Voci e volti della nonviolenza. 29



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 29 del 4 luglio 2006

In questo numero:
1. Per Franca Ongaro Basaglia (parte seconda)
2.. Mario Colucci ricorda Franca Ongaro Basaglia
3. Tommaso Losavio ricorda Franca Ongaro Basaglia
4. Agostino Pirella ricorda Franca Ongaro Basaglia
5. Franco Rotelli ricorda Franca Ongaro Basaglia
6. Paolo Tranchina ricorda Franca Ongaro Basaglia
7. Omero Dellistorti: Per Franca Ongaro Basaglia
8. Franca Ongaro Basaglia: a vent'anni dalla legge 180
9. Et coetera

1. PER FRANCA ONGARO BASAGLIA (PARTE SECONDA)
Riproponiamo di seguito alcuni ricordi di Franca Ongaro Basaglia e un suo
scritto, quasi tutti gia' apparsi su "La nonviolenza e' in cammino". Altri
testi abbiamo gia' riproposto nel precedente fascicolo di "Voci e volti
della nonviolenza".

2. MARIO COLUCCI RICORDA FRANCA ONGARO BASAGLIA
[Dal quotidiano "Il piccolo" del 15 gennaio 2005]

Il vuoto che Franca Ongaro Basaglia lascia nella politica, nella cultura,
nella stessa intelligenza della nostra epoca e' cosi' profondo, che risulta
impossibile descrivere la sua vicenda di vita e di pensiero, ricordandola
solo attraverso quel sodalizio affettivo e intellettuale - pure
straordinario -  con il marito Franco Basaglia. Tanto instancabile e onesta
e' stata la sua ricerca personale e la sua azione su quella frontiera
incerta della tutela dei diritti dei soggetti deboli, che merita oggi di
essere ricordata come una delle persone che hanno piu' contribuito a
un'intera epoca di conquiste sociali del nostro paese.
Nata nel 1928 a Venezia, attratta inizialmente da tutt'altra vocazione
(letteraria) rispetto a quella passione civile e di ricerca che la
infiammera' per tutta la vita, ha saputo creare un suo stile coerente di
riflessione teorica e di pratica politica che ne hanno fatto un punto di
riferimento non soltanto per coloro che avevano a cuore la trasformazione
delle istituzioni psichiatriche. Certo, questa e' stata la scena del suo
massimo impegno.
Ma non l'unica. Anzi, se avesse potuto scegliere il tema attraverso il quale
presentare la sua ricerca e il suo ingaggio politico, avrebbe forse optato
per la storia della lotta di liberazione della donna, "come esempio del
primo uso della natura, della diversita' biologica in termini di
disuguaglianza e di potere", come ebbe a dire durante la cerimonia di
conferimento della laurea honoris causa in scienze politiche conferitale nel
2001 dall'Universita' di Sassari. Su questo tema di lavoro - la
subordinazione della donna al di la' di qualsiasi condizione o lotta di
classe - aveva concentrato la sua attenzione gia' a partire dagli anni
sessanta con interventi su riviste e con importanti saggi fino alla stesura
della voce Donna per l'Enciclopedia Einaudi e al fondamentale testo Una
voce. Riflessioni sulla donna, del 1982.
Tuttavia, proprio in quell'occasione accademica, aveva ammesso di non
potersi staccare cosi' facilmente dall'ambito di ricerca della psichiatria,
o meglio della salute mentale, tanto complesso e ricco ne era stato il suo
coinvolgimento: l'esperienza di trasformazione del manicomio di Gorizia e di
Trieste, la militanza nei movimenti di contestazione psichiatrica, gli
innumerevoli libri scritti a quattro mani con Franco Basaglia (fra tutti i
celeberrimi L'istituzione negata, Morire di classe, Crimini di pace), la
partecipazione attiva alla vita politica con due legislature da senatrice
nel gruppo della sinistra indipendente. L'ambito della psichiatria
funzionava perfettamente e indiscutibilmente da "esempio di tutti i processi
culturali, politici e sociali che coinvolgono l'individuo e il suo
diritto/dovere di cittadinanza".
Diritto/dovere di cittadinanza: rileggendo la sua lectio doctoralis si
coglie tutta la profondita' di quella barra fra cio' che ci sembra giusto
tutelare parlando di cittadinanza (il diritto) e cio' che ci sembra insolito
evocare (il dovere). Franca Ongaro Basaglia aveva lavorato incessantemente
sulla difesa del diritto a essere cittadini, sin da quando di questo diritto
era "assurdo" parlare per alcuni individui, come negli anni sessanta per gli
internati dei manicomi italiani. La feroce logica dell'espropriazione dei
corpi nell'universo concentrazionario dell'istituzione totale non era stata
che una prima fase rudimentale di un processo di invalidazione
dell'individuo sofferente, poi perpetuata da logiche piu' sottili e occulte.
Era contro queste logiche che Franca Ongaro Basaglia aveva mobilitato il suo
impegno parlamentare all'indomani della promulgazione della legge 180 e
della morte del marito: perche' non bastava aver fatto approvare la norma,
bisognava rendere effettiva la sua applicazione (e' stata lei che per la
prima volta nel 1987 ha presentato un disegno di legge di attuazione della
180, poi servito da traccia per il primo Progetto Obiettivo Salute Mentale
del 1989); perche' non bastava riconoscere l'universalita' dei diritti delle
persone, se per quei diritti non fosse stato promosso un dovere sociale e
politico di farli valere per tutti e ad ogni condizione. Non si trattava in
definitiva solo di umanizzare l'assistenza ai soggetti deboli e
svantaggiati, piuttosto di rivendicare a gran voce una trasformazione
concreta di quelle discipline, di quei corpi professionali, che quei diritti
avevano il dovere di tutelare e di promuovere. Non solo ascoltare i bisogni,
ma verificare se questi stessi bisogni fossero alla base di un'impresa
scientifica e di un'azione politica.
Su questa vigilanza Franca Ongaro Basaglia ha insistito fino alla fine:
sulla necessita' che qualsiasi modello scientifico o tecnologico non si
alimenti soltanto del mito del suo progresso, perdendo di vista le
disuguaglianze che tende a produrre e occultare. Una medicina che sia troppo
medica, incapace di far vivere la malattia come parte della vita e non come
oggetto estraneo da eliminare, o peggio ancora da nascondere, non ha diritto
di cittadinanza: e' questa fermezza alla base del suo libro piu'
interessante Salute/malattia. Le parole della medicina.
Possiamo immaginare, negli ultimi mesi di sofferenza per il male che la
stava consumando, la stessa fermezza di fronte alle istituzioni che
tentavano di impadronirsene. "Con questo non intendo sottovalutare
l'importanza della tecnologia medica", aveva scritto, "sono una persona che
ha dovuto ricorrere a piu' riprese all'aiuto indispensabile della medicina e
del servizio pubblico. Ma credo di essere qui, in questo momento, anche
grazie agli spazi di liberta', di decisione che mi sono stati consentiti e
che ho salvaguardato, alla protezione non invasiva di cui sono stata
circondata, alla caparbieta' - che mi e' congeniale - di non delegare la mia
vita, la mia malattia, il mio corpo ad altri".
E' cosi' che ci piace ricordarla, le sue parole serene e i suoi occhi
azzurri. E dirle addio.

