La nonviolenza e' in cammino. 1379



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1379 del 6 agosto 2006

Sommario di questo numero:
1. Cindy Sheehan: Perche'?
2. Severino Vardacampi: Chi si rivede, monsieur Jourdain
3. Un piccolo passo
4. Annalena Di Giovanni intervista Dov Khenin
5. Emanuele Fiano: Questa scia di morte deve finire
6. Peppe Sini, Tomas Stockmann: Un'obiezione al testo che precede
7. Nanni Salio: Il pacifismo e' morto?
8. Luciano Bonfrate: A chi si e' arreso
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: PERCHE'?
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a dsposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Cindy Sheehan, giunta al suo trentaduesimo giorno di digiuno contro la
guerra. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per
tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in
cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli
per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e
alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio
movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro
Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel
sito www.koabooks.com]

Il mio viaggio verso la Giordania dall'aeroporto John Fitzgerald Kennedy a
New York, e' cominciato con sapore mediorientale ieri. Mentre mi trovavo
ancora all'aeroporto, infatti, un signore mi si e' avvicinato. Era un
profugo iracheno, che ora vive in Giordania. Mi ha riconosciuta, e mi ha
detto che era onorato di conoscermi e grato per il mio impegno, ma voleva
anche trasmettermi qualcosa. Ha detto che il popolo iracheno e' riconoscente
per cio' che il movimento pacifista sta facendo negli Usa per porre fine
all'occupazione, ma che per il suo paese era ormai "troppo tardi".
Ha aggiunto che chiunque poteva andarsene lo aveva fatto, e che la maggior
parte del suo paese era al di la' delle possibilita' di ricostruzione. La
leggendaria Babilonia, che e' esistita per secoli e secoli, non e' durata
tre anni dopo che ci sono arrivati gli americani. Centinaia di migliaia di
iracheni morti, da aggiungere all'oltre un milione di quelli che sono morti
durante il periodo delle sanzioni.
Il signore mi ha informato tristemente che gli americani non stanno facendo
nulla per fermare la violenza settaria in Iraq,e  che anzi la incoraggiano,
e che lui aveva ormai ben poca speranza per il futuro del paese in cui e'
nato e che ama.
*
All'aeroporto Queen Alia di Amman, io e il mio gruppo siamo stati accolti da
Munther, che ha lavorato con il governo giordano e come consulente per le
ong per molti anni. E' stato uno dei facilitatori che aiutarono, nel 1999,
ad arrivare all'accordo di pace fra Giordania e Israele. E' un esperto per
tutto cio' che riguarda l'acqua e l'agricoltura. Si ritiene fortunato a
vivere in Giordania con la sua famiglia, ma in passato gli hanno sparato, ed
hanno persino lanciato razzi sulla sua casa, a causa del suo impegno
pacifista. Munther capisce bene che una pace vera e duratura non puo' essere
raggiunta tramite una guerra eterna, ed ha pagato un duro prezzo per i suoi
convincimenti.
*
Ma la testimonianza piu' terribile del giorno e' stata quella della
dottoressa Nada, una medica irachena che e' rimasta a Baghdad ad aiutare la
sua gente durante il periodo delle sanzioni e poi durante l'invasione.
Primario in un grande ospedale di Baghdad, la dottoressa Nada dice che le
sanzioni hanno ucciso due milioni di bambini. I piccoli morivano per
l'uranio impoverito lasciato dal primo errore del Golfo compiuto dal primo
George. Morivano di guerra, di inquinamento e malattie, ma anche perche' non
c'erano medicine con cui curarli.
All'incontro, la dottoressa ha portato con se' la piccola Farrah, di tre
anni, figlia di un'amica. Una bimba dai corti capelli scuri e dai grandi
occhi castani. C'erano un mucchio di bambini all'aeroporto Queen Alia ieri,
e dozzine di essi che giocavano attorno all'albergo. Il mio cuore scoppia
dal dolore quando penso a tutti i piccoli in Iraq, in Palestina, in Libano,
che vivono esistenze orribili e la cui vita viene troncata dalla malvagia
macchina della guerra che sembra dirigere il nostro mondo.
La dottoressa Nada ci ha raccontato dei sette giorni strazianti che ha
passato in un pronto soccorso di Baghdad, dal 2 al 9 aprile del 2003. Cento
persone ferite all'ora arrivavano all'ospedale, e molte sono morte perche'
non era possibile soccorrerle in tempo. La dottoressa Nada era responsabile
del "triage" e doveva continuare a lavorare sapendo che il paziente numero
cento di quell'ora sarebbe quasi certamente morto. Le persone operate
venivano stipate nelle sale d'aspetto, e neppure identificate. La dottoressa
ha detto che ricorda quel periodo come "parti amputate di corpi che
nuotavano in un mare di sangue". Lei e' rimasta in Iraq per tutti quegli
anni, ma ora vive in Giordania. Non poteva piu' sopportare la continua
violenza delle milizie, delle squadre delle morte, i rapimenti, e tutto il
resto. "Anche se gli americani non avessero ucciso un solo innocente in
Iraq", mi ha detto, "essi hanno responsabilita' in ogni morte, perche' non
stanno proteggendo gli iracheni, e l'occupazione fomenta la violenza".
*
Domani io lascero' la Giordania per andare a Camp Casey, a cercare di
confrontarmi con George Bush sugli orrori delle sue politiche fallimentari
in Medio Oriente. Abbiamo saputo che comincera' le sue vacanze laggiu' il 9
agosto.
Munther commentava la cosa con me, ieri. Diceva che non poteva credere che
George Bush non avesse ne' il coraggio ne' la cortesia di incontrarmi. Gli
ho risposto: "Non ha neppure il coraggio di stare nella stessa citta' con
me, ormai". Questo cowboy vigliacco ed i suoi amici, cosi' svelti nel
condannare bambini ad una fine precoce, devono essere messi di fronte alla
realta' dei loro crimini. Dobbiamo essere ostinati e perseveranti per la
pace, nella pace, quanto essi lo sono per la guerra.
Io non posso piu' sopportare di vedere altre innocenti Farrah ed altri
innocenti Casey assassinati. Percio' domenica saro' di nuovo seduta in quel
fossato, a ripetere la stessa domanda: "Perche'?".

2. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: CHI SI RIVEDE, MONSIEUR JOURDAIN

Oh, il caro vecchio argomento del salto nel buio. Anche lei qui, mon cher
ami?
Quanto tempo era che non la sentivo questa celestiale musica: quando
trent'anni e passa orsono chiedevamo profondi cambiamenti per inverare i
diritti umani di tutti gli esseri umani, era il refrain preferito dei
governanti di allora: nulla si puo' cambiare, volete forse che i cosacchi in
piazza San Pietro abbeverino i cavalli? (ingenuo com'ero, una volta che
capitai in San Pietro cercai questi grandi abbeveratoi, ma restai assai
deluso).
Chi avrebbe immaginato che tanti anni dopo ancor oggi chi governa il paese
usasse di bel nuovo le medesime parole. Davvero, per un verso non si finisce
mai di imparare, e per l'altro ogni giorno constati come il buon vecchio
Qoelet non ne sbagliasse una.
Ma una differenza c'e', in verita': i governanti di allora tramite i servizi
cosiddetti deviati e i neofascisti all'uopo addestrati e armati tramavano
per ammazzare noi; i governanti di oggi tramite l'esercito contribuiscono
alla coalizione che ammazza gli afgani, che tanto sono lontani, e che non
c'e' gran pericolo che ci raggiungano, giacche' il previdente governo Prodi
d'antan ha pensato bene di riaprire nel '98 i campi di concentramento in cui
recludere i migranti in fuga dalla guerra e dalla fame.
*
Diciamolo ancora una volta, chiaro e forte: la partecipazione militare
italiana alla guerra afgana e' un crimine.
E' un crimine poiche' la guerra sempre consiste nel far morire degli esseri
umani, ed e' un crimine poiche' viola la Costituzione della Repubblica
Italiana che la guerra ripudia.
Almeno questo foglio continuera' a sostenere questa ineludibile verita': che
la guerra e' un crimine, e chi la fa, chi la vota, chi la giustifica e la
propaganda, e' un criminale e un complice di criminali.

3. RIFLESSIONE. UN PICCOLO PASSO

La decisione governativa di proporre il dimezzamento del lasso di tempo per
ottenere la cittadinanza italiana in quanto residenti in questo paese e' una
buona cosa, sebbene cinque anni siano ancora un periodo esageratamente
lungo.
Ma la proposta e' del tutto inadeguata rispetto al nocciolo della questione
del riconoscimento dei diritti ancora scandalosamente negati alle persone
immigrate in Italia, che e' il seguente:
a) va riconosciuto subito l'elettorato attivo e passivo a tutti i residenti
per tutte le elezioni amministrative. Non vi sono impedimenti costituzionali
a questo. Ed e' cosa assolutamente necessaria e urgente;
b) vanno riconosciuti tutti i diritti sociali e di liberta' a tutti i
residenti nel territorio italiano anche se non desiderino assumere la
cittadinanza italiana e preferiscano mantenere quella del proprio paese
d'origine;
c) occore abolire tutti gli elementi razzisti e fascisti presenti
nell'attuale normativa concernente gli immigrati: a cominciare
dall'abolizione dei cosiddetti Centri di permanenza temporanea istituiti con
la legge Turco-Napolitano, veri e propri campi di concentramento in
flagrante contrasto con la Costituzione.

4. RIFLESSIONE. ANNALENA DI GIOVANNI INTERVISTA DOV KHENIN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 agosto 2006.
Annalena Di Giovanni scrive sul quotidiano "Il manifesto".
Dov Khenin (1958), politologo, giurista, ambientalista, e' parlamentare alla
Knesset (il parlamento israeliano), ed e' impegnato contro la guerra]

La prospettiva di un appoggio incondizionato della Knesset, il parlamento
israeliano, al conflitto in Libano, si e' debolmente incrinata lunedi'
scorso, quando una prima richiesta di interrogazione parlamentare e' stata
avanzata e poi bocciata. Dov Khenin, parlamentare e rappresentante del
partito Khadash, ne era stato il promotore. "E' stata una mozione
estremamente minoritaria. A presentarla eravamo noi di Khadash, insieme a
Tajammu e ad una coalizione formata da islamisti e minoranze etniche.
Chiedevamo l'apertura di una inchiesta governativa su tre aspetti del
conflitto in Libano. il primo di questi era il massacro del villaggio di
Qana: vogliamo averne spiegazioni. il secondo punto riguardava il come ed il
perche' si era deciso - a livello politico - di aprire un fronte in Libano
ed entrare in guerra. Il terzo punto del quale chiedevamo conto era
l'effettivo coinvolgimento americano nelle decisoni israeliane per quanto
riguarda il conflitto in corso".
*
= Annalena Di Giovanni: Nell'interrogazione parlamentare erano menzionate le
accuse provenute da piu' parti sulla supposta sperimentazione di nuovi tipi
di armi contro la popolazione sia libanese che palestinese?
- Dov Khenin: No. So che ong di medici per i diritti umani hanno chiesto
un'inchiesta sul massacro di Qana, ma per quanto riguarda l'uso di armi non
convenzionali, non essendo per ora in possesso di dati concreti, non
sapremmo neanche in che termini formulare l'interrogazione parlamentare.
*
= Annalena Di Giovanni: Qual e' stata la replica del governo alla vostra
interrogazione parlamentare?
- Dov Khenin: Non e' arrivata al governo: era una bozza presentata da un
gruppo minoritario di parlamentari. Il resto della Knesset l'ha
immediatamente bocciata, sia maggioranza che opposizione.
*
= Annalena Di Giovanni: Vuol dire che il parlamento e' compatto a favore del
conflitto?
- Dov Khenin: Si puo' dire che almeno 110 dei membri della Knesset (il
totale dei parlamentari e' 120, ndr) appoggiano in pieno la guerra in
Libano. Siamo soltanto in dieci ad opporci.
*
= Annalena Di Giovanni: Oggi Olmert ha affermato che le infrastrutture di
Hezbollah sono state distrutte dall'esercito israeliano. Qual e' la
posizione del suo schieramento riguardo alla guerra in corso?
- Dov Khenin: Non c'e' bisogno di essere un esperto per rendersi conto che
sono le infrastrutture libanesi ad essere distrutte, non certo quelle di
Hezbollah, che oltretutto ha visto crescere la propria popolarita' a livelli
senza precedenti da quando sono cominciati i bombardamenti. La nostra
posizione e' che finche' non si aprira' un autentico processo politico,
l'escalation militare sara' l'unica disastrosa strada. Ne usciremo tutti
sconfitti. Il primo grande sconfitto e' il processo di pace, e poi tutti i
civili che ne subiscono e ne subiranno le conseguenze.
*
= Annalena Di Giovanni: La percezione e' che a guidare il governo israeliano
ci siano due leaders deboli, che finiscono col seguire l'agenda dettata
dall'esercito, particolarmente nella figura di Dan Halutz. Stupisce
soprattutto il cambio di immagine di Peretz.
- Dov Khenin: Peretz ha raccolto voti promettendo un cambiamento sociale, ma
ci ha portato soltanto guerra. Quando ha deciso di affiancarsi ad Olmert,
sapeva benissimo il genere di scelte che andava ad assecondare:
sostanzialmente, spazzar via gli interlocutori palestinesi ed arabi,
portando avanti scelte unilaterali. Peretz alla lunga non puo' pretendere di
competere con i leaders della destra nazionalista. In definitiva, puo' darsi
che l'esercito suggerisca le scelte del governo, e che l'America prema per
portare avanti il conflitto ed estenderlo magari alla Siria; ma alla fine la
responsabilita' ricade su chi decide a Gerusalemme. Sono loro che accettano
le pressioni.
*
= Annalena Di Giovanni: Entrambi rivendicano un vantaggio, in questa guerra.
Ma gli israeliani sono convinti di vincere?
- Dov Khenin: Sono convinti di non avere scelta. Pensano che la guerra
distruggera' Hezbollah, e che altrimenti Hezbollah distruggera' loro. Per
questo appoggiano la guerra. Ma allo stesso modo, l'opposizione contro la
guerra cresce di giorno in giorno. Sabato erano in cinquemila a Tel Aviv a
manifestare contro le operazioni in Libano; dopotutto, fu cosi' che, negli
anni '80, riuscimmo a spingere per il ritiro dal Libano. Speriamo di farcela
anche stavolta.

