La nonviolenza e' in cammino. 1348



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1348 del 6 luglio 2006

Sommario di questo numero:
1. Federazione Universitaria Cattolica Italiana: No all'invio delle truppe
italiane in Afghanistan (un appello del 6 novembre 2001)
2. Peppe Sini: Alex, Lidia, Gigi e le lacrime delle cose
3. Gino Strada: Una lettera al quotidiano "La Repubblica"
4. Enrico Piovesana intervista Fabio Mini
5. Rossana Rossanda: Prima di tutto i fatti
6. Enrica Bartesaghi: Appello per una commissione parlamentare d'inchiesta
sui fatti di Genova del 2001
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. APPELLI. FEDERAZIONE UNIVERSITARIA CATTOLICA ITALIANA: NO ALL'INVIO DELLE
TRUPPE ITALIANE IN AFGHANISTAN (UN APPELLO DEL 6 NOVEMBRE 2001)
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
fatto pervenire il seguente appello diffuso nel novembre 2001 dalla
presidenza nazionale della Federazione universitaria cattolica italiana (n
sigla: Fuci) sull'intervento militare dell'Italia nella guerra in
Afghanistan]

Appello della Federazione Universitaria Cattolica Italiana sull'intervento
militare dell'Italia nella guerra in Afghanistan
Roma, 6 novembre 2001
Ai parlamentari italiani
Ai membri del governo
e per conoscenza al Presidente della Repubblica
*
La Presidenza Nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana
(Fuci) in vista della votazione parlamentare sul sostegno all'azione
militare in Afghanistan vuole esprimere il suo deciso invito a votare no
alla proposta di invio delle truppe italiane.
Ribadiamo anzitutto la nostra contrarieta' all'uso della guerra come
strumento per la risoluzione di situazioni conflittuali, convinti che essa
non rimuove le cause dell'ingiustizia  ma aggiunge distruzioni e sofferenze
e perpetua odi e rancori tra  i popoli. In questo caso particolare temiamo
che la guerra possa, paradossalmente, creare condizioni favorevoli al
crescere di una mentalita' che giustifichi le azioni terroristiche.
*
Nello specifico:
1. Nutriamo seri dubbi sull'utilita' di questo tipo di contributo
dell'Italia alla lotta al terrorismo.
2. Ci pare che una tale decisione sia troppo tardiva per non sembrare un
discutibile tentativo di riconquistare credibilita' internazionale, come se
l'autorevolezza di una nazione come l'Italia dipendesse dalla sua capacita'
"a mostrare i muscoli".
3. Ci fa riflettere la modalita', a nostro avviso deresponsabilizzante, con
cui il Parlamento affronta una scelta cosi' drammatica.
4. Ci preoccupa la gestione dell'informazione che pare sempre piu' impegnata
ad orientare verso una "pubblica opinione" piuttosto che favorire
l'espressione aperta e libera della "opinione pubblica".
5. Ci turba come non si tenga in sufficiente considerazione il risvolto
simbolico che l'ingresso in guerra dell'Italia, che viene identificata con
il centro della cristianita', potrebbe avere in ordine ad una presunta
"guerra santa".
*
Nutriamo la speranza che i nostri parlamentari sappiano essere all'altezza
della migliore tradizione culturale italiana che porta in se' la creativita'
e la forza ideale del percorrere strade alternative alla belligeranza. Ci
aspettiamo ancora che da una discussione responsabile e democratica del
Parlamento possano scaturire proposte qualitativamente piu' significative
per assicurare un contributo concreto e fattivo dell'Italia alla lotta al
terrorismo internazionale.
*
Proponiamo:
1. Che invece di forze militari si offra la disponibilita' del nostro Paese
ad inviare contingenti di protezione civile per contribuire in modo
qualificato e incisivo al sostegno delle popolazioni civili.
2. Che venga intensificato l'investimento nell'attivita' diplomatica
affinche' il nostro Paese risulti in prima linea sul fronte della mediazione
politica nelle crisi che contribuiscono a rafforzare il fenomeno
terroristico.

2. EDITORIALE. PEPPE SINI: ALEX, LIDIA, GIGI E LE LACRIME DELLE COSE
[Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e'
tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite
iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una
sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose
di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata
pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986
(poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie
di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua
scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La
scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero.
Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo,
Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin
1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma
1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and
Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta',
Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta"
1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005; Lettere
dall'Italia, Editoriale Diario, Milano 2005. Opere su Alexander Langer:
Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La
meridiana, Molfetta 2000; AA. VV., Una vita piu' semplice. Biografia e
parole di Alexander Langer, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005. Si
sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e gli interventi
(Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative
e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente
dispersa). Si vedano comunque almeno i fascicoli monografici di "Azione
nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di
presentazione de La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una
citta'", Forli' (per richieste: tel. 054321422; fax 054330421, e-mail:
unacitta at unacitta.it, sito: www.unacitta.it), ed il nuovo fascicolo edito
dalla Fondazione nel maggio 2000; una nuova edizione ancora e' del 2004 (per
richieste: tel. e fax 00390471977691, e-mail: info at alexanderlanger.org,
sito: www.alexanderlanger.org); la Casa per la nonviolenza di Verona ha
pubblicato un cd-rom su Alex Langer (per informazioni: tel. 0458009803; fax
0458009212; e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org).
Indirizzi utili: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49
Lauben, 39100 Bolzano-Bozen, tel. e fax 00390471977691; e-mail:
info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org
Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara
nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento
cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle
donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino.
Nelle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La
maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa
in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968;
L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004.
Gigi Malabarba, senatore e gia' capogruppo in senato del Prc, e' stato
segretario della commissione parlamentare d'inchiesta sull'uranio impoverito
e membro del Copaco (il Comitato parlamentare di controllo sui servizi di
informazione e sicurezza); operaio dell'Alfa Romeo di Arese per quasi
trent'anni, dirigente della Fiom e poi coordinatore nazionale del Sin.
Cobas, e' stato anche fortemente impegnato nella solidarieta'
internazionale, ed  editore e redattore della bella e non dimenticata
rivista "Quetzal" per la liberazione dell'America Latina. Tra le opere di
Gigi Malabarba: Dai Cobas al sindacato, Datanews, Roma 1995; Il salario
sociale, Nuove edizioni internazionali, Milano 1999; 2001-2006: segreti e
bugie di stato, Edizioni Alegre, Roma 2006]

