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La nonviolenza e' in cammino. 1347
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1347
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 5 Jul 2006 00:12:30 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1347 del 5 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Di respirare la stessa aria 2. Enrico Piovesana: La verita' della guerra 3. Gino Strada: Il gioco delle tre carte 4. Marco Garatti: Ospedali, non cannoni 5. Il conflitto afgano oggi 6. Da una lettera di Misone eleatico all'amico suo Panfilo gerosolimitano 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: DI RESPIRARE LA STESSA ARIA Il tempo dell'orbace Nella visione del mondo di certi signori la democrazia consiste nel votare una volta ogni cinque anni per il capoccia di una camarilla, lo si elegge capo del governo e poi lo si lascia fare il comodo suo, e tra cinque anni se ci lascera' votare ancora si decide se votare di nuovo per lui o per un suo fratello meno furbo. Noi la pensiamo diversamente. Non diamo deleghe in bianco, non siamo sudditi, noi non eleggiamo un monarca ma un parlamento, e le leggi che il parlamento intende deliberare le vogliamo discutere tutte, le vogliamo discutere tutti. Si chiama partecipazione. Si chiama responsabilita'. Sono quelle antiche virtu' repubblicane in nome delle quali dai tempi di Spartaco gli oppressi prendono coscienza della propria dignita' e decidono di lottare per l'uguaglianza di diritti, per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani. Solo gli schiavi piu' prostrati, e i piu' vili dei cortigiani, non sanno cosa sia. Con chi non riesce a capire di cosa stiamo parlando, e perche' ci stia cosi' a cuore, non vale la pena di continuare a discutere. * Il ritorno del Socing In questi foschi giorni pressoche' la totalita' dei mass-media, dei partiti, delle associazioni foraggiate a spese del pubblico erario, dei padroni di qualcosa o qualcuno, di coloro che hanno il pranzo e la cena assicurati, pretende di farci ingoiare a forza che la guerra e' cosa buona, che uccidere e' una delle belle arti, che morire fa bene alla salute. La loro pressione e' talmente forte che sono riusciti a convincere anche alcune persone buone. Che stanno diventando complici degli assassini perche' accecate dalla propaganda degli assassini. Abbiamo o no il dovere di cercar di salvar delle vite? E abbiamo o no il dovere di gridare "attento, li' c'e' il burrone" alle persone amiche che nell'abisso stanno cadendo? E abbiamo o no il dovere di chiamare guerra la guerra, stragi le stragi, crimine il crimine? Con chi non riesce a capire di cosa stiamo parlando, e perche' ci stia cosi' a cuore, non vale la pena di continuare a discutere. * Il disordine del discorso Si tratta di mettersi d'accordo su questo: e' piu' importante una cadrega ministeriale o la vita sia pure di un solo essere umano? Se e' piu' importante la prima, i parlamentari le cui mani ancora non si sono macchiate di sangue innocente, votino pure a favore della prosecuzione della partecipazione italiana alla guerra afgana subendo il ricatto degli assassini e divenendo quindi loro stessi assassini. Se e' piu' importante la seconda, si battano affinche' il parlamento salvi le vite umane invece di contribuire a sopprimerle. Ripudi la guerra e legiferi interventi di pace costruttori di pace con mezzi di pace: la nonviolenza e' la via. Si tratta di mettersi d'accordo su questo: e' piu' importante spartirsi un bel gruzzolo d'incarichi di governo e di sottogoverno (e relative prebende e sinecure), o rispettare la legge fondamentale dello Stato cui ogni membro del governo ha personalmente giurato fedelta'? Se e' piu' importante la prima cosa, il decreto del Consiglio dei ministri che dispone la prosecuzione della partecipazione italiana alla guerra afgana e' una bella furberia che portera' tanti graditi vantaggi alle fameliche consorterie di chi l'ha votato, e in fondo a poco prezzo: solo la morte delle vittime della guerra in Afghanistan, che tanto sono cosi' lontane, piu' lontane delle persone assassinate nel '99 dal governo D'Alema con i bombardamenti in Jugoslavia, piu' lontane delle persone seviziate e morte nei campi di concentramento italiani riaperti nel '98 dal governo Prodi con la legge Turco-Napolitano. Se e' piu' importante la seconda cosa, c'e' materia per dichiarare fuorilegge l'intero governo in carica, e se qualcuno in esso ancora ha qualcosa che gli si agita nel petto, seppur tardivamente si dissoci dal decreto incostituzionale. * Chiacchiere da bar Sia chiaro: qui non si sta discutendo se sia preferibile che governino fascisti, razzisti e mafiosi, o un fronte ampio antiberlusconiano: nessuno che voglia la pace e la giustizia propugna il ritorno al potere del blocco golpista, per questo anche una persona come me ha votato per la coalizione del cosiddetto centrosinistra pur sapendo quanti e quali malfattori essa avrebbe portato al potere. Cio' che si sta discutendo e' se sia lecito votare per la guerra, votare per far morire delle persone. Noi diciamo che e' illecito, come attesta la Costituzione della Repubblica Italiana che non piu' di qualche settimana fa il popolo italiano ha salvato dall'assalto golpista; e come attesta il codice penale. E, se e' concesso di aggiungere piccina una postilla: votare per la prosecuzione della partecipazione militare italiana alla guerra, cioe' proseguire la politica berlusconiana, non e' forse un primo penoso tradimento del mandato dei molti elettori che nello scorso aprile hanno votato per il fronte antiberlusconiano proprio in quanto antiberlusconiano? Per quello che e' l'ordinamento istituzionale italiano, se il Parlamento boccia un provvedimento il governo non cade, riconosce la sovranita' del parlamento come organo legislativo e al posto di quel provvedimento ne propone un altro che ottenga il consenso della maggioranza di ciascuna delle due camere. E se qualche ministro