La nonviolenza e' in cammino. 1350



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1350 dell'8 luglio 2006

Sommario di questo numero:
1. Virginia Woolf: Zeitgeist
2. Peppe Sini: La falsa alternativa e i morti veri
3. Giobbe Santabarbara: La politica dei due tempi. E le persone frattanto
uccise
4. Susan Sontag: Zeitgeist
5. Alberto Burgio: Una guerra e' una guerra
6.Claudio Riolo: Se per paradosso
7. Marco Bersani: Non un soldo per la guerra
8. Simone Weil: Zeitgeist
9. Enrico Peyretti: Una lettera a Mao Valpiana
10. Mao Valpiana: Una lettera a Enrico Peyretti
11. Hannah Arendt: Zeitgeist
12. Barbara Romagnoli intervista Irshad Manji
13. Protervo Villanzoni: Manoscritto trovato in una bottiglia
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. VIRGINIA WOOLF: ZEITGEIST
[Da Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, Minimum fax, Roma 2005, p. 407
(e' un frammento del 6 ottobre 1939). Virginia Woolf, scrittrice tra le piu'
grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze
culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre alle sue splendide opere
narrative scrisse molti acuti saggi, di cui alcuni fondamentali anche per
una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E' uno dei punti di
riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di liberazione, per
la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state tradotte da vari
editori, un'edizione di Tutti i romanzi  (in due volumi, comprendenti La
crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al
faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata qualche
anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton di
Roma; una pregevolissima edizione sia delle opere narrative che della
saggistica e' stata curata da Nadia Fusini nei volumi dei Meridiani
Mondadori alle opere di Virginia Woolf dedicati (ai quali rinviamo anche per
la bibliografia). Tra i saggi due sono particolarmente importanti per una
cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le
tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987 (ma ambedue sono disponibili anche in
varie altre edizioni). Numerosissime sono le opere su Virginia Woolf:
segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974;
Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia, Firenze 1975; Paola
Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980. Segnaliamo anche almeno le
pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in Mimesis, Einaudi,
Torino 1977]

Le loro vite distaccate di maschi. Tutta politica. Risoluti, ben sistemati,
sprezzanti, indifferenti a tutto cio' che e' femminile.

2. EDITORIALE. PEPPE SINI: LA FALSA ALTERNATIVA E I MORTI VERI

Cio' che e' oggi in discussione non e' la crisi del governo Prodi, che
peraltro in crisi ci si mette egregiamente da se': cio' che e' in
discussione e' se dobbiamo continuare a uccidere in Afghanistan, o se invece
in Afghanistan dobbiamo salvare vite umane; se dobbiamo continuare una
guerra immorale e criminale (e tutte le guerre lo sono, e bene lo dice la
Costituzione) o se invece dobbiamo intervenire in modo nonviolento affinche'
la guerra cessi, le vittime siano assistite e riconciliate, quel popolo e
quel paese siano aiutati a vivere.
E quindi l'alternativa non e' se sostenere un governo o abbandonarlo a se
stesso (per quel che riguarda chi scrive queste righe io ho votato per la
coalizione antigolpista alle elezioni parlamentari, non per un premier ne'
per un'accolita di ministri di molti dei quali penso che siano dei pessimi
soggetti), ma se dobbiamo continuare la guerra o no.
Io sono contrario alla guerra, come sono contrario agli omicidi: se il
governo e' favorevole alla guerra e agli omicidi non conti sulla mia
complicita'.
Le ciance di palazzo appassionano altri, a noi interessa salvare le vite
umane.

3. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: LA POLITICA DEI DUE TEMPI. E LE PERSONE
FRATTANTO UCCISE

Ricordo. Nella storia del movimento operaio dirigenze burocratiche che poi
si vide che fine fecero (votarono i crediti di guerra e contribuirono a
scatenare la prima guerra mondiale, da cui e' seguito tutto, tutto l'orrore
del secolo di Auschwitz e di Hiroshima, dei gulag e dei lager, di Bhopal e
di Cernobyl) inventarono la teoria dei due tempi: vogliamo una cosa ma nel
frattento ne accettiamo, anzi ne sollecitiamo un'altra, mica vogliamo
sembrare "massimalisti", non sia mai; a noi ci basta il "programma minimo"
(la cui traduzione era poi sovente qualche posticino nella macchina dello
stato ed i finanziamenti necessari per l'apparato burocratico e
propagandistico).
E cosi' oggi i ministri del governo in carica dichiarano che vogliono la
pace - e ci mancherebbe -, ma intanto decretano la prosecuzione della
guerra.
Alle persone buone che questo sofistico ministeriale ragionamento e questa
sanguinaria ministeriale scelta condividono o avallano vorremmo ricordare
quelle buone parole di Primo Levi: "fermatevi e considerate".

