La nonviolenza e' in cammino. 1363



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1363 del 21 luglio 2006

Sommario di questo numero:
1. Cessate il fuoco
2. Il ministro parolibero
3. Peppe Sini: Chi li paga?
4. Pamela Ann Smith: Gli uomini delle caverne
5. Avraham B. Yehoshua: Una via per la pace
6. Severino Vardacampi: I nipotini di Madre Coraggio
7. Luigi Piccioni: L'inaccettabile
8. Patrizia Bortolini intervista Azar Nafisi
9. Protervo Villanzoni: Funamboli
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CESSATE IL FUOCO

Cessate il fuoco.
E' la cosa da chiedere allo stato di Israele, anche se i gruppi terroristi
continuano a bersagliarne i cittadini.
Cessate il fuoco.
E' la cosa da chiedere a tutte le truppe di tutti gli stati.
Cessate il fuoco.
Il terrorismo non si contrasta con la guerra, che e' essa stessa terrorismo
e ostetrica di terrorismo ulteriore.
Cessate il fuoco, aiutate le vittime, salvate le vite.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. TELEGRAMMI. IL MINISTRO PAROLIBERO

Riferiscono le cronache di un ministro che avrebbe definito l'impegno nitido
e intransigente per la pace con l'aggettivo "suicida". Ritenendo quindi
suicida la Costituzione, la Carta delle Nazioni Unite, e praticamente tutti
i grandi monumenti dell'umana civilta'.
Ma quel ministro parlando cosi' forse si sentiva emulo della grande stagione
del surrealismo, anzi, meglio: di quel futurismo che predicava, anzi
cantava, "la guerra, sola igiene del mondo".
Vorremmo sommessamente fargli notare che e' piuttosto proprio la scelta
della guerra che e' omicida, onnicida, e quindi in definitiva anche suicida.
Quella scelta della guerra che dal '99 al 2006 lo ha visto acclamato
protagonista (e nei nostri sempre piu' frequenti momenti di umor nero ci
vien da chiederci chissa' cosa ne pensano le vittime jugoslave ed afgane,
non solo delle sprezzanti parole, ma soprattutto delle gesta guerriere
dell'illustre statista).

