La nonviolenza e' in cammino. 1347



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1347 del 5 luglio 2006

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Di respirare la stessa aria
2. Enrico Piovesana: La verita' della guerra
3. Gino Strada: Il gioco delle tre carte
4. Marco Garatti: Ospedali, non cannoni
5. Il conflitto afgano oggi
6. Da una lettera di Misone eleatico all'amico suo Panfilo gerosolimitano
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: DI RESPIRARE LA STESSA ARIA

Il tempo dell'orbace
Nella visione del mondo di certi signori la democrazia consiste nel votare
una volta ogni cinque anni per il capoccia di una camarilla, lo si elegge
capo del governo e poi lo si lascia fare il comodo suo, e tra cinque anni se
ci lascera' votare ancora si decide se votare di nuovo per lui o per un suo
fratello meno furbo.
Noi la pensiamo diversamente.
Non diamo deleghe in bianco, non siamo sudditi, noi non eleggiamo un monarca
ma un parlamento, e le leggi che il parlamento intende deliberare le
vogliamo discutere tutte, le vogliamo discutere tutti. Si chiama
partecipazione. Si chiama responsabilita'. Sono quelle antiche virtu'
repubblicane in nome delle quali dai tempi di Spartaco gli oppressi prendono
coscienza della propria dignita' e decidono di lottare per l'uguaglianza di
diritti, per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri
umani. Solo gli schiavi piu' prostrati, e i piu' vili dei cortigiani, non
sanno cosa sia.
Con chi non riesce a capire di cosa stiamo parlando, e perche' ci stia cosi'
a cuore, non vale la pena di continuare a discutere.
*
Il ritorno del Socing
In questi foschi giorni pressoche' la totalita' dei mass-media, dei partiti,
delle associazioni foraggiate a spese del pubblico erario, dei padroni di
qualcosa o qualcuno, di coloro che hanno il pranzo e la cena assicurati,
pretende di farci ingoiare a forza che la guerra e' cosa buona, che uccidere
e' una delle belle arti, che morire fa bene alla salute.
La loro pressione e' talmente forte che sono riusciti a convincere anche
alcune persone buone. Che stanno diventando complici degli assassini perche'
accecate dalla propaganda degli assassini.
Abbiamo o no il dovere di cercar di salvar delle vite?
E abbiamo o no il dovere di gridare "attento, li' c'e' il burrone" alle
persone amiche che nell'abisso stanno cadendo?
E abbiamo o no il dovere di chiamare guerra la guerra, stragi le stragi,
crimine il crimine?
Con chi non riesce a capire di cosa stiamo parlando, e perche' ci stia cosi'
a cuore, non vale la pena di continuare a discutere.
*
Il disordine del discorso
Si tratta di mettersi d'accordo su questo: e' piu' importante una cadrega
ministeriale o la vita sia pure di un solo essere umano?
Se e' piu' importante la prima, i parlamentari le cui mani ancora non si
sono macchiate di sangue innocente, votino pure a favore della prosecuzione
della partecipazione italiana alla guerra afgana subendo il ricatto degli
assassini e divenendo quindi loro stessi assassini.
Se e' piu' importante la seconda, si battano affinche' il parlamento salvi
le vite umane invece di contribuire a sopprimerle. Ripudi la guerra e
legiferi interventi di pace costruttori di pace con mezzi di pace: la
nonviolenza e' la via.
Si tratta di mettersi d'accordo su questo: e' piu' importante spartirsi un
bel gruzzolo d'incarichi di governo e di sottogoverno (e relative prebende e
sinecure), o rispettare la legge fondamentale dello Stato cui ogni membro
del governo ha personalmente giurato fedelta'?
Se e' piu' importante la prima cosa, il decreto del Consiglio dei ministri
che dispone la prosecuzione della partecipazione italiana alla guerra afgana
e' una bella furberia che portera' tanti graditi vantaggi alle fameliche
consorterie di chi l'ha votato, e in fondo a poco prezzo: solo la morte
delle vittime della guerra in Afghanistan, che tanto sono cosi' lontane,
piu' lontane delle persone assassinate nel '99 dal governo D'Alema con i
bombardamenti in Jugoslavia, piu' lontane delle persone seviziate e morte
nei campi di concentramento italiani riaperti nel '98 dal governo Prodi con
la legge Turco-Napolitano.
Se e' piu' importante la seconda cosa, c'e' materia per dichiarare
fuorilegge l'intero governo in carica, e se qualcuno in esso ancora ha
qualcosa che gli si agita nel petto, seppur tardivamente si dissoci dal
decreto incostituzionale.
*
Chiacchiere da bar
Sia chiaro: qui non si sta discutendo se sia preferibile che governino
fascisti, razzisti e mafiosi, o un fronte ampio antiberlusconiano: nessuno
che voglia la pace e la giustizia propugna il ritorno al potere del blocco
golpista, per questo anche una persona come me ha votato per la coalizione
del cosiddetto centrosinistra pur sapendo quanti e quali malfattori essa
avrebbe portato al potere.
Cio' che si sta discutendo e' se sia lecito votare per la guerra, votare per
far morire delle persone. Noi diciamo che e' illecito, come attesta la
Costituzione della Repubblica Italiana che non piu' di qualche settimana fa
il popolo italiano ha salvato dall'assalto golpista; e come attesta il
codice penale.
E, se e' concesso di aggiungere piccina una postilla: votare per la
prosecuzione della partecipazione militare italiana alla guerra, cioe'
proseguire la politica berlusconiana, non e' forse un primo penoso
tradimento del mandato dei molti elettori che nello scorso aprile hanno
votato per il fronte antiberlusconiano proprio in quanto antiberlusconiano?
Per quello che e' l'ordinamento istituzionale italiano, se il Parlamento
boccia un provvedimento il governo non cade, riconosce la sovranita' del
parlamento come organo legislativo e al posto di quel provvedimento ne
propone un altro che ottenga il consenso della maggioranza di ciascuna delle
due camere.
E se qualche ministro ha pensato di esibirsi come tracotante ricattatore,
ogni persona di retto sentire sa quale trattamento i ricattatori meritano.
*
La notte di Valpurga
Ci si risparmi infine l'argomento pusllanime e osceno secondo il quale
poiche' i parlamentari per la pace sono una esigua minoranza un loro voto
contro la guerra resterebbe ininfluente, anzi potrebbe irritare i
guerrafondai che sono la maggioranza anche del cosiddetto centrosinistra che
si sentirebbero legittimati a cercare altri alleati, quindi tanto vale che
votino per la guerra anche loro.
Forse chi cosi' argomenta credendosi un furbo di sette cotte non sa che
proprio cosi' sempre pretendono giustificarsi coloro che cooperano al male:
"se non lo avessi fatto io, lo avrebbe fatto qualcun altro", ripetevano in
coro i nazisti al processo di Norimberga.
*
Lungo il Bisenzio ancora
Amici di nobile cuore mi chiedono di essere rispettoso delle ragioni degli
assassini e dei complici degli assassini e degli arresi agli assassini. Come
Bartleby devo rispondere di no. Educatamente, va da se', ma la risposta e'
no.
Sono rispettoso delle persone, certo, del loro travaglio, anche; ma della
decisione che le rende assassine no. Delle ragioni che accettano la guerra
no.
No.
Gandhi chiamava la sua proposta di lotta con due termini (che noi
traduciamo, come ci ha insegnato Capitini, con un termine solo ma di
straordinaria ricchezza semantica e potenza ermeneutica: nonviolenza): quei
termini gandhiani sono ahimsa e satyagraha: che vogliono dire
rispettivamente opponiti alla violenza, e afferrati alla verita'. Tieniti
stretto alla verita', e lotta contro la violenza: la guerra e' un male,
uccidere e' un crimine. Tu non uccidere, tu non essere complice della
guerra. Tu combatti contro la violenza, tu salva le vite.
In Afghanistan c'e' molto, moltissimo da fare: ma la prima cosa da fare e'
smetterla di uccidere, la prima cosa da fare e' smetterla di fare la guerra,
e quindi la prima cosa che l'organo legislativo dell'ordinamento giuridico
che chiamiamo Repubblica Italiana deve deliberare e' la cessazione della
partecipazione militare italiana alla guerra afgana.
*
L'ora della nonviolenza giuriscostituente
L'alternativa e' semplice e chiara: l'intervento nonviolento nel confllitto
con i Corpi civili di pace, e' ora di cominciare; intensificare gli
interventi umanitari per salvare le vittime della guerra, come da anni sta
facendo Emergency; un forte sostegno a chi e' impegnato per la democrazia,
per l'educazione, per il rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri
umani, come le tante esperienze delle donne afgane - loro si' eroiche, che
disarmate lottano per l'umanita' intera; promuovere - ma dando per primi
l'esempio - un'azione internazionale per la cessazione della guerra, per il
disarmo di tutte le parti, per garantire sussistenza e sviluppo economico e
civile alla popolazione tutta, per contrastare il crimine, il terrorismo, la
guerra intervenendo sulle radici strutturali oltre che su quelle
sovrastrutturali; infine: e' ora che la scelta della nonviolenza diventi
impegno e chiave anche della politica degli stati e delle relazioni
internazionali. E' l'ora della nonviolenza giuriscostituente.

2. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: LA VERITA' DELLA GUERRA
[Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo questo intervento del primo
giugno 2006. Enrico Piovesana, giornalista, lavora a "Peacereporter.net",
per cui segue la zona dell'Asia centrale e del Caucaso; nel maggio 2004 e'
stato in Afghanistan in qualita' di inviato]

Gli editoriali di prima pagina di ieri su "Repubblica" e "Corriere della
sera" hanno ufficialmente dato il via alla campagna stampa contro il ritiro
dell'Italia dalla guerra in corso in Afghanistan. Con argomenti diversi che
ben sintetizzano, nella discussione sul ruolo italiano in Afghanistan,
l'opinione di chi vuole lasciare le truppe italiane in quel paese, o
addirittura aumentarne la presenza. Argomenti diversi, dicevamo, ma entrambi
confutabili.
Guido Rampoldi, su "Repubblica". "Oggi quel pacifismo invoca il rimpatrio
del contingente italiano dall'Afghanistan: ma evita di chiedersi cosa
accadrebbe laggiu' se la Nato fuggisse. Accadrebbe questo: naufragherebbe la
possibilita' di sottrarre gli afgani alla guerra civile cominciata oltre
trent'anni fa. Dilagherebbe ovunque una mischia furibonda, combattuta dai
pesi massimi dell'area attraverso le milizie afgane, un 'tutti contro tutti'
che provocherebbe dapprima il collasso definitivo del Paese e d'ogni minima
traccia di statualita', quindi l'ennesimo sterminio per fame di decine o
centinaia di migliaia di afgani, soprattutto donne e bambini. Infine
al-Qaeda tornerebbe ad essere padrona di gran parte dell'Afganistan; e
l'avvento definitivo della casta guerriera, assassini molto pii,
comporterebbe per le ragazze di Kabul la fine d'ogni speranza".
Franco Venturini, sul "Corriere della sera". "Andarsene dall'Afghanistan?
No, perche', a dispetto dei rischi comuni, Afghanistan e Iraq, lungi
dall'essere simili, rappresentano le due concezioni opposte della politica
internazionale e del ricorso alla forza... L'intervento in Afghanistan,
all'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001, e' cosa del tutto
diversa. Le motivazioni furono veritiere (perche' in Afghanistan i
terroristi c'erano, a differenza delle armi di distruzione di massa in
Iraq). Al posto dell'unilateralismo preventivo di Bush si formo' una
coalizione che comprendeva anche Paesi islamici. E il pur contorto via
libera dell'Onu (risoluzione 1386) arrivo' prima, non dopo la guerra... La
missione in Afghanistan, lasciata a meta' dagli Usa per volgersi contro
Baghdad, risulta ancora oggi incompiuta con Bin Laden libero e attivo. Tanto
piu' che in Afghanistan e' presente quella comunita' internazionale alla
quale vogliamo appartenere (Francia, Germania, Spagna) e un ritiro
unilaterale comporterebbe per l'Italia una frattura strategica ben piu'
grave e onerosa di quella che si produrra' con il rientro dall'Iraq".
*
E' la presenza delle truppe che crea instabilita'
Senza le truppe straniere l'Afghanistan precipiterebbe nel caos, scrive
Rampoldi. Peccato che nel caos l'Afghanistan ci sia gia' oggi, nonostante la
presenza delle truppe straniere, e anche a causa della loro presenza.
Quattro anni di occupazione militare straniera (Usa e Isaf) non sono serviti
a rafforzare l'autorita' del governo di Karzai, che non si e' mai estesa al
di fuori di Kabul e dei principali capoluoghi di provincia. Nel resto del
Paese hanno continuato a comandare e a imperversare i signori della guerra e
dell'oppio, e le condizioni di vita della popolazione non hanno conosciuto
miglioramenti. Anche per colpa di una ricostruzione inesistente, di cui
hanno beneficiato solo le aziende appaltatrici statunitensi e i corrotti
politici del governo Karzai.
Nel sud i talebani, fuggiti ma mai sconfitti, sono tornati dal Pakistan e
hanno ripreso il controllo delle aree extraurbane delle province di
Kandahar, Helmand, Uruzgan, Zabul e Kunar, lanciando un'offensiva contro le
truppe straniere e governative che ha causato 6.500 morti in quattro anni
(1.300 solo negli ultimi 5 mesi), con centinaia di civili afgani uccisi nei
bombardamenti aerei Usa (una trentina solo lo scorso 22 maggio nel
bombardamento di un villaggio vicino a Kandahar).
Questi massacri di innocenti, le violenze e gli abusi delle truppe Usa nel
corso dei rastrellamenti dei villaggi, le torture nelle Abu Ghraib afgane
dei carceri militari di Bagram e Kandahar, il generale atteggiamento
aggressivo e sprezzante delle truppe Usa nei confronti della popolazione:
tutto cio' ha fatto montare negli afgani, alcuni di loro inizialmente
abbastanza ben disposti verso la presenza militare straniera, un
risentimento sempre maggiore nei confronti delle truppe d'occupazione e il
governo Karzai. La rivolta di Kabul dell'altro giorno e' stata una
dimostrazione eclatante. Questo montante odio popolare non fa distinzione
tra soldati Usa o di altri paesi Nato: per gli afgani non c'e' differenza
tra un marine e un alpino, e le colpe dei primi ricadono sui secondi in
maniera del tutto automatica. Per la stragrande maggioranza degli afgani -
che conoscono a malapena la geografia del proprio Paese - italiani, inglesi,
tedeschi, spagnoli, europei, americani sono la stessa cosa: "stranieri".
Stranieri di cui non si fidano piu', stranieri di cui hanno le tasche piene.
Come le hanno del governo cosiddetto "democratico" di Karzai, in cui
all'inizio molti hanno sinceramente creduto, ma che ormai considerano un
traditore, un fantoccio degli stranieri, un potere lontanissimo dai bisogni
della gente. In questa situazione di frustrazione, rabbia e disillusione, e'
comprensibile che la societa' afgana torni a guardare con speranza ai
talebani e al loro movimento armato, che trova un terreno di propaganda e
proselitismo sempre piu' fertile e un sostegno popolare sempre piu' forte.
E' vero che l'Afghanistan rischia di esplodere e di tornare in mano ai
talebani, ma proprio grazie al catalizzatore della presenza militare
straniera.
*
La legalita' della missione e' tutt'altro che scontata
La missione Italiana in Afghanistan e' legittima, contrariamente a quella in
Iraq, scrive Venturini. Peccato che, se si guarda alla storia di questa
missione, emerga chiaramente non solo l'ambiguita' della sua originaria