4. MAESTRE. SUSAN SONTAG: ZEITGEIST
[Da Susan Sontag, Contro l'interpretazione, Mondadori, Milano 1967, 1998, p.
338. Susan Sontag e' stata una prestigiosa intellettuale femminista e
pacifista americana, nata a New York nel 1933, deceduta sul finire del 2004;
acutissima interprete e critica dei costumi e dei linguaggi, fortemente
impegnata per i diritti civili e la dignita' umana; tra i molti suoi libri
segnaliamo alcuni suoi stupendi saggi, come quelli raccolti in Contro
l'interpretazione e Stili di volonta' radicale, presso Mondadori; e Malattia
come metafora, presso Einaudi; tra i suoi lavori piu' recenti segnaliamo
particolarmente il notevole Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano
2003]

La nostra e' effettivamente un'epoca di estremismi. Viviamo infatti sotto la
minaccia continua di due prospettive egualmente spaventose, anche se
apparentemente opposte: la banalita' ininterrotta e un terrore
inconcepibile.

5. AFGHANISTAN. ALBERTO BURGIO: UNA GUERRA E' UNA GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 luglio 2006. Alberto Burgio e' docente
universitario, saggista, militante politico. Dal sito dell'Enciclopedia
multimediale delle scienze filosfiche riprendiamo la seguente scheda: "Nato
a Palermo nel 1955, Alberto Burgio si e' laureato in lettere moderne a Pavia
e in filosofia a Milano. Dal 1989 al l993 ha svolto la propria attivita', in
qualita' di Ricercatore, presso la facolta' di magistero dell'Universita' di
Urbino. Dal 1993 e' Professore di Storia della filosofia moderna presso la
facolta' di lettere e filosofia dell'Universita' di Bologna. E' membro del
Comitato editoriale di 'Studi settecenteschi' e del Comitato di direzione di
'Marxismo oggi'. E' membro del Praesidium della Internationale Gesellschaft
fuer dialektische Philosophie - Societas Hegeliana, nell'ambito della quale
svolge, dal 1991, le funzioni di segretario generale". Opere di Alberto
Burgio: Eguaglianza interesse unanimita'. La politica di Rousseau,
Bibliopolis, Napoli 1988; (a cura di, con Gianmario Cazzaniga e Domenico.
Losurdo), Massa, folla, individuo, Quattroventi, Urbino, 1992; (con Luciano
Casali), Studi sul razzismo italiano, Clueb, Bologna 1996; Tra Montesquieu e
Robespierre. Rousseau, la politica e la storia, Guerini e Associati, Milano
1996; L'invenzione delle razze: studi su razzismo e revisionismo storico,
Manifestolibri, 1998; (a cura di, con Antonio Santucci), Gramsci e la
rivoluzione in Occidente, Editori Riuniti, Roma 1999; Modernita' del
conflitto, DeriveApprodi, 1999; Strutture e catastrofi. Kant Hegel Marx,
Editori Riuniti, Roma 2001; La guerra delle razze, Manifestolibri, Roma
2001; La forza e il diritto, DeriveApprodi, 2003; Gramsci storico, Laterza,
Roma-Bari 2003; Guerra, DeriveApprodi, 2004; (con Manlio Dinucci, Vladimiro
Giacche'), Escalation. Anatomia della guerra infinita, DeriveApprodi 2005;
Per un lessico critico del contrattualismo moderno, La Scuola di Pitagora,
2006. Ha curato, inoltre, l'edizione di testi di Hegel, Beccaria, Althusser,
Eric Weil, Antonio Banfi]