3. TOMMASO LOSAVIO RICORDA FRANCA ONGARO BASAGLIA
[Da "Epidemiologia e psichiatria sociale", 14, 1, 2005]

Il 13 gennaio 2005 Franca Ongaro Basaglia e' morta nella sua casa veneziana
dopo una vita intensa dedicata allo studio e alla pratica sociale,
all'azione politica, a fare ricerca in modo nuovo e diverso rispetto alla
cultura scientifica dominante.
Franca Ongaro era nata a Venezia nel 1928 ed aveva iniziato la sua attivita'
letteraria dedicandosi alla letteratura per bambini: aveva scritto il testo
Le avventure di Ulisse, illustrato dal suo amico Hugo Pratt, pubblicato a
puntate sul "Corriere dei Piccoli" per il quale aveva scritto anche alcune
favole e una riduzione di Piccole donne di Louise May Alcott.
Nel 1962 si trasferi' con la famiglia a Gorizia dove il marito, Franco
Basaglia giovane psichiatra colto ("il filosofo", lo chiamavano i colleghi),
insoddisfatto dell'esperienza trascorsa nell'Universita' di Padova,
rischiando non poco, aveva deciso di andare a dirigere quel manicomio di
confine. Quella scommessa risulto' per molti aspetti vincente: l'esperienza
goriziana riusci' ad attrarre dapprima un piccolo gruppo di giovani
psichiatri e, dopo pochi anni, a dimostrare nella pratica come fosse
possibile trasformare non soltanto la condizione dei malati di mente
internati in manicomio, ma anche come fosse necessario ripensare
criticamente ai rapporti tra follia e ragione, tra salute e malattia, tra
diritti e bisogni, tra tutela e oppressione, tra eguaglianza e diversita'.
Quel piccolo gruppo iniziale ha poi fatto scuola, non soltanto in Italia, e
Franca Ongaro ha sempre rappresentato per chi quelle esperienze ha avuto la
fortuna di viverle in prima persona, ma anche per tutti quelli che le hanno
seguite con interesse e passione, una voce autorevole ma nello stesso tempo
inquietante.
Franca Ongaro, in quel gruppo, seppe mantenere un ruolo importante ed
autonomo, dando un contributo fondamentale alla riflessione che le pratiche
di deistituzionalizzazione andavano producendo.
*
In tutti i suoi scritti - in collaborazione con Franco Basaglia: Che cos'e'
la psichiatria (1967), L'istituzione negata (1968), Morire di classe (1969),
La maggioranza deviante (1971), Crimini di pace (1975), e come autrice di
Salute/malattia. Le parole della medicina (1979), Una voce. Riflessioni
sulla donna (1982), oltre a molti saggi pubblicati su riviste di scienza e
di politica - ha costantemente messo in guardia sui rischi di semplificare
la complessita' dei problemi con i quali tutti, sani e malati, siamo
costantemente costretti a fare i conti. E sulla necessita' ineludibile, pena
la perdita di liberta' e di democrazia, di avere la capacita' di sostenere
le contraddizioni personali, sociali e sanitarie che il campo della
psichiatria rappresentava e continua a rappresentare in maniera esemplare,
ma non esclusiva.
La riduzione dell'uomo sofferente a malattia, a semplice oggetto di studio e
d'intervento, non puo' non condurre a forme di oggettivizzazione e di
espulsione e alla negazione della sofferenza stessa sul piano teorico e alla
sua espulsione dal corpo sociale, alla sua ghettizzazione in vecchi o nuovi
manicomi sul piano dell'organizzazione sociale. Se cio' e' vero, e che fosse
vero e' stato concretamente dimostrato per i malati di mente determinando la
definitiva chiusura dei vecchi miserabili manicomi, e altrettanto vero per
tutti quei soggetti che, a causa di una loro momentanea o permanente
