La nonviolenza e' in cammino. 1371



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1371 del 29 luglio 2006

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Gli assassini al lavoro
2. Maria G. Di Rienzo: Le donne di Codepink
3. Giovanna Boursier: La persecuzione nazista di rom e sinti
4. Il nonviolento abile e arruolato
5. La piccola metamorfosi
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORALE. PEPPE SINI: GLI ASSASSINI AL LAVORO

"Intento al sordido lavoro suo
pretende l'assassino gentilezza"
(Misone, frag. apocr., 1)

Neanche un voto contrario alla guerra al senato. Solo quattro voti contrari
alla guerra alla camera dei deputati. Un parlamento pressoche' unanime nel
proseguire la guerra, cioe' nell'assassinare gli afgani.
La Costituzione fatta a pezzi. Il totalitarismo e il razzismo trionfanti. La
decisione di uccidere, uccidere, uccidere. Gli osanna corali alla guerra. Il
ghigno dell'ipocrita che pretende di chiamare pace la guerra, nonviolenza la
violenza, salvezza le stragi.
E' una indicibile catastrofe. Non solo sul piano politico e giuridico, ma
morale e intellettuale.
Ed il silenzio, la complicita', la rassegnazione che accompagnano questa
scelta assassina reduplicano l'orrore.
Ogni persona si assuma le sue responsabilita', ogni persona ne tragga le
conseguenze.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. INIZIATIVE. MARIA G. DI RIENZO: LE DONNE DI CODEPINK
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005.
Medea Benjamin vive a S. Francisco, e' fondatrice e direttrice di Global
Exchange e co-fondatrice del gruppo pacifista femminista "Codepink". Opere
di Medea Benjamin: (a cura di, con Jodie Evans), Stop the Next War Now:
Effective Responses to Violence and Terrorism, Inner Ocean Publishing.
Diane Wilson e' madre di cinque figli e una spina nel fianco delle compagnie
chimiche sulla costa del Golfo del Texas; attraverso scioperi della fame ed
altre azioni dirette nonviolente, ha fatto pressione sulle compagnie sino a
costringerle spesso a smettere di inquinare la baia; ambientalista e
pacifista di lunga data, e' cofondatrice del gruppo pacifista femminista
"Codepink"; e' stato recentemente pubblicato il suo nuovo libro, "An
Unreasonable Woman" (Una donna irragionevole)]

Le donne di Codepink, le organizzatrici del digiuno collettivo volto ad
ottenere il ritiro delle truppe statunitensi dall'Iraq, sono state invitate
ad un incontro ad Amman, in Giordania, da cinque membri del parlamento
iracheno che stanno lavorando ad un piano di riconciliazione per porre fine
alla violenza nel loro paese.
Dopo l'arresto di Medea Benjamin (attualmente libera), gli e le aderenti
allo sciopero della fame avevano pubblicato una lettera aperta su uno dei
maggiori quotidiani di Baghdad, diretta al primo ministro iracheno che
trovandosi negli Usa aveva rifiutato di incontrarli.
La condizione posta dai parlamentari, che si sono detti commossi
dall'impegno dei digiunatori, e' che essi pongano termine allo sciopero
spezzando il pane con loro.
Le donne di Codepink non nascondono l'entusiasmo per questo successo, ma
ribadiscono che vi e' ancora molto lavoro da fare per portare a casa i
140.000 uomini e donne attualmente di stanza in Iraq, e che la campagna
continuera' sino al 21 settembre, giorno internazionale della pace.
Ieri, 27 luglio, Gael Murphy and Eve Tetaz, due delle digiunatrici, hanno
interrotto per protesta la seduta della Commissione esteri del Senato
relativa alla nomina di John Bolton ad ambasciatore Usa presso le Nazioni
Unite. Indossavano magliette con la scritta "Bolton no", e hanno chiesto ai
senatori di rigettare quella che considerano la scelta peggiore per la pace
mondiale.
Oggi, Codepink dara' il suo "benvenuto" di protesta alla visita del primo
ministro britannico Tony Blair.
Diane Wilson ed altre ed altri che si sono impegnati nel digiuno a lungo
termine restano davanti alla Casa Bianca ogni giorno.

3. MEMORIA. GIOVANNA BOURSIER: LA PERSECUZIONE NAZISTA DI ROM E SINTI
[Da "A. rivista anarchica", anno 36, n. 319, estate 2006 (disponibile anche
nel sito: www.arivista.org). Giovanna Boursier e' una studiosa che ha
dedicato particolare attenzione ed importanti ricerche alla storia e alla
cultura dei rom, ed allo sterminio nazista]

I rom vittime del nazifascismo sono migliaia di uomini, donne e bambini
emarginati, perseguitati, sterilizzati in massa, deportati, rinchiusi nei
campi di concentramento, utilizzati come cavie, uccisi nelle camere a gas e
nei forni crematori.
Ma la storia del loro sterminio continua a essere, sostanzialmente, storia
negata, persino evitata, trascurata dalla maggior parte degli storici e
degli studiosi (basti pensare che la prima giornata di commemorazione della
vittime rom del nazismo si e' tenuta nel 1994 al Museo dell'Olocausto di
Washington).
Invece l'argomento dovrebbe suscitare interesse fosse anche solo per il
fatto che la storia dello sterminio nazifascista di rom e sinti e', insieme
a quella della Shoah ebraica, connessa al pensiero razziale e alle sue
aberranti conseguenze. Invece - e purtroppo - se anche negli ultimi decenni
si e' cominciato a diffondere qualche dato su questa pagina tragica del
nazifascismo, non si puo' dire altrettanto sulle ragioni che condussero
sinti e rom nelle camere a gas del Terzo Reich. Annoverati infatti
genericamente tra le vittime, rom e sinti sono poi tralasciati dalla
stragrande maggioranza della storiografia che continua cosi' sostanzialmente
ad accreditare l'ipotesi secondo cui furono nei lager come "asociali" o
"criminali", ignorando - piu' o meno consapevolmente - il fatto che queste
caratteristiche derivavano, secondo i nazisti, dalla genetica e non erano,
percio', modificabili.