Conviene ricondurre la discussione sulla missione italiana in Afghanistan al
suo naturale punto di partenza, che rischia di essere oscurato dal contrasto
delle ragioni e dei comportamenti. In Afghanistan e' in corso una guerra.
Non una "operazione di polizia internazionale". Non un "intervento
umanitario". Una guerra. Con oltre 25 bombardamenti pesanti al giorno (oltre
il doppio che in Iraq) e un totale di morti civili che supera
abbondantemente le 200.000 unita'. Lo ammettono tutti, contrari e
favorevoli. Riconoscendo con cio' che la formale e tardiva copertura
dell'Onu e la sempre piu' esile distinzione tra Enduring Freedom e missione
Isaf non cancellano il fatto che le operazioni militari sono pianificate e
dirette dal Pentagono e dalla Nato.
Questo dovrebbe bastare. La Costituzione del '48 e' ancora viva. Qualche
giorno fa la grande maggioranza degli italiani ha espresso la volonta' di
difenderla da radicali stravolgimenti. E la Costituzione proibisce di
portare il paese in guerra. Il fatto che in questi quindici anni l'Italia
abbia preso parte ad altre avventure belliche non e' una scusante. Non
riduce l'illegittimita' di questa guerra e dell'eventuale decisione di
proseguirla. Perche' non lo si dice piu'? Perche' si subisce con
rassegnazione un insulto alla legge fondamentale della Repubblica?
*
Ma la collera non e' meraviglia. Sin da prima dell'insediamento del governo
sapevamo che le forze prevalenti nel centrosinistra sono favorevoli a una
concezione delle relazioni internazionali che assegna alle armi un ruolo
decisivo nella "modernizzazione democratica". Nell'aprile del '99 l'attuale
ministro degli Esteri, allora a capo del governo italiano, concorse
all'approvazione del "nuovo concetto strategico" che trasformava la Nato in
un'alleanza offensiva, abilitata a intervenire in tutto il mondo. Poche
settimane prima, il suo esecutivo aveva dato avvio alla partecipazione in
grande stile dell'Italia ai "bombardamenti umanitari" sul Kosovo. Per venire
agli ultimi tempi, non si contano le esternazioni dei dirigenti dell'Ulivo a
sostegno di un interventismo democratico che e' la dottrina neocon corretta
in chiave multilateralista. Consideriamo queste posizioni sbagliate e
gravissime le responsabilita' di chi adotta comportamenti conseguenti. Ma
non possiamo dire che le scelte dei "moderati" dell'Unione ci sorprendano.
*
Ci sorprendono invece, e ci allarmano, le posizioni assunte sin qui da
alcune forze della sinistra alternativa, da partiti che nel corso della
passata legislatura hanno sempre votato contro la partecipazione italiana
alla guerra in Afghanistan e che ancora dichiarano di considerare
indispensabile la "discontinuita'" rispetto alle politiche del centrodestra.
Il disegno di legge del governo contiene qualche concessione, frutto della
mobilitazione delle forze pacifiste in Parlamento e nel paese. Non vi sara'
un incremento del contingente italiano (benche' il Ddl preveda un aumento
dell'impegno italiano per Enduring Freedom). E sara' allestito un
osservatorio parlamentare per monitorare le 29 missioni italiane all'estero.
Ma chi puo' seriamente parlare di un cambiamento di rotta, se persino il
ritiro delle truppe dall'Iraq e' compensato dalla decisione di porre unita'
navali italiane sotto il comando centrale delle forze navali Usa, a presidio
del pompaggio del greggio iracheno? Anche la brillante trovata della
"riduzione del danno" (che, applicata alla guerra, tradisce il rifiuto di
farsi carico del terribile peso delle parole) dimostra che si e' in linea
con le decisioni imposte da Washington e assunte dalla destra.
Si subisce una drammatizzazione pretestuosa della discussione (perche' mai
un'eventuale - improbabile - bocciatura del Ddl dovrebbe comportare una
crisi? perche' mai una crisi - del tutto inverosimile - dovrebbe riportarci
alle urne? e perche' - se il punto e' la salvaguardia del quadro politico -
il governo esclude di porre la fiducia, a cui pure fa regolarmente
ricorso?). Si accetta un uso unilaterale e improprio del principio di
lealta' nell'ambito della coalizione (dimenticando che il programma
dell'Unione nulla dice sull'Afghanistan, mentre prevede il voto disgiunto
sulle missioni). Si avalla un clima di intolleranza che, nel criminalizzare
qualsiasi espressione di dissenso, mette a repentaglio l'esistenza stessa
della sinistra critica. Soprattutto, si rischia di dar l'impressione di
votare in modo diverso su una questione come la guerra a seconda che si stia
all'opposizione o al governo.
*
Perche' tutto questo? Cosa sta succedendo nella sinistra italiana? Che cosa
viene emergendo sullo sfondo dello scontro sulla guerra afghana? E perche',
piuttosto che affrontare nodi che coinvolgono questioni vitali per tutto il
movimento, si cede alla tentazione di scorciatoie autoritarie (il cosiddetto
"vincolo di mandato"), che rischiano di realizzare, nei fatti, il disegno
autoritario di chi vorrebbe trasformare il Parlamento nella cassa di
risonanza delle decisioni del governo e i partiti in una docile cinghia di
trasmissione?