debolezza, rischiano pericolosamente di perdere i loro diritti, oppressi da
risposte inadeguate che tendono a tutelare piu' chi sta bene e chi ha la
capacita' di farsi rispettare, piuttosto che i soggetti fragili perche'
malati, vecchi o piu' semplicemente poveri.
Dopo la morte di Franco Basaglia, Franca Ongaro continuo' nel suo impegno:
fu eletta senatrice per due legislature dal 1984 al 1991 come indipendente
nelle liste del Pci, nel 2000 ha ricevuto il premio "Ives Pelicier" della
International Accademy of Law and Mental Health e nel 2001 l'Universita' di
Sassari le ha conferito la laurea honoris causa in scienze politiche.
*
La sua opera dovrebbe essere ancora di stimolo e di guida in un'epoca nella
quale da una parte sono esaltate le capacita' e le risorse dell'individuo e
dall'altra si continuano a sottrarre le possibilita' perche' quelle risorse
(tante o poche che siano) abbiano le condizioni per potersi realizzare nella
concretezza della quotidianita'.
Cosa succede oggi, per esempio, nel dilagare del modello di semplificazione
biologica (il Bollettino d'informazione sui farmaci inviato a tutti i medici
italiani dal Ministero della Salute mette in guardia sul crescente consumo
di psicofarmaci e sulla loro cattiva utilizzazione specialmente negli
anziani, nei bambini e negli adolescenti) a quei malati di mente che,
nonostante gli obiettivi progressi delle terapie farmacologiche, non
guariscono o non guariscono nei tempi che i protocolli hanno previsto? Come
e' possibile che vengano riproposte soluzioni che negano l'esistenza
dell'uomo malato, i suoi bisogni, la sua storia, i suoi rapporti, le sue
difficolta', riducendo tutto di nuovo semplicemente a malattia?
La lezione di Franca Ongaro e il suo impegno sono in tal senso per molti
aspetti attualissimi eppure lontani in una sanita' italiana che riduce
l'efficienza a un obiettivo e non a mezzo, che fa dell'aziendalizzazione lo
strumento per impoverire le gia' scarse risorse destinate a questo settore,
che delega all'industria farmaceutica gran parte della ricerca, che pone
sullo sfondo la cultura dei diritti e l'etica dei servizi a favore di un
mercato (pubblico e privato) della salute che fornisce, a prezzi sempre
crescenti, risposte di una scarsa efficacia.
E' incombente il rischio che possa venire cosi' disperso e vanificato quel
patrimonio di risorse umane, di cultura e di attenzione al sociale ancora
vivo e presente in tante persone ancora impegnate nelle strutture sanitarie
e nei servizi sociali. Patrimonio in gran parte ereditato da quelle
esperienze e da quelle ricerche iniziate nel piccolo manicomio di Gorizia
che hanno avuto tra i protagonisti Franca Ongaro Basaglia.
Cara Franca, molti di noi sentiranno la tua mancanza, il tuo
incoraggiamento, la tua tenacia, la tua speranza in un mondo capace di dare
ospitalita' a tutti: cercheremo di farti conoscere ai piu' giovani, a quelli
che non hanno avuto l'opportunita' di conoscerti di persona e di lavorare
insieme con te perche' il tuo impegno possa, forse con nuove forme, ma con
identici contenuti, essere d'insegnamento per chi e' venuto dopo di noi e
non ha vissuto in prima persona le lotte antiistituzionali, ma ha ancora
voglia e piacere di mettersi in gioco e di lavorare per una societa' che
tuteli tutti, ma in modo particolare quegli uomini e quelle donne che, per
motivi diversi, corrono maggiori rischi di essere oppressi e messi ai
margini.

