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La nonviolenza e' in cammino. 1365
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1365
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 23 Jul 2006 00:28:44 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1365 del 23 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. L'opposizione integrale alla guerra 2. Severino Vardacampi: Un centenario a Pisa e dieci note 3. Giancarlo Gaeta: Cronologia della vita di Simone Weil 4. Enrico Peyretti: "Parents' Circle", il dolore sapiente per forare la barriera del conflitto 5. Mario Pezzella presenta "Psicanalisi e politica" di Herbert Marcuse 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. L'OPPOSIZIONE INTEGRALE ALLA GUERRA Ogni giorno questo foglio riproduce come penultimo testo che propone alla riflessione la "carta" del Movimento Nonvolento stesa da Aldo Capitini oltre quarant'anni fa. Come tutte le cose ripetute dopo un po' nessuno la legge piu'. E allora forse non sara' inutile oggi commettere una ineleganza e chiedere una gentilezza. L'ineleganza di riprodurla qui in apertura, la gentilezza di leggerla come se fosse una lettera che una persona buona ha inviato proprio a te proprio adesso. * "Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli". 2. ANNIVERSARI. SEVERINO VARDACAMPI: UN CENTENARIO A PISA E DIECI NOTE Nel centenario della nascita del satyagraha - la proposta gandhiana di lotta contro la violenza con la forza della verita' -, la bella rivista "Quaderni satyagraha" e il benemerito Centro Gandhi di Pisa promuovono un convegno, appunto a Pisa, dall'8 all'11 settembre 2006. Gli anniversari talvolta sono utili occasioni di bilancio e di rilancio di idee e iniziative. E il cielo sa quanto vi sia bisogno di una piu' profonda e piu' vasta e adeguata ricezione, comprensione e scelta della nonviolenza. Soprattutto in un momento come questo in cui grande e' la confusione delle lingue, ed anche cio' che avrebbe dovuto essere certo viene revocato in dubbio (ad esempio la distinzione tra la guerra e la pace, tra l'uccidere e il salvare, tra commettere il male e compiere il bene, tra violenza e nonviolenza). Ed anche chi come il sottoscritto non partecipera' al convegno pisano, al quale spera che molte e molti intervengano, ed ai cui organizzatori augura ogni bene, si sente sollecitato a proporre qualche sparsa, breve riflessione. E proponendole da un foglio volante le scrivera' con la leggerezza cui e' mestieri attenersi se letti esser si vuole. * 1. La nonviolenza ovviamente non nasce con Gandhi, e sebbene di essa Gandhi sia una delle figure piu' esemplari ed uno degli artefici maggiori, essa ha fatto le sue prove e dato i suoi frutti in esperienze anche molto lontane da quelle alla tradizione piu' propriamente gandhiana ascrivibili. * 2. La nonviolenza non e' un canone di autori, e men che mai una galleria di autorita' o un reperorio di precetti; e' invece - a noi pare - vasto e complesso un insieme di insiemi. Di vicende storiche. Di proposte epistemologiche, assiologiche, metodologiche, deliberative, operative, valutative. Di progetti sociali e politici. Di esperienze e di riflessioni, di testimonianze personali e di processi sociali, di movimenti di trasformazione, di pratiche istituzionali, di obiezioni e di codificazioni, di percorsi rivoluzionari e di lente, caute riforme e reintegrazioni. Di ricerca interiore, di pratiche relazionali tra soggetti esistenziali e storici, di negoziati tra persone giuridiche, di appercezione del mondo e di dinamiche di convivenza. Trovi tracce della nonviolenza in antichi testi sapienziali e nelle moderne costituzioni, e puo' capitare che le trovi dove meno te le aspetti, e viceversa le vedi talora dileguarsi dove pur pensavi di trovarle. La nonviolenza e' anche un atteggiamento di meraviglia e di sobrieta', un saper dire di si' e un saper dire di no. E di queste molteplici dimensioni della nonviolenza hic et nunc ci preme mettere in particolare evidenza la sua dimensione giuriscostituente: ovvero il fatto che essa sia fondativa e inveratrice di diritto, principio di organizzazione della societa', scelta generativa di strumenti legislativi e finanche di ordinamenti giuridici: politica in senso forte, politeia in senso pieno; ci pare essere questa una decisiva sfida attuale, ineludibile uno dei compiti dell'ora. * 3. Ma la nonviolenza e' in primo luogo ed essenzialmente questo: lotta contro la violenza; lotta sia contro la violenza dispiegata e flagrante, sia contro quella cristallizzatasi in strutture e culture, in modi di produzione e ordinamenti. La nonviolenza si da' solo nella lotta contro la violenza; fuori dalla concretezza - e quindi anche della contestualita' - di questa lotta, nonviolenza non si da'. Poiche' la nonviolenza, che e' riconoscimento di umanita' e amore per il mondo, tale riconoscimento invera e tale amore dispiega nella concreta lotta contro cio' che umanita' denega e il mondo devasta. * 4. I movimenti storici di lungo periodo che in eta' moderna piu' e meglio hanno