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La nonviolenza e' in cammino. 1363
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1363
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 21 Jul 2006 00:11:22 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1363 del 21 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Cessate il fuoco 2. Il ministro parolibero 3. Peppe Sini: Chi li paga? 4. Pamela Ann Smith: Gli uomini delle caverne 5. Avraham B. Yehoshua: Una via per la pace 6. Severino Vardacampi: I nipotini di Madre Coraggio 7. Luigi Piccioni: L'inaccettabile 8. Patrizia Bortolini intervista Azar Nafisi 9. Protervo Villanzoni: Funamboli 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CESSATE IL FUOCO Cessate il fuoco. E' la cosa da chiedere allo stato di Israele, anche se i gruppi terroristi continuano a bersagliarne i cittadini. Cessate il fuoco. E' la cosa da chiedere a tutte le truppe di tutti gli stati. Cessate il fuoco. Il terrorismo non si contrasta con la guerra, che e' essa stessa terrorismo e ostetrica di terrorismo ulteriore. Cessate il fuoco, aiutate le vittime, salvate le vite. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 2. TELEGRAMMI. IL MINISTRO PAROLIBERO Riferiscono le cronache di un ministro che avrebbe definito l'impegno nitido e intransigente per la pace con l'aggettivo "suicida". Ritenendo quindi suicida la Costituzione, la Carta delle Nazioni Unite, e praticamente tutti i grandi monumenti dell'umana civilta'. Ma quel ministro parlando cosi' forse si sentiva emulo della grande stagione del surrealismo, anzi, meglio: di quel futurismo che predicava, anzi cantava, "la guerra, sola igiene del mondo". Vorremmo sommessamente fargli notare che e' piuttosto proprio la scelta della guerra che e' omicida, onnicida, e quindi in definitiva anche suicida. Quella scelta della guerra che dal '99 al 2006 lo ha visto acclamato protagonista (e nei nostri sempre piu' frequenti momenti di umor nero ci vien da chiederci chissa' cosa ne pensano le vittime jugoslave ed afgane, non solo delle sprezzanti parole, ma soprattutto delle gesta guerriere dell'illustre statista). 3. EDITORIALE. PEPPE SINI: CHI LI PAGA? Ah, mi pare di ritornar giovane, quando - mentre facevamo letteralmente la fame - non passava giorno che non ci sentissimo rivolgere dagli arresi al regime dello sfruttamento e della corruzione questo allegro ritornello: "Chi li paga?". * Nella mia memoria il primo volantino in cui mi capito' di leggere come l'allora Grande Partito qualificava noi poveri meschinetti della sinistra antistalinista di loschi provocatori al soldo della reazione era della prima meta' degli anni '70: non ricordo piu' in quale campagna elettorale, ma ricordo bene quel titolo roboante, ed infame: "chi li paga?". Poi privatamente i compagni di tante lotte che diffondevano quella sporcizia contro di noi ci dicevano che sapevano bene che erano tutte meznogne e farneticazioni e che anzi eccetera eccetera, ma la disciplina di partito imponeva eccetera eccetera, e si stupivano del nostro sconcerto. Ce lo dicevano anche mentre eravamo davanti ai cancelli di Montalto per fermare il nucleare (dieci anni di fatica, di blocchi nonviolenti, d'infinite infinite assemblee davanti ai cancelli ed ovunque, di levatacce, e anche qualche colpo proibito - intendo colpi della nobile arte da parte di giovinotti in divisa - che incassavamo con eleganza): ci dicevano che eravamo nemici dello sviluppo, che volevamo ridurre l'Italia alla candela: quanti funzionari non solo dell'Enel ma anche delle organizzazioni burocratiche di massa mi hanno ripetuto questa solfa, ed anche qualche illustre professore che oggi continua ad impancarsi a sacerdote della scienza ed era invece, lui si', al servizio di lorsignori - che da sempre sono generosi con la servitu' che sa stare al suo posto. Ce lo dicevano quando impedimmo la realizzazione di una devastante superstrada che avrebbe massacrtato per sempre il territorio e la vita dell'Alto Lazio: ed eravamo quindi passatisti nemici del progresso al soldo del ritorno al feudalesimo, evidentemente. Ce lo dicevano quando ci opponemmo alla penetrazione nell'Alto Lazio di imprese e personaggi collegati ai poteri criminali: ed eravamo quindi perfidi "giustizialisti" che volevano addirittura "fare l'analisi del sangue" alle imprese, vergogna, vergogna, e certo eravamo - questa la formula dell'epoca - "khomeinisti". E ce lo dicevano quando lottavamo per abbattere il manicomio e le altre istituzioni totali in cui il disagio e la sofferenza umana venivano reificate e occultate, e ci si "prendeva cura" delle persone sofferenti chiudendole in gabbia e nei ceppi e sul letto di contenzione: ci dicevano allora che certo in quel nostro voler riconoscere l'umanita' di tutti gli esseri umani, in quel nostro voler contribuire a liberare tutti i dannati della terra, eravamo al servizio di chissa' quale piovra situazionista, e chissa' chi segretamente ci pagava: Ronald Laing? Erving Goffman? Michel Foucault? Frantz Fanon? E ce lo dicevano quando organizzavamo in Italia la solidarieta' con Nelson Mandela che, se stava in galera, certo qualcosa contro l'ordine costituito doveva pur averla combinata: e ce lo dicevano signori che ancor oggi vengono spacciati per autorevoli voci della pace e della solidarieta'. Ma ce lo dicevano anche quando ci opponevamo ai missili a Comiso e a tutti i missili a est come ad ovest, e certo lo facevamo per destabilizzare il mondo, poiche' si sa che "si vis pacem para bellum" (dove il latino "para" significa in italiano "prepara"). E ce lo dicevano quando ci battevamo contro le servitu' militari, ed allora sicuramente