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La nonviolenza e' in cammino. 1348
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1348
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 6 Jul 2006 00:21:19 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1348 del 6 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Federazione Universitaria Cattolica Italiana: No all'invio delle truppe italiane in Afghanistan (un appello del 6 novembre 2001) 2. Peppe Sini: Alex, Lidia, Gigi e le lacrime delle cose 3. Gino Strada: Una lettera al quotidiano "La Repubblica" 4. Enrico Piovesana intervista Fabio Mini 5. Rossana Rossanda: Prima di tutto i fatti 6. Enrica Bartesaghi: Appello per una commissione parlamentare d'inchiesta sui fatti di Genova del 2001 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. APPELLI. FEDERAZIONE UNIVERSITARIA CATTOLICA ITALIANA: NO ALL'INVIO DELLE TRUPPE ITALIANE IN AFGHANISTAN (UN APPELLO DEL 6 NOVEMBRE 2001) [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci fatto pervenire il seguente appello diffuso nel novembre 2001 dalla presidenza nazionale della Federazione universitaria cattolica italiana (n sigla: Fuci) sull'intervento militare dell'Italia nella guerra in Afghanistan] Appello della Federazione Universitaria Cattolica Italiana sull'intervento militare dell'Italia nella guerra in Afghanistan Roma, 6 novembre 2001 Ai parlamentari italiani Ai membri del governo e per conoscenza al Presidente della Repubblica * La Presidenza Nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (Fuci) in vista della votazione parlamentare sul sostegno all'azione militare in Afghanistan vuole esprimere il suo deciso invito a votare no alla proposta di invio delle truppe italiane. Ribadiamo anzitutto la nostra contrarieta' all'uso della guerra come strumento per la risoluzione di situazioni conflittuali, convinti che essa non rimuove le cause dell'ingiustizia ma aggiunge distruzioni e sofferenze e perpetua odi e rancori tra i popoli. In questo caso particolare temiamo che la guerra possa, paradossalmente, creare condizioni favorevoli al crescere di una mentalita' che giustifichi le azioni terroristiche. * Nello specifico: 1. Nutriamo seri dubbi sull'utilita' di questo tipo di contributo dell'Italia alla lotta al terrorismo. 2. Ci pare che una tale decisione sia troppo tardiva per non sembrare un discutibile tentativo di riconquistare credibilita' internazionale, come se l'autorevolezza di una nazione come l'Italia dipendesse dalla sua capacita' "a mostrare i muscoli". 3. Ci fa riflettere la modalita', a nostro avviso deresponsabilizzante, con cui il Parlamento affronta una scelta cosi' drammatica. 4. Ci preoccupa la gestione dell'informazione che pare sempre piu' impegnata ad orientare verso una "pubblica opinione" piuttosto che favorire l'espressione aperta e libera della "opinione pubblica". 5. Ci turba come non si tenga in sufficiente considerazione il risvolto simbolico che l'ingresso in guerra dell'Italia, che viene identificata con il centro della cristianita', potrebbe avere in ordine ad una presunta "guerra santa". * Nutriamo la speranza che i nostri parlamentari sappiano essere all'altezza della migliore tradizione culturale italiana che porta in se' la creativita' e la forza ideale del percorrere strade alternative alla belligeranza. Ci aspettiamo ancora che da una discussione responsabile e democratica del Parlamento possano scaturire proposte qualitativamente piu' significative per assicurare un contributo concreto e fattivo dell'Italia alla lotta al terrorismo internazionale. * Proponiamo: 1. Che invece di forze militari si offra la disponibilita' del nostro Paese ad inviare contingenti di protezione civile per contribuire in modo qualificato e incisivo al sostegno delle popolazioni civili. 2. Che venga intensificato l'investimento nell'attivita' diplomatica affinche' il nostro Paese risulti in prima linea sul fronte della mediazione politica nelle crisi che contribuiscono a rafforzare il fenomeno terroristico. 2. EDITORIALE. PEPPE SINI: ALEX, LIDIA, GIGI E LE LACRIME DELLE COSE [Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta', Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta" 1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta 2000; AA. VV., Una vita piu' semplice. Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e gli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa). Si vedano comunque almeno i fascicoli monografici di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di presentazione de La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli' (per richieste: tel. 054321422; fax 054330421, e-mail: unacitta at unacitta.it, sito: www.unacitta.it), ed il nuovo fascicolo edito dalla Fondazione nel maggio 2000; una nuova edizione ancora e' del 2004 (per richieste: tel. e fax 00390471977691, e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org); la Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (per informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org). Indirizzi