Per fortuna oggi anche questa verita' sta emergendo, cominciando finalmente
a chiarire che, come scriveva fin dai primi anni '60 Miriam Novitch - ebrea
sopravvissuta ai lager e prima in assoluto a tentare di documentare lo
sterminio dei rom e dei sinti - la persecuzione nazista dei rom e dei sinti
fu, esattamente come quella degli ebrei, razziale.
Anche per questo sostengo l'importanza di iniziative come questa. La
celebrazione della memoria in se' e per se' non e' interessante ne utile,
stanca e non serve a capire o ragionare. E' invece importante far conoscere
la storia e la sua evoluzione per superare gli stereotipi e i luoghi comuni.
Perche' la conoscenza dell'altro diventi senso di rispetto e reciprocita'
che sono alla base del vivere comune. Anche in questo senso e' importante il
documentario "Porrajmos": perche' ci consente di entrare in un'abitazione
Rom, e ci permette di ascoltare il dialogo di una famiglia seduta ad una
bella tavola come tutte le famiglie del mondo. Perche' ci rende partecipe
delle difficolta' degli anziani a raccontare. Anche i testimoni ebrei
ritornati dai campi di sterminio avevano pudore a raccontare, tanto che
molti hanno aspettato anni per ricordare. Ricordare per tutti noi.
Quello che mi auguro e' che tutti, rom e non rom, troviamo la forza e il
coraggio per dire e ascoltare, per metterci insieme confrontandoci e
arricchendoci affinche' non ci sia mai piu' un Porrajmos ne' una nuova
Shoa', ne per noi ne' per nessun altro popolo sulla Terra.
*
Per cause genetiche
Secondo i nazisti, l'"asocialita'" zingara non era dovuta a ragioni di
comportamento: gli zingari erano ladri, truffatori, nomadi, pericolosi, "per
cause genetiche", perche' tali caratteristiche erano nel loro sangue,
irrimediabilmente tarato e percio' irrecuperabile.
Da questo assurdo punto di vista, due furono dunque i popoli uccisi - quello
ebraico e quello rom -, per lo stesso motivo - razziale - e con gli stessi
metodi, quelli della cosiddetta "soluzione finale", dello sterminio nazista.
Tra i fautori delle idee razziali ci furono, in primo luogo, molti
scienziati e ricercatori che, fin dai primi anni del nazismo, si posero,
piu' o meno opportunisticamente, al servizio del potere elaborando teorie
che esplicitavano giustificazioni alla prassi criminale dei nazisti.
Va anche detto, pero', che il terreno era gia' stato preparato perche' le
teorie e le ricerche sulla presunta nocivita' del popolo zingaro erano
avviate da anni. A Monaco di Baviera esisteva, fin dal 1899, un "Ufficio
informazioni sugli zingari" diretto da uno zelante funzionario statale,
Alfred Dillmann, che, nel 1905, pubblico' un volume intitolato Zigeunerbuch,
in cui aveva raccolto 3.350 nomi e informazioni dettagliate su 611 persone,
delle quali 435 definite "zingari" e 176 "girovaghi assimilabili agli
zingari". Una schedatura perfetta e, ovviamente, riutilizzata con facilita'
dall'amministrazione del Terzo Reich che, infatti, trasferira' l'Ufficio di
Dilmann a Berlino ribattezzandolo "Centrale per la lotta alla piaga
zingara".
Atteggiamenti di questo tipo, comunque, non esistevano solo in Baviera:
molti altri Laender fornirono informazioni ed elenchi alla centrale di
Monaco, tanto che nel 1925 questa banca dati aveva gia' accumulato oltre
14.000 nomi provenienti da tutta la Germania e la schedatura delle impronte
digitali di tutti i rom residenti in Baviera.
La Baviera fu anche il primo Land a andare oltre le semplici
regolamentazioni di tipo amministrativo varando, nonostante l'opposizione di
socialdemocratici e comunisti, una vera e propria legge sugli zingari,
emanata nel 1926, nella quale, oltre a ogni sorta di restrizioni e controlli
(basati sul pregiudizio per cui tutti gli appartenenti al popolo rom
conducevano inesorabilmente vita disonesta), era chiaramente scritto che "il
concetto di zingaro e' universalmente noto e non richiede ulteriori
delucidazioni".
Si puo' quindi affermare che la persecuzione e lo sterminio nazista dei rom
e sinti si inserisce in una storia secolare di discriminazione e violenza
che, pero', solo all'interno del sistema e dell'ideologia nazionalsocialista
ha trovato certe forme di espressione e concretizzazione.
*
Robert Ritter, il "massimo esperto"
Tre anni dopo l'ascesa al potere di Hitler, nella primavera del 1936 il
ministero degli interni del Reich crea, nell'ambito dell'Ufficio sanita' del
Reich di Berlino, un istituto di ricerca che si chiama "Rassenhygienische
und bevoelkerunsgbiologische Forschungsstelle" (Istituto di ricerca
sull'igiene razziale e la biologia della popolazione) che ha il compito di
indagare sulla popolazione nomade. A dirigerlo viene messo il dottor Robert
Ritter che, in breve, verra' considerato il massimo esperto in materia al
servizio del governo nazista.
Con i suoi collaboratori, tra i quali gli antropologi Adolf Wuerth, Gerhard
Stein e soprattutto la sua assistente Eva Justin, puericultrice diplomata,
Ritter visita citta' e campagne, campi nomadi, scuole, prigioni e campi di
concentramento ed elabora teorie sulla pericolosita' della "razza zingara",
di origine ariana ma ormai irrimediabilmente tarata da un gene molto
pericoloso, il Wandertrieb (l'istinto al nomadismo), che confermano
"l'irrecuperabilita' della razza zingara" condannandola, secondo i canoni
del pensiero nazionalsocialista, allo sterminio.
