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La nonviolenza e' in cammino. 1366
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1366
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 24 Jul 2006 00:28:50 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1366 del 24 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Rocco Altieri: Un invito a Pisa e un ragionamento necessario 2. Umberto Santino: Francesca Serio 3. Francesca Cutarelli: Malalai Joya 4. Giulio Vittorangeli: Le domande giuste 5. Barbara Romagnoli presenta "Critica della violenza etica" di Judith Butler 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. ROCCO ALTIERI: UN INVITO A PISA E UN RAGIONAMENTO NECESSARIO [Ringraziamo Rocco Altieri (roccoaltieri at interfree.it) per questo intervento. Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti presso l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, e-mail: azionenonviolenta at sis.it] Quando abbiamo pensato di celebrare con un convegno l'approssimarsi del centenario gandhiano del satyagraha dell'11 settembre 1906, avvertivamo l'esigenza di una rigenerazione del pensiero e dell'azione della nonviolenza in Italia, che e' assolutamente inadeguata ai compiti attuali dell'opposizione alla guerra. A tal fine abbiamo convocato le amiche e gli amici italiani della nonviolenza, i lettori e gli abbonati ai "Quaderni Satyagraha", per ridefinire un programma attuale di mobilitazione per la rivoluzione nonviolenta sui temi cruciali dell'organizzazione del potere dal basso, dell'economia solidale e della parsimonia, della ridefinizione del rapporto pace-giustizia, del servizio civile e della difesa popolare nonviolenta, degli interventi civili e non-armati nelle situazioni di crisi, del disarmo atomico, della critica alla scienza dominante, della definizione di una bioetica, della laicita' e della riforma di religione. Durante tre giorni di studio con tavole rotonde e intense discussioni (il programma e' consultabile sul sito del Centro Gandhi, http://pdpace.interfree.it mentre per la partecipazione al convegno scrivere a: 11settembre.nonviolenza at centrogandhi.it), dalla sera dell'8 settembre all'11 settembre 2006, vogliamo ricordare un evento che ha dato inizio a un metodo rivoluzionario e nonviolento di liberazione sociale. Questo appuntamento appare ora una necessita' ineludibile di fronte alla crisi indotta dalle vicende parlamentari del voto sulle spedizioni militari italiane. Non c'e' dubbio che il disorientamento di molti amici sia indotto da un senso di impotenza, da una mancata rielaborazione delle esperienze e degli errori del passato, prigionieri di una logica della politica che non e' quella della nonviolenza. * In questo momento di smarrimento e di confusione non c'e' migliore medicina del rileggere e meditare le parole sempre attuali di Aldo Capitini, il piu' grande e insuperato teorico della politica nonviolenta in Occidente: "Noi siamo convinti che le popolazioni si fidano troppo dei governi. La guerra e' voluta, preparata e fatta scoppiare da pochi, ma questi pochi hanno in mano le leve del comando. Se c'e' chi preferisce lasciarli fare, (...) noi dobbiamo dire no alla guerra e essere duri come le pietre. "La pace e' cosa seria per affidarla unicamente nelle mani dei governi, e visto che vi sono prove che in un modo o nell'altro, tutti o quasi tutti i governi mettono in moto atti o cause di guerra. "Sarebbe un errore che i nonviolenti prendessero per assoluti gli schemi con i quali opera la politica. "La nonviolenza si organizza, si addestra, studia le occasioni e i modi per influire volta per volta sulla politica. La politica ha le sue regole come le ha un gioco, e non puo' buttarle via, perche' con essa fa un lavoro utile mantenendo la coesione, almeno esterna, delle societa'; e i nonviolenti lavorano per fare il loro gioco con le loro regole, ora d'accordo, ora contrastando, e si formano un posto nella vita della societa'. Si capisce che la politica, per fare il suo gioco, tende ad acquistare e a difendere il potere; ma si capisce anche che i nonviolenti, per fare il loro gioco, tendono a rendere forte, informata, consapevole, onesta, amorevole, la coscienza di tutti gli esseri. Il politico dice: prima il potere, poi la coscienza; il nonviolento dice: prima la coscienza, poi il potere. "I nonviolenti non sono del parere che importi impadronirsi del potere per poi usarlo nel vecchio modo; il 'potere nuovo' non sta nel fatto che uomini nuovi lo hanno preso, ma che esso viene esercitato in modo nuovo. Finche' non sia possibile questo, i nonviolenti non possono aver fretta di possedere il potere, ma cercheranno di agire in un modo che anche il proprio sia un potere. Non