5. DOCUMENTAZIONE. EMANUELE FIANO: QUESTA SCIA DI MORTE DEVE FINIRE
[Dal quotidiano "Liberazione" del 4 agosto 2006. Ci sembra opportuno
proporre alla riflessione delle lettrici e dei lettori questo appassionato e
sincero intervento di un autorevole intellettuale e militante democratico
impegnato per la pace, anche se evidentemente alcune tesi in esso sostenute
ci trovano in profondo dissenso: ma e' solo ascoltando la voce di chi
esprime punti di vista diversi - e per quanto essi possano addolorarci - che
si puo' raggiungere una reciproca comprensione, base necessaria per
costruire pace e convivenza: e sappiamo che in questo impegno per la pace e
la convivenza Emanuele Fiano e' da sempre pienamente impegnato (p. s.).
Emanuele Fiano, nato a Milano nel 1963, e' figlio del sopravvissuto e
testimone della Shoah Nedo Fiano; architetto, gia' presidente della
Comunita' ebraica milanese, ha promosso numerose iniziative per l'incontro e
la convivenza multiculturale, come la creazione del "Giardino dei Giusti" al
Monte Stella, l'istituzione della giornata contro la pena di morte e
numerose iniziative per il dialogo tra israeliani e palestinesi; gia'
capogruppo Ds al Consiglio comunale di Milano, e' attualmente deputato
dell'Ulivo e segretario di "Sinistra per Israele"]