3. EDITORIALE. PEPPE SINI: CHI LI PAGA?

Ah, mi pare di ritornar giovane, quando - mentre facevamo letteralmente la
fame - non passava giorno che non ci sentissimo rivolgere dagli arresi al
regime dello sfruttamento e della corruzione questo allegro ritornello: "Chi
li paga?".
*
Nella mia memoria il primo volantino in cui mi capito' di leggere come
l'allora Grande Partito qualificava noi poveri meschinetti della sinistra
antistalinista di loschi provocatori al soldo della reazione era della prima
meta' degli anni '70: non ricordo piu' in quale campagna elettorale, ma
ricordo bene quel titolo roboante, ed infame: "chi li paga?". Poi
privatamente i compagni di tante lotte che diffondevano quella sporcizia
contro di noi ci dicevano che sapevano bene che erano tutte meznogne e
farneticazioni e che anzi eccetera eccetera, ma la disciplina di partito
imponeva eccetera eccetera, e si stupivano del nostro sconcerto.
Ce lo dicevano anche mentre eravamo davanti ai cancelli di Montalto per
fermare il nucleare (dieci anni di fatica, di blocchi nonviolenti,
d'infinite infinite assemblee davanti ai cancelli ed ovunque, di levatacce,
e anche qualche colpo proibito - intendo colpi della nobile arte da parte di
giovinotti in divisa - che incassavamo con eleganza): ci dicevano che
eravamo nemici dello sviluppo, che volevamo ridurre l'Italia alla candela:
quanti funzionari non solo dell'Enel ma anche delle organizzazioni
burocratiche di massa mi hanno ripetuto questa solfa, ed anche qualche
illustre professore che oggi continua ad impancarsi a sacerdote della
scienza ed era invece, lui si', al servizio di lorsignori - che da sempre
sono generosi con la servitu' che sa stare al suo posto.
Ce lo dicevano quando impedimmo la realizzazione di una devastante
superstrada che avrebbe massacrtato per sempre il territorio e la vita
dell'Alto Lazio: ed eravamo quindi passatisti nemici del progresso al soldo
del ritorno al feudalesimo, evidentemente.
Ce lo dicevano quando ci opponemmo alla penetrazione nell'Alto Lazio di
imprese e personaggi collegati ai poteri criminali: ed eravamo quindi
perfidi "giustizialisti" che volevano addirittura "fare l'analisi del
sangue" alle imprese, vergogna, vergogna, e certo eravamo - questa la
formula dell'epoca - "khomeinisti".
E ce lo dicevano quando lottavamo per abbattere il manicomio e le altre
istituzioni totali in cui il disagio e la sofferenza umana venivano
reificate e occultate, e ci si "prendeva cura" delle persone sofferenti
chiudendole in gabbia e nei ceppi e sul letto di contenzione: ci dicevano
allora che certo in quel nostro voler riconoscere l'umanita' di tutti gli
esseri umani, in quel nostro voler contribuire a liberare tutti i dannati
della terra, eravamo al servizio di chissa' quale piovra situazionista, e
chissa' chi segretamente ci pagava: Ronald Laing? Erving Goffman? Michel
Foucault? Frantz Fanon?
E ce lo dicevano quando organizzavamo in Italia la solidarieta' con Nelson
Mandela che, se stava in galera, certo qualcosa contro l'ordine costituito
doveva pur averla combinata: e ce lo dicevano signori che ancor oggi vengono
spacciati per autorevoli voci della pace e della solidarieta'.
Ma ce lo dicevano anche quando ci opponevamo ai missili a Comiso e a tutti i
missili a est come ad ovest, e certo lo facevamo per destabilizzare il
mondo, poiche' si sa che "si vis pacem para bellum" (dove il latino "para"
significa in italiano "prepara").
E ce lo dicevano quando ci battevamo contro le servitu' militari, ed allora
sicuramente eravamo nemici dell'occupazione e delle istituzioni, pagati
certo da qualche centrale eversiva diretta da qualche cinico e crudele
nemico non solo di Capitan America ma anche della Civilta' con la maiuscola:
Aldo Capitini? Danilo Dolci? Luce Fabbri?
E nella nostra solidarieta' col popolo cileno martoriato certo eravamo al
soldo del Kgb, nella nostra solidarieta' con Solidarnosc perseguitata certo
eravamo al soldo della Cia, e cosi' via, direbbe Kilgore Trout.
Che anni, ragazzi.
*
La cosa divertente e' che naturalmente non ci pagava nessuno.
Facevamo quel che credevamo giusto solo perche' lo credevamo giusto, e per
quanti anni ho mangiato solo pane e bevuto solo acqua - quando non mi
capitava, ma cercavo di non abusarne, di essere invitato a cena da amici o
parenti -, ed ho finanche abitato per anni nella sede del nostro piccolo
partito, attendendo che finissero le riunioni e dormendo qualche scomoda ora
a cavallo dell'alba in stanze ancora annebbiate dal fumo delle altrui
sigarette. Non e' stata una storia solo mia: credo che migliaia di persone
amiche della verita' e della giustizia, amiche della nonviolenza e della
dignita' umana, abbiano vissuto queste esperienze, almeno per qualche mese o
qualche anno - per me e' stata la scelta su cui ho giocato la mia vita
intera.
E' stata una bella gioventu'. Ma come possono capirlo i prominenti signori
che oggi pretendono di rappresentare la sinistra degli umiliati e offesi,
loro sempre eleganti, nel cui sguardo leggi la gioia per la carriera e il
privilegio conseguiti, e conseguiti mettendosi al servizio ed entrando a far
parte del potere che opprime, strangola e vampirizza i nove decimi
dell'umanita' e porta il mondo alla catastrofe?
*
Ci voleva questa catastrofe della prostituzione alla guerra di tutta -
dicesi tutta - la sinistra (ex-sinistra, in verita') istituzionale, per
tornare a sentirmi ripetere quel grazioso motivetto di cui dicevo
all'inizio: e cosi' vecchio e malmesso come sono mi e' toccato tornare a
ricevere proprio gli stessi improperi di quando ero giovane: e' cambiato
solo il medium, non piu' volantini o manifesti o comizi o attivi di sezione,
ma e-mail, interviste tv, talk-show. Ne ha fatti di progressi la societa'
dello spettacolo.
Ed e' inutile che io e quelli che con me condividono la scelta nitida della
nonviolenza rispondiamo: tranquilli, non ci paga nessuno. Non serve
rispondere oggi come non serviva allora, tanto chi ti insulta non ti
ascolta.
Addirittura simpatiche persone che una volta pur ci facevano tanto di
salamelecchi, in questi giorni - ma credo per nascondere a se stessi la
gravita' del loro cedimento, e quindi non posso che sinceramente
compatirli - hanno pensato bene di associarsi al coro che su orchestrazione
del Grande Fratello e con dispendio di effetti speciali proclama ed
ossessivamente ripete che per esser noi restati intransigenti nella difesa
della Costituzione e nell'opposizione alla guerra, siamo ipso facto complici
dei terroristi, complici dei golpisti, complici di ogni nequizia. Ohibo',
forse esagerano un pocolino.
Ragazzi, Vico e Nietzsche vi avrebbero offerto gongolanti un gelato, anzi
un'intera torta. E' proprio vero che tutto ritorna (e non solo in farsa, ma
in tragedia ancora).
*
Ma cosa ci rivela tutto cio'?
Che la guerra porta il fascismo, e che chi si appresta a votare per la
guerra sente il bisogno anche di farsi totalitario, pretende che nessuno
dica la verita', e se qualcuno non si accoda alla consegna del "credere,
obbedire, combattere" allora va denunciato come nemico del popolo, come
candidato al meritato castigo per indegnita' politica e morale dinanzi al
soviet supremo, dinanzi al sant'uffizio, dinanzi alla fabbrica del
programma.
Perche' la guerra porta il fascismo: e fa emergere l'autoritarismo, il
militarismo e il patriarcato che ognuno si porta anche dentro, e che se
cessi di contrastarlo tu per primo in te stesso nuovamente dilaga. Diceva
bene il poeta di Augusta di non illudersi di aver vinto per sempre il
nazismo, e che il ventre di quella bestia e' ancora fecondo.
*
Pensavamo nella nostra beata ingenuita' di spiriti semplici come monsieur
Teste che la catastrofe del '99 avesse insegnato qualcosa, e che quel pezzo
di sinistra (pardon, ex-sinistra) istituzionale che aveva voluto, deciso,
eseguito e sostenuto allora la guerra e le stragi si fosse pentito; invece
si e' pentito quel pezzo di sinistra (pardon, ex-sinistra) istituzionale che
la guerra non aveva sostenuto allora, e che adesso tutto pimpante rientra
nei ranghi e marcia in ordine chiuso naturalmente verso l'immancabile
vittoria - votando a favore della guerra e contro la Costituzione a
braccetto con Fini e Berlusconi oltre che con Prodi e D'Alema. E cento
sofismi non cancellano un fatto.
*
"E' questo il modo in cui finisce il mondo", cantava il coro degli uomini
vuoti di Eliot, "non gia' con uno schianto, ma con un piagnisteo".
Ho letto in queste notti il libro postumo e incompiuto del mio antico
maestro Franco Fortini recentemente pubblicato da una benemerita casa
editrice di Macerata: che gioia, caro Fortini, sentire ancora la tua voce, e
che conforto in queste amarissime ore.