inverato e per cosi' dire non solo ampiamente sperimentato, ma inventato nelle sue concrete epifanie la nonviolenza, sono l'esperienza storica del movimento dei lavoratori - ovvero degli oppressi dai rapporti di produzione e di proprieta' dati - nelle varie articolazioni della corrente socialista (dal marxismo all'anarchia), e soprattutto il movimento delle donne. Certo vi sono state molte altre esperienze, da fondamentali tradizioni religiose alla migliore ecologia, dal movimento dei diritti civili e antirazzista alle esperienze della psichiatria democratica e della lotta alle istituzioni totali, dalle esperienze di lotta anticoloniale a quelle per un'educazione liberatrice, ma le vicende del movimento operaio e contadino, e le vicende del movimento delle donne, ci sembrano particolarmente preziose e aggettanti. * 5. Il femminismo, a parere di chi scrive, nella sua pluralita' di esperienze e riflessioni, e' l'esperienza storica nonviolenta piu' nitida e piu' coerente, la vera e propria "corrente calda" della nonviolenza in cammino. Della nonviolenza in cammino come pratica di autocoscienza e di liberazione dell'umanita', come scelta di "mettere al mondo il mondo", come "forza dell'amore" operante nel cuore del mondo e della storia, nei luoghi sociali ed esistenziali del produrre e del riprodurre, del preservare e del trasmettere, del soffrire e del generare, dell'incontro e del conflitto, del silenzio ricettivo e del dialogo con le sue intermittenze ed angoscie, dell'etica della cura e della vita activa, e del principio speranza intrecciato al principio disperazione e al principio responsabilita', della nascita nel senso forte arendtiano. * 6. In Italia la nonviolenza grazie ad alcune figure esemplari ed ormai riconosciute (sia operanti in Italia, sia prevalentemente vissute altrove) ma anche grazie a figure non ancora riconosciute nella loro effettuale grandezza (come ad esempio la grande militante e pensatrice anarchica Luce Fabbri, la straordinaria pensatrice e militante della liberazione Franca Ongaro Basaglia) ha sedimentato anche una tradizione specifica. * 7. Ma molti limiti particolarmente penosi questa tradizione specifica della nonviolenza in Italia ha subito. E ad esempio: a) il misconoscimento della caratterizzazione nonviolenta di pratiche ed elaborazioni che sono tali a tutti gli effetti, ma in relazione a cui i soggetti protagonisti esitano ad accogliere il termine nonviolenza per definirle poiche' sovente coloro che pure la nonviolenza concretamente agiscono subiscono il condizionamento di una visione falsa e stereotipata della nonviolenza, che la caricaturizza come vilta' o rassegnazione, quando invece la nonviolenza e' eminentemente lotta, lotta la piu' nitida e la piu' intransigente contro ogni forma di violenza, di ingiustizia, di oppressione, di menzogna; b) per quanto concerne invece i movimenti nonviolenti organizzati (sovente piccoli e fin minuscoli, e segnati talora da ingenuita', rissosita', subalternita') ha pesato assai negativamente l'autoghettizzazione in una marginalita' talora persino introiettata e addirittura rivendicata ed esibita; c) vi e' poi stato il danno provocato dall'uso strumentale e distorsivo da parte di chi riducendo la nonviolenza a repertorio di tecniche ne ha cancellato la dimensione assiologica ed epistemologica (e particolarmente l'esigenza di rigorizzare la relazione tra mezzi e fini), e molto ha contribuito a ridurne la percezione diffusa alla caricatura che tutti sanno; d) ed infine l'uso a mo' di ideologia di ricambio da parte di partiti e correnti di partito che hanno pensato di poterne strumentalizzare il nome per squallide operazioni trasformiste. * 8. Della nonviolenza chi scrive queste righe propone ad un tempo una nozione ampia ed aperta che include nell'alveo della nonviolenza esperienze e riflessioni anche molto diversificate e fin reciprocamente critiche e confliggenti su punti non marginali; ed ovviamente ne propone quindi una nozione pluridimensionale, plurale, contestuale: la nonviolenza non si da' in vitro, ma sempre nell'intreccio e nel conflitto con la violenza cui si oppone, e quindi e' sempre relativa, storicamente situata, culturalmente condizionata. Non si da' mai solo in luce ma sempre necessariamente anche in ombra, non puo' mai presentarsi senza scorie ma sempre in cammino e in ricerca e in conflitto in primo luogo con se stessa. La nonviolenza e' anche la cognizione delle scelte tragiche di cui consiste l'operare nella societa'. Ma insieme chi scrive queste righe propone anche una esigenza di rigorizzazione linguistica e concettuale. Muovendo da una comprensione filologicamente adeguata dei termini e dei concetti di ahimsa e satyagraha si puo' e si deve ricostruire un quadro storico e teoretico che ad un tempo colga l'ampiezza delle esperienze storiche e la varieta' delle pratiche concrete - sempre situate, sempre relative - ma insieme definisca una rete concettuale che non dia luogo ad equivoci, stereotipi e caricature. Ma, ancora una volta, il primato ci sembra che debba essere