Caro direttore,
morti, distruzioni, missili, guerra e pace in Medio Oriente, da dove
comincio? Quale parte di me devo prima coinvolgere per offrire ai lettori di
"Liberazione" un punto di vista che sicuramente risultera' avverso o
provocatorio per la maggior parte di loro?
Comincio dalla testa, dalla razionalita', perche' non voglio che i miei
sentimenti di ebreo comunque vicino a Israele e alla difesa della sua
esistenza, e per di piu' parlamentare di sinistra e quindi esposto a
possibili critiche di incoerenza con altri atteggiamenti nel mio
schieramento, possano in qualche modo farmi scudo se pronuncio idee non
condivise: vorrei che il confronto fosse razionale e non emotivo.
1) Israele, nella guerra in Libano, difende se stesso, i suoi abitanti e il
suo territorio dall'aggressione di un nemico spietato, votato alla sua
distruzione, emissario politico-militare del pan-sciismo iraniano di
Ahmadinejad, unico leader mondiale vivente sinceramente antisemita,
negazionista della Shoah e profeta della distruzione di Israele;
2) la mia opinione e' che Israele combatta una guerra anche per l'Occidente
che - consapevole o no - incontra nel rischio-Iran, con la sua corsa alle
armi non convenzionali, nel suo proporsi come leader di un movimento sciita
anti-occidentale, un rischio mortale di cui le milizie armate di Hezbollah
sono l'avanguardia;
3) la questione "sproporzionale": la linea di politica estera del governo
Prodi, si e' configurata in queste settimane, con coraggio e coerenza,
seguendo quattro principi:
a) l'inizio della crisi Libano/Israele e' dovuta all'aggressione Hezbollah;
b) Israele ha diritto di reagire e di difendere la sua sopravvivenza;
c) la reazione di Israele e' sproporzionata in rapporto alla quantita' di
vita umane innocenti perse e alla distruzione di infrastrutture civili;
d) la reazione di Israele e i missili di Hezbollah devono ora fermarsi per
permettere poi l'interposizione di una forza di pace internazionale.
Condivido i primi due punti. Sul terzo punto condivido lo sgomento per i
morti civili di qualsiasi nazionalita' e per il peso distruttivo che la
struttura civile del Libano ha dovuto sopportare. Il mio dolore per quei
morti e' sincero, il mio cordoglio totale.
Resta tuttavia inevasa la domanda che ho rivolto da tempo: come si combatte
una guerriglia armata fino ai denti, capace di colpire obiettivi civili da
grande distanza, che non ha nessuna legittima rivendicazione territoriale da
avanzare? Come si combatte chi spara missili mortali dall'interno di un
complesso residenziale civile? Come si contrasta chi nasconde gli armamenti
in gallerie situate sotto villaggi i cui accessi sono all'interno delle
abitazioni?
Certo, nessuno togliera' mai dai nostri occhi le immagini dei bambini
innocenti morti a Cana, uccisi dal bombardamento israeliano, nessuno potra'
mai scusarsi abbastanza, nessuno potra' giustificare, cosi' come nessuno
dovrebbe mai sostenere inutilmente che esistono guerre chirurgiche, bombe
intelligenti o tecnologie belliche non-invasive.
*
Qualche anno fa, nei bombardamenti della Nato sul Kosovo i morti civili
furono centinaia e centinaia, come ben sanno i lettori di "Liberazione". Il
governo italiano considero' quell'intervento legittimato da uno scopo
umanitario, che anch'io condivisi: il che dimostra che vi sono casi in cui
l'uso della forza, ancorche' devastante, puo' esser legittimato anche da
governi di centrosinistra. Se si condivide quindi il diritto di Israele a
reagire, rimane aperta - non retoricamente e con tutta la consapevolezza del
dramma della perdita di vite umane innocenti - la domanda sul come si
combatta la guerriglia che si nasconde tra i civili, o addirittura si fa
scudo di essi.
Tuttavia questa domanda senza risposta non ridara' la vita a coloro che
muoiono senza colpa in Libano, in Israele, in Palestina. Ma questa scia di
morte deve finire.
A questo serve la politica.
*
Ma mentre mi e' chiaro perfettamente il finale che vorrei fosse scritto
quanto prima per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, e cioe'
la nascita di uno stato palestinese in pace, accanto allo stato di Israele,
con confini coincidenti con quelli precedenti all'occupazione del 1967, e
quindi con la liberazione di quei territori da parte di Israele, non mi e'
affatto chiaro di quale sia il quadro finale dell'eventuale processo
politico che dovesse prendere il posto del conflitto tra Israele e
Hezbollah.
Vi sono domande su questo punto che non possono essere taciute: l'Iran e la
Siria vogliono veramente un Medio Oriente pacificato? Non credo, ma cio' non
mi impedisce di ritenere che vada perseguita comunque la strada di un
cessate il fuoco con interposizione internazionale. L'unica soluzione che
riesco a immaginare per il confine nord di Israele e' quella di una
separazione forzata, con disarmo di Hezbollah. Detto questo pero' nessuno
puo' dimenticare l'altro conflitto.
I palestinesi, le cui condizioni umanitarie, sociali, economiche, nei
Territori sono drammatiche e non piu' sopportabili, sono disponibili una
volta per tutte, con il governo di Hamas, a rifiutare il terrorismo e a
riconoscere Israele? Israele e' disponibile a trattare con Hamas e Abu Mazen
sulla base di un mutuo riconoscimento, sulla base di un percorso interrotto
che prevedeva territori in cambio di pace, e oggi eventualmente di
interposizione di forze internazionali?
Tra Israele e palestinesi serve la riapertura di un tavolo politico di
trattativa, tra Israele e Hezbollah serve il disarmo di Hezbollah e poi la
separazione forzata.
*
Ho lasciato per ultimo il mio cuore: ma non lo dimentico, anche se non
pretendo di esprimere opinioni dimostrabili. Il cuore mi dice che Israele fa
la guerra perche' vuole la pace, Israele non ama la guerra, non ci sono
feste in Israele per i 350.000 sfollati, per i 30.000 soldati al fronte, non
ci sono feste per i bambini uccisi a Cana, a Tiro, a Beirut o a Gaza: e
ovviamente non ci sono feste per i morti e i feriti di Haifa, Zfat o Kiriat
Shmona. Gli israeliani, quelli con cui parlo io ogni giorno, che vivono al
nord, che da settimane vivono nei rifugi, bombardati dai katiusha ogni
giorno e non solo da quando e' scoppiata la guerra, che piangono la notte
per i loro ragazzi al fronte, i miei amici che furono in piazza per fermare
la guerra del 1982, che appoggiavano la pace di Rabin e Arafat, costoro che
insieme a Amos Oz, a Avraham B. Yehoshua, David Grossmann, furono la frusta
morale di quell'Israele che non capiva la necessita', allora, di una
trattativa con i palestinesi. Anche quell'Israele e' oggi con il governo
dalla parte di una guerra per la sopravvivenza, guerra devastante per il
Libano e per i libanesi, e' vero, guerra con troppi morti innocenti, morti
per i quali il nostro cordoglio non va mai fatto mancare, ma guerra di
sopravvivenza.
Io credo che israeliani e palestinesi vogliano in maggioranza la pace e che
ne abbiano diritto. A questo diritto va data una risposta il piu'
rapidamente possibile perche' il diritto non salvaguardato diventa rabbia,
odio e guerra.
Ma l'Occidente - anche quando legittimamente critichi certe scelte del
governo israeliano - non deve isolare Israele e gli ebrei che nel mondo ne
difendono i diritti. Gli ebrei non controbattano qualsiasi critica al
governo di Israele con la controaccusa di antisemitismo.
Israele non dimentichi mai le parole di Rabin: "Continueremo il processo di
pace come se i terroristi non esistessero; combatteremo i terroristi con
tutte le nostre forze come se non esistesse il processo di pace".