eravamo nemici dell'occupazione e delle istituzioni, pagati certo da qualche centrale eversiva diretta da qualche cinico e crudele nemico non solo di Capitan America ma anche della Civilta' con la maiuscola: Aldo Capitini? Danilo Dolci? Luce Fabbri? E nella nostra solidarieta' col popolo cileno martoriato certo eravamo al soldo del Kgb, nella nostra solidarieta' con Solidarnosc perseguitata certo eravamo al soldo della Cia, e cosi' via, direbbe Kilgore Trout. Che anni, ragazzi. * La cosa divertente e' che naturalmente non ci pagava nessuno. Facevamo quel che credevamo giusto solo perche' lo credevamo giusto, e per quanti anni ho mangiato solo pane e bevuto solo acqua - quando non mi capitava, ma cercavo di non abusarne, di essere invitato a cena da amici o parenti -, ed ho finanche abitato per anni nella sede del nostro piccolo partito, attendendo che finissero le riunioni e dormendo qualche scomoda ora a cavallo dell'alba in stanze ancora annebbiate dal fumo delle altrui sigarette. Non e' stata una storia solo mia: credo che migliaia di persone amiche della verita' e della giustizia, amiche della nonviolenza e della dignita' umana, abbiano vissuto queste esperienze, almeno per qualche mese o qualche anno - per me e' stata la scelta su cui ho giocato la mia vita intera. E' stata una bella gioventu'. Ma come possono capirlo i prominenti signori che oggi pretendono di rappresentare la sinistra degli umiliati e offesi, loro sempre eleganti, nel cui sguardo leggi la gioia per la carriera e il privilegio conseguiti, e conseguiti mettendosi al servizio ed entrando a far parte del potere che opprime, strangola e vampirizza i nove decimi dell'umanita' e porta il mondo alla catastrofe? * Ci voleva questa catastrofe della prostituzione alla guerra di tutta - dicesi tutta - la sinistra (ex-sinistra, in verita') istituzionale, per tornare a sentirmi ripetere quel grazioso motivetto di cui dicevo all'inizio: e cosi' vecchio e malmesso come sono mi e' toccato tornare a ricevere proprio gli stessi improperi di quando ero giovane: e' cambiato solo il medium, non piu' volantini o manifesti o comizi o attivi di sezione, ma e-mail, interviste tv, talk-show. Ne ha fatti di progressi la societa' dello spettacolo. Ed e' inutile che io e quelli che con me condividono la scelta nitida della nonviolenza rispondiamo: tranquilli, non ci paga nessuno. Non serve rispondere oggi come non serviva allora, tanto chi ti insulta non ti ascolta. Addirittura simpatiche persone che una volta pur ci facevano tanto di salamelecchi, in questi giorni - ma credo per nascondere a se stessi la gravita' del loro cedimento, e quindi non posso che sinceramente compatirli - hanno pensato bene di associarsi al coro che su orchestrazione del Grande Fratello e con dispendio di effetti speciali proclama ed ossessivamente ripete che per esser noi restati intransigenti nella difesa della Costituzione e nell'opposizione alla guerra, siamo ipso facto complici dei terroristi, complici dei golpisti, complici di ogni nequizia. Ohibo', forse esagerano un pocolino. Ragazzi, Vico e Nietzsche vi avrebbero offerto gongolanti un gelato, anzi un'intera torta. E' proprio vero che tutto ritorna (e non solo in farsa, ma in tragedia ancora). * Ma cosa ci rivela tutto cio'? Che la guerra porta il fascismo, e che chi si appresta a votare per la guerra sente il bisogno anche di farsi totalitario, pretende che nessuno dica la verita', e se qualcuno non si accoda alla consegna del "credere, obbedire, combattere" allora va denunciato come nemico del popolo, come candidato al meritato castigo per indegnita' politica e morale dinanzi al soviet supremo, dinanzi al sant'uffizio, dinanzi alla fabbrica del programma. Perche' la guerra porta il fascismo: e fa emergere l'autoritarismo, il militarismo e il patriarcato che ognuno si porta anche dentro, e che se cessi di contrastarlo tu per primo in te stesso nuovamente dilaga. Diceva bene il poeta di Augusta di non illudersi di aver vinto per sempre il nazismo, e che il ventre di quella bestia e' ancora fecondo. * Pensavamo nella nostra beata ingenuita' di spiriti semplici come monsieur Teste che la catastrofe del '99 avesse insegnato qualcosa, e che quel pezzo di sinistra (pardon, ex-sinistra) istituzionale che aveva voluto, deciso, eseguito e sostenuto allora la guerra e le stragi si fosse pentito; invece si e' pentito quel pezzo di sinistra (pardon, ex-sinistra) istituzionale che la guerra non aveva sostenuto allora, e che adesso tutto pimpante rientra nei ranghi e marcia in ordine chiuso naturalmente verso l'immancabile vittoria - votando a favore della guerra e contro la Costituzione a braccetto con Fini e Berlusconi oltre che con Prodi e D'Alema. E cento sofismi non cancellano un fatto. * "E' questo il modo in cui finisce il mondo", cantava il coro degli uomini vuoti di Eliot, "non gia' con uno schianto, ma con un piagnisteo". Ho letto in queste notti il libro postumo e incompiuto del mio antico maestro Franco Fortini recentemente pubblicato da una benemerita casa editrice di Macerata: che gioia, caro Fortini, sentire ancora la tua voce, e che conforto in queste amarissime ore. 4. RIFLESSIONE. PAMELA ANN SMITH: GLI UOMINI DELLE CAVERNE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Pamela Ann Smith. Pamela Ann Smith vive a Londra, e' scrittrice e giornalista; si occupa di temi mediorientali dal 1968, attualmente sta aggiornando il suo libro La Palestina e i palestinesi. 