della prassi: la dimensione conflittuale ed insieme comunicativa, propositiva di alternative relazionali e costruttive nel farsi stesso della lotta contro la violenza e l'ingiustizia, e' il proprium ed il primum della scelta nonviolenta; diciamolo una volta ancora: la nonviolenza e' lotta contro la violenza e la menzogna; al di fuori di questo impegno di lotta essa svanisce. * 9. In Italia oggi si pone il problema dell'uscita della nonviolenza (ovvero delle esperienze nonviolente e delle persone che nella loro pratica concreta reinventano giorno per giorno la nonviolenza) dalla subalternita' nel campo dell'agire politico. Naturalmente non si tratta affatto ne' di fare un partito in piu', ne' di fondare una corrente rivoluzionaria o riformatrice "entrista" o "separatista"; non si tratta di creare nuove sigle o di ripercorrere strade gia' rivelatesi fallimentari (intergruppi, proclami, propagandismo): si tratta piuttosto di porre all'ordine del giorno per tutte le persone di volonta' buona la scelta della nonviolenza come alternativa, hic et nunc, al disordine costituito, alla catastrofe (bellica, sociale, ambientale) incombente. * 10. Pluralita' e apertura devono caratterizzare questa nostra conricerca, sapendo che ogni persona che alla nonviolenza si accosta lo fa a partire da un suo percorso originale, e che ogni persona che alla nonviolenza si accosta la invera in modo peculiare: la nonviolenza e' anche uno straordinario campo di ricerca, di creazione, e di dialogo, e di incontro. Non e' fusionale, ama le convergenze ma anche le distinzioni, promuove autonomia non unanimismi, unita' non totalitarismo. Ad esempio chi scrive queste righe si e' accostato alla nonviolenza svolgendo e approfondendo - "al fuoco della controversia" e nel vivo di un impegno di militante politico ovvero altresi' di operatore sociale che si prende cura delle persone concrete nelle concrete vicende - il proprio marxismo critico e antitotalitario, e nel suo esser amico della nonviolenza Rosa Luxemburg ed Hannah Arendt, Simone Weil e Simone de Beauvoir, Virginia Woolf e Rigoberta Menchu', Luce Fabbri e Vandana Shiva contano per molti versi ancor piu' di Mohandas Gandhi e di Martin Luther King; ad esempio chi scrive queste righe e' in dissenso con parti non marginali della proposta di Lev Tolstoj e con parti anche sostanziali di quella di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, da cui pure molto ha imparato: la nonviolenza ha molti volti e molti percorsi. E sa anche, chi scrive queste righe, che si puo' decidere di diventare persone amiche della nonviolenza non abbandonando i propri precedenti pensieri ma proprio approfondendoli e per cosi' dire rigorizzandoli, pensandoli ancor piu' profondamente. Per questo si puo' fare la scelta della nonviolenza muovendo dalle piu' diverse opinioni religiose, filosofiche, politiche: si puo' scegliere la nonviolenza perche' si e' socialisti, o perche' si e' liberali, o perche' si e' anarchici, o perche' si e' democratici, o perche' si e' illuministi, o perche' si e' legati alla tradizione; perche' si privilegia l'individuo, o perche' si privilegia la comunita', per le ragioni della giustizia, o per le ragioni della liberta' (o anche per l'intreccio - sempre mobile, sempre plurale - di giustizia e liberta'); o anche perche' si e' buddisti, o perche' si aderisce all'ebraismo, o al cristianesimo, o al'lislam, o ad altre fedi ancora, o perche' si ha un visione materialistica del mondo. E tutto questo ci pare sia un bene, la nonviolenza e' anche, appunto, "convivialita' delle differenze". * Il convegno pisano puo' costituire una buona opportunita' di incontro e di dialogo, di franca, fraterna e sororale discussione. Ovviamente da solo non basta. Gia' e' previsto e in preparazione dopo di esso un altro incontro di riflessione - promosso da un assai tempestivo e opportuno appello di Mao Valpiana e sul quale stanno gia' ragionando e lavorando vari amici del Movimento Nonviolento - specificamente sulle proposte per una politica nonviolenta, che sviluppi e precisi la riflessione avviata nell'incontro fiorentino dello scorso maggio (e prosegua il percorso di cui una tappa essenziale e per cosi' dire suscitatrice e' stata la marcia Perugia-Assisi specifica per la nonviolenza del 2000). Ci pare sia giunto da tempo il momento che la nonviolenza esca da ogni subalternita' (era giunto gia' alla fine degli anno '70 del secolo scorso, in verita'; ed anzi - per dirla tutta - Aldo Capitini lo aveva capito con straordinaria preveggenza ancor prima quando fondo' il Movimento Nonviolento come sviluppo delle precedenti esperienze affinche' fosse riferimento e fomite, "centro" della politica della nonviolenza che avvertiva ormai come una ineludibile necessita' storica - e cosi' gia' Gandhi dopo Hiroshima). E ci pare sia giunto da tempo il momento che la nonviolenza esca da ogni ambiguita': sappia essere davvero "aggiunta" specifica ed insieme chiarificazione e rottura necessaria - poiche' solo nella rottura si da' ricomposizione, e solo nella resistenza