La nonviolenza e' in cammino. 1365



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1365 del 23 luglio 2006

Sommario di questo numero:
1. L'opposizione integrale alla guerra
2. Severino Vardacampi: Un centenario a Pisa e dieci note
3. Giancarlo Gaeta: Cronologia della vita di Simone Weil
4. Enrico Peyretti: "Parents' Circle", il dolore sapiente per forare la
barriera del conflitto
5. Mario Pezzella presenta "Psicanalisi e politica" di Herbert Marcuse
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. L'OPPOSIZIONE INTEGRALE ALLA GUERRA

Ogni giorno questo foglio riproduce come penultimo testo che propone alla
riflessione la "carta" del Movimento Nonvolento stesa da Aldo Capitini oltre
quarant'anni fa. Come tutte le cose ripetute dopo un po' nessuno la legge
piu'.
E allora forse non sara' inutile oggi commettere una ineleganza e chiedere
una gentilezza.
L'ineleganza di riprodurla qui in apertura, la gentilezza di leggerla come
se fosse una lettera che una persona buona ha inviato proprio a te proprio
adesso.
*
"Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli".

2. ANNIVERSARI. SEVERINO VARDACAMPI: UN CENTENARIO A PISA E DIECI NOTE

Nel centenario della nascita del satyagraha - la proposta gandhiana di lotta
contro la violenza con la forza della verita' -, la bella rivista "Quaderni
satyagraha" e il benemerito Centro Gandhi di Pisa promuovono un convegno,
appunto a Pisa, dall'8 all'11 settembre 2006.
Gli anniversari talvolta sono utili occasioni di bilancio e di rilancio di
idee e iniziative. E il cielo sa quanto vi sia bisogno di una piu' profonda
e piu' vasta e adeguata ricezione, comprensione e scelta della nonviolenza.
Soprattutto in un momento come questo in cui grande e' la confusione delle
lingue, ed anche cio' che avrebbe dovuto essere certo viene revocato in
dubbio (ad esempio la distinzione tra la guerra e la pace, tra l'uccidere e
il salvare, tra commettere il male e compiere il bene, tra violenza e
nonviolenza).
Ed anche chi come il sottoscritto non partecipera' al convegno pisano, al
quale spera che molte e molti intervengano, ed ai cui organizzatori augura
ogni bene, si sente sollecitato a proporre qualche sparsa, breve
riflessione. E proponendole da un foglio volante le scrivera' con la
leggerezza cui e' mestieri attenersi se letti esser si vuole.
*
1. La nonviolenza ovviamente non nasce con Gandhi, e sebbene di essa Gandhi
sia una delle figure piu' esemplari ed uno degli artefici maggiori, essa ha
fatto le sue prove e dato i suoi frutti in esperienze anche molto lontane da
quelle alla tradizione piu' propriamente gandhiana ascrivibili.
*
2. La nonviolenza non e' un canone di autori, e men che mai una galleria di
autorita' o un reperorio di precetti; e' invece - a noi pare - vasto e
complesso un insieme di insiemi.
Di vicende storiche. Di proposte epistemologiche, assiologiche,
metodologiche, deliberative, operative, valutative. Di progetti sociali e
politici. Di esperienze e di riflessioni, di testimonianze personali e di
processi sociali, di movimenti di trasformazione, di pratiche istituzionali,
di obiezioni e di codificazioni, di percorsi rivoluzionari e di lente, caute
riforme e reintegrazioni. Di ricerca interiore, di pratiche relazionali tra
soggetti esistenziali e storici, di negoziati tra persone giuridiche, di
appercezione del mondo e di dinamiche di convivenza.
Trovi tracce della nonviolenza in antichi testi sapienziali e nelle moderne
costituzioni, e puo' capitare che le trovi dove meno te le aspetti, e
viceversa le vedi talora dileguarsi dove pur pensavi di trovarle. La
nonviolenza e' anche un atteggiamento di meraviglia e di sobrieta', un saper
dire di si' e un saper dire di no.
E di queste molteplici dimensioni della nonviolenza hic et nunc ci preme
mettere in particolare evidenza la sua dimensione giuriscostituente: ovvero
il fatto che essa sia fondativa e inveratrice di diritto, principio di
organizzazione della societa', scelta generativa di strumenti legislativi e
finanche di ordinamenti giuridici: politica in senso forte, politeia in
senso pieno; ci pare essere questa una decisiva sfida attuale, ineludibile
uno dei compiti dell'ora.
*
3. Ma la nonviolenza e' in primo luogo ed essenzialmente questo: lotta
contro la violenza; lotta sia contro la violenza dispiegata e flagrante, sia
contro quella cristallizzatasi in strutture e culture, in modi di produzione
e ordinamenti. La nonviolenza si da' solo nella lotta contro la violenza;
fuori dalla concretezza - e quindi anche della contestualita' - di questa
lotta, nonviolenza non si da'. Poiche' la nonviolenza, che e' riconoscimento
di umanita' e amore per il mondo, tale riconoscimento invera e tale amore
dispiega nella concreta lotta contro cio' che umanita' denega  e il mondo
devasta.
*
4. I movimenti storici di lungo periodo che in eta' moderna piu' e meglio
hanno inverato e per cosi' dire non solo ampiamente sperimentato, ma
inventato nelle sue concrete epifanie la nonviolenza, sono l'esperienza
storica del movimento dei lavoratori - ovvero degli oppressi dai rapporti di
produzione e di proprieta' dati - nelle varie articolazioni della corrente
socialista (dal marxismo all'anarchia), e soprattutto il movimento delle
donne.