ha pensato di esibirsi come tracotante ricattatore, ogni persona di retto sentire sa quale trattamento i ricattatori meritano. * La notte di Valpurga Ci si risparmi infine l'argomento pusllanime e osceno secondo il quale poiche' i parlamentari per la pace sono una esigua minoranza un loro voto contro la guerra resterebbe ininfluente, anzi potrebbe irritare i guerrafondai che sono la maggioranza anche del cosiddetto centrosinistra che si sentirebbero legittimati a cercare altri alleati, quindi tanto vale che votino per la guerra anche loro. Forse chi cosi' argomenta credendosi un furbo di sette cotte non sa che proprio cosi' sempre pretendono giustificarsi coloro che cooperano al male: "se non lo avessi fatto io, lo avrebbe fatto qualcun altro", ripetevano in coro i nazisti al processo di Norimberga. * Lungo il Bisenzio ancora Amici di nobile cuore mi chiedono di essere rispettoso delle ragioni degli assassini e dei complici degli assassini e degli arresi agli assassini. Come Bartleby devo rispondere di no. Educatamente, va da se', ma la risposta e' no. Sono rispettoso delle persone, certo, del loro travaglio, anche; ma della decisione che le rende assassine no. Delle ragioni che accettano la guerra no. No. Gandhi chiamava la sua proposta di lotta con due termini (che noi traduciamo, come ci ha insegnato Capitini, con un termine solo ma di straordinaria ricchezza semantica e potenza ermeneutica: nonviolenza): quei termini gandhiani sono ahimsa e satyagraha: che vogliono dire rispettivamente opponiti alla violenza, e afferrati alla verita'. Tieniti stretto alla verita', e lotta contro la violenza: la guerra e' un male, uccidere e' un crimine. Tu non uccidere, tu non essere complice della guerra. Tu combatti contro la violenza, tu salva le vite. In Afghanistan c'e' molto, moltissimo da fare: ma la prima cosa da fare e' smetterla di uccidere, la prima cosa da fare e' smetterla di fare la guerra, e quindi la prima cosa che l'organo legislativo dell'ordinamento giuridico che chiamiamo Repubblica Italiana deve deliberare e' la cessazione della partecipazione militare italiana alla guerra afgana. * L'ora della nonviolenza giuriscostituente L'alternativa e' semplice e chiara: l'intervento nonviolento nel confllitto con i Corpi civili di pace, e' ora di cominciare; intensificare gli interventi umanitari per salvare le vittime della guerra, come da anni sta facendo Emergency; un forte sostegno a chi e' impegnato per la democrazia, per l'educazione, per il rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani, come le tante esperienze delle donne afgane - loro si' eroiche, che disarmate lottano per l'umanita' intera; promuovere - ma dando per primi l'esempio - un'azione internazionale per la cessazione della guerra, per il disarmo di tutte le parti, per garantire sussistenza e sviluppo economico e civile alla popolazione tutta, per contrastare il crimine, il terrorismo, la guerra intervenendo sulle radici strutturali oltre che su quelle sovrastrutturali; infine: e' ora che la scelta della nonviolenza diventi impegno e chiave anche della politica degli stati e delle relazioni internazionali. E' l'ora della nonviolenza giuriscostituente. 2. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: LA VERITA' DELLA GUERRA [Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo questo intervento del primo giugno 2006. Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter.net", per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; nel maggio 2004 e' stato in Afghanistan in qualita' di inviato] Gli editoriali di prima pagina di ieri su "Repubblica" e "Corriere della sera" hanno ufficialmente dato il via alla campagna stampa contro il ritiro dell'Italia dalla guerra in corso in Afghanistan. Con argomenti diversi che ben sintetizzano, nella discussione sul ruolo italiano in Afghanistan, l'opinione di chi vuole lasciare le truppe italiane in quel paese, o addirittura aumentarne la presenza. Argomenti diversi, dicevamo, ma entrambi confutabili. Guido Rampoldi, su "Repubblica". "Oggi quel pacifismo invoca il rimpatrio del contingente italiano dall'Afghanistan: ma evita di chiedersi cosa accadrebbe laggiu' se la Nato fuggisse. Accadrebbe questo: naufragherebbe la possibilita' di sottrarre gli afgani alla guerra civile cominciata oltre trent'anni fa. Dilagherebbe ovunque una mischia furibonda, combattuta dai pesi massimi dell'area attraverso le milizie afgane, un 'tutti contro tutti' che provocherebbe dapprima il collasso definitivo del Paese e d'ogni minima traccia di statualita', quindi l'ennesimo sterminio per fame di decine o centinaia di migliaia di afgani, soprattutto donne e bambini. Infine al-Qaeda tornerebbe ad essere padrona di gran parte dell'Afganistan; e l'avvento definitivo della casta guerriera, assassini molto pii, comporterebbe per le ragazze di Kabul la fine d'ogni speranza". Franco Venturini, sul "Corriere della sera". "Andarsene dall'Afghanistan? No, perche', a dispetto dei rischi comuni, Afghanistan e Iraq, lungi dall'essere simili, rappresentano le due concezioni opposte della politica internazionale e del ricorso alla forza... L'intervento in Afghanistan, all'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001, e' cosa del tutto diversa. Le motivazioni furono veritiere (perche' in Afghanistan i terroristi c'erano, a differenza delle armi di distruzione di massa in Iraq). Al posto dell'unilateralismo preventivo di Bush si formo' una coalizione che comprendeva anche Paesi islamici. E il pur contorto via libera dell'Onu (risoluzione 1386) arrivo' prima, non dopo la guerra... La missione in Afghanistan, lasciata a meta' dagli Usa per volgersi contro Baghdad, risulta ancora oggi incompiuta con Bin Laden libero e attivo. Tanto piu' che in Afghanistan e' presente quella comunita' internazionale alla quale vogliamo appartenere (Francia, Germania, Spagna) e un ritiro unilaterale comporterebbe per l'Italia una frattura strategica ben