciarci travolgere dall'ansia che, negli ultimi tempi della sua vita, ha contagiato lo stesso Anders, secondo il quale "la risposta nonviolenta e' obsoleta, e' inefficace perche' sono fiacchissime le sue azioni rispetto alla terrificante capacita' di portar morte che ha la sua controparte..." (in: Goffredo Fofi, Da pochi a pochi, Eleuthera, Milano 2006, p. 137). Il tempo stringe e grande e' la nostra responsabilita' per non lasciar che le profezie negative si autoavverino. La strada da percorrere ci e' stata indicata dai grandi maestri che ci hanno preceduto e dagli innumerevoli testimoni e attivisti che anche oggi operano quotidianamente nei movimenti di base. Sta a noi accelerare il passo per realizzare l'arca prima che cominci il diluvio. 8. LE ULTIME COSE. LUCIANO BONFRATE: A CHI SI E' ARRESO La cosa la piu' triste e la piu' buffa sono quelli che votano per la guerra sostenendo di farlo per opporsi alla guerra. No, la cosa piu' buffa e piu' triste sono quelli che neppure votano eppure tanto si sono sbracciati perche' proseguisse la partecipazione alla guerra. No, no, la cosa piu' sordida e demente sono quelli che dicono che quelli che si oppongono alla guerra sono quelli i veri guerrafondai, gli autentici stragisti: perche' alla guerra opponendosi aiutano non si sa bene cosa ma certo qualcosa di immondo e di contrario al mondo libero, al libero mercato, all'impero del bene. E' prevista la mancia competente in incarichi, in biglietti, in comparsate. Chi vuole verra' iscritto nel corteo dei caudatari dei maggiori dignitari. Per tutti un bel viaggio-premio a Disneyland o a Saigon, a scelta. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1379 del 6 agosto 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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