4. RIFLESSIONE. PAMELA ANN SMITH: GLI UOMINI DELLE CAVERNE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Pamela Ann Smith. Pamela Ann Smith vive a Londra, e' scrittrice e
giornalista; si occupa di temi mediorientali dal 1968, attualmente sta
aggiornando il suo libro La Palestina e i palestinesi. 1876-1983, e ne sta
preparando uno nuovo, La Palestina e la diaspora ebraica. Il punto di vista
di una donna]

Nella gran mole di servizi giornalistici sulla piu' recente crisi in Medio
Oriente ce ne sono un paio scarsamente posti in rilievo, che mettono in luce
le azioni di alcune donne in Israele.
Stante il fatto che si tratta di un atto di considerevole coraggio,
protestare nelle strade mentre i loro concittadini sono in armi, so che i
sentimenti di questa manciata di dimostranti sono condivisi da molte altre
donne israeliane e palestinesi che semplicemente non possono essere li'.
Negli ultimi trent'anni, per raccontare il Medio Oriente, ho parlato con
moltissime donne (israeliane, palestinesi, arabe, ricche, povere) che non
hanno fatto altro che dirmi quanto soffrissero per il numero apparentemente
infinito di guerre nella loro regione.
Tamara Traubman e Ruth Sinai-Heruti, entrambe croniste del quotidiano
israeliano "Haaretz", hanno concluso il loro articolo del 17 luglio scorso
con queste frasi: "Piu' di 500 donne protestano a Tel Aviv contro i raid
israeliani in Libano e a Gaza. Una dimostrazione di donne si e' tenuta anche
domenica mattina, accanto alla stazione ferroviaria centrale di Haifa, dove
un missile di Hezbollah aveva colpito nelle prime ore della giornata,
uccidendo otto persone". Le donne, aggiungono le giornaliste, "hanno
dichiarato di star organizzando un nuovo gruppo di donne arabe ed ebree
contro la guerra".
Rory McCarthy del britannico "Guardian", in una corrispondenza dello stesso
giorno da Israele nota che: "Mentre le sirene continuano ad urlare, un
piccolo gruppo di donne sosta davanti all'ingresso della stazione
ferroviaria protestando contro gli scontri. Yana Knoboba, venticinquenne
studentessa di psicologia, siede per terra tenendo un cartello con sopra
scritto in ebraico: La guerra non portera' mai la pace. "Non vogliamo la
guerra in Medio Oriente", dice Knoboba, "Vogliamo che Israele negozi per
riportare a casa i nostri soldati e metta fine alla rioccupazione di Gaza.
Se e' una questione in cui si deve dimostrare la propria forza, io penso che
la forza sia costruire la pace, non fare la guerra".
*
Tre anni orsono, qui a Londra, fui ospite della locale sede quacchera dove
un gruppo di otto donne provenienti da Israele era stato invitato a tenere
una conferenza. Avendo speso molto tempo della mia esistenza a registrare le
attivita' "maschili" in Medio Oriente (investimenti e commercio, petrolio e
politica, e guerra) pensai che era proprio ora di dare un'occhiata a cio'
che invece stavano facendo le donne.
Il gruppo includeva quattro palestinesi e quattro israeliane, tutte con
provenienze differenti: una poetessa, una sociologa, una storica,
un'assistente sociale; cristiane, musulmane ed ebree. Ci furono alcune
domande dirette e mirate poste dal pubblico per capire a che punto stavano
la verita', la giustizia e il progresso. Sarebbe stata meglio Israele senza
l'occupazione della West Bank e di Gaza? I palestinesi avrebbero smesso di
farsi esplodere in mezzo alla folla?
Le risposte variavano fra le israeliane e le palestinesi, e variavano anche
all'interno di questi due sottogruppi. Ma quando la moderatrice pose la
domanda finale: "Secondo la vostra opinione, qual e' il problema peggiore
che vi trovate davanti?", la risposta fu stupefacente.
Chiunque si aspettava che le palestinesi dicessero: "L'occupazione della
West Bank e di Gaza da parte di Israele sin dal 1967", e che le israeliane
dicessero: "La sicurezza, il diritto di vivere in pace con i vicini di
Israele, e soprattutto gli atti di terrorismo".
Sorpresa, sorpresa. Una per una, le otto relatrici si alzarono, guardarono
la settantina di persone presenti (in maggioranza donne), e dichiararono:
"La militarizzazione dei nostri uomini".
Le palestinesi dissero che vedevano i propri figli soggetti alla retorica di
sceicchi ignoranti che li trasformano in carne da cannone, che gli
adolescenti pensano che lanciare pietre ai soldati sia il loro rito di
passaggio alla maturita' maschile, e che tutto questo portava alla
mutilazione ed alla morte dei loro padri, figli e fratelli.
Le israeliane parlarono di come l'esercito brutalizzi e faccia divenire
brutali gli uomini con cui poi loro devono vivere: figli, fratelli e
consorti. E, a differenza dei palestinesi, agli israeliani e' richiesto di
servire nell'esercito a meno che non possano provare di essere obiettori di
coscienza o membri di specifiche congregazioni della religione ebraica.
*
E ancora lunedi' scorso mi domandavo: cosa staranno facendo le donne in
Israele? Le relatrici invitate dai quaccheri erano rappresentative di
sentimenti generalmente condivisi? E il movimento per la pace in Israele,
come poteva intaccare l'accettazione, da parte di uomini e donne, della
coscrizione nelle forze militari?
L'articolo gia' citato di Rory McCarthy mi ha dato un indizio. Una
dichiarazione che lui riporta e' di Abir Kobti, un'attivista israeliana
della "Coalizione di donne per la pace" che era presente al violento
sgombero da parte della polizia, il 16 luglio, della protesta pacifica delle
donne a Tel Aviv.
"Abbiamo imparato dalla storia che le soluzioni militari non portano altro
che morte e distruzione", dice Abir, "Stiamo chiedendo al governo di
ritrovare la calma, di scendere dall'albero e di risolvere questi problemi
con la negoziazione, per salvarci dal dover sopportare altre morti da ambo
le parti".
In altre parole degli uomini delle caverne, a qualsiasi ideologia
appartengano, non abbiamo piu' bisogno.