e' detto che tutto il potere sia nel governo, e che chi non sia al governo, non abbia nessun potere. Bisogna meglio accertare il potere possibile pure non stando al governo, perche' si puo' sostenere che sia necessario un periodo o una fase nella quale essi abbiano un potere che non sia immediatamente di governo, che non potrebbe non essere nei vecchi modi. Questa teoria di due fasi invece di una fase e' importante per contrastare la tesi della conquista del potere, che e' stata dominante nella prima meta' del secolo. In ogni modo la teoria delle due fasi, che fa posto ad una fase di preparazione o di potere senza governo - con proposte e norme che altri accettino volontariamente, coagulando cosi' numerose forme di potere -, e' da utilizzare oggi al massimo, specialmente dopo aver visto gli inconvenienti della tesi di una sola fase, cioe' della conquista in ogni modo del potere. "La nonviolenza non deve cedere alla logica del 'male minore', che e' teoria non adatta a chi mira ad un rinnovamento profondo. Se Gesu' Cristo avesse scelto il male minore fra la tradizione giudaica e il romanesimo, noi non avremmo tanto del bene che abbiamo. "Oggi i grandi Stati non escludono la guerra, anzi la minacciano anche, ed hanno forze enormi per la loro attuazione. (...) I piccoli gruppi hanno percio', di contro a questi grandi Stati o Imperi, una forza preziosa, perche' possono fondarsi su posizioni strenue, far emergere orientamenti chiari e ostinati, anche se saran detti utopistici; ma l'utopia di oggi puo' essere la realta' di domani". 2. PROFILI. UMBERTO SANTINO: FRANCESCA SERIO [Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente testo gia' pubblicato nel dizionario biografico Siciliane, Emanuele Romeo Editore, Siracusa 2006. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su questo stesso foglio nei nn. 931-934. Francesca Serio (13 agosto 1903 - 18 luglio 1992), madre di Salvatore Carnevale, prese parte alle lotte contadine e antimafia e le prosegui' con ancor maggiore impegno anche dopo la morte del figlio. Salvatore Carnevale, militante socialista, dirigente sindacale del movimento contadino, fu ucciso dalla mafia il 16 maggio 1955. Un recente libro su Salvatore Carnevale e': Umberto Ursetta, Salvatore Carnevale. La mafia uccise un angelo senza ali, suppl. a "L'Unita'", Roma 2005. Carlo Levi, medico, pittore, scrittore, militante politico antifascista, meridionalista. Nato a Torino nel 1902, amico di Piero Gobetti e dei fratelli Rosselli, impegnato in "Giustizia e Liberta'", arrestato e mandato al confino, emigra poi in Francia, rientra in Italia ed e' a Firenze durante la Resistenza. Dirigente del Partito d'Azione, impegnato per i diritti delle popolazioni del sud, senatore indipendente di sinistra, e' morto nel 1975 a Roma. Opere di Carlo Levi: in volume cfr. almeno Cristo si e' fermato a Eboli, 1945; Paura della liberta', 1946; L'orologio, 1950; Le parole sono pietre, 1955; Il futuro ha un cuore antico, 1956; La doppia notte dei tigli, 1959; Tutto il miele e' finito, 1964; tutti presso Einaudi. Presso la casa editrice Donzelli sono recentemente apparsi vari volumi di scritti, conversazioni e interviste di Carlo Levi: Le mille patrie; Lo specchio; Prima e dopo le parole; Roma fuggitiva; Le tracce della memoria; Un dolente amore per la vita; Il pianeta senza confini; Le ragioni dei topi; Il dovere dei tempi. Tra le opere su Carlo Levi: Giovanni Falaschi, Carlo Levi, La Nuova Italia, Firenze; Ghislana Sirovich, L'azione politica di Carlo Levi, Il Ventaglio, Roma] "E' una donna di cinquant'anni, ancora giovanile nel corpo snello e nell'aspetto, ancora bella nei neri occhi acuti, nel bianco-bruno colore della pelle, nei neri capelli, nelle bianche labbra sottili, nei denti minuti e taglienti, nelle lunghe mani espressive e parlanti: di una bellezza dura, asciugata, violenta, opaca come una pietra, spietata, apparentemente disumana". Cosi' Carlo Levi, ne Le parole sono pietre, parla di Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale, il sindacalista socialista ucciso dalla mafia il 16 maggio 1955. Per i militanti del movimento contadino e dei partiti di sinistra era "mamma Carnevale", la donna che aveva accusato i mafiosi di Sciara, un piccolo centro in provincia di Palermo, come responsabili dell'omicidio del figlio, aveva partecipato ai processi, celebrati per legittima suspicione fuori dalla Sicilia, il primo a Santa Maria Capua Vetere, il secondo a Napoli, costituendosi parte civile, e aveva visto gli imputati condannati in primo grado all'ergastolo (un fatto tanto inedito da far gridare al miracolo) e assolti in appello per insufficienza di prove (a ricostituire una prassi tanto abituale da essere considerata scontata). * Salvatore Carnevale aveva vissuto intensamente l'ultima fase delle lotte contadine, aveva coniugato da dirigente sindacale lotte per la terra e lotte operaie, battendosi per la riforma agraria, per le otto ore, scontrandosi duramente con mafiosi e proprietari terrieri, come i Notarbartolo, padroni di Sciara. Francesca, che proveniva da un altro paese, Galati Mamertino, donna sola dopo essere stata abbandonata dal marito, Giacomo Carnevale, presto vedova, si era trasferita a Sciara assieme ai fratelli, aveva allevato l'unico figlio tra stenti e fatiche, per assicurargli il necessario era andata a lavorare nei campi. Uno scandalo in una societa' che relega le donne tra le mura domestiche. Il ricordo di quei giorni, inseguendo il ciclo produttivo stagionale, nel racconto a Carlo Levi: "Andavo a lavorare per campare questo figlio piccolo, poi crebbe, ando' a scuola ma era ancora piccolino, cosi' tutti i mestieri facevo per mantenerlo. Andavo a raccogliere le olive, finite le olive cominciavano i piselli, finiti i piselli cominciavano le mandorle, finite le mandorle ricominciavano le olive, e mietere, mietere l'erba perche' si fa foraggio per gli animali e si usa il grano per noi, e mi toccava di zappare perche' c'era il bambino e non volevo farlo patire, e non volevo che nessuno lo disprezzasse, neanche nella mia stessa famiglia. Io dovevo lavorare tutto il giorno e lasciavo il bambino a mia sorella. Padre non ne aveva, se lo prese mio cognato qualche anno a impratichirsi dei lavori di campagna". Salvatore frequenta la scuola fino alla terza elementare, ancora bambino va a giornata, prende il diploma di quinta elementare prima di partire per soldato, al ritorno dal servizio militare comincia l'attivita' politica, fondando la sezione socialista. Alle elezioni del 1951 dice alla madre di votare Garibaldi (il simbolo del Blocco del popolo), Francesca promette ma davanti al simbolo della Democrazia cristiana non si sente di mantenere la promessa. Leggiamo sempre nel libro di Levi, da cui attingiamo anche per le citazioni seguenti: "Ma io quando andai a votare e vidi quel Dio benedetto di Croce, pensai: 'Questo Dio lo conosco. Come posso tradirlo per uno che non conosco?'. E misi il segno sulla Croce". I voti per i socialisti in paese sono solo sette e Salvatore diventa "un Lucifero". Francesca non gli dice come ha votato, si dispera quando il figlio diventa segretario della sezione socialista: "la sera che firmo' e si mise a capo come segretario, io feci una seratina di pianto. 'Figlio, mi stai dando l'ultimo colpo di coltello, non ti ci mettere alla testa. Il voto daglielo, ma non ti ci mettere alla testa, lo vedi che Sciara e' disgraziata, e' un pugno di delinquenti, vedi che sei ridotto senza padre e dobbiamo lavorare'. Ma lui rispose che erano tanti compagni e che non avessi paura. Io non volevo; ma ormai, madre di socialista ero, che dovevo fare?". * Si schiera pubblicamente al fianco del figlio, partecipa all'occupazione delle terre. Cosi' racconta la prima occupazione, sempre nel '51, quando Salvatore aveva guidato i contadini ed era stato arrestato: "Eravamo andati alla montagna, eravamo piu' di trecento persone; mentre eravamo la' che stavamo mangiando un poco, chi era seduto, chi passeggiava, e non c'era nessuno che danneggiasse, venne un brigadiere di Sciara con un carabiniere, dice: 'per favore, per favore, per favore togliere la bandiera'. Perche' c'erano le bandiere che tenevamo sventolate. I contadini dicono: 'No, perche' dobbiamo togliere le bandiere, per quale motivo? Non e' che le bandiere fanno male. Qui non e' che stiamo facendo guasti'. Ma il brigadiere dice: 'Allora andiamo al paese, andiamo al paese'. Ce ne andammo al paese. Quando arrivammo un po' di via lontano, vedemmo di sotto la polizia col commissario e ci fermarono: 'In alto le mani'. Noi non avevamo ne' fucili ne' scoppette, niente. Ci fermarono e presero tutti i nomi e cognomi...". I carabinieri si lamentano: sulle terre si sono sporcati scarpe e pantaloni; Francesca risponde: "Ma per noi (...), per noi questa giornata e' la piu' bella giornata del mondo: bella, tranquilla, col sole. Questo e' un divertimento che noi non abbiamo preso mai. Se non ci date le terre incolte, secondo la legge (perche' si devono perdere?) ne avrete da fare di queste giornate. Questa e' la prima che state facendo". Salvatore viene chiamato in municipio, crede di andare a un incontro di chiarimento e viene arrestato assieme ad altri tre. Rimarranno nel carcere di Termini per dieci giorni, saranno rinviati a giudizio e solo nell'estate del '54 saranno assolti. Uscito dal carcere, Salvatore si reca a lavorare in Toscana dove rimane due anni. Ritorna nell'agosto del 1954. Viene assunto dalla ditta Lambertini di Bologna, che per i lavori di costruzione del doppio binario ferroviario sfrutta una cava di proprieta' dei Notarbartolo, sotto il controllo dei mafiosi locali. Salvatore organizza gli operai, chiede l'applicazione della giornata lavorativa di otto ore (lavoravano undici ore). Francesca racconta che dopo uno sciopero il maresciallo chiama suo figlio e gli dice: "Tu sei il veleno dei lavoratori"; Salvatore risponde che vuole far rispettare la legge e il mafioso notorio Mangiafridda, che e' accanto al maresciallo, gli dice: "Picca (poco) n'hai di sta malandrineria". Il "malandrino" e' il sindacalista, sono lui e gli operai in lotta per l'applicazione di una legge gli eversori dell'ordine costituito, mentre il mafioso e' con le forze dell'ordine: al di la' delle divise e dei ruoli ufficiali, le parti sono assegnate e le forze in campo nettamente delineate. I mafiosi minacciano e tentano la carta delle promesse: se si ritira avra' "una buona somma", ma se continua finira' male. E Salvatore risponde, e' sempre Francesca a raccontarlo: "Chi uccide me uccide Gesu' Cristo". E ancora: "Io non sono una carne venduta, e non sono un opportunista". Il mattino del 16 maggio sulla strada per la cava Salvatore cade sotto i colpi di mafiosi perfettamente individuabili ma rimasti impuniti. * Francesca dopo la morte del figlio ne raccoglie l'eredita', accusa i mafiosi e denuncia la complice passivita' delle forze dell'ordine e della magistratura. Dopo l'assoluzione, celebra quotidianamente davanti a tutti coloro che la visitano nella sua casa poverissima, un solo vano stretto e lungo, un suo processo, civile e politico, in nome di una giustizia che disprezza quella ufficiale e non attende quella divina. Ancora Levi: "Niente altro esiste di lei e per lei se non questo processo che essa istruisce e svolge da sola, seduta nella sua sedia di fianco al letto: il processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello Stato. Essa stessa si identifica totalmente con il suo processo e ha le sue qualita': acuta, attenta, diffidente, astuta, abile, imperiosa, implacabile. Cosi' questa donna si e' fatta in un giorno: le lacrime non sono piu' lacrime ma parole, e le parole sono pietre. Parla con la durezza e la precisione di un processo verbale, con una profonda assoluta sicurezza, come chi ha raggiunto d'improvviso un punto fermo su cui puo' poggiare, una certezza: questa certezza che le asciuga il pianto e la fa spietata, e' la Giustizia. La giustizia vera, la giustizia come realta' della propria azione, come decisione presa una volta per tutte e da cui non si torna indietro: non la giustizia dei giudici, la giustizia ufficiale. Di questa Francesca diffida, e la disprezza: questa fa parte dell'ingiustizia che e' nelle cose". Questo processo Francesca l'ha fatto, anche silenziosamente, partecipando a manifestazioni pubbliche, accanto a Sandro Pertini, che l'aveva accompagnata quando si era recata dal procuratore della Repubblica e aveva collaborato alla stesura dell'esposto, ad altri dirigenti del Partito socialista finche' il partito piu' antico d'Italia, che ha pagato il piu' alto prezzo di sangue nella lotta contro la mafia, e' rimasto legato alle sue origini. * Per anni la madre di Salvatore Carnevale e' stata un'icona di un'antimafia ormai ridotta a liturgia della memoria, sempre piu' remota e sbiadita, dopo la dissoluzione del movimento contadino nell'emigrazione (circa un milione e mezzo di siciliani in giro per l'Europa, su una popolazione di quattro milioni e mezzo), in seguito a una riforma agraria che aveva assegnato, per sorteggio individuale, lotti di terra lontani dagli abitati, spesso di pessima qualita', tanto da costringere gli assegnatari ad abbandonarli sospingendoli verso altri lidi. La vulgata partitica e storiografica parla ancora oggi di vittoria contadina, di fine del latifondo, di una mafia cacciata dai vecchi insediamenti, ma i dati parlano altra lingua e l'imponenza del flusso migratorio, dopo dieci anni di lotte che ebbero la portata e la valenza di una lotta di liberazione, non consente interpretazioni di comodo o consolatorie. Col passare del tempo e con il mutare del quadro sociale e politico, per Francesca sono cominciati la solitudine e l'oblio. E' morta a 89 anni, il 16 luglio del 1992. Chi scrive, per segnarne la data della morte, si e' dovuto recare al cimitero, dove il custode lo ha accompagnato nella zona franata, chiusa ai visitatori. Sulla lapide accanto al ritratto c'e' una madonnina. Non ci sono fiori. Pochi ricordano una protagonista di quella storia negata che e' la storia delle donne di Sicilia, il loro ruolo nelle lotte popolari, dalle contadine dei Fasci ai nostri giorni. Salvatore e' sepolto lontano da lei. Sotto il cognome e il nome, le date di nascita e di morte (23.9.1923 - 16.5.1955) e la scritta "una prece". Tutto qui. 3. PROFILI. FRANCESCA CUTARELLI: MALALAI JOYA [Dal sito della bella rivista "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente articolo. Francesca Cutarelli, militante femminista, pacifista, della solidarieta' internazionale, giornalista, collaboratrice di Luisa Morgantini. Malalai Joya e' una deputata e prestigiosa attivista per i diritti umani afgana; un suo profilo scritto da Giuliana Sgrena e' nel n. 1313 di questo notiziario] "In nome della democrazia e della pace, sono qui per condividere con voi l'agonia del popolo afghano". Esordisce cosi' in un incontro alla Camera dei Deputati organizzato dal Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane e dalle Donne in nero, Malalai Joya, deputata eletta lo scorso dicembre al Parlamento di Kabul, nelle prime elezioni libere in Afghanistan da oltre trent'anni. Malalai Joya, 27 anni, originaria della regione di Erat e attivista per i diritti umani, e' diventata il simbolo della resistenza delle donne afghane al regime dei talebani. Negli ultimi anni e' passata alla cronaca per le sue dure parole contro i "signori della guerra", che le sono costate aggressioni e minacce, le ultime solo lo scorso 7 maggio. "Tra di voi ci sono criminali che abusano del termine jihad, che hanno ucciso migliaia di civili e distrutto il nostro Paese. Sono gli stessi uomini che non credono nei diritti delle donne e nella democrazia e meriterebbero di essere giudicati da un tribunale per i crimini di guerra" aveva detto ai 249 deputati membri del Parlamento afghano, suscitando smodate proteste. "Rapiamola e violentiamola", gridavano, in aula, uomini e donne, mentre qualche membro del Gran Consiglio era passato addirittura all'aggressione fisica con scarpe, bottiglie di vetro rotte, oggetti contundenti. "Se avessero avuto le armi le avrebbero usate. Questi signori si sciacquano la bocca con la parola democrazia, ma i loro atteggiamenti sono tutt'altro che democratici", ha raccontato la giovane afghana alla platea romana, in cui comparivano anche alcune parlamentari. Da allora, a Malalai, che vive a Kabul ma che per ragioni di sicurezza e' costretta a dormire ogni notte in una casa diversa, sono arrivate dimostrazioni di solidarieta' da tutto il mondo, da associazioni per i diritti umani, da organizzazioni della societa' civile e da molti politici. Al Parlamento Europeo, su iniziativa di Luisa Morgantini, presidente della Commissione Sviluppo ed eurodeputata indipendente eletta nelle liste del Prc, presente al fianco di Malalai all'incontro nella Sala delle Colonne, un gruppo di eurodeputati ha firmato una lettera di solidarieta' e condanna per il grave episodio che lede in modo gravissimo i diritti umani e il difficile iter democratico avviato in Afghanistan. * La denuncia di Malalai e' chiara: cita recenti rapporti di analisti afghani e di organizzazioni per la tutela dei diritti umani (Human right watch), secondo i quali nel Parlamento del suo Paese siedono attualmente 40 comandanti di milizie, 24 membri di gang criminali, 17 trafficanti di droga, 19 uomini accusati di violazioni dei diritti umani. "Il 70% nostro Parlamento - dice Malalai - e' costituito da ex-talebani, narcotrafficanti, assassini dell'Alleanza del nord, criminali di guerra. Gulbuddin Hekmatyar e' nella lista Usa dei terroristi piu' ricercati, ma il suo partito ha ben 34 membri tra i seggi del Gran Consiglio. Questa e' la democrazia che ci e' stata esportata dagli Stati Uniti". Le accuse alla gestione americana della crisi afghana si fanno accese: Malalai punta il dito contro le connivenze tra gli Usa e gli attuali uomini al potere, i membri dell'Allenza del nord, i signori della guerra, i trafficanti di droga. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, l'Afghanistan rischia di diventare un narcostato. Timori, questi, fatti propri anche da testate statunitensi come il" New York Times", il "Los Angeles Times" e il "Washington Post", e ribaditi chiaramente da due attuali ministri afghani. In un paese con il 40% di disoccupazione, dove "la mancanza di servizi sanitari ha un impatto peggiore dello tsunami, con 700 bambini e tra le 50 e 70 donne che muoiono quotidianamente per la mancanza di cure, i soldi che arrivano dalla comunita' internazionale (12 miliardi di dollari gia' consegnati e 10 in arrivo) finiscono spesso nelle tasche dei signori della guerra". Servirebbero, invece, sforzi enormi per la ricostruzione e la sicurezza di un paese ridotto in macerie. Quello di cui Malalai e' certa e' che il suo popolo non si fida di un governo, quello statunitense, che sostituisce i terroristi con altri terroristi, che dialoga e protegge i criminali che tutelano maggiormente i suoi interessi, che esporta una democrazia di fatto inesistente. Di assistenza e protezione gli afghani e le afghane hanno veramente bisogno. "Gli Usa se ne vadano, gli europei agiscano in modo autonomo e indipendente da Washington". Parola di Malalai. 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LE DOMANDE GIUSTE [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Dico subito che la cosa che mi ha colpito non e' che ci fossero deputati e senatori contrari al finanziamento della missione in Afghanistan, ma che il loro numero fosse cosi' esiguo. La prima sconfitta e' proprio nei numeri. Dico anche che non mi auguro la caduta del governo Prodi, perche' questo vorrebbe dire riconsegnare il Paese alla destra di Mister B. Mi sembra allora che l'interrogativo, su cui in questi giorni ci si sta arrovellando e dividendo, e' come si pensa di intervenire davanti al guasto morale introdotto dal berlusconismo. Mi riferisco a quel verminaio nutritosi della cancrena di un Paese gravemente malato di corruzione, mafia, sottosviluppo, illegalita', disprezzo delle istituzioni e dello Stato. Un fenomeno che non puo' essere isolato dall'identita' del Paese perche' e' proprio l'identita' dell'Italia (almeno di una parte consistente di essa) a ritrovarsi fedelmente raffigurata, connotato dopo connotato, da Mister B. Quel condensato di connotazioni criminose, amorali, prevaricatrici, corrotte, che l'uomo medio italiano ama vedere riflesse nel suo padrone. Chiaro allora il perche' del mio voto alla coalizione del centrosinistra. L'ho votata non perche' mi persuadeva il suo programma sulla politica estera (guerra, Medio Oriente, rapporto con gli Usa, etc.), sulle scelte sociali (scuola, sanita', beni comuni, etc.), sui nodi dell'economia e del lavoro (ruolo pubblico, tasse, precarieta', etc.), sul vivere civile (immigrazione, laicita', diritti, etc.); non perche' stimavo i leader; non perche' mi sentivo particolarmente vicino alle forze politiche che la compongono; ma perche' giudicavo e giudico la coalizione berlusconiana essenzialmente golpista. Tutte cose gia' chiaramente espresse su questo notiziario, e non solo da me, per cui e' inutile tornarci sopra. Per questo considero vergognosa la prospettiva di chi auspica un ritorno immediato alla urne; allo stesso tempo considero pero' vergognoso il ricatto "Ö altrimenti ritorna Berlusconi". Credevo e credo che per vincere il berlusconismo, che non e' un accidente, ma un prodotto della societa' italiana ben radicato in essa, non basta certo un cambio di governo; ma occorre una permanente mobilitazione della coscienza democratica che produca un piu' robusto senso civico e una piu' diffusa consapevolezza dei valori di pieno rispetto della legge, di moralita' pubblica e di solidarieta' (nazionale e internazionale) che debbono essere fondamento di uno Stato realmente democratico. Se all'atto pratico si pretende di narcotizzare le rivendicazioni e le lotte, invece di dare una risposta di vera svolta alle condizioni di vita e di cittadinanza di tutti noi, allora qualcosa non funziona e la possibilita' di resuscitare Mister B., che peraltro e' a tutt'oggi vivo e vegeto, e' piu' che certa. Fa male ammetterlo, ma non se ne puo' piu' di questa classe dirigente del centrosinistra per come tratta il proprio elettorato. Del resto, l'unica misura concreta che noi elettori di sinistra possiamo aspettarci dal governo che abbiamo eletto, e' una stangata da brividi, senza compensazioni. Il riproporsi di un'azione di governo all'insegna del neoliberismo temperato in campo economico (concordato con Confindustria e grande finanza), del dimagrimento del welfare in campo sociale, della realpolitik in campo internazionale (concordata con Stati Uniti e apparati militari). Il quadro interno resta quello di un liberismo da operetta, sudamericano, con qualcuno (pochi) che guadagnano di piu' e qualcuno (tanti) che guadagnano di meno; con pensioni d'oro (sempre per pochi) e pensioni da nulla (sempre per tanti), con ville (quasi sempre abusive) e con baracche, etc. In politica estera la guerra e' sempre li'; con i tempi blandi del ritiro dall'Iraq e il rifinanziamento coatto della missione in Afghanistan. Il Medio oriente e' in fiamme grazie alle scelte scellerate del governo israeliano, sempre piu' identificatosi con l'America di Bush e sempre piu' prigioniero delle sue scelte militari (alla fine suicide per se' e per gli altri), e sempre piu' privo di strategie politiche. Chi mai aiutera' lo stato di Israele a ritrovare la via della saggezza politica? E chi mai sapra' ricucire la solidarieta' con quel popolo palestinese che paga la colpa e la responsabilita' dell'Europa per la nascita dello stato israeliano in terra di Palestina? Siamo di fronte a una crisi politica, nel senso piu' ampio e profondo della parola; sono i rapporti tra gli esseri umani (la politica appunto) che vanno all'aria, nel nostro tempo, in Italia e nel mondo. La risposta non e' ne' facile, ne' semplice. Magari sarebbe sufficiente iniziare a porsi le domande giuste, cominciando dal dilemma guerra/pace. 5. LIBRI. BARBARA ROMAGNOLI PRESENTA "CRITICA DELLA VIOLENZA ETICA" DI JUDITH BUTLER [Dal quotidiano "Liberazione" del 22 luglio 2006. Barbara Romagnoli (per contatti: duepunti2 at yahoo.it), giornalista e saggista, e' nata e vive a Roma; laureata in filosofia con una tesi su "Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo", si e' poi interessata di studi di genere; collabora con varie testate (tra cui "Liberazione", "Carta", "Marea"). Judith Butler, pensatrice femminista americana, nata nel 1956, insegna attualmente retorica e letteratura comparata all'Universita' di Berkeley, California; e' figura di primo piano del dibattito contemporaneo su sessualita', potere e identita'; le sue ricerche rappresentano uno dei contributi piu' originali all'interno dei cultural studies e della queer theory. Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003 riprendiamo questa presentazione di Judith Butler scritta da Ida Dominijanni: "Judith Butler e' una delle massime figure di spicco nel panorama internazionale della teoria femminista. Docente di filosofia politica all'universita' di Berkeley in California, ha pubblicato nell'87 il suo primo libro (Subjects of Desire) e nel '90 il secondo, Gender Trouble, testo tuttora di culto nei campus americani, cruciale per la messa a fuoco delle categorie del sesso, del genere e dell'identita'. Del '93 e' Bodies that matter (Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995), del '97 The Psychic Life of Power. Filosofa di talento e di solida formazione classica, Butler appartiene a quello stile di pensiero post-strutturalista che intreccia la filosofia politica con la psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale; e a quella generazione del femminismo americano costitutivamente attraversata e tormentata dalle differenze sociali, etniche e sessuali fra donne e dalla frammentazione dell'identita' che ne consegue. Decostruzione dell'identita', analisi del corpo fra materialita' e linguaggio, critica della norma eterosessuale e dei dispositivi di inclusione/esclusione che essa comporta, critica del potere e del biopotere sono gli assi principali del suo lavoro, che sul piano politico sfocia in una strategia di radicalita' democratica basata sulla destabilizzazione e lo shifting delle identita'. Fin da subito attenta ai nefasti effetti dell'11 settembre e della reazione antiterrorista sulla democrazia americana, Butler e' fra gli intellettuali americani maggiormente imegnati nel movimento no-war. 'La rivista del manifesto' ha pubblicato sul n. 35 dello scorso gennaio il suo Modello Guantanamo, un atto d'accusa del passaggio di sovranita' che negli Stati Uniti si va producendo all'ombra dell'emergenza antiterrorista: fine della divisione dei poteri, progressivo svincolamento del potere politico dalla soggezione alla legge, crollo dello stato di diritto con le relative conseguenze sul piano del diritto penale (demolizione delle garanzie processuali) e del diritto internazionale (violazione di trattati e convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in nome della liberta' e la soppressione delle liberta' si saldino in un'unica offensiva di abiezione dei 'corpi che non contano', per le strade di Baghdad e nelle gabbie di Guantanamo". Opere di Judith Butler disponibili in italiano: Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995; La rivendicazione di Antigone, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Vite precarie. Contro l'uso della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma 2004; Scambi di genere. Identita', sesso e desiderio, Sansoni, Firenze 2004; Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006] Nel 1990 la pubblicazione negli Stati Uniti del libro di Judith Butler Gender Trouble (tradotto in Italia solo 14 anni dopo e con un titolo improprio: Scambi di genere, Sansoni) suscito' un ampio dibattito e divenne un testo fondamentale sia per i cultural studies che per i gender studies. La filosofa statunitense pose in quel testo le basi di un ragionamento - poi ripreso nel 1993 in Bodies that matter (Corpi che contano. I limiti discorsivi del "sesso", Feltrinelli, 1996) - con il quale affermava chiaramente la necessita' per il femminismo di non cadere in una concezione essenzialistica del soggetto ma di considerare la "complessa storicita' del binarismo di genere" come "qualcosa che e' inscindibile dalle relazioni di disciplina, regolamentazione, punizione". Butler scriveva di voler contrastare la violenza delle norme di genere, sovvertire cosi' anche il genere e le presunte identita', per "poter allargare le possibilita'" e trovare un "posto tutto per se'" fra maschile, femminile e molto altro, senza rigide classificazioni o gerarchie nelle quali anche il femminismo incorre. * Docente a Berkeley, presso il dipartimento di letteratura comparata, Judith Butler oltre che teorica del femminismo e' anche fra le intellettuali statunitensi maggiormente impegnate contro la guerra e proprio in uno dei suoi recenti lavori, Vite Precarie. Contro l'uso della violenza in risposta al lutto collettivo (Meltemi, 2004), ha analizzato la politica Usa dopo l'11 settembre. Il tema della violenza, in tutte le sue forme e apparizioni, sembra essere un filo rosso del pensiero di Butler e ritorna anche nell'ultimo volume di recente tradotto in Italia con il titolo Critica della violenza etica (Feltrinelli, pp. 180, euro 18). Il libro nasce da alcuni seminari universitari e dalle Spinoza Lectures che la filosofa ha tenuto nella primavera del 2002 presso il dipartimento di filosofia dell'universita' di Amsterdam. Il volume e' stato pubblicato in una prima stesura abbreviata in Olanda con il titolo Giving an account of oneself: a critique of ethical violence (Dare conto di se': una critica della violenza etica), ed e' proprio sul concetto di "rendere conto" che si snoda la riflessione di Butler in un incontro serrato con autori e discipline diverse: Adorno e Foucault, Cavarero e Levinas, Nancy e Lacan. * In questo suo primo testo di filosofia morale, Butler si interroga su "come e' possibile parlare di filosofia morale, e cioe' di qualcosa che ha a che fare con il comportamento e quindi con l'agire, nel quadro della societa' contemporanea". Porre la domanda in questi termini - spiega Butler - significa accettare implicitamente la tesi che i problemi morali non solo emergono in un contesto di relazioni sociali, ma che la forma che tali problemi assumono cambia in base a quel contesto. E' necessario per Butler partire da un assunto: non esiste un "io" totalmente sovrano e capace di rendere conto di se' pienamente e completamente. Questo non significa che non possa esistere una etica della responsabilita' verso l'altro in relazione al contesto in cui viviamo. Secondo Butler l'opacita' del soggetto, ossia il fatto incontestabile che non sia pienamente auto-trasparente e conoscibile, non implica "che esso sia comunque autorizzato a fare tutto cio' che vuole o a ignorare gli obblighi che ha verso gli altri". Anzi "e' proprio in virtu' delle relazioni con gli altri che si e' opachi a se stessi, e se queste relazioni con gli altri sono il luogo della propria responsabilita' etica, allora significa che e' proprio in virtu' dell'opacita' verso di se' che il soggetto si espone e accetta alcuni dei piu' importanti vincoli etici". * C'e' dunque una stretta relazione tra l'etica e la critica del soggetto, che si traduce in un debito inestinguibile verso l'altro al quale il soggetto deve necessariamente rivolgersi nel dare conto di se'. E tutto cio' significa combattere gli approcci violenti che forgiano anche l'etica, perche' fondati su un io che si vorrebbe sovrano e capace di controllo totale sul se', prendere in considerazione i nostri e altrui limiti per costruire pratiche di riconoscimento e agire di conseguenza. Un'etica che parli di vulnerabilita', umilta' e generosita' e che tenga conto della precarieta' del contesto in cui viviamo, nella consapevolezza, come ricordato da Butler all'indomani degli attentati di Londra, che "non ho scelto questo mondo nel quale vivo" ma che esso "forma l'orizzonte nel quale io debbo lottare, deliberare, agire". Come a dire, e per rispondere al quesito iniziale del libro, che la societa' contemporanea mette a dura prova la pratica del riconoscimento dell'altro, in un orizzonte di guerra dove ognuno teme per la propria sopravvivenza. L'importante e' "riconoscere che l'etica ci impone di metterci a rischio proprio nei momenti di non-conoscenza" in uno "spazio incerto (vuoto di noi e pieno di altri)". Arrivare ad un'etica che presupponga un comune riconoscimento della vulnerabilita', significa proteggere la vita il piu' possibile. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1366 del 24 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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