al male si costruisce il bene, e solo nell'opporsi alla menzogna si istituisce verita', e solo salvando le vite si impedisce che siano distrutte: il pacifismo parastatale e carrierista e quello militarista e totalitario hanno fallito e non potevano non fallire giunti alla prova: solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 3. ESEMPI. GIANCARLO GAETA: CRONOLOGIA DELLA VITA DI SIMONE WEIL [Riproponiamo la seguente breve scheda che abbiamo ripreso dal bel libro di Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Firenze) 1992, pp. 175-180. Giancarlo Gaeta e' docente di storia delle religioni all'Universita' di Firenze, ha curato l'edizione italiana dei Quaderni di Simone Weil ed e' forse il piu' profondo studioso italiano della grande pensatrice. Tra le opere di Giancarlo Gaeta: Introduzione storica al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1977; Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Firenze) 1992; (con Carta Bettinelli, Alessandro Dal Lago), Vite attive. Simone Weil, Edith Stein, Hannah Arendt, Edizioni Lavoro, Roma 1996; Religione del nostro tempo, Edizioni e/o, Roma 1999. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] 1909-1930. Il 3 febbraio 1909 nasce a Parigi Simone Adolphine Weil, secondogenita di Salomea Reinherz e Bernard Weil, medico, entrambi di origine ebraica. Nel '14 il dottor Weil e' mobilitato come ufficiale medico, la famiglia lo segue con grandi sacrifici nei suoi spostamenti fino alla fine della guerra; ne risente anche l'istruzione di Simone e di suo fratello Andre'. Nel '19 inizia studi regolari al liceo Fenelon. Gia' a dieci anni manifesta una forte sensibilita' sociale; si dichiara bolscevica, si sente vicina ai gruppi rivoluzionari, prova vergogna per il trattato di Versailles in cui vede la volonta' di umiliare il nemico vinto. A tredici anni, convinta di essere intellettualmente poco dotata, cade in una disperazione senza fondo; pensa seriamente al suicidio. Dal 1924 segue gli studi superiori, prima al liceo Victor Duruy, dove insegna il filosofo La Senne, poi al liceo Henry IV per preparare l'ammissione alla Normale; qui frequenta i corsi di Alain (Emile Auguste Chartier), sotto la cui guida scrive e pubblica i primi saggi filosofici. Ammessa alla Normale ottiene il diploma di studi superiori sostenendo una tesi su Scienza e percezione in Descartes. * 1931-1936. Le viene assegnata la cattedra di filosofia al liceo femminile di Le Puy, nella regione della Loira. Qui inizia un'intensa attivita' sindacale e partecipa all'organizzazione di corsi serali per i minatori. Conosce il sindacalista Urbain Thevenon e attraverso di lui significative figure del sindacalismo rivoluzionario, in particolare Boris Souvarine. Nell'agosto del '32 si reca a Berlino per informarsi direttamente degli sviluppi della crisi tedesca; al ritorno scrive un lungo reportage pubblicato a puntate sulle riviste del sindacalismo. Per l'anno scolastico 1932-'33 e' trasferita al liceo femminile di Auxerre. Nell'estate del '33 pubblica il saggio Prospettive. Andiamo verso la rivoluzione proletaria? Simone vi approfondisce la riflessione dell'ultimo anno sul fallimento della rivoluzione russa, sulla disfatta del movimento operaio in Germania e sulle impotenze del movimento operaio francese. Per l'anno scolastico 1933-'34 e' trasferita a Roanne. L'impegno sindacale e la riflessione critica sono sempre molto intensi. Nel '34 scrive le Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale, il suo sforzo massimo per organizzare e approfondire l'insieme della sua riflessione sociale. Messasi in congedo dalla scuola per "studi personali", nell'autunno Simone inizia la ricerca di un posto di lavoro in fabbrica. Viene assunta, grazie all'interessamento dell'amico Souvarine, il 4 dicembre '34 alle officine Alsthom di Parigi, e piu' tardi alla Renault dove resta fino al giugno del '35. A documentare questa durissima esperienza ci resta il suo Diario di fabbrica. Trasferita a Bourges per il nuovo anno scolastico, Simone cerca di farsi mediatrice tra operai e padronato nel tentativo di rappresentare concretamente a questi ultimi i problemi dei primi e indurli a migliorarne le condizioni di lavoro. Ma il tentativo si interrompe allo scoppio del grande sciopero del giugno 1936 dopo la vittoria del Fronte Popolare, che essa vive con intensa partecipazione. Allo scoppio della guerra civile in Spagna, Simone avverte l'impossibilita' a restarne fuori. L'8 agosto passa la frontiera come corrispondente di guerra e raggiunge sull'Ebro la colonna internazionale comandata dall'anarchico Durruti. Partecipa a due missioni; ma il 19 si brucia un piede con l'olio bollente ed e' costretta ad abbandonare il fronte. Anche di questa esperienza ci e' rimasto un breve, intenso diario. * 1937-1939. Debilitata nel fisico e sofferente di acuti mal di testa, nel marzo del '37 e' costretta a interrompere l'insegnamento per sottoporsi a cure in Svizzera. In aprile parte per un lungo viaggio in Italia; visita Milano, Firenze, Roma; sono settimane di grande