5. DOCUMENTAZIONE. AVRAHAM B. YEHOSHUA: UNA VIA PER LA PACE
[Dal quotidiano "La stampa" del 19 luglio 2006 riprendiamo il seguente
intervento di Avraham B. Yehoshua. Alcune delle analisi e dei punti di vista
in esso sostenuti ci trovano in dubbio, altri in dissenso, ma ci sembra che
costituisca comunque un utile contributo di riflessione e lo proponiamo
quindi ai nostri lettori (p. s.). Avraham (Abraham) B. Yehoshua, scrittore
israeliano nato a Gerusalemme nel 1936, docente di letteratura comparata
all'Universita' di Haifa, e' impegnato per la pace e i diritti umani. Tra le
opere di Abraham B. Yehoshua: i suoi romanzi sono: L'amante (1977), Un
divorzio tardivo (1982), Cinque stagioni (1987), Il signor Mani (1990),
Ritorno dall'India (1994), Viaggio alla fine del millennio (1997), La sposa
liberata (2002), Tre giorni e un bambino (2003) e Il responsabile delle
risorse umane (2004), tradotti in Italia da Einaudi, che ha anche pubblicato
Il lettore allo specchio (2003), Tutti i racconti (1999), i saggi Il potere
terribile di una piccola colpa, Etica e letteratura (2000), la commedia
Possesso (2001), gli articoli Diario di una pace fredda (1996) e il saggio
Antisemitismo e sionismo (2004). Presso altri editori italiani sono apparsi:
Il poeta continua a tacere, La Giuntina, Firenze 1987, poi anche Mondadori e
Leonardo; Elogio della normalita', La Giuntina, Firenze 1991; Ebreo,
israeliano, sionista: concetti da precisare, Edizioni e/o, Roma 2000 (saggio
estratto da Elogio della normalita')]

Ancora guerra. Ancora sirene di allarme, rifugi. E ancora una volta, al
suono della sirena, mia moglie e io ci trasferiamo velocemente dai nostri
rispettivi studi alla minuscola stanza di sicurezza le cui pareti sono un
po' piu' spesse e dove, fra le carrozzine, le bambole e i libri per bambini
delle nipotine, sentiamo i boati dei missili caduti, vicini e lontani,
aspettando la sirena del cessato pericolo.
Sono nato nel dicembre del 1936, quasi settant'anni fa. In quell'anno
scoppio' una rivolta palestinese contro ebrei e inglesi che miete' centinaia
di vittime fino a che la grande fiammata della seconda guerra mondiale
riporto' per qualche anno la calma. Nel 1947, bambino di undici anni,
trascorsi lunghi mesi in un rifugio con mia madre e mia sorella in una
Gerusalemme assediata mentre mio padre, grande conoscitore della lingua
araba, era stato reclutato dai servizi dell'Intelligence malgrado si fosse
appena ripreso da una ferita subita durante un'azione di sabotaggio di
disertori inglesi.
Piu' tardi, come soldato paracadutista, presi parte alle rappresaglie in
Giordania e nell'ottobre del 1956 penetrai nel deserto del Sinai durante la
guerra di Suez contro l'Egitto. Continuai poi a prestare servizio per anni
come riservista mentre si susseguivano nuove guerre: quella dei Sei giorni,
dello Yom Kippur, l'infelice guerra del Libano, e poi gli atti terroristici,
la prima Intifada, la guerra del Golfo con i missili Scud, la seconda
Intifada con gli attentati suicidi. Nel frattempo anche i miei due figli
maschi si arruolavano nel corpo dei paracadutisti e la saga proseguiva
infinita.
*
Molti europei miei coetanei hanno vissuto una o due guerre, hanno magari
conosciuto periodi di emergenza militare, momenti duri e terribili ma brevi
rispetto al conflitto arabo-israeliano che dura da oltre centoventi anni.
Dieci anni fa gli Stati della ex Jugoslavia sono stati teatro di guerra e di
terribili atrocita' ma ora la Croazia, la Serbia, la Bosnia si sono
trasformate in mete turistiche e sembra che la pace sia tornata a regnare in
quei luoghi. Nella nostra regione non c'e' pero' fine agli scontri. A volte
ho l'impressione che gli ebrei siano coinvolti da tremila anni in un
conflitto con i popoli che li circondano. E anche le epoche di pace e
tranquillita' non sono che una pausa, mentre nubi minacciose, foriere del
prossimo conflitto, gia' si addensano all'orizzonte.
*
Ecco il Libano per esempio. Sei anni fa l'esercito israeliano si e' ritirato
dal suo territorio entro confini internazionali, accogliendo la decisione in
merito della comunita' internazionale. Per sei anni noi cittadini israeliani
abbiamo goduto di una relativa calma ma di colpo ci ritroviamo in guerra. E
nell'analizzare le azioni di leader come Saddam Hussein o Hassan Nasrallah
ci si domanda se siano motivate piu' da malvagita' o da idiozia. I siriani,
per esempio, pur non essendo dei giusti, non si avventurano facilmente in
imprese stolte. Sono cauti e sanno preservare i loro interessi.
Sono forse le fantasie religiose a portare un uomo come Hassan Nasrallah a
sfidare stupidamente Israele portando su di se' e sui suoi uomini una
sciagura come quella attuale? Saddam Hussein era laico ma anche lui ha
insensatamente provocato Israele. Anziche' poi permettere ai supervisori
dell'Onu di frugare nei suoi magazzini per dimostrare di non possedere armi
atomiche ha volutamente creato un clima di provocatoria vaghezza giungendo
alla sua distruzione personale, a quella della sua famiglia e del suo intero
Paese.
Questo atteggiamento non e' comunque tipico della mentalita' araba o
musulmana. Da anni ammiro la saggezza con cui il regime monarchico giordano
riesce a gestire le diverse e contrastanti forze presenti nel Paese, creando
tranquillita' interna e armonia nei suoi rapporti con i Paesi vicini,
Israele compreso. Anche gli egiziani e i sauditi conoscono i limiti politici
entro i quali agire, senza peraltro rinnegare i principi del loro credo
religioso.
*
Talvolta comportamenti apparentemente irrazionali sono dovuti a motivi
economici. Molto spesso si attribuisce un peso eccessivo all'ideologia
religiosa e politica, trascurando le cause economiche alla base di
comportamenti illogici. I guerriglieri della Jihad che sparano razzi kassam
su Israele dalla Striscia di Gaza lo fanno per vile denaro, punto e basta.
Profughi palestinesi al soldo dell'Iran o di altri percepiscono un pagamento
per ogni razzo sparato e se ne infischiano se i loro fratelli, membri del
loro popolo, soffrono terribilmente per le rappresaglie dell'esercito
israeliano.
Gli atti di aggressione dei miliziani di Hezbollah portano loro denaro e
prestigio politico e quindi poco gli importa se altri cittadini libanesi
precipitano in una spirale di distruzione e di morte. L'incapacita' di uno
Stato sovrano di imporre le proprie decisioni crea situazioni tutt'altro che
semplici. Questa debolezza non e' pero' una caratteristica di tutti gli
Stati arabi. Dopo tutto vediamo come alcuni di essi riescano a imporre la
propria linea politica pur usando il pugno di ferro. Il caos e' molto piu'
pericoloso della politica di un regime centralizzato e assertivo e il
problema nasce allorche' e' quest'ultimo ad avere il sopravvento. Come nel
caso dei palestinesi, o dei libanesi amanti della bella vita, incapaci di
imporre le decisioni del governo centrale su falangi armate che non ne
accettano l'autorita'.
*
La guerra di Israele contro Hezbollah e' giusta da un punto di vista morale.
Noi israeliani non abbiamo alcun interesse a conquistare territori in
Libano, non aspiriamo a rovesciarne il regime, non ci immischiamo nelle sue
faccende interne, ne riconosciamo i confini storici, ne rispettiamo la
sovranita' e vogliamo mantenere con il suo governo rapporti di buon
vicinato. Abbiamo pero' il diritto di difenderci con fermezza da rapimenti
di soldati seguiti da lanci di missili. I miliziani di Hezbollah sanno
benissimo che non riusciranno mai a distruggere Israele, nonostante i
proclami della loro ideologia ufficiale. E i loro attacchi di missili non
allevieranno in alcun modo le sofferenze dei palestinesi ma ne causeranno di
nuove.
*
Ma anche quando si combatte una guerra giusta occorre mostrarsi saggi e
sensati, stabilire obiettivi razionali e realistici e non aspirare a creare
un "nuovo ordine" in Libano. Abbiamo visto cosa e' successo a quello che
abbiamo cercato di imporre durante la guerra del 1982 e vediamo cosa succede
agli americani in Iraq. Noi israeliani non abbiamo nemmeno interesse a
cancellare Hezbollah in quanto organizzazione economica e sociale della
comunita' sciita. Anche la liquidazione della sua attuale dirigenza non e'
diretto scopo di Israele. Non e' corretto immischiarci negli affari interni
di un popolo o di una comunita'. Israele rimarra' vicino del Libano per
l'eternita' e dobbiamo quindi pensare al futuro. Non riusciremo a
distruggere tutti i missili presenti in Libano e non abbiamo interesse a
farlo. Dopo la tregua dovremo creare una zona cuscinetto che separi le
nostre forze da quelle di Hezbollah, allontanare i miliziani venti
chilometri dal confine, al di la' del fiume Litani e naturalmente riportare
a casa i due soldati rapiti, anche a prezzo della liberazione di alcuni
prigionieri libanesi. Questi sono obiettivi reali e morali e per
raggiungerli la comunita' internazionale deve dare un aiuto concreto ai due
popoli.
*
Oggigiorno l'Europa e' unita in una comunita' politica, economica e
militare. Non c'e' motivo che non invii nella regione una forza
internazionale che goda della fiducia di libanesi e di israeliani e che
serva da barriera di separazione tra noi e Hezbollah. Allo stesso modo e'
necessaria la partecipazione dell'esercito libanese in veste di forza
ausiliaria. La massiccia presenza di alcuni battaglioni di soldati europei
potrebbe riportare la calma e la serenita' per parecchi anni. L'Europa gode
di un periodo di tranquillita' e di benessere, non e' minacciata da guerre o
conflitti etnici. E' giunto il momento che contribuisca concretamente alla
pace in Medio Oriente. Un suo intervento al confine tra Libano e Israele
potrebbe essere un buon esempio per una simile iniziativa lungo i confini
tra Israele e il futuro Stato palestinese. La pace in Medio Oriente non e'
meno importante dei festeggiamenti per i mondiali di calcio.

6. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: I NIPOTINI DI MADRE CORAGGIO

Che triste spettacolo tante nobili ingenui che arrancano al seguito di Prodi
e Berlusconi uniti nel sostegno al decreto che rifinanzia la guerra.
Che triste spettacolo tanti ex-militanti della sinistra (o militanti della
ex-sinistra, a scelta) che si trovano oggi a votare il decreto che sancisce
la continuita' della politica bellica in Afghanistan del nuovo governo con
quella del precedente.
Che triste spettacolo l'ennesima violazione della Costituzione, e la
protervia con cui si pretende di nascondere il misfatto sotto un cumulo di
menzogne e contumelie.
Quanti, che da giovani volevano cambiare il mondo per realizzare giustizia e
liberta', oggi hanno votano per la guerra e il totalitarismo, perdendo per
sempre il rispetto di se'.

7. RIFLESSIONE. LUIGI PICCIONI: L'INACCETTABILE
[Ringraziamo Luigi Piccioni (per contatti: l.piccioni at unical.it) per questo
intervento. Luigi Piccioni, impegnato sin dai primi anni '90
nell'ecopacifismo e nel commercio equo e solidale pisano, ha collaborato con
Francesco Gesualdi nella redazione della "Guida al consumo critico" e alla
diffusione delle sue tematiche in Italia grazie a molte decine di incontri
pubblici; di mestiere storico dell'ambiente e dell'ambientalismo, insegna
presso l'Universita' degli Studi della Calabria. Autore di molte
pubblicazioni in volumi collettanei e in rivista, ha pubblicato, tra le
altre cose, Il volto amato della patria, ricostruzione delle vicende del
primo movimento di protezione della natura in Italia, tra la fine
dell'Ottocento e i primi anni '30 del Novecento; ha curato l'edizione
italiana del libro di Jeremy Brecher e Tim Costello, Contro il capitale
globale, Feltrinelli, Milano; collabora con il "Centro nuovo modello di
sviluppo" di Vecchiano e con la Rete di Lilliput]