6. RIFLESSIONE. PEPPE SINI, TOMAS STOCKMANN: UN'OBIEZIONE AL TESTO CHE
PRECEDE

Siamo contrari a ogni guerra. E siamo contrari ad ogni terrorismo.
Alcune delle opinioni sostenute nel testo che precede ci trovano pertanto
del tutto contrari: dal nostro punto di vista, infatti, ne' la guerra della
Nato contro la Jugoslavia del 1999, ne' quelle attualmente in corso in Medio
Oriente e in Afghanistan, sono ammissibili. Il che non significa che il
terrorismo non vada contrastato: ma la guerra e' essa stessa terrorismo e
alimentatrice di terrorismo ulteriore.
Pensiamo che solo la scelta della nonviolenza, da parte delle persone e dei
popoli ma anche (e decisivamente) da parte degli ordinamenti giuridici, sia
adeguata a inverare civile convivenza e riconoscimento di umanita' per tutti
gli esseri umani, sia adeguata a contrastare tutte le uccisioni.
Ma mentre pensiamo che sia necessario procedere in questa direzione
rifiutiamo l'ipocrisia di chi non riconosce ad altri i diritti che rivendica
per se'. E ci pare che molta retorica corrente nella parte piu' ambigua del
cosiddetto movimento pacifista e della solidarieta' internazionale (la parte
parastatale, burocratica e carrierista, e quella flagrantemente militarista,
squadrista e violentista) sia peggio che superficiale e ignorante, sia
retorica disonesta e criminale.
Che la popolazione israeliana sia aggredita dal terrorismo e' una verita'.
Che agiscano nel Medio Oriente forze politiche e regimi statali che hanno
nella loro agenda o nella loro propaganda la distruzione di Israele e il
genocidio della popolazione ebraica e' una verita'. Come e' una verita' che
il popolo palestinese e' ferocemente oppresso dall'occupazione israeliana
dei Territori. Come e' una verita' che i bombardamenti, le devastazioni e
gli omicidi mirati da parte dell'esercito israeliano in Libano e nei
Territori palestinesi costituiscono a tutti gli effetti crimini di guerra e
crimini contro l'umanita'.
Ne consegue dal nostro punto di vista che ogni solidarieta' con le vittime
del terrorismo e della guerra per essere credibile e quindi efficace non
puo' essere strabica o reticente: deve solidarizzare con tutte le vittime,
deve puntare a salvare tutte le vite, deve sostenere tutte le forze di pace,
deve contrastare tutte le organizzazioni assassine.
Noi siamo solidali allo stesso modo con la popolazione israeliana, come con
quella palestinese, come con quella libanese. E pensiamo che la solidarieta'
internazionale debba attivarsi per aiutare tutte le vittime.
Ci opponiamo a tutte le azioni terroriste e belliche.
Chiediamo pace, sicurezza, convivenza per i popoli e per gli stati di
Israele, Libano, Palestina. Crediamo che la nascita dello stato palestinese,
con la cessazione dell'occupazione israeliana, sia il passo decisivo da
compiere adesso. Crediamo che il riconoscimento esplicito ed ufficiale
dell'esistenza di Israele - e del suo diritto alla sicurezza - sia il passo
che deve essere compiuto subito e senza reticenze da parte di tutti gli
stati e le forze politiche legali dell'area mediorientale. Crediamo che il
cessate il fuoco su tutti i fronti sia la richiesta urgente dell'umanita'
intera.

7. RIFLESSIONE. NANNI SALIO: IL PACIFISMO E' MORTO?
[Ringraziamo Nanni Salio (per contatti: info at cssr-pas.org) per questo
intervento. Almeno su un punto di esso che puo' dar luogo a un grave
equivoco ci sembra necessario segnalare un netto dissenso: laddove l'autore
scrive: "Bene, voi inviate i militari in Afghanistan, ma contemporaneamente
vi chiediamo di stanziare cento milioni di euro... per costruire qui e ora e
non domani, dopodomani, mai, i Corpi civili di pace con tutti gli annessi e
connessi". No, non e' mai ammissibile cedere alla guerra, ed accettare la
guerra in cambio di quattro baiocchi sarebbe la piu' ignobile delle rese e
la piu' laida delle complicita': e' ovvio che non e' questo l'intendimento
dell'autore, ma la frase cosi' formulata potrebbe prestarsi purtroppo al
grave equivoco, equivoco reso piu' grave dal fatto che in queste settimane
anche autorevoli personalita' una volta impegnate per la pace hanno fatto
propria la scellerata retorica della bonta' della criminale partecipazione
italiana alla guerra afgana e si sono volontariamente asservite a sostenerla
(p. s.). Giovanni (Nanni) Salio, torinese, nato nel 1943, ricercatore nella
facolta' di Fisica dell'Universita' di Torino, segretario dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute), si occupa da alcuni decenni di ricerca,
educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli della
cultura nonviolenta in Italia; e' il fondatore e presidente del Centro studi
"Domenico Sereno Regis", dotato di ricca biblioteca ed emeroteca
specializzate su pace, ambiente, sviluppo (sede: via Garibaldi 13, 10122
Torino, tel. 011532824 - 011549005, fax: 0115158000, e-mail:
regis at arpnet.it, sito: www.cssr-pas.org). Opere di Giovanni Salio: Difesa
armata o difesa popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, II edizione
riveduta, Perugia 1983; Ipri (a cura di Giovanni Salio), Se vuoi la pace
educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; con Antonino Drago,
Scienza e guerra: i fisici contro la guerra nucleare, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1984; Le centrali nucleari e la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1984; Progetto di educazione alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1985-1991; Ipri (introduzione e cura di Giovanni Salio), I movimenti per la
pace, vol. I. Le ragioni e il futuro,  vol. II. Gli attori principali, vol.
III. Una prospettiva mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Le
guerre del Golfo e le ragioni della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1991; con altri, Domenico Sereno Regis, Satyagraha, Torino 1994; Il
potere della nonviolenza: dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine
mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Elementi di economia
nonviolenta, Movimento Nonviolento, Verona 2001; con D. Filippone, G.
Martignetti, S. Procopio, Internet per l'ambiente, Utet, Torino 2001]