utili: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100 Bolzano-Bozen, tel. e fax 00390471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. Nelle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004. Gigi Malabarba, senatore e gia' capogruppo in senato del Prc, e' stato segretario della commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito e membro del Copaco (il Comitato parlamentare di controllo sui servizi di informazione e sicurezza); operaio dell'Alfa Romeo di Arese per quasi trent'anni, dirigente della Fiom e poi coordinatore nazionale del Sin. Cobas, e' stato anche fortemente impegnato nella solidarieta' internazionale, ed editore e redattore della bella e non dimenticata rivista "Quetzal" per la liberazione dell'America Latina. Tra le opere di Gigi Malabarba: Dai Cobas al sindacato, Datanews, Roma 1995; Il salario sociale, Nuove edizioni internazionali, Milano 1999; 2001-2006: segreti e bugie di stato, Edizioni Alegre, Roma 2006] Lidia e Alex Vorrei sgombrare il campo da un possibile equivoco. Sebbene io sia null'altro che un semplice "quidam de populo" cerchero' fino alla fine di persuadere Lidia Menapace a votare contro i crediti di guerra; ma l'affetto e la stima che provo per Lidia resteranno in ogni caso immutati. Conosco Lidia da oltre trent'anni, e devo forse soprattutto a lei se sono diventato non solo un miglior militante ma anche una persona migliore, poiche' lei piu' di ogni altra persona mi fece capire trent'anni fa che chi vuole lottare per la liberazione dell'umanita' deve mettersi alla scuola del femminismo (e per i militanti maschi questo significava e significa anche che la prima lotta da condurre e' quella contro il fascista che e' in noi - dura, penosa lotta che da trent'anni mi agita e scuote), e quella lezione non ho piu' dimenticato e per sempre gliene saro' grato. Credo che Lidia oggi commetta un errore, cosi' come credetti che commettesse un errore Alex Langer quando si espresse in favore di un intervento bellico internazionale durante la guerra di secessione jugoslava per cercar di fermare gli orrori genocidi della "pulizia etnica" bombardando gli eserciti stragisti che stavano eseguendo la mattanza. Credevo allora, e credo ancora, che Alex sbagliasse, ma non sono mai riuscito ad esserne del tutto certo, alcuni suoi argomenti erano e restano assai persuasivi. E comunque neppure per un attimo la stima e l'affetto che nutrivo per Alex - e che nutro tuttora, nella memoria che non si estingue, e nella nostalgia per la sua bonta', il suo sorriso, la sua amicizia, la sua nonviolenza - sono mai venuti meno. Oggi credo che - mutatis mutandis - sbagli Lidia, ma naturalmente anche oggi non posso esserne del tutto certo: le ragioni che lei adduce a sostegno delle sue provvisorie conclusioni mi sembrano non solo ragionevoli ma anche in se' convincenti, sebbene mi sembri che siano flagrantemente incoerenti rispetto alle premesse condivise e mi sembri altresi' che Lidia si lasci distrarre per cosi' dire dagli alberi delle vicende e delle manovre politico-parlamentari italiane e non veda la foresta, ovvero cio' che sta accadendo in Afghanistan, e gli esiti nefasti che la decisione di proseguire comunque nella partecipazione militare italiana alla guerra palesemente implica. Ma non escludo che possa sbagliarmi io, e che abbia ragione lei nel suo doloroso travaglio (che so bene essere comunque inteso alla ricerca di un voto che per quanto possibile la guerra effettualmente contrasti): certo non la assimilo ai farabutti e agli assassini che della guerra sono corifei, e poi magari versano la lacrimuccia d'ordinanza quando i ragazzi italiani da loro mandati a uccidere e morire tornano incassati nelle bare. Questa mia professione di relativismo e di realismo, da materialista incallito diffidente di tutti i dogmi - poche' dalla vicenda storica mi e' parso di capire che dove c'e' un dogma presto verranno eretti roghi, e costruiti i campi -, e anche da amico della nonviolenza che sa che il saggio principio-cardine dell'azione politica di Gandhi sempre e' stato quello di "raggiungere dei buoni compromessi", non mi impedisce tuttavia di sostenere le mie opinioni sul quid agendum con la passione con cui le opinioni - non quelle accademiche, quelle sui fatti concreti, e relative quindi all'assunzione di responsabilita' per le sorti del mondo - vanno sostenute: le opinioni politiche che non appassionano valgono poco). * Ieri e oggi Se su questo foglio tanto si parla della posizione che prendera' Lidia non e' perche' lei possieda la bacchetta magica e possa chissa' cosa, ma e' perche' tutte e tutti quelli che questo foglio variamente condividiamo le vogliamo bene, come a una savia, sapiente compagna e una maestra molto ascoltata. Se ci permettiamo di pregarla di ascoltare adesso lei noi, noi che sempre ci siamo disposti all'ascolto delle sue parole - e che, come ha scritto una volta Luisa Muraro parlando di Simone Weil, quando le nostre opinioni divergono siamo istintivamente portati a pensare che lei abbia ragione e noi torto - non e' per metterla in conflitto con se