4. AGOSTINO PIRELLA RICORDA FRANCA ONGARO BASAGLIA
[Dal sito http://retesociale.it riprendiamo la seguente lettera pubblicata
anche sulla rivista "Carta", n. 3, 2005]

Carissimi Enrico e Alberta,
voglio cercare le parole per starvi vicino, ma mi vengono in mente, accanto
a frasi di circostanza, solo i ricordi e le occasioni di familiarita' che da
Gorizia in poi, attraverso Venezia e Roma, mi hanno visto con voi, con
Franco e Franca. Momenti che sbiadiscono nelle immagini ma che restano forti
nelle emozioni e nell'affetto reciproco.
Il primo incontro con loro e' stato in occasione di un convegno romano sul
test di Rorschach, alla fine degli anni Cinquanta. Eravamo molto giovani ma
abbastanza coraggiosi e pronti a riconoscersi similmente critici
dell'esistente. Poi la consuetudine della vita goriziana fatta di lavoro ma
anche di incontri familiari. Non sono mai stato un compagno di strada
assiduo nella ricerca dei contatti e delle occasioni di incontro. Piuttosto
critico della intrusioni, ho trovato in Franca una sintonia nei toni
abbassati che raramente ho potuto sperimentare in Franco, il quale, al
contrario, mi coinvolgeva negli entusiasmi dei progetti.
Soprattutto nel soggiorno romano al Senato e nell'esperienza della difesa
della riforma psichiatrica, dopo la morte di Franco nel 1980, Franca e'
stata per il movimento di Psichiatria democratica una forte presenza ed una
garanzia di tenuta e di iniziativa. Cio' che ha portato alla sostanziale
applicazione, anche se non generalizzata, della riforma ed alla approvazione
del progetto obiettivo salute mentale, in cui il ruolo di Franca e' stato
fondamentale.
In questo quadro pubblico la vostra presenza e' stata viva nelle
informazioni che mi venivano direttamente da Franca sulle vostre attivita',
le relazioni, i figli.
Non so quanto abbia pesato sulle vostre vite il ruolo di rappresentante
dell'esperienza di riforma che vostra madre, volente o nolente, ricopriva.
Posso immaginare qualcosa dalla relazione con mio figlio Martino. La
contraddizione tra pubblico e privato si e' poi attenuata nel ritrarsi, non
so quanto voluto, degli ultimi tempi.
Ci siamo sentiti in lunghe telefonate, in questi anni. Anzi, l'ultima
chiamata mi e' venuta da lei, preoccupata di una diaspora del movimento di
riforma che rischiava di minare l'efficacia delle iniziative e di lacerare
le relazioni tra noi. Le avevo promesso di passare a trovarla presto. Le
informazioni sulla sua salute non erano del tutto buone, ma mi parlo' di una
bronchite. Mi manca questo ultimo incontro e sono molto triste di non averla
potuta abbracciare.
Non potro' essere a Venezia per il funerale, scusatemi.
A voi un abbraccio affettuoso
Agostino