Lidia e Alex
Vorrei sgombrare il campo da un possibile equivoco.
Sebbene io sia null'altro che un semplice "quidam de populo" cerchero' fino
alla fine di persuadere Lidia Menapace a votare contro i crediti di guerra;
ma l'affetto e la stima che provo per Lidia resteranno in ogni caso
immutati. Conosco Lidia da oltre trent'anni, e devo forse soprattutto a lei
se sono diventato non solo un miglior militante ma anche una persona
migliore, poiche' lei piu' di ogni altra persona mi fece capire trent'anni
fa che chi vuole lottare per la liberazione dell'umanita' deve mettersi alla
scuola del femminismo (e per i militanti maschi questo significava e
significa anche che la prima lotta da condurre e' quella contro il fascista
che e' in noi - dura, penosa lotta che da trent'anni mi agita e scuote), e
quella lezione non ho piu' dimenticato e per sempre gliene saro' grato.
Credo che Lidia oggi commetta un errore, cosi' come credetti che commettesse
un errore Alex Langer quando si espresse in favore di un intervento bellico
internazionale durante la guerra di secessione jugoslava per cercar di
fermare gli orrori genocidi della "pulizia etnica" bombardando gli eserciti
stragisti che stavano eseguendo la mattanza. Credevo allora, e credo ancora,
che Alex sbagliasse, ma non sono mai riuscito ad esserne del tutto certo,
alcuni suoi argomenti erano e restano assai persuasivi. E comunque neppure
per un attimo la stima e l'affetto che nutrivo per Alex - e che nutro
tuttora, nella memoria che non si estingue, e nella nostalgia per la sua
bonta', il suo sorriso, la sua amicizia, la sua nonviolenza - sono mai
venuti meno.
Oggi credo che - mutatis mutandis - sbagli Lidia, ma naturalmente anche oggi
non posso esserne del tutto certo: le ragioni che lei adduce a sostegno
delle sue provvisorie conclusioni mi sembrano non solo ragionevoli ma anche
in se' convincenti, sebbene mi sembri che siano flagrantemente incoerenti
rispetto alle premesse condivise e mi sembri altresi' che Lidia si lasci
distrarre per cosi' dire dagli alberi delle vicende e delle manovre
politico-parlamentari italiane e non veda la foresta, ovvero cio' che sta
accadendo in Afghanistan, e gli esiti nefasti che la decisione di proseguire
comunque nella partecipazione militare italiana alla guerra palesemente
implica. Ma non escludo che possa sbagliarmi io, e che abbia ragione lei nel
suo doloroso travaglio (che so bene essere comunque inteso alla ricerca di
un voto che per quanto possibile la guerra effettualmente contrasti): certo
non la assimilo ai farabutti e agli assassini che della guerra sono corifei,
e poi magari versano la lacrimuccia d'ordinanza quando i ragazzi italiani da
loro mandati a uccidere e morire tornano incassati nelle bare.
Questa mia professione di relativismo e di realismo, da materialista
incallito diffidente di tutti i dogmi - poche' dalla vicenda storica mi e'
parso di capire che dove c'e' un dogma presto verranno eretti roghi, e
costruiti i campi -, e anche da amico della nonviolenza che sa che il saggio
principio-cardine dell'azione politica di Gandhi sempre e' stato quello di
"raggiungere dei buoni compromessi", non mi impedisce tuttavia di sostenere
le mie opinioni sul quid agendum con la passione con cui le opinioni - non
quelle accademiche, quelle sui fatti concreti, e relative quindi
all'assunzione di responsabilita' per le sorti del mondo - vanno sostenute:
le opinioni politiche che non appassionano valgono poco).
*
Ieri e oggi
Se su questo foglio tanto si parla della posizione che prendera' Lidia non
e' perche' lei possieda la bacchetta magica e possa chissa' cosa, ma e'
perche' tutte e tutti quelli che questo foglio variamente condividiamo le
vogliamo bene, come a una savia, sapiente compagna e una maestra molto
ascoltata. Se ci permettiamo di pregarla di ascoltare adesso lei noi, noi
che sempre ci siamo disposti all'ascolto delle sue parole - e che, come ha
scritto una volta Luisa Muraro parlando di Simone Weil, quando le nostre
opinioni divergono siamo istintivamente portati a pensare che lei abbia
ragione e noi torto - non e' per metterla in conflitto con se stessa e col
sentimento di lealta' verso i suoi colleghi parlamentari insieme a cui
giustamente vuol discutere e decidere (nobile sentimento: ma sappiamo tutti
fin troppo bene che i malfattori, i soverchiatori, i ricattatori
strumentalizzano proprio i nobili sentimenti altrui quando vogliono
vulnerare le persone buone), ma e' in primo luogo perche' ci sembra che lei
stessa abbia saputo e voluto mantenere un atteggiamento di apertura in
questa vicenda, e  pur esprimendo un orientamento, non si e' preclusa la
possibilita' di approfondire e sviluppare la sua posizione, ed io che scrivo
queste righe confido che voglia farlo, e che voglia farsi promotrice di
un'iniziativa parlamentare che sposti posizioni, che apra varchi alla pace,
che contrasti l'accettazione supina della sottomissione alla guerra - la
cosiddetta "mediazione" raggiunta nel Consiglio dei ministri essendo dal mio
punto di vista nient'altro che la prosecuzione della partecipazione militare
italiana alla guerra afgana condita da un po' di chiacchiere (quelle di cui
il poeta disse che "il tanto sospirar nulla rileva") e da quattro baiocchi
con cui cercar di comprare la complicita' degli sprovveduti o dei sedicenti
pacifisti parastatali arruolati come truppe di complemento, cosi' come i
conquistadores si portavano dietro i missionari affinche' la croce
legittimasse la spada.
Tre mesi fa scrissi poche righe che diedero origine a una valanga di
pronunciamenti di tante persone a favore dell'idea che Lidia, donna,
partigiana, femminista, amica della nonviolenza, sarebbe un'ottima
presidente della Repubblica: le riscriverei oggi tali e quali.
E qui mi fermo, perche' non vorrei che questo articolo sembrasse una lettera
d'amore: sono felicemente sposato e adoro mia moglie.
*
Gigi
Conosco da tanti, tanti anni anche Gigi Malabarba, e gli voglio un bene
dell'anima. Posso talvolta non esser d'accordo con lui, ma sulla sua
sincerita' e generosita' ci metto la mano sul fuoco. Trovo scandaloso che
per essersi pronunciato secondo legge e secondo coscienza, in difesa della
Costituzione e contro le uccisioni, per la pace e contro la guerra, per la
verita' e contro l'ipocrisia, in questi giorni sia stato con procedimento
classicamente totalitario messo sotto accusa come lunatico e mestatore: da
quando fare il bene e' diventata una colpa? Da quando difendere la
Costituzione e' un crimine? Da quando opporsi alla guerra e' una follia?
*
Un'ultima premessa in guisa di baruffa
Vorrei sgombrare il campo dalle petizioni di principio e dagli argumenta ad
personam perche' vorrei discutere dei fatti, dei duri, nudi fatti.
Ma prima, ancora una premessa, per liberarci dell'ultimo equivoco: io non
appartengo ai "senza se e senza ma", formula che ritengo totalitaria e
sintomatica sia di una visione del mondo che mi spaventa, sia di quella
"assenza di pensiero" che con stupenda lucidita' denunciava Hannah Arendt.
Io non appartengo neppure al sedicente pacifismo squadrista (o agli
squadristi ammiccante) che pensa che la violenza americana sia cattiva e
quella antiamericana sia buona, che i manganelli della polizia facciano male
e le mazze dei teppisti facciano bene, che l'omicidio commesso dal soldato
dell'esercito regolare sia un crimine e quello commesso dal miliziano delle
guerriglie sia una benedizione, che il terrorismo degli stati sia male e
quello delle bande sia bene. Tutte le vittime hanno il volto di Abele: lo
sapeva e ce lo disse Heinrich Boell, ora lo sappiamo tutti.
E non appartengo neppure all'equivoca "sinistra radicale" che un giorno
proclama - non si capisce bene a nome di chi - che "siamo tutti sovversivi"
e il giorno dopo diventa punta di lancia della "guerra umanitaria".
E non appartengo neanche al mondo delle onlus e delle ong che dopo tanto
cicalare corrono col cappello in mano a mungere prebende dagli amici al
potere, dal Comune a Palazzo Chigi, da Bruxelles a New York.
Io sono oggi lo stesso di ieri: un militante della sinistra degli oppressi,
e un amico della nonviolenza - non per fideismo, ma per analisi razionale,
per scelta di rigore intellettuale e morale, e per esigenza di realismo
nell'agire politico. Dopo i gulag e i lager, dopo Auschwitz e dopo
Hiroshima, la scelta della nonviolenza e' l'unica scelta realistica per
l'umanita'.
Oggi l'alternativa non e' piu' solo tra socialismo (socialismo, non
totalitarismo) o barbarie, oggi essa e' anche, e ancor prima, tra disarmo o
apocalisse, tra scelta della nonviolenza che consente la prosecuzione
dell'umana vicenda, o continuazione della guerra che - allo stadio attuale
delle risorse tecnologiche a fini di distruzione - la civilta' umana
inabissa nel nulla.
*
In medias res
E qui finiscono le premesse ed entriamo nel cuore delle cose.
Tra pochi giorni il parlamento sara' chiamato a votare il rifinanziamento
della partecipazione militare italiana alla guerra afgana. Il governo in
carica ha gia' decretato tale prosecuzione, ed alcuni ministri hanno persino
tuonato contro i reprobi che non si genuflettono in adorazione dinanzi al
dio Ares (altri ministri, piu' ipocriti e piu' navigati a tutte le malizie
della scuola di Talleyrand, hanno tenuto ben altro profilo, ma condiviso le
stesse decisioni, sanguinarie decisioni, magari sorridendo, del sorriso di
Franti).
E' opinione di chi scrive queste righe che il parlamento debba votare contro
i crediti di guerra, per due precise ragioni, una de jure e una de facto.
Quella de jure: la Costituzione italiana proibisce la partecipazione
italiana a a quella guerra. E sulla fedelta' alla Costituzione a nessuno
dovrebbe essere permesso di transigere, meno che mai a chi in forza di
quella Costituzione esercita la funzione legislativa.
Quella de facto: la guerra e' un crimine sempre, uccide, uccide e uccide
esseri umani; e la guerra afgana si prolunga da decenni ormai: quanto ci
vorra' per capire che occorre metter fine alle stragi e che per metter fine
alle stragi occorre fermare la guerra, avviare il disarmo di tutte le parti,
investire risorse su una politica del tutto alternativa, quella della
nonviolenza?
Perche' questo e' il punto, e questo e' cio' che differenzia le persone
amiche della nonviolenza dai cialtroni di tutte le risme: che noi non
diciamo, come quella vocetta assassina del sonetto del Belli, "Avanti alo',
chi more more"; noi diciamo invece: basta con la guerra, basta con le armi,
basta con gli eserciti, ed al loro posto aiuti umanitari, Corpi civili di
pace, interposizione nonviolenta, azione nonviolenta, ricostruzione civile e
democratica nonviolenta, sostegno alle donne afgane contro il fascismo
patriarcale, sostegno ai contadini per sostituire le colture dell'oppio con
colture per l'alimentazione e la manifattura, infrastrutture sanitarie,
assistenziali, educative, di promozione di un sviluppo autocentrato con
tecnologie appropriate: la politica internazionale della nonviolenza, la
politica della nonviolenza giuriscostituente.
*
L'alternativa
Ai parlamentari sensibili al valore della legalita' costituzionale e alla
scelta della pace (ovvero: ai parlamentari che non vogliono commettere
reati, ai parlamentari che non vogliono essere complici delle stragi)
chiediamo di votare non solo secondo coscienza, ma con realismo politico: se
essi divengono oggi complici della guerra e della violazione della
Costituzione, domani potranno essere ancor piu' agevolmente ricattati dai
malfattori che li hanno resi loro complici.
Ai  parlamentari sensibili al valore della legalita' costituzionale e alla
scelta della pace (ovvero: ai parlamentari che non vogliono commettere
reati, ai parlamentari che non vogliono essere complici delle stragi)
chiediamo di difendere la civilta' giuridica e la norma morale, ma anche di
proporre loro - di contro alla sciagurata attuale scelta governativa - una
politica internazionale degna di questo nome: e alla proposta insana
formulata dal governo contrapporre una proposta ragionevole che si incardini
su due principi: cessazione della partecipazione italiana alla guerra, avvio
di un grande piano di intervento nonviolento e di aiuti umanitari
accompagnato da un'azione diplomatica in sede Onu e in sede Ue per il
disarmo, il disarmo, il disarmo.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Che tutte e tutti si esca dall'apatia, dalla rassegnazione, dalla
subalternita': la nonviolenza e' in cammino.