Sulla questione dell'Afghanistan si gioca una partita simbolica immensa, non
piu' piccola ne' meno importante della partita politica. Si gioca la partita
della capacita'/possibilita' di dire la verita' e di continuare a raccontare
un'altra storia, con un altro linguaggio rispetto a quello imperiale.
Il problema, nudo e senza fronzoli, e' semplice: coloro che sono stati
votati dal popolo della pace a rappresentare le loro ragioni, a tenere ferma
la lettera dell'articolo 11 della Costituzione, a dire no alla guerra senza
se e senza ma, a battersi in Parlamento per diverse relazioni tra i popoli,
tra gli stati, si accingono a votare di fatto "dalla parte dell'Impero": ad
approvare cioe' il rifinanziamento di armi e uomini per una guerra di
dominio imperiale voluta e realizzata all'interno di una logica autoritaria,
criminale e incendiaria. Questo e' il punto, in prima e fondamentale
battuta, oltre tutte le chiacchiere, magari anche ragionevoli, di contorno.
Per molti che cosi' voteranno non e' in discussione la buonafede: lo faranno
stretti in una morsa devastante, consapevoli di star facendo qualcosa che
loro ripugna pur di non consentire un possibile arretramento del quadro
politico. A costoro, pur nel dissenso, credo vada sempre riservato rispetto
e comprensione, ovviamente nella misura in cui vale la reciproca.
Quel che non si puo' accettare e' uno scivolamento semantico anche al nostro
interno, noi che in questi anni ci siamo incessantemente battuti contro la
valanga di scivolamenti semantici che hanno portato il nostro paese e il
mondo dentro una devastante logica di guerra permanente e generalizzata
ammantando la guerra stessa di eufemismi e di risibili giustificazioni per
placare l'angoscia e la ripulsa delle opinioni pubbliche.
Che senso ha parlare di "discontinuita'" tra governo Berlusconi e governo
Prodi sotto il profilo della politica estera e della guerra? Ognuno vede che
non e' cosi': l'Iraq non e' una discontinuita' (il ritiro era nel programma
di entrambi, ne' e' del tutto sgradito agli Usa), l'Afghanistan e' in piena
e assoluta continuita', il "modello di difesa" non e' messo minimamente in
discussione, le alleanze e la proiezione internazionale sono riaffermate in
modo assolutamente fedele e acritico, su nodi cruciali su cui pure sarebbe
essenziale e relativamente poco costoso segnare una discontinuita' profonda
(come la vicenda palestinese) non si muove una paglia in ossequio ai
desiderata di un'amministrazione irresponsabile e di ultradestra come quella
di Bush.
Chi parla di discontinuita' in un contesto di questo tipo non solo descrive
una realta' che non esiste ma condiziona pesantemente l'opinione pubblica di
sinistra a orientarsi verso una visione a conti fatti consolatoria e quindi
oggettivamente complice del dominio imperiale. E questo rischia di essere un
danno gravissimo e irreversibile per la cultura della pace in Italia.
Credo che tutti, tutti, dobbiamo essere grati a coloro che in queste
settimane si preoccupano di tenere ferma la barra cognitiva, che contestano
questo scivolamento semantico, che ripetono ancora una volta e
instancabilmente anzitutto al popolo della pace le parole d'ordine che per
anni tutti insieme ci siamo sforzati di ripetere in tutto il mondo alle
opinioni pubbliche di tutto il mondo. E' giusto che lo facciano, e'
importante che lo facciano, devono farlo. Ora piu' che mai.
L'alternativa e' finire tutti, per ragioni piu' o meno nobili, piu' o meno
"strategiche", piu' o meno "ragionevoli", nell'imbuto del "Washington
consensus" in versione bellica. Allora sarebbe davvero la fine di tutto, e
potremmo tornarcene tutti a casa.
A ognuno il suo mestiere, dicono oggi in molti. Si': a ognuno il suo
mestiere. Chi vuole salvare, giustamente, la propria pelle faccia il
possibile. E' legittimo e forse anche opportuno, anche in un'ottica piu'
ampia. Ma chi vuole continuare a raccontare un'altra verita' rispetto a
quella imperiale e a dire che bisogna girare la barra di 180 gradi rispetto
a un mondo ingiusto e violento che va verso la catastrofe deve poterlo dire
a chiare lettere e deve dirlo, senza essere esposto al ludibrio e all'accusa
di infantilismo politico.
Anche perche' potrebbe essere ben vero il contrario.

8. RASSEGNA STAMPA; PATRIZIA BORTOLINI INTERVISTA AZAR NAFISI
[Dal quotidiano "Liberazione" del 19 luglio 2006 riportiamo ampi stralci
della seguente intervista.
Patrizia Bortolini e' responsabile dell'attivita' culturale di un partito
politico a Milano, scrive sul quotidiano "Liberazione".
Azar Nafisi, scrittrice iraniana impegnata per i diritti umani, da anni vive
negli Usa. Dal sito www.festivaletteratura.it riprendiamo la seguente
scheda: "Azar Nafisi insegna alla Johns Hopkins University a Washington, ha
studiato in Europa e negli Stati Uniti. Durante gli anni universitari
americani, manifesto', assieme ad altri studenti iraniani, contro il regime
dello scia'. Tornata in Iran, ha ottenuto una borsa di studio
dall'Universita' di Oxford e ha insegnato Letteratura Inglese
all'Universita' di Teheran, alla Free Islamic University e all'Allameh
Tabatai University of Iran. Nel 1995 e' stata espulsa dall'Universita' di
Teheran per aver rifiutato di portare il velo e ha fondato un circolo di
lettura con sette allieve, che si riunivano in casa sua una volta alla
settimana per discutere di letteratura occidentale e della propria
condizione nella repubblica islamica. Lascio' l'Iran per l'America nel 1997.
Alcuni suoi testi sono apparsi su New York Times, Washington Post, Wall
Street Journal e New Republic. E' apparsa in numerosi programmi televisivi,
ha partecipato a numerosi programmi radiofonici, da Pbs a Fox. E' l'autrice
di Anti-Terra: A Critical Study of Nabokov's Novels (Teheran, 1994). Vive a
Washington col marito e due figli". Opere di Azar Nafisi disponibili in
italiano: Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, Milano 2004; Bibi e la voce
verde, Adelphi, Milano 2006]