Certo vi sono state molte altre esperienze, da fondamentali tradizioni
religiose alla migliore ecologia, dal movimento dei diritti civili e
antirazzista alle esperienze della psichiatria democratica e della lotta
alle istituzioni totali, dalle esperienze di lotta anticoloniale a quelle
per un'educazione liberatrice, ma le vicende del movimento operaio e
contadino, e le vicende del movimento delle donne, ci sembrano
particolarmente preziose e aggettanti.
*
5. Il femminismo, a parere di chi scrive, nella sua pluralita' di esperienze
e riflessioni, e' l'esperienza storica nonviolenta piu' nitida e piu'
coerente, la vera e propria "corrente calda" della nonviolenza in cammino.
Della nonviolenza in cammino come pratica di autocoscienza e di liberazione
dell'umanita', come scelta di "mettere al mondo il mondo", come "forza
dell'amore" operante nel cuore del mondo e della storia, nei luoghi sociali
ed esistenziali del produrre e del riprodurre, del preservare e del
trasmettere, del soffrire e del generare, dell'incontro e del conflitto, del
silenzio ricettivo e del dialogo con le sue intermittenze ed angoscie,
dell'etica della cura e della vita activa, e del principio speranza
intrecciato al principio disperazione e al principio responsabilita', della
nascita nel senso forte arendtiano.
*
6. In Italia la nonviolenza grazie ad alcune figure esemplari ed ormai
riconosciute (sia operanti in Italia, sia prevalentemente vissute altrove)
ma anche grazie a figure non ancora riconosciute nella loro effettuale
grandezza (come ad esempio la grande militante e pensatrice anarchica Luce
Fabbri, la straordinaria pensatrice e militante della liberazione Franca
Ongaro Basaglia) ha sedimentato anche una tradizione specifica.
*
7. Ma molti limiti particolarmente penosi questa tradizione specifica della
nonviolenza in Italia ha subito. E ad esempio:
a) il misconoscimento della caratterizzazione nonviolenta di pratiche ed
elaborazioni che sono tali a tutti gli effetti, ma in relazione a cui i
soggetti protagonisti esitano ad accogliere il termine nonviolenza per
definirle poiche' sovente coloro che pure la nonviolenza concretamente
agiscono subiscono il condizionamento di una visione falsa e stereotipata
della nonviolenza, che la caricaturizza come vilta' o rassegnazione, quando
invece la nonviolenza e' eminentemente lotta, lotta la piu' nitida e la piu'
intransigente contro ogni forma di violenza, di ingiustizia, di oppressione,
di menzogna;
b) per quanto concerne invece i movimenti nonviolenti organizzati (sovente
piccoli e fin minuscoli, e segnati talora da ingenuita', rissosita',
subalternita') ha pesato assai negativamente l'autoghettizzazione in una
marginalita' talora persino introiettata e addirittura rivendicata ed
esibita;
c) vi e' poi stato il danno provocato dall'uso strumentale e distorsivo da
parte di chi riducendo la nonviolenza a repertorio di tecniche ne ha
cancellato la dimensione assiologica ed epistemologica (e particolarmente
l'esigenza di rigorizzare la relazione tra mezzi e fini), e molto ha
contribuito a ridurne la percezione diffusa alla caricatura che tutti sanno;
d) ed infine l'uso a mo' di ideologia di ricambio da parte di partiti e
correnti di partito che hanno pensato di poterne strumentalizzare il nome
per squallide operazioni trasformiste.
*
8. Della nonviolenza chi scrive queste righe propone ad un tempo una nozione
ampia ed aperta che include nell'alveo della nonviolenza esperienze e
riflessioni anche molto diversificate e fin reciprocamente critiche e
confliggenti su punti non marginali; ed ovviamente ne propone quindi una
nozione pluridimensionale, plurale, contestuale: la nonviolenza non si da'
in vitro, ma sempre nell'intreccio e nel conflitto con la violenza cui si
oppone, e quindi e' sempre relativa, storicamente situata, culturalmente
condizionata. Non si da' mai solo in luce ma sempre necessariamente anche in
ombra, non puo' mai presentarsi senza scorie ma sempre in cammino e in
ricerca e in conflitto in primo luogo con se stessa. La nonviolenza e' anche
la cognizione delle scelte tragiche di cui consiste l'operare nella
societa'.
Ma insieme chi scrive queste righe propone anche una esigenza di
rigorizzazione linguistica e concettuale. Muovendo da una comprensione
filologicamente adeguata dei termini e dei concetti di ahimsa e satyagraha
si puo' e si deve ricostruire un quadro storico e teoretico che ad un tempo
colga l'ampiezza delle esperienze storiche e la varieta' delle pratiche
concrete - sempre situate, sempre relative - ma insieme definisca una rete
concettuale che non dia luogo ad equivoci, stereotipi e caricature.
Ma, ancora una volta, il primato ci sembra che debba essere della prassi: la
dimensione conflittuale ed insieme comunicativa, propositiva di alternative
relazionali e costruttive nel farsi stesso della lotta contro la violenza e
l'ingiustizia, e' il proprium ed il primum della scelta nonviolenta;
diciamolo una volta ancora: la nonviolenza e' lotta contro la violenza e la
menzogna; al di fuori di questo impegno di lotta essa svanisce.