serenita' e di profonde emozioni; sente rinascere in lei la vocazione per la poesia rimossa dai tempi dell'adolescenza. Riprende l'insegnamento nella nuova sede di Saint-Quintin, ma a meta' gennaio del '38, torturata dal mal di testa, e' costretta a chiedere un nuovo congedo; non riprendera' piu' l'insegnamento. Amareggiata dal crescente processo di burocratizzazione del sindacato e dall'uso strumentale che ne fa il Partito comunista, Simone concentra la sua attenzione sulla politica internazionale e sul problema del colonialismo; pubblica diversi saggi in cui manifesta con forza l'esigenza di preservare l'Europa dalla guerra anche a costo di subire l'egemonia politica della Germania. Ma ritiene anche che ci si debba preparare alla guerra con metodi nuovi, decentralizzando la vita politica, economica, sociale e la stessa resistenza armata, imponendo al nemico una guerra senza fronti sul modello della guerriglia. Alle origini dell'hitlerismo dedichera' nel corso del '39 uno studio profondo quanto sorprendente per impostazione e metodo. Per la Pasqua del '38 decide di seguire la liturgia della settimana santa all'abbazia benedettina di Solesmes, nota per la maestria nell'esecuzione del canto gregoriano. In maggio organizza un secondo viaggio in Italia, dove visita Firenze e Venezia. La vita di Simone subisce una svolta decisiva verso la fine dell'anno. Un evento interiore del tutto imprevisto in cui si sente presa dal Cristo. Sotto l'impulso di questa esperienza si immerge in una intensa lettura dei classici greci, della Bibbia, degli scritti dell'antico Egitto e dei manichei. E riesce ora a realizzare un suo vecchio progetto, quello di uno studio del contenuto politico e umano dell'Iliade; ne nasce un saggio, L'Iliade o il poema della forza, molto originale nelle traduzioni e del tutto nuovo nell'interpretazione. * 1940-1943. Il 10 maggio 1940 le truppe tedesche iniziano l'offensiva ad ovest. Il 13 giugno, vigilia dell'ingresso dei tedeschi a Parigi, Simone si decide ad abbandonare la citta' insieme ai suoi genitori per sottrarli al pericolo razzista. Passano nella zona libera, dapprima a Tolosa quindi a Marsiglia da dove sperano di poter abbandonare la Francia. Il progetto di Simone e' di consentire ai genitori di raggiungere al piu' presto il figlio in America, per potersi poi unire alla Resistenza francese. Il soggiorno marsigliese si prolunghera' invece fino al maggio del '42, e sara' per Simone un periodo felice, di grande attivita' intellettuale, di intensi scambi umani. Qui riempe gran parte dei suoi Quaderni e scrive i grandi testi della sua riflessione filosofico-religiosa; qui fa amicizie importanti: padre Perrin, Gustave Thibon, Joe Bousquet; e trova anche tempo per dedicarsi allo studio del sanscrito e ai lavori agricoli come vendemmiatrice. Il 14 maggio 1942 i Weil s'imbarcano per Casablanca e di qui, all'inizio di giugno, per New York. Negli Stati Uniti Simone vive quattro mesi di estenuanti trattative prima di essere assunta nelle file di "France Combattante", l'organizzazione della Resistenza francese in esilio, e potersi cosi' imbarcare per l'Inghilterra. Trova peraltro la concentrazione sufficiente per riempire ancora alcuni quaderni e scrivere la Lettera a un religioso. A Londra giunge il 25 novembre e viene assunta come redattrice addetta ai servizi civili. Suo compito e' esaminare i documenti di carattere politico provenienti dalla Francia occupata, elaborati dai Comitati affiliati ai movimenti della Resistenza in vista della riorganizzazione del paese dopo la guerra. Un compito che Simone svolge con pena perche' vede frustrata la sua richiesta di essere inviata sul territorio francese con compiti operativi. Scrive tuttavia una grande quantita' di saggi, tra i quali spiccano La persona e il sacro e La prima radice. Colpita probabilmente gia' da tempo dalla tubercolosi, il 15 aprile del '43 Simone fu trovata svenuta sul pavimento della sua camera e ricoverata in ospedale. La diagnosi lascia all'inizio buone speranze di guarigione, ma il rifiuto di Simone a nutrirsi sufficientemente aggrava il suo stato. Il 17 agosto e' trasportata al Grosvenor Sanatorium di Ashford nel Kent, dove muore il 24 agosto sera. 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: "PARENTS' CIRCLE", IL DOLORE SAPIENTE PER FORARE LA BARRIERA DEL CONFLITTO [il seguente testo di Enrico Peyretti venne preparato per la tavola rotonda indetta dal Centro interatenei di studi per la pace, nell'aula magna dell'Universita' di Torino il 12 maggio 2004, per accogliere i rappresentanti israeliani e palestinesi del Parents' Circle (l'associazione di genitori dei due popoli israeliano e palestinese, che hanno avuto familiari vittime della violenza nel conflitto Israelo-palestinese, e lavorano insieme per la pace e riconciliazione) in visita a Torino. Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Anche oggi dobbiamo dire la stessa cosa che diceva Hannah Arendt, nel 1948 (1), cioe' che l'unica strada percorribile per la soluzione del conflitto arabo-ebraico era fare appello "a quegli ebrei e a quegli arabi che sono attualmente isolati a causa della loro provata fede nella cooperazione arabo-ebraica, e chiedere loro di accordarsi per una tregua... Una simile tregua, o meglio un simile accordo preliminare - stipulato anche tra gruppi non accreditati - mostrerebbe agli ebrei e agli arabi che questo si puo' fare". Scrive Angela Dogliotti Marasso, studiosa e operatrice di educazione alla pace: "E' ormai molto ampia anche la documentazione delle esperienze che dal basso cercano di infrangere i confini della diffidenza, dell'odio e della vendetta, impegnandosi per una pace sostenibile, fondata sul reciproco riconoscimento e su passi concreti di ricomposizione del conflitto e di riconciliazione, anche se il deteriorarsi della situazione negli ultimi tempi ha contribuito a rendere questo conflitto sempre piu' drammatico e tale da interpellare profondamente la comunita' internazionale e le sue istituzioni" (2). Sami Adwan palestinese e Dan Bar-On israeliano sono due ricercatori per la pace che collaborano tra loro da vari anni (hanno per questo ricevuto anche il premio Langer nel 2001) e hanno insieme elaborato una metodologia di lavoro per affrontare le ferite profonde provocate dai conflitti cosiddetti "intrattabili", attraverso il racconto di storie di vita fatte in gruppi misti, in particolari condizioni. Essi indicano nel lavoro di Trt (To Reflect and Trust), "working through", il faticoso processo di elaborazione di un trauma, processo che ha il suo cardine nell'attraversare il conflitto e nel saper gestire la sofferenza che accompagna il trauma subito. Perche' sia possibile la riconciliazione e' necessario infatti passare attraverso il dolore e il dramma degli eventi passati e i gruppi di incontro tra persone appartenenti a parti avverse possono essere uno strumento per raggiungere questo scopo, insieme ad atti simbolici di pubblico riconoscimento e riconciliazione (3). * Il gruppo Parents' Circle e' una eminente esperienza di questo tipo, all'interno di un conflitto che studiosi come Galtung e Patfoort definirebbero appunto tecnicamente "intrattabile". Le famiglie di questo gruppo sono accomunate, attraversando la barriera del conflitto, dal diritto alla pace e alla vita che viene in loro rafforzato dal dolore della perdita di un familiare. Queste famiglie hanno preso coscienza della loro condizione oggettivamente uguale, trasformandola in atteggiamento attivo di ascolto, dialogo, iniziativa sul conflitto stesso che le ha coinvolte, colpite, ferite. Esse elaborano, trasformano, "trattano" un conflitto che si presenta inizialmente come "intrattabile" per il grado di tensione e per l'opposizione delle memorie. Queste famiglie non accettano e non si rassegnano alla "intrattabilita'", alla insolubilita' del conflitto. L'esperienza di Parents' Circle richiama Etty Hillesum, la giovane ebrea olandese, esempio tra i piu' alti di "resistenza esistenziale", della quale e' stato detto: "Nessuna vittima, nel Novecento, era riuscita a trasformare cosi' il dolore in forza, il comprensibile odio in indignazione e persino in compassione" (4). Gli studiosi della trasformazione costruttiva del conflitto indicano l'importanza della "terza parte esterna" ai contendenti e del ruolo che questa puo' svolgere. Queste famiglie israeliane e palestinesi sono una "terza parte interna" ai loro due popoli in conflitto politico. Il loro ruolo appare dunque di singolare significato simbolico e potenzialmente produttivo (5). * Jean-Marie Muller scrive: "Una mediazione puo' essere avviata solo se l'uno e l'altro dei due avversari accettano di coinvolgersi volontariamente in questo processo di conciliazione... La mediazione non si preoccupa tanto di giudicare un fatto passato - cio' che fa l'istituzione giudiziaria - quanto di basarsi su di esso per superarlo e permettere agli avversari di ieri di inventare un avvenire libero dal peso del loro passato... Il postulato piu' importante su cui si fonda la mediazione e' che la risoluzione di un conflitto deve essere soprattutto l'opera dei protagonisti stessi" (6). Il decano dei peace researchers, Johan Galtung, nel capitolo "Interventi nel conflitto", entro la sua opera piu' sistematica (7), afferma che, prima della trasformazione del conflitto dialogica, per opera della mediazione esterna, e' necessaria una fase di trasformazione del conflitto autonoma, in cui le parti si rendono pronte in modo autonomo. Prima del dialogo esterno, nello spazio sociale, occorre il dialogo interno, nello spazio persona. Questa e' la meditazione, premessa necessaria alla mediazione (8). Nel caso di questa associazione di famiglie colpite da lutti inflitti dal conflitto violento, il primo mediatore, attivo nel dialogo interno, nella meditazione, e' il dolore sapiente, intelligente, compassionevole, che ama la vita, che non si lascia irretire in spirali di morte. Non e' positivo il dolore, ma e' positiva la capacita' personale e culturale di non farsi opprimere dal dolore al punto da venire assoggettati all'azione e ai