Incontro Azar Nafisi, in Italia per un giro di conferenze, nella hall del
suo albergo a Milano. Da quando ha scritto Leggere Lolita a Teheran
(Adelphi) e' diventata famosa anche in Europa. Ma da tempo il suo nome e'
simbolo di opposizione al fondamentalismo: nel 1995 e' stata espulsa
dall'Universita' di Teheran per aver rifiutato di portare il velo. Anche
allora non si e' arresa e ha dato vita ad un circolo di lettura con alcune
allieve che si riunivano in casa sua, una volta alla settimana, per
discutere di letteratura occidentale e della propria condizione nella
repubblica Islamica. Poi la scelta di andare via, e dal 1997 vive negli
Stati Uniti, a Washington, col marito e due figli, ed insegna alla Johns
Hopkins University.
*
- Patrizia Bortolini: Ho trovato nel suo libro universalita' e riferimenti
culturali condivisi, come risponderebbe a chi parla di scontro di civilta'?
- Azar Nafisi: Ogni civilta' prova vergogna per alcune cose ed e' orgogliosa
di altre. In Europa ci sono stati il fascismo ed il comunismo, e in
Medioriente ora c'e' il fondamentalismo. In Europa pero' ci sono stati anni
di lotte per la liberta' e cosi' nel mio paese. Ma esistono degli spazi in
cui tutte le persone del mondo possono trovare collegamenti universali che
sono quelli dell'immaginazione, della fantasia, dei diritti umani. In
passato i miei amici si stupivano quando mi sentivano dire che ero cresciuta
con i film italiani: Alberto Sordi, De Sica, Fellini. Mia figlia per i
mondiali si e' dipinta il volto con la bandiera italiana. Il nostro pensiero
non e' definito da uno spazio geografico.
*
- Patrizia Bortolini: Nel suo libro lei sostiene che non e' vero che il
privato deve essere politico, in Italia il femminismo ha sostenuto
l'opposto. Come spiega questa contraddizione?
- Azar Nafisi: Il problema sorge quando si riduce il privato al politico.
Nei sistemi totalitari non c'e' spazio per il privato, ed anche il politico
perde significato. E' necessario che ci sia un'indipendenza, ma anche
un'interazione.
*
- Patrizia Bortolini: In diversi paesi occidentali assistiamo
all'interferenza dello Stato nella sfera privata... In questo riconosce un
tratto comune a cio' che sta accadendo in alcuni paesi mediorientali, come
il suo?
- Azar Nafisi: La cosa piu' importante e' capire che la liberta' non deve
mai essere data per scontata. Pensiamo ai diritti delle donne: in Italia,
negli Stati Uniti, in Francia si e' combattuto per secoli. E' pericoloso
adagiarsi. Si deve capire che e' necessario combattere per mantenerli anche
qui in Occidente.
*
- Patrizia Bortolini: A proposito delle lotte delle donne, nel percorso del
suo paese ho scorto delle contraddizioni anche in positivo: un modo nuovo
per lottare, per imporre la propria liberta'.
- Azar Nafisi: Sono felice che ne parli. E' importante esaminare il modo in
cui le persone resistono alla tirannia. Non gli eroi, ma la gente comune.
Per tante donne e uomini e' una resistenza di tipo esistenziale: persone che
si rispettano e vengono rispettate, con dignita'. Si tratta di essere quello
che si e'. Ma questo costituisce un pericolo per il regime. Le ragazze in
Iran non vanno in strada dicendo: vogliamo rovesciare il regime. Dicono:
vogliamo essere quello che siamo. Le giovani generazioni di donne capiscono
qual e' il significato della liberta' perche' sono state in prigione, sono
state picchiate. Hanno una comprensione della liberta' che e' diversa da
quella delle coetanee negli Stati Uniti o in Italia. Per questo e'
necessario che i giovani comunichino fra di loro, che si conoscano
reciprocamente. Penso che gli iraniani conoscano meglio la gioventa'
italiana che non il contrario.
*
- Patrizia Bortolini: A partire dalla proibizione francese dell'uso del velo
a scuola, in Italia si e' svolto un ampio dibattito sulla "liberta'" di
indossare il chador. Lei cosa ne pensa?
- Azar Nafisi: Secondo me la cosa piu' importante e' il diritto di
scegliere. Due sono gli elementi fondamentali: il primo e' che le donne
possano decidere come esprimersi. Alcune ritengono che il velo sia
un'espressione della propria religiosita', altre no. Il secondo e' la
possibilita' di discutere. La vera questione non sta nel fatto se portare il
velo sia giusto o sbagliato, ma nel potersi dichiarare d'accordo o contrari
con la filosofia che sta alla base di queste decisioni. Quello che mi fa
veramente paura e' la polarizzazione. Non sono d'accordo con il divieto
anche se io stessa non porto il velo. Pero' ci sono delle differenze tra la
Francia, l'Arabia Saudita o l'Iran. In Francia non e' piu' permesso nelle
scuole pubbliche. Non riguarda la strada, i negozi, il privato. In Arabia
Saudita c'e' una legge che impone a tutti, cristiani, atei, di seguire le
stesse regole. I paesi fondamentalisti hanno tolto anche ai musulmani la
possibilita' di scelta. Mia madre era musulmana, ma non ha mai portato il
velo. Mia nonna era musulmana e ha sempre portato il velo. Adesso non e'
piu' un segno religioso, ma e' diventato un segno politico. La religione
quando diventa politica non e' piu' una questione di fede.
*
- Patrizia Bortolini: Dopo le ultime elezioni in Iran c'e' stata una battuta
d'arresto nella direzione riformatrice?
- Azar Nafisi: Non ho mai creduto molto nei cambiamenti che vengono solo
dalla politica: i cambiamenti nascono dalla societa' civile. Non mi sono mai
esaltata per Katami e non mi deprimo per Ahmadinejad. Da quando e' stato
eletto abbiamo avuto una protesta con 750 fra lavoratori e familiari
arrestati, manifestazioni studentesche e dall'8 marzo due proteste di donne,
una guidata da una poetessa femminista ottantenne, Simin Behani. Uno dei
rappresentanti piu' importanti della societa' civile iraniana, Hakbar
Ganji - un giornalista che era un ardente rivoluzionario islamico e adesso
e' diventato un sostenitore della democrazia - ha fatto un lungo sciopero
della fame e per questo e' stato messo in prigione. La sua protesta e'
appena arrivata all'Onu, a New York. Ho fiducia in queste persone, perche'
possono pure arrestare alcuni leader politici, ma non e' possibile arrestare
settanta milioni di persone.
*
- Patrizia Bortolini: Nel suo libro usa un termine po-lost, volgare, kitsch.
Cosa trova di simile in Occidente?
- Azar Nafisi: Un elemento molto positivo del mondo occidentale e' che la
critica nasce e viene dall'interno. Ma ci sono dei pericoli anche qui. Saul
Bellow, parlando dei sistemi totalitari, dice che in quelle societa' la
crudelta' e' nuda e ovvia, invece la minaccia in Occidente e' proprio quella
del sonno della coscienza, la presenza di una cultura di massa che non
capisce la sua stessa volgarita'. L'atrofia dei sensi. Il cinismo e' un
altro pericolo: va bene quando c'e' l'ironia, l'umorismo, per criticare se
stessi, ma se si diventa solo cinici non si crede piu' nei propri valori.
Questo lo vedo nel mondo occidentale, lo vedo anche nel paese che amo e che
e' stato cosi' generoso nei miei confronti come gli Stati Uniti. Dove sono
finiti le analisi, il pensiero, il dibattito? Come si puo' dimenticare che
sono le basi della cultura? Viviamo in tempi pericolosi. Il pericolo sta
anche proprio nel fatto di pensare che il nemico venga sempre dall'esterno.
*
- Patrizia Bortolini: In Leggere Lolita a Teheran lei parla del gruppo di
donne con cui si incontrava, testimonianza di una pratica collettiva.
Virginia Woolf chiedeva "Una stanza tutta per se'". Quali riferimenti trova
in due momenti cosi' diversi?
- Azar Nafisi: Le mie allieve ed io abbiamo spesso fatto riferimento a
Virginia Woolf ed alla sua stanza privata. Le donne sanno che la liberta'
parte dall'individua, proprio perche' sanno quanto sia importante il
rapporto tra privato e pubblico. Sono un po' come delle narratrici: parlano
liberamente di se stesse, non pensano che i dettagli della vita individuale
non siano importanti. Se non capiamo la liberta' individuale non capiamo la
liberta' politica. Se non c'e' la liberta' di espressione non puo' esserci
dignita'.

