[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1367
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1367
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 25 Jul 2006 00:12:15 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1367 del 25 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Fernando Rossi: No alla guerra e no alle menzogne 2. Peppe Sini: Il cavaliere, la morte e il diavolo 3. Tavola della pace: Tre si' alla pace 4. Franco Restaino: Una notizia biografica su Hannah Arendt 5. Maria Vittoria Vittori presenta "Vera" di Elizabeth von Arnim 6. Quando, quando, quando, quando 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. DOCUMENTAZIONE. FERNANDO ROSSI: NO ALLA GUERRA E NO ALLE MENZOGNE [Dalla mailing list "Pace" di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo il seguente intervento di Fernando Rossi (per contatti: rossi_f at posta.senato.it). Fernando Rossi, senatore del Partito dei comunisti italiani, e' uno dei parlamentari impegnati contro la guerra e in difesa della Costituzione della Repubblica Italiana] Nel programma dell'Unione non c'e' scritto nessun impegno a continuare la guerra in Afghanistan. Tuttavia, ogni giorno, qualcuno attacca i parlamentari contro la guerra sostenendo che non c'e' scritto nemmeno il contrario e quindi si puo' continuare a farla. Nel programma dell'Unione c'e' invece scritto, a pag. 98 (ultimi due capoversi) che il nuovo governo, nell'applicazione rigorosa dell'art.11 della Costituzione partecipera' solo a: missioni di sicurezza collettiva come previsto dall'art. VII della Carta delle Nazioni Unite; distinguendo le funzioni di polizia internazionale dalla guerra; (missioni, ndr) "di natura tale da garantire la terzieta' rispetto al paese (in cui si entra, ndr) e agli interessi in campo; la congruita' dei mezzi rispetto ai fini perseguiti". A pag. 99, il primo capoverso recita: "Crediamo che il Parlamento debba autorizzare le spese relative ad un'eventuale partecipazione dell'Italia con votazione separata per ogni singola missione". A pag. 109, primo capoverso: "Noi pensiamo, per l'oggi e per il domani, che non sia possibile un impegno delle Forze Armate italiane fuori dai confini nazionali senza mandato diretto e preciso delle Nazioni Unite e della Unione Europea". L'ultimo capoverso di pag. 109 recita: "L'Unione si impegna, nell'ambito della cooperazione europea, a sostenere una politica che consenta la riduzione delle spese per armamenti". Il Decreto che ci e' stato sottoposto non rispetta nessuna di tali condizioni. * La missione Isaf non e' piu', se mai lo e' realmente stata, una "missione multilaterale Onu di pace" ma si e' fusa con "Enduring Freedom" (missione unilaterale di guerra decisa e voluta dalle gerarchie militari e dal presidente degli Stati Uniti). Nell'agosto 2003 la missione Isaf si trasforma da missione Onu a missione a comando Nato: alleanza militare formalmente in guerra a fianco degli Usa, in virtu' di un improprio richiamo all'art.5 del Trattato dell'Alleanza del Nord Atlantico. Come ha spiegato il generale Fabio Mini (ex comandante della missione Kfor in Kosovo) le forze Isaf, nel 2005 e nel 2006, si sono trovate impegnate a fianco, ed al posto delle forze Usa, in operazioni di "bonifica", ovvero nella guerra ai talebani. Nei primi sei mesi del 2006, la "missione di pace" ha prodotto 2500 morti afgani e 84 militari Nato e Usa, ed e' a tutti noto che, per coprire il fallimento militare (e morale) della loro guerra, hanno gia' deciso una escalation (aumentarne l'ampiezza e la potenza distruttiva). * Chi era contrario alla guerra all'Afghanistan fatta dal governo Berlusconi, perche' dovrebbe sostenerla se la stessa guerra viene proposta dal governo dell'Unione, che ora non puo' nemmeno avvalersi delle vecchie bugie sul presunto ruolo umanitario? Noi "disobbedienti contro la guerra", secondo chi parla a nome del futuro partito democratico (Ds, Margherita, Idv e Rosa nel pugno) dovremmo dimetterci perche' avremmo tradito il mandato elettorale... Suggerirei di dare un'occhiata al sondaggio del "Corriere della sera" (subito occultato) dove e' emerso che un'ampia maggioranza di italiani e' contro la nostra partecipazione alla guerra afgana. Chi onora il proprio dovere di rappresentante del popolo non dovrebbe essere aggredito da "ragionatori" che si richiamano ad un programma elettorale che forse non hanno nemmeno letto o ad una disciplina di partito che e' il contrario della democrazia parlamentare (sono decisamente contrario ad un parlamento "bulgaro", fatto da 13 segretari nazionali di partito o da centinaia di loro cloni). * Nessuno nega al governo di avanzare proposte non contemplate nel programma, ma in tal caso un confronto ed un coinvolgimento di partiti e parlamentari della maggioranza e' un percorso democratico obbligatorio. Quindi i guardiani del nulla si mettano tranquilli: non esistono teste calde e teste fredde, esistono idee diverse sulla inderogabile necessita' di non deludere gli Stati Uniti. Tali diverse idee andrebbero sempre e comunque messe a confronto. Se c'e' chi pensa che un pre-accordo "democratico" possa imporre al parlamento una guerra (ma anche una legge finanziaria) dovra' ricredersi, almeno al Senato. * Il resto delle polemiche e' solo propaganda per salvarsi l'anima, poiche': - "Voi volete far cadere Prodi", e' una inutile intimidazione poiche' non e' vero e' perche' anche i piu' creduloni giovedi' sera vedranno che la montagna non avra' nemmeno partorito il topolino; - "Sarete voi a favorire l'allargamento al centro dell'Unione e delle sue scelte sociali" e' un argomento fasullo. Basti vedere le numerose aperture pre-Decreto guerra o la campagna promossa da alcuni grandi giornali nazionali (che e' cominciata il giorno dopo il voto, avendo a modello la Grosse Koalition tedesca) per rendersene conto. 2. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL CAVALIERE, LA MORTE E IL DIAVOLO 1. Lo stato delle cose Il governo in carica (espressione della coalizione cosiddetta di centrosinistra) ha deliberato un decreto che conferma l'illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra afgana. Alla Camera dei Deputati tale decisione e' stata approvata con il voto di tutte le forze politiche, essendosi riconosciuta nel decreto anche tutta la coalizione cosiddetta di centrodestra; solo quattro deputati hanno votato no alla guerra e alla violazione della legalita' costituzionale. La partecipazione militare italiana alla guerra afgana e' in esplicito e totale contrasto con l'art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana, che non solo "ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli", ma la ripudia altresi' "come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (sapevano bene, i costituenti, che tutti gli aggressori e tutti gli assassini amano presentarsi come "pacificatori"); il ripudio della guerra e' talmente forte che l'Italia consente anche "alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni" e "promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo" (lo ricordiamo perche' alcuni mascalzoni - ed alcuni sprovveduti da loro ingannati - hanno pensato di poter citare la seconda parte dell'art. 11 sostenendo che significasse l'esatto contrario della prima parte, mentre come e' ovvio ne e' estensione e conseguenza). Indipendentemente da ogni altra considerazione basterebbe questo semplice riferimento alla lettera della Costituzione della Repubblica Italiana a rendere superflua ogni discussione ulteriore. La partecipazione italiana alla guerra afgana e' proibita dalla Costituzione: ed il fatto che una maggioranza parlamentare eversiva negli anni scorsi abbia reiteratamente violato la Costituzione non autorizza a proseguire nel delitto. Punto. Basterebbe gia' questo, ma e' sempre meglio saperne anche di piu': e allora sara' opportuno leggere le testimonianze dall'Afghanistan per sapere cosa li' stia veramente accadendo (in particolare i volontari di Emergency si sono molto impegnati a tal fine - ed alcuni loro interventi abbiamo riprodotto nei giorni scorsi anche su questo foglio): come continuino la guerra e le morti, e come la presenza militare italiana sia parte della macchina della guerra, della coalizione che fa la guerra, e quanto necessario sia invece impegnarsi per la cessazione della guerra, per il disarmo di tutte le parti, per recare soccorso a tutte le vittime, per sostenere chi lotta senza armi e senza violenza contro i poteri criminali, per i diritti umani e la democrazia. La macchina propagandistica bellica ha cercato ancora una volta in queste settimane di ingannare l'opinione pubblica italiana, occultando la realta' della guerra e addirittura pretendendo di far credere che il rifinanziamento della partecipazione militare italiana alla guerra afgana fosse una scelta di pace. Non solo: vi e' stato altresi' il tentativo (infame tentativo, e peraltro largamente riuscito) di nascondere la realta' della gravissima violazione della legalita' costituzionale. Ed infine si e' cercato di intimidire - con diffamazioni persino umoristiche nella loro scellerata protervia - i parlamentari che hanno annunciato la volonta' di opporsi alla guerra e di difendere la Costituzione (addirittura accusandoli di "fare il gioco del nemico" e simili scempiaggini, che del resto sono le medesime scempiaggini che ogni potere autoritario diffonde contro chi non accetta di adeguarsi alla sua violenza - e la scelta della guerra e' sempre la scelta della violenza). Questa e' la realta' dei fatti. * 2. Paralipomena E non ci interessa aggiungere qui molto altro. Che pure si potrebbe aggiungere. Ad esempio alcuni hanno messo in rilievo come da un sondaggio condotto da un autorevole istituto di ricerca per conto di uno dei piu' prestigiosi quotidiani italiani si evincerebbe che la maggioranza del popolo italiano sia contro la guerra e a favore della cessazione della partecipazione militare italiana a quella in corso in Afghanistan. Ci conforta, certo, ma anche se l'intero popolo italiano fosse stato a favore della guerra afgana, la partecipazione italiana ad essa sarebbe restata illegale e criminale; ed anche se una sola persona si fosse opposta alla guerra avrebbe avuto ragione quella sola persona: ed e' per questo che l'Italia e' una repubblica fondata sulle leggi: perche' anche se l'intero popolo venisse ubriacato, ingannato ed abbrutito, la Costituzione resterebbe presidio di verita' e di