Le prime deportazioni di rom e sinti, di circa 400 persone, sono documentate
a Dachau, nel 1936. Nello stesso anno, in occasione dei giochi olimpici di
Berlino, la polizia "ripulisce" la citta' imprigionando circa 600 rom e
sinti in un ex discarica vicino a un cimitero, il campo di Marzahn, che poco
dopo verra' dichiarato campo di concentramento. Intanto vengono anche aperti
i campi per zingari di Frankfurt am Main e di Duesseldorf.
Ritter e i suoi collaboratori svolgevano le loro ricerche anche in questi
campi: perseguitavano le loro vittime con domande relative alla loro vita e
agli alberi genealogici e analizzavano le loro caratteristiche fisiche
facendo rilevazioni sul colore degli occhi, la misura dei crani, e, a volte,
prendendo persino il calco di cera del volto. I poveri rom e sinti non
capivano i motivi di tanto accanimento e vivevano tutto questo terrorizzati,
anche per le terribili punizioni loro inflitte se non soddisfacevano le
richieste. Lo ricorda Otto Rosenberg, un sinto sopravvissuto alla guerra:
"La maggior parte delle persone rispondeva. Pero' ce n'erano alcune che non
ricordavano tutto. Gli anziani, per esempio. Mi ricordo ancora la fine che
fecero fare a uno di loro. Si trattava di una vecchia, avra' avuto
un'ottantina d'anni, ma era ancora una donnona, alta e robusta. Bene, non so
perche', in ogni modo, la presero e le rasarono i capelli. Fu una scena
terribile. Forse non aveva detto la verita' o forse non aveva risposto
esattamente alle domande della Justin e del dottor Ritter, fatto sta che
scappo' e si nascose lungo il Falkenberger Weg. Purtroppo pero' la scovarono
e con l'aiuto della polizia le tagliarono tutti i capelli. Ma non e' tutto,
perche' poi la costrinsero a star ferma mentre le versavano dell'acqua
gelida addosso. E mi ricordo che in quel periodo faceva gia' molto freddo.
Mori' nel giro di tre giorni. L'hanno sotterrata nel cimitero di Marzhan, in
una specie di cassa di latta, neanche in una bara".
C'e' una particolarita' che distingue, nelle elucubrazioni razziste dei
nazisti, gli ebrei dai rom, ed e' proprio il concetto di "qualita'"
razziale, ossia la distinzione tra individui di razza pura o impura. Nel
caso degli ebrei il negativo era individuato nell'ebraicita' in quanto tale.
Ne scaturiva quindi una concezione per cui la presunta quantita' di sangue
ebraico definiva il grado di estraneita' al Voelk ariano, che diminuiva
quanto piu' nella storia genealogica di ciascun individuo erano presenti
incroci con "ariano-tedeschi". Per i nazisti, quindi, l'ebreo cosiddetto
"puro" (vale a dire discendente da ebrei "puri") rappresentava quindi il
tipo umano da eliminare, classificabile tra gli "inferiori". Nel caso dei
rom e dei sinti, invece, quello da perseguitare era l'individuo di sangue
"misto", il "mischling". E piu' era "misto", "impuro", peggio era. Perche'
gli zingari erano portatori di una specifica contraddizione. Visto che erano
di origine "ariana", in quanto popolo proveniente dall'antica India, ma
visto anche che li si considerava comunque "razza inferiore", se ne deduceva
che dovevano essersi talmente mescolati, "incrociati" con individui di altre
razze da essere ormai completamente "razzialmente degenerati". E questa
teoria, secondo i nazisti, che ovviamente non consideravano fattori
fondamentali, calzava a pennello per un popolo nomade.
Di conseguenza, ad esempio, secondo Ritter, ormai solo meno del 10% degli
zingari era ancora "puro" mentre il restante 90% era costituito da incroci
indesiderabili e incontrollati nel corso dei secoli, che dovevano quindi
essere sottoposti a misure che ne impedissero la riproduzione, come la
sterilizzazione, la ghettizzazione, e poi la deportazione e lo sterminio.
*
La sterilizzazione coatta
Nel passaggio dalla teoria alla prassi della persecuzione razziale una delle
prime ipotesi formulate per risolvere la cosiddetta "questione zingara" fu
quella della sterilizzazione coatta (che Poliakov ha giustamente definito
una sorta di sterminio dilazionato nel tempo).
Lo stesso dottor Ritter, mentre proponeva la deportazione e il lavoro
forzato, si premurava di raccomandare sempre di sterilizzare preventivamente
tutti i rom e i sinti, in particolare i bambini non appena avessero compiuto
il dodicesimo anno di eta'.
Uno dei primi accenni alla sterilizzazione risale al 1937, in un articolo su
una rivista tedesca che dichiarava "il 99% dei bambini zingari" della citta'
di Berleburg ormai maturo per la sterilizzazione. E ancora nel 1945, ad
Auschwitz, il professor Clauberg sterilizzo' piu' di 130 donne rom.
Si puo' quindi dire che la sterilizzazione di rom e sinti fu praticata
durante tutti gli anni del nazismo, con operazioni mediche sommarie e
terribili, prima negli ospedali, poi nei lager. E spesso, prima degli
interventi, i nazisti costringevano le loro vittime a firmare le
autorizzazioni, quelle stesse firme utilizzate poi, nel dopoguerra, come
alibi per i loro crimini.
*
L'angelo della morte
Un altro capitolo impressionante della storia dei rom e dei sinti nei lager
e' quello degli esperimenti medici nei quali, probabilmente in quanto
considerati "ariani decaduti", erano utilizzati come cavie. E dai quali
raramente uscivano vivi.