piu' grave e onerosa di quella che si produrra' con il rientro dall'Iraq". * E' la presenza delle truppe che crea instabilita' Senza le truppe straniere l'Afghanistan precipiterebbe nel caos, scrive Rampoldi. Peccato che nel caos l'Afghanistan ci sia gia' oggi, nonostante la presenza delle truppe straniere, e anche a causa della loro presenza. Quattro anni di occupazione militare straniera (Usa e Isaf) non sono serviti a rafforzare l'autorita' del governo di Karzai, che non si e' mai estesa al di fuori di Kabul e dei principali capoluoghi di provincia. Nel resto del Paese hanno continuato a comandare e a imperversare i signori della guerra e dell'oppio, e le condizioni di vita della popolazione non hanno conosciuto miglioramenti. Anche per colpa di una ricostruzione inesistente, di cui hanno beneficiato solo le aziende appaltatrici statunitensi e i corrotti politici del governo Karzai. Nel sud i talebani, fuggiti ma mai sconfitti, sono tornati dal Pakistan e hanno ripreso il controllo delle aree extraurbane delle province di Kandahar, Helmand, Uruzgan, Zabul e Kunar, lanciando un'offensiva contro le truppe straniere e governative che ha causato 6.500 morti in quattro anni (1.300 solo negli ultimi 5 mesi), con centinaia di civili afgani uccisi nei bombardamenti aerei Usa (una trentina solo lo scorso 22 maggio nel bombardamento di un villaggio vicino a Kandahar). Questi massacri di innocenti, le violenze e gli abusi delle truppe Usa nel corso dei rastrellamenti dei villaggi, le torture nelle Abu Ghraib afgane dei carceri militari di Bagram e Kandahar, il generale atteggiamento aggressivo e sprezzante delle truppe Usa nei confronti della popolazione: tutto cio' ha fatto montare negli afgani, alcuni di loro inizialmente abbastanza ben disposti verso la presenza militare straniera, un risentimento sempre maggiore nei confronti delle truppe d'occupazione e il governo Karzai. La rivolta di Kabul dell'altro giorno e' stata una dimostrazione eclatante. Questo montante odio popolare non fa distinzione tra soldati Usa o di altri paesi Nato: per gli afgani non c'e' differenza tra un marine e un alpino, e le colpe dei primi ricadono sui secondi in maniera del tutto automatica. Per la stragrande maggioranza degli afgani - che conoscono a malapena la geografia del proprio Paese - italiani, inglesi, tedeschi, spagnoli, europei, americani sono la stessa cosa: "stranieri". Stranieri di cui non si fidano piu', stranieri di cui hanno le tasche piene. Come le hanno del governo cosiddetto "democratico" di Karzai, in cui all'inizio molti hanno sinceramente creduto, ma che ormai considerano un traditore, un fantoccio degli stranieri, un potere lontanissimo dai bisogni della gente. In questa situazione di frustrazione, rabbia e disillusione, e' comprensibile che la societa' afgana torni a guardare con speranza ai talebani e al loro movimento armato, che trova un terreno di propaganda e proselitismo sempre piu' fertile e un sostegno popolare sempre piu' forte. E' vero che l'Afghanistan rischia di esplodere e di tornare in mano ai talebani, ma proprio grazie al catalizzatore della presenza militare straniera. * La legalita' della missione e' tutt'altro che scontata La missione Italiana in Afghanistan e' legittima, contrariamente a quella in Iraq, scrive Venturini. Peccato che, se si guarda alla storia di questa missione, emerga chiaramente non solo l'ambiguita' della sua originaria legittimita' internazionale, ma soprattutto i metodi antidemocratici con cui il governo italiano ha portato - e mantenuto per oltre quattro anni - l'Italia in guerra: violando la Costituzione italiana, violando la condizione alla quale il Parlamento aveva votato la partecipazione alla guerra, ampliando il coinvolgimento militare italiano facendolo passare con stratagemmi legali tutt'altro che trasparenti, evitando ogni dibattito sul cambiamento della natura della missione Isaf, sulle nuove regole d'ingaggio, sulla decisione di inviare aerei cacciabombardieri. In violazione all'articolo 11 della Costituzione repubblicana con cui l'Italia "ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", il nostro Paese e' entrato in guerra in Afghanistan il 7 novembre 2001, con l'approvazione bipartisan (esclusi solo Pdci, Prc e Verdi) di una risoluzione parlamentare che autorizzava la partecipazione italiana all'operazione bellica Usa Enduring Freedom - a sua volta "legittimata" dalla vaghissima risoluzione Onu n. 1368 del 12 settembre 2001 che, senza nemmeno citare l'Afghanistan, autorizza a "combattere con tutti i mezzi la minaccia del terrorismo" facendo riferimento al "diritto di autodifesa individuale o collettivo" stabilito dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Il Parlamento approvo' quella risoluzione a un patto: "impegnando il Governo a riferire tempestivamente al Parlamento circa gli sviluppi significativi degli eventi, nonche' a sottoporre ad esso eventuali nuove decisioni che si rendessero necessarie nel prosieguo del conflitto". Cosa che non e' mai accaduta. Il 20 dicembre 2001, la risoluzione Onu n. 1386 da' vita - ex Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite - alla missione di stabilizzazione Isaf (International Security Assistance Force), cui l'Italia aderisce automaticamente, formalizzando la sua partecipazione il 10 gennaio 2002, con la firma a Londra, assieme ad altre 15 nazioni, di un Memorandum of Understanding. L'unico passaggio parlamentare riguardante la missione Isaf avviene il 27 febbraio 2002, con l'approvazione della "legge n. 15/2002 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451, recante disposizioni urgenti per la proroga della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali". La "modificazione" riguarda l'inserimento nel testo del decreto di un riferimento alla missione Isaf "connessa a Enduring Freedom". Con lo stesso discutibile sistema delle "modificazioni" aggiunte nelle leggi di conversione di decreti-legge, il