6. AFGHANISTAN. CLAUDIO RIOLO: SE PER PARADOSSO
[Ringraziamo Claudio Riolo (per contatti: clriolo at tin.it) per quetsto
intervento. Claudio Riolo, nato ad Agrigento nel 1951, autorevole militante
e dirigente politico ed acuto studioso, gia' direttore del Cepes (Centro
studi di politica economica in Sicilia), insegna Scienza politica
all'Universita' di Palermo; collabora a vari periodici. Tra le opere di
Claudio Riolo: L'identita' debole, La Zisa, Palermo 1989; Istituzioni e
politica: il consociativismo siciliano nella vicenda del Pci e del Pds
(1993); Chi decide a Palermo? Il processo decisionale per il risanamento
della costa orientale (1994); Politiche di industrializzazione e gruppi di
pressione negli anni cinquanta (1995); (a cura di) Dossier sulle riforme
istituzionali in Italia (1998); (a cura di), Liberta' di informazione, di
critica e di ricerca nella transizione italiana, La Zisa, Palermo 2004]

Se, per paradosso, si proponesse agli elettori del centrosinistra un quesito
sull'utilita' di far cadere il governo Prodi sull'Afghanistan, cosa pensate
che risponderebbero? Questo e' il vero problema. Sono convinto che la
stragrande maggioranza degli elettori del centrosinistra sia per il ritiro
dall'Afghanistan e per il rispetto dell'art.11 della Costituzione. Ma sono
altrettanto convinto che riterrebbe un errore imperdonabile far cadere il
governo.
A cosa servirebbe la crisi del governo Prodi? Nell'ipotesi piu' probabile ci
sarebbero le elezioni anticipate e la rivincita del centrodestra: a quel
punto crescerebbe il nostro impegno bellico in Afghanistan e si rimetterebbe
in discussione persino il ritiro dall'Iraq. Inoltre proseguirebbe il lavoro
di demolizione dell'intera Costituzione, ben oltre l'art.11.
Anche se non cadesse il governo grazie all'appoggio dell'Udc, si avvierebbe
una fase di maggioranze variabili che aprirebbe la strada - anche se non
subito, dato che al momento non ci sarebbero i numeri - al disegno
neocentrista di sostituire la sinistra radicale con una componente moderata.
A chi gioverebbe?
Penso che la sinistra pacifista debba fare una battaglia molto determinata
per il ritiro dall'Afghanistan e per il rispetto dell'art.11, ma questa
battaglia non si gioca tutta qui e subito, non puo' essere un ultimatum che
fa cadere il governo (con tutte le conseguenze sulla stessa tenuta
democratica del paese). Credo sia possibile marcare comunque il proprio
dissenso (anche con le dichiarazioni di voto) e, allo stesso tempo,
confermare l'autosufficienza della maggioranza di centrosinistra. (In tal
caso, l'eventuale voto d'appoggio dell'Udc sarebbe privo del "potenziale di
ricatto").
In conclusione, si tratta di una battaglia da continuare nel medio-lungo
periodo, ottenendo via via risultati parziali ma significativi, per arrivare
infine ad affermare non solo il ripudio senza se e senza ma della guerra, ma
un inedito ruolo attivo dell'Italia nel contesto europeo e mondiale per la
pace e lo sviluppo equo, solidale e sostenibile.

7. AFGHANISTAN. MARCO BERSANI: NON UN SOLDO PER LA GUERRA
[Dal bollettino elettronico quindicinale di Attac "Granello di sabbia" del 7
luglio 2006 (per contatti: granello.di.sabbia at attac.info) riprendiamo il
seguente intervento. Marco Bersani e' presidente di "Attac Italia"]