Lo stesso dottor Mengele, l'SS-Hauptsturmfuehrer soprannominato "angelo
della morte" di Auschwitz, installo' il suo laboratorio proprio accanto al
settore zingaro e compi' atroci esperimenti sul nanismo, sulla bicromia
oculare e sulle malattie che si diffondevano nel campo, in particolare il
Noma, una specie di tumore della pelle causato dalla denutrizione e
particolarmente diffuso tra i bambini zingari prigionieri. Una delle sue
cavie fu Barbara Richter, che ci ha lasciato una intensa testimonianza:
"Il dottor Mengele mi ha presa per fare esperimenti. Per tre volte mi hanno
preso il sangue per i soldati. Allora ricevevo un poco di latte e un
pezzetto di pane con il salame. Poi il dottor Mengele mi ha iniettato la
malaria. Per otto settimane sono stata tra la vita e la morte, perche' mi e'
venuta anche un'infezione alla faccia...".
Gli esperimenti sui piccoli rom erano abituali per Mengele che nutriva una
vera e propria ossessione per i bambini e per i gemelli rom e sinti in
particolare. In alcuni casi le detenute si illusero anche di salvare i
propri figli presentandoli al dottore come gemelli, magari semplicemente
perche' della medesima altezza. Ma il loro destino non fu diverso da quello
del resto degli internati: "Ricordo in particolare una coppia di gemelli:
Guido e Nina, di circa quattro anni. Un giorno Mengele li porto' via con
se'. Quando ritornarono erano in uno stato terribile. Erano stati cuciti
insieme, schiena contro schiena, come i siamesi. Le loro ferite erano
infette e ne colava il pus. Piansero giorno e notte. Poi, i loro genitori,
ricordo che il nome della madre era Stella, riuscirono a trovare un po' di
morfina ed uccisero i loro bambini, per placarne le sofferenze".
*
Himmler e la questione zingara
A mano a mano che i nazisti istituzionalizzavano e perfezionavano la loro
macchina razziale anche il "problema zingaro" andava definendosi, assumendo
dimensioni e caratteristiche proprie che, anche se mai riassunte in una
legge specifica, erano nei vari decreti emanati a getto continuo nel Terzo
Reich.
In questo contesto il 1938 e' un anno cruciale per la storia dello sterminio
dei rom. L'anno in cui Heinrich Himmler, dal giugno 1936 capo delle SS e
della polizia di Berlino, diventa anche il responsabile della "questione
zingara" nel Reich.
Alla fine dell'anno, e precisamente l'8 dicembre 1938, Himmler emana un
decreto fondamentale per la storia dello sterminio del popolo rom, la prima
legge che li riguarda esplicitamente e esclusivamente come "razza" e nella
quale, tra l'altro, viene regolata la concessione di documenti ai cittadini
"zingari" in base a perizie razziali e si impone loro una scelta obbligata
tra sterilizzazione e internamento.
Il testo e' molto chiaro: la "questione zingara" e' considerata una
"questione di razza" e come tale va affrontata.
Da allora in poi, e fino al crollo del Terzo Reich, e' un proliferare
continuo di leggi e provvedimenti sulla "questione zingara": oltre a quelle
che regolano (e annullano) i diritti nell'ambito di matrimonio, lavoro,
scuola (analoghe a quelle formulate per gli ebrei), in vigore dalla fine del
1938, e all'ordinanza del 7 agosto 1941, che definisce le distinzioni tra
zingari di razza pura (Z), zingari al 50% (ZM), zingari per piu' o meno del
50% (ZM+ o ZM-), non zingari (ZN), si attivano i meccanismi della
deportazione di massa, tanto e' vero che in una lettera dell'ottobre 1939
Eichmann in persona, interrogato sull'organizzazione dei trasporti degli
zingari, scrive: "mi pare che il metodo piu' semplice sia quello di
agganciare a ciascuna tradotta (di ebrei) qualche vagone di zingari".
Non possono percio' esservi dubbi sul carattere di queste norme che non solo
esplicitano i motivi razziali della persecuzione, ma indicano la presenza di
una "questione zingara" - non criminale - che minaccia il popolo tedesco. La
sorte dei rom nella Germania nazista e in tutti i territori occupati risulta
identica a quella degli ebrei: persecuzione, deportazione e morte. I vagoni
merci diretti ai lager, quindi, trasportano insieme ebrei, rom e sinti per
una stessa via, diretti verso lo stesso tragico destino.
Esistono documenti terrificanti che raccontano la persecuzione di rom e
sinti in Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Austria, Francia, Belgio, Olanda,
Jugoslavia. Ed esistono documenti altrettanto terrificanti sulla loro
presenza a Dachau, Ravensbrueck, Treblinka, Buchenwald, Bergen Belsen,
Chelmno, Maidanek, Gusen, Theresienstadt, Belzec, Sobibor, Auschwitz.
In questo quadro va anche tenuto presente cio' che accade in Unione
Sovietica, invasa dalle armate hitleriane il 22 giugno 1941. Cominciano
allora, anche nei territori dell'est, gli assassini dei sinti e dei rom
perpetrati, in particolare, dalle famigerate Einsatzgruppen, che seguivano
le armate tedesche uccidendo e sterminando in esecuzioni sommarie e di
massa. La ferocia delle esecuzioni risulta, a volte, dai rapporti redatti
dagli stessi assassini: uomini, donne e bambini braccati, costretti a
spogliarsi nudi prima dell'esecuzione, uccisi con un colpo alla nuca sul
bordo di una fossa comune in cui venivano lasciati a centinaia, alle volte
ancora vivi.
*
La soluzione finale
La "soluzione finale" della "questione zingara" fu decretata il 16 dicembre
1942, quando Himmler firmo' l'ordine di internare, o trasferire, tutti gli
zingari ad Auschwitz.
Proprio Auschwitz risulta essere il lager sul quale esiste maggiore
documentazione sullo sterminio e sulla prigionia dei rom e dei sinti,
probabilmente anche perche' qui, tra il febbraio del 1943 e l'estate del
1944, esistette una sezione appositamente riservata a loro: il campo BIIe di
Birkenau, per famiglie, lo Zigeunerlager.