stessa e col sentimento di lealta' verso i suoi colleghi parlamentari insieme a cui giustamente vuol discutere e decidere (nobile sentimento: ma sappiamo tutti fin troppo bene che i malfattori, i soverchiatori, i ricattatori strumentalizzano proprio i nobili sentimenti altrui quando vogliono vulnerare le persone buone), ma e' in primo luogo perche' ci sembra che lei stessa abbia saputo e voluto mantenere un atteggiamento di apertura in questa vicenda, e pur esprimendo un orientamento, non si e' preclusa la possibilita' di approfondire e sviluppare la sua posizione, ed io che scrivo queste righe confido che voglia farlo, e che voglia farsi promotrice di un'iniziativa parlamentare che sposti posizioni, che apra varchi alla pace, che contrasti l'accettazione supina della sottomissione alla guerra - la cosiddetta "mediazione" raggiunta nel Consiglio dei ministri essendo dal mio punto di vista nient'altro che la prosecuzione della partecipazione militare italiana alla guerra afgana condita da un po' di chiacchiere (quelle di cui il poeta disse che "il tanto sospirar nulla rileva") e da quattro baiocchi con cui cercar di comprare la complicita' degli sprovveduti o dei sedicenti pacifisti parastatali arruolati come truppe di complemento, cosi' come i conquistadores si portavano dietro i missionari affinche' la croce legittimasse la spada. Tre mesi fa scrissi poche righe che diedero origine a una valanga di pronunciamenti di tante persone a favore dell'idea che Lidia, donna, partigiana, femminista, amica della nonviolenza, sarebbe un'ottima presidente della Repubblica: le riscriverei oggi tali e quali. E qui mi fermo, perche' non vorrei che questo articolo sembrasse una lettera d'amore: sono felicemente sposato e adoro mia moglie. * Gigi Conosco da tanti, tanti anni anche Gigi Malabarba, e gli voglio un bene dell'anima. Posso talvolta non esser d'accordo con lui, ma sulla sua sincerita' e generosita' ci metto la mano sul fuoco. Trovo scandaloso che per essersi pronunciato secondo legge e secondo coscienza, in difesa della Costituzione e contro le uccisioni, per la pace e contro la guerra, per la verita' e contro l'ipocrisia, in questi giorni sia stato con procedimento classicamente totalitario messo sotto accusa come lunatico e mestatore: da quando fare il bene e' diventata una colpa? Da quando difendere la Costituzione e' un crimine? Da quando opporsi alla guerra e' una follia? * Un'ultima premessa in guisa di baruffa Vorrei sgombrare il campo dalle petizioni di principio e dagli argumenta ad personam perche' vorrei discutere dei fatti, dei duri, nudi fatti. Ma prima, ancora una premessa, per liberarci dell'ultimo equivoco: io non appartengo ai "senza se e senza ma", formula che ritengo totalitaria e sintomatica sia di una visione del mondo che mi spaventa, sia di quella "assenza di pensiero" che con stupenda lucidita' denunciava Hannah Arendt. Io non appartengo neppure al sedicente pacifismo squadrista (o agli squadristi ammiccante) che pensa che la violenza americana sia cattiva e quella antiamericana sia buona, che i manganelli della polizia facciano male e le mazze dei teppisti facciano bene, che l'omicidio commesso dal soldato dell'esercito regolare sia un crimine e quello commesso dal miliziano delle guerriglie sia una benedizione, che il terrorismo degli stati sia male e quello delle bande sia bene. Tutte le vittime hanno il volto di Abele: lo sapeva e ce lo disse Heinrich Boell, ora lo sappiamo tutti. E non appartengo neppure all'equivoca "sinistra radicale" che un giorno proclama - non si capisce bene a nome di chi - che "siamo tutti sovversivi" e il giorno dopo diventa punta di lancia della "guerra umanitaria". E non appartengo neanche al mondo delle onlus e delle ong che dopo tanto cicalare corrono col cappello in mano a mungere prebende dagli amici al potere, dal Comune a Palazzo Chigi, da Bruxelles a New York. Io sono oggi lo stesso di ieri: un militante della sinistra degli oppressi, e un amico della nonviolenza - non per fideismo, ma per analisi razionale, per scelta di rigore intellettuale e morale, e per esigenza di realismo nell'agire politico. Dopo i gulag e i lager, dopo Auschwitz e dopo Hiroshima, la scelta della nonviolenza e' l'unica scelta realistica per l'umanita'. Oggi l'alternativa non e' piu' solo tra socialismo (socialismo, non totalitarismo) o barbarie, oggi essa e' anche, e ancor prima, tra disarmo o apocalisse, tra scelta della nonviolenza che consente la prosecuzione dell'umana vicenda, o continuazione della guerra che - allo stadio attuale delle risorse tecnologiche a fini di distruzione - la civilta' umana inabissa nel nulla. * In medias res E qui finiscono le premesse ed entriamo nel cuore delle cose. Tra pochi giorni il parlamento sara' chiamato a votare il rifinanziamento della partecipazione militare italiana alla guerra afgana. Il governo in carica ha gia' decretato tale prosecuzione, ed alcuni ministri hanno persino tuonato contro i reprobi che non si genuflettono in adorazione dinanzi al dio Ares (altri ministri, piu' ipocriti e piu' navigati