giustizia, e quel popolo - pur ubriacato, ingannato ed abbrutito - preserverebbe comunque dal precipitare nel baratro (certo, se la Costituzione venisse rispettata e fatta valere). E tuttavia il fatto che sia ragionevole supporre che la maggioranza del popolo italiano sia per la pace e per la cessazione della partecipazione italiana alla guerra afgana, ebbene, la dice lunga almeno sul fatto che le decisioni scellerate assunte da ristrette oligarchie (i vertici dei partiti che tutti - da An al Prc - hanno imposto alla Camera il voto a favore della guerra in violazione della Costituzione) potranno pur trovare una complicita' pressoche' totalitaria in un parlamento umiliato e sopraffatto, ma non nel popolo italiano. E ancora: ha detto bene il senatore Fernando Rossi nel testo sopra riportato che "la missione Isaf non e' piu', se mai lo e' realmente stata, una 'missione multilaterale Onu di pace' ma si e' fusa con 'Enduring Freedom' (missione unilaterale di guerra decisa e voluta dalle gerarchie militari e dal presidente degli Stati Uniti)", poiche' "nell'agosto 2003 la missione Isaf si trasforma da missione Onu a missione a comando Nato: alleanza militare formalmente in guerra a fianco degli Usa, in virtu' di un improprio richiamo all'art. 5 del Trattato dell'Alleanza del Nord Atlantico"; e giustamente ricorda che "come ha spiegato il generale Fabio Mini (ex comandante della missione Kfor in Kosovo) le forze Isaf, nel 2005 e nel 2006, si sono trovate impegnate a fianco, ed al posto delle forze Usa, in operazioni di 'bonifica', ovvero nella guerra ai talebani", e che "nei primi sei mesi del 2006, la 'missione di pace' ha prodotto 2500 morti afgani e 84 militari Nato e Usa, ed e' a tutti noto che, per coprire il fallimento militare (e morale) della loro guerra, hanno gia' deciso una escalation (aumentarne l'ampiezza e la potenza distruttiva)". E quanto alla bubbola che chi si oppone alla guerra e difende la Costituzione e' un complice della destra golpista, suvvia: Berlusconi e tutta la sua coalizione hanno votato alla Camera dei Deputati a favore del decreto, puntigliosamente ed orgogliosamente rivendicando la continuita' di esso con la loro politica bellica (e per quanto possa suonare davvero incredibile, almeno per una volta dicevano la verita'). E del resto nessun governo puo' pensare che gli sia lecito violare la Costituzione. Se il governo espressione della maggioranza parlamentare del cosiddetto centrosinistra vuole essere fedele al giuramento di fedelta' alla Costituzione effettuato da ciascuno dei suoi ministri nelle mani del Presidente della Repubblica all'atto di assumere l'incarico, disponga che l'Italia cessi di partecipare alla guerra afgana e ritorni nell'alveo della legalita'. * 3. La guerra porta il fascismo (anche in camicia arcobaleno) Tra la scelta della guerra e il dispiegarsi dell'autoritarismo e fin del totalitarismo vi e' un nesso evidente: le persone che sostengono la guerra non sopportano che possano esistere persone che alla guerra si oppongono: e' per questo che secondo i guerrafondai e i loro complici coloro che si oppongono alla guerra devono essere marchiati d'infamia, giacche' se si oppongono alla guerra devono avere inconfessabili motivi, abominevoli mandanti, colpe mostruose. La rappresentazione di questo spettacolo abbiamo visto darsi anche in queste settimane: invece di chiedere conto del loro agire ai ministri e ai parlamentari che hanno decretato e sostenuto la scelta della guerra e della violazione della legalita' costituzionale, la macchina della propaganda ha cercato di accusare di inauditi quanto immaginari misfatti quei parlamentari che alla guerra si oppongono e che al dettato costituzionale si tengono fedeli (e che sono almeno in questo in sintonia col sentire di tanta parte - probabilmente l'assoluta maggioranza, come sostiene quel sondaggio - del popolo italiano che e' stanco di vedere il nostro paese trascinato in guerre sciagurate, ed e' ancora piu' stanco di vedere cittadini italiani in divisa tornare a casa chiusi nelle bare). In un ordinamento giuridico fondato sul riconoscimento dei diritti e della dignita' delle persone vi e' un nesso tra pace, democrazia, legalita': la guerra travolge la democrazia e precipita nell'illegalita'. E senza legalita', senza democrazia, senza pace cessa la civile convivenza, e solo la barbarie prevale, e la morte. La guerra e' sempre nemica dell'umanita'. * 4. Da un breve corso di diritto pubblico E per farla finita con una scempiggine propalata troppo a lungo dai propagandisti della guerra ricordiamo anche quanto segue. In Italia il governo e' espressione di una maggioranza parlamentare (le elezioni politiche in Italia eleggono il parlamento, non il governo): l'attuale maggioranza parlamentare e' frutto della vittoria elettorale di una coalizione che si e' caratterizzata sia come contrapposta all'illegalitarismo della destra eversiva, sia per aver lungamente sostenuto di essere in sintonia con l'impegno per la pace e contro la guerra (ed infatti almeno alcune delle forze politiche presenti nell'attuale maggioranza parlamentare negli anni scorsi si sono costantemente espresse - ed hanno costantemente votato - contro il periodico rifinanziamento