*
9. In Italia oggi si pone il problema dell'uscita della nonviolenza (ovvero
delle esperienze nonviolente e delle persone che nella loro pratica concreta
reinventano giorno per giorno la nonviolenza) dalla subalternita' nel campo
dell'agire politico.
Naturalmente non si tratta affatto ne' di fare un partito in piu', ne' di
fondare una corrente rivoluzionaria o riformatrice "entrista" o
"separatista"; non si tratta di creare nuove sigle o di ripercorrere strade
gia' rivelatesi fallimentari (intergruppi, proclami, propagandismo): si
tratta piuttosto di porre all'ordine del giorno per tutte le persone di
volonta' buona la scelta della nonviolenza come alternativa, hic et nunc, al
disordine costituito, alla catastrofe (bellica, sociale, ambientale)
incombente.
*
10. Pluralita' e apertura devono caratterizzare questa nostra conricerca,
sapendo che ogni persona che alla nonviolenza si accosta lo fa a partire da
un suo percorso originale, e che ogni persona che alla nonviolenza si
accosta la invera in modo peculiare: la nonviolenza e' anche uno
straordinario campo di ricerca, di creazione, e di dialogo, e di incontro.
Non e' fusionale, ama le convergenze ma anche le distinzioni, promuove
autonomia non unanimismi, unita' non totalitarismo.
Ad esempio chi scrive queste righe si e' accostato alla nonviolenza
svolgendo e approfondendo - "al fuoco della controversia" e nel vivo di un
impegno di militante politico ovvero altresi' di operatore sociale che si
prende cura delle persone concrete nelle concrete vicende - il proprio
marxismo critico e antitotalitario, e nel suo esser amico della nonviolenza
Rosa Luxemburg ed Hannah Arendt, Simone Weil e Simone de Beauvoir, Virginia
Woolf e Rigoberta Menchu', Luce Fabbri e Vandana Shiva contano per molti
versi ancor piu' di Mohandas Gandhi e di Martin Luther King; ad esempio chi
scrive queste righe e' in dissenso con parti non marginali della proposta di
Lev Tolstoj e con parti anche sostanziali di quella di Giuseppe Giovanni
Lanza del Vasto, da cui pure molto ha imparato: la nonviolenza ha molti
volti e molti percorsi.
E sa anche, chi scrive queste righe, che si puo' decidere di diventare
persone amiche della nonviolenza non abbandonando i propri precedenti
pensieri ma proprio approfondendoli e per cosi' dire rigorizzandoli,
pensandoli ancor piu' profondamente.
Per questo si puo' fare la scelta della nonviolenza muovendo dalle piu'
diverse opinioni religiose, filosofiche, politiche: si puo' scegliere la
nonviolenza perche' si e' socialisti, o perche' si e' liberali, o perche' si
e' anarchici, o perche' si e' democratici, o perche' si e' illuministi, o
perche' si e' legati alla tradizione; perche' si privilegia l'individuo, o
perche' si privilegia la comunita', per le ragioni della giustizia, o per le
ragioni della liberta' (o anche per l'intreccio - sempre mobile, sempre
plurale - di giustizia e liberta'); o anche perche' si e' buddisti, o
perche' si aderisce all'ebraismo, o al cristianesimo, o al'lislam, o ad
altre fedi ancora, o perche' si ha un visione materialistica del mondo. E
tutto questo ci pare sia un bene, la nonviolenza e' anche, appunto,
"convivialita' delle differenze".
*
Il convegno pisano puo' costituire una buona opportunita' di incontro e di
dialogo, di franca, fraterna e sororale discussione. Ovviamente da solo non
basta. Gia' e' previsto e in preparazione dopo di esso un altro incontro di
riflessione - promosso da un assai tempestivo e opportuno appello di Mao
Valpiana e sul quale stanno gia' ragionando e lavorando vari amici del
Movimento Nonviolento - specificamente sulle proposte per una politica
nonviolenta, che sviluppi e precisi la riflessione avviata nell'incontro
fiorentino dello scorso maggio (e prosegua il percorso di cui una tappa
essenziale e per cosi' dire suscitatrice e' stata la marcia Perugia-Assisi
specifica per la nonviolenza del 2000).
Ci pare sia giunto da tempo il momento che la nonviolenza esca da ogni
subalternita' (era giunto gia' alla fine degli anno '70 del secolo scorso,
in verita'; ed anzi - per dirla tutta - Aldo Capitini lo aveva capito con
straordinaria preveggenza ancor prima quando fondo' il Movimento Nonviolento
come sviluppo delle precedenti esperienze affinche' fosse riferimento e
fomite, "centro" della politica della nonviolenza che avvertiva ormai come
una ineludibile necessita' storica - e cosi' gia' Gandhi dopo Hiroshima).
E ci pare sia giunto da tempo il momento che la nonviolenza esca da ogni
ambiguita': sappia essere davvero "aggiunta" specifica ed insieme
chiarificazione e rottura necessaria - poiche' solo nella rottura si da'
ricomposizione, e solo nella resistenza al male si costruisce il bene, e
solo nell'opporsi alla menzogna si istituisce verita', e solo salvando le
vite si impedisce che siano distrutte: il pacifismo parastatale e
carrierista e quello militarista e totalitario hanno fallito e non potevano
non fallire giunti alla prova: solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

3. ESEMPI. GIANCARLO GAETA: CRONOLOGIA DELLA VITA DI SIMONE WEIL
[Riproponiamo la seguente breve scheda che abbiamo ripreso dal bel libro di
Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Firenze) 1992, pp. 175-180.