Era un recinto solo per gli zingari, vicino ai crematori, dove gli zingari
vivevano in condizioni particolari, vale a dire diverse da quelle di tutti
gli altri prigionieri. Ma solo diverse, non migliori. Perche' va subito
sottolineato il fatto che non e' suffragabile l'ipotesi per cui i rom
avrebbero dovuto vivere: forse, avrebbero potuto morire in modo diverso. Ma
il loro destino di morte non e' discutibile: del resto non si spiegherebbe
diversamente l'ordine di internarli proprio ad Auschwitz, all'epoca gia'
trasformato in campo di sterminio.
Nello Zigeunerlager rom e sinti erano radunati in una sezione speciale,
circondata da filo spinato attraversato da corrente elettrica ad alta
tensione. Le famiglie restavano unite: uomini con donne, genitori con figli,
mariti con mogli. Subito destinati alle loro baracche, appena arrivati erano
tatuati e rasati a zero, ma poi nessuno si preoccupava piu' dei loro
capelli, che ricrescevano. Le donne potevano partorire (il primo bimbo venne
alla luce l'11 marzo 1943, quando il lager esisteva da pochissimo tempo, e
da quel giorno vennero regolarmente registrate nascite), nessuno lavorava e,
soprattutto, i prigionieri rom e sinti non erano sottoposti alle terribili
selezioni per le camere a gas, prassi, invece, per tutti gli altri
deportati. Una volta entrati nell'area BIIE rom e sinti erano, in
definitiva, quasi abbandonati alla loro sorte.
Molti altri prigionieri, che li vedevano da altre sezioni del campo,
consideravano tutto questo un privilegio. E purtroppo tale lo hanno
considerato anche alcuni storici che hanno liberamente parlato della vita
nello Zigeunerlager come di una condizione molto particolare e meno
difficile che per la maggior parte degli altri prigionieri. Una simile
presentazione dei fatti risulta, pero', offensiva e denigratoria di fronte
alla loro sorte. Come ha ricordato Ulrich Konig lo Zigeunerlager non
corrispondeva ad alcun progetto umanitario. Lo mostra persino il libro
mastro del campo di Birkenau che ci restituisce l'altissimo livello di
mortalita' dello Zigeunerlager dove, dei circa 300 bambini nati nel periodo
della sua esistenza, nessuno sopravvisse.
Le condizioni dello Zigeunerlager erano spaventose e i prigionieri rom erano
come tutti gli altri prigionieri di Auschwitz. Nella primavera del 1943 il
numero dei rom a Birkenau era di 16.000: le baracche erano sovraffollate ed
in un blocco da 300 persone ce n'erano 1.000.
Hermann Langbein ricorda quando, come medico dell'infermeria, si trovo' nel
campo degli zingari: "Su un pagliericcio giacciono sei bambini che hanno
pochi giorni di vita. Che aspetto hanno! Le membra sono secche e il ventre
e' gonfio. Nelle brande li' accanto sono le madri, occhi esausti e ardenti
di febbre. Una canta piano una ninna-nanna. A quella va meglio che a tutte,
ha perso la ragione, mi dicono... Al muro e' annessa una baracchetta di
legno... E' la stanza dei cadaveri. Ne ho gia' visti molti nel campo. Ma qui
mi ritraggo spaventato. Una montagna di corpi alta piu' di due metri. Quasi
tutti bambini. In cima scorrazzano i topi".
*
Tutti in una notte
La storia dello Zigeunerlager termina la notte tra il 31 luglio ed il primo
agosto 1944 quando i circa 4.000 zingari sopravvissuti nello Zigeunerlager
fino a quel momento vengono condotti nelle camere a gas.
Le testimonianze su quella tragica notte sono agghiaccianti: "L'ora
dell'annientamento e' suonata anche per i 4.500 detenuti del campo zingaro.
La procedura e' stata la stessa applicata per il campo ceco. Prima di tutto
divieto di uscire dalle baracche. Poi le SS e i cani poliziotto hanno
cacciato gli zingari dalle baracche e li hanno fatti allineare. Hanno
distribuito a ciascuno le razioni di pane e i salamini. Una razione per tre
giorni. Hanno detto loro che li portavano in un altro campo e gli zingari ci
hanno creduto... Il blocco degli zingari sempre cosi' rumoroso, si e' fatto
muto e deserto. Si ode solo il fruscio dei fili spinati e porte e finestre
lasciate aperte che sbattono di continuo".
Nel gennaio del 1945 i rom rimasti ad Auschwitz erano pochissimi:
all'appello del 17 gennaio, dieci giorni prima della liberazione, risposero
solo quattro uomini.
Non e' facile dire quanti rom morirono ad Auschwitz, cosi' come non si
conosce con precisione nemmeno il numero di quelli uccisi in quella tragica
notte. Secondo le fonti piu' accreditate sono circa 23.000 i rom morti in
quel lager.
Altrettanto difficile stabilire il numero totale dei rom vittime del
nazismo: le cifre ufficiali indicano circa 500.000 persone, ma sembrano non
tenere conto di molti dati e scontare la carenza di documentazione
sull'argomento. Come abbiamo visto, infatti, il materiale d'archivio
testimonia che molti rom, oltre che nei lager, furono uccisi nelle
esecuzioni di massa nei territori dell'est e tanti altri furono sterilizzati
e rimessi in liberta'.
In realta' il numero totale dei rom uccisi sotto la dittatura nazista non e'
documentabile. Soprattutto perche' e' incerto il numero dei sinti e dei rom
presenti in Europa prima della guerra, visto che molti non erano registrati
alla nascita e tanti cambiavano luogo e nome nel corso della loro vita; e
poi perche' - diversamente dagli ebrei - non vivevano in comunita' e quindi
dopo la guerra, anche se si fosse voluto, non sarebbe stato facile contare i
superstiti; e infine perche' il popolo rom ha una concezione della memoria
diversa dalla nostra, che tenta di allontanare il male e il negativo dai
ricordi, e poco incline alla documentazione scritta come mezzo di
trasmissione.