disegni di chi lo infligge. E' grandemente positivo saper trovare nel proprio dolore la capacita' di capire il dolore dell'altro. E' positiva la capacita' di fare scaturire dal dolore il bisogno di vita, di gioia, di pace. Una simile reazione positiva e' il vero onore reso alle vittime della violenza, che le riscatta dall'offesa. Queste risorse interiori, psicologiche e spirituali, sono autentici forti fondamentali fattori della strategia di pace. La violenza calcola di dividere e dominare infliggendo dolori personali, intimi, che dovrebbero esaurire interiormente i colpiti; la spiritualita' costruttiva e pacifica rovescia questo calcolo nella solidarieta' aperta e sociale, che attraversa i muri e fonda una unita' superiore. * Per Pat Patfoort c'e' violenza, ingiustizia, quando tra due soggetti e' imposta una relazione "M-m", Maggiore-minore. Questa situazione innesca dinamiche violente, in piu' direzioni, a meno che non venga attivamente trasformata in una relazione "E-E", di equi-valenza, di affermazione dell'uguale valore dei soggetti (9). Il dolore e l'offesa vorrebbero imporre una condizione insuperabile di minorita' e dipendenza, di deprivazione interiore fino alla soggezione. La coscienza personale della propria dignita' mai distrutta, sostanzialmente inviolabile dall'offesa, e' la tutela piu' forte e profonda contro la diminuzione che la violenza tenta di infliggere. Nella esperienza forte e promettente di Parents' Circle io penso di riconoscere queste profonde dinamiche di pace. Ogni cercatore di pace sente per queste famiglie una grande lieta sperante riconoscenza. * Note 1. Hannah Arendt, Salvare la patria ebraica. C'e' ancora tempo, in Eadem, Ebraismo e modernita', Milano Unicopli, 1986, ristampato da Feltrinelli, Milano IV edizione 2001, p. 170. La citazione e' di Angela Dogliotti Marasso nell'articolo "Percorsi di pace in Israele-Palestina: alcune esperienze e riflessioni", nel n. 5, Nonviolenza per Gerusalemme, giugno 2004, p. 175, della rivista scientifica "Quaderni Satyagraha, Il metodo nonviolento per trascendere i conflitti e costruire la pace", Edizioni Plus, Universita' di Pisa. 2. Angela Dogliotti Marasso, articolo citato. 3. Cfr ancora l'articolo citato. 4. Nadia Neri, Un'estrema compassione. Etty Hillesum testimone e vittima del Lager, Bruno Mondadori, Milano 1999, quarta di copertina. 5. Emanuele Arielli, Giovanni Scotto, I conflitti. Introduzione a una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 190-197. Una edizione ampiamente rivista e' uscita presso lo stesso editore nel 2003 col titolo Conflitti e mediazione. 6. Jean-Marie Muller, Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995, pp. 189, 189-190, 190. La traduzione italiana e' annunciata per l'ottobre 2004 presso le edizioni Plus dell'Universita' di Pisa [e' poi stata pubblicata come Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (a cura di Enrico Peyretti) - ndr]. 7. Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia edizioni, Milano 2000, pp. 189-207; traduzione di Momi Zanda dall'opera originale Peace by Peaceful Means: Peace and Conflict, Development and Civilization, Sage Publications - Thousand Oaks, London - New Delhi 1996. 8. Joahn Galtung, op. cit., p. 196. 9. Pat Patfoort, Costruire la nonviolenza. Per una pedagogia dei conflitti, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Bari) 2000. Mi avvalgo inoltre di appunti personali e di dattiloscritti che raccolgono lezioni e seminari della Patfoort. 5. LIBRI. MARIO PEZZELLA PRESENTA "PSICANALISI E POLITICA" DI HERBERT MARCUSE [Dal quotidiano "Liberazione" del 7 luglio 2006. Mario Pezzella, docente universitario di estetica, studi filosofici a Pisa e a Parigi, ha curato l'edizione italiana di testi di Bachofen e su Jung, organizzato seminari e convegni di studio, ha collaborato con Remo Bodei nella progettazione della collana "Il lessico dell'estetica" presso l'editore "ll Mulino" ed e' redattore della rivista "Iride" e direttore responsabile della rivista "Controtempo". Herbert Marcuse, filosofo, nato a Berlino nel 1898, fa parte della scuola di Francoforte; costretto all'esilio dal nazismo, si trasferisce in America; sara' uno dei punti di riferimento della contestazione studentesca e dei movimenti di liberazione degli anni '60 e '70. Muore nel 1979. Opere di Herbert Marcuse: segnaliamo almeno Ragione e rivoluzione, Il Mulino; Eros e civilta', Einaudi; Il marxismo sovietico; L'uomo a una dimensione, Einaudi; Saggio sulla liberazione, Einaudi. Opere su Herbert Marcuse: oltre le note monografie di Perlini e di Habermas, cfr. Hauke Brunkhorst, Gertrud Koch, Herbert Marcuse, Erre Emme, Roma 1989; cfr. inoltre gli studi complessivi e le monografie introduttive sulla scuola di Francoforte di Assoun (Lucarini), Bedeschi (Laterza), Jay (Einaudi), Rusconi (Il Mulino), Therborn (Laterza), Zima (Rizzoli)] Quale rapporto esiste fra le trasformazioni economiche e politiche di una societa' e la vita psichica profonda degli individui che la compongono? In che modo il desiderio di felicita', i sogni