Giancarlo Gaeta e' docente di storia delle religioni all'Universita' di
Firenze, ha curato l'edizione italiana dei Quaderni di Simone Weil ed e'
forse il piu' profondo studioso italiano della grande pensatrice. Tra le
opere di Giancarlo Gaeta: Introduzione storica al Nuovo Testamento,
Queriniana, Brescia 1977; Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S.
Domenico di Fiesole (Firenze) 1992; (con Carta Bettinelli, Alessandro Dal
Lago), Vite attive. Simone Weil, Edith Stein, Hannah Arendt, Edizioni
Lavoro, Roma 1996; Religione del nostro tempo, Edizioni e/o, Roma 1999.
Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa,
militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria,
operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti,
lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a
lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione,
sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna
come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della
Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]

1909-1930. Il 3 febbraio 1909 nasce a Parigi Simone Adolphine Weil,
secondogenita di Salomea Reinherz e Bernard Weil, medico, entrambi di
origine ebraica. Nel '14 il dottor Weil e' mobilitato come ufficiale medico,
la famiglia lo segue con grandi sacrifici nei suoi spostamenti fino alla
fine della guerra; ne risente anche l'istruzione di Simone e di suo fratello
Andre'. Nel '19 inizia studi regolari al liceo Fenelon. Gia' a dieci anni
manifesta una forte sensibilita' sociale; si dichiara bolscevica, si sente
vicina ai gruppi rivoluzionari, prova vergogna per il trattato di Versailles
in cui vede la volonta' di umiliare il nemico vinto. A tredici anni,
convinta di essere intellettualmente poco dotata, cade in una disperazione
senza fondo; pensa seriamente al suicidio. Dal 1924 segue gli studi
superiori, prima al liceo Victor Duruy, dove insegna il filosofo La Senne,
poi al liceo Henry IV per preparare l'ammissione alla Normale; qui frequenta
i corsi di Alain (Emile Auguste Chartier), sotto la cui guida scrive e
pubblica i primi saggi filosofici. Ammessa alla Normale ottiene il diploma
di studi superiori sostenendo una tesi su Scienza e percezione in Descartes.
*
1931-1936. Le viene assegnata la cattedra di filosofia al liceo femminile di
Le Puy, nella regione della Loira. Qui inizia un'intensa attivita' sindacale
e partecipa all'organizzazione di corsi serali per i minatori. Conosce il
sindacalista Urbain Thevenon e attraverso di lui significative figure del
sindacalismo rivoluzionario, in particolare Boris Souvarine. Nell'agosto del
'32 si reca a Berlino per informarsi direttamente degli sviluppi della crisi
tedesca; al ritorno scrive un lungo reportage pubblicato a puntate sulle
riviste del sindacalismo. Per l'anno scolastico 1932-'33 e' trasferita al
liceo femminile di Auxerre. Nell'estate del '33 pubblica il saggio
Prospettive. Andiamo verso la rivoluzione proletaria? Simone vi
approfondisce la riflessione dell'ultimo anno sul fallimento della
rivoluzione russa, sulla disfatta del movimento operaio in Germania e sulle
impotenze del movimento operaio francese. Per l'anno scolastico 1933-'34 e'
trasferita a Roanne. L'impegno sindacale e la riflessione critica sono
sempre molto intensi. Nel '34 scrive le Riflessioni sulle cause della
liberta' e dell'oppressione sociale, il suo sforzo massimo per organizzare e
approfondire l'insieme della sua riflessione sociale. Messasi in congedo
dalla scuola per "studi personali", nell'autunno Simone inizia la ricerca di
un posto di lavoro in fabbrica. Viene assunta, grazie all'interessamento
dell'amico Souvarine, il 4 dicembre '34 alle officine Alsthom di Parigi, e
piu' tardi alla Renault dove resta fino al giugno del '35. A documentare
questa durissima esperienza ci resta il suo Diario di fabbrica. Trasferita a
Bourges per il nuovo anno scolastico, Simone cerca di farsi mediatrice tra
operai e padronato nel tentativo di rappresentare concretamente a questi
ultimi i problemi dei primi e indurli a migliorarne le condizioni di lavoro.
Ma il tentativo si interrompe allo scoppio del grande sciopero del giugno
1936 dopo la vittoria del Fronte Popolare, che essa vive con intensa
partecipazione. Allo scoppio della guerra civile in Spagna, Simone avverte
l'impossibilita' a restarne fuori. L'8 agosto passa la frontiera come
corrispondente di guerra e raggiunge sull'Ebro la colonna internazionale
comandata dall'anarchico Durruti. Partecipa a due missioni; ma il 19 si
brucia un piede con l'olio bollente ed e' costretta ad abbandonare il
fronte. Anche di questa esperienza ci e' rimasto un breve, intenso diario.
*
1937-1939. Debilitata nel fisico e sofferente di acuti mal di testa, nel
marzo del '37 e' costretta a interrompere l'insegnamento per sottoporsi a
cure in Svizzera. In aprile parte per un lungo viaggio in Italia; visita
Milano, Firenze, Roma; sono settimane di grande serenita' e di profonde
emozioni; sente rinascere in lei la vocazione per la poesia rimossa dai
tempi dell'adolescenza. Riprende l'insegnamento nella nuova sede di
Saint-Quintin, ma a meta' gennaio del '38, torturata dal mal di testa, e'
costretta a chiedere un nuovo congedo; non riprendera' piu' l'insegnamento.