5. FRANCO ROTELLI RICORDA FRANCA ONGARO BASAGLIA
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 14 gennaio 2005]

"Pure ho visto anche cosa vuol dire e cosa produce per persone veramente
sofferenti, essere parte di un progetto, di una speranza comune di vita,
coinvolti in un'azione comune dove ti senti preso in un intreccio pratico,
intellettuale, affettivo, in cui serieta' ed allegria si mescolano e i
problemi tuoi si sciolgono e fanno parte anche dei problemi di altri con cui
li condividi. E allora anche salute e malattia possono mescolarsi con una
qualita' della vita che sia umana, con legami, rapporti, riconoscimento di
se' e dell'altro, complicita' nel progetto comune che potrebbe unirci
anziche' dividere ed isolare". Cosi' scriveva Franca Ongaro Basaglia.
Ma quale fu il progetto comune? In qualche modo Franca ne da' estrema
sintesi quando mette a fuoco cio' che considera "l'inaccettabile sacrificio"
dentro il contesto del progresso della medicina, cose' indicandolo: "a.
l'oggettivazione dell'uomo come premessa alla scientificita' dell'intervento
medico, quindi l'espropriazione delle esperienze corporee e della
partecipazione soggettiva a queste esperienze; b. la tendenza a confermare
come dato naturale, biologico, fenomeni legati a - e strettamente dipendenti
da - condizioni ambientali, psicologiche e di relazione; c. la tendenza a
rendere patologici fenomeni naturali, per poter ampliare il terreno
dell'intervento".
Contro questo inaccettabile sacrificio dedico' un'intera vita di pensiero e
di azione. Per 25 anni ha agito e scritto con Franco Basaglia e dalla morte
di lui, avvenuta nel 1980, per altri 25 anni, negli scritti, nel suo ruolo
di senatore della Repubblica e girando l'Italia in lungo ed in largo, ha
tenuto alto il senso di una pratica e di una teoria paradossalmente
trasferite in qualche modo in una legge su cui ancora si discute.
Paradossale destino quello di dover difendere una legge voluta per curare e
stravolta dall'incuria e dall'abbandono da parte di politici,
amministratori, tecnici.
Ancora pochi mesi fa, devastato il corpo, dopo una lezione agli infermieri
di Aversa, chiedeva di poter lavorare la', quando il suo corpo gia' non
reggeva i gradini.
*
Teoria e pratica delle istituzioni, nelle istituzioni: da quella dell'essere
donna a quella di essere la moglie di Basaglia, a quella di senatrice, a
quella dei manicomi in cui incomincio' ad operare nella Gorizia dei primi
anni '60, all'istituzione della politica, al piu' generale campo delle
istituzioni sanitarie. Teoria e pratica associate organicamente nella storia
di una vita, di un'impresa, di un pensiero. Una lotta di liberazione che
parte da una critica della scienza, dei suoi dogmatismi, delle sue
istituzioni, della sua falsa neutralita', per arrivare ad una critica ed a
un coinvolgimento dell'organizzazione sociale in cui scienza ed istituzioni
sono uno dei sistemi di controllo. Critica e coinvolgimento nate dallo
scontro con una realta' che non deve piu' esistere: il manicomio. E che,
grazie in primis a Franca e Franco Basaglia, oggi in Italia non esiste piu'.
Difficile sottrarsi al fascino della commistione dell'eleganza e bellezza
dei tratti fisici e dell'altissimo rigore etico, giocato ad ogni passo, in
ogni sito, in qualsivoglia circostanza (e quante volte nei luoghi del
massimo degrado).
Il testo "Salute/malattia", scritto con Giorgio Bignami, la voce densissima
di cultura critica "Follia/delirio" nell'Enciclopedia Einaudi, e tanti
scritti a due mani con Franco: la medesima tensione a scoprire gli abiti
ideologici che celano procedure di esclusione, di sopraffazione, di
negazione dell'altro. Quarant'anni fa i primi testi sull'esclusione. Allora
sorprendenti, oggi campo di politiche ufficiali di governi. Protagonista di
una legge che ha allargato i confini della democrazia nel nostro Paese, ma
insieme di una pratica che ha saputo evocare nei campi piu' diversi l'idea
piu' alta di liberta' (liberta'-da e liberta'-per).
Negli ultimi anni incontrava soprattutto le associazioni dei familiari
perche' diventassero protagoniste di un cammino di emancipazione e non
fossero strumentalizzate da chi, boicottando la legge, voleva e vorrebbe il
ritorno al passato. L'interiorizzazione dell'aggressione da parte dei piu'
deboli come il luogo principe dell'azione collettiva di emancipazione
attraverso le infinite assemblee nei manicomi, e poi ovunque.
*
Oggi puo' sembrare che le forze politiche progressiste abbiano abbandonato i
terreni vitali della scuola, della sanita', della giustizia, delle