della partecipazione militare italiana alla guerra afgana). Chi sta venendo meno agli impegni assunti con l'elettorato? E' chi difende la Costituzione e si oppone all'eversione, o e' chi viola la Costituzione e si fa complice dell'illegalitarismo della destra eversiva? E' chi si oppone alla guerra e alle stragi oggi come ieri, o e' chi decreta la prosecuzione della partecipazione alla guerra e alle stragi? Non solo: i ministri che hanno giurato fedelta' alla Costituzione, come conciliano quel loro giuramento con la violazione della Costituzione commessa all'atto dell'approvazione del decreto che dispone la prosecuzione di una guerra illegale e criminale? E infine: come e' ammissibile che un Presidente della Repubblica intervenga ripetutamente per condizionare il Parlamento affinche' si esprima a favore della guerra e contro la Costituzione? * 5. I diritti umani presi sul serio Il primo diritto umano e' quello di non essere uccisi. La guerra ne e' la piu' flagrante e feroce violazione. Deliberare la prosecuzione della partecipazione alla guerra significa far morire degli esseri umani. Altro occorre fare per la popolazione afgana: occore recare solidarieta' alle vittime della guerra: innanzitutto cessando di partecipare alla guerra ed impegnandosi per la pace. Cessando di finanziare la guerra e finanziando invece interventi umanitari: quanti ospedali come quelli di Emergency era possibile realizzare con i soldi spesi per finanziare la partecipazione militare italiana alla guerra? C'e' bisogno di aggiungere altro? * 6. L'aggiunta nonviolenta Tutto quanto precede naturalmente prescinde da ogni riferimento alla nonviolenza. Non c'e' infatti bisogno di essere persone amiche della nonviolenza per ritenere che la pace sia un bene e la guerra sia un male, che la Costituzione sia cosa buona e la sua violazione sia cosa cattiva, per preferir salvare le vite umane anziche' sopprimerle, per preferire le leggi alla violenza assassina. Per le persone amiche della nonviolenza le cose sono piu' semplici ancora, essendo uno dei convincimenti fondamentali di esse che la guerra sia sempre un male e che ad essa sempre occorra opporsi. Sono infiniti i luoghi in cui tutte le maestre e tutti i maestri della riflessione e dell'azione nonviolenta ribadiscono questa tesi fondamentale, e del resto essa e' nota anche al piu' sprovveduto degli orecchianti: la nonviolenza si oppone alla violenza; la nonviolenza si oppone alle uccisioni; la nonviolenza si oppone alla guerra. Scrive Aldo Capitini nel documento fondativo del Movimento Nonviolento che la prima delle "fondamentali direttrici d'azione del Movimento Nonviolento" e' "l'opposizione integrale alla guerra". In Afghanistan e' in corso una guerra cui l'Italia sta illegalmente partecipando; la nonviolenza si oppone alla guerra, ergo si oppone anche alla illegale partecipazione italiana ad essa. E davvero non c'e' nulla da aggiungere. Quando le cose sono semplici non c'e' bisogno di complicarle, come sapeva quel barbiere Guglielmo che teneva bottega in Occam. * 7. Perche' certo e' un gran perche' "Il cavaliere, la morte e il diavolo" e' uno dei capolavori (degli innumerevoli capolavori) di Albrecht Duerer. E' un'opera che non ha mai cessato d'interrogarmi, e nella mia gioventu' ne ho posseduto una riproduzione ed ho passato ore e notti a compulsarne ogni dettaglio con una lente d'ingrandimento (poi in uno dei miei traslochi ho perso sia quella riproduzione che la lente d'ingrandimento, pazienza; ma ho conservato la monografia di Panofsky, e l'Apocalypsis cum figuris). Cosa significa quel cavaliere? Cosa significa quella morte? Cosa quel diavolo? Cosa quel cane, cosa quel cavallo, quella citta' lontana sul monte, sullo sfondo oltre la selva selvaggia ed aspra e forte? Cosa ci dice, cosa ci chiede l'umanista che ha inciso questa immagine in cui ti specchi in sgomento e in orrore, in dolore e in tensione, in orgoglio e umilta'? A quale fermezza, a quale ripulsa, a quale accettazione, a quale rivendicazione, a quale coscienza "sofferta con anima e corpo" ti convoca ancora? 3. DOCUMENTAZIONE. TAVOLA DELLA PACE: TRE SI' ALLA PACE [Dalla Tavola della Pace (per contatti: tel. 0755736890, fax: 0755739337, e-mail: segreteria at perlapace.it) riceviamo e diffondiamo. Ovviamente alcune tesi ed alcune espressioni di questo appello possono essere anche alquanto discutibili da piu' punti di vista; ci sembra comunque utile farlo conoscere (p. s.). La Tavola della pace e' la principale rete pacifista italiana] Alla vigilia del vertice di Roma la Tavola della pace lancia un nuovo appello: dite tre si' alla pace. Si' al cessate il fuoco. Si' ad una forza di pace dell'Unione Europea. Si' al negoziato politico con tutti. * L'incontro di Roma e' un fatto importante, segno tangibile dell'avvio di una nuova politica estera dell'Italia. Non sara' la pace ma deve essere almeno un passo nella direzione giusta. L'Italia deve continuare ad agire, insieme all'Onu e al resto della comunita' internazionale per imporre alle parti l'immediato cessate il fuoco. Questo e' e resta il primo e piu' urgente obiettivo. Tutto il mondo lo chiede. Solo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna continuano a sostenere la