Parlamento ha approvato a posteriori la partecipazione dell'Italia a altre due missioni di guerra della Nato "connesse a Enduring Freedom" e iniziate il 21 ottobre 2001 con l'applicazione - per la prima volta nella storia Nato - dell'articolo 5 del Trattato dell'Alleanza Nord-Atlantica che stabilisce che ogni attacco a uno stato membro e' da considerarsi un attacco all'intera alleanza. L'11 agosto 2003 (legge n. 231/2003) viene approvata la partecipazione alla missione Active Endeavour, e il 12 marzo 2004 (legge n. 68/2004) quella alla missione Resolute Behaviour, entrambe svolte da unita' navali, rispettivamente, nel Mediterraneo orientale e nel Mare Arabico. Nell'agosto 2003, la missione Isaf passa sotto comando Nato, ovvero di un'alleanza militare formalmente in guerra con l'Afghanistan. Pochi mesi dopo, il 13 ottobre 2003, la risoluzione Onu n. 1510 stabilisce l'espansione della missione Isaf dalla sola Kabul a tutto il territorio nazionale afgano, prevedendo una progressiva espansione anche nelle zone meridionali e orientali dove le forze Usa continuano a combattere la resistenza talebana. Questa decisione e' legata allo scoppio della guerra in Iraq, dove le forze Usa sono cosi' impegnate da doversi disimpegnare dal fronte afgano, che viene "passato in consegna" agli alleati della Nato, proprio nel momento in cui la resistenza talebana torna a farsi sentire con maggior violenza. Dopo un 2004 relativamente tranquillo (700 morti), il 2005 registra una drammatica escalation dei combattimenti con oltre 2.000 morti. Questo preoccupante cambiamento della situazione, proprio alla vigilia della "fase 3" di espansione della missione Isaf nel turbolento sud del Paese (prevista per la primavera 2006), impone alla Nato l'esigenza di "irrobustire" le regole d'ingaggio dei militari impegnati nella missione, che di fatto muta la sua natura da missione di pace a missione di guerra. Tra la fine del 2005 e l'inizio del 2006 questo delicato argomento genera polemiche e accesi dibattiti, anche parlamentari, in tutti i Paesi europei. Non in Italia, dove il 23 febbraio 2006 il governo Berlusconi, pur di non affrontare un dibattito in aula sulla mutata natura della missione dei nostri 2.000 soldati impegnati in Afghanistan (e sul progetto di invio di sei cacciabombardieri Amx dell'Aeronautica Militare), decide di inserire l'autorizzazione al rifinanziamento delle missioni afgane Isaf e Enduring Freedom nel maxiemendamento (legge n. 51/2006) alla Finanziaria del dicembre 2005, imponendo la fiducia e approvandola con i soli voti della maggioranza. La legge autorizza fino al 30 giugno 2006 la spesa di 13.437.521 di euro per la proroga di Enduring Freedom, Active Endeavour, Resolute Behaviour e quella di 148.935.976 per la partecipazione all'Isaf. Piu' altri 3.349.403 per le "piccole spese". In totale 165.722.851 per sei mesi. Il che significa, in prospettiva, una spesa di oltre 320 milioni di euro l'anno: soldi nostri, che potrebbero essere destinati a scopi ben piu' utili, sia in Afghanistan che qui in Italia. * Per un dibattito politico onesto sulla missione in Afghanistan Gli italiani hanno il diritto di scegliere se continuare o meno a spendere i propri soldi e a mandare a morire i propri figli per una missione di pace in un paese in guerra, una missione sempre piu' pericolosa e avversata dalla popolazione locale, all'unico scopo - qui Venturini e' stato onesto - di evitare una "frattura strategica" con gli alleati della Nato, Stati Uniti in testa. L'Afghanistan ha bisogno di ospedali, scuole, strade e pozzi, non di blindati, fucili, elicotteri e cacciabombardieri. 3. AFGHANISTAN. GINO STRADA: IL GIOCO DELLE TRE CARTE [Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo questo intervento del 26 giugno 2006. Gino Strada, medico chirurgo impegnato in aree di guerra, fondatore dell'associazione umanitaria "Emergency", e' una delle voci piu' nitide e influenti del movimento pacifista italiano; tra le sue pubblicazioni: Pappagalli verdi, Feltrinelli, Milano; Buskashi', Feltrinelli, Milano] Tra le anime belle della politica nostrana, c'e' chi si infastidisce se gli si fa notare che stanno per decidere di continuare la guerra in Afghanistan. Preferiscono, per il pubblico, chiamarla in altri modi, mascherarla. Mimetizzarla con gli "impegni internazionali" e "le alleanze", percheí i cittadini non capiscano che di guerra e non di altro si tratta. Qui qualcuno non dice la verita'. Che siano proprio i nostri politici? * Enduring Freedom, missione di guerra La risposta e' nel sito del Ministero della Difesa (www.difesa.it). Nel capitolo sulle "operazioni militari in atto" (al 25 giugno 2006) si spiega che l'Italia partecipa alla Operazione Enduring Freedom. "Il Comando dell'operazione e' affidato al Comando Centrale americano (Uscentcom) situato a Tampa (Florida, Usa)... L'operazione militare e' parte della guerra globale che impegna la grande coalizione nella lotta contro il terrorismo, denominata Global War Against Terrorism (Gwat)". Questo e' parlare chiaro. Una guerra locale come parte di una guerra globale. E noi in mezzo, agli ordini. "E in atto - cosi' il Ministero della Difesa spiega la situazione attuale in Afghanistan e i compiti delle nostre forze - la terza fase, che prevede l'impiego di unita' di terra... Circa le attivita' volte a neutralizzare le sacche di terrorismo ancora presenti, le possibili basi logistiche ed i centri di reclutamento, la fase, dopo un periodo iniziale di intensi combattimenti, sta evolvendo in operazioni di interdizione di area per la completa bonifica del territorio. Sono operazioni condotte mediante pattugliamenti, posti di blocco ed eliminazione delle residue presenze di Al Qaida, sulla base dell'attivita' di intelligence". In altre parole, i comandi Usa, basandosi sui racconti delle loro spie, indicano di volta in volta chi ammazzare, mandando truppe, o qualche aereo a bombardare. E fare a pezzi esseri umani si chiama