Gli elettori che alle ultime elezioni hanno scelto l'Ulivo erano motivati
soprattutto dalla giusta esigenza di liberarsi di Berlusconi. Gli elettori
che alle ultime elezioni hanno votato la sinistra radicale erano motivati
anche da una speranza di fuoriuscita dalle politiche liberiste. E' a questi
elettori che la sinistra radicale deve innanzitutto fare riferimento.
La missione in Afghanistan non fa parte del programma dell'Unione. Vuol dire
che su questo tema non c'e' accordo. Vuol dire che non c'e' alcun patto
sottoscritto dalla sinistra radicale. Vuol dire che e' un tema su cui si
puo' aprire una battaglia politica. Senza timore di tradire alcunche'.
Per aprire una battaglia politica occorre innanzitutto rivendicare le
proprie posizioni. Occorre dire a Prodi che in nessun caso la sinistra
radicale votera' il rifinanziamento di una missione di guerra. Perche' tale
e' la missione in Afghanistan. Come ha piu' volte spiegato Gino Strada. Come
sa chiunque e' sceso in piazza in questi cinque anni. Come sa ciascun eletto
della sinistra radicale.
Poi occorre che la sinistra radicale dica a Prodi che non votera' neppure la
fiducia, se questa comportera' il rifinanziamento della missione di guerra.
Anche per non sottostare al paradosso per cui si chiede la fiducia quando
non ci si fida.
A quel punto sara' Prodi a dover decidere se intende proseguire, mettendo a
rischio la tenuta della sua coalizione. O prendere atto che c'e' un problema
aperto e costruire luoghi in cui si possa aprire la discussione. E la
discussione dovra' essere ampia. Non solo sull'Iraq. Non solo
sull'Afghanistan. Su tutta la politica estera. E sulle spese militari. Dove
non si e' sottoscritto accordo, e' tutto terreno aperto alla battaglia
politica.
Certo, qualcuno degli eletti della sinistra radicale dira' che cosi' si
mette in difficolta' il governo e si rischia di far tornare Berlusconi. Ma
il popolo italiano ha gia' attraversato il guado. Dapprima timidamente, col
voto di aprile; poi un po' piu' rinfrancato nelle giornate di maggio; infine
finalmente sicuro, proprio ieri. Inequivocabile. Ciascun eletto della
sinistra radicale puo' finalmente smettere di temere la propria ombra.
Certo, qualcuno degli eletti della sinistra radicale dira' che il movimento
e' in difficolta' nel far sentire la propria voce. Niente di piu' vero. A
volte il movimento e' talmente preso dalla necessita' di incidere sulla
politica istituzionale da assumerne su di se' perfino i tatticismi. E' un
problema. Se perdura e' un rischio mortale. Ma non puo' comunque essere un
alibi. Perche' magari le piazze non sono piene, ma le coscienze non hanno
abdicato. E chi oggi pare smarrito, domani sara' di nuovo in prima fila. E
riconoscera' chi possono essere i propri compagni di viaggio.
Chi sta nel Parlamento, magari per la prima volta, tra i banchi della
sinistra radicale, non dovrebbe mai dimenticarsi di aprire le finestre e
guardare fuori. Puo' darsi non veda nessuno, ma sicuramente evitera' il
rischio di farsi imprigionare da un'illusione. Non sembra cosi' difficile.
Certo, occorrerebbe dapprima chiedere scusa a Lidia Menapace. Per non averla
difesa. Per aver continuato a guardare il dito mentre lei tentava di
indicare la luna. Ma a tutto c'e' rimedio. Perche' un altro mondo e'
possibile. E inizia da cio' che ciascuno di noi fa. Qui ed ora.

8. MAESTRE. SIMONE WEIL: ZEITGEIST
[Da Simone Weil, "Non ricominciamo la guerra di Troia", in Giancarlo Gaeta,
Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Firenze)
1992, p. 101 (l'intero saggio - del 1937 -  e' ivi alle pp. 101-118. In
altra traduzione e' anche in Simone Weil, Scritti sulla guerra, Pratiche,
Milano 1998, pp. 55-74, il brano da noi scelto - l'incipit - e' qui a p.
55). Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu
professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e
libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i
fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra
impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita',
abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione
meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita
interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o
meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze
mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita
vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i
propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la
serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di
Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte
di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e
su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in
Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu'
importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita',
poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima
radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le
intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]

Viviamo in un'epoca in cui la relativa sicurezza procurata agli uomini da un
certo predominio tecnico sulla natura e' ampiamente controbilanciata dai
pericoli di rovine e massacri provocati dai conflitti tra gruppi umani. Se
il pericolo e' tanto grave, con ogni probabilita' lo si deve in parte alla
potenza degli strumenti di distruzione che la tecnica ha messo nelle nostre
mani; ma tali strumenti non si mettono in moto da soli, e non e' onesto
voler far ricadere sulla materia inerte una situazione di cui portiamo
l'intera responsabilita'.

9. AMICIZIE. ENRICO PEYRETTI: UNA LETTERA A MAO VALPIANA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione questa lettera al comune amico Mao Valpiana che fa
riferimento al suo intervento apparso come editoriale sul notiziario di
ieri.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio,
ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con
altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio",
che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi
"Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research
Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi
per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della
rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario.
Mao (Massimo) Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la
redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax  0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org) e' una delle figure piu' belle e autorevoli della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il
digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana
rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto
con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 di questo notiziario]