1876-1983, e ne sta preparando uno nuovo, La Palestina e la diaspora ebraica. Il punto di vista di una donna] Nella gran mole di servizi giornalistici sulla piu' recente crisi in Medio Oriente ce ne sono un paio scarsamente posti in rilievo, che mettono in luce le azioni di alcune donne in Israele. Stante il fatto che si tratta di un atto di considerevole coraggio, protestare nelle strade mentre i loro concittadini sono in armi, so che i sentimenti di questa manciata di dimostranti sono condivisi da molte altre donne israeliane e palestinesi che semplicemente non possono essere li'. Negli ultimi trent'anni, per raccontare il Medio Oriente, ho parlato con moltissime donne (israeliane, palestinesi, arabe, ricche, povere) che non hanno fatto altro che dirmi quanto soffrissero per il numero apparentemente infinito di guerre nella loro regione. Tamara Traubman e Ruth Sinai-Heruti, entrambe croniste del quotidiano israeliano "Haaretz", hanno concluso il loro articolo del 17 luglio scorso con queste frasi: "Piu' di 500 donne protestano a Tel Aviv contro i raid israeliani in Libano e a Gaza. Una dimostrazione di donne si e' tenuta anche domenica mattina, accanto alla stazione ferroviaria centrale di Haifa, dove un missile di Hezbollah aveva colpito nelle prime ore della giornata, uccidendo otto persone". Le donne, aggiungono le giornaliste, "hanno dichiarato di star organizzando un nuovo gruppo di donne arabe ed ebree contro la guerra". Rory McCarthy del britannico "Guardian", in una corrispondenza dello stesso giorno da Israele nota che: "Mentre le sirene continuano ad urlare, un piccolo gruppo di donne sosta davanti all'ingresso della stazione ferroviaria protestando contro gli scontri. Yana Knoboba, venticinquenne studentessa di psicologia, siede per terra tenendo un cartello con sopra scritto in ebraico: La guerra non portera' mai la pace. "Non vogliamo la guerra in Medio Oriente", dice Knoboba, "Vogliamo che Israele negozi per riportare a casa i nostri soldati e metta fine alla rioccupazione di Gaza. Se e' una questione in cui si deve dimostrare la propria forza, io penso che la forza sia costruire la pace, non fare la guerra". * Tre anni orsono, qui a Londra, fui ospite della locale sede quacchera dove un gruppo di otto donne provenienti da Israele era stato invitato a tenere una conferenza. Avendo speso molto tempo della mia esistenza a registrare le attivita' "maschili" in Medio Oriente (investimenti e commercio, petrolio e politica, e guerra) pensai che era proprio ora di dare un'occhiata a cio' che invece stavano facendo le donne. Il gruppo includeva quattro palestinesi e quattro israeliane, tutte con provenienze differenti: una poetessa, una sociologa, una storica, un'assistente sociale; cristiane, musulmane ed ebree. Ci furono alcune domande dirette e mirate poste dal pubblico per capire a che punto stavano la verita', la giustizia e il progresso. Sarebbe stata meglio Israele senza l'occupazione della West Bank e di Gaza? I palestinesi avrebbero smesso di farsi esplodere in mezzo alla folla? Le risposte variavano fra le israeliane e le palestinesi, e variavano anche all'interno di questi due sottogruppi. Ma quando la moderatrice pose la domanda finale: "Secondo la vostra opinione, qual e' il problema peggiore che vi trovate davanti?", la risposta fu stupefacente. Chiunque si aspettava che le palestinesi dicessero: "L'occupazione della West Bank e di Gaza da parte di Israele sin dal 1967", e che le israeliane dicessero: "La sicurezza, il diritto di vivere in pace con i vicini di Israele, e soprattutto gli atti di terrorismo". Sorpresa, sorpresa. Una per una, le otto relatrici si alzarono, guardarono la settantina di persone presenti (in maggioranza donne), e dichiararono: "La militarizzazione dei nostri uomini". Le palestinesi dissero che vedevano i propri figli soggetti alla retorica di sceicchi ignoranti che li trasformano in carne da cannone, che gli adolescenti pensano che lanciare pietre ai soldati sia il loro rito di passaggio alla maturita' maschile, e che tutto questo portava alla mutilazione ed alla morte dei loro padri, figli e fratelli. Le israeliane parlarono di come l'esercito brutalizzi e faccia divenire brutali gli uomini con cui poi loro devono vivere: figli, fratelli e consorti. E, a differenza dei palestinesi, agli israeliani e' richiesto di servire nell'esercito a meno che non possano provare di essere obiettori di coscienza o membri di specifiche congregazioni della religione ebraica. * E ancora lunedi' scorso mi domandavo: cosa staranno facendo le donne in Israele? Le relatrici invitate dai quaccheri erano rappresentative di sentimenti generalmente condivisi? E il movimento per la pace in Israele, come poteva intaccare l'accettazione, da parte di uomini e donne, della coscrizione nelle forze militari? L'articolo gia' citato di Rory McCarthy mi ha dato un indizio. Una dichiarazione che lui riporta e' di Abir Kobti, un'attivista israeliana della "Coalizione di donne per la pace" che era presente al violento sgombero da parte della polizia, il 16 luglio, della protesta pacifica delle donne a Tel Aviv. "Abbiamo imparato dalla storia che le soluzioni militari non portano altro che morte e distruzione", dice Abir, "Stiamo chiedendo al governo di ritrovare la calma, di scendere dall'albero e di risolvere questi problemi con la negoziazione, per salvarci dal dover sopportare altre morti da ambo le parti". In altre parole degli uomini delle caverne, a qualsiasi ideologia appartengano, non abbiamo piu' bisogno. 