a tutte le malizie della scuola di Talleyrand, hanno tenuto ben altro profilo, ma condiviso le stesse decisioni, sanguinarie decisioni, magari sorridendo, del sorriso di Franti). E' opinione di chi scrive queste righe che il parlamento debba votare contro i crediti di guerra, per due precise ragioni, una de jure e una de facto. Quella de jure: la Costituzione italiana proibisce la partecipazione italiana a a quella guerra. E sulla fedelta' alla Costituzione a nessuno dovrebbe essere permesso di transigere, meno che mai a chi in forza di quella Costituzione esercita la funzione legislativa. Quella de facto: la guerra e' un crimine sempre, uccide, uccide e uccide esseri umani; e la guerra afgana si prolunga da decenni ormai: quanto ci vorra' per capire che occorre metter fine alle stragi e che per metter fine alle stragi occorre fermare la guerra, avviare il disarmo di tutte le parti, investire risorse su una politica del tutto alternativa, quella della nonviolenza? Perche' questo e' il punto, e questo e' cio' che differenzia le persone amiche della nonviolenza dai cialtroni di tutte le risme: che noi non diciamo, come quella vocetta assassina del sonetto del Belli, "Avanti alo', chi more more"; noi diciamo invece: basta con la guerra, basta con le armi, basta con gli eserciti, ed al loro posto aiuti umanitari, Corpi civili di pace, interposizione nonviolenta, azione nonviolenta, ricostruzione civile e democratica nonviolenta, sostegno alle donne afgane contro il fascismo patriarcale, sostegno ai contadini per sostituire le colture dell'oppio con colture per l'alimentazione e la manifattura, infrastrutture sanitarie, assistenziali, educative, di promozione di un sviluppo autocentrato con tecnologie appropriate: la politica internazionale della nonviolenza, la politica della nonviolenza giuriscostituente. * L'alternativa Ai parlamentari sensibili al valore della legalita' costituzionale e alla scelta della pace (ovvero: ai parlamentari che non vogliono commettere reati, ai parlamentari che non vogliono essere complici delle stragi) chiediamo di votare non solo secondo coscienza, ma con realismo politico: se essi divengono oggi complici della guerra e della violazione della Costituzione, domani potranno essere ancor piu' agevolmente ricattati dai malfattori che li hanno resi loro complici. Ai parlamentari sensibili al valore della legalita' costituzionale e alla scelta della pace (ovvero: ai parlamentari che non vogliono commettere reati, ai parlamentari che non vogliono essere complici delle stragi) chiediamo di difendere la civilta' giuridica e la norma morale, ma anche di proporre loro - di contro alla sciagurata attuale scelta governativa - una politica internazionale degna di questo nome: e alla proposta insana formulata dal governo contrapporre una proposta ragionevole che si incardini su due principi: cessazione della partecipazione italiana alla guerra, avvio di un grande piano di intervento nonviolento e di aiuti umanitari accompagnato da un'azione diplomatica in sede Onu e in sede Ue per il disarmo, il disarmo, il disarmo. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. Che tutte e tutti si esca dall'apatia, dalla rassegnazione, dalla subalternita': la nonviolenza e' in cammino. 3. AFGHANISTAN. GINO STRADA: UNA LETTERA AL QUOTIDIANO "LA REPUBBLICA" [Dal quotidiano "La Repubblica" del 27 giugno 2006. Gino Strada, medico chirurgo impegnato in aree di guerra, fondatore dell'associazione umanitaria "Emergency", e' una delle voci piu' nitide e influenti del movimento pacifista italiano; tra le sue pubblicazioni: Pappagalli verdi, Feltrinelli, Milano; Buskashi', Feltrinelli, Milano] Caro direttore, "Sostiene una parte della sinistra radicale... che l'Italia non debba mandare in Afghanistan soldati: semmai medici. Non blindati: ospedali da campo. Non aerei da combattimento: sale operatorie" ha scritto ieri Guido Rampoldi. "E' una idea di" ha precisato subito dopo. Non so perche' il signor Rampoldi si diverta a classificarmi di fatto come appartenente alla "sinistra radicale". Io sono contro la guerra. Non perche' la pace mi sembri "un valore di sinistra". Sarebbe azzardato, e poco rispettoso della storia passata e recente. Sono contro la guerra per la violenza di massa che ogni guerra erutta, e di cui ho visto molti tragici frammenti in vent'anni di lavoro tra i conflitti. Sono contro la guerra perche' ne ho conosciuto le vittime. Sono contro la guerra perche' credo sia necessario e urgente disegnare un mondo non piu' basato sulla violenza e sull'aggressione militare, economica, culturale, ambientale. * Nel 1932 a Ginevra, Albert Einstein dichiaro' in conferenza stampa ai giornalisti di tutto il mondo: "La guerra non si puo' umanizzare, si puo' solo abolire". Anche se oggi molti "opinionisti" bollerebbero il pensiero di Einstein di mancanza di realismo, di utopia, forse anche di stupidita', io sono convinto che Einstein avesse del tutto ragione. Confesso anche di credere fino in fondo in un altro documento importante nella storia umana quale il Manifesto del 1955 di