legittimita' internazionale, ma soprattutto i metodi antidemocratici con cui
il governo italiano ha portato - e mantenuto per oltre quattro anni -
l'Italia in guerra: violando la Costituzione italiana, violando la
condizione alla quale il Parlamento aveva votato la partecipazione alla
guerra, ampliando il coinvolgimento militare italiano facendolo passare con
stratagemmi legali tutt'altro che trasparenti, evitando ogni  dibattito sul
cambiamento della natura della missione Isaf, sulle nuove regole d'ingaggio,
sulla decisione di inviare aerei cacciabombardieri.
In violazione all'articolo 11 della Costituzione repubblicana con cui
l'Italia "ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali", il nostro Paese e' entrato in guerra in Afghanistan il 7
novembre 2001, con l'approvazione bipartisan (esclusi solo Pdci, Prc e
Verdi) di una risoluzione parlamentare che autorizzava la partecipazione
italiana all'operazione bellica Usa Enduring Freedom - a sua volta
"legittimata" dalla vaghissima risoluzione Onu n. 1368 del 12 settembre 2001
che, senza nemmeno citare l'Afghanistan, autorizza a "combattere con tutti i
mezzi la minaccia del terrorismo" facendo riferimento al "diritto di
autodifesa individuale o collettivo" stabilito dall'articolo 51 della Carta
delle Nazioni Unite. Il Parlamento approvo' quella risoluzione a un patto:
"impegnando il Governo a riferire tempestivamente al Parlamento circa gli
sviluppi significativi degli eventi, nonche' a sottoporre ad esso eventuali
nuove decisioni che si rendessero necessarie nel prosieguo del conflitto".
Cosa che non e' mai accaduta.
Il 20 dicembre 2001, la risoluzione Onu n. 1386 da' vita - ex Capitolo VII
della Carta delle Nazioni Unite - alla missione di stabilizzazione Isaf
(International Security Assistance Force), cui l'Italia aderisce
automaticamente, formalizzando la sua partecipazione il 10 gennaio 2002, con
la firma a Londra, assieme ad altre 15 nazioni, di un Memorandum of
Understanding. L'unico passaggio parlamentare riguardante la missione Isaf
avviene il 27 febbraio 2002, con l'approvazione della "legge n. 15/2002 di
conversione, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451,
recante disposizioni urgenti per la proroga della partecipazione italiana ad
operazioni militari internazionali". La "modificazione" riguarda
l'inserimento nel testo del decreto di un riferimento alla missione Isaf
"connessa a Enduring Freedom".
Con lo stesso discutibile sistema delle "modificazioni" aggiunte nelle leggi
di conversione di decreti-legge, il Parlamento ha approvato a posteriori la
partecipazione dell'Italia a altre due missioni di guerra della Nato
"connesse a Enduring Freedom" e iniziate il 21 ottobre 2001 con
l'applicazione - per la prima volta nella storia Nato -  dell'articolo 5 del
Trattato dell'Alleanza Nord-Atlantica che stabilisce che ogni attacco a uno
stato membro e' da considerarsi un attacco all'intera alleanza. L'11 agosto
2003 (legge n. 231/2003) viene approvata la partecipazione alla missione
Active Endeavour, e il 12 marzo 2004 (legge n. 68/2004) quella alla missione
Resolute Behaviour, entrambe svolte da unita' navali, rispettivamente, nel
Mediterraneo orientale e nel Mare Arabico.
Nell'agosto 2003, la missione Isaf passa sotto comando Nato, ovvero di
un'alleanza militare formalmente in guerra con l'Afghanistan. Pochi mesi
dopo, il 13 ottobre 2003, la risoluzione Onu n. 1510 stabilisce l'espansione
della missione Isaf dalla sola Kabul a tutto il territorio nazionale afgano,
prevedendo una progressiva espansione anche nelle zone meridionali e
orientali dove le forze Usa continuano a combattere la resistenza talebana.
Questa decisione e' legata allo scoppio della guerra in Iraq, dove le forze
Usa sono cosi' impegnate da doversi disimpegnare dal fronte afgano, che
viene "passato in consegna" agli alleati della Nato, proprio nel momento in
cui la resistenza talebana torna a farsi sentire con maggior violenza. Dopo
un 2004 relativamente tranquillo (700 morti), il 2005 registra una
drammatica escalation dei combattimenti con oltre 2.000 morti. Questo
preoccupante cambiamento della situazione, proprio alla vigilia della "fase
3" di espansione della missione Isaf nel turbolento sud del Paese (prevista
per la primavera 2006), impone alla Nato l'esigenza di "irrobustire" le
regole d'ingaggio dei militari impegnati nella missione, che di fatto muta
la sua natura da missione di pace a missione di guerra. Tra la fine del 2005
e l'inizio del 2006 questo delicato argomento genera polemiche e accesi
dibattiti, anche parlamentari, in tutti i Paesi europei. Non in Italia, dove
il 23 febbraio 2006 il governo Berlusconi, pur di non affrontare un
dibattito in aula sulla mutata natura della missione dei nostri 2.000
soldati impegnati in Afghanistan (e sul progetto di invio di sei
cacciabombardieri Amx dell'Aeronautica Militare), decide di inserire
l'autorizzazione al rifinanziamento delle missioni afgane Isaf e Enduring
Freedom nel maxiemendamento (legge n. 51/2006) alla Finanziaria del dicembre
2005, imponendo la fiducia e approvandola con i soli voti della maggioranza.
La legge autorizza fino al 30 giugno 2006 la spesa di 13.437.521 di euro per
la proroga di Enduring Freedom, Active Endeavour, Resolute Behaviour e
quella di 148.935.976 per la partecipazione all'Isaf. Piu' altri 3.349.403
per le "piccole spese". In totale 165.722.851 per sei mesi. Il che
significa, in prospettiva, una spesa di oltre 320 milioni di euro l'anno:
soldi nostri, che potrebbero essere destinati a scopi ben piu' utili, sia in
Afghanistan che qui in Italia.
*
Per un dibattito politico onesto sulla missione in Afghanistan
Gli italiani hanno il diritto di scegliere se continuare o meno a spendere i
propri soldi e a mandare a morire i propri figli per una missione di pace in
un paese in guerra, una missione sempre piu' pericolosa e avversata dalla
popolazione locale, all'unico scopo - qui Venturini e' stato onesto - di
evitare una "frattura strategica" con gli alleati della Nato, Stati Uniti in
testa. L'Afghanistan ha bisogno di ospedali, scuole, strade e pozzi, non di
blindati, fucili, elicotteri e cacciabombardieri.