3. AFGHANISTAN. GINO STRADA: UNA LETTERA AL QUOTIDIANO "LA REPUBBLICA"
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 27 giugno 2006. Gino Strada, medico
chirurgo impegnato in aree di guerra, fondatore dell'associazione umanitaria
"Emergency", e' una delle voci piu' nitide e influenti del movimento
pacifista italiano; tra le sue pubblicazioni: Pappagalli verdi, Feltrinelli,
Milano; Buskashi', Feltrinelli, Milano]

Caro direttore,
"Sostiene una parte della sinistra radicale... che l'Italia non debba
mandare in Afghanistan soldati: semmai medici. Non blindati: ospedali da
campo. Non aerei da combattimento: sale operatorie" ha scritto ieri Guido
Rampoldi. "E' una idea di" ha precisato subito dopo. Non so perche' il
signor Rampoldi si diverta a classificarmi di fatto come appartenente alla
"sinistra radicale". Io sono contro la guerra. Non perche' la pace mi sembri
"un valore di sinistra". Sarebbe azzardato, e poco rispettoso della storia
passata e recente. Sono contro la guerra per la violenza di massa che ogni
guerra erutta, e di cui ho visto molti tragici frammenti in vent'anni di
lavoro tra i conflitti. Sono contro la guerra perche' ne ho conosciuto le
vittime. Sono contro la guerra perche' credo sia necessario e urgente
disegnare un mondo non piu' basato sulla violenza e sull'aggressione
militare, economica, culturale, ambientale.
*
Nel 1932 a Ginevra, Albert Einstein dichiaro' in conferenza stampa ai
giornalisti di tutto il mondo: "La guerra non si puo' umanizzare, si puo'
solo abolire". Anche se oggi molti "opinionisti" bollerebbero il pensiero di
Einstein di mancanza di realismo, di utopia, forse anche di stupidita', io
sono convinto che Einstein avesse del tutto ragione.
Confesso anche di credere fino in fondo in un altro documento importante
nella storia umana quale il Manifesto del 1955 di Bertrand Russell e dello
stesso Einstein. Rivolgendosi "da esseri umani" ai governanti del mondo, e
insieme alla coscienza di tutti, i due scienziati scrissero: "Questo allora
e' il problema che vi poniamo davanti, reale, terribile, non eludibile:
dobbiamo mettere fine alla razza umana oppure l'umanita' deve rinunciare
alla guerra?".
L'alternativa e' questa, non altra. L'abolizione della guerra e' la prima
garanzia di futuro per l'umanita' e per il pianeta. Finche' la guerra
restera' tra le "opzioni possibili" di fronte a problemi anche gravi, ci
sara' sempre chi - per una ragione o per l'altra - finira' col ricorrervi. E
guerra, nel Terzo millennio, significa impiego (presente, imminente o
futuro) di tecnologie di distruzione di massa un milione di volte superiori
alla bomba di Hiroshima. Vogliamo entrare - se gia' non ci siamo - nella
roulette del rischio, anche se in palio ci potrebbe essere, come dice Noam
Chomsky, "la fine dell'esperimento umano"? L'umanita' deve rinunciare alla
guerra. Utopico, ma non piu' di quanto fossero utopiche, nei decenni e
secoli passati, l'eliminazione del vaiolo o l'abolizione della schiavitu'.
Semplicemente, non si erano ancora realizzate.
Penso, banalmente, che l'abolizione della guerra - che ha anche bisogno di
una nuova etica e di nuovi comportamenti collettivi basati sulla costruzione
e la pratica dei diritti di tutti - sia la cosa piu' bella, razionale e
intelligente che gli esseri davvero umani possano fare. Non e' utopia "di
sinistra", o di "sinistra radicale". E' un lavoro e un compito che sta di
fronte, ancora cinquant'anni dopo, a tutti "gli esseri umani, membri della
specie homo, la cui esistenza minaccia di non continuare", come scrisse
Russell.
*
In Emergency troviamo sintonie con quelle parole: nascono dal nostro lavoro,
creare ospedali. Luoghi "ospitali" dove chi ha bisogno, senza
discriminazione alcuna, viene curato perche' e' suo diritto, non nostra
discrezione. Non e' "una idea di Gino Strada", e' la pratica di Emergency.
Il senso della nostra presenza in Afghanistan e' tutto dentro il milione e
centomila persone curate in sette anni in questo Paese. Un piacevole
"effetto collaterale" e' che si stabiliscono spesso rapporti di solidarieta'
e amicizia con molte persone di qui.
"Taliban e bande alleate hanno preso ad uccidere i medici e gli
infermieri... se dunque un qualche migliaio di medici europei - asserisce
Rampoldi - si sparpagliasse per il sud dell'Afghanistan senza alcuna
protezione militare, i piu' non arriverebbero vivi alla fine della
settimana". Emergency ha un Centro chirurgico per vittime di guerra a
Lashkargah, nel profondo sud talebano, come si usa dire. Un ospedale
intitolato a un grande uomo di cultura e di pace, Tiziano Terzani. Da anni a
Lashkargah i nostri medici e infermieri, molti italiani, ma anche inglesi,
statunitensi, russi, canadesi... lavorano e addestrano il personale afgano,
e incontrano il rispetto e perfino l'affetto della popolazione. Sono
arrivati stanchi, ma vivissimi, a piu' di cento fine settimana. Non e' la
"protezione militare" che protegge i medici, signor Rampoldi. I medici sono
protetti quando e in quanto si comportano da medici, al servizio solo dei
bisogni di esseri umani sofferenti. Senza distinzioni.
Quando si agisce "da medici" - e non da medici "di supporto" ad altre
operazioni - la protezione militare non solo e' inutile, diventa fattore di
rischio. Per noi e per i nostri pazienti. I cartelli "Niente armi" che
stanno alla porta di tutti i nostri ospedali non sono la' per caso. Senza
armi intorno, si e' piu' protetti.

4. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA INTERVISTA FABIO MINI
[Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo questa intervista del 20 giugno
2006.
Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter.net", per cui segue
la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; nel maggio 2004 e' stato in
Afghanistan in qualita' di inviato
Fabio Mini, come e' noto, e' un generale dell'esercito italiano dotato di
vastissima esperienza internazionale, di acuto giudizio e nitida scrittura.
Come abbiamo piu volte avuto occasione di dire e' una persona, e un autore,
da cui gli amici della nonviolenza hanno molto da imparare. Tra le opere di
Fabio Mini: Comandare e comunicare, Alinari, Firenze 1989, L'altra
strategia, Franco Angeli, Milano 1998; La guerra dopo la guerra, Einaudi,
Torino 2003. Dalla medesima fonte dell'intervista estraiamo anche la
seguente scheda biobibliografica tratta da "Analisi Difesa" (in cui peraltro
non e' citato l'ultimo e a nostr avviso fondamentale libro di Mini, La
guerra dopo la guerra): "Fabio Mini e' Tenente Generale dell'Esercito
Italiano. Le sue specializzazioni militari includono quelle in missili
anticarro e difesa Nbc, ufficiale addetto alla Pubblica Informazione della
Nato, Ispettore Cbm per gli Accordi di Stoccolma ed in Operazioni
Psicologiche. Ha comandato tutti i livelli di unita' meccanizzate, dal
plotone alla brigata. Il suo ultimo incarico operativo e' stato quello di
comandante della Brigata "Legnano" durante l'operazione "Vespri siciliani"
contro il crimine organizzato in Sicilia. E' stato in seguito responsabile
della preparazione, addestramento e primo schieramento della Brigata in
Somalia. I suoi incarichi di Stato Maggiore comprendono quelli di Ufficiale
alle Operazioni e Difesa Nbc presso il IV Reggimento Corazzato, e di Capo
Sezione di Stato Maggiore presso la Brigata meccanizzata "Granatieri di
Sardegna". Dal 1979 al 1981 e' stato assegnato negli Stati Uniti presso la
IV Divisione di Fanteria a Fort Carson, nel Colorado, dove ha svolto gli
incarichi di Ufficiale addetto ai Piani ed Operazioni, Secondo in Comando
della Divisione Esercitazioni e Valutazioni (EED) e Capo della Divisione
Esercitazioni e Valutazioni/Centro Simulazione Combattimento. Al suo ritorno
in Italia ha prestato servizio quale Ufficiale addetto al Reparto Impiego
del Personale dello Stato Maggiore dell'Esercito, Capo dell'Ufficio Studi e
Coordinamento dello Stato Maggiore dell'Esercito, Capo dell'Ufficio Pubblica
Informazione e Portavoce del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Dal 1993
al 1996 ha svolto l'incarico di Addetto militare a Pechino, Repubblica
Popolare Cinese. Con il grado di Generale di Divisione, ha diretto
l'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (Issmi). Nel 1999 ha
svolto due incarichi concomitanti presso lo Stato Maggiore della Difesa
quali Capo dell'Ufficio Generale per le Comunicazioni e la Pubblica
Informazione e Capo dell'Ufficio Generale di "Euroformazione". A partire dal
gennaio 2001 ha assunto la funzione di Comando Interforze delle Operazioni
nei Balcani. Nel 2002 il generale Mini ha assunto il comando delle
operazioni di pace in Kosovo a guida Nato (Kfor). Le sue decorazioni
comprendono l'Ordine al Merito della Repubblica Italiana (Omri), la Medaglia
al Merito Mauriziana, la Medaglia di Lungo Comando, la "U.S. Army
Commendation Medal" e la Medaglia "Ba Yi" della Repubblica Popolare Cinese.
Ha scritto molto su questioni militari, strategiche e geopolitiche. Tra i
suoi lavori i libri: Comandare e comunicare (Alinari, Firenze 1989), e
L'altra strategia (Franco Angeli, Milano 1998). E' autore di oltre venti
saggi e di molti articoli pubblicati su riviste militari e civili come "La
Rivista Militare", "Limes" e "Heartland". Nel 2001 ha curato la versione
italiana del libro Guerra senza limiti, i cui autori sono i colonnelli della
Repubblica Popolare Cinese Qiao Liang e Wang Xiaosui. Ha fondato e continua
a dirigere "Newstrategy", un istituto di ricerca e studio non a scopo di luc
ro. E' membro delle Conferenze Mondiali Pugwash e del Comitato scientifico
di "Limes". Svolge regolarmente seminari informativi presso le scuole ed i
centri di addestramento nazionali dei Servizi di intelligence su questioni
strategiche dell'Asia, dell'Estremo Oriente e sul terrorismo e crimine
organizzato"]

La situazione in Afghanistan peggiora di giorno in giorno. Gli Usa e la
Nato, che guida la missione Isaf, chiedono a tutti gli alleati un maggiore
contributo militare. All'Italia, nello specifico, il segretario generale
dell'Alleanza Atlantica, Jaap de Hoop Scheffer, ha chiesto un incremento del
nostro contingente (attualmente di circa 1.300 uomini). Il governo italiano
sta ora valutando l'invio di sei cacciabombardieri Amx, di elicotteri da
combattimento e di un contingente di forze speciali.
*
- Enrico Piovesana: Generale Mini, non le pare che simili mezzi e forze
siano poco compatibili con una missione "di pace"?
- Fabio Mini: Il problema dell'ampliamento della missione Isaf-Nato, e
quindi anche della partecipazione militare italiana, e' di carattere
giuridico prima che operativo. In quanto tale, esso diventa istituzionale e
non puo' essere lasciato alla sola valutazione tecnico-militare. Il problema
nasce dall'inserimento di Isaf in un contesto artificiosamente dichiarato
post-bellico e dalla sottovalutazione della capacita' dei guerriglieri
talebani di costituire un'aperta minaccia nei riguardi delle forze Usa, del
governo di Kabul e di chiunque lo appoggi.
*
- Enrico Piovesana: Quindi secondo lei, generale, non e' vero che la guerra
in Afghanistan e' finita, come tutti continuano a dire?
- Fabio Mini: La guerra contro i talebani, parte essenziale di Enduring
Freedom, non e' mai finita. Gli Stati Uniti hanno ridotto le forze e altre
nazioni hanno dato un modesto contributo, ma la guerra si e' spostata
laddove si spostavano i resti del precedente regime afgano. Queste forze si
sono riorganizzate e, con l'aiuto esterno, stanno destabilizzando vaste aree
del paese. Nessuno ha dichiarato la fine delle ostilita' con i talebani. E'
stata anche scartata l'idea di convocare i talebani a un tavolo della pace e
imporre le condizioni dei vincitori perche' cosi' facendo si sarebbe
riconosciuta la legittimita' internazionale del loro governo, che non era
stato riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma che era stato interlocutore
ufficiale di tutti e perfino degli Stati Uniti. Ne' nessuno ha pensato a
trascinare cio' che restava della dirigenza talebana sconfitta davanti ad un
tribunale internazionale per crimini contro l'umanita'. L'operazione
Enduring Freedom, la guerra contro i talebani, continua ed e' stata inserita
nel quadro piu' vasto della "Guerra al Terrore". Il che significa che e'
destinata a durare ancora a lungo.
*
- Enrico Piovesana: Una guerra che gli Stati Uniti, impegnati altrove,
vogliono lasciar combattere agli alleati Nato, Italia compresa, che pero'
sono in Afghanistan nell'ambito di una missione che non e' di guerra. Se la
missione Isaf della Nato "eredita" la guerra Enduring Freedom degli Usa non
si crea un cortocircuito, una sovrapposizione poco chiara tra due missioni
di natura diversa?
- Fabio Mini: Oggi, le forze di Enduring Freedom non sono oggettivamente
sufficienti a controllare militarmente il territorio minacciato, ed e' per
questo che gli Stati Uniti hanno chiesto alla Nato un maggior
coinvolgimento. Ma per giustificarlo non si e' chiesto di partecipare alla
guerra e ampliare Enduring Freedom. Si e' preferito rimanere ancorati al
criterio iniziale di Isaf, ovvero al quadro di una missione che - come dice
il suo stesso nome - e' di assistenza al mantenimento della sicurezza in
appoggio al governo di Kabul. Il progetto di Isaf, inizialmente concentrato
solo nella capitale afgana, prevedeva che, mano a mano che l'autorita' del
nuovo governo veniva riconosciuta e che veniva negoziato lo scioglimento
delle milizie personali dei signori della guerra locali, le forze di
sicurezza afgane avrebbero progressivamente esteso il proprio controllo ad
altri territori, con il sostegno di Isaf laddove necessario.
*
- Enrico Piovesana: Quindi lo scopo originario della missione Isaf era solo
quello di sostenere la graduale espansione dell'autorita' del nuovo governo
di Kabul nelle zone gia' "pacificate" dalla missione Enduring Freedom. Ma
nella realta' non e' questo che sta accadendo: Isaf si sta sostituendo a
Enduring Freedom nella fase di "pacificazione" di un territorio. Non e'
cosi'?
- Fabio Mini: Le zone prescelte per l'ampliamento di Isaf, ovvero il sud
dell'Afghanistan, non sono quelle pacificate da Enduring Freedom, ma anzi
proprio quelle in cui la guerra contro i talebani continua con vere e
proprie offensive militari, seppur di carattere asimmetrico. Chi assume la
responsabilita' della sicurezza in queste aree si deve predisporre per fare
due cose: la guerra contro i talebani, al posto o al fianco degli Usa, o la
repressione di una rivolta armata interna, al fianco o al posto del governo
afgano - un governo che molti degli stessi signori della guerra che ne fanno
parte considerano ininfluente, che molti ribelli considerano illegittimo e
che i talebani considerano d'usurpazione.
*
- Enrico Piovesana: Ma se Isaf e' diventata una missione di guerra
ereditando di fatto le funzioni di Enduring Freedom - il che spiega la
necessita' di mandare cacciabombardieri e forze speciali - non lo si
dovrebbe dire chiaramente? Non ci dovrebbe essere una seria e franca
discussione sul mutamento del mandato Isaf?
- Fabio Mini: Il fatto che i contingenti Isaf dovranno farsi carico della
guerra ai talebani, per conto di Washington o di Kabul, impone senza dubbio
la necessita' di un esame serio della situazione e lo scioglimento dei nodi
giuridici. Non ci sono dubbi che in ambito Nato e in Italia si possa fare
serenamente. Se si decide per l'opzione militare, il vero impegno
istituzionale diventa quello di calibrare lo strumento militare da
costituire e le regole d'ingaggio in relazione alla reale situazione e a un
nuovo mandato. La cosa peggiore che possa succedere e' che si assumano nuovi
impegni e nuovi rischi mantenendo i vecchi criteri d'impiego e le ipocrisie
di sempre: fingendo che la situazione sia "normale", ignorando o negando
l'evidenza della sovrapposizione di Isaf a Enduring Freedom, spacciando per
ricognitori di campi d'oppio dei cacciabombardieri e per missionari di pace
degli incursori e sabotatori superaddestrati all'infiltrazione in territorio
ostile e alla guerra asimmetrica.

5. AFGHANISTAN. ROSSANA ROSSANDA: PRIMA DI TUTTO I FATTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 luglio 2006. Rossana Rossanda e' nata a
Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana
Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani,
Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione
sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria,
dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii,
Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo
Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma
1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del
secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro
intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e
proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in
articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

Prima di tutto i fatti.
La guerra in Afghanistan, primo atto di Enduring Feedom, voleva punire al
Qaeda per l'attacco alle Due Torri dell'11 settembre 2001. E' durata pochi
mesi. Ma da allora ai cinque anni seguiti i morti civili sono circa 50.000 -
teste il "New York Times". Sul montagnoso paese e' stato sganciato
altrettanto esplosivo di quello lanciato dagli alleati nella seconda guerra
mondiale - sempre teste il "New York Times".
Nessun centro di Al Qaeda vi e' stato scovato e distrutto, i signori della
guerra e della droga hanno ripreso le loro gesta al nord, i talibani sono
rispuntati al sud, il presidente Karzai non e' preso sul serio da nessuno,
lo smercio internazionale dell'oppio prospera e le donne si muovono
prudentemente in burqa.
Le denunce del gruppo femminista Rawa non sono ascoltate, Emma Bonino vede
solo che alcune migliaia di bambine vanno a scuola - importante - almeno
finche' la situazione, che ha ripreso a infiammarsi, lo permettera'.
*
Non e' cosi'? E' cosi'.
Ma nel programma del centrosinistra l'Afghanistan non era nominato.
Serieta' vorrebbe che nel proporre il rifinanziamento della missione il
governo ne tenesse conto. E ammettesse che, nella riaccesa conflittualita'
del paese, il nostro contingente sara' sottoposto agli stessi pericoli che
in Iraq.
E spieghi quanto della spesa vada al suo mantenimento e quanto in aiuto alla
popolazione: come nell'Iraq, il rapporto e', se non sbaglio, di quattro a
uno.
Dopo di che il governo chieda il voto, se crede, ma non perche' stiamo
assistendo gli afghani o minando le basi ideali e sociali dei talibani, ma
perche' la spedizione e' stata benedetta cinque anni fa, non senza qualche
tortuosita', dalle Nazioni Unite e se ora gli Stati Uniti la scaricano sulla
Nato, e' perche' la Nato e' diventata, senza nostra obiezione, da fronte di
eventuale difesa, fronte d'attacco della guerra preventiva.
Puo darsi che ai suoi primi passi sia difficile a Prodi ribaltare l'adesione
alle scelte dell'amministrazione Bush, non esistendo in Europa una politica
di ricambio. Ma non deve aprire la discussione sul bilancio attuale di
Endurig Freedom? E'disastroso.
Nulla cedendo sulla inaccettabilita' del modello fondamentalista, e'
d'obbligo chiedersi se e' con la guerra preventiva, non dichiarata,
asimmetrica, eccetera, che si riesce a farvi fronte.
*
Il governo di centrosinistra e' tenuto a rispondere anche al movimento
pacifista perche' deve la sua esile vittoria anche al suo appoggio, ed esso
non si e' delegato a nessuna sigla della coalizione.
Durante la campagna elettorale non si e' avvertito: "Vedremo se" possiamo
ripudiare la partecipazione alle guerre e relative occupazioni. Si e' detto
che le ripudiavamo. Non si riesce a farlo da un giorno all'altro? Lo si
dica.
Ma non ci si prenda in giro con l'operazione di "polizia internazionale".
Come non e' cosa da poco che otto senatori della sinistra siano tagliati
fuori perche' dicono di no.
Se venga prima la coerenza o il non mettere in difficolta' il fragile
governo sono ambedue questioni di coscienza. Ma non ci si dica che se l'Udc
garantira' i voti mancanti a sinistra sara' un "allargamento". Sara' una
sostituzione. Sara' il doroteismo dei due forni. Parte della Margherita non
nasconde che amerebbe sbarcare la sinistra radicale e accogliere l'Udc nel
suo seno. L'Unione non ci ha pensato? ci pensi.

6. APPELLI. ENRICA BARTESAGHI: APPELLO PER UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE
D'INCHIESTA SUI FATTI DI GENOVA DEL 2001
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 luglio 2006. Enrica Bartesaghi (per
contatti: bartesaghie at tele2.it), nata in provincia di Lecco nel 1954,
presidente del comitato "Verita' e giustizia per Genova" (sito:
www.veritagiustizia.it), e' autrice del libro Genova, il posto sbagliato. La
Diaz, Bolzaneto, il carcere: diario di una madre, Nonluoghi libere edizioni,
2004]

Da cinque anni il comitato "Verita' e giustizia per Genova" organizza e
partecipa a convegni, per tenere alta l'attenzione, per sostenere e dar voce
alle vittime della repressione, per informare sulle indagini e sui
procedimenti penali in corso. Il nostro Comitato raccoglie fondi a sostegno
delle spese legali per tutti i processi in corso a Genova e la segreteria
legale puo' svolgere la propria attivita' grazie ai locali messi a
disposizione dal nostro Comitato. Tutto questo nel piu' assordante silenzio
di quasi tutti i media e della societa' civile: su Genova e' in corso una
censura "bipartisan".
Per richiamare l'attenzione sui processi in corso abbiamo istituito un
Osservatorio internazionale col compito di vigilare sui processi e svolgere
cosi' un ruolo di verifica.
La prescrizione incombe e non sappiamo se arriveremo in tempo alla
conclusione del primo grado di giudizio, intanto i principali responsabili
della mattanza alla Diaz e delle torture di Bolzaneto sono stati
ripetutamente promossi. Da cinque anni chiediamo una commissione d'inchiesta
sui fatti di Genova ed insieme a "Piazza Carlo Giuliani" e Arci, abbiamo
raccolto e presentato in Parlamento (nel giugno del 2005) le firme di
diecimila cittadini italiani a sostegno di questa richiesta.
Il nuovo parlamento puo' e deve fare la sua parte, come previsto dal
programma dell'Unione, istituendo una commissione d'inchiesta. Abbiamo perso
cinque anni e non possiamo aspettare oltre.
La Commissione parlamentare d'inchiesta e' una necessita' democratica: la
gravissima lesione costituzionale del 2001 puo' essere sanata solo
attraverso una operazione di trasparenza che restituisca credibilita alle
istituzioni. Non possiamo prevedere come la Commissione operera' ed a quali
risultati approdera' ma possiamo e dobbiamo richiedere che venga istituita,
al piu' presto.
Enrica Bartesaghi, presidente del Comitato "Verita' e giustizia per Genova"

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1348 del 6 luglio 2006

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