5. DOCUMENTAZIONE. AVRAHAM B. YEHOSHUA: UNA VIA PER LA PACE [Dal quotidiano "La stampa" del 19 luglio 2006 riprendiamo il seguente intervento di Avraham B. Yehoshua. Alcune delle analisi e dei punti di vista in esso sostenuti ci trovano in dubbio, altri in dissenso, ma ci sembra che costituisca comunque un utile contributo di riflessione e lo proponiamo quindi ai nostri lettori (p. s.). Avraham (Abraham) B. Yehoshua, scrittore israeliano nato a Gerusalemme nel 1936, docente di letteratura comparata all'Universita' di Haifa, e' impegnato per la pace e i diritti umani. Tra le opere di Abraham B. Yehoshua: i suoi romanzi sono: L'amante (1977), Un divorzio tardivo (1982), Cinque stagioni (1987), Il signor Mani (1990), Ritorno dall'India (1994), Viaggio alla fine del millennio (1997), La sposa liberata (2002), Tre giorni e un bambino (2003) e Il responsabile delle risorse umane (2004), tradotti in Italia da Einaudi, che ha anche pubblicato Il lettore allo specchio (2003), Tutti i racconti (1999), i saggi Il potere terribile di una piccola colpa, Etica e letteratura (2000), la commedia Possesso (2001), gli articoli Diario di una pace fredda (1996) e il saggio Antisemitismo e sionismo (2004). Presso altri editori italiani sono apparsi: Il poeta continua a tacere, La Giuntina, Firenze 1987, poi anche Mondadori e Leonardo; Elogio della normalita', La Giuntina, Firenze 1991; Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare, Edizioni e/o, Roma 2000 (saggio estratto da Elogio della normalita')] Ancora guerra. Ancora sirene di allarme, rifugi. E ancora una volta, al suono della sirena, mia moglie e io ci trasferiamo velocemente dai nostri rispettivi studi alla minuscola stanza di sicurezza le cui pareti sono un po' piu' spesse e dove, fra le carrozzine, le bambole e i libri per bambini delle nipotine, sentiamo i boati dei missili caduti, vicini e lontani, aspettando la sirena del cessato pericolo. Sono nato nel dicembre del 1936, quasi settant'anni fa. In quell'anno scoppio' una rivolta palestinese contro ebrei e inglesi che miete' centinaia di vittime fino a che la grande fiammata della seconda guerra mondiale riporto' per qualche anno la calma. Nel 1947, bambino di undici anni, trascorsi lunghi mesi in un rifugio con mia madre e mia sorella in una Gerusalemme assediata mentre mio padre, grande conoscitore della lingua araba, era stato reclutato dai servizi dell'Intelligence malgrado si fosse appena ripreso da una ferita subita durante un'azione di sabotaggio di disertori inglesi. Piu' tardi, come soldato paracadutista, presi parte alle rappresaglie in Giordania e nell'ottobre del 1956 penetrai nel deserto del Sinai durante la guerra di Suez contro l'Egitto. Continuai poi a prestare servizio per anni come riservista mentre si susseguivano nuove guerre: quella dei Sei giorni, dello Yom Kippur, l'infelice guerra del Libano, e poi gli atti terroristici, la prima Intifada, la guerra del Golfo con i missili Scud, la seconda Intifada con gli attentati suicidi. Nel frattempo anche i miei due figli maschi si arruolavano nel corpo dei paracadutisti e la saga proseguiva infinita. * Molti europei miei coetanei hanno vissuto una o due guerre, hanno magari conosciuto periodi di emergenza militare, momenti duri e terribili ma brevi rispetto al conflitto arabo-israeliano che dura da oltre centoventi anni. Dieci anni fa gli Stati della ex Jugoslavia sono stati teatro di guerra e di terribili atrocita' ma ora la Croazia, la Serbia, la Bosnia si sono trasformate in mete turistiche e sembra che la pace sia tornata a regnare in quei luoghi. Nella nostra regione non c'e' pero' fine agli scontri. A volte ho l'impressione che gli ebrei siano coinvolti da tremila anni in un conflitto con i popoli che li circondano. E anche le epoche di pace e tranquillita' non sono che una pausa, mentre nubi minacciose, foriere del prossimo conflitto, gia' si addensano all'orizzonte. * Ecco il Libano per esempio. Sei anni fa l'esercito israeliano si e' ritirato dal suo territorio entro confini internazionali, accogliendo la decisione in merito della comunita' internazionale. Per sei anni noi cittadini israeliani abbiamo goduto di una relativa calma ma di colpo ci ritroviamo in guerra. E nell'analizzare le azioni di leader come Saddam Hussein o Hassan Nasrallah ci si domanda se siano motivate piu' da malvagita' o da idiozia. I siriani, per esempio, pur non essendo dei giusti, non si avventurano facilmente in imprese stolte. Sono cauti e sanno preservare i loro interessi. Sono forse le fantasie religiose a portare un uomo come Hassan Nasrallah a sfidare stupidamente Israele portando su di se' e sui suoi uomini una sciagura come quella attuale? Saddam Hussein era laico ma anche lui ha insensatamente provocato Israele. Anziche' poi permettere ai supervisori dell'Onu di frugare nei suoi magazzini per dimostrare di non possedere armi atomiche ha volutamente creato un clima di provocatoria vaghezza giungendo alla sua distruzione personale, a quella della sua famiglia e del suo intero Paese. Questo atteggiamento non e' comunque tipico della mentalita' araba o musulmana. Da anni ammiro la saggezza con cui il regime monarchico giordano riesce a gestire le diverse e contrastanti forze presenti nel Paese, creando tranquillita' interna e armonia nei suoi rapporti con i Paesi vicini, Israele compreso. Anche gli egiziani e i sauditi conoscono i limiti politici entro i quali agire, senza peraltro rinnegare i principi del loro credo religioso. * Talvolta comportamenti apparentemente irrazionali sono dovuti a motivi economici. Molto spesso si attribuisce un peso eccessivo all'ideologia religiosa e politica, trascurando le cause economiche alla base di comportamenti illogici. I guerriglieri della Jihad che sparano razzi kassam su Israele dalla Striscia di Gaza lo fanno per vile denaro, punto e basta. Profughi palestinesi al soldo dell'Iran o di altri percepiscono un pagamento per ogni razzo sparato e se ne infischiano se i loro fratelli, membri