Amareggiata dal crescente processo di burocratizzazione del sindacato e
dall'uso strumentale che ne fa il Partito comunista, Simone concentra la sua
attenzione sulla politica internazionale e sul problema del colonialismo;
pubblica diversi saggi in cui manifesta con forza l'esigenza di preservare
l'Europa dalla guerra anche a costo di subire l'egemonia politica della
Germania. Ma ritiene anche che ci si debba preparare alla guerra con metodi
nuovi, decentralizzando la vita politica, economica, sociale e la stessa
resistenza armata, imponendo al nemico una guerra senza fronti sul modello
della guerriglia. Alle origini dell'hitlerismo dedichera' nel corso del '39
uno studio profondo quanto sorprendente per impostazione e metodo. Per la
Pasqua del '38 decide di seguire la liturgia della settimana santa
all'abbazia benedettina di Solesmes, nota per la maestria nell'esecuzione
del canto gregoriano. In maggio organizza un secondo viaggio in Italia, dove
visita Firenze e Venezia. La vita di Simone subisce una svolta decisiva
verso la fine dell'anno. Un evento interiore del tutto imprevisto in cui si
sente presa dal Cristo. Sotto l'impulso di questa esperienza si immerge in
una intensa lettura dei classici greci, della Bibbia, degli scritti
dell'antico Egitto e dei manichei. E riesce ora a realizzare un suo vecchio
progetto, quello di uno studio del contenuto politico e umano dell'Iliade;
ne nasce un saggio, L'Iliade o il poema della forza, molto originale nelle
traduzioni e del tutto nuovo nell'interpretazione.
*
1940-1943. Il 10 maggio 1940 le truppe tedesche iniziano l'offensiva ad
ovest. Il 13 giugno, vigilia dell'ingresso dei tedeschi a Parigi, Simone si
decide ad abbandonare la citta' insieme  ai suoi genitori per sottrarli al
pericolo razzista. Passano nella zona libera, dapprima a Tolosa quindi a
Marsiglia da dove sperano di poter abbandonare la Francia. Il progetto di
Simone e' di consentire ai genitori di raggiungere al piu' presto il figlio
in America, per potersi poi unire alla Resistenza francese. Il soggiorno
marsigliese si prolunghera' invece fino al maggio del '42, e sara' per
Simone un periodo felice, di grande attivita' intellettuale, di intensi
scambi umani. Qui riempe gran parte dei suoi Quaderni e scrive i grandi
testi della sua riflessione filosofico-religiosa; qui fa amicizie
importanti: padre Perrin, Gustave Thibon, Joe Bousquet; e trova anche tempo
per dedicarsi allo studio del sanscrito e ai lavori agricoli come
vendemmiatrice. Il 14 maggio 1942 i Weil s'imbarcano per Casablanca e di
qui, all'inizio di giugno, per New York. Negli Stati Uniti Simone vive
quattro mesi di estenuanti trattative prima di essere assunta nelle file di
"France Combattante", l'organizzazione della Resistenza francese in esilio,
e potersi cosi' imbarcare per l'Inghilterra. Trova peraltro la
concentrazione sufficiente per riempire ancora alcuni quaderni e scrivere la
Lettera a un religioso. A Londra giunge il 25 novembre e viene assunta come
redattrice addetta ai servizi civili. Suo compito e' esaminare i documenti
di carattere politico provenienti dalla Francia occupata, elaborati dai
Comitati affiliati ai movimenti della Resistenza in vista della
riorganizzazione del paese dopo la guerra. Un compito che Simone svolge con
pena perche' vede frustrata la sua richiesta di essere inviata sul
territorio francese con compiti operativi. Scrive tuttavia una grande
quantita' di saggi, tra i quali spiccano La persona e il sacro e La prima
radice. Colpita probabilmente gia' da tempo dalla tubercolosi, il 15 aprile
del '43 Simone fu trovata svenuta sul pavimento della sua camera e
ricoverata in ospedale. La diagnosi lascia all'inizio buone speranze di
guarigione, ma il rifiuto di Simone a nutrirsi sufficientemente aggrava il
suo stato. Il 17 agosto e' trasportata al Grosvenor Sanatorium di Ashford
nel Kent, dove muore il 24 agosto sera.

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: "PARENTS' CIRCLE", IL DOLORE SAPIENTE PER
FORARE LA BARRIERA DEL CONFLITTO
[il seguente testo di Enrico Peyretti venne preparato per la tavola rotonda
indetta dal Centro interatenei di studi per la pace, nell'aula magna
dell'Universita' di Torino il 12 maggio 2004, per accogliere i
rappresentanti israeliani e palestinesi del Parents' Circle (l'associazione
di genitori dei due popoli israeliano e palestinese, che hanno avuto
familiari vittime della violenza nel conflitto Israelo-palestinese, e
lavorano insieme per la pace e riconciliazione) in visita a Torino. Enrico
Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) (1935) e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri della cultura e
dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e
filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il
mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore
per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede
dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato
scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita'
piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha",
edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la
Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale
della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005;
Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa
Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a
stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio
nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la
traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo
foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche
nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

Anche oggi dobbiamo dire la stessa cosa che diceva Hannah Arendt, nel 1948
(1), cioe' che l'unica strada percorribile per la soluzione del conflitto
arabo-ebraico era fare appello "a quegli ebrei e a quegli arabi che sono
attualmente isolati a causa della loro provata fede nella cooperazione
arabo-ebraica, e chiedere loro di accordarsi per una tregua... Una simile
tregua, o meglio un simile accordo preliminare - stipulato anche tra gruppi
non accreditati - mostrerebbe agli ebrei e agli arabi che questo si puo'
fare".