continuazione della guerra impedendo all'Onu di imporre alle parti l'immediato cessate il fuoco e l'invio nella striscia di Gaza e nel sud del Libano di una propria forza di interposizione. L'Italia deve agire con fermezza e determinazione per impedire la paralisi delle Nazioni Unite e della comunita' internazionale. Non possiamo tollerare che si ripeta la vergogna dei Balcani e del Ruanda. * Perche' sia realmente una "Forza di pace", la forza di interposizione e di stabilizzazione dell'Onu deve essere autenticamente "sopranazionale". Il comando sul campo, sempre sotto diretta autorita' delle Nazioni Unite, deve essere assicurato dall'Unione Europea e non dalla Nato. L"Unione Europea e' a cio' legittimata dal Trattato sull'UE e dagli accordi sottoscritti con le Nazioni Unite e ha strutture e capacita' operative idonee per assolvere a questo compito. L'aiuto umanitario e' indispensabile ma non basta a coprire l'inazione politica. L'Italia e l'Europa devono assumersi la responsabilita' di agire in modo incisivo con un proprio piano di pace, globale e lungimirante. * L'incontro di Roma deve aprire la strada al negoziato politico con tutte le parti coinvolte, inclusa la Siria e l'Iran. Solo un negoziato serio e credibile, basato sul rispetto e l'applicazione di tutte le risoluzioni dell'Onu, della legalita' e del diritto internazionale dei diritti umani, contro la prassi devastante dei due pesi e delle due misure puo' costruire le basi del rispetto reciproco e della convivenza in Medio Oriente. L'incontro di Roma non deve dimenticare la guerra in corso a Gaza e nella Cisgiordania. Sarebbe un gravissimo errore. 4. PROFILI. FRANCO RESTAINO: UNA NOTIZIA BIOGRAFICA SU HANNAH ARENDT [Nuovamente riproponiamo il seguente sintetico profilo biografico di Hannah Arendt estratto dal primo paragrafo (paragrafo 1079. Formazione, interessi, opere) del capitolo di Franco Restaino ad Hannah Arendt dedicato (capitolo XVII. Hannah Arendt: "vita activa" e "vita contemplativa"), nella Storia della filosofia fondata da Nicola Abbagnano, nel quarto volume, tomo secondo dell'edizione Utet, Torino 1994; ora piu' agevolmente nel volume IX (terzo de La filosofia contemporanea) dell'edizione economica Tea, Milano 1996, pp. 63-66. Franco Restaino, nato ad Alghero (Sassari) nel 1938, docente universitario prima a Cagliari e poi a Roma; "i suoi interessi di ricerca hanno riguardato prevalentemente le filosofie inglese, scozzese, francese e statunitense degli ultimi tre secoli. Ha intrapreso anche studi sull'estetica (avendola insegnata per dieci anni) e negli ultimi anni ha ripreso ed esteso le sue ricerche (iniziate negli anni Sessanta su Vailati) sull'area italiana, occupandosi degli sviluppi del positivismo. Attualmente continua le sue ricerche sulla recente filosofia inglese e statunitense, sui rapporti tra filosofia di lingua inglese e filosofie europeo-continentali e sul pensiero femminista". Tra le opere di Franco Restaino: La fortuna di Comte in Gran Bretagna. I. Comte sansimoniano, in "Rivista critica di storia della filosofia", XXIII, 1968, 2; II. Comte scienziato, ibidem, XXIII, 1968, 4; III. Comte filosofo, ibidem, XXIV, 1969, 2; IV. Comte pontefice, ibidem, XXIV, 1969, 4; J. S. Mill e la cultura filosofica britannica, La Nuova Italia, Firenze 1968;Scetticismo e senso comune. La filosofia scozzese da Hume a Reid, Laterza, Roma-Bari 1974; Note sul positivismo italiano (1865-1908). Gli inizi (1865-1880), in "Giornale critico della filosofia italiana", LXIV, 1985, 1; Il successo (1881-1891), ibidem, LXIV, 1985, 2; Il declino (1892-1908), ibidem, LXIV, 1985, 3; David Hume, Editori Riuniti, Roma 1986; Filosofia e postfilosofia in America. Rorty, Bernstein, MacIntyre, Angeli, Milano 1990; Storia dell'estetica moderna, Utet, Torino 1991; Storia della filosofia, fondata da N. Abbagnano, in collaborazione con G. Fornero e D. Antiseri, vol. IV, tomo II, La filosofia contemporanea, Utet, Torino 1994, poi Tea, Milano 1996; "Esthetique et poetique au XVIIIe siecle en Angleterre", in Histoire des Poetiques, a cura di J. Bessiere, E. Kushner, R. Mortier, J. Weisberger, Presses Universitaires de France, Paris 1997; "La filosofia anglo-americana", in La filosofia della seconda meta' del Novecento, a cura di G. Paganini, Piccin-Vallardi, Padova 1998; in collaborazione con A. Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia Scriptorium, Torino 1999; Storia della filosofia, 4 voll., Utet Libreria, Torino 1999; La rivoluzione moderna. Vicende della cultura tra Otto e Novecento, Salerno Editrice, Roma 2001. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Hannah Arendt (1906-1975) ha avuto una vita e un destino abbastanza singolari. Nata da famiglia ebrea benestante con lunga tradizione mercantile a Koenigsberg, formatasi filosoficamente tra Berlino, Marburgo, Friburgo e Heidelberg negli anni Venti (tra i suoi maestri Heidegger, col quale ha anche una relazione sentimentale, Husserl e Jaspers), e' costretta alla fuga dalla Germania per motivi politici nel 1933. Rifugiatasi in Francia, e' apolide dal 1933; nel 1941 si trasferisce in maniera definitiva negli Stati Uniti, e dal 1951 diventa cittadina americana a tutti gli effetti. Negli Stati Uniti scrive su riviste ebraiche, tiene conferenze, insegna in diverse Universita', riceve riconoscimenti sempre piu' importanti, fino alla morte che la coglie mentre sta per scrivere l'ultima parte della Vita della mente, l'opera con cui conclude il suo complesso itinerario filosofico. Hannah Arendt, ebrea emancipata e libera fin da ragazza, filosoficamente ha i suoi debiti maggiori nei confronti di Heidegger, che frequenta dal 1925, e con il quale concorda poi una tesi di dottorato, svolta tenendosi in contatto con Jaspers, sul concetto di amore in Sant'Agostino. La tesi viene pubblicata nel 1929, ma in ambito puramente accademico, quindi senza alcuna risonanza esterna. Alcuni motivi presenti nella tesi di dottorato ricompariranno in maniera ricorrente nelle successive riflessioni della Arendt, fino all'opera conclusiva. In particolare il motivo della temporalita', tema fortemente incisivo sia in Agostino sia in Heidegger, viene sviluppato in relazione al concetto chiave della tesi, quello dell'amore. L'autrice distingue due tipi di amore in Agostino, l'appetitus o cupiditas, e la caritas. Il primo, che nasce dal desiderio per gli oggetti e per la nostra sopravvivenza, si costituisce come amore di una vita senza paura, e ha come orizzonte finale la morte, che ne segna i limiti ferrei. Il secondo tipo di amore e' anch'esso fondato su un desiderio, questa volta della vita eterna, ed e' quel tipo di amore che ci mette in contatto con Dio. Il primo tipo di amore, la cupiditas, ha a che fare con il tempo (nascita, vita, morte), il secondo, la caritas, ha a che fare con l'eternita'. Altri temi presenti nella tesi sono quelli della liberta' e della volonta' umana, temi che ricorreranno nella successiva riflessione della Arendt. Dopo la tesi di dottorato vi e' una prima svolta negli interessi di ricerca della Arendt. Dal mondo cristiano, studiato in uno dei suoi massimi protagonisti, passa al mondo ebraico, studiato in una delle sue piu' sconosciute rappresentanti. Si tratta dello studio su una intellettuale ebrea vissuta a Berlino tra fine Settecento e primo Ottocento, Rahel Varnhagen: una donna che cerca di evitare sia la ghettizzazione nel mondo ebraico separato dal mondo tedesco cristiano circostante sia la integrazione, con perdita della propria identita' ebraica, in questo mondo cristiano-borghese. Nella sua mansarda berlinese si riunivano fra gli altri Schlegel, Tieck, Schleiermacher e Novalis, cioe' la prima intellettualita' romantica tedesca. Attraverso l'esame delle lettere e della documentazione diretta e indiretta su questa figura di intellettuale da lei sentita cosi' vicina, la Arendt trae ispirazione non solo per la composizione di un libro, terminato nel 1933 (e molto apprezzato da Benjamin) e pubblicato molti anni dopo (nel 1957, con il parere non molto favorevole di Jaspers), ma per la conferma di una scelta di vita abbastanza simile a quella di questa figura. E' la scelta in seguito alla quale Hannah Arendt non si sentira' mai a suo agio ne' tra gli ebrei sionisti, con i quali rimarra' in contatto per decenni ma in un rapporto molto tormentato, ne' tra quelli integrati compiutamente nel mondo borghese o comunista di quei decenni. Una autonomia assoluta rispetto a queste posizioni caratterizzera' sia la biografia sia la produzione politica e filosofica della Arendt. Da queste prime opere intorno al 1930 all'opera che la lancera' presso il pubblico non solo statunitense ma mondiale passano vent'anni. I primi dieci, trascorsi soprattutto a Parigi, vedono la Arendt in contatto con gli antinazisti, ebrei e comunisti (nel 1936 conosce Heinrich Bluecher, comunista tedesco che sposera' prima di partire per l'America, col quale vivra' in un rapporto di collaborazione e affinita' intellettuali molto strette), impegnata nella produzione pubblicistica semiclandestina, fino all'internamento dal quale uscira' fortunatamente per raggiungere gli Stati Uniti. Nella nuova patria (dove consegna ad Adorno la valigia di manoscritti lasciati a lei da Benjamin prima di morire) collabora frequentemente alla pubblicistica ebraica, ma non condivide molte delle posizioni degli ebrei americani, in particolare quella che porta alla decisione di costituire lo Stato di Israele nel 1948. Nel 1951 pubblica l'opera che la rende famosa in tutto il mondo, Le origini del totalitarismo, frutto di diversi anni di lavoro e di collaborazione con il marito. La Arendt non si considera una filosofa ma una teorica della politica. La filosofia in senso largo pero', dopo la pubblicazione di quest'opera, la sollecita a riprendere le tematiche, legate all'insegnamento di Heidegger e di Jaspers, abbandonate dopo il 1930. Frutto di questo rinnovato interesse per temi filosofici connessi ai dibattiti esistenzialistici sono alcuni scritti (in particolare quello del 1954 su L'interesse per la politica nel recente pensiero filosofico europeo nel quale prende posizione sugli esistenzialisti francesi e tedeschi) e soprattutto l'opera del 1958 su La condizione umana, titolo dato dall'editore, mentre la Arendt preferiva il titolo Vita activa. E' questa l'opera filosofica piu' nota della Arendt; un'opera che non suscito' grande interesse quando apparve, ma che negli anni