ora - nel sito ufficiale del Ministero della Difesa italiano - "bonifica del territorio". Nessun commento. All'operazione, come ci informa lo stesso sito, "contribuiscono 70 Paesi dei quali 27, tra cui l'Italia, hanno offerto 'pacchetti di forze' da impiegare, per la condotta dell'operazione militare vera e propria". Inequivocabile. E allora come mai i politici dell'attuale maggioranza continuano a intorbidire le acque? Hanno forse paura di essere considerati guerrafondai? Scelgono la guerra ma conviene loro farsi credere pacifisti (i guerrafondai dichiarati stanno, questa volta, perlopiu' all'opposizione). "Ritirarci dall'Afghanistan significherebbe uscire dalla Unione Europea e dalla Nato", si proclama con toni solenni, come se fosse l'orlo del baratro. E' in effetti l'ultima delle scuse. E' possibile che il "ripudiare la guerra" (quella in Afghanistan, ad esempio) comporti problemi con quei governi europei e d'oltreoceano che producono una guerra dopo l'altra. E anche con le loro alleanze militari. E allora? La nostra Costituzione e il suo articolo 11 vengono prima o dopo "le alleanze internazionali" o "gli impegni Nato"? Si puoí fare una guerra perche' e' "un impegno preso"? Il mondo della politica - apparentemente compatto - risponde "si'". Si puo' fare la guerra (se si riesce poi a farla passare come un'opera di carita', e' ancora meglio!) se si e' con la Nato, o con gli Usa, o con l'Onu, se la guerra e' legittima, se e' per la democrazia, se e' umanitaria. "La guerra per far finire tutte le guerre", come sentenzio' il presidente Wilson cercando (con risultati mediocri) di convincere gli americani ad entrare nella prima guerra mondiale. Le "ragioni" per una guerra, per qualsiasi guerra, non sono mai mancate. Vere o fittizie, dichiarate o meno, se c'e' una guerra ci sara' pure una ragione. E poi ci sono le varie forme di propaganda di guerra. Sono convinto che in questi anni moltissimi cittadini, italiani e non solo, abbiano compiuto un grande percorso di riflessione sui temi della guerra e della pace, dei diritti umani, della violenza. Alcune idee si sono fatte largo e sono finite dentro la coscienza di molti, nella loro etica, nel modo di concepire i rapporti tra esseri umani. Una di queste idee e' che non esista piu' giustificazione alcuna per la guerra. Ne' etica, ne' storica, ne' politica. Per quel movimento di coscienze, nessuna guerra sara' mai piu' accettabile ne' negoziabile. Perche' sarebbe un'altra perdita di pezzi di umanita', sacrificata alle misere alchimie della politica. Se la scelta contro la guerra dovesse davvero obbligare l'Italia a uscire dalla Nato, perche' la Nato intende continuare la guerra in Afghanistan, non mi sembrerebbe una grande tragedia. Lo sarebbe di certo per buona parte dei politici, ma non per i cittadini italiani. Anzi. Scommetto che, dovesse l'Italia uscire dalla Nato, ci sarebbe in Italia una festa di popolo di milioni di persone, a prescindere dalle direttive e dagli anatemi dei politici. * Isaf: l'altra faccia di Enduring Freedom Se su Enduring Freedom non viene detta la verita', tantomeno cio' accade per la missione "di pace" Isaf. Quando, verso la fine del 2001, l'Onu autorizza per 6 mesi una forza di sicurezza internazionale (Isaf) in Afghanistan, al governo italiano non par vero: finalmente si puo' essere in Afghanistan sotto l'"ombrello" dell'Onu, senza dovere rendere conto a nessuno. O quasi. Perche' in realta' la missione Isaf e' solo una manovra, un gioco delle tre carte. Alla riunione che il 20 dicembre 2001 approva la Risoluzione 1386, i membri del Consiglio di Sicurezza si trovano sul tavolo una lettera in cui gli inglesi si propongono di assumere il comando dell'Isaf. Ma a comandare e' sempre il Padrone, e' chiaro. Perfino esplicito. Nella stessa lettera, resa nota dal Dipartimento di Stato Usa, viene precisato che "Per cio' che riguarda i rapporti tra le forze dell'Isaf e altre forze operanti in Afghanistan in Enduring Freedom... per ragioni di efficienza, il Comando Centrale degli Stati Uniti avraí autorita' sulle forze Isaf". Tu sei il comandante, ma io ti comando. Un trucco sopraffino: l'Onu mette in piedi, su richiesta Usa, una forza Onu per l'Afghanistan; gli inglesi, che partecipano a qualsiasi guerra made in Usa e che sono pertanto in Enduring Freedom, si offrono di guidarla (e come rifiutare tanta generosita'?); le truppe dell'Isaf (quelle dell'Onu) guidate da un inglese, prendono poi ordini dai militari Usa, mandati li' non dall'Onu, bensi' dal Pentagono. Aderiamo, secondo i desideri del Padrone, anche alla missione Isaf. Figurarsi, manna dal cielo! Avevamo gia' deciso di entrare, in modo ancora piu' illegale, con Enduring Freedom. Adesso arriva l'ombrello dell'Onu a giustificarci. Nell'agosto del 2003, la missione Isaf entra nella terza fase (anch'essa, come Endruing Freedom: ma guarda un po' che coincidenza) e passa sotto il comando della Nato. Con i compiti che ben sappiamo, ce li hanno gia' assegnati: combattere gli insurgents, quelli che si ribellano in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo alla pax americana, e portare avanti la "guerra al terrorismo", il lavoro di Enduring Freedom. Poco importa, siamo comunque felici dello "scudo" rappresentato dalla Nato: per sentirci piu' tranquilli, in regola, quando si dovra' sparare parecchio. Il momento sembra arrivato. Il "lavoro" che attende le truppe Nato, e che ci attende, non sembra facile neppure agli Usa, se il "Washington Post" scrive: "Ne derivera' una battaglia per il controllo del sud, cruciale per l'Afghanistan e per la Nato". Con l'avvicinarsi della battaglia cruciale - un'altra "madre di tutte le battaglie"? - non e' casuale che le truppe Nato, ex Isaf, ex Enduring Freedom si ritrovino, cinque anni dopo, un comandante di nuovo inglese, che sara' poi sostituito, verso la fine dell'anno, da un comandante Usa. Eh si', quando il gioco si fa duro... Cosi' anche ai "nostri ragazzi", sotto il comando