3. AFGHANISTAN. GINO STRADA: IL GIOCO DELLE TRE CARTE
[Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo questo intervento del 26 giugno
2006. Gino Strada, medico chirurgo impegnato in aree di guerra, fondatore
dell'associazione umanitaria "Emergency", e' una delle voci piu' nitide e
influenti del movimento pacifista italiano; tra le sue pubblicazioni:
Pappagalli verdi, Feltrinelli, Milano; Buskashi', Feltrinelli, Milano]

Tra le anime belle della politica nostrana, c'e' chi si infastidisce se gli
si fa notare che stanno per decidere di continuare la guerra in Afghanistan.
Preferiscono, per il pubblico, chiamarla in altri modi, mascherarla.
Mimetizzarla con gli "impegni internazionali" e "le alleanze", percheí i
cittadini non capiscano che di guerra e non di altro si tratta.
Qui qualcuno non dice la verita'. Che siano proprio i nostri politici?
*
Enduring Freedom, missione di guerra
La risposta e' nel sito del Ministero della Difesa (www.difesa.it). Nel
capitolo sulle "operazioni militari in atto" (al 25 giugno 2006) si spiega
che l'Italia partecipa alla Operazione Enduring Freedom. "Il Comando
dell'operazione e' affidato al Comando Centrale americano (Uscentcom)
situato a Tampa (Florida, Usa)... L'operazione militare e' parte della
guerra globale che impegna la grande coalizione nella lotta contro il
terrorismo, denominata Global War Against Terrorism (Gwat)".
Questo e' parlare chiaro. Una guerra locale come parte di una guerra
globale. E noi in mezzo, agli ordini.
"E in atto - cosi' il Ministero della Difesa spiega la situazione attuale in
Afghanistan e i compiti delle nostre forze - la terza fase, che prevede
l'impiego di unita' di terra... Circa le attivita' volte a neutralizzare le
sacche di terrorismo ancora presenti, le possibili basi logistiche ed i
centri di reclutamento, la fase, dopo un periodo iniziale di intensi
combattimenti, sta evolvendo in operazioni di interdizione di area per la
completa bonifica del territorio. Sono operazioni condotte mediante
pattugliamenti, posti di blocco ed eliminazione delle residue presenze di Al
Qaida, sulla base dell'attivita' di intelligence".
In altre parole, i comandi Usa, basandosi sui racconti delle loro spie,
indicano di volta in volta chi ammazzare, mandando truppe, o qualche aereo a
bombardare. E fare a pezzi esseri umani si chiama ora - nel sito ufficiale
del Ministero della Difesa italiano - "bonifica del territorio". Nessun
commento.
All'operazione, come ci informa lo stesso sito, "contribuiscono 70 Paesi dei
quali 27, tra cui l'Italia, hanno offerto 'pacchetti di forze' da impiegare,
per la condotta dell'operazione militare vera e propria".
Inequivocabile.
E allora come mai i politici dell'attuale maggioranza continuano a
intorbidire le acque? Hanno forse paura di essere considerati guerrafondai?
Scelgono la guerra ma conviene loro farsi credere pacifisti (i guerrafondai
dichiarati stanno, questa volta, perlopiu' all'opposizione).
"Ritirarci dall'Afghanistan significherebbe uscire dalla Unione Europea e
dalla Nato", si proclama con toni solenni, come se fosse l'orlo del baratro.
E' in effetti l'ultima delle scuse. E' possibile che il "ripudiare la
guerra" (quella in Afghanistan, ad esempio) comporti problemi con quei
governi europei e d'oltreoceano che producono una guerra dopo l'altra. E
anche con le loro alleanze militari. E allora?
La nostra Costituzione e il suo articolo 11 vengono prima o dopo "le
alleanze internazionali" o "gli impegni Nato"?
Si puoí fare una guerra perche' e' "un impegno preso"? Il mondo della
politica - apparentemente compatto - risponde "si'".
Si puo' fare la guerra (se si riesce poi a farla passare come un'opera di
carita', e' ancora meglio!) se si e' con la Nato, o con gli Usa, o con
l'Onu, se la guerra e' legittima, se e' per la democrazia, se e' umanitaria.
"La guerra per far finire tutte le guerre", come sentenzio' il presidente
Wilson cercando (con risultati mediocri) di convincere gli americani ad
entrare nella prima guerra mondiale.
Le "ragioni" per una guerra, per qualsiasi guerra, non sono mai mancate.
Vere o fittizie, dichiarate o meno, se c'e' una guerra ci sara' pure una
ragione. E poi ci sono le varie forme di propaganda di guerra.
Sono convinto che in questi anni moltissimi cittadini, italiani e non solo,
abbiano compiuto un grande percorso di riflessione sui temi della guerra e
della pace, dei diritti umani, della violenza. Alcune idee si sono fatte
largo e sono finite dentro la coscienza di molti, nella loro etica, nel modo
di concepire i rapporti tra esseri umani. Una di queste idee e' che non
esista piu' giustificazione alcuna per la guerra. Ne' etica, ne' storica,
ne' politica.
Per quel movimento di coscienze, nessuna guerra sara' mai piu' accettabile
ne' negoziabile. Perche' sarebbe un'altra perdita di pezzi di umanita',
sacrificata alle misere alchimie della politica.
Se la scelta contro la guerra dovesse davvero obbligare l'Italia a uscire
dalla Nato, perche' la Nato intende continuare la guerra in Afghanistan, non
mi sembrerebbe una grande tragedia.