del loro popolo, soffrono terribilmente per le rappresaglie dell'esercito israeliano. Gli atti di aggressione dei miliziani di Hezbollah portano loro denaro e prestigio politico e quindi poco gli importa se altri cittadini libanesi precipitano in una spirale di distruzione e di morte. L'incapacita' di uno Stato sovrano di imporre le proprie decisioni crea situazioni tutt'altro che semplici. Questa debolezza non e' pero' una caratteristica di tutti gli Stati arabi. Dopo tutto vediamo come alcuni di essi riescano a imporre la propria linea politica pur usando il pugno di ferro. Il caos e' molto piu' pericoloso della politica di un regime centralizzato e assertivo e il problema nasce allorche' e' quest'ultimo ad avere il sopravvento. Come nel caso dei palestinesi, o dei libanesi amanti della bella vita, incapaci di imporre le decisioni del governo centrale su falangi armate che non ne accettano l'autorita'. * La guerra di Israele contro Hezbollah e' giusta da un punto di vista morale. Noi israeliani non abbiamo alcun interesse a conquistare territori in Libano, non aspiriamo a rovesciarne il regime, non ci immischiamo nelle sue faccende interne, ne riconosciamo i confini storici, ne rispettiamo la sovranita' e vogliamo mantenere con il suo governo rapporti di buon vicinato. Abbiamo pero' il diritto di difenderci con fermezza da rapimenti di soldati seguiti da lanci di missili. I miliziani di Hezbollah sanno benissimo che non riusciranno mai a distruggere Israele, nonostante i proclami della loro ideologia ufficiale. E i loro attacchi di missili non allevieranno in alcun modo le sofferenze dei palestinesi ma ne causeranno di nuove. * Ma anche quando si combatte una guerra giusta occorre mostrarsi saggi e sensati, stabilire obiettivi razionali e realistici e non aspirare a creare un "nuovo ordine" in Libano. Abbiamo visto cosa e' successo a quello che abbiamo cercato di imporre durante la guerra del 1982 e vediamo cosa succede agli americani in Iraq. Noi israeliani non abbiamo nemmeno interesse a cancellare Hezbollah in quanto organizzazione economica e sociale della comunita' sciita. Anche la liquidazione della sua attuale dirigenza non e' diretto scopo di Israele. Non e' corretto immischiarci negli affari interni di un popolo o di una comunita'. Israele rimarra' vicino del Libano per l'eternita' e dobbiamo quindi pensare al futuro. Non riusciremo a distruggere tutti i missili presenti in Libano e non abbiamo interesse a farlo. Dopo la tregua dovremo creare una zona cuscinetto che separi le nostre forze da quelle di Hezbollah, allontanare i miliziani venti chilometri dal confine, al di la' del fiume Litani e naturalmente riportare a casa i due soldati rapiti, anche a prezzo della liberazione di alcuni prigionieri libanesi. Questi sono obiettivi reali e morali e per raggiungerli la comunita' internazionale deve dare un aiuto concreto ai due popoli. * Oggigiorno l'Europa e' unita in una comunita' politica, economica e militare. Non c'e' motivo che non invii nella regione una forza internazionale che goda della fiducia di libanesi e di israeliani e che serva da barriera di separazione tra noi e Hezbollah. Allo stesso modo e' necessaria la partecipazione dell'esercito libanese in veste di forza ausiliaria. La massiccia presenza di alcuni battaglioni di soldati europei potrebbe riportare la calma e la serenita' per parecchi anni. L'Europa gode di un periodo di tranquillita' e di benessere, non e' minacciata da guerre o conflitti etnici. E' giunto il momento che contribuisca concretamente alla pace in Medio Oriente. Un suo intervento al confine tra Libano e Israele potrebbe essere un buon esempio per una simile iniziativa lungo i confini tra Israele e il futuro Stato palestinese. La pace in Medio Oriente non e' meno importante dei festeggiamenti per i mondiali di calcio. 6. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: I NIPOTINI DI MADRE CORAGGIO Che triste spettacolo tante nobili ingenui che arrancano al seguito di Prodi e Berlusconi uniti nel sostegno al decreto che rifinanzia la guerra. Che triste spettacolo tanti ex-militanti della sinistra (o militanti della ex-sinistra, a scelta) che si trovano oggi a votare il decreto che sancisce la continuita' della politica bellica in Afghanistan del nuovo governo con quella del precedente. Che triste spettacolo l'ennesima violazione della Costituzione, e la protervia con cui si pretende di nascondere il misfatto sotto un cumulo di menzogne e contumelie. Quanti, che da giovani volevano cambiare il mondo per realizzare giustizia e liberta', oggi hanno votano per la guerra e il totalitarismo, perdendo per sempre il rispetto di se'. 7. RIFLESSIONE. LUIGI PICCIONI: L'INACCETTABILE [Ringraziamo Luigi Piccioni (per contatti: l.piccioni at unical.it) per questo intervento. Luigi Piccioni, impegnato sin dai primi anni '90 nell'ecopacifismo e nel commercio equo e solidale pisano, ha collaborato con Francesco Gesualdi nella redazione della "Guida al consumo critico" e alla diffusione delle sue tematiche in Italia grazie a molte decine di incontri pubblici; di mestiere storico dell'ambiente e dell'ambientalismo, insegna presso l'Universita' degli Studi della Calabria. Autore di molte pubblicazioni in volumi collettanei e in rivista, ha pubblicato, tra le altre cose, Il volto amato della patria, ricostruzione delle vicende del primo movimento di protezione della natura in Italia, tra la fine dell'Ottocento e i primi anni '30 del Novecento; ha curato l'edizione italiana del libro di Jeremy Brecher e Tim Costello, Contro il capitale globale, Feltrinelli, Milano; collabora con il "Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano e con la Rete di Lilliput] Sulla questione dell'Afghanistan si gioca una partita simbolica immensa, non piu' piccola ne' meno importante della partita politica. Si gioca la partita della capacita'/possibilita' di dire la verita' e di continuare a raccontare un'altra storia, con un altro linguaggio rispetto a quello imperiale. Il problema, nudo e senza fronzoli, e' semplice: coloro che sono stati votati dal popolo della pace a rappresentare le loro ragioni, a tenere ferma la lettera dell'articolo 11 della Costituzione, a dire no alla guerra senza se e senza ma, a battersi in Parlamento per diverse relazioni tra i popoli, tra gli stati, si accingono a votare di fatto "dalla parte dell'Impero": ad approvare cioe' il rifinanziamento di armi e uomini per una guerra di dominio imperiale voluta e realizzata all'interno di una logica autoritaria, criminale e incendiaria. Questo e' il punto, in prima e fondamentale battuta, oltre tutte le chiacchiere, magari anche ragionevoli, di contorno. Per molti che cosi' voteranno non e' in discussione la buonafede: lo faranno stretti in una morsa devastante, consapevoli di star facendo qualcosa che loro ripugna pur di non consentire un possibile arretramento del quadro politico. A costoro, pur nel dissenso, credo vada sempre riservato rispetto e comprensione, ovviamente nella misura in cui vale la reciproca. Quel che non si puo' accettare e' uno scivolamento semantico anche al nostro interno, noi che in questi anni ci siamo incessantemente battuti contro la valanga di scivolamenti semantici che hanno portato il nostro paese e il mondo dentro una devastante logica di guerra permanente e generalizzata ammantando la guerra stessa di eufemismi e di risibili giustificazioni per placare l'angoscia e la ripulsa delle opinioni pubbliche. Che senso ha parlare di "discontinuita'" tra governo Berlusconi e governo Prodi sotto il profilo della politica estera e della guerra? Ognuno vede che non e' cosi': l'Iraq non e' una discontinuita' (il ritiro era nel programma di entrambi, ne' e' del tutto sgradito agli Usa), l'Afghanistan e' in piena e assoluta continuita', il "modello di difesa" non e' messo minimamente in discussione, le alleanze e la proiezione internazionale sono riaffermate in modo assolutamente fedele e acritico, su nodi cruciali su cui pure sarebbe essenziale e relativamente poco costoso segnare una discontinuita' profonda (come la vicenda palestinese) non si muove una paglia in ossequio ai desiderata di un'amministrazione irresponsabile e di ultradestra come quella di Bush. Chi parla di discontinuita' in un contesto di questo tipo non solo descrive una realta' che non esiste ma condiziona pesantemente l'opinione pubblica di sinistra a orientarsi verso una visione a conti fatti consolatoria e quindi oggettivamente complice del dominio imperiale. E questo rischia di essere un danno gravissimo e irreversibile per la cultura della pace in Italia. Credo che tutti, tutti, dobbiamo essere grati a coloro che in queste settimane si preoccupano di tenere ferma la barra cognitiva, che contestano questo scivolamento semantico, che ripetono ancora una volta e instancabilmente anzitutto al popolo della pace le parole d'ordine che per anni tutti insieme ci siamo sforzati di ripetere in tutto il mondo alle opinioni pubbliche di tutto il mondo. E' giusto che lo facciano, e' importante che lo facciano, devono farlo. Ora piu' che mai. L'alternativa e' finire tutti, per ragioni piu' o meno nobili, piu' o meno "strategiche", piu' o meno "ragionevoli", nell'imbuto del "Washington consensus" in versione bellica. Allora sarebbe davvero la fine di tutto, e potremmo tornarcene tutti a casa. A ognuno il suo mestiere, dicono oggi in molti. Si': a ognuno il suo mestiere. Chi vuole salvare, giustamente, la propria pelle faccia il possibile. E' legittimo e forse anche opportuno, anche in un'ottica piu' ampia. Ma chi vuole continuare a raccontare un'altra verita' rispetto a quella imperiale e a dire che bisogna girare la barra di 180 gradi rispetto a un mondo ingiusto e violento che va verso la catastrofe deve poterlo dire a chiare lettere e deve dirlo, senza essere esposto al ludibrio e all'accusa di infantilismo politico. Anche perche' potrebbe essere ben vero il contrario. 8. RASSEGNA STAMPA; PATRIZIA BORTOLINI INTERVISTA AZAR NAFISI [Dal quotidiano "Liberazione" del 19 luglio 2006 riportiamo ampi stralci della seguente intervista. Patrizia Bortolini e' responsabile dell'attivita' culturale di un partito politico a Milano, scrive sul quotidiano "Liberazione". Azar Nafisi, scrittrice iraniana impegnata per i diritti umani, da anni vive negli Usa. Dal sito www.festivaletteratura.it riprendiamo la seguente scheda: "Azar Nafisi insegna alla Johns Hopkins University a Washington, ha studiato in Europa e negli Stati Uniti. Durante gli anni universitari americani, manifesto', assieme ad altri studenti iraniani, contro il regime dello scia'. Tornata in Iran, ha ottenuto una borsa di studio dall'Universita' di Oxford e ha insegnato Letteratura Inglese all'Universita' di Teheran, alla Free Islamic University e all'Allameh Tabatai University of Iran. Nel 1995 e' stata espulsa dall'Universita' di Teheran per aver rifiutato di portare il velo e ha fondato un circolo di lettura con sette allieve, che si riunivano in casa sua una volta alla settimana per discutere di letteratura occidentale e della propria condizione nella repubblica islamica. Lascio' l'Iran per l'America nel 1997. Alcuni suoi testi sono apparsi su New York Times, Washington Post, Wall Street Journal e New Republic. E' apparsa in numerosi programmi televisivi, ha partecipato