Scrive Angela Dogliotti Marasso, studiosa e operatrice di educazione alla
pace: "E' ormai molto ampia anche la documentazione delle esperienze che dal
basso cercano di infrangere i confini della diffidenza, dell'odio e della
vendetta, impegnandosi per una pace sostenibile, fondata sul reciproco
riconoscimento e su passi concreti di ricomposizione del conflitto e di
riconciliazione, anche se il deteriorarsi della situazione negli ultimi
tempi ha contribuito a rendere questo conflitto sempre piu' drammatico e
tale da interpellare profondamente la comunita' internazionale e le sue
istituzioni" (2).
Sami Adwan palestinese e Dan Bar-On israeliano sono due ricercatori per la
pace che collaborano tra loro da vari anni (hanno per questo ricevuto anche
il premio Langer nel 2001) e hanno insieme elaborato una metodologia di
lavoro per affrontare le ferite profonde provocate dai conflitti cosiddetti
"intrattabili", attraverso il racconto di storie di vita fatte in gruppi
misti, in particolari condizioni. Essi indicano nel lavoro di Trt (To
Reflect and Trust), "working through", il faticoso processo di elaborazione
di un trauma, processo che ha il suo cardine nell'attraversare il conflitto
e nel saper gestire la sofferenza che accompagna il trauma subito. Perche'
sia possibile la riconciliazione e' necessario infatti passare attraverso il
dolore e il dramma degli eventi passati e i gruppi di incontro tra persone
appartenenti a parti avverse possono essere uno strumento per raggiungere
questo scopo, insieme ad atti simbolici di pubblico riconoscimento e
riconciliazione (3).
*
Il gruppo Parents' Circle e' una eminente esperienza di questo tipo,
all'interno di un conflitto che studiosi come Galtung e Patfoort
definirebbero appunto tecnicamente "intrattabile". Le famiglie di questo
gruppo sono accomunate, attraversando la barriera del conflitto, dal diritto
alla pace e alla vita che viene in loro rafforzato dal dolore della perdita
di un familiare. Queste famiglie hanno preso coscienza della loro condizione
oggettivamente uguale, trasformandola in atteggiamento attivo di ascolto,
dialogo, iniziativa sul conflitto stesso che le ha coinvolte, colpite,
ferite. Esse elaborano, trasformano, "trattano" un conflitto che si presenta
inizialmente come "intrattabile" per il grado di tensione e per
l'opposizione delle memorie. Queste famiglie non accettano e non si
rassegnano alla "intrattabilita'", alla insolubilita' del conflitto.
L'esperienza di Parents' Circle richiama Etty Hillesum, la giovane ebrea
olandese, esempio tra i piu' alti di "resistenza esistenziale", della quale
e' stato detto: "Nessuna vittima, nel Novecento, era riuscita a trasformare
cosi' il dolore in forza, il comprensibile odio in indignazione e persino in
compassione" (4).
Gli studiosi della trasformazione costruttiva del conflitto indicano
l'importanza della "terza parte esterna" ai contendenti e del ruolo che
questa puo' svolgere. Queste famiglie israeliane e palestinesi sono una
"terza parte interna" ai loro due popoli in conflitto politico. Il loro
ruolo appare dunque di singolare significato simbolico e potenzialmente
produttivo (5).
*
Jean-Marie Muller scrive: "Una mediazione puo' essere avviata solo se l'uno
e l'altro dei due avversari accettano di coinvolgersi volontariamente in
questo processo di conciliazione... La mediazione non si preoccupa tanto di
giudicare un fatto passato - cio' che fa l'istituzione giudiziaria - quanto
di basarsi su di esso per superarlo e permettere agli avversari di ieri di
inventare un avvenire libero dal peso del loro passato... Il postulato piu'
importante su cui si fonda la mediazione e' che la risoluzione di un
conflitto deve essere soprattutto l'opera dei protagonisti stessi" (6).
Il decano dei peace researchers, Johan Galtung, nel capitolo "Interventi nel
conflitto", entro la sua opera piu' sistematica (7), afferma che, prima
della trasformazione del conflitto dialogica, per opera della mediazione
esterna, e' necessaria una fase di trasformazione del conflitto autonoma, in
cui le parti si rendono pronte in modo autonomo. Prima del dialogo esterno,
nello spazio sociale, occorre il dialogo interno, nello spazio persona.
Questa e' la meditazione, premessa necessaria alla mediazione (8).