*
Anche in Italia...
Se per quel che riguarda il nazismo - come abbiamo visto - si e' arrivati,
per quanto tardivamente, a conclusioni che inquadrano le vicende della
persecuzione, della deportazione e dell'uccisione dei rom e dei sinti, e ci
restituiscono un quadro almeno sufficiente dei fatti, non altrettanto si
puo' dire per cio' che riguarda i rom e i sinti nell'Italia fascista.
Nel nostro paese, infatti, la ricerca e' ancora molto "mancante" -
soprattutto a livello accademico - come lo e', d'altra parte, anche quella
sull'internamento in Italia, paese che non vuole riconoscere le proprie
contiguita' con il nazismo e quindi le proprie responsabilita' nelle
politiche di persecuzione razziale attuate in tutta Europa. Eppure di
ricerca da fare ce ne sarebbe moltissima, come dimostrano gli studi di
coloro che hanno cominciato a farla, da Carlo Spartaco Capogreco (I campi
del duce) agli studenti universitari che, faticosamente, stanno aprendo
nuove prospettive di lavoro su questi argomenti.
Anche per questo fino a pochi anni fa sulla persecuzione fascista dei rom e
dei sinti esistevano solo rare fonti orali e dati documentari sparsi. Tra
questi la presenza di sinti e rom nel campo di Ferramonti (uno dei piu'
grandi campi di concentramento italiani esistito dal 1941 al 1943) o
l'arrivo di alcuni rom italiani nel lager austriaco di Lackenbach, luogo di
morte per migliaia di sinti e rom europei. Nelle testimonianze orali
(raccolte faticosamente in tanti anni soprattutto da Mirella Karpati del
Centro studi zingari di Roma), invece, alcuni ricordavano luoghi di
prigionia italiani come Perdasdefogu (in Sardegna), Agnone (in Molise),
Tossicia (in Abruzzo) o le isole Tremiti.
Considerando pero' anche il fatto che i testimoni rom e sinti utilizzano la
memoria in modo molto diverso da quello a cui noi siamo abituati e
all'interno di ambiti che poco hanno a che fare con lo scritto e il valore
della testimonianza, basandosi invece su un'oralita' che, nel tramandare,
trasforma il ricordo, e tenendo anche presente che non sappiamo ancora quasi
nulla su come vivevano rom e sinti nel nostro paese durante gli anni del
fascismo, va detto che le testimonianze orali non erano sufficienti a
illuminare i tempi, i modi e le ragioni della persecuzione.
Forse anche per questo la maggior parte di coloro che si sono occupati del
problema della persecuzione fascista dei rom hanno generalmente liquidato la
questione affermando che in Italia la politica discriminatoria era
indirizzata essenzialmente contro gli stranieri e dovuta a ragioni di ordine
e sicurezza. Secondo questa interpretazione fu l'occupazione della
Jugoslavia e la conseguente fuga di molti rom da quel paese a indurre le
autorita' fasciste a internarli, cosa certamente anche vera ma che non
comprende e spiega la totalita' dei fatti.
La documentazione conservata all'Archivio centrale dello stato fornisce
infatti ipotesi di studio diverse, riguardanti anche i rom e i sinti
italiani.
Quello che i fascisti pensavano di sinti e rom - e che non sembra poi molto
diverso da quello che altri pensavano prima di loro o anche da quello che
pensano molti ancora oggi - emerge chiaramente da una circolare ministeriale
del 1926 che ordina di espellere tutti gli zingari stranieri presenti nel
regno per "epurare il territorio nazionale della presenza di carovane di
zingari, di cui e' superfluo ricordare la pericolosita' per la sicurezza e
per l'igiene pubblica per le loro caratteristiche abitudini di vita".
*
Arrestati, schedati, espulsi, internati
Il primo ordine di internamento vero e proprio, e che riguarda
inequivocabilmente anche rom e sinti italiani, risale invece all'11
settembre del 1940, quando una circolare del ministero degli interni,
indirizzata a tutte le prefetture, ordina rastrellamenti di zingari e loro
concentramento in tutto il paese, "sotto rigorosa sorveglianza in localita'
meglio adatte in ciascuna provincia". E' un ordine importante, che coinvolge
prefetture e organi di governo locale che, oltretutto, si dimostrano
piuttosto solleciti, impazienti e zelanti nel cominciare a cercare e
imprigionare "zingari". Quasi subito, e da tutto il paese (Udine, Ferrara,
Aosta, Bolzano, Ascoli Piceno, Trieste, Verona, Campobasso), giungono al
ministero telegrammi di risposta all'ordine ministeriale che informano sulle
persone catturate e spesso chiedono cosa fare.
Se questi documenti ci consentono, pero', solo di immaginare ipotesi di
persecuzione e prigionia, indicando solo intenzioni, senza fornire
informazioni sull'effettivita' dell'internamento, altri documenti ci
permettono invece di fare un ulteriore passo avanti. Si tratta dei fascicoli
personali degli arrestati. Pagine lasciate per decenni negli schedari
dell'Archivio centrale, lettere e corrispondenze varie tra ministero e
prefetture che riguardano determinate persone rom e sinte negli anni che
vanno dal 1928 al 1943.
Sembra, e forse simbolicamente, di leggere storie di oggi: vicende di
giostrai, allevatori di cavalli, calderai che battono il rame e il ferro,
uomini e donne che girovagano vendendo portafiori di vimini o stoffe
ricamate e che vengono continuamente arrestati ed espulsi dal territorio
italiano nel quale cercano di continuare a vivere, a esistere, accerchiati
da norme e regole che glielo impediscono, trascinandoli, contemporaneamente,
nella tragedia della seconda guerra mondiale. Quasi tutti prima vengono
ripetutamente arrestati, schedati ed espulsi, poi, a partire dalla fine del
1940, e quindi dall'emanazione dell'ordine di internamento, reclusi,
imprigionati in diversi luoghi.