Il pacifismo e' sempre vivo e sempre morto
Guardando il grafico elaborato da Nigel Young, ci rendiamo facilmente conto
che, in una prospettiva storica, il pacifismo e' sempre stato vivo e morto
al tempo stesso. [Segue un grafico sui livelli di partecipazione nei
movimenti per la pace di massa dal 1815 al 1979, che qui non possiamo
riprodurre, che raffigura l'alternarsi tra elevata e scarsa mobilitazione;
al grafico fa seguito la seguente nota dell'autore: "(Tratto da: G. Salio,
Il potere della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995, p.138. Il
grafico si ferma alla fine degli anni '70, ma cio' che e' avvenuto dopo e'
sostanzialmente identico, anche se il picco del 15 febbraio 2003 e' il piu'
alto in assoluto)"].
Le grandi mobilitazioni contro le guerre, incipienti o in corso, non sono
quasi mai riuscite a impedirle. Di certo non hanno impedito le piu'
disastrose, anche se esistono alcuni esempi di interposizione, soprattutto
di gruppi di donne, che hanno evitato scontri violenti tra fazioni opposte.
Al piu', come in Vietnam, ne hanno accelerato la fine, dopo che il prezzo
pagato in termini di vite umane, risorse distrutte e danni economici ha
raggiunto livelli non piu' sostenibili. Secondo alcuni commentatori, la
protesta contro la guerra in Vietnam ha avuto successo quando "Wall Street
e' scesa in piazza".
Siamo tutti pacifisti e "passifiste" come dicono i francesi, cioe' passivi.
Tutti vorremmo una pace che non richiede impegno, che viene da se', vorremmo
essere "lasciati in pace".
E' un'aspirazione comprensibile e persino condivisibile, ma purtroppo il
mondo non e' cosi'. Bastano piccole minoranze al potere e piccole minoranze
armate, per mettere a ferro e a fuoco intere regioni e in prospettiva il
mondo intero. Queste minoranze, questi bulli, hanno una ideologia
militarista che li sprona, sono determinati, hanno un'agenda politica
precisa, che intendono realizzare costi quel che costi. Di fronte a simili
avversari il puro e semplice pacifismo non basta. E tanto meno la retorica
della pace e le mobilitazioni su larga scala, da "seconda potenza mondiale",
che si limitano a fare il primo passo dell'azione, quella della protesta
generica di massa.
*
L'azione nonviolenta
Come dovrebbe essere ormai ben noto, il XX secolo non e' stato solo il piu'
violento della storia, ma anche quello nel corso del quale si sono
sviluppate grandiose lotte nonviolente coronate da successo. Il progetto A
force more powerful, curato dal centro di ricerca che fa capo a Gene Sharp
e' un utilissimo strumento per far conoscere questa storia spesso
dimenticata e occultata e per trarne la debita lezione, che si applica anche
ai giorni nostri (si vedano i numeri di "Azione nonviolenta", da gennaio a
luglio 2006).
Per sintetizzare, come sostiene Michael Nagler: "la guerra talvolta
funziona, ma non e' mai efficace. La nonviolenza talvolta funziona, ma e'
sempre efficace". (Michael Nagler, Per un futuro nonviolento, Ponte alle
grazie, Firenze 2005).
E' di qui che dobbiamo iniziare, se non vogliamo cadere nelle faticose e
spesso inconcludenti polemiche che hanno caratterizzato il dibattito sul
voto pro o contro l'intervento in Afghanistan e la questione dello stato di
salute del movimento per la pace.
La lezione che si puo' trarre dalle lotte nonviolente guidate dai grandi
maestri (Gandhi, King, Mandela, Capitini) e' che "ci sono alternative". Ma
queste alternative vanno preparate per tempo, non si possono improvvisare,
richiedono impegno, determinazione, chiarezza di obiettivi, risorse.
*
Una politica dell'azione nonviolenta
Paradossalmente, e' stato meno difficile, storicamente, "abbattere un
dittatore" con una lotta nonviolenta che far cambiare politica economica e
militare a un governo eletto democraticamente (si veda a tale proposito il
documentario Bringing Down A Dictator, che completa la serie di video del
progetto A force more Powerful, sull'azione del movimento Otpor che ha
portato alla caduta del governo Milosevic in Jugoslavia: questione complessa
e controversa, per le accuse di sostegno se non di connivenza con gruppi Usa
finanziati non solo da Soros ma anche dalla Cia, ma che merita comunque
attenzione). Nel primo caso l'obiettivo e' chiaro, ben individuato,
l'oppressione colpisce direttamente larghi settori della popolazione e
pertanto favorisce la crescita di un ampio movimento di opposizione, come e'
avvenuto nelle lotte contro l'apartheid in Sudafrica e negli Usa, o per la
liberazione dell'India dal dominio inglese.
Per cambiare una politica economica o militare bisogna invece procedere per
singoli obiettivi, che possono apparire minimi e non sempre raccolgono un
grande consenso. Nel corso della lotta, pochi sono disposti a passare alla
disobbedienza civile, pagando il prezzo che essa comporta, carcere compreso.
Le bombe che cadono in Afghanistan, in Palestina, in Iraq o in Libano sono
lontane da noi. Ne siamo colpiti moralmente ma non materialmente. La nostra
indignazione non basta: possiamo andare tranquillamente al mare e l'azione
di generica protesta verra' posticipata a dopo le vacanze.
Ben vengano comunque  le grandi manifestazioni di milioni di persone (Roma,
15 febbraio 2003), purche' poi non ci si limiti a congratularsi e ad andare
"tutti a casa". E non basta neppure esporre la bandiera della pace da tutti
i balconi. Occorre alzare il livello della lotta, passando, se necessario,
alla disobbedienza civile. Se i tifosi di quello squallido mercato sportivo
chiamato calcio sono capaci di bloccare le linee ferroviarie in
cinquantamila, senza pagare alcun prezzo e impedendo di fatto qualsiasi
intervento della polizia, perche' mai il movimento per la pace non e' stato
capace di attivarsi assediando il parlamento per impedire di inviare i
nostri militari in Iraq, in spregio a qualsiasi diritto costituzionale e
internazionale? Ma ci sono riusciti in Turchia, paese che non brilla certo
in quanto a democrazia.
Il pacifismo e la nonviolenza "della domenica" non impediranno mai alla