a numerosi programmi radiofonici, da Pbs a Fox. E' l'autrice di Anti-Terra: A Critical Study of Nabokov's Novels (Teheran, 1994). Vive a Washington col marito e due figli". Opere di Azar Nafisi disponibili in italiano: Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, Milano 2004; Bibi e la voce verde, Adelphi, Milano 2006] Incontro Azar Nafisi, in Italia per un giro di conferenze, nella hall del suo albergo a Milano. Da quando ha scritto Leggere Lolita a Teheran (Adelphi) e' diventata famosa anche in Europa. Ma da tempo il suo nome e' simbolo di opposizione al fondamentalismo: nel 1995 e' stata espulsa dall'Universita' di Teheran per aver rifiutato di portare il velo. Anche allora non si e' arresa e ha dato vita ad un circolo di lettura con alcune allieve che si riunivano in casa sua, una volta alla settimana, per discutere di letteratura occidentale e della propria condizione nella repubblica Islamica. Poi la scelta di andare via, e dal 1997 vive negli Stati Uniti, a Washington, col marito e due figli, ed insegna alla Johns Hopkins University. * - Patrizia Bortolini: Ho trovato nel suo libro universalita' e riferimenti culturali condivisi, come risponderebbe a chi parla di scontro di civilta'? - Azar Nafisi: Ogni civilta' prova vergogna per alcune cose ed e' orgogliosa di altre. In Europa ci sono stati il fascismo ed il comunismo, e in Medioriente ora c'e' il fondamentalismo. In Europa pero' ci sono stati anni di lotte per la liberta' e cosi' nel mio paese. Ma esistono degli spazi in cui tutte le persone del mondo possono trovare collegamenti universali che sono quelli dell'immaginazione, della fantasia, dei diritti umani. In passato i miei amici si stupivano quando mi sentivano dire che ero cresciuta con i film italiani: Alberto Sordi, De Sica, Fellini. Mia figlia per i mondiali si e' dipinta il volto con la bandiera italiana. Il nostro pensiero non e' definito da uno spazio geografico. * - Patrizia Bortolini: Nel suo libro lei sostiene che non e' vero che il privato deve essere politico, in Italia il femminismo ha sostenuto l'opposto. Come spiega questa contraddizione? - Azar Nafisi: Il problema sorge quando si riduce il privato al politico. Nei sistemi totalitari non c'e' spazio per il privato, ed anche il politico perde significato. E' necessario che ci sia un'indipendenza, ma anche un'interazione. * - Patrizia Bortolini: In diversi paesi occidentali assistiamo all'interferenza dello Stato nella sfera privata... In questo riconosce un tratto comune a cio' che sta accadendo in alcuni paesi mediorientali, come il suo? - Azar Nafisi: La cosa piu' importante e' capire che la liberta' non deve mai essere data per scontata. Pensiamo ai diritti delle donne: in Italia, negli Stati Uniti, in Francia si e' combattuto per secoli. E' pericoloso adagiarsi. Si deve capire che e' necessario combattere per mantenerli anche qui in Occidente. * - Patrizia Bortolini: A proposito delle lotte delle donne, nel percorso del suo paese ho scorto delle contraddizioni anche in positivo: un modo nuovo per lottare, per imporre la propria liberta'. - Azar Nafisi: Sono felice che ne parli. E' importante esaminare il modo in cui le persone resistono alla tirannia. Non gli eroi, ma la gente comune. Per tante donne e uomini e' una resistenza di tipo esistenziale: persone che si rispettano e vengono rispettate, con dignita'. Si tratta di essere quello che si e'. Ma questo costituisce un pericolo per il regime. Le ragazze in Iran non vanno in strada dicendo: vogliamo rovesciare il regime. Dicono: vogliamo essere quello che siamo. Le giovani generazioni di donne capiscono qual e' il significato della liberta' perche' sono state in prigione, sono state picchiate. Hanno una comprensione della liberta' che e' diversa da quella delle coetanee negli Stati Uniti o in Italia. Per questo e' necessario che i giovani comunichino fra di loro, che si conoscano reciprocamente. Penso che gli iraniani conoscano meglio la gioventa' italiana che non il contrario. * - Patrizia Bortolini: A partire dalla proibizione francese dell'uso del velo a scuola, in Italia si e' svolto un ampio dibattito sulla "liberta'" di indossare il chador. Lei cosa ne pensa? - Azar Nafisi: Secondo me la cosa piu' importante e' il diritto di scegliere. Due sono gli elementi fondamentali: il primo e' che le donne possano decidere come esprimersi. Alcune ritengono che il velo sia un'espressione della propria religiosita', altre no. Il secondo e' la possibilita' di discutere. La vera questione non sta nel fatto se portare il velo sia giusto o sbagliato, ma nel potersi dichiarare d'accordo o contrari con la filosofia che sta alla base di queste decisioni. Quello che mi fa veramente paura e' la polarizzazione. Non sono d'accordo con il divieto anche se io stessa non porto il velo. Pero' ci sono delle differenze tra la Francia, l'Arabia Saudita o l'Iran. In Francia non e' piu' permesso nelle scuole pubbliche. Non riguarda la strada, i negozi, il privato. In Arabia Saudita c'e' una legge che impone a tutti, cristiani, atei, di seguire le stesse regole. I paesi fondamentalisti hanno tolto anche ai musulmani la possibilita' di scelta. Mia madre era musulmana, ma non ha mai portato il velo. Mia nonna era musulmana e ha sempre portato il velo. Adesso non e' piu' un segno religioso, ma e' diventato un segno politico. La religione quando diventa politica non e' piu' una questione di fede. * - Patrizia Bortolini: Dopo le ultime elezioni in Iran c'e' stata una battuta d'arresto nella direzione riformatrice? - Azar Nafisi: Non ho mai creduto molto nei cambiamenti che vengono solo dalla politica: i cambiamenti nascono dalla