Nel caso di questa associazione di famiglie colpite da lutti inflitti dal
conflitto violento, il primo mediatore, attivo nel dialogo interno, nella
meditazione, e' il dolore sapiente, intelligente, compassionevole, che ama
la vita, che non si lascia irretire in spirali di morte. Non e' positivo il
dolore, ma e' positiva la capacita' personale e culturale di non farsi
opprimere dal dolore al punto da venire assoggettati all'azione e ai disegni
di chi lo infligge. E' grandemente positivo saper trovare nel proprio dolore
la capacita' di capire il dolore dell'altro. E' positiva la capacita' di
fare scaturire dal dolore il bisogno di vita, di gioia, di pace. Una simile
reazione positiva e' il vero onore reso alle vittime della violenza, che le
riscatta dall'offesa. Queste risorse interiori, psicologiche e spirituali,
sono autentici forti fondamentali fattori della strategia di pace. La
violenza calcola di dividere e dominare infliggendo dolori personali,
intimi, che dovrebbero esaurire interiormente i colpiti; la spiritualita'
costruttiva e pacifica rovescia questo calcolo nella solidarieta' aperta e
sociale, che attraversa i muri e fonda una unita' superiore.
*
Per Pat Patfoort c'e' violenza, ingiustizia, quando tra due soggetti e'
imposta una relazione "M-m", Maggiore-minore. Questa situazione innesca
dinamiche violente, in piu' direzioni, a meno che non venga attivamente
trasformata in una relazione "E-E", di equi-valenza, di affermazione
dell'uguale valore dei soggetti (9). Il dolore e l'offesa vorrebbero imporre
una condizione insuperabile di minorita' e dipendenza, di deprivazione
interiore fino alla soggezione. La coscienza personale della propria
dignita' mai distrutta, sostanzialmente inviolabile dall'offesa, e' la
tutela piu' forte e profonda contro la diminuzione che la violenza tenta di
infliggere.
Nella esperienza forte e promettente di Parents' Circle io penso di
riconoscere queste profonde dinamiche di pace. Ogni cercatore di pace sente
per queste famiglie una grande lieta sperante riconoscenza.
*
Note
1. Hannah Arendt, Salvare la patria ebraica. C'e' ancora tempo, in Eadem,
Ebraismo e modernita', Milano Unicopli, 1986, ristampato da Feltrinelli,
Milano IV edizione 2001, p. 170. La citazione e' di Angela Dogliotti Marasso
nell'articolo "Percorsi di pace in Israele-Palestina: alcune esperienze e
riflessioni", nel n. 5, Nonviolenza per Gerusalemme, giugno 2004, p. 175,
della rivista scientifica "Quaderni Satyagraha, Il metodo nonviolento per
trascendere i conflitti e costruire la pace", Edizioni Plus, Universita' di
Pisa.
2. Angela Dogliotti Marasso, articolo citato.
3. Cfr ancora l'articolo citato.
4. Nadia Neri, Un'estrema compassione. Etty Hillesum testimone e vittima del
Lager, Bruno Mondadori, Milano 1999, quarta di copertina.
5. Emanuele Arielli, Giovanni Scotto, I conflitti. Introduzione a una teoria
generale, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 190-197. Una edizione ampiamente
rivista e' uscita presso lo stesso editore nel 2003 col titolo Conflitti e
mediazione.
6. Jean-Marie Muller, Le principe de non-violence. Parcours philosophique,
Desclee de Brouwer, Paris 1995, pp. 189, 189-190, 190. La traduzione
italiana e' annunciata per l'ottobre 2004 presso le edizioni Plus
dell'Universita' di Pisa [e' poi stata pubblicata come Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (a cura di Enrico Peyretti) - ndr].
7. Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia edizioni, Milano 2000,
pp. 189-207; traduzione di Momi Zanda dall'opera originale Peace by Peaceful
Means: Peace and Conflict, Development and Civilization, Sage Publications -
Thousand Oaks, London - New Delhi 1996.
8. Joahn Galtung, op. cit., p. 196.
9. Pat Patfoort, Costruire la nonviolenza. Per una pedagogia dei conflitti,
Edizioni La Meridiana, Molfetta (Bari) 2000. Mi avvalgo inoltre di appunti
personali e di dattiloscritti che raccolgono lezioni e seminari della
Patfoort.

5. LIBRI. MARIO PEZZELLA PRESENTA "PSICANALISI E POLITICA" DI HERBERT
MARCUSE
[Dal quotidiano "Liberazione" del 7 luglio 2006.
Mario Pezzella, docente universitario di estetica, studi filosofici a Pisa e
a Parigi, ha curato l'edizione italiana di testi di Bachofen e su Jung,
organizzato seminari e convegni di studio, ha collaborato con Remo Bodei
nella progettazione della collana "Il lessico dell'estetica" presso
l'editore "ll Mulino" ed e' redattore della rivista "Iride" e direttore
responsabile della rivista "Controtempo".
Herbert Marcuse, filosofo, nato a Berlino nel 1898, fa parte della scuola di
Francoforte; costretto all'esilio dal nazismo, si trasferisce in America;
sara' uno dei punti di riferimento della contestazione studentesca e dei
movimenti di liberazione degli anni '60 e '70. Muore nel 1979. Opere di
Herbert Marcuse: segnaliamo almeno Ragione e rivoluzione, Il Mulino; Eros e
civilta', Einaudi; Il marxismo sovietico; L'uomo a una dimensione, Einaudi;
Saggio sulla liberazione, Einaudi. Opere su Herbert Marcuse: oltre le note
monografie di Perlini e di Habermas, cfr. Hauke Brunkhorst, Gertrud Koch,
Herbert Marcuse, Erre Emme, Roma 1989; cfr. inoltre gli studi complessivi e
le monografie introduttive sulla scuola di Francoforte di Assoun (Lucarini),
Bedeschi (Laterza), Jay (Einaudi), Rusconi (Il Mulino), Therborn (Laterza),
Zima (Rizzoli)]

Quale rapporto esiste fra le trasformazioni economiche e politiche di una
societa' e la vita psichica profonda degli individui che la compongono? In
che modo il desiderio di felicita', i sogni dell'Eros, lo smarrimento di
se', contribuiscono a costruire rapporti di dominio e tentativi di
liberazione? A partire dalla pubblicazione degli studi sull'autorita' e la
famiglia a cura di Horkheimer nel 1936, alcuni autori della Scuola di
Francoforte hanno cercato di rispondere a queste domande, trovando un punto
d'incontro fra la critica marxiana e il pensiero di Freud.