colossale macchina della guerra, che funziona ventiquattr'ore al giorno, con
i nostri soldi, di entrare in azione quando un manipolo di politici e/o di
militari lo decida.
Senza una chiara e condivisa politica della nonviolenza, il movimento per la
pace e' destinato a restare intrappolato negli happening delle
manifestazioni piu' o meno grandi e degli slogan piu' o meno d'effetto. Come
sostiene Galtung, il movimento per la pace, soprattutto italiano, e' un
movimento "estetizzante". Puo' essere una bella cosa, ma non basta.
*
Progettare la transizione
Il movimento per la pace e' un "movimento che non c'e'" o, se vogliamo
essere generosi, che "non c'e' ancora". Esiste invece una serie di
molteplici gruppi, associazioni, comitati, che procedono in ordine sparso,
promuovendo anche iniziative egregie che tuttavia non riescono a incidere a
livello di decisioni politiche collettive. Qualcuno sa indicare qual e' il
programma del movimento per la pace, quali i suoi obiettivi concreti, non
generici, sottoscritti da chi e come?
I punti nodali, intrecciati e inseparabili, sono il modello di difesa e il
modello di sviluppo. Entrambi debbono essere modificati, se si vuole
incidere sulle cause profonde che alimentano le guerre in corso e creano le
condizioni per quelle future. Per far cio' occorre progettare sia la
transizione da uno sviluppo centrato sulla crescita e su un sistema
energetico non sostenibile a un modello di economia nonviolenta, equo e
sostenibile, per le popolazioni odierne quanto per quelle future, basato su
fonti energetiche rinnovabili, sia la transizione dall'attuale modello di
difesa offensivo a un modello esclusivamente difensivo (transarmo) che
consenta di sviluppare man mano la difesa popolare nonviolenta sino alla
completa sostituzione del modello militare.
Ma per costruire queste alternative occorre individuare obiettivi specifici
e predisporre il sistema logistico per conseguirli, ovvero passare dallo
spontaneismo a una politica dal basso, partecipata, organizzata,
indipendente da tutte quelle forze politiche che invece inseguono i falsi e
pericolosi miti di una modernita' decadente.
Concretamente, tutto cio' significa che il movimento dovrebbe concentrare le
proprie modeste energie per condurre delle campagne mirate a ottenere alcuni
primi obiettivi intermedi. Per esempio: riduzione delle spese militari del
5% all'anno e utilizzo dei fondi per la costruzione dei Corpi civili di pace
(in sigla: Ccp), promuovendoli sia a livello italiano, sia europeo e delle
Nazioni Unite. Ma i Ccp non nascono da soli: richiedono scuole, corsi di
formazioni, centri di ricerca. L'esperienza fallimentare del "Comitato
consultivo per la difesa civile e non armata" insegna, tra le altre cose,
che questi obiettivi sono scarsamente condivisi nell'ambito dei movimenti di
base, compreso quello per la pace. C'e' poca consapevolezza dell'importanza
di una transizione a un modello alternativo. Nel dibattito parlamentare
sulla questione Afghanistan quasi nessuno ha sollevato questo punto. E anche
qui, molto concretamente, per rispondere a coloro che ritengono
sprezzantemente che i "pacifisti" dicano solo delle "sciocchezze" occorre
ribadire che per costruire una alternativa bisogna "mettere mano al
portafoglio". Bene, voi inviate i militari in Afghanistan, ma
contemporaneamente vi chiediamo di stanziare cento milioni di euro (questa
si' una "sciocchezza" per il bilancio dello stato e rispetto al bilancio
delle spese militari) per costruire qui e ora e non domani, dopodomani, mai,
i Corpi civili di pace con tutti gli annessi e connessi. Altrimenti, le
"sciocchezze" continuiamo a raccontarcele a vicenda.
E la stessa cosa si puo' dire per il modello di sviluppo. Coloro che
continuano a parlare di crescita economica hanno l'obbligo morale e
scientifico di dimostrare che essa e' compatibile con i limiti di un pianeta
finito e con l'esigenza di equita' verso tutti gli esseri viventi e
intergenerazionale. L'attuale sistema energetico, basato sui combustibili
fossili, e' arrivato al capolinea. Volenti o nolenti dobbiamo programmare al
piu' presto una efficace transizione se non vogliamo che il sistema ci
crolli addosso con una implosione catastrofica. I progetti, i centri di
ricerca, le idee non mancano di certo e sono di patrimonio molto piu'
diffuso rispetto alla questione militare che sembra bloccata sul piano
mentale e ideativo. Oltre all'esempio concreto ed efficace di paesi virtuosi
come la Germania e la Danimarca, si possono segnalare il progetto di legge
784 presentato l'11 luglio scorso (primo firmatario Ronchi) e piu' in
generale la campagna per un "Contratto mondiale sull'energia e il clima",
che richiama quella lanciata anni fa per l'acqua (si veda il bel libriccino
Energia, rinnovabilita', democrazia, Edizioni Punto Rosso, Milano 2005).
Il bicchiere e' sempre mezzo pieno e mezzo vuoto. Ogni tanto e' utile vedere
la parte vuota per fare autocritica e individuare nuove linee di azione, ma
poi occorre anche fare l'inventario delle moltissime cose che riempiono
l'altra meta'. E allora ci si accorge che esistono anche i militari che
disobbediscono agli ordini, per ragioni di coscienza (dai refusnik
israeliani agli obiettori statunitensi, vedi Courage to Resist, newsletter
di sostegno degli obiettori militari, tra i quali spicca il caso del
luogotenente Ehren Watada, www.thankyoult.org); le donne come Cindy Sheehan
che assediano il ranch di Bush; i ploughshares che, interpretando alla
lettera la profezia di Isaia  2, 4: "Muteranno le loro spade in aratri e le
loro lance in falci; una nazione non alzera' la spada contro un'altra, e non
praticheranno piu' la guerra", entrano nelle basi militari per distruggere e
manomettere le autentiche armi di distruzione di massa (dal nostro Turi
Vaccaro ai preti e alle suore statunitensi, sulla scia dei fratelli
Berrigan): la rete gia' esistente di Corpi civili di pace (www.reteccp.org)