Settanta e Ottanta avrebbe avuto una nuova vita, in quanto vicina agli interessi teorici allora affermatisi in Europa e in America per la filosofia della pratica, anticipati di oltre un decennio dalla Arendt. Dopo la pubblicazione de La condizione umana c'e' nella vita della Arendt l'episodio piu' noto e piu' discusso nel mondo ebraico: quello della partecipazione come osservatrice, a Gerusalemme, al processo contro Adolf Eichmann, il "burocrate" nazista che aveva mandato al forno crematorio centinaia di migliaia di ebrei. Le corrispondenze della Arendt, e poi il volume del 1963 La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, scatenano un putiferio tra gli ebrei, che vedono negli scritti della Arendt quasi un'assoluzione per Eichmann e quasi un'accusa agli ebrei per la loro complicita', in qualche modo, nel massacro nazista del loro popolo. La Arendt non intendeva affatto assolvere Eichmann, ma voleva sottolineare il fatto, tremendo, che per fare il male (mandare propri simili al forno crematorio) non e' necessario essere malvagi. Un buon padre di famiglia, un burocrate ordinato e meticoloso, una persona normale, "banale" puo' fare il male, fa il male, se sta dentro un meccanismo politico-sociale, o fa parte di un apparato amministrativo e poliziesco, che lo spingono ad agire "senza pensare". E' questo agire con assenza di pensiero il fatto tragico dei nostri tempi, quello che spinge la Arendt ad affrontare, nell'ultimo decennio della sua vita, la tematica di che cosa significa pensare. E' un tema che la riporta in contatto con l'insegnamento dei suoi maestri (Heidegger, Jaspers), con le tesi di Agostino, e piu' in la' di Platone e Aristotele, oltre che con le tesi di alcuni grandi scolastici (da Tommaso a Scoto) e soprattutto con quelle di Kant. A Kant, infatti, si ispira l'ultima riflessione della Arendt. A Kant e alla sua tripartizione delle funzioni della ragione nel pensare, volere e giudicare (oggetti rispettivi delle tre Critiche). L'opera nella quale la Arendt consegna le ultime sue riflessioni e' in sostanza il contraltare, come vedremo, della Vita activa del 1958. Ora e' la Vita contemplativa, o, come dice il titolo dell'opera, La vita della mente l'oggetto delle riflessioni dell'autrice. La grande opera conclusiva della sua vita comprende le prime due parti, sul pensare e sul volere; la terza parte, sul giudicare, era appena cominciata quando la morte sorprese l'autrice nel dicembre del 1975. La Arendt gode da qualche anno di grandissima fortuna in Italia. Lanciata nel 1964 con la pubblicazione presso Feltrinelli del libro su Eichmann e presso Bompiani dell'opera del 1958 col titolo italiano Vita activa (ma quest'opera cadde allora pressoche' nel silenzio), la Arendt ricompare con la traduzione presso Comunita', nel 1967, de Le origini del totalitarismo, l'opera allora piu' nota. La sua fortuna reale, pero', e' successiva, e puo' datarsi alla seconda meta' degli anni Settanta, quando le sue tematiche sul problema dell'agire politico, e quelle delle sue ultime riflessioni, circolano ampiamente, vengono studiate, commentate e discusse, in un crescendo di interesse che ha raggiunto i momenti piu' alti alla fine degli anni Ottanta, con la pubblicazione della sua ultima opera e di molti altri scritti precedentemente poco noti. 5. LIBRI. MARIA VITTORIA VITTORI PRESENTA "VERA" DI ELIZABETH VON ARNIM [Dal quotidiano "Liberazione" del 21 luglio 2006. Maria Vittoria Vittori e' critica letteraria, giornalista culturale, saggista, collaboratrice di varie testate tra cui "Leggendaria". "Elizabeth von Arnim (Mary Annette Beauchamp) nasce a Sydney, in Australia, nel 1866, ma trascorre l'infanzia e la giovinezza in Inghilterra. Nel 1890 sposa il conte Henning August von Arnim-Schlagenthin, figlio adottivo di Cosima Wagner, e si trasferisce con lui a Berlino e dopo qualche anno nella loro proprieta' di Nassenheide in Pomerania. Quando, nel 1908, il conte von Arnim e' costretto a vendere la tenuta per debiti, la famiglia si trasferisce a Londra. Dopo la morte del marito Elizabeth e' in Svizzera, dove ha una relazione con Herbert George Wells. Tornata in Inghilterra allo scoppio della guerra, sposa Francis Russell, fratello di Bertrand Russell, ma il matrimonio fallisce dopo appena un anno. Conduce da allora vita errabonda, tra Stati Uniti, Svizzera, Inghilterra e Francia. Muore nel 1941 negli Stati Uniti, dove si era trasferita allo scoppio della seconda guerra mondiale. Cugina di Katherine Mansfield, amica di Edward Morgan Forster e di Hugh Walpole, e' descritta da Wells come 'la donna piu' intelligente della sua epoca'" (da una notzia biografica nel sito della casa editrice Bollati Boringhieri). Opere di Elizabeth von Arnim: Amore; Cristoforo e Colombo; Elizabeth a Ruegen; I cani della mia vita; Il giardino di Elizabeth; La memorabile vacanza del barone Otto; La moglie del pastore; Mr Skeffington; Un incantevole aprile; Un'estate da sola; Vera; tutte presso Bollati Boringhieri, Torino] Se non la conoscete ancora, questo e' il momento giusto. Si puo' partire da Vera, edito da Bollati Boringhieri (traduzione di Mia Peluso, pp. 242, euro 17) che da alcuni anni sta meritoriamente pubblicando tutti i romanzi di