Particolarmente interessante al proposito e' il saggio "Obsolescenza della
psicanalisi", contenuto in Psicanalisi e politica (Manifestolibri, pp.128,
euro 15), un volume a cura di Roberto Finelli, che raccoglie diversi saggi
di Herbert Marcuse. Rispetto alla descrizione freudiana del complesso di
Edipo, dobbiamo - secondo Marcuse - prendere atto della scomparsa e
dell'indebolimento della figura paterna all'interno della famiglia: la crisi
della sua autorita' tradizionale modifica i processi di formazione della
soggettivita'. Non piu' costretto a conquistare la propria individuazione
differenziandosi dal padre, il figlio della societa' dei consumi e'
apparentemente sgravato da ogni conflitto e dipendenza personale.
Cio' non vuol dire pero' che sia scomparsa ogni forma di dominio.
L'autorita' e' ora immediatamente collettiva, trasmessa dagli organi
omologati della societa' delle merci. L'Io che non si differenzia attraverso
il conflitto col padre, trova un immediato modello identitario nell'ideale
del gruppo, rischiando la regressione verso gli stadi preedipici della
personalita'. All'identificazione con istanze collettive si accompagna una
desublimazione della morale sessuale, che solo apparentemente porta maggiore
liberta'.
*
Inizialmente, Marcuse intende Eros come un principio immediatamente
liberatorio. Eros e' l'antitesi positiva all'educazione repressiva, la quale
concentra la sessualita' in senso genitale e devia le energie libidiche
dell'uomo verso il lavoro. Se prima questo sacrificio era reso necessario
dallo strapotere della natura, con le conquiste della tecnica e lo sviluppo
delle forze produttive e' divenuto superfluo. Eros potrebbe recuperare la
sua potenza polimorfa in rapporti umani fondati sul gioco e sul dono, e non
sul potere.
D'altra parte, soprattutto negli ultimi scritti, Marcuse distingue Eros e
sessualita'; la desublimazione della sessualita', invece che condurre a una
societa' liberata, permette di intensificare il consumo e la fascinazione
delle merci. Il desiderio e' deviato sui surrogati immaginari forniti
dall'industria culturale e diviene un ulteriore strumento di controllo e
deprivazione dell'autonomia individuale.
"Il sorgere e la mobilitazione delle masse produce un dominio autoritario in
forma democratica", afferma Marcuse. Nella sua forma attuale, un simile
regime deve continuamente intensificare e rinnovare i consumi e le immagini
di merce, perche' e' in realta' esposto a un'angoscia costante e profonda.
Liberata dai legami affettivi col padre e da ogni riferimento alla morale o
all'autorita', la debole personalita' narcisista resta vittima di una
aggressivita' inconsapevole, che puo' essere dirottata secondo gli interessi
delle classi dominanti, ma anche portare a un dissolvimento del gruppo.
Partito dalla critica dell'autorita' repressiva, Marcuse giunge a una
visione dialettica piu' complessa, in cui la scomparsa degli interdetti
tradizionali puo' trasformarsi in una rivalutazione del pensiero negativo e
della negativita' in genere, esplicitata in particolar modo nella seconda
parte de L'uomo a una dimensione (non basta rivalutare Eros contro Thanatos
ma riapproriarsi in chiave politica e rivoluzionaria della forza negatrice
per rivolgerla contro l'orientamento impresso dal dominio alla storia).
Il modello freudiano, che a suo modo insisteva sull'autonomia e la forza
differenziante dell'individuo, viene cosi' salvato dall'obsolescenza. Il
dialogo paritario con l'altro e con la sua differenza puo' acquisire una
forma di decisionalita' e autorevolezza, capace di sostituire il padre
scomparso e di non dissolversi nella Grande Madre preedipica della societa'
dei consumi.
*
La fraternita' e' l'idea rivoluzionaria che ritorna piu' spesso in queste
pagine di Marcuse, anche se essa stessa non e' esente da rischi. Esisterebbe
cioe' una dinamica che dall'interno induce gli individui a negare una
possibile liberazione e a ricostruire rapporti asimmetrici di signoria e
servitu'. In questo senso ha ragione Finelli quando, respingendo ogni facile
utopismo, attira l'attenzione sulla natura "bina e ambivalente
dell'affettivita' umana, di cui l'invidia e l'aggressivita' verso l'altro
fanno parte", non meno del desiderio di riconoscimento paritario e di
liberazione dell'Eros. E' nello spazio di questo conflitto sempre aperto tra
relazione di signoria e di fraternita', che si iscrive lo spazio mai deciso
una volta per tutte della politica e della formazione psichica che
indissolubilmente lo accompagna.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1365 del 23 luglio 2006

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