e le molteplici lotte contro l'attuale modello distruttivo, dai no-Tav alle
donne indiane del movimento contro le dighe del Narmada, a tanti altri. E
ritorna la speranza, unita alla necessita' di un impegno quotidiano,
costruttivo, per creare fiducia, organizzazione, capacita' di lottare
serenamente, senza cadere nella sindrome autodistruttiva del burn out.
*
Conflitti
Operativamente, la nonviolenza e' l'arte di trasformare costruttivamente i
conflitti, dal micro al macro, intesi non come sinonimo di violenza, ne'
tanto meno di guerra, ma come occasioni che si ripresentano incessantemente
nella nostra vita, individuale e collettiva, che ci pongono di fronte a un
bivio: da un lato l'opportunita' di una crescita costruttiva, dall'altra la
deriva verso la distruttivita'.
Ma come tutte le arti, come tutte le buone pratiche, anche questa non viene
spontaneamente da se': bisogna coltivarla, giorno dopo giorno, passo dopo
passo, rialzandosi dopo le cadute. E gli attivisti dei movimenti debbono
imparare ad affrontare costruttivamente anche i conflitti interni alle
proprie organizzazioni e tra le organizzazioni, oltre ai conflitti
interiori, dentro ognuno di noi. Non ci sono solo avversari esterni, ma la
lotta e' dentro di noi. La nostra debolezza deriva anche da questa scarsa
capacita' di lavorare su di noi, individualmente e collettivamente. Abbiamo
accumulato molta esperienza, ma non ne facciamo tesoro e continuiamo a
comportarci da dilettanti, oppure ci limitiamo alle dispute filosofiche,
importanti ma insufficienti.
Forse ci sono molti "scienziati per la pace", molti "generali", e pochi
"ingegneri per la pace", pochi "operatori per la pace". C'e' bisogno di un
lavoro quotidiano, tutti i giorni, tutto il giorno, dentro strutture
autogestite, che possano essere uno stimolo continuo per fare ricerca,
formazione, educazione e progettare/attuare l'azione diretta nonviolenta. Ce
n'e' quanto basta per impegnare seriamente e concretamente tutta quanta la
nostra vita, senza perderci nelle nostre nevrosi da impotenza.
*
Il tempo stringe
Da un lato, dobbiamo continuare a fare i "profeti di sventura", consapevoli
di quanto ci suggerisce Guenther Anders in una bella parabola: "Noe' era
stanco di fare il profeta di sventura e di annunciare incessantemente una
catastrofe che non arrivava e che nessuno prendeva sul serio. Un giorno, si
vesti' di un vecchio sacco e si sparse della cenere sul capo. Questo gesto
era consentito solo a chi piangeva il proprio figlio diletto o la sposa.
Vestito dell'abito della verita', attore del dolore, ritorno' in citta',
deciso a volgere a proprio vantaggio la curiosita', la cattiveria e la
superstizione degli abitanti. Ben presto ebbe radunato attorno a se' una
piccola folla curiosa e le domande cominciarono ad affiorare. Gli venne
chiesto se qualcuno era morto e chi era il morto. Noe' rispose che erano
morti in molti e, con gran divertimento di quanti lo ascoltavano, che quei
morti erano loro. Quando gli fu chiesto quando si era verificata la
catastrofe, egli rispose: domani. Approfittando quindi dell'attenzione e
dello sgomento, Noe' si erse in tutta la sua altezza e prese a parlare:
dopodomani il diluvio sara' una cosa che sara' stata. E quando il diluvio
sara' stato, non sara' mai esistito. Quando il diluvio avra' trascinato via
tutto cio' che c'e', tutto cio' che sara' stato, sara' troppo tardi per
ricordarsene, perche' non ci sara' piu' nessuno. Allora, non ci saranno piu'
differenze tra i morti e coloro che li piangono. Se sono venuto davanti a
voi, e' per invertire i tempi, e' per piangere oggi i morti di domani.
Dopodomani sara' troppo tardi. Dopo di che se ne torno' a casa, si sbarazzo'
del suo abito, della cenere che gli ricopriva il capo, e ando' nel suo
laboratorio. A sera, un carpentiere busso' alla sua porta e gli disse:
lascia che ti aiuti a costruire l'arca, perche' quello che hai detto diventi
falso. Piu' tardi, un copritetto si aggiunse ai due dicendo: piove sulle
montagne, lasciate che vi aiuti, perche' quello che hai detto diventi falso"
(Citato da Jean-Pierre Dupuy, Piccola metafisica degli tsunami. Male e
responsabilita' nelle catastrofi del nostro tempo, Donzelli, Roma 2006, pp.
8-9).
Ma al tempo stesso non dobbiamo lasciarci travolgere dall'ansia che, negli
ultimi tempi della sua vita, ha contagiato lo stesso Anders, secondo il
quale "la risposta nonviolenta e' obsoleta, e' inefficace perche' sono
fiacchissime le sue azioni rispetto alla terrificante capacita' di portar
morte che ha la sua controparte..." (in: Goffredo Fofi, Da pochi a pochi,
Eleuthera, Milano 2006, p. 137).
Il tempo stringe e grande e' la nostra responsabilita' per non lasciar che
le profezie negative si autoavverino. La strada da percorrere ci e' stata
indicata dai grandi maestri che ci hanno preceduto e dagli innumerevoli
testimoni e attivisti che anche oggi operano quotidianamente nei movimenti
di base. Sta a noi accelerare il passo per realizzare l'arca prima che
cominci il diluvio.

8. LE ULTIME COSE. LUCIANO BONFRATE: A CHI SI E' ARRESO

La cosa la piu' triste e la piu' buffa
sono quelli che votano per la guerra
sostenendo di farlo per opporsi alla guerra.

No, la cosa piu' buffa e piu' triste
sono quelli che neppure votano eppure
tanto si sono sbracciati perche'
proseguisse la partecipazione alla guerra.

No, no, la cosa piu' sordida e demente
sono quelli che dicono che quelli
che si oppongono alla guerra sono quelli
i veri guerrafondai, gli autentici stragisti:
perche' alla guerra opponendosi aiutano
non si sa bene cosa ma certo qualcosa
di immondo e di contrario al mondo libero,
al libero mercato, all'impero del bene.

E' prevista la mancia competente
in incarichi, in biglietti, in comparsate.
Chi vuole verra' iscritto nel corteo
dei caudatari dei maggiori dignitari.
Per tutti un bel viaggio-premio a Disneyland
o a Saigon, a scelta.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1379 del 6 agosto 2006

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