Bertrand Russell e dello stesso Einstein. Rivolgendosi "da esseri umani" ai governanti del mondo, e insieme alla coscienza di tutti, i due scienziati scrissero: "Questo allora e' il problema che vi poniamo davanti, reale, terribile, non eludibile: dobbiamo mettere fine alla razza umana oppure l'umanita' deve rinunciare alla guerra?". L'alternativa e' questa, non altra. L'abolizione della guerra e' la prima garanzia di futuro per l'umanita' e per il pianeta. Finche' la guerra restera' tra le "opzioni possibili" di fronte a problemi anche gravi, ci sara' sempre chi - per una ragione o per l'altra - finira' col ricorrervi. E guerra, nel Terzo millennio, significa impiego (presente, imminente o futuro) di tecnologie di distruzione di massa un milione di volte superiori alla bomba di Hiroshima. Vogliamo entrare - se gia' non ci siamo - nella roulette del rischio, anche se in palio ci potrebbe essere, come dice Noam Chomsky, "la fine dell'esperimento umano"? L'umanita' deve rinunciare alla guerra. Utopico, ma non piu' di quanto fossero utopiche, nei decenni e secoli passati, l'eliminazione del vaiolo o l'abolizione della schiavitu'. Semplicemente, non si erano ancora realizzate. Penso, banalmente, che l'abolizione della guerra - che ha anche bisogno di una nuova etica e di nuovi comportamenti collettivi basati sulla costruzione e la pratica dei diritti di tutti - sia la cosa piu' bella, razionale e intelligente che gli esseri davvero umani possano fare. Non e' utopia "di sinistra", o di "sinistra radicale". E' un lavoro e un compito che sta di fronte, ancora cinquant'anni dopo, a tutti "gli esseri umani, membri della specie homo, la cui esistenza minaccia di non continuare", come scrisse Russell. * In Emergency troviamo sintonie con quelle parole: nascono dal nostro lavoro, creare ospedali. Luoghi "ospitali" dove chi ha bisogno, senza discriminazione alcuna, viene curato perche' e' suo diritto, non nostra discrezione. Non e' "una idea di Gino Strada", e' la pratica di Emergency. Il senso della nostra presenza in Afghanistan e' tutto dentro il milione e centomila persone curate in sette anni in questo Paese. Un piacevole "effetto collaterale" e' che si stabiliscono spesso rapporti di solidarieta' e amicizia con molte persone di qui. "Taliban e bande alleate hanno preso ad uccidere i medici e gli infermieri... se dunque un qualche migliaio di medici europei - asserisce Rampoldi - si sparpagliasse per il sud dell'Afghanistan senza alcuna protezione militare, i piu' non arriverebbero vivi alla fine della settimana". Emergency ha un Centro chirurgico per vittime di guerra a Lashkargah, nel profondo sud talebano, come si usa dire. Un ospedale intitolato a un grande uomo di cultura e di pace, Tiziano Terzani. Da anni a Lashkargah i nostri medici e infermieri, molti italiani, ma anche inglesi, statunitensi, russi, canadesi... lavorano e addestrano il personale afgano, e incontrano il rispetto e perfino l'affetto della popolazione. Sono arrivati stanchi, ma vivissimi, a piu' di cento fine settimana. Non e' la "protezione militare" che protegge i medici, signor Rampoldi. I medici sono protetti quando e in quanto si comportano da medici, al servizio solo dei bisogni di esseri umani sofferenti. Senza distinzioni. Quando si agisce "da medici" - e non da medici "di supporto" ad altre operazioni - la protezione militare non solo e' inutile, diventa fattore di rischio. Per noi e per i nostri pazienti. I cartelli "Niente armi" che stanno alla porta di tutti i nostri ospedali non sono la' per caso. Senza armi intorno, si e' piu' protetti. 4. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA INTERVISTA FABIO MINI [Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo questa intervista del 20 giugno 2006. Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter.net", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; nel maggio 2004 e' stato in Afghanistan in qualita' di inviato Fabio Mini, come e' noto, e' un generale dell'esercito italiano dotato di vastissima esperienza internazionale, di acuto giudizio e nitida scrittura. Come abbiamo piu volte avuto occasione di dire e' una persona, e un autore, da cui gli amici della nonviolenza hanno molto da imparare. Tra le opere di Fabio Mini: Comandare e comunicare, Alinari, Firenze 1989, L'altra strategia, Franco Angeli, Milano 1998; La guerra dopo la guerra, Einaudi, Torino 2003. Dalla medesima fonte dell'intervista estraiamo anche la seguente scheda biobibliografica tratta da "Analisi Difesa" (in cui peraltro non e' citato l'ultimo e a nostr avviso fondamentale libro di Mini, La guerra dopo la guerra): "Fabio Mini e' Tenente Generale dell'Esercito Italiano. Le sue specializzazioni militari includono quelle in missili anticarro e difesa Nbc, ufficiale addetto alla Pubblica Informazione della Nato, Ispettore Cbm per gli Accordi di Stoccolma ed in Operazioni Psicologiche. Ha comandato tutti i livelli di unita' meccanizzate, dal plotone alla brigata. Il suo ultimo incarico operativo e' stato quello di comandante della Brigata "Legnano" durante l'operazione "Vespri siciliani" contro il crimine organizzato in Sicilia. E' stato in seguito responsabile della preparazione, addestramento e primo schieramento della Brigata in Somalia. I suoi incarichi di Stato Maggiore comprendono quelli di Ufficiale alle Operazioni e Difesa Nbc presso il IV Reggimento Corazzato, e di Capo Sezione di Stato Maggiore presso la Brigata meccanizzata "Granatieri di Sardegna". Dal 1979 al 1981 e' stato assegnato negli Stati Uniti presso la IV Divisione di Fanteria a Fort Carson, nel Colorado, dove ha svolto gli incarichi di Ufficiale addetto ai Piani ed Operazioni, Secondo in Comando della Divisione Esercitazioni e Valutazioni (EED) e Capo della Divisione Esercitazioni e Valutazioni/Centro Simulazione Combattimento. Al suo ritorno in Italia ha prestato servizio quale Ufficiale addetto al Reparto Impiego del Personale dello Stato Maggiore dell'Esercito, Capo dell'Ufficio Studi e Coordinamento dello Stato Maggiore dell'Esercito, Capo dell'Ufficio Pubblica Informazione e Portavoce del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Dal 1993 al 1996 ha svolto l'incarico di Addetto militare a Pechino, Repubblica Popolare Cinese. Con il grado di Generale di Divisione, ha diretto l'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (Issmi). Nel 1999 ha svolto due incarichi concomitanti presso lo Stato Maggiore della Difesa quali Capo dell'Ufficio Generale per le Comunicazioni e la Pubblica Informazione e Capo dell'Ufficio Generale di "Euroformazione". A partire dal gennaio 2001 ha assunto la funzione di Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani. Nel 2002 il generale Mini ha assunto il comando delle operazioni di pace in Kosovo a guida Nato (Kfor). Le sue decorazioni comprendono l'Ordine al Merito della Repubblica Italiana (Omri), la Medaglia al Merito Mauriziana, la Medaglia di Lungo Comando, la "U.S. Army Commendation Medal" e la Medaglia "Ba Yi" della Repubblica Popolare Cinese. Ha scritto molto su questioni militari, strategiche e geopolitiche. Tra i suoi lavori i libri: Comandare e comunicare (Alinari, Firenze 1989), e L'altra strategia (Franco Angeli, Milano 1998). E' autore di oltre venti saggi e di molti articoli pubblicati su riviste militari e civili come "La Rivista Militare", "Limes" e "Heartland". Nel 2001 ha curato la versione italiana del libro Guerra senza limiti, i cui autori sono i colonnelli della Repubblica Popolare Cinese Qiao Liang e Wang Xiaosui. Ha fondato e continua a dirigere "Newstrategy", un istituto di ricerca e studio non a scopo di luc ro. E' membro delle Conferenze Mondiali Pugwash e del Comitato scientifico di "Limes". Svolge regolarmente seminari informativi presso le scuole ed i centri di addestramento nazionali dei Servizi di intelligence su questioni strategiche dell'Asia, dell'Estremo Oriente e sul terrorismo e crimine organizzato"] La situazione in Afghanistan peggiora di giorno in giorno. Gli Usa e la Nato, che guida la missione Isaf, chiedono a tutti gli alleati un maggiore contributo militare. All'Italia, nello specifico, il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Jaap de Hoop Scheffer, ha chiesto un incremento del nostro contingente (attualmente di circa 1.300 uomini). Il governo italiano sta ora valutando l'invio di sei cacciabombardieri Amx, di elicotteri da combattimento e di un contingente di forze speciali. * - Enrico Piovesana: Generale Mini, non le pare che simili mezzi e forze siano poco compatibili con una missione "di pace"? - Fabio Mini: Il problema dell'ampliamento della missione Isaf-Nato, e quindi anche della partecipazione militare italiana, e' di carattere giuridico prima che operativo. In quanto tale, esso diventa istituzionale e non puo' essere lasciato alla sola valutazione tecnico-militare. Il problema nasce dall'inserimento di Isaf in un contesto artificiosamente dichiarato post-bellico e dalla sottovalutazione della capacita' dei guerriglieri talebani di costituire un'aperta minaccia nei riguardi delle forze Usa, del governo di Kabul e di chiunque lo appoggi. * - Enrico Piovesana: Quindi secondo lei, generale, non e' vero che la guerra in Afghanistan e' finita, come tutti continuano a dire? - Fabio Mini: La guerra contro i talebani, parte essenziale di Enduring Freedom, non e' mai finita. Gli Stati Uniti hanno ridotto le forze e altre nazioni hanno dato un modesto contributo, ma la guerra si e' spostata laddove si spostavano i resti del precedente regime afgano. Queste forze si sono riorganizzate e, con l'aiuto esterno, stanno destabilizzando vaste aree del paese. Nessuno ha dichiarato la fine delle ostilita' con i talebani. E' stata anche scartata l'idea di convocare i talebani a un tavolo della pace e imporre le condizioni dei vincitori perche' cosi' facendo si sarebbe riconosciuta la legittimita' internazionale del loro governo, che non era stato riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma che era stato interlocutore ufficiale di tutti e perfino degli Stati Uniti. Ne' nessuno ha pensato a trascinare cio' che restava della dirigenza talebana sconfitta