Carissimo Mao,
io ho trovato interessante quell'idea (una consultazione del popolo
dell'Unione sul ritiro dall'Afghanistan) e nello stesso tempo ho dubitato
del suo successo e opportunita', ma non per la ragione che dici tu. Un tale
quesito non sarebbe affatto sul ripudio della guerra, ma sulla possibilita'
pratica-parlamentare-politica, nella particolare circostanza attuale, del
ritiro immediato dall'Afghanistan. Ripudiare la guerra non implica - come
noi ben vorremmo - lo scioglimento dell'esercito, la distruzione delle armi.
Implica di fatto, in politica, in questo tempo storico, una via di mezzo,
come il transarmo (mezza giustizia) che propone Galtung, mentre vorrebbe il
disarmo (intera giustizia). Cosi' va cercata una via di mezzo tra il
partecipare volentieri alla guerra, e il ritirarsi: non per fare solo meta'
giustizia, ma perche' l'intera giustizia non e' ora possibile deciderla
insieme a tutti coloro che hanno con noi il compito di decidere, la via di
mezzo puo' essere mettere dei limiti (in quantita' e intensita') alla
guerra, e preparare il ritiro. La cosa importante e' che la mezza soluzione
sia nella direzione giusta, e non in quella ingiusta. Ovviamente, dobbiamo
cercare che modifiche del decreto lo avvicinino il piu' possibile al ritiro
dalla guerra.
L'etica, cio' che e' giusto, non si puo' sempre calare tale e quale in
politica, e non perche' non lo vogliamo, ma perche' non e' sempre possibile,
e perche' la decisione politica e' collettiva, cioe' e' composta da diverse
motivazioni etiche, e non solo dalla mia. Fai il paragone con le leggi
sull'aborto, sulla bioetica, ecc.: contro la pretesa clericale cattolica, le
leggi non realizzano (e non possono realizzare) il principio etico cattolico
(che e' anche sostanzialmente il mio, con qualche differenza), ma soltanto
la risultante di una mediazione sociale e politica, nella societa' plurale.
Cristiani cattolici sincerissimi e onestissimi, davvero contrari all'aborto
(come La Valle, Gozzini, e altri) elaborarono loro stessi la legge sulla
depenalizzazione dell'aborto, non certamente per favorirlo, ma per limitarlo
e prevenirlo, mentre ne accettavano necessariamente la realta' non
eliminabile, di fatto. Per questo votai nel referendum di allora per
mantenere la legge.
Io credo profondamente nella nonviolenza, ma so che e' un cammino, non un
volo, e camminare sporca i piedi, li fa anche sanguinare. Dove decido io
solo, devo essere nonviolento. Dove decido necessariamente insieme ad altri,
devo badare bene che volere tutto il meglio non faccia risultare di fatto la
decisione di un male peggiore: oggi, se cambia la maggioranza di governo (i
voti di Casini in luogo dei senatori obiettori, con l'effetto politico
inevitabile), sara' piu' facile continuare la guerra che prepararne il
ritiro! Possibile che non si veda il grande pericolo? Io temo - posso
sbagliare, come tutti e sempre - che qualche nonviolento tattico e tanti
nonviolenti sinceri corrano verso la posizione meno faticosa (e meno
responsabile) di affermare il principio disinteressandosi di dove va la
realta' ristretta e angosciosa. La nonviolenza e' oggi posta davanti alla
dura prova della politica, che e' fatta di passi parziali, lenti, non puri.
Davvero salvo piu' vite se mi tengo fuori lasciando che altri uccidano, o se
insieme a loro programmo un calo e un termine ai colpi omicidi? Mi preme di
piu' la mia purezza del non avere a che fare col male, oppure agire per
ridurre il male? So bene che la risposta non e' facile, non e' unica, non e'
senza angoscia e umiliazione e colpa. So che io non so rispondere con tutta
certezza. Ma so che la risposta "politica" va rispettata, come quella
puramente di principio. Non esistono soluzioni splendide. Ma decidere si
deve: ognuno si prenda la sua responsabilita'.

10. AMICIZIE. MAO VALPIANA: UNA LETTERA A ENRICO PEYRETTI
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it) per averci messo a
disposizione questa sua lettera a Enrico Peyretti in risposta a quella che
precede]

Caro Enrico,
so vedere bene la differenza tra etica e politica, ma insisto.
Noi siamo il Movimento Nonviolento che deve promuovere la "politica della
nonviolenza" con il massimo di chiarezza, limpidita', forza.
Chi e' presente nelle istituzioni e' chiamato alla "politica del palazzo" e
deve confrontarsi con il possibile. Ma chi e' oggi in parlamento trovera'
piu' argomenti e piu' forza per sostenere un compromesso al rialzo
(l'obiettivo e': via le truppe dalla guerra in Afghanistan) se noi sapremo
tenere ferma la barra che indica la strada della nonviolenza; dunque la
nostra non e' una posizione di principio, ma una posizione tutta politica.
Ciao,
Mao

11. MAESTRE. HANNAH ARENDT: ZEITGEIST
[Da Hannah Arendt, Ebraismo e modernita', Unicopli, Milano 1986,
Feltrinelli, Milano 1993, p. 119. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da
famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers;
l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in
Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del
Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di
attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei
diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi
lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati,
per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione
italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del
totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958),
Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato
e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano
2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino
2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth
Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi
critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto
Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli,
Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona
Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996;
Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati,
Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma
1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia
Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due
piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato
iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei
Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

Poiche' le condizioni in cui viviamo sono create dall'uomo, i morti si
impongono a noi e alle istituzioni che ci governano e rifiutano di
scomparire nelle tenebre in cui cerchiamo di gettarli.

12. RIFLESSIONE. BARBARA ROMAGNOLI INTERVISTA IRSHAD MANJI
[Dal quotidiano "Liberazione" del 6 luglio 2006.
Barbara Romagnoli (per contatti: duepunti2 at yahoo.it), giornalista e
saggista, e' nata e vive a Roma; laureata in filosofia con una tesi su
"Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo", si e' poi
interessata di studi di genere; collabora con varie testate (tra cui
"Liberazione", "Carta", "Marea").
Irshad Manji, Giornalista e scrittrice, nata in Uganda, residente in Canada,
e' un'intellettuale musulmana femminista fortemente impegnata per una
"riforma" della ricezione ed interpretazione dell'islam nel senso di una
maggiore consapevolezza e coerenza col senso profondo del messaggio
originario dell'islam (l'"abbandono" alla volonta' sommamente buona,
l'adesione fidente al sommo bene, la scelta dell'amore che unisce,
l'apertura alla nonviolenza) in opposizione alle ricezioni ed
interpretazioni maschiliste e violente, intolleranti e fanatiche,
autoritarie e fin criminali che ne travisano e tradiscono il messaggio di
pace e di rispetto della dignita' di tutti gli esseri umani. Opere di Irshad
Manji: Quando abbiamo smesso di pensare?, Guanda, Parma 2004. Irshad Manji
cura anche un sito: www.muslim-refusenik.com]