9. LE ULTIME COSE. PROTERVO VILLANZONI: FUNAMBOLI

Riferiscono i mezzi d'informazione umoristiche esternazioni di sua
eccellenza il presidente della Camera dei deputati e sua eccellenza il
ministro della Solidarieta' la cui palese funzione reale e' insolentire - e
forse peggio - i parlamentari eletti nelle liste del cosiddetto
centrosinistra che si oppongono alla guerra e difendono la Costituzione (e
quindi giustamente votano contro l'iniquo e delittuoso rifinanziamento della
illegale e criminale partecipazione militare italiana alla guerra afgana),
neppure tanto larvatamente accusandoli, in perfetto stile stalinista, di
intelligenza col nemico, e verrebbe da dire, per gli appassionati del
genere, di far parte del "blocco dei destri e dei trotzkisti" per usare la
formula dei tempi del Breve corso di storia del Pc(b) dell'Urss che i piu'
anziani e acciaccati dei lettori certo ricorderanno tanto quanto chi scrive
queste righe.
*
Addirittura sua eccellenza il presidente della Camera dei deputati si e'
spinto a sostenere - in una intervista sul "Corriere della sera" del 16
luglio 2006 - che quei parlamentari che non sostenessero con assoluta
fedelta' il governo (traduzione in lingua corrente della formula "lealta'
nei confronti del popolo che l'ha votata per durare cinque anni") dovrebbero
abbandonare non solo il parlamento ma addirittura uscire "dalla politica
come esercizio della medesima nella sfera delle istituzioni". Applausi. E la
deportazione in Siberia?
Forse qualcuno dovrebbe ricordare a sua eccellenza il presidente della
Camera dei deputati e a sua eccellenza il minsitro della Solidarieta' che
l'articolo 67 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che
"Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue
funzioni senza vincolo di mandato" (cosi' testualmente, le pompose maiuscole
comprese): "senza vincolo di mandato" significa che ogni parlamentare e'
libero di votare secondo quanto gli detta la sua coscienza e la sua
intelligenza.
E forse non sara' inutile ricordare che sua eccellenza il presidente della
Camera dei deputati e' lo stesso signore che nel 1998 non esito' a far
cadere il governo Prodi ben sapendo quali catastrofiche conseguenze questo
avrebbe avuto, e che nel 2001 fu elemento decisivo - decisivo - per la
vittoria della coalizione golpista berlusconiana.
*
Last, but not least: forse non sara' inutile neppure ricordare che
approvando e sostenendo il decreto governativo sul rifinanziamento delle
missioni militari all'estero, e quindi di prosecuzione della partecipazione
militare italiana alla guerra afgana, sua eccellenza il ministro della
Solidarieta' ha violato la Costituzione della Repubblica Italiana cui pure
aveva giurato fedelta' all'atto di assumere il suo incarico, Costituzione
che esplicitamente ed inequivocabilmente proibisce la partecipazione
italiana a una guerra come quella afgana.
Ma chi volete che ci faccia caso, a queste minuzie.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1363 del 21 luglio 2006

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