davanti ad un tribunale internazionale per crimini contro l'umanita'. L'operazione Enduring Freedom, la guerra contro i talebani, continua ed e' stata inserita nel quadro piu' vasto della "Guerra al Terrore". Il che significa che e' destinata a durare ancora a lungo. * - Enrico Piovesana: Una guerra che gli Stati Uniti, impegnati altrove, vogliono lasciar combattere agli alleati Nato, Italia compresa, che pero' sono in Afghanistan nell'ambito di una missione che non e' di guerra. Se la missione Isaf della Nato "eredita" la guerra Enduring Freedom degli Usa non si crea un cortocircuito, una sovrapposizione poco chiara tra due missioni di natura diversa? - Fabio Mini: Oggi, le forze di Enduring Freedom non sono oggettivamente sufficienti a controllare militarmente il territorio minacciato, ed e' per questo che gli Stati Uniti hanno chiesto alla Nato un maggior coinvolgimento. Ma per giustificarlo non si e' chiesto di partecipare alla guerra e ampliare Enduring Freedom. Si e' preferito rimanere ancorati al criterio iniziale di Isaf, ovvero al quadro di una missione che - come dice il suo stesso nome - e' di assistenza al mantenimento della sicurezza in appoggio al governo di Kabul. Il progetto di Isaf, inizialmente concentrato solo nella capitale afgana, prevedeva che, mano a mano che l'autorita' del nuovo governo veniva riconosciuta e che veniva negoziato lo scioglimento delle milizie personali dei signori della guerra locali, le forze di sicurezza afgane avrebbero progressivamente esteso il proprio controllo ad altri territori, con il sostegno di Isaf laddove necessario. * - Enrico Piovesana: Quindi lo scopo originario della missione Isaf era solo quello di sostenere la graduale espansione dell'autorita' del nuovo governo di Kabul nelle zone gia' "pacificate" dalla missione Enduring Freedom. Ma nella realta' non e' questo che sta accadendo: Isaf si sta sostituendo a Enduring Freedom nella fase di "pacificazione" di un territorio. Non e' cosi'? - Fabio Mini: Le zone prescelte per l'ampliamento di Isaf, ovvero il sud dell'Afghanistan, non sono quelle pacificate da Enduring Freedom, ma anzi proprio quelle in cui la guerra contro i talebani continua con vere e proprie offensive militari, seppur di carattere asimmetrico. Chi assume la responsabilita' della sicurezza in queste aree si deve predisporre per fare due cose: la guerra contro i talebani, al posto o al fianco degli Usa, o la repressione di una rivolta armata interna, al fianco o al posto del governo afgano - un governo che molti degli stessi signori della guerra che ne fanno parte considerano ininfluente, che molti ribelli considerano illegittimo e che i talebani considerano d'usurpazione. * - Enrico Piovesana: Ma se Isaf e' diventata una missione di guerra ereditando di fatto le funzioni di Enduring Freedom - il che spiega la necessita' di mandare cacciabombardieri e forze speciali - non lo si dovrebbe dire chiaramente? Non ci dovrebbe essere una seria e franca discussione sul mutamento del mandato Isaf? - Fabio Mini: Il fatto che i contingenti Isaf dovranno farsi carico della guerra ai talebani, per conto di Washington o di Kabul, impone senza dubbio la necessita' di un esame serio della situazione e lo scioglimento dei nodi giuridici. Non ci sono dubbi che in ambito Nato e in Italia si possa fare serenamente. Se si decide per l'opzione militare, il vero impegno istituzionale diventa quello di calibrare lo strumento militare da costituire e le regole d'ingaggio in relazione alla reale situazione e a un nuovo mandato. La cosa peggiore che possa succedere e' che si assumano nuovi impegni e nuovi rischi mantenendo i vecchi criteri d'impiego e le ipocrisie di sempre: fingendo che la situazione sia "normale", ignorando o negando l'evidenza della sovrapposizione di Isaf a Enduring Freedom, spacciando per ricognitori di campi d'oppio dei cacciabombardieri e per missionari di pace degli incursori e sabotatori superaddestrati all'infiltrazione in territorio ostile e alla guerra asimmetrica. 5. AFGHANISTAN. ROSSANA ROSSANDA: PRIMA DI TUTTO I FATTI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 luglio 2006. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Prima di tutto i fatti. La guerra in Afghanistan, primo atto di Enduring Feedom, voleva punire al Qaeda per l'attacco alle Due Torri dell'11 settembre 2001. E' durata pochi mesi. Ma da allora ai cinque anni seguiti i morti civili sono circa 50.000 - teste il "New York Times". Sul montagnoso paese e' stato sganciato altrettanto esplosivo di quello lanciato dagli alleati nella seconda guerra mondiale - sempre teste il "New York Times". Nessun centro di Al Qaeda vi e' stato scovato e distrutto, i signori della guerra e della droga hanno ripreso le loro gesta al nord, i talibani sono rispuntati al sud, il presidente Karzai non e' preso sul serio da nessuno, lo smercio internazionale dell'oppio prospera e le donne si muovono prudentemente in burqa. Le denunce del gruppo femminista Rawa non sono ascoltate, Emma Bonino vede solo che alcune migliaia di bambine vanno a scuola - importante - almeno finche' la situazione, che ha ripreso a infiammarsi, lo permettera'. * Non e' cosi'? E' cosi'. Ma nel programma del centrosinistra l'Afghanistan non era nominato. Serieta' vorrebbe che nel proporre il rifinanziamento della missione il governo ne tenesse conto. E ammettesse che, nella riaccesa conflittualita' del paese, il nostro contingente sara' sottoposto agli stessi pericoli che in Iraq. E spieghi quanto della spesa vada al suo mantenimento e quanto in aiuto alla popolazione: come nell'Iraq, il rapporto e', se non sbaglio, di quattro a uno. Dopo di che il governo chieda il voto, se crede, ma non perche' stiamo assistendo gli afghani o minando le basi ideali e sociali dei talibani, ma perche' la spedizione e' stata benedetta cinque anni fa, non senza qualche tortuosita', dalle Nazioni Unite e se ora gli Stati Uniti la scaricano sulla Nato, e' perche' la Nato e' diventata, senza nostra obiezione, da fronte di eventuale difesa, fronte d'attacco della guerra preventiva. Puo darsi che ai suoi primi passi sia difficile a Prodi ribaltare l'adesione alle scelte dell'amministrazione Bush, non esistendo in Europa una politica di ricambio. Ma non deve aprire la discussione sul bilancio attuale di Endurig Freedom? E'disastroso. Nulla cedendo sulla inaccettabilita' del modello fondamentalista, e' d'obbligo chiedersi se e' con la guerra preventiva, non dichiarata, asimmetrica, eccetera, che si riesce a farvi fronte. * Il governo di centrosinistra e' tenuto a rispondere anche al movimento pacifista perche' deve la sua esile vittoria anche al suo appoggio, ed esso non si e' delegato a nessuna sigla della coalizione. Durante la campagna elettorale non si e' avvertito: "Vedremo se" possiamo ripudiare la partecipazione alle guerre e relative occupazioni. Si e' detto che le ripudiavamo. Non si riesce a farlo da un giorno all'altro? Lo si dica. Ma non ci si prenda in giro con l'operazione di "polizia internazionale". Come non e' cosa da poco che otto senatori della sinistra siano tagliati fuori perche' dicono di no. Se venga prima la coerenza o il non mettere in difficolta' il fragile governo sono ambedue questioni di coscienza. Ma non ci si dica che se l'Udc garantira' i voti mancanti a sinistra sara' un "allargamento". Sara' una sostituzione. Sara' il doroteismo dei due forni. Parte della Margherita non nasconde che amerebbe sbarcare la sinistra radicale e accogliere l'Udc nel suo seno. L'Unione non ci ha pensato? ci pensi. 6. APPELLI. ENRICA BARTESAGHI: APPELLO PER UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUI FATTI DI GENOVA DEL 2001 [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 luglio 2006. Enrica Bartesaghi (per contatti: bartesaghie at tele2.it), nata in provincia di Lecco nel 1954, presidente del comitato "Verita' e giustizia per Genova" (sito: www.veritagiustizia.it), e' autrice del libro Genova, il posto sbagliato. La Diaz, Bolzaneto, il carcere: diario di una madre, Nonluoghi libere edizioni, 2004] Da cinque anni il comitato "Verita' e giustizia per Genova" organizza e partecipa a convegni, per tenere alta l'attenzione, per sostenere e dar voce alle vittime della repressione, per informare sulle indagini e sui procedimenti penali in corso. Il nostro Comitato raccoglie fondi a sostegno delle spese legali per tutti i processi in corso a Genova e la segreteria legale puo' svolgere la propria attivita' grazie ai locali messi a disposizione dal nostro Comitato. Tutto questo nel piu' assordante silenzio di quasi tutti i media e della societa' civile: su Genova e' in corso una censura "bipartisan". Per richiamare l'attenzione sui processi in corso abbiamo istituito un Osservatorio internazionale col compito di vigilare sui processi e svolgere cosi' un ruolo di verifica. La prescrizione incombe e non sappiamo se arriveremo in tempo alla conclusione del primo grado di giudizio, intanto i principali responsabili della mattanza alla Diaz e delle torture di Bolzaneto sono stati ripetutamente promossi. Da cinque anni chiediamo una commissione d'inchiesta sui fatti di Genova ed insieme a "Piazza Carlo Giuliani" e Arci, abbiamo raccolto e presentato in Parlamento (nel giugno del 2005) le firme di diecimila cittadini italiani a sostegno di questa richiesta. Il nuovo parlamento puo' e deve fare la sua parte, come previsto dal programma dell'Unione, istituendo una commissione d'inchiesta. Abbiamo perso cinque anni e non possiamo aspettare oltre. La Commissione parlamentare d'inchiesta e' una necessita' democratica: la gravissima lesione costituzionale del 2001 puo' essere sanata solo attraverso una operazione di trasparenza che restituisca credibilita alle istituzioni. Non possiamo prevedere come la Commissione operera' ed a quali risultati approdera' ma possiamo e dobbiamo richiedere che venga istituita, al piu' presto. Enrica Bartesaghi, presidente del Comitato "Verita' e giustizia per Genova" 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1348 del 6 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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