dell'Eros, lo smarrimento di se', contribuiscono a costruire rapporti di dominio e tentativi di liberazione? A partire dalla pubblicazione degli studi sull'autorita' e la famiglia a cura di Horkheimer nel 1936, alcuni autori della Scuola di Francoforte hanno cercato di rispondere a queste domande, trovando un punto d'incontro fra la critica marxiana e il pensiero di Freud. Particolarmente interessante al proposito e' il saggio "Obsolescenza della psicanalisi", contenuto in Psicanalisi e politica (Manifestolibri, pp.128, euro 15), un volume a cura di Roberto Finelli, che raccoglie diversi saggi di Herbert Marcuse. Rispetto alla descrizione freudiana del complesso di Edipo, dobbiamo - secondo Marcuse - prendere atto della scomparsa e dell'indebolimento della figura paterna all'interno della famiglia: la crisi della sua autorita' tradizionale modifica i processi di formazione della soggettivita'. Non piu' costretto a conquistare la propria individuazione differenziandosi dal padre, il figlio della societa' dei consumi e' apparentemente sgravato da ogni conflitto e dipendenza personale. Cio' non vuol dire pero' che sia scomparsa ogni forma di dominio. L'autorita' e' ora immediatamente collettiva, trasmessa dagli organi omologati della societa' delle merci. L'Io che non si differenzia attraverso il conflitto col padre, trova un immediato modello identitario nell'ideale del gruppo, rischiando la regressione verso gli stadi preedipici della personalita'. All'identificazione con istanze collettive si accompagna una desublimazione della morale sessuale, che solo apparentemente porta maggiore liberta'. * Inizialmente, Marcuse intende Eros come un principio immediatamente liberatorio. Eros e' l'antitesi positiva all'educazione repressiva, la quale concentra la sessualita' in senso genitale e devia le energie libidiche dell'uomo verso il lavoro. Se prima questo sacrificio era reso necessario dallo strapotere della natura, con le conquiste della tecnica e lo sviluppo delle forze produttive e' divenuto superfluo. Eros potrebbe recuperare la sua potenza polimorfa in rapporti umani fondati sul gioco e sul dono, e non sul potere. D'altra parte, soprattutto negli ultimi scritti, Marcuse distingue Eros e sessualita'; la desublimazione della sessualita', invece che condurre a una societa' liberata, permette di intensificare il consumo e la fascinazione delle merci. Il desiderio e' deviato sui surrogati immaginari forniti dall'industria culturale e diviene un ulteriore strumento di controllo e deprivazione dell'autonomia individuale. "Il sorgere e la mobilitazione delle masse produce un dominio autoritario in forma democratica", afferma Marcuse. Nella sua forma attuale, un simile regime deve continuamente intensificare e rinnovare i consumi e le immagini di merce, perche' e' in realta' esposto a un'angoscia costante e profonda. Liberata dai legami affettivi col padre e da ogni riferimento alla morale o all'autorita', la debole personalita' narcisista resta vittima di una aggressivita' inconsapevole, che puo' essere dirottata secondo gli interessi delle classi dominanti, ma anche portare a un dissolvimento del gruppo. Partito dalla critica dell'autorita' repressiva, Marcuse giunge a una visione dialettica piu' complessa, in cui la scomparsa degli interdetti tradizionali puo' trasformarsi in una rivalutazione del pensiero negativo e della negativita' in genere, esplicitata in particolar modo nella seconda parte de L'uomo a una dimensione (non basta rivalutare Eros contro Thanatos ma riapproriarsi in chiave politica e rivoluzionaria della forza negatrice per rivolgerla contro l'orientamento impresso dal dominio alla storia). Il modello freudiano, che a suo modo insisteva sull'autonomia e la forza differenziante dell'individuo, viene cosi' salvato dall'obsolescenza. Il dialogo paritario con l'altro e con la sua differenza puo' acquisire una forma di decisionalita' e autorevolezza, capace di sostituire il padre scomparso e di non dissolversi nella Grande Madre preedipica della societa' dei consumi. * La fraternita' e' l'idea rivoluzionaria che ritorna piu' spesso in queste pagine di Marcuse, anche se essa stessa non e' esente da rischi. Esisterebbe cioe' una dinamica che dall'interno induce gli individui a negare una possibile liberazione e a ricostruire rapporti asimmetrici di signoria e servitu'. In questo senso ha ragione Finelli quando, respingendo ogni facile utopismo, attira l'attenzione sulla natura "bina e ambivalente dell'affettivita' umana, di cui l'invidia e l'aggressivita' verso l'altro fanno parte", non meno del desiderio di riconoscimento paritario e di liberazione dell'Eros. E' nello spazio di questo conflitto sempre aperto tra relazione di signoria e di fraternita', che si iscrive lo spazio mai deciso una volta per tutte della politica e della formazione psichica che indissolubilmente lo accompagna. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1365 del 23 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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