dei militaristi piu' convinti, spettera' il compito di estendere "il controllo del governo Karzai" e di "rimpiazzare" gli Usa nelle operazioni di controinsurrezione. "Restate, chiedete rinforzi" ci sta domandando ora il Padrone, e ci assicura che stavolta saremo anche noi "in prima linea" perche' le sue truppe intendono passarci il testimone. Anche noi adesso abbiamo l'occasione per sederci al tavolo dei grandi, "chi non spara non e' di serie A", come dice Luttwack. Enduring Freedom, Isaf, Nato: perde, sbaglia, la carta bianca vince! Proprio come nel mezzanino del metro'. Poi i politici possono sguazzare tra articoli e codicilli alla caccia di qualcosa che giustifichi scelte gia' decise, e i cittadini capiscono sempre meno. * Fuori l'Italia dalla guerra, senza se e senza ma L'Italia dira' si' o no a "finire il lavoro" lasciato incompiuto (per la verita' un fallimento totale anche sul piano militare) dall'Alleato-Padrone? Siamo alla vigilia di "grandi offensive", dicono i comandi Usa, e non si puo' dubitarne. Il governo sta per decidere - con il rifinanziamento della missione militare in Afghanistan - se mandare militari italiani a combattere, per conto degli Usa e sotto il loro comando, i "nemici" che le forze Usa, di volta in volta, additeranno come soggetti da eliminare. E se mandarli a combattere per proteggere "gli amici". Criminali quanto i nemici ma servili quanto noi, e quindi "dalla parte giusta". Non e' strano che il governo sia in difficolta'. Molti tra loro vorrebbero, col senno di poi, non essersi mai infilati anche nel pantano Afghanistan. Ma cinque anni fa la maggior parte di loro ha votato di tuffarcisi dentro entusiasticamente, approvando una Risoluzione (7 novembre 2001) che restera' nella storia della Repubblica come esempio di stravolgimento, in una sola pagina, della Costituzione Italiana, dello Statuto dell'Onu e delle risoluzioni del suo Consiglio di Sicurezza. Della situazione difficile in cui ci troviamo in Afghanistan, e da cui non e' facile uscire, molti politici dell'attuale maggioranza sono corresponsabili. Da qui nasce la prima difficolta'. L'altra difficolta', per i governanti di oggi, e' tutta interna. Tra pochi giorni devono andare in Parlamento e votare un documento importante. Non tanto per il suo contenuto. Per molti parlamentari dell'attuale maggioranza quello che si decidera' e' in un certo senso secondario. La cosa piu' importante, quando non la sola importante, e' che il documento del governo, quale che sia, venga approvato. Non si puoí rischiare di "andare sotto e far cadere il Governo" e' voce di popolo. Non si puo' rischiare. Quindi bisogna incominciare a fare rinunce, cercare compromessi, delineare una exit-strategy, o un modo per toglierci dai guai, per essere piu' chiari. Sembra un vicolo cieco. Perche' il vero problema su cui la politica sta annaspando e' la necessita' di inventare un trucco. Una formula per poter tenere i militari a fare il lavoro per il Padrone, dando allo stesso tempo un carota a quella parte della maggioranza che sa - dovesse votare per il rifinanziamento - di trovarsi in linea di collisione con i propri elettori. Ma se "la Patria vuole sacrifici", che cosa non si farebbe per fare stare in piedi un Governo, specie quando la sua "stabilita'" e' considerata l'obbiettivo primario da raggiungere? Cosií in quell'area politica normalmente associata (o forse non piu', potremo capirlo meglio dopo il voto) al pacifismo tira aria pesante di suicidio. Non e' principalmente un problema di uomini di partito, ma di cittadini, di elettori, di coscienze. Se i partiti di quell'area votassero per la guerra, ne pagherebbero un prezzo politico e di consenso devastante. Un prezzo ancora maggiore finirebbero col pagare se cercassero di truccare le carte, di fare passare inosservata o camuffata la scelta della guerra. "No alla guerra, senza se e senza ma" e' espressione certamente efficace. Oggi si puo' darle concretezza. Essere contro la guerra, prima ancora che un obbligo costituzionale mi pare il discrimine tra civilta' e incivilta', tra le cose umane, per brutte che siano, e quelle disumane. Rifiutarsi di avere qualsiasi ruolo nel produrre violenza e omicidi di massa, pulizie etniche e genocidi, stupri e torture, mi sembra insieme un valore primario di specie e una garanzia di sopravvivenza, da custodire entrambi gelosamente. Non si tratta di un valore di destra ne' di sinistra. Ma possono la coscienza e l'intelligenza rifiutare l'orrore della guerra a giorni alterni? Una guerra si' e una no, questa guerra e' diversa, in quest'altra il nostro ruolo e' diverso, qui siamo forze Onu e la' forze Nato, gli impegni internazionali, le alleanze, questa guerra e' giusta... Basta alle nostre coscienze sapere che i soldati italiani hanno il bollino Onu, per rendere accettabile la partecipazione alla guerra in Afghanistan? Negli ultimi anni e' maturato un importante movimento di persone che non vuole piu' saperne della guerra ne' della logica della guerra, della logica del togliere agli altri quello che hanno, o quello che potrebbero avere, fino a togliere loro anche la vita. Questo movimento rifiuta di aggredire economicamente, militarmente e moralmente, di sfruttare altri esseri umani. In questo movimento sono state rifiutate tutte le "ragioni per la guerra", le sue giustificazioni. Per questo credo che un voto per la guerra sarebbe un macigno per quell'area politica che ha piu' volte dichiarato sintonie col movimento per la pace. Rifiutate la guerra "umanitaria" del centrosinistra e quella "per la civilta'" del centrodestra, rifiutata la guerra bipartisan "al terrorismo", puo' il movimento accettarla oggi "perche' non cada il governo italiano"? Nel nuovo modo di pensare di milioni di persone, la "questione guerra" e' stata risolta, da tempo e per sempre. Perche' cio' che ogni guerra produce e' talmente ripugnante che nessun fine, neppure il piu' nobile, potraí mai giustificarla. Ci potranno essere guerre legali o perfino legittime - le leggi cambiano - ma non ci saranno mai guerre giuste. Per questo, nessuna guerra e' negoziabile. Dopo cinque anni di evidente fallimento del nostro intervento in Afghanistan - con il risultato paradossale che i supposti militari "in missione di pace" sono visti con sempre maggior insofferenza - il mondo della politica dovrebbe, se non altro per buon senso, provare un approccio diverso. Vuole il governo, per qualsiasi ragione, scegliere di stare ancora li', a fare servilmente la guerra per conto terzi? Vogliono vedere "altro sangue italiano in Afghanistan" (e forse non solo) come poi titolerebbero le prime pagine dei nostri quotidiani, per "estendere il controllo del governo Karzai"? Sta a loro decidere. Penso solo sia mio dovere, come cittadino che fa parte del popolo di Emergency e del movimento per la pace, riaffermare che chi scegliera' la guerra lo fara' not in my name, non a nome mio. 4. AFGHANISTAN. MARCO GARATTI: OSPEDALI, NON CANNONI [Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo questo intervento del 27 giugno 2006. Marco Garatti e' chirurgo e coordinatore medico del programma di Emergency in Afghanistan] Si stava parlando con Gino [Strada, il fodnatore di Emegency - ndr] dell'opportunita' o meno di avere un'altra sala operatoria nel nostro ospedale - le nostre due ormai sono sempre piene da mattino a sera - quando abbiamo ricevuto, del tutto inattesa, la notizia della visita del ministro della Difesa italiano, Arturo Parisi. L'ospedale era come al solito in piena attivita'. E' venerdi', teoricamente quindi giorno di festa. Ma ormai abbiamo capito, da tempo, che anzi di venerdi' si lavora anche di piu' perche' gli altri ospedali, che lo si creda o no, "chiudono". Ha sorpreso tutti noi, piacevolmente sorpreso questo rinnovato interesse delle autorita' italiane verso la nostra attivita'. Erano anni ormai che, come si suole dire, dalle nostre parti non passava piu' nessuno. Come se non avessimo continuato, in tutti questi anni, a curare con dignita' e professionalita' tutti i feriti di questo enorme e perenne campo di battaglia che si chiama Afghanistan. Come se la nostra attivita' avesse improvvisamente cessato di essere quella che e' perche' si puo' essere "di destra" o "di sinistra" nel curare i malati. Come se in questi anni si fosse voluto ignorare che l'Afghanistan rimane un paese dove si muore come prima, piu' di prima, colpiti da un proiettile o saltando su una mina. Ci ha fatto quindi grande piacere questa visita, non tanto per il rinnovato riconoscimento, di cui poco ci importa. Quanto per l'opportunita' che ci e' stata data. L'opportunita' di far vedere che ancora qui in Afghanistan non si e' usciti dall'emergenza, nonostante l'impegno ed i denari spesi dalla comunita' internazionale. L'opportunita' di far capire che e' possibile essere presenti nel paese, anche nelle aree considerate le piu' pericolose, essendo disarmati mentre tutti gli altri, quando ci sono, hanno blindati e sono armati fino ai denti. Perche' non serve avere armi se la gente sa che si e' li' per cercare di aiutarla. L'opportunita' di far capire che questo paese ha bisogno, un disperato bisogno di servizi che funzionino, e che a farli funzionare sono l'impegno e la trasparenza, non i cannoni che ci stanno dietro. Questo e' stato il messaggio che abbiamo cercato di trasmettere al ministro della Difesa. Dopo la sua visita abbiamo ripreso la nostra routine che e' quella di curare i feriti che continuano ad arrivare al nostro pronto soccorso. Feriti che noi continuiamo a curare tutti, e tutti allo stesso modo: talebani e non, amici e nemici, pashtun o tagichi. E questo, permettetemi di dirlo, e' una cosa che ci rende tremendamente orgogliosi. 5. SCHEDA. IL CONFLITTO AFGANO OGGI [Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo la seguente scheda del 21 giugno 2006] Parti in conflitto 1979-1989: truppe sovietiche (e governative) contro guerriglia mujahedin (sostenuta dagli Stati Uniti). 1989-1996: conflitti armati tra mujaheddin tagiki, uzbeki, hazari, pashtun. 1996-2002: taliban al governo (sostenuti da Pakistan e Arabia Saudita) contro la resistenza dei mujahedin tagiki, uzbeki e hazari uniti nell'Alleanza del Nord (sostenuta da Russia, India, Iran, Tajikistan e Uzbekistan). 2002-oggi: truppe americane e governative (del governo di Hamid Karzai) contro la resistenza dei taliban e dei miliziani dell'Hezb-i Islami (di Gulbuddin Hekmatyar) nelle province sud-orientali al confine col Pakistan; milizie uzbeke del Jumbesh-i Milli (di Abdul Rashid Dostum) contro milizie tagike del Jamiat-i Islami (di Mohammad Ustad Atta) nelle province settentrionali del Paese. * Vittime La guerra tra forze sovietiche e resistenza afgana (1979-1989), quella successiva tra le varie fazioni di mujaheddin (1989-1996) e quella tra talebani e Alleanza del Nord (1996-2001) hanno causato la morte di un milione e mezzo di afgani, due terzi dei quali (un milione) civili. L'intervento armato Usa alla fine del 2001 ha provocato la morte di 14.000 afgani, di cui almeno 10.000 combattenti talebani e quasi 4.000 civili. A queste vanno aggiunti 15-20.000 civili afgani morti nei mesi successivi alla fine del conflitto per le malattie e la fame provocate dalla guerra. Piu', ancora, altri 5.000 morti causati dai combattimenti e dagli attentati verificatisi nei tre anni di "dopoguerra". Nel 2005 la "guerra finita" in Afghanistan ha ucciso piu' di 1.900 persone: di cui almeno 1.047 talebani, 415 militari afgani, 321 civili afgani, 97 soldati statunitensi (ufficialmente dichiarati), 17 spagnoli, 15 tedeschi, 5 britannici, 4 canadesi, 3 italiani, 3 francesi, un danese, uno svedese, un australiano, un rumeno, un norvegese, e un portoghese. Dall'inizio del 2006 si contano 2.000 morti, di cui 318 civili, 1.022 talebani (o presunti tali), 591 militari afgani, 51 soldati Usa e 18 del contingente Isaf-Nato. * Mine L'Afghanistan e' uno dei paesi