I prigionieri rom erano ovviamente sottoposti alle regole generali
dell'internamento in Italia, che prevedevano due tipi di procedure: il
"campo di concentramento" e il soggiorno obbligato in una data localita', il
cosiddetto "internamento libero", in cui i prigionieri dovevano vivere in un
luogo determinato, senza potersi spostare e costretti, per esempio, a
lavorare. Entrambi i tipi di internamento avvenivano, solitamente, in luoghi
isolati e piccoli paesi, in condizioni di vita dure, regolate da
un'infinita' di norme rigide e spesso crudeli, di controllo e sorveglianza,
della quali, per rom e sinti, la piu' tremenda era senza dubbio la mancanza
di liberta' e l'impossibilita' di spostarsi liberamente e mantenere i
contatti con l'esterno.
*
A Boiano, per esempio
Se da una parte questa documentazione ci permette di affermare, ormai senza
dubbio, l'effettivita' dell'internamento, dall'altra ci consente anche di
dire, con certezza, che il regime fascista adotto' verso rom e sinti
provvedimenti distinguibili in almeno due fasi (ovviamente intrecciate al
contesto piu' generale della guerra e della conseguente politica di
internamento): la prima, che precede il settembre 1940, e la seconda, che va
dal 1940 al 1943 (anno dell'armistizio che segna l'inizio dell'occupazione
tedesca).
Prima del 1940 rom e sinti venivano quasi sempre arrestati e subito espulsi
dal Regno, accompagnati al confine e la' abbandonati, tanto che generalmente
rientravano quasi subito e la procedura si ripeteva periodicamente. Dalla
fine del 1940, invece, la politica di espulsione si trasforma in politica di
internamento. E in queste carte la realta' della prigionia emerge in tutta
la sua evidenza, ed emergono anche alcuni dei luoghi dove rom e sinti erano
reclusi.
Se alcuni, come Vinchiaturo (Campobasso), le Isole Tremiti e la Sardegna
risultano, per il momento, solo come casi isolati, ci sono invece altri
luoghi dove la politica di internamento fascista nei confronti di rom e
sinti si fa piu' chiara. In particolare a Boiano, Agnone e Tossicia.
A Boiano, in provincia di Campobasso, e' certa la presenza di rom e sinti
almeno nell'estate del 1941. Ma forse anche prima visto che altri documenti
relativi al campo, recentemente rintracciati (per esempio da Rosa
Corbelletto, che ha appena compilato una tesi di laurea, dove propone nuovi
e molto interessanti documenti sull'internamento di rom e sinti in Italia),
segnalano due famiglie, in totale 17 persone, assegnate a questo campo gia'
nel dicembre del 1940. I prigionieri erano alloggiati fuori dal paese, nella
vecchia Manifattura Tabacchi, composta da cinque capannoni freddi e umidi e
in condizioni cosi' precarie e terribili da indurre persino funzionari e
amministratori fascisti a tentare opere di manutenzione e risanamento, e
infine a trasferire gran parte dei prigionieri in altri luoghi. Ma non "gli
zingari", che furono invece trasferiti solo alla chiusura di Boiano avvenuta
nell'agosto del 1941. Erano, allora, 65 rom e sinti, di cui 21 minori di 15
anni.
*
Agnone, solo per rom
E da Boiano arrivarono ad Agnone, un paesino vicino a Isernia, dove il campo
si trovava fuori dal paese, a 850 metri di altezza, allestito in un ex
convento benedettino requisito dai fascisti. In questo campo i documenti non
solo attestano la presenza di rom e sinti ma addirittura fanno supporre che,
almeno da un certo periodo in poi, e probabilmente dalla fine del 1941, il
campo fosse destinato esclusivamente a loro. Dai documenti si capisce che
gli zingari arrivano, trasferiti anche da altri campi, nel luglio del 1941
quando si comincia anche a pensare di adibire il campo solo per loro. E nel
luglio 1942 ne risultano 250. Ci sono lettere e corrispondenze che indicano
anche che nel gennaio del 1943 venne istituita una scuola per i bambini rom,
o piu' precisamente "per l'educazione intellettuale e religiosa dei figli
minorenni degli zingari cola' internati". Il 23 aprile del 1943 un documento
attesta la presenza di 146 internati zingari e si premura di sottolineare
che tutto procede bene, compresa la scuola che si occupa di "toglierli dalle
loro abitudini randagie e amorali".
Ma le cifre e gli elenchi del campo devono ancora essere rintracciati e
studiati: intanto perche' non si capisce come possano passare da 250 a 130
come attestato e nel giro di soli tre mesi, e poi perche' esistono
testimonianze, come quella di Tommaso Bogdan, che anticipa il suo arresto e
il suo internamento ad Agnone gia' dal 1940. E i riscontri documentari
sembrerebbero confermare. E' una testimonianza molto intensa, raccolta
recentemente, nella quale Tommaso Bogdan, che oggi vive in un campo sosta a
Roma, ricorda anche i suoi due fratelli morti di stenti ad Agnone e i suoi
genitori che non sopravvissero alla fuga dal campo quando, dopo l'armistizio
dell'8 settembre, qui come anche in altri campi, i fascisti aprirono le
porte ordinando ai prigionieri di andarsene.
Il campo di Tossicia, infine, e' uno dei piu' noti. Funzionante dall'ottobre
del 1940, venne smantellato con l'armistizio. Prima di allora, pero', vi
erano rinchiusi anche rom e sinti. Disponiamo infatti di almeno due elenchi
che documentano la presenza di almeno 108 di loro nel mese di luglio del
1942. Tossicia era uno dei peggiori campi dell'Italia centrale. Gli
internati vivevano ammassati in tre case e casa Mirti era quella riservata
agli zingari, in condizioni intollerabili: gli edifici erano privi di
finestre, non c'era acqua e le fogne allagavano continuamente la zona.
Ci sono pochissime informazioni, e assolutamente frammentarie, sul destino
dei rom e dei sinti nel periodo dell'occupazione tedesca e della Repubblica
sociale, e soprattutto sul destino di coloro che, a quell'epoca, si
trovavano gia' imprigionati e segnalati. In ogni caso e' bene riflettere
sulle eventuali responsabilita' italiane nel trasferimento e nella
successiva eliminazione dei prigionieri rom e sinti nei campi di sterminio
hitleriani. Da segnalare, almeno, la testimonianza, indiretta, della
partigiana Laura Conti che, internata a Gries di Bolzano, ricorda tra i
prigionieri "bambini zingari italiani e spagnoli" che vivevano con le madri
nell'unica baracca femminile e "parlavano solo la loro lingua quindi fu
difficile sapere qualcosa su di loro". E quella del sinto Vittorio Mayer
(che riusci' a salvarsi nascondendo la sua origine e diventando violinista
nell'esercito tedesco) che ricorda la sorella Edvige morta a vent'anni nel
campo di Bolzano: "maledetta guerra! Ho sempre nel cuore l'immagine di mia
sorella, rinchiusa dietro i reticolati".
Per chiudere questa breve sintesi sull'Italia va sottolineato che, grazie al
lavoro di alcuni storici e studiosi caparbi, oggi possiamo affermare con
certezza che anche nel nostro paese i fascisti perseguitavano,
discriminavano, arrestavano e imprigionavano rom e sinti e che, addirittura,
pensavano e organizzavano luoghi di internamento solo per loro. Dove
venivano imprigionati e schedati come zingari. E questo, per quanto ancora
non esistano dati oggettivi per assimilare la politica fascista a quella
razziale nazista, qualcosa potrebbe voler dire.
*
Dopo la guerra
Per concludere qualche parola sul dopoguerra. E soprattutto una riflessione:
nemmeno la tragicita' della fine della seconda guerra mondiale riusci' a
essere occasione di pace e convivenza con il popolo rom.
Nei vari processi contro i nazisti responsabili di crimini contro
l'umanita' - primo tra tutti quello di Norimberga - mai nessuno decise di
sentire testimonianze di rom e sinti. E ancora quindici anni dopo, al
processo di Gerusalemme, nonostante Eichmann si fosse dimostrato consapevole
delle pratiche di deportazione degli zingari, il capo di imputazione che
riguardava questo argomento venne annullato.
Nel dopoguerra anche Robert Ritter e i suoi collaboratori continuarono a
vivere piu' o meno indisturbati. Nessuno di loro venne mai condannato.
La sottovalutazione, o la negazione, della "questione zingara" fin dal primo
dopoguerra nasconde, in verita', anche un problema molto complesso e
concreto, quello dei risarcimenti dovuti alle vittime del nazismo.
Nonostante la Convenzione di Bonn - imposta dagli Alleati alla Germania nel
1945 - prescrivesse il pagamento di riparazioni e indennizzi a tutti coloro
che erano stati perseguitati per ragioni di politica razziale, nel caso dei
rom e dei sinti questo fu negato e tutte le loro istanze di risarcimento
eluse dalla magistratura tedesca.
Col tempo pero', la discussione sullo sterminio dei rom e, in particolare,
sul riconoscimento o meno di uno sterminio razziale si dovette confrontare
sempre piu' con le prove documentarie che man mano emergevano e che
provavano il carattere razziale - appunto - della persecuzione di rom e
sinti. Le autorita' tedesche, allora, cercarono di barcamenarsi nel piu'
totale cinismo e disprezzo razzista. Se prima i giudici, con una sentenza
assurda, riconobbero la persecuzione razziale solo a partire dal decreto di
internamento ad Auschwitz (1942), poi si trincerarono dietro al fatto che
non esisteva un organismo rappresentativo del popolo romani' al quale
affidare i risarcimenti.
Fu infine solo nel 1980 che il governo tedesco riconobbe ufficialmente - e
finalmente - che rom e sinti avevano subito "sotto il regime nazista
nell'Europa occupata, una persecuzione razziale".
A noi resta un dato sul quale riflettere: il popolo romani', dopo la seconda
guerra mondiale, aveva diritto ai risarcimenti. E questo diritto non fu mai
affermato.
*
Postilla
Il termine "zingaro" (o zigano), che noi siamo abituati a usare - utilizzati
anche qui per ragioni di comprensibilita' - non sono, in realta',
completamente appropriati: coniati dalle societa' ospiti gia' nel corso del
XIV secolo provengono dalla denominazione bizantina atziganoi - che si rifa'
a una falsa origine egiziana e dalla quale derivano il tedesco zigeuner, il
francese tsiganes, l'italiano zingari e simili in altre lingue - e hanno
assunto anche un significato dispregiativo. Andrebbero quindi correttamente
sostituiti dai termini che indicano i vari gruppi del popolo rom e
utilizzati dagli stessi rom che, pero', non sempre hanno un equivalente
sintetico in italiano. Forse la dizione rom e sinti appare la migliore.

4. TELEGRAMMI. IL NONVIOLENTO ABILE E ARRUOLATO

Speriamo che finisca questa moda delle forze politiche di dirsi nonviolente.
Comincio' il Partito radicale e i suoi leader finirono in divisa
dell'esercito croato.
Continuarono i Verdi e finirono nel governo che bombardava la Jugoslavia.
Poi si aggiunse anche il Prc che fini' a votare per la guerra afgana.
Speriamo che finisca questa moda delle forze politiche di dirsi nonviolente.

5. TELEGRAMMI. LA PICCOLA METAMORFOSI

Una mattina Gregorio Samsa si sveglio' trasformato in parlamentare
governativo.
Prima: no alla guerra, senza se e senza ma.
Oggi: si' alla guerra, senza se e senza ma.
Per un monosillabo non vale proprio la pena di fare tante storie.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1371 del 29 luglio 2006

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