societa' civile. Non mi sono mai esaltata per Katami e non mi deprimo per Ahmadinejad. Da quando e' stato eletto abbiamo avuto una protesta con 750 fra lavoratori e familiari arrestati, manifestazioni studentesche e dall'8 marzo due proteste di donne, una guidata da una poetessa femminista ottantenne, Simin Behani. Uno dei rappresentanti piu' importanti della societa' civile iraniana, Hakbar Ganji - un giornalista che era un ardente rivoluzionario islamico e adesso e' diventato un sostenitore della democrazia - ha fatto un lungo sciopero della fame e per questo e' stato messo in prigione. La sua protesta e' appena arrivata all'Onu, a New York. Ho fiducia in queste persone, perche' possono pure arrestare alcuni leader politici, ma non e' possibile arrestare settanta milioni di persone. * - Patrizia Bortolini: Nel suo libro usa un termine po-lost, volgare, kitsch. Cosa trova di simile in Occidente? - Azar Nafisi: Un elemento molto positivo del mondo occidentale e' che la critica nasce e viene dall'interno. Ma ci sono dei pericoli anche qui. Saul Bellow, parlando dei sistemi totalitari, dice che in quelle societa' la crudelta' e' nuda e ovvia, invece la minaccia in Occidente e' proprio quella del sonno della coscienza, la presenza di una cultura di massa che non capisce la sua stessa volgarita'. L'atrofia dei sensi. Il cinismo e' un altro pericolo: va bene quando c'e' l'ironia, l'umorismo, per criticare se stessi, ma se si diventa solo cinici non si crede piu' nei propri valori. Questo lo vedo nel mondo occidentale, lo vedo anche nel paese che amo e che e' stato cosi' generoso nei miei confronti come gli Stati Uniti. Dove sono finiti le analisi, il pensiero, il dibattito? Come si puo' dimenticare che sono le basi della cultura? Viviamo in tempi pericolosi. Il pericolo sta anche proprio nel fatto di pensare che il nemico venga sempre dall'esterno. * - Patrizia Bortolini: In Leggere Lolita a Teheran lei parla del gruppo di donne con cui si incontrava, testimonianza di una pratica collettiva. Virginia Woolf chiedeva "Una stanza tutta per se'". Quali riferimenti trova in due momenti cosi' diversi? - Azar Nafisi: Le mie allieve ed io abbiamo spesso fatto riferimento a Virginia Woolf ed alla sua stanza privata. Le donne sanno che la liberta' parte dall'individua, proprio perche' sanno quanto sia importante il rapporto tra privato e pubblico. Sono un po' come delle narratrici: parlano liberamente di se stesse, non pensano che i dettagli della vita individuale non siano importanti. Se non capiamo la liberta' individuale non capiamo la liberta' politica. Se non c'e' la liberta' di espressione non puo' esserci dignita'. 9. LE ULTIME COSE. PROTERVO VILLANZONI: FUNAMBOLI Riferiscono i mezzi d'informazione umoristiche esternazioni di sua eccellenza il presidente della Camera dei deputati e sua eccellenza il ministro della Solidarieta' la cui palese funzione reale e' insolentire - e forse peggio - i parlamentari eletti nelle liste del cosiddetto centrosinistra che si oppongono alla guerra e difendono la Costituzione (e quindi giustamente votano contro l'iniquo e delittuoso rifinanziamento della illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra afgana), neppure tanto larvatamente accusandoli, in perfetto stile stalinista, di intelligenza col nemico, e verrebbe da dire, per gli appassionati del genere, di far parte del "blocco dei destri e dei trotzkisti" per usare la formula dei tempi del Breve corso di storia del Pc(b) dell'Urss che i piu' anziani e acciaccati dei lettori certo ricorderanno tanto quanto chi scrive queste righe. * Addirittura sua eccellenza il presidente della Camera dei deputati si e' spinto a sostenere - in una intervista sul "Corriere della sera" del 16 luglio 2006 - che quei parlamentari che non sostenessero con assoluta fedelta' il governo (traduzione in lingua corrente della formula "lealta' nei confronti del popolo che l'ha votata per durare cinque anni") dovrebbero abbandonare non solo il parlamento ma addirittura uscire "dalla politica come esercizio della medesima nella sfera delle istituzioni". Applausi. E la deportazione in Siberia? Forse qualcuno dovrebbe ricordare a sua eccellenza il presidente della Camera dei deputati e a sua eccellenza il minsitro della Solidarieta' che l'articolo 67 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato" (cosi' testualmente, le pompose maiuscole comprese): "senza vincolo di mandato" significa che ogni parlamentare e' libero di votare secondo quanto gli detta la sua coscienza e la sua intelligenza. E forse non sara' inutile ricordare che sua eccellenza il presidente della Camera dei deputati e' lo stesso signore che nel 1998 non esito' a far cadere il governo Prodi ben sapendo quali catastrofiche conseguenze questo avrebbe avuto, e che nel 2001 fu elemento decisivo - decisivo - per la vittoria della coalizione golpista berlusconiana. * Last, but not least: forse non sara' inutile neppure ricordare che approvando e sostenendo il decreto governativo sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero, e quindi di prosecuzione della partecipazione militare italiana alla guerra afgana, sua eccellenza il ministro della Solidarieta' ha violato la Costituzione della Repubblica Italiana cui pure aveva giurato fedelta' all'atto di assumere il suo incarico, Costituzione che esplicitamente ed inequivocabilmente proibisce la partecipazione italiana a una guerra come quella afgana. Ma chi volete che ci faccia caso, a queste minuzie. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1363 del 21 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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