Elizabeth von Arnim. Che nasce a Sidney nel 1866 come Mary Annette Beauchamp - nomi vezzosi che non le si addicono - si stabilisce in Inghilterra finche' si sposa con un nobile prussiano, il von Arnim per l'appunto, e va a vivere in Pomerania, ambiente gelidamente conformista che piu' volte fara' da sfondo alle sue opere. Ma non finisce qui perche' rimasta vedova, ha una relazione con Herbert G. Wells che la definisce, in un suo scritto, "la donna piu' intelligente dalla sua epoca"; sposa il fratello di Bertrand Russell e riscattando i diciotto anni di Pomerania si sposta continuamente tra l'Inghilterra, la Svizzera e la Francia. Muore nel 1941, negli Stati Uniti. * La cosa piu' interessante e' che questa donna scrive, tra la fine dell'Ottocento e il primo ventennio del Novecento, romanzi assolutamente singolari: per la limpidezza dello sguardo che sa rintracciare i piu' piccoli significativi dettagli, per l'acutezza del giudizio che recide alla base pregiudizi e convenzioni, per la luminosa, affilata ironia che modella espressioni e vicende. Protagonista e' sempre una donna che un po' le assomiglia, in bilico tra la polverosa ma confortante Inghilterra e la piu' ruvida Germania, una donna attiva, curiosa, eccentrica, fermamente convinta come la Rose-Marie protagonista di Lettere di una donna indipendente, "che e' davvero incredibile il modo in cui le donne sprecano la vita". Ma questa creatura cosi' anticonformista sovente sceglie di collocarsi, anche per il gusto della sfida, in situazioni potenzialmente pericolose per la propria indipendenza. Come accade ne La moglie del pastore a Ingeborg Bullimant che per sfuggire all'oppressivo padre made in England (e vescovo, per giunta), non trova niente di meglio da fare che sposarsi con un pastore luterano della Pomerania: estremamente dura, in questo caso, la lotta per la sopravvivenza. O come accade ne Il giardino di Elizabeth alla protagonista che, andata in sposa ad un uomo ombroso e suscettibile da lei denominato l'Uomo della Collera, riesce a ritagliarsi uno spazio di decompressione e di respiro, nel suo amatissimo giardino. * Ancor piu' a rischio appare la giovane e remissiva Lucy Entwhistle, protagonista di Vera, romanzo del 1921. La Vera del titolo non compare mai nelle vicende narrate in quanto morta, misteriosamente, prima che suo marito divenuto vedovo incontri Lucy; permane pero' come un fantasma, febbrile e inquietante, di un'indipendenza riconquistata a un prezzo troppo alto. Pienamente convinto di meritarsi ben altro che infelicita', il fresco vedovo Wemyss, benpasciuto che diventera' grasso, benpensante che non ha mai pensato, s'imbatte per caso in Lucy, appena rimasta orfana. Lucy era abituata ai fuochi d'artificio intellettuali del padre e dei suoi amici: ingegni acuti, brillanti, sofisticati. Forse un po' troppo per l'inesperta ragazza, che trova molto piu' accessibile il metodo Wemyss: "le nette divisioni di Everard di ogni cosa in due categorie, bianco neve e nero profondo, erano riposanti come la chiesa cattolica". Indottrinata e cullata dal suo Everard, Lucy verra' condotta dalla sagace ironia della von Arnim attraverso tutte le fasi dell'amore: dalla felice quanto breve stagione di un innamoramento cieco e senza dubbi, in cui i giochi e gli spiragli sono ancora aperti, e gli effetti tossici dell'amore non sono ancora percepibili, fino alla stanza del matrimonio che, se perfettamente sigillata, garantisce un infallibile avvelenamento. Vivendo insieme a lui, osservando il modo con cui riduce le persone al suo servizio e chi gli sta vicino in geometrici e ordinati pezzettini, Lucy inizia a capire qualcosa di piu' della misteriosa Vera. Vera che non voleva piu' suonare il pianoforte perche' il benaccorto marito glielo aveva imbozzolato in una coperta di lana con mille bottoni da riallacciare accuratamente; Vera che non poteva piu' entrare in biblioteca perche' aveva lo spiacevole difetto di voler leggere i sontuosi libri fatti rilegare dal premuroso marito; Vera che, confinata nella sua stanza, dipingeva ariosi paesaggi inondati dalla luce. Quell'aria e quella luce che gia' cominciano a mancare, dopo pochi giorni, alla sconcertata Lucy. La domanda che, col procedere della convivenza, acquista un timbro sempre piu' acuto, riguarda la sua sorte: riuscira' a salvarsi? Con un'innegabile dose di perfidia la von Arnim non ce lo rivela: ma quello che davvero conta in questa storia non e' il finale. E' tutto quello che c'e' prima, la lucidissima, sferzante parabola di un amore fittizio che puo' diventare modalita' di sicura asfissia. 6. LE ULTIME COSE. QUANDO, QUANDO, QUANDO, QUANDO Quando la guerra la fanno i palestinesi, sono terroristi. Quando la guerra la fa lo stato di Israele, e' terrorista. Quando la guerra la fanno i ceceni, sono terroristi. Quando la guerra la fa la Russia, e' terrorista. Quando la fanno gli Usa, la Nato e l'Italia, allora e' civilta' e democrazia. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1367 del 25 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1366
- Next by Date: Voci e volti della nonviolenza. 32
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1366
- Next by thread: Voci e volti della nonviolenza. 32
- Indice: