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La nonviolenza e' in cammino. 1364
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1364
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 22 Jul 2006 00:12:47 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1364 del 22 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. "Bat Shalom": Un appello 2. Nurit Peled: Contro il razzismo, per la pace e la convivenza 3. Una postilla al testo che precede 4. La guerra di sinistra 5. Peppe Sini: Una tesi 6. Ingeborg Bachmann: Poesia come pane? 7. Stefano Longagnani: Aggiungiamo due "non sempre" 8. Enrico Peyretti: Nel gorgo 9. Lidia Menapace: E' triste, e' amaro 10. Elena Loewenthal presenta "Storia di san Cipriano" di Eudocia Augusta 11. Letture: Franco Fortini, Un giorno o l'altro 12. Letture: Julia Kristeva, Hannah Arendt 13. Ristampe: Johann Wolfgang Goethe, Romanzi 14. Riedizioni: John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta 15. Un proclama dell'antico reame di Scaramacai 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. APPELLI. "BAT SHALOM": UN APPELLO [Ringraziamo Floriana Lipparini (per contatti: effe.elle at fastwebnet.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente appello di Bat Shalom, un'organizzazione di donne israeliane per la pace] Noi, che facciamo parte di Bat Shalom, un'organizzazione di donne israeliane per la pace, impegnate nel chiedere la fine dell'occupazione e una pace giusta e sostenibile, basata sulla soluzione "due stati, due popoli", giudichiamo la continua escalation dell'uso della violenza e della forza nella nostra regione come una diretta minaccia piuttosto che come una potenziale soluzione. E' nostra convinzione che l'attuale escalation sia il diretto risultato dell'assenza di un processo politico per porre fine all'occupazione israeliana dei Territori palestinesi, inclusa Gaza. Per di piu', la politica israeliana di delegittimazione del governo palestinese legittimamente eletto, e pertanto la gestione unilaterale del conflitto, conduce all'assedio di Gaza e alla violazione dei diritti umani fondamentali di un'intera popolazione. Questo vuoto politico e' stato sfruttato da Hamas e Hezbollah per i loro scopi politici e per un contrattacco contro civili israeliani innocenti. Quindi, come cittadine/i israeliane/i, chiediamo al nostro governo di aprire negoziati con il governo palestinese eletto. Un passo immediato potrebbe fermare l'ulteriore distruzione del Libano, con un totale cessate il fuoco, e trattative per giungere allo scambio di prigionieri. Noi chiediamo alla comunita' internazionale, sia come singoli stati sia come entita' collettive, di condurre le parti a un percorso politico volto alla necessita' di por fine all'occupazione israeliana dei Territori palestinesi e alla soluzione dei due stati. Soltanto trattative politiche e una giusta e sostenibile pace garantiranno sicurezza per tutta la cittadinanza nella regione. 2. TESTIMONIANZE. NURIT PELED: CONTRO IL RAZZISMO, PER LA PACE E LA CONVIVENZA [Attraverso Saleh Zaghloul (per contatti: saleh.zaghloul at liguria.cgil.it), che ringraziamo di cuore, riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente intervento di Nurit Peled-Elhanan, "Sull'educazione al razzismo e l'assassinio dei bambini", del 16 marzo 2006. Nurit Peled-Elhanan e' la figlia di Gal Peled, consigliere di Rabin a Oslo; nel 1994 sua figlia e' morta in seguito ad un attentato contro un autobus a Gerusalemme; docente universitaria di Linguaggio ed educazione, e' insegnante, traduttrice, scrittrice e madre israeliana; e' fortemente impegnata per la pace tra Israele e Palestina; nel 2001 ha ricevuto dal Parlamento europeo il Premio Sakharov per i diritti umani. Cfr. altri suoi interventi nei nn. 468 e 613 del nostro notiziario] Vorrei dedicare queste parole alla memoria dei bambini palestinesi assassinati giorno dopo giorno, a sangue freddo, non in seguito a errori umani ne' a causa di errori della tecnologia - come ci spiegano nei media - ma conformemente alle procedure. Questi bambini del cui assassinio metodico e di routine nessuno e' mai stato giudicato colpevole. Vorrei dedicare queste parole alle madri di questi bambini assassinati, a loro che continuano a mettere al mondo figli e a fondare famiglie, che si affrettano a preparare panini vedendo i bulldozer avvicinarsi per distruggere le loro case, che accompagnano ogni giorno i bambini a scuola attraverso chilometri di distruzione e immondizie, davanti ai fucili puntati da soldati apatici; loro che sanno che questi soldati, assassini dei loro figli, non saranno mai portati davanti ad un tribunale e che, se anche accadesse, non sarebbero mai giudicati colpevoli, perche' l'uccisione di bambini palestinesi non e' un crimine nello stato di Israele, ebraico e democratico. Infine vorrei dedicare queste parole alla memoria dello scrittore e poeta, il professor Izzat Ghazzawi, con cui ho avuto l'onore di condividere il Premio Sakharov per i diritti umani e la liberta' di pensiero. Qualche mese prima di morire di umiliazione, egli mi scriveva a proposito dei soldati che facevano irruzione di notte a casa sua, rompendo mobili e finestre, sporcando tutto, terrorizzando i bambini, "mi sembra che cerchino di far tacere la mia voce". Izzat Ghazzawi mi ha chiesto di rivolgermi al Ministero degli Esteri per chiedere loro di correggere l'errore. Ma il suo cuore conosceva la verita' ed ha cessato di battere poco tempo dopo. * Questa crudelta' che non si esprime a parole, questo modo organizzato, meditato, di maltrattare le persone, che i migliori cervelli israeliani oggi sono impegnati a pianificare e perfezionare, tutto cio' non e' nato dal nulla. E' il frutto di un'educazione fondamentale, intensiva, generale. I figli di Israele sono educati in un discorso razzista senza mezze misure. Un discorso razzista che non si ferma ai check-point ma regola tutti i rapporti umani in questo paese. I figli di Israele sono educati in modo che considerino il male che, dalla fine dei loro studi, dovranno far passare da virtuale a concreto, come qualcosa di imposto dalla realta' nella quale sono chiamati a lavorare. I figli di Israele sono educati in modo che considerino le risoluzioni internazionali, le leggi e i comandamenti umani e divini, come parole vuote che non si applicano a noi. I figli di Israele non sanno che c'e' un'occupazione. Si parla loro di "popolamento". Sulle carte dei manuali di geografia, i Territori occupati sono rappresentati come facenti parte di Israele o sono lasciati bianchi e indicati come "zone sprovviste di dati", detto in altri termini, zone disabitate. Nessun libro di geografia nello stato d'Israele offre delle carte con le frontiere dello stato, perche' i figli d'Israele imparano che la vera entita' geografica che ci appartiene, e' l'entita' mitica chiamata Terra d'Israele e che lo stato d'Israele ne e' una piccola parte provvisoria. I figli d'Israele imparano che nel loro paese ci sono ebrei e non-ebrei: un settore ebraico e un settore non-ebraico, un'agricoltura ebraica e un'agricoltura non-ebraica, delle citta' ebraiche e delle citta' non-ebraiche. Chi sono questi non-ebrei, cosa fanno? Che aspetto hanno? E' importante? Quando non sono chiamati non-ebrei, tutti questi altri che sono presenti nel paese, sono chiamati globalmente: "arabi". * Per esempio, nel libro "Israele, l'uomo e lo spazio" (edito dal Centro per la Tecnologia dell'Educazione, 2002), si puo' leggere a pagina 12: "La popolazione araba [...] All'interno di questo gruppo di popolazione, ci sono credenti di differenti religioni e di gruppi etnici diversi: musulmani, cristiani, drusi, beduini e circassi, ma poiche' la maggior parte di loro e' costituita da arabi, d'ora in poi noi daremo a questo gruppo il nome di arabi o di popolazione araba". Nello stesso libro, i palestinesi sono chiamati "lavoratori stranieri" e le loro vergognose condizioni di sussistenza sono, dice il libro, "caratteristiche dei paesi sottosviluppati". I palestinesi, che siano cittadini di Israele o che vivano nei Territori occupati, non sono presentati in nessun testo scolastico come persone moderne, di citta', occupate in lavori produttivi o prestigiosi o in attivita' positive. Essi non hanno volto. Sono rappresentati da immagini stereotipate: gli arabi cittadini di Israele, a cui si da' l'appellativo sminuente di "arabi israeliani", sono rappresentati sia da caricature razziste dell'arabo versione "Mille e una notte", con baffi e kefia, scarpe a punta da clown e un cammello al seguito (Geografia della terra d'Israele, 2002), sia dalla foto razzista tipica della rappresentazione del terzo mondo in occidente - il contadino pretecnologico, che cammina dietro un aratro primitivo tirato da un paio di buoi (Le persone e lo spazio, 1998). I palestinesi che abitano nei Territori sono rappresentati da foto di terroristi mascherati (Il ventesimo secolo / Tempi moderni II) o da branchi di rifugiati che vagano scalzi senza meta, con delle valigie sulla testa (Viaggio verso il passato, 2001). Questi stereotipi nei manuali scolastici sono definiti "incubo demografico", "minaccia alla sicurezza", "peso per lo sviluppo" o "problema che deve trovare una soluzione". Benche' le zone palestinesi non siano indicate sulle carte, l'Autorita' palestinese e' un nemico. Per esempio, nel libro "Geografia della terra d'Israele", del 2002, si trova un sottocapitolo intitolato "L'Autorita' Palestinese ruba l'acqua ad Israele a Ramallah". Ma soprattutto il razzismo riesce ad esprimersi in libri ritenuti non razzisti e che forse ignorano il discorso razzista che trasmettono. Testi qualificati da alcuni ricercatori come "progressisti, audaci, politicamente corretti", testi volti alla "verita' storica" e alla pace. Per esempio: Il ventesimo secolo, di Elie Barnavi, pagina 244: "Capitolo 32: i Palestinesi, da rifugiati a una nazione. Questo capitolo esamina lo sviluppo del problema palestinese [...] e gli atteggiamenti, nell'opinione pubblica israeliana, riguardo a questo problema e alla natura della sua soluzione". Se mi si dicesse che questo titolo viene da altrove, che c'e' da poco piu' di 60 anni e che invece del problema palestinese, si tratta del "problema ebraico", io non mi sorprenderei. Come si e' creato questo problema? Tempi moderni II, di Elie Barnavi e Eyal Naveh, spiega: pagina 238: "E' nella poverta', nell'inoperosita' e nella frustrazione, in cui vivevano i rifugiati nei loro miserabili campi, che e' maturato 'il problema palestinese'". Cosa causa questo problema? Pagina 239: "Il problema palestinese avvelena, da oltre una generazione, le relazioni di Israele con il mondo arabo e con la comunita' internazionale". Secondo questo testo, l'identita' dei palestinesi e' fondata sul "sogno del ritorno nella terra di Israele" e non in Palestina (pagina 238: "I palestinesi... hanno fondato la loro identita' sul sogno del ritorno nella terra di Israele"). Come si e' creato il nazionalismo palestinese? Tempi moderni II: "Col passare degli anni, l'alienazione e l'odio, la propaganda e le speranze di tornare e di vendicarsi hanno fatto dei rifugiati una nazione [...]". Il libro spiega anche che la presenza dei palestinesi tra noi puo' "trasformare il sogno sionista in incubo versione Sudafrica" (Il ventesimo secolo, pagina 249). Queste affermazioni sono state scritte dopo la vittoria di Nelson Mandela, ma il libro identifica di fatto gli ebrei dello stato d'Israele con i bianchi del Sudafrica per i quali la popolazione indigena e' un incubo. L'assassinio di palestinesi da parte degli israeliani ha sempre ripercussioni positive, secondo questi testi pedagogici: Tempi moderni, Elie Barnavi e Eyal Naveh, pagina 228: "Il massacro di Deir Yassin in effetti non ha inaugurato la fuga di massa degli arabi dal paese, che era iniziata prima, ma l'annuncio del massacro l'ha fortemente accelerata". "Inaugurato" e' una parola di festa. E subito dopo a pagina 230: "La fuga degli arabi ha risolto, almeno in parte, un terrificante problema demografico, e persino un moderato come Haim Weizman ha parlato a questo proposito di 'miracolo'". E' cosi' che i figli d'Israele imparano che e' un paese senza arabi - la realizzazione dell'ideale sionista. Imparano che uccidere palestinesi, distruggere le loro terre, assassinare i loro figli non e' un crimine, al contrario: tutto il mondo illuminato ha paura del ventre musulmano ed ogni partito al potere che vuol vincere le elezioni e dimostrare il suo impegno per il sionismo o la democrazia o il progresso, fa la sorpresa, alla vigilia delle elezioni, di un'operazione dimostrativa di uccisione di palestinesi. E cio' a dispetto del fatto che le scuole ebraiche nello stato d'Israele siano piene di slogan che dicono "di amare l'altro e di accettare chi e' diverso". Apparentemente, l'altro, colui che e' diverso, non e' chi vive nell'ambiente dove viviamo noi. * I figli d'Israele ne sanno di piu' sull'Europa - patria della fantasia e ideale dei dirigenti del paese - che sul Medio Oriente dove vivono e che e' il focolare originario di piu' della meta' della popolazione israeliana. I bambini ebrei, nello stato d'Israele, sono educati a dei valori umani di cui non vedono nessuna concretizzazione attorno a loro. Al contrario. Dappertutto assistono alla violazione di questi valori. Una studentessa che si definiva come "un'abitante di Tel Aviv, favorita, appartenente alla classe media", testimonia cosi' di questa confusione quando si meravigliava del fatto che "dei soldati del mio popolo, che mi proteggono e vogliono la mia sicurezza" maltrattano, senza battere ciglio, un padre palestinese e suo figlio ("Haaretz", 13 marzo 2006). In questo contesto, l'espressione "dei soldati del mio popolo, che mi proteggono e vogliono la mia sicurezza" e' quel che esprime meglio l'ideologia dei razzisti: maltrattare l'altro e' interpretato come difesa di quelli della nostra parte. Questa violenza fatta all'altro e' quel che ci definisce e crea una solidarieta': noi li maltrattiamo, segno che siamo un popolo unito, e tutti responsabili gli uni degli altri. * Chi sono questi che lei dice "del mio popolo"? La parola "popolo", come la parola "noi", e' una delle parole piu' pesanti che ci siano. E' una parola che si presenta come se non lasciasse scelta, come un colpo del destino, un fatto naturale. La morte ci ha obbligato, la mia famiglia ed io, a scrutare questa parola in profondita'. Quando, qualche anno fa, una giornalista mi ha chiesto come potevo accogliere parole di consolazione provenienti dall'altra parte, io le ho immediatamente risposto che non ero pronta ad accogliere parole di consolazione proveniente dall'altra parte; la prova: quando Ehud Olmert, il sindaco di Gerusalemme, e' venuto a porgermi le sue condoglianze, sono uscita dalla stanza ed ho rifiutato di stringergli la mano o di parlargli. Per me, l'altra parte e' lui e i suoi simili. E questo perche' il mio "noi" per me non si definisce in termini nazionalisti o razzisti. Il mio "noi" per me e' composto da tutti quelli che sono pronti a lottare per preservare la vita e per salvare dei figli dalla morte. Da madri e padri che non vedono una consolazione nell'omicidio dei figli degli altri. E' vero che la' dove noi siamo, questa parte conta piu' palestinesi che ebrei, perche' sono loro che tentano ad ogni costo - e con una forza che non mi e' familiare ma che non posso che ammirare - di continuare a condurre un'esistenza nelle condizioni infernali che il regime dell'occupazione e la democrazia israeliana impongono loro. Tuttavia, anche per noi, vittime ebree dell'occupazione, che cerchiamo di liberarci della cultura della forza e della distruzione nella guerra di civilta' che si porta avanti in questi luoghi, anche per noi c'e' posto qui. * Mio figlio Elik e' membro di un nuovo movimento fiorito sotto il nome di "Combattenti per la pace" e i cui membri sono israeliani e palestinesi che sono stati soldati combattenti e che hanno deciso di fondare un movimento di resistenza nonviolenta all'occupazione. La mia famiglia e' membro del Forum delle famiglie israeliane e palestinesi colpite da lutti e impegnate per la pace. Mio figlio Guy fa teatro con amici israeliani e palestinesi che si considerano persone che vivono nello stesso luogo e che cercano di liberarsi da una vita tutta decisa, di malvagita' e razzismo, che non e' la loro. E mio figlio piu' giovane Yigal fa ogni anno un campo estivo della pace dove ragazzi ebrei e ragazzi palestinesi si divertono insieme e creano legami solidi che si mantengono durante l'anno. Sono questi ragazzi il suo "noi" per lui. E questo perche' noi siamo una parte della popolazione che vive in questo luogo e perche' noi crediamo che questa terra appartenga ai suoi abitanti e non a persone che vivono in Europa o in America. Noi crediamo che e' impossibile vivere in pace senza vivere negli stessi luoghi, con chi vi abita. Che una fraternita' reale non si stabilisce su criteri nazionalisti e razzisti ma su una vita comune in un determinato luogo, in un determinato paesaggio e su sfide affrontate in comune. Che chi non supera le frontiere della razza e della religione e non si integra tra le persone del paese dove e' nato non e' un uomo di pace. Purtroppo ci sono molti qui che si dicono persone di pace ma che, vedendo persone che vivono qui imprigionate in ghetti e recinti il cui scopo e' affamarli fino alla morte, non protestano e inviano anche i loro figli a servire nell'esercito di occupazione, a fare le sentinelle sui muri del ghetto e alle sue porte. * Io non sono una donna politica ma e' chiaro per me che i politici di oggi sono gli studenti di ieri e che i politici di domani sono gli studenti di oggi. E' per questo che mi sembra che chi fa della pace e dell'uguaglianza il suo motto deve interessarsi all'educazione, esplorarla, criticarla, protestare contro la diffusione del razzismo nel discorso pedagogico e nel discorso sociale, proporre delle leggi o riattivare delle leggi contro un insegnamento razzista e stabilire dei programmi alternativi dove si offra una conoscenza reale, profonda dell'altro, sbarrando ogni possibilita' di uccidersi reciprocamente. Un insegnamento del genere dovrebbe mettere davanti agli occhi le immagini delle bambine, stese con le loro uniformi scolastiche, nella sporcizia, nel sangue e nella polvere, i loro piccoli corpi crivellati dai proiettili sparati secondo le procedure, e porre, giorno dopo giorno, ora dopo ora, la domanda posta da Anna Achmatova che, anche lei, aveva perduto suo figlio in un regime assassino: "Perche' questo solco di sangue strazia il fiore della tua guancia?". 3. RIFLESSIONE. UNA POSTILLA AL TESTO CHE PRECEDE La testimonianza di Nurit Peled vale ovviamente anche per l'opposta e quindi analoga (e sovente assai peggiore) editoria diffusa negli altri paesi dell'area, ed in molte altre parti del mondo. La lotta contro il razzismo, e l'educazione alla pace e alla convivenza, riguarda l'umanita' intera. Ci sta a cuore Israele, ci sta a cuore la Palestina, ci sta a cuore la vita e la dignita', la sicurezza e la liberta' di ogni essere umano. La pace non e' una remota meta: la pace e' la via. La nonviolenza e' la scelta necessaria. 4. TELEGRAMMI. LA GUERRA DI SINISTRA La guerra di sinistra uccide ma delicatamente la guerra di sinistra usa la tortura ma prima chiude la porta la guerra di sinistra fa le stragi compassionevoli la guerra di sinistra e' umanitaria e multilaterale la guerra di sinistra non e' neppure proprio guerra: per questo Berlusconi la vota. 5. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA TESI La nonviolenza e' anche molte altre cose, ma innanzitutto e' lotta politica contro la violenza. Chi pensa che la nonviolenza sia balocco da psicoterapeuti o ricercatori accademici o mistici in pensione, e la politica invece sia cosa da lasciare ai farabutti che loro si' che sanno come va il mondo, non fa un buon servizio ne' alla nonviolenza ne' alla politica. Dopo Hiroshima o la nonviolenza si fa giuriscostituente, si pone l'obiettivo e dispiega la capacita' di tradursi in istituti di civile convivenza e in architrave dell'organizzazione anche giuridica ed istituzionale delle relazioni tra le persone, tra i popoli e tra gli stati, o essa e' nulla. 6. MAESTRE. INGEBORG BACHMANN: POESIA COME PANE? [Da Ingeborg Bachmann, Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Adelphi, Milano 1993, p. 29 (e' un frammento da una delle conferenze pronunciate all'Universita' di Francoforte sul Meno nell'inverno 1959-'60). Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa austriaca (Klagenfurt 1926 - Roma 1973) di straordinaria bellezza e profondita', maestra di pace e di verita'. Opere di Ingeborg Bachmann: versi: Il tempo dilazionato; Invocazione all'Orsa Maggiore; Poesie. Racconti: Il trentesimo anno; Tre sentieri per il lago. Romanzi: Malina. Saggi: L'elaborazione critica della filosofia esistenzialista in Martin Heidegger; Ludwig Wittgenstein; Cio' che ho visto e udito a Roma; I passeggeri ciechi; Bizzarria della musica; Musica e poesia; La verita' e' accessibile all'uomo; Il luogo delle donne. Radiodrammi: Un affare di sogni; Le cicale; Il buon Dio di Manhattan. Saggiradiofonici: L'uomo senza qualita'; Il dicibile e l'indicibile. La filosofia di Ludwig Wittgenstein; La sventura e l'amore di Dio. Il cammino di Simone Weil; Il mondo di Marcel Proust. Sguardi in un pandemonio Libretti: L'idiota; Il principe di Homburg; Il giovane Lord. Discorsi: Luogo eventuale; Letteratura come utopia. Prose liriche: Lettere a Felician. Opere complete: Werke, 4 voll., Piper, Muenchen-Zuerich. Interviste e colloqui: Interview und Gespraeche, Piper, Muenchen-Zuerich. In edizione italiana cfr. almeno: Poesie, Guanda, 1987, Tea, Milano 1996; Invocazione all'Orsa Maggiore, SE, Milano 1994, Mondadori, Milano 1999; Il dicibile e l'indicibile. Saggi radiofonici, Adelphi, Milano 1998; Il buon Dio di Manhattan, Adelphi, Milano 1991; Il trentesimo anno, Adelphi, Milano 1985, Feltrinelli, Milano 1999; Tre sentieri per il lago, Adelphi, Milano 1980, Bompiani, Milano 1989; Malina, Adelphi, Milano 1973; Il caso Franza, Adelphi, Milano 1988; La ricezione critica della filosofia di Martin Heidegger, Guida, Napoli 1992; In cerca di frasivere, Laterza, Roma-Bari 1989; Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte, Adelphi, Milano 1993. Opere su Ingeborg Bachmann: un'ampia bibliografia di base e' nell'apparato critico dell'edizione italiana di Invocazione all'Orsa Maggiore, cit. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] "Il popolo ha bisogno di poesia come del pane": questa frase commovente, certo nient'altro che espressione di un desiderio, e' stata scritta da Simone Weil. Ma oggi la gente ha bisogno di cinema e rotocalchi come ha bisogno di panna montata, e le persone piu' esigenti (tra cui anche noi) hanno bisogno di qualche piccolo shock, un po' di Ionesco o le urla dei beatnik per non perdere del tutto l'appetito. Poesia come pane? Un pane che dovrebbe stridere tra i denti come sabbia, e risvegliare la fame piuttosto che placarla. Una poesia che dovra' essere affilata di conoscenza e amara di nostalgia se vorra' scuotere l'uomo dal suo sonno. Dormiamo, infatti, dormiamo per paura di dover percepire il mondo intorno a noi. 7. RIFLESSIONE. STEFANO LONGAGNANI: AGGIUNGIAMO DUE "NON SEMPRE" [Ringraziamo Stefano Longagnani (per contatti: longagnani at yahoo.it) per questo intervento. Stefano Longagnani, docente, e' impegnato nei movimenti di solidarieta', per la pace e la nonviolenza, nell'educazione alla pace e ai diritti umani, ed e' una delle persone piu' sagge e miti e generose - ed acutamente ironiche ed autoironiche, il che non guasta mai - che abbiamo avuto l'immensa fortuna di conoscere] L'attuale articolo 11 della Costituzione recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". * Propongo che il movimento per la pace, per ristabilire la verita', sostenga a spada tratta la seguente modifica costituzionale: "L'Italia non sempre ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, non sempre in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Dopodiche' propongo che ci si mobiliti per ristabilire il vecchio articolo 11, quello con il ripudio della guerra in tutte le occasioni, stavolta pero' non per principio, ma per davvero. 8. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: NEL GORGO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Donne intelligenti - Castellina, Spinelli, Sgrena - qui [negli interventi apparsi nell'ultimo numero di "Nonviolenza. Femminile plurale" - ndr] mostrano bene come, in questi tempi avvelenati di guerra, l'alternativa non e' tattica, o politica, neppure solo morale, ma appena logica e vitale. Governanti pazzi - uomini dalla ragione umana dimezzata - credono di poter usare la guerra, cio' che e' fuor di ragione ("alienum a ratione"; Giovanni XXIII nel 1963), per salvare la vita mediante la morte, che e' l'opposto della vita. Non sanno - ignoranza somma - che la vita o e' comune - vita tua vita mea - o non e' vita, ne' buona ne' giusta ne' sicura. Nella guerra fredda, sotto la pericolosissima minaccia reciproca, c'era la silenziosa alleanza per vivere, per non distruggersi. Non era una bella condizione, ma la ragione minima funzionava ancora. Bobbio avvertiva che un monopolarismo sarebbe stato peggiore del bipolarismo. L'impero occidentale vinse la guerra fredda, nel 1989, con l'arma dello sfiancamento economico dell'avversario e col fascino del consumismo dissipativo, miseria brillante, sulle popolazioni che quello assoggettava. Da allora, l'occidente credette, nella totale follia che e' la condanna fatale della potenza e della ricchezza separate dall'umanita', di potere usare la guerra, di potere spegnere con la guerra le pretese e le audacie di chiunque sollevasse la testa, di poter fare giustizia con la guerra, che e' piu' ingiusta della pena di morte. Della propria potenza fece la propria fede, arrivando a pensare che la storia aveva raggiunto in cio' la propria meta, il paradiso e la salvezza. La prima guerra del Golfo, nel 1991, con coperture formali di legittimita' internazionale (ristabilimento della sovranita' violata del Kuwait), fu la folle rilegittimazione della guerra come metodo di giustizia, che nel 1945 le nazioni e le costituzioni migliori avevano bandito e proibito. L'uso della guerra ha liberato la morte, prima trattenuta, contro la vita. Se, nella razionalita' brutta ma vitale ancora vigente nella guerra fredda, minacciare la morte garantiva reciprocamente la vita del minacciante come del minacciato, la liberta' di uccidere perche' si e' piu' forti toglie ogni garanzia agli uni e agli altri. Se tu hai il potere della mia morte, io ho il potere della mia morte insieme alla tua. La logica di Sansone e' tornata di attualita'. Il gesto orrendo e solenne dell'11 settembre, la potenza dei morituri contro il simbolo della potenza, ha cambiato il gioco: e' stata apocalisse, che significa rivelazione. Questa logica e' dilagata. Se la morte serve, giochiamo a chi ne da' di piu'. L'arma assoluta e' la dotazione del kamikaze: la tua minaccia e' nulla, perche' la mia morte la metto io nel gioco, con la tua. La potenza Usa e i suoi alleati, la parte regnante e stolta dell'antico occidente, e' caduta nell'immane tranello. Ha creduto di domare la morte con la morte, ed e' precipitata nel mulinello della sua danza infernale, vorticosa, senza uscita fino a quando non si perde la fede nella morte e si smette di uccidere e si comincia a vivere quella vita che non e' mia se non e' anche tua, e dunque implica anche la giustizia economica e il rispetto delle civilta'. Siamo nel gorgo. La piu' piccola mossa per afferrare un ramo che ci tragga fuori dal vortice, oggi e' positiva, e' l'inizio della sapienza della vita, se saremo in tempo. Forse la prima mossa necessaria e' ritrovare la ragione sana, e giudicare i pazzi oggi al timone del mondo. 9. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: E' TRISTE, E' AMARO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 luglio 2006. Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. Nelle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; AA. VV., Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Il sondaggio del "Corriere della sera", che indica una maggioranza non indifferente del paese favorevole al ritiro delle truppe italiane sia dall'Iraq che dall'Afghanistan, conferma una impressione che anche altri elementi convalidano: cioe' che la popolazione ha una capacita' reattiva molto forte e in questo momento superiore al sistema politico. Questo non modifica per ora gli schieramenti in parlamento, e quindi non muta le decisioni assunte dai parlamentari. Per quanto mi riguarda, se ripasso il processo che ho seguito fino ad oggi, esso e' il seguente: nel momento in cui mi fu offerto di essere capolista in Senato per Rifondazione comunista-Sinistra europea, la questione era di riaprire la possibilita' di una politica nel nostro paese, dato che il quinquennio del governo di centrodestra e un processo culturale anche piu' lungo e profondo aveva di fatto chiuso l'esercizio della politica con il diffondersi di una cultura populista di rara rozzezza ed efficacia e una influenza sul sistema politico che ne favoriva derive identitarie sempre molto pericolose. A mio parere, per evitare che cio' continuasse in modo sotterraneo, bisognava riuscire ad avviare processi di riapertura di dibattito e mediazione, immettendo nell'Unione il metodo del consenso per formare la volonta' politica e nella cittadinanza un dibattito politico libero e aperto. Il primo difficile impatto avviene appunto sull'Afghanistan e si partiva subito male, cioe' non aprendo un dibattito su come costruire un percorso sul quale si poteva anche non concordare, per raggiungere una meta che era ed e' comune, cioe' come far terminare la spedizione, ma subito invece definendo identita' rigide e richieste di decisioni che non avevano riscontro negli schieramenti istituzionali. Perche' la questione e' infatti come si rende efficace una decisione in proposito. Abbiamo gia' visto quanto sia difficile realizzare decisioni anche condivise e programmatiche come sull'Iraq. La pressione che viene rivelata dalla ricerca del "Corriere" non e' ancora arrivata in parlamento e percio' bisogna continuare a premere e a lavorare per il rientro e - ad oggi - il modo migliore per raggiungere tale meta e' di discutere e mediare tra le forze politiche. Continuare prevalentemente nelle posizioni identitarie produce - a mio parere - solo scivolamento verso strettoie e contraddizioni alle quali mira chi vuole costruire la grande coalizione, cioe' l'esito che rende impossibili i fini che ci eravamo dati. E' triste, e' amaro, ma per ora non sembra che si riesca ad avere una forma diversa di decisione. 10. LIBRI. ELENA LOEWENTHAL PRESENTA "STORIA DI SAN CIPRIANO" DI EUDOCIA AUGUSTA [Da "Tuttolibri" dell'8 luglio 2006 riprendiamo la seguente recensione di Eudocia Augusta, Storia di San Cipriano, a cura di Claudio Bevegni, con un saggio di Nigel Wilson, Adelphi, Milano 2006, pp. 207, euro 13. Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg] Al pari di un'altra storia indubbiamente piu' popolare, anche questa ha per protagonisti un uomo, una donna e una mela. A voler essere precisi qui la mela e' frigia, ma spartisce con quell'altra il discutibile privilegio d'essere oggetto di un contendere. Siamo nel V secolo dopo Cristo, alla corte di Costantinopoli. L'imperatore Teodosio II e' un uomo debole, nel complesso inetto: le redini del regno sono in mano a due auguste in prevedibile competizione. Sua moglie Eudocia, una nobile nata pagana con il nome di Atenaide, che il 7 giugno del 421 e' diventata la moglie dell'imperatore. E la sorella di lui, Pulcheria. La mela frigia viene donata da Teodosio alla consorte e da questa - dice la leggenda - al magister officiorum Paolino, forse (il dubbio e' d'obbligo) suo amante. Dalle mani di costui, il frutto torna inopinatamente all'imperatore che, dopo un rapido due piu' due, condanna Eudocia all'esilio. Questa donna le cui virtu' non si esauriscono nella bellezza trascorrera' il resto dei suoi giorni, fra il 439 e il 460 (anno della sua morte), a Gerusalemme. Qui si dedica a varie opere pie - come ad esempio la costruzione del monastero di Santo Stefano. E da' voce a quella sua vocazione artistica cui gli impegni (e gli intrighi) di corte poco si addicevano. Fine poetessa, sintesi perfetta di cristianesimo e cultura classica - assimilata a sant'Elena, la madre di Costantino -, tendenzialmente monofisita - propensa cioe' a un cristianesimo quasi ascetico, l'unica sua opera giunta sino a noi e scoperta solo nel 1982, e' una Storia di San Cipriano che Adelphi propone ora in una bella edizione italiana a cura di Claudio Bevegni e con un saggio di Nigel Wilson. Il terzo protagonista di questa vicenda, infatti, non e' certo il pallido Teodosio II ansioso piu' che altro di attraversare indisturbato il cammino della storia: e' per l'appunto la mitica figura di San Cipriano. Una specie di Faust ante litteram, contraltare satanico ma soprattutto umano del biblico Giobbe. All'inizio della storia Cipriano e' un uomo malefico, maestro di empia magia acquisita in un lungo itinerario sapienziale che l'ha condotto in Oriente, Egitto e Babilonia. A questo pozzo di perverse conoscenze si rivolge Aglaide, ricco e vizioso, per sedurre la pia Giusta che non gli concede i propri favori. Inizia cosi' una dura battaglia fra bene e male, con quest'ultimo scortato da Satana in persona. Ma Giusta non cede e anzi, induce Cipriano a rinnegare il maligno e lo converte al cristianesimo. I due, san Cipriano e diaconessa Giusta divenuta Giustina, subiranno infine il martirio. Tornando alla nostra Eudocia: lei racconta questa storia con garbo e vigore. Ci presenta in tutta la sua complessita' la figura di Cipriano, sulle due sponde opposte della propria esistenza. Dapprima ricco di esperienze e arti magiche. Poi disincantato, spoglio di sapienza ma anche convinto nella fede vera. Infine, insieme a Giustina, inflessibile martire diretto alla via del cielo. Il racconto e' denso di particolari, di immagini quasi pittoriche (come quando si descrive "la figura della menzogna dalle molte forme" o "l'emblema dell'ira: alata, funesta, aspra, ferina"). C'e' nella poesia di Eudocia una viva partecipazione a questa storia, tanto nei suoi tratti umani (molto umani), quanto in quella misura di inquietudine - e sgomento - che desta il bieco, antico patto con il diavolo. 11. LETTURE. FRANCO FORTINI: UN GIORNO O L'ALTRO Franco Fortini, Un giorno o l'altro, Quodlibet, Macerata 2006, pp. XXX + 600, euro 35. A cura di Marianna Marrucci e Valentina Tinacci, con un'introduzione di Romano Luperini. Un'opera incompiuta e incandescente di uno dei nostri maestri di verita'. 12. LETTURE. JULIA KRISTEVA: HANNAH ARENDT Julia Kristeva, Hannah Arendt. La vita, le parole, Donzelli, Roma 2005, pp. VI + 298, euro 23. Una bella, appassionata monografia, alcune delle cui tesi meriterebbero una discussione franca e non superficiale - ed anche questo e' in un libro un merito. 13. RISTAMPE. JOHANN WOLFGANG GOETHE: ROMANZI Johann Wolfgang Goethe, Romanzi, Mondadori, Milano 1979, 2006, pp. L + 646, euro 12,90 (in suppl. a vari periodici Mondadori). Goethe, con il Werther nella traduzione di Giuseppe A. Borgese, La vocazione teatrale di Wilhelm Meister nella traduzione di Emilio Castellani, Le affinita' elettive nella traduzione di Massimo Mila, e una prefazione di Claudio Magris. Che si puo' desiderare di piu'? (Certo, certo, il Faust tradotto da Errante e da Fortini, il Divano da leggere in tedesco, eccetera eccetera). 14. RIEDIZIONI. JOHN MAYNARD KEYNES: TEORIA GENERALE DELL'OCCUPAZIONE, DELL'INTERESSE E DELLA MONETA John Maynard Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, Utet, Torino 1971, 2005, Istituto geogafico De Agostini - Milano Finanza Editori, Novara-Milano 2006, pp. 590, euro 12,90 (in suppl. a "Milano finanza"). C'e' poco da fare, Keynes e' sempre Keynes, e non si cessa mai di farci i conti. Con un'introduzione di Terenzio Cozzi. 15. DOCUMENTI. UN PROCLAMA DELL'ANTICO REAME DI SCARAMACAI A tutti i sudditi sua grazia il gran visir: "Tutti coloro che hanno chiesto o intendono chiedere, che hanno ricevuto, ricevono o sperano ricevere elemosine, incarichi, appalti o altri benefizi dall'augusto governo di questo augusto reame di Scaramacai, si astengano dal dichiarare ai quattro venti quanto questo governo e' ottimo, munifico e pupilla degli dei. Lo sappiamo gia', plebaglia". 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1364 del 22 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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