istituzioni sociali e statuali come luoghi dove inverare o svilire liberta'
e democrazia. Riconosciuti dal '68, Franca e Franco Basaglia, mantenendo
forte e prioritario il legame con la pratica-critica dentro le istituzioni,
hanno saputo dar corpo e vita ad un movimento ideale e reale che, ben oltre
il '68, ha mantenuto continuita' e presenza culturale positiva dentro le
vicende ambivalenti del nostro Paese.
Ha scritto: "La diffusione del disagio, di questo bisogno di vita sempre
insoddisfatto dalla natura delle risposte ottenute, fa il gioco della
diffusione della terapia come palliativo sintomatico, si' che l'offerta
sempre presente e sempre piu' diffusa sul mercato di farmaci per tutto, ci
assorbe in una dimensione in cui tutto e' malattia e tutto e' cura. In
questo senso l'artificiale netta separazione tra salute e malattia e la
necessita', continuamente sbandierata, di una salute senza cadute e senza
incertezze, serve a produrre malattia anche dove non c'e'".
Le vicende della sanita' italiana, dei processi di aziendalizzazione, di
un'efficienza ridotta troppo spesso a scopo piuttosto che a mezzo, di una
desertificazione nell'etica delle professioni, di una parossistica
taylorizzazione dei servizi sanitari, rischiano di distruggere il patrimonio
dei soggetti ed il capitale sociale che tuttora e' presente nelle strutture
sanitarie e nei servizi sociali.
La cultura dei diritti ha bisogno vitale di un'etica dei servizi. La
capacita' di rimuovere gli ostacoli concreti all'esercizio dei diritti dei
soggetti piu' deboli e' assolutamente prioritaria, rispetto alla cultura
della promozione della salute che vive del fantasma prodotto dal mercato
della salute eterna. La convivenza umana tra salute e malattia, tra forza e
debolezza e la cura delle contraddizioni tra esse, furono il cuore del
lavoro di Franca contro ogni ideologia, manicheismo, semplificazione
scientista, manipolazione dei corpi, delle culture. E li' molte donne
riuscirono a cogliere in Franca il meglio della cultura di genere amandone
scritti e figura.
I suoi libri sono li' per essere letti: l'invito e' ai giovani a rileggere
La maggioranza deviante, Crimini di pace, Salute/malattia, Una voce, per
ritrovare una modernita' delle contraddizioni di oggi previste nel loro
esplodere molto prima, e forse per imparare a reinscriversi nella "finalita'
comune" di ampliamento del tessuto delle liberta' concrete.
Pochi mesi fa ha scritto: "si puo' dire che l'orrore dei manicomi non
scompare solo per legge e soprattutto non 'riemerge' solo nella vecchia
forma istituzionale ma nella manicomialita' che si reistituzionalizza anche
nei nuovi servizi, nelle contenzioni che sono riaccettate come 'naturali'
perche' risultano necessarie nell'assenza di progetti e di speranze comuni,
e questo vale tanto per i sani che per i malati. Per questo occorrono una
politica ed una cultura professionale che siano convinte della necessita'
scientifica e semplicemente etica e umana di voler un cambiamento che si e'
rivelato possibile. Ma occorrono anche partecipazione, vigilanza, governo
reale della riforma e disponibilita' a capire che si tratta di un
cambiamento radicale che mette in discussione ciascuno di noi, la societa'
intera ed i suoi valori non soltanto nell'ambito della psichiatria. In molti
casi invece si assiste ad un cambio di etichetta, da 'struttura
psichiatrica' a 'centro di riabilitazione' e le cose restano esattamente
come prima, come se per la 'riabilitazione' non valessero gli stessi
principi di rispetto, di recupero, di reale abilitazione alla vita del
degente". Sono questi tuttora terreni di azione per amministratori, tecnici
e cittadini.
*
Concludendo, sono certo che Franca sarebbe d'accordo su una evocazione al
concreto che qui voglio fare. Tra qualche settimana si inaugurera' a Capua
un bellissimo Centro di salute mentale grazie all'impegno di Giovanna Del
Giudice, una delle persone che le era piu' vicina. Da qui un doppio invito
al Presidente della Campania, Bassolino: il primo a dedicare quel Centro al
nome di Franca Basaglia; il secondo, che Franca avrebbe ben piu' a cuore, a
preservare e rafforzare in quell'area un'esperienza di rinnovamento radicale
e di avanzata attivita' che gia' rappresenta un punto di riferimento per
tutto il sud e non solo, e che puo' essere spazzata via o seriamente
sostenuta. E' in quell'Asl che Franca ha svolto la sua ultima pubblica
lezione magistrale e certo vorrebbe che non andasse perduta; e quindi
l'invito al presidente Bassolino che, proteggendo e sostenendo in prima
persona quell'esperienza, dia senso concreto alla memoria di una grande
donna.