Lo sarebbe di certo per buona parte dei politici, ma non per i cittadini
italiani. Anzi. Scommetto che, dovesse l'Italia uscire dalla Nato, ci
sarebbe in Italia una festa di popolo di milioni di persone, a prescindere
dalle direttive e dagli anatemi dei politici.
*
Isaf: l'altra faccia di Enduring Freedom
Se su Enduring Freedom non viene detta la verita', tantomeno cio' accade per
la missione "di pace" Isaf.
Quando, verso la fine del 2001, l'Onu autorizza per 6 mesi una forza di
sicurezza internazionale (Isaf) in Afghanistan, al governo italiano non par
vero: finalmente si puo' essere in Afghanistan sotto l'"ombrello" dell'Onu,
senza dovere rendere conto a nessuno. O quasi.
Perche' in realta' la missione Isaf e' solo una manovra, un gioco delle tre
carte.
Alla riunione che il 20 dicembre 2001 approva la Risoluzione 1386, i membri
del Consiglio di Sicurezza si trovano sul tavolo una lettera in cui gli
inglesi si propongono di assumere il comando dell'Isaf. Ma a comandare e'
sempre il Padrone, e' chiaro. Perfino esplicito. Nella stessa lettera, resa
nota dal Dipartimento di Stato Usa, viene precisato che "Per cio' che
riguarda i rapporti tra le forze dell'Isaf e altre forze operanti in
Afghanistan in Enduring Freedom... per ragioni di efficienza, il Comando
Centrale degli Stati Uniti avraí autorita' sulle forze Isaf". Tu sei il
comandante, ma io ti comando.
Un trucco sopraffino: l'Onu mette in piedi, su richiesta Usa, una forza Onu
per l'Afghanistan; gli inglesi, che partecipano a qualsiasi guerra made in
Usa e che sono pertanto in Enduring Freedom, si offrono di guidarla (e come
rifiutare tanta generosita'?); le truppe dell'Isaf (quelle dell'Onu) guidate
da un inglese, prendono poi ordini dai militari Usa, mandati li' non
dall'Onu, bensi' dal Pentagono.
Aderiamo, secondo i desideri del Padrone, anche alla missione Isaf.
Figurarsi, manna dal cielo! Avevamo gia' deciso di entrare, in modo ancora
piu' illegale, con Enduring Freedom. Adesso arriva l'ombrello dell'Onu a
giustificarci.
Nell'agosto del 2003, la missione Isaf entra nella terza fase (anch'essa,
come Endruing Freedom: ma guarda un po' che coincidenza) e passa sotto il
comando della Nato. Con i compiti che ben sappiamo, ce li hanno gia'
assegnati: combattere gli insurgents, quelli che si ribellano in qualsiasi
modo e a qualsiasi titolo alla pax americana, e portare avanti la "guerra al
terrorismo", il lavoro di Enduring Freedom.
Poco importa, siamo comunque felici dello "scudo" rappresentato dalla Nato:
per sentirci piu' tranquilli, in regola, quando si dovra' sparare parecchio.
Il momento sembra arrivato. Il "lavoro" che attende le truppe Nato, e che ci
attende, non sembra facile neppure agli Usa, se il "Washington Post" scrive:
"Ne derivera' una battaglia per il controllo del sud, cruciale per
l'Afghanistan e per la Nato".
Con l'avvicinarsi della battaglia cruciale - un'altra "madre di tutte le
battaglie"? - non e' casuale che le truppe Nato, ex Isaf, ex Enduring
Freedom si ritrovino, cinque anni dopo, un comandante di nuovo inglese, che
sara' poi sostituito, verso la fine dell'anno, da un comandante Usa. Eh si',
quando il gioco si fa duro...
Cosi' anche ai "nostri ragazzi", sotto il comando dei militaristi piu'
convinti, spettera' il compito di estendere "il controllo del governo
Karzai" e di "rimpiazzare" gli Usa nelle operazioni di controinsurrezione.
"Restate, chiedete rinforzi" ci sta domandando ora il Padrone, e ci assicura
che stavolta saremo anche noi "in prima linea" perche' le sue truppe
intendono passarci il testimone.
Anche noi adesso abbiamo l'occasione per sederci al tavolo dei grandi, "chi
non spara non e' di serie A", come dice Luttwack.
Enduring Freedom, Isaf, Nato: perde, sbaglia, la carta bianca vince! Proprio
come nel mezzanino del metro'. Poi i politici possono sguazzare tra articoli
e codicilli alla caccia di qualcosa che giustifichi scelte gia' decise, e i
cittadini capiscono sempre meno.
*
Fuori l'Italia dalla guerra, senza se e senza ma
L'Italia dira' si' o no a "finire il lavoro" lasciato incompiuto (per la
verita' un fallimento totale anche sul piano militare) dall'Alleato-Padrone?
Siamo alla vigilia di "grandi offensive", dicono i comandi Usa, e non si
puo' dubitarne.
Il governo sta per decidere - con il rifinanziamento della missione militare
in Afghanistan - se mandare militari italiani a combattere, per conto degli
Usa e sotto il loro comando, i "nemici" che le forze Usa, di volta in volta,
additeranno come soggetti da eliminare. E se mandarli a combattere per
proteggere "gli amici". Criminali quanto i nemici ma servili quanto noi, e
quindi "dalla parte giusta".
Non e' strano che il governo sia in difficolta'.
Molti tra loro vorrebbero, col senno di poi, non essersi mai infilati anche
nel pantano Afghanistan. Ma cinque anni fa la maggior parte di loro ha
votato di tuffarcisi dentro entusiasticamente, approvando una Risoluzione (7
novembre 2001) che restera' nella storia della Repubblica come  esempio di
stravolgimento, in una sola pagina, della Costituzione Italiana, dello
Statuto dell'Onu e delle risoluzioni del suo Consiglio di Sicurezza.
Della situazione difficile in cui ci troviamo in Afghanistan, e da cui non
e' facile uscire, molti politici dell'attuale maggioranza sono
corresponsabili. Da qui nasce la prima difficolta'.
L'altra difficolta', per i governanti di oggi, e' tutta interna. Tra pochi
giorni devono andare in Parlamento e votare un documento importante.
Non tanto per il suo contenuto. Per molti parlamentari dell'attuale
maggioranza quello che si decidera' e' in un certo senso secondario. La cosa
piu' importante, quando non la sola importante, e' che il documento del
governo, quale che sia, venga approvato.
Non si puoí rischiare di "andare sotto e far cadere il Governo" e' voce di
popolo. Non si puo' rischiare.
Quindi bisogna incominciare a fare rinunce, cercare compromessi, delineare
una exit-strategy, o un modo per toglierci dai guai, per essere piu' chiari.
Sembra un vicolo cieco. Perche' il vero problema su cui la politica sta
annaspando e' la necessita' di inventare un trucco. Una formula per poter
tenere i militari a fare il lavoro per il Padrone, dando allo stesso tempo
un carota a quella parte della maggioranza che sa - dovesse votare per il
rifinanziamento - di trovarsi in linea di collisione con i propri elettori.
Ma se "la Patria vuole sacrifici", che cosa non si farebbe per fare stare in
piedi un Governo, specie quando la sua "stabilita'" e' considerata
l'obbiettivo primario da raggiungere?
Cosií in quell'area politica normalmente associata (o forse non piu',
potremo capirlo meglio dopo il voto) al pacifismo tira aria pesante di
suicidio. Non e' principalmente un problema di uomini di partito, ma di
cittadini, di elettori, di coscienze. Se i partiti di quell'area votassero
per la guerra, ne pagherebbero un prezzo politico e di consenso devastante.
Un prezzo ancora maggiore finirebbero col pagare se cercassero di truccare
le carte, di fare passare  inosservata o camuffata la scelta della guerra.
"No alla guerra, senza se e senza ma" e' espressione certamente efficace.
Oggi si puo' darle concretezza.
Essere contro la guerra, prima ancora che un obbligo costituzionale mi pare
il discrimine tra civilta' e incivilta', tra le cose umane, per brutte che
siano, e quelle disumane. Rifiutarsi di avere qualsiasi ruolo nel produrre
violenza e omicidi di massa, pulizie etniche e genocidi, stupri e torture,
mi sembra insieme un valore primario di specie e una garanzia di
sopravvivenza, da custodire entrambi gelosamente.
Non si tratta di un valore di destra ne' di sinistra.
Ma possono la coscienza e l'intelligenza rifiutare l'orrore della guerra a
giorni alterni? Una guerra si' e una no, questa guerra e' diversa, in
quest'altra il nostro ruolo e' diverso, qui siamo forze Onu e la' forze
Nato, gli impegni internazionali, le alleanze, questa guerra e' giusta...
Basta alle nostre coscienze sapere che i soldati italiani hanno il bollino
Onu, per rendere accettabile la partecipazione alla guerra in Afghanistan?
Negli ultimi anni e' maturato un importante movimento di persone che non
vuole piu' saperne della guerra ne' della logica della guerra, della logica
del togliere agli altri quello che hanno, o quello che potrebbero avere,
fino a togliere loro anche la vita. Questo movimento rifiuta di aggredire
economicamente, militarmente e moralmente, di sfruttare altri esseri umani.
In questo movimento sono state rifiutate tutte le "ragioni per la guerra",
le sue giustificazioni. Per questo credo che un voto per la guerra sarebbe
un macigno per quell'area politica che ha piu' volte dichiarato sintonie col
movimento per la pace.
Rifiutate la guerra "umanitaria" del centrosinistra e quella "per la
civilta'" del centrodestra, rifiutata la guerra bipartisan "al terrorismo",
puo' il movimento accettarla oggi "perche' non cada il governo italiano"?
Nel nuovo modo di pensare di milioni di persone, la "questione guerra" e'
stata risolta, da tempo e per sempre.  Perche' cio' che ogni guerra produce
e' talmente ripugnante che nessun fine, neppure il piu' nobile, potraí mai
giustificarla. Ci potranno essere guerre legali o perfino legittime - le
leggi cambiano - ma non ci saranno mai guerre giuste. Per questo, nessuna
guerra e' negoziabile.
Dopo cinque anni di evidente fallimento del nostro intervento in
Afghanistan - con il risultato paradossale che i supposti militari "in
missione di pace" sono visti con sempre maggior insofferenza - il mondo
della politica dovrebbe, se non altro per buon senso, provare un approccio
diverso.
Vuole il governo, per qualsiasi ragione, scegliere di stare ancora li', a
fare servilmente la guerra per conto terzi? Vogliono vedere "altro sangue
italiano in Afghanistan" (e forse non solo) come poi titolerebbero le prime
pagine dei nostri quotidiani, per "estendere il controllo del governo
Karzai"?
Sta a loro decidere. Penso solo sia mio dovere, come cittadino che fa parte
del popolo di Emergency e del movimento per la pace, riaffermare che chi
scegliera' la guerra lo fara' not in my name, non a nome mio.

4. AFGHANISTAN. MARCO GARATTI: OSPEDALI, NON CANNONI
[Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo questo intervento del 27 giugno
2006. Marco Garatti e' chirurgo e coordinatore medico del programma di
Emergency in Afghanistan]

Si stava parlando con Gino [Strada, il fodnatore di Emegency - ndr]
dell'opportunita' o meno di avere un'altra sala operatoria nel nostro
ospedale - le nostre due ormai sono sempre piene da mattino a sera - quando
abbiamo ricevuto, del tutto inattesa, la notizia della visita del ministro
della Difesa italiano, Arturo Parisi.
L'ospedale era come al solito in piena attivita'. E' venerdi', teoricamente
quindi giorno di festa. Ma ormai abbiamo capito, da tempo, che anzi di
venerdi' si lavora anche di piu' perche' gli altri ospedali, che lo si creda
o no, "chiudono".
Ha sorpreso tutti noi, piacevolmente sorpreso questo rinnovato interesse
delle autorita' italiane verso la nostra attivita'. Erano anni ormai che,
come si suole dire, dalle nostre parti non passava piu' nessuno. Come se non
avessimo continuato, in tutti questi anni, a curare con dignita' e
professionalita' tutti i feriti di questo enorme e perenne campo di
battaglia che si chiama Afghanistan. Come se la nostra attivita' avesse
improvvisamente cessato di essere quella che e' perche' si puo' essere "di
destra" o "di sinistra" nel curare i malati. Come se in questi anni si fosse
voluto ignorare che l'Afghanistan rimane un paese dove si muore come prima,
piu' di prima, colpiti da un proiettile o saltando su una mina.
Ci ha fatto quindi grande piacere questa visita, non tanto per il rinnovato
riconoscimento, di cui poco ci importa. Quanto per l'opportunita' che ci e'
stata data.
L'opportunita' di far vedere che ancora qui in Afghanistan non si e' usciti
dall'emergenza, nonostante l'impegno ed i denari spesi dalla comunita'
internazionale.
L'opportunita' di far capire che e' possibile essere presenti nel paese,
anche nelle aree considerate le piu' pericolose, essendo disarmati mentre
tutti gli altri, quando ci sono, hanno blindati e sono armati fino ai denti.
Perche' non serve avere armi se la gente sa che si e' li' per cercare di
aiutarla.
L'opportunita' di far capire che questo paese ha bisogno, un disperato
bisogno di servizi che funzionino, e che a farli funzionare sono l'impegno e
la trasparenza, non i cannoni che ci stanno dietro.
Questo e' stato il messaggio che abbiamo cercato di trasmettere al ministro
della Difesa.
Dopo la sua visita abbiamo ripreso la nostra routine che e' quella di curare
i feriti che continuano ad arrivare al nostro pronto soccorso. Feriti che
noi continuiamo a curare tutti, e tutti allo stesso modo: talebani e non,
amici e nemici, pashtun o tagichi. E questo, permettetemi di dirlo, e' una
cosa che ci rende tremendamente orgogliosi.

5. SCHEDA. IL CONFLITTO AFGANO OGGI
[Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo la seguente scheda del 21 giugno
2006]

Parti in conflitto
1979-1989: truppe sovietiche (e governative) contro guerriglia mujahedin
(sostenuta dagli Stati Uniti).
1989-1996: conflitti armati tra mujaheddin tagiki, uzbeki, hazari, pashtun.
1996-2002: taliban al governo (sostenuti da Pakistan e Arabia Saudita)
contro la  resistenza dei mujahedin tagiki, uzbeki e hazari uniti
nell'Alleanza del Nord (sostenuta da Russia, India, Iran, Tajikistan e
Uzbekistan).
2002-oggi: truppe americane e governative (del governo di Hamid Karzai)
contro la resistenza dei taliban e dei miliziani dell'Hezb-i Islami (di
Gulbuddin Hekmatyar) nelle province sud-orientali al confine col Pakistan;
milizie uzbeke del Jumbesh-i Milli (di Abdul Rashid Dostum) contro milizie
tagike del Jamiat-i Islami (di Mohammad Ustad Atta) nelle province
settentrionali del Paese.
*
Vittime
La guerra tra forze sovietiche e resistenza afgana (1979-1989), quella
successiva tra le varie fazioni di mujaheddin (1989-1996) e quella tra
talebani e Alleanza del Nord (1996-2001) hanno causato la morte di un
milione e mezzo di afgani, due terzi dei quali (un milione) civili.
L'intervento armato Usa alla fine del 2001 ha provocato la morte di 14.000
afgani, di cui almeno 10.000 combattenti talebani e quasi 4.000 civili. A
queste vanno aggiunti 15-20.000 civili afgani morti nei mesi successivi alla
fine del conflitto per le malattie e la fame provocate dalla guerra.
Piu', ancora, altri 5.000 morti causati dai combattimenti e dagli attentati
verificatisi nei tre anni di "dopoguerra".
Nel 2005 la "guerra finita" in Afghanistan ha ucciso piu' di 1.900 persone:
di cui almeno 1.047 talebani, 415 militari afgani, 321 civili afgani, 97
soldati statunitensi (ufficialmente dichiarati), 17 spagnoli, 15 tedeschi, 5
britannici, 4 canadesi, 3 italiani, 3 francesi, un danese, uno svedese, un
australiano, un rumeno, un norvegese, e un portoghese.
Dall'inizio del 2006 si contano 2.000 morti, di cui 318 civili, 1.022
talebani (o presunti tali), 591 militari afgani, 51 soldati Usa e 18 del
contingente Isaf-Nato.
*
Mine
L'Afghanistan e' uno dei paesi piu' minati del pianeta. Non c'e' provincia
afgana che non sia afflitta dal problema dei campi minati.
Secondo i dati della Ong britannica Halo Trust, dal 1979 ad oggi sono state
disseminate, ufficialmente, almeno 640.000 mine, tra antiuomo e anticarro. A
queste vanno aggiunti milioni di ordigni inesplosi (uxo) [Solo tra l'ottobre
2001 e il marzo 2002 le forze aeree Usa hanno sganciato sull'Afghanistan
250.000 cluster bomb (Blu-97), la maggior parte delle quale rimaste
inesplose. Solo nel 2003 ne sono state rinvenute e distrutte quasi 13.000].
Dal 1979 ad oggi 400.000 afgani (per l'80 percento civili) sono rimasti
uccisi o mutilati dalle mine.
Da quando e' iniziata l'attivita' di sminamento, nel 1988, sono state
rinvenute e distrutte 250.000 mine e 3,3 milioni di ordigni inesplosi.
E' stato calcolato che per bonificare completamente il territorio afgano, ai
ritmi attuali ci vorrebbero piu' di quattromila anni.
*
Risorse contese
L'Afghanistan e' il maggior produttore di oppio al mondo (l'eroina afgana
rifornisce i tre quarti del mercato occidentale) ed e' ricco di smeraldi e
risorse minerarie. Ma il valore strategico del Paese e' legato ai gasdotti e
ai corridoi commerciali (stradali e ferroviari) che lo attraversano,
collegando gli Stati ex-sovietici dell'Asia centrale con il Pakistan e
l'India. Inoltre la recente scoperta di immensi giacimenti di uranio
potrebbe diventare una fonte potenziale di nuovi conflitti.
*
Fornitura di armamenti
L'esercito afgano e' armato dall'Occidente (Usa e Gran Bretagna in testa), i
mujaheddin da Russia, India, Iran, Tajikistan e Uzbekistan. I taliban si
finanziano col commercio illegale di oppio e grazie all'appoggio indiretto
del Pakistan e dell'Arabia Saudita.
*
Situazione attuale
Il 15 giugno a Kandahar una bomba e' esplosa su un autobus che portava al
lavoro afgani impiegati alla locale base Usa, uccidendo 10 persone.Alla base
Usa di Bagram un soldato statunitense e' morto non si sa per quali cause.
Nella provincia di Zabul i talebani sostengono di aver ucciso 3 poliziotti.
Nella provincia di Helmand i talebani hanno ucciso un capo dei servizi
segreti.
Nella provincia di Nimruz 2 impiegati afgani di un'impresa di costruzione
turca e uno sminatore afgano sono stati uccisi in un agguato dei talebani.
A Kabul una guardia privata nepalese e un commerciante afgano sono morti in
una sparatoria scoppiata tra loro.
Il 16 nella provincia di Uruzgan le forze Usa e afgane sostengono di aver
ucciso 40 guerriglieri talebani.
Nella provincia di Kunar 2 soldati Usa e una ragazza afgana sono morti in un
agguato.
Nella provincia di Kandahar i talebani sostengono di aver ucciso 4
poliziotti con una mina.
Il 17 nella provincia di Nimruz un soldato afgano e' morto in un attentato.
Nella provincia di Kandahar 7 talebani e un poliziotto sono stati uccisi
durante un attacco a un ufficio del governo.
Nella provincia di Helmand 3 talebani sono morti per l'esplosione di una
bomba che stavano maneggiando e altri 6 talebani sono morti in un
combattimento con le truppe britanniche.
Nella provincia di Uruzgan i talebani sostengono di aver ucciso 11 soldati
afgani.
Il 18 nella provincia di Helmand 4 poliziotti e un funzionario provinciale
sono stati uccisi in un'imboscata dei talebani.
Nella provincia di Uruzgan le forze afgane sostengono di aver ucciso 10
talebani.
Nella provincia di Zabul le forze afgane sostengono di aver ucciso 6
talebani.
Il 19 nella provincia di Helmand i talebani hanno ucciso 32 membri di un
clan tagico, familiari e sostenitori di un ex comandante oggi parlamentare,
e le forze Usa sostengono di aver ucciso 5 talebani in un raid aereo.
Nella provincia di Pakika le forze afgane sostengono di aver ucciso 14
talebani in un combattimento.
Il 20 nella provincia di Kandahar un soldato rumeno Isaf-Nato e' morto in un
attentato talebano.
Nella provincia di Farah un camionista turco e 3 guardie armate afgane sono
morte in un'imboscata dei talebani.
Nella provincia di Kunar 3 poliziotti afgani sono stati uccisi per errore
dalle forze Usa a un posto di blocco.
Nella provincia di Helmand le forze Usa e afgane sostengono di aver ucciso
20 talebani in uno scontro armato che, sostengono i talebani, ha causato
anche la morte di 7 soldati afgani.
Nella provincia di Uruzgan le forze afgane sostengono di aver ucciso 10
talebani.
Il 21 nella provincia del Nuristan 4 soldati Usa sono morti in uno scontro
con i talebani.
Nella provincia di Nangarhar 6 poliziotti afgani sono morti nell'esplosione
di alcuni camion-cisterna che trasportavano carburante per le truppe Usa,
fatti saltare dai talebani.
Nella provincia di Kunar i talebani sostengono di aver ucciso 3 poliziotti
afgani.
Nella provincia di Zabul sostengono di aver ucciso altri 7 poliziotti.
A Kandahar un kamikaze si fa esplodere al passaggio di un convoglio Isaf
uccidendo se stesso e un civile.

6. AMICIZIE. DA UNA LETTERA DI MISONE ELEATICO ALL'AMICO SUO PANFILO
GEROSOLIMITANO

... Quanto ai parlamentari che hanno annunciato il loro "no" alla guerra...
il punto non e' perche' loro votino contro la guerra obbedendo alla
Costituzione, il punto e' perche' gli altri votino a favore della guerra la
Costituzione violando.
Il fatto che nel dibattito pubblico si sia cosi' oscenamente capovolta la
logica, al punto che viene chiesto di giustificarsi a quelli che fanno la
cosa lecita e piu' ragionevole (attenersi alla Costituzione, ripudiare la
guerra) invece di chiedere conto a quelli che fanno la cosa piu' palesemente
criminale (appoggiare la guerra, violare la legge) la dice lunga su quanto a
fondo scava la manipolazione operata dai media dominanti (oggi pressoche'
totalmente e totalitariamente schierati a sostegno della prosecuzione della
partecipazione militare italiana alla guerra afgana).
Mala tempora currunt...

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1347 del 5 luglio 2006

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