"Possono le nostre societa' restare aperte e pluraliste senza cadere nel
relativismo?". Questo l'interrogativo che da anni assilla Irshad Manji,
giornalista e scrittrice canadese, nata in Uganda e vissuta la' fino a 4
anni, musulmana e lesbica dichiarata. Famosa in tutto il mondo da quando ha
pubblicato The trouble with Islam (tradotto in italiano con il titolo Quando
abbiamo smesso di pensare? Un'islamica di fronte ai problemi dell'Islam,
Guanda, 2004), Irshad si batte con tenacia perche' la maggioranza degli
islamici prenda la parola per contrastare il fondamentalismo radicale e
difendere una diversa interpretazione dell'Islam, che possa conciliare i
valori religiosi con i diritti umani universali, dall'autodeterminazione per
le donne al rispetto e dialogo con tutte le possibili differenze.
L'abbiamo incontrata ad Amsterdam, nelle stesse ore in cui il premier
olandese Balkenende dava le dimissioni per il caso Hirsi Ali. In un
dibattito aperto Irshad si e' confrontata con Ceylan Pektas-Weber,
presidente dell'Organizzazione olandese di donne musulmane Al Nisa, su come
incoraggiare nuove interpretazioni dell'Islam. A partire dal fatto, per la
scrittrice molto importante, che in questi ultimi anni si assiste a una
duplice forma di aggregazione nel variegato mondo islamico: da un lato,
sempre piu' donne si riuniscono per contestare i valori tradizionali, e la
loro messa in discussione cerca soluzioni propositive, che non siano mere
omologazioni ai valori occidentali; dall'altro succede che molti giovani,
nell'orizzonte dello scontro di civilta' fomentato da tutti i
fondamentalismi, si riuniscano approdando a soluzioni piu' radicali attinte
dalla propaganda religiosa dell'Islam piu' oscurantista.
Irshad e' una donna dall'aspetto minuto e dal temperamento appassionato. A
fine serata non si e' sottratta ai tanti che l'hanno avvicinata, per
scambiare contatti o approfondire questioni sfiorate durante il dibattito, e
tra una battuta e l'altra ha concesso a "Liberazione" questa breve
intervista.
*
- Barbara Romagnoli: Quando ha maturato l'idea di scrivere un testo dal tono
cosi' provocatorio - per certi versi accusatorio - che invita tutte e tutti
i musulmani a tornare a pensare? Devono ripensare il Corano o anche il loro
rapporto con l'Occidente?
- Irshad Manji: Sicuramente ho scritto in tono provocatorio, ma non
accusatorio, cerco di smuovere e sollecitare discussioni. L'11 settembre ha
sicuramente segnato il momento in cui ho sentito piu' forte l'urgenza di
comunicare i miei pensieri. Ma in realta' erano anni che studiavo e
approfondivo la mia religione e i testi a cui si rifanno in molti.
Probabilmente a pensarci ora, se avessi pubblicato il libro prima dell'11
settembre in molti, anche tra i musulmani, non mi avrebbero prestato
attenzione. Ma certamente quello che si e' scatenato dopo l'11 settembre mi
ha stimolato a uscire pubblicamente perche' sono a rischio i diritti
fondamentali universali per tutti, musulmani e no. Credo che i musulmani
debbano ripensare sia il Corano, spesso manipolato e usato in maniera non
corretta, sia il loro modo di vivere i valori che arrivano dalle societa
occidentali.
*
- Barbara Romagnoli: Femminista e credente. Come si accordano nella sua
esperienza spiritualita' e politica?
- Irshad Manji: Non c'e' reale contraddizione tra il femminismo e l'Islam,
quindi tra la mia esperienza politica e il mio essere credente. Lo stesso
Maometto ha cambiato molte delle norme vigenti prima di lui, per esempio
fece bloccare l'uccisione delle bambine e venne rivisto anche il contratto
matrimoniale. Il problema resta l'interpretazione del Corano.
*
- Barbara Romagnoli: Cosa risponde alle donne, soprattutto alle giovani di
seconda generazione in paesi occidentali, che insistono nel dire che il velo
e' prescrizione obbligatoria del Corano?
- Irshad Manji: Che non e' vero che il velo sia una prescrizione, ma una
scelta. Sei libera di fare quello che vuoi, la scrittura dice che devi
essere modesta ma questo non vuol dire indossare veli parziali o completi.
Il Corano indica una modalita' di comportamento, sono gli uomini poi che
hanno deciso che le donne debbano indossare il niqab o l'hijab e coprirsi
dalla testa ai piedi. Loro considerano le donne un unico genitale dalla
testa ai piedi e per questo vogliono coprirle. Il velo e' dunque
effettivamente una restrizione imposta, che implica una limitazione della
liberta' femminile, ma io non posso obbligare un'altra donna a liberarsi,
deve sceglierlo da sola. Per questo credo che la legge francese, per quanto
imperfetta, sia un sostegno per le donne che vogliono liberarsi dal velo e
che hanno bisogno di una sponda a cui appoggiarsi. Questo non mi impedisce
di credere che per me il velo non sia una cosa positiva e non faccio
certamente come tante donne, soprattutto occidentali, che non sono d'accordo
con il velo ma non lo dicono per paura di offendere o riducono il fatto a
una questione culturale. Cosi' si cade nel terribile relativismo culturale
che purtroppo e' molto diffuso.
*
- Barbara Romagnoli: Cosa pensa di Amr Khaled, il famoso telepredicatore
musulmano? Pensa che possa essere utile il suo lavoro per evitare la
contrapposizione di civilta' e cercare una via musulmana alla democrazia?
- Irshad Manji: Sinceramente ne ho sentito solo parlare ma non lo conosco
bene, anche perche' in Canada non e' cosi' noto. Devo leggere o vedere
qualcosa prima di potermi esprimere. Ma e' un moderato?
- Barbara Romagnoli: Si', abbastanza... anche se dice che le donne debbano
portare il velo.
- Irshad Manji: Allora, con una battuta, potrei dire: Oh, e' un uomo! Non
diamogli altro potere!
*
- Barbara Romagnoli: Secondo lei, perche' e' cosi' difficile per i movimenti
sociali occidentali, da quello antiglobalizzazione a quello delle donne in
generale, assumere pienamente la questione di una riforma dell'Islam?
- Irshad Manji: E' una questione complessa, non credo di essere la persona
adatta per rispondere. Non ho mai capito perche' i leader delle sinistre
occidentali non prendano posizioni piu' nette. Credo che in questo modo si
rischi un'ambiguita' pericolosa e penso piu' in generale che si sia
abbandonato il terreno dei diritti umani universali. Penso che si abbia
paura di far arrabbiare la gente, di farla pensare!
*
- Barbara Romagnoli: Che prezzo ha pagato per scrivere il suo libro in
termini di relazioni umane, rischi per la sua vita o il suo lavoro?
- Irshad Manji: Penso che l'importante sia prendersi le proprie
responsabilita' e io cerco di farlo. Credo che l'assunzione di
responsabilita' sia una caratteristica delle societa' aperte, per quanto mi
riguarda dico quello che penso e me ne assumo le conseguenze. Ci sono stati
degli episodi di minacce o di pericolo, come quando a Toronto venne sventato
un'attentato dinamitardo e durante le indagini si scopri' che nelle mail
scambiate tra gli attentatori veniva fatto il mio nome, e la mail era
scritta in urdu! In un'altra sono stata indicata come possibile obiettivo
dopo Theo Van Gogh. Ma non ho paura, non posso averla. Anche se morissi
domani, io voglio continuare a lavorare in questa direzione, pensando che
sara' l'eredita' che lascio per chi verra' dopo.

13. LE ULTIME COSE. PROTERVO VILLANZONI: MANOSCRITTO TROVATO IN UNA
BOTTIGLIA

"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Perdindirindina, ma guarda che enormita' si trovano nelle bottiglie.
Dovrei proprio smettere di bere.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1350 dell'8 luglio 2006

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