6. PAOLO TRANCHINA RICORDA FRANCA ONGARO BASAGLIA
[Dal sito www.retesociale.it]

Franca e' stata una protagonista intelligente, acuta, intransigente, dei
processi di rinnovamento della salute mentale nel nostro paese, che ha
sempre sostenuto con forza e passione, sia a livello culturale, che
politico.
I suoi scritti si distinguono per una particolare dialettica, sciolta ma
rigorosa, che affronta i diversi temi con acutezza e logica stringente,
ponendo sempre al centro l'uomo, la donna nel loro diritto a non essere
strumentalizzati, umiliati, fatti oggetto di saperi e pratiche istituzionali
che non controllano e che li disumanizzano.
Nel suo lavoro teorico l'ideologia occupa un posto ovviamente di primo
piano, sia per quanto riguarda la medicina che la psichiatria nel loro
intersecarsi nella definizione e gestione della salute e della malattia.
Nel processo di definizione dei loro saperi queste scienze si sono staccate
via via dalla globalita' di un corpo immerso nel suo ambiente, un corpo che
e' natura e cultura al tempo stesso, un corpo globale, per farne un corpo
separato, un oggetto avariato da riparare.
La malattia si e' cosi' separata violentemente dalla salute diventando un
corpo estraneo, rendendo impossibile un riconoscimento autentico sia della
salute che della malattia, e degli inscindibili legami che le iscrivono in
sensi condivisi.
Oltre che L'istituzione negata, Franca Ongaro Basaglia, in collaborazione
con Franco Basaglia, ha pubblicato La maggiornza deviante, dove si riflette
sul problema del controllo sociale e, in collaborazione con altri, Crimini
di pace.
Personalmente ritengo che il suo libro Salute/malattia. Le parole della
medicina, che raccoglie interventi apparsi nella Enciclopedia Einaudi, sia
uno dei testi piu' ricchi e profondi prodotti dal movimento della nuova
psichiatria italiana. Anche se alcune parti sono frutto di collaborazione
sia con Franco Basaglia che con Giorgio Bignami, l'impronta di Franca si
manifesta forte e inconfondibile. Amo talmente questo libro che l'ho portato
come testo sia alla clinica psichiatrica dell'Universita' di Verona, sia
come momento di studio e riflessione nel lavoro culturale di equipe
psichiatriche territoriali, come quella di Orzinuovi, in provincia di
Brescia. Dallo specifico della malattia mentale e dei processi di esclusione
che caratterizzano le pratiche manicomiali, la riflessione investe aspetti
fondamentali della vita e della morte.
Scrive Franca nella sua prefazione a Salute/malattia: "Quando la salute come
progetto prende il posto della vita, e' la vita stessa a svuotarsi di
significato, di fronte a un'astrazione da perseguire e da raggiungere. E
quando la morte viene messa tra parentesi per poter lottare contro una
malattia che non e' piu' automaticamente morte, e' ancora la vita a cambiare
di significato. L'individuazione della malattia crea l'illusione che la
morte non esista o che si possa rinviarla indefinitivamente, affidandola al
medico. Tutto appare dominabile e rimediabile: sopportare dolore e
sofferenza diventa inutile e privo di significato se c'e' qualcosa in grado
di eliminarli. Alla fine di una serie di rinvii capita anche di morire, ma
non si tratta piu' dell'incontro dell'uomo con la morte e con la propria
finitudine, ma di un'operazione tecnica mal riuscita che lascia sul letto un
cadavere: l'esperienza della morte, diventata il limite della medicina di
fronte alla malattia".
Solo processi di rappropriazione della propria salute come della propria
malattia possono contrastare questi tragitti, valorizzando la soggettivita
contro ogni espropriazione, oggettivazione. "Il valore dell'uomo, sano o
malato che sia, va oltre il valore della salute e della sua malattia che,
come ogni altra contraddizione umana, puo' essere usata come occasione di
appropriazione o di alienazione di se', quindi come strumento di liberazione
o di dominio... Se il valore e' l'uomo, la malattia non puo' servire come
occasione per eliminarlo, ma diventa occasione di una riappropriazione del
corpo, delle esperienze della vita; cosi' come la salute non puo'
rappresentare la 'norma', se la condizione dell'uomo e' di essere
contemporanemente sano e malato".
Anche a nome di Psichiatria Democratica della Toscana esprimiamo tutta la
nostra vcinanza ai familiari.