piu' minati del pianeta. Non c'e' provincia afgana che non sia afflitta dal problema dei campi minati. Secondo i dati della Ong britannica Halo Trust, dal 1979 ad oggi sono state disseminate, ufficialmente, almeno 640.000 mine, tra antiuomo e anticarro. A queste vanno aggiunti milioni di ordigni inesplosi (uxo) [Solo tra l'ottobre 2001 e il marzo 2002 le forze aeree Usa hanno sganciato sull'Afghanistan 250.000 cluster bomb (Blu-97), la maggior parte delle quale rimaste inesplose. Solo nel 2003 ne sono state rinvenute e distrutte quasi 13.000]. Dal 1979 ad oggi 400.000 afgani (per l'80 percento civili) sono rimasti uccisi o mutilati dalle mine. Da quando e' iniziata l'attivita' di sminamento, nel 1988, sono state rinvenute e distrutte 250.000 mine e 3,3 milioni di ordigni inesplosi. E' stato calcolato che per bonificare completamente il territorio afgano, ai ritmi attuali ci vorrebbero piu' di quattromila anni. * Risorse contese L'Afghanistan e' il maggior produttore di oppio al mondo (l'eroina afgana rifornisce i tre quarti del mercato occidentale) ed e' ricco di smeraldi e risorse minerarie. Ma il valore strategico del Paese e' legato ai gasdotti e ai corridoi commerciali (stradali e ferroviari) che lo attraversano, collegando gli Stati ex-sovietici dell'Asia centrale con il Pakistan e l'India. Inoltre la recente scoperta di immensi giacimenti di uranio potrebbe diventare una fonte potenziale di nuovi conflitti. * Fornitura di armamenti L'esercito afgano e' armato dall'Occidente (Usa e Gran Bretagna in testa), i mujaheddin da Russia, India, Iran, Tajikistan e Uzbekistan. I taliban si finanziano col commercio illegale di oppio e grazie all'appoggio indiretto del Pakistan e dell'Arabia Saudita. * Situazione attuale Il 15 giugno a Kandahar una bomba e' esplosa su un autobus che portava al lavoro afgani impiegati alla locale base Usa, uccidendo 10 persone.Alla base Usa di Bagram un soldato statunitense e' morto non si sa per quali cause. Nella provincia di Zabul i talebani sostengono di aver ucciso 3 poliziotti. Nella provincia di Helmand i talebani hanno ucciso un capo dei servizi segreti. Nella provincia di Nimruz 2 impiegati afgani di un'impresa di costruzione turca e uno sminatore afgano sono stati uccisi in un agguato dei talebani. A Kabul una guardia privata nepalese e un commerciante afgano sono morti in una sparatoria scoppiata tra loro. Il 16 nella provincia di Uruzgan le forze Usa e afgane sostengono di aver ucciso 40 guerriglieri talebani. Nella provincia di Kunar 2 soldati Usa e una ragazza afgana sono morti in un agguato. Nella provincia di Kandahar i talebani sostengono di aver ucciso 4 poliziotti con una mina. Il 17 nella provincia di Nimruz un soldato afgano e' morto in un attentato. Nella provincia di Kandahar 7 talebani e un poliziotto sono stati uccisi durante un attacco a un ufficio del governo. Nella provincia di Helmand 3 talebani sono morti per l'esplosione di una bomba che stavano maneggiando e altri 6 talebani sono morti in un combattimento con le truppe britanniche. Nella provincia di Uruzgan i talebani sostengono di aver ucciso 11 soldati afgani. Il 18 nella provincia di Helmand 4 poliziotti e un funzionario provinciale sono stati uccisi in un'imboscata dei talebani. Nella provincia di Uruzgan le forze afgane sostengono di aver ucciso 10 talebani. Nella provincia di Zabul le forze afgane sostengono di aver ucciso 6 talebani. Il 19 nella provincia di Helmand i talebani hanno ucciso 32 membri di un clan tagico, familiari e sostenitori di un ex comandante oggi parlamentare, e le forze Usa sostengono di aver ucciso 5 talebani in un raid aereo. Nella provincia di Pakika le forze afgane sostengono di aver ucciso 14 talebani in un combattimento. Il 20 nella provincia di Kandahar un soldato rumeno Isaf-Nato e' morto in un attentato talebano. Nella provincia di Farah un camionista turco e 3 guardie armate afgane sono morte in un'imboscata dei talebani. Nella provincia di Kunar 3 poliziotti afgani sono stati uccisi per errore dalle forze Usa a un posto di blocco. Nella provincia di Helmand le forze Usa e afgane sostengono di aver ucciso 20 talebani in uno scontro armato che, sostengono i talebani, ha causato anche la morte di 7 soldati afgani. Nella provincia di Uruzgan le forze afgane sostengono di aver ucciso 10 talebani. Il 21 nella provincia del Nuristan 4 soldati Usa sono morti in uno scontro con i talebani. Nella provincia di Nangarhar 6 poliziotti afgani sono morti nell'esplosione di alcuni camion-cisterna che trasportavano carburante per le truppe Usa, fatti saltare dai talebani. Nella provincia di Kunar i talebani sostengono di aver ucciso 3 poliziotti afgani. Nella provincia di Zabul sostengono di aver ucciso altri 7 poliziotti. A Kandahar un kamikaze si fa esplodere al passaggio di un convoglio Isaf uccidendo se stesso e un civile. 6. AMICIZIE. DA UNA LETTERA DI MISONE ELEATICO ALL'AMICO SUO PANFILO GEROSOLIMITANO ... Quanto ai parlamentari che hanno annunciato il loro "no" alla guerra... il punto non e' perche' loro votino contro la guerra obbedendo alla Costituzione, il punto e' perche' gli altri votino a favore della guerra la Costituzione violando. Il fatto che nel dibattito pubblico si sia cosi' oscenamente capovolta la logica, al punto che viene chiesto di giustificarsi a quelli che fanno la cosa lecita e piu' ragionevole (attenersi alla Costituzione, ripudiare la guerra) invece di chiedere conto a quelli che fanno la cosa piu' palesemente criminale (appoggiare la guerra, violare la legge) la dice lunga su quanto a fondo scava la manipolazione operata dai media dominanti (oggi pressoche' totalmente e totalitariamente schierati a sostegno della prosecuzione della partecipazione militare italiana alla guerra afgana). Mala tempora currunt... 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1347 del 5 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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