7. OMERO DELLISTORTI: PER FRANCA ONGARO BASAGLIA
[Da "La nonvioenza e' in cammino", n. 1052, 2005]

Sempre sentii che era Franca Ongaro
la mente filosofica piu' viva
degli anni e le rotture che in quel tempo
compiere fu mestieri. E sempre seppi
che con sguardo e con voce di donna
si sarebbe visto e detto l'essenziale.

Sempre seppi che la lotta contro il male
deve salvare tutti, deve infrangere
le intime catene e le esteriori
e che la lotta contro le totali
istituzioni questo ci insegnava:
a contrastare a un tempo la miseria
e dittatura, guerra e patriarcato
e l'apartheid che ancora impera e opprime
e la paura e la violenza sempre.

Lo seppi sempre, Franca Ongaro Basaglia
di tutti i miei maestri la maestra
fu piu' segreta, e l'ultima e la prima.

8. FRANCA ONGARO BASAGLIA: A VENT'ANNI DALLA LEGGE 180
[Dal sito di "Psychiatry on line" (www.pol-it.org) riprendiamo questo
intervento di Franca Ongaro Basaglia scritto nel 1998 in occasione dei
vent'anni dalla legge 180 del 1978]

Nello scorso mese di maggio si e' celebrato il ventennale della legge 180.
Non si e' trattato di una celebrazione formale ma dell'occasione per un
ulteriore impegno di tutti nell'attuazione di cio' che, in questi vent'anni,
doveva essere fatto e in troppi luoghi non e' stato fatto.
Pur riconoscendo - anche nei suoi limiti di legge quadro - l'importanza
della "legge 180" quale punto forte nella conferma della necessita' e della
possibilita' di una psichiatria senza manicomio, siamo consapevoli delle
difficolta' vissute in questi anni da malati e famigliari, a causa della
totale assenza di governo della riforma. E' stato infatti approvato solo nel
1994 il progetto per la tutela della salute mentale che prevede gli
strumenti necessari alla realizzazione della riforma, controlli sulla
creazione dei servizi e sul reale superamento dei manicomi.
Non si e' trattato, dunque, di celebrare il ventennale di una riforma in
parte abortita, quanto di riconoscere che dopo quasi trent'anni hanno vinto
le esperienze pratiche che, da Trieste in poi, hanno continuato nel tempo a
dimostrare la possibilita' concreta di rispondere alla sofferenza mentale
senza ricorrere all'internamento, alla violenza implicita nella sua logica e
senza abbandono dei malati. La testimonianza di tali esperienze sempre piu'
numerose ha impedito che la "180" fosse cancellata, favorendo anche
l'orientamento della maggior parte delle associazioni dei famigliari dei
malati, verso la richiesta di servizi adeguati ai problemi, anziche'
prolungare le astratte discussioni - che si protraevano da piu' di quindici
anni - sulla modifica della legge. In tal senso possiamo dire di celebrare
una data molto importante perche' si e' resa esplicita ed ufficialmente
riconosciuta la validita' di queste realta', confermandone uno dei punti di
forza: il primato della pratica.
*
E' questo infatti il nodo problematico dal quale poter leggere il perche'
della sopravvivenza della lotta al manicomio, anche in tempi in cui si sono
chiusi sempre piu' gli spazi di espressione sia del soggetto individuale che
di quello collettivo.
Primato di una pratica intesa non solo come mero fare, ma come produttrice
di altre realta' e di altra cultura, quando ci si trovi ad agire
contemporaneamente sulla struttura materiale dell'istituzione, sul
pregiudizio sociale rispetto al malato mentale, sul pregiudizio scientifico
rispetto alla malattia. Non si e' dunque trattato di un semplice cambio di
teoria interpretativa, rimpiazzabile con una nuova ideologia di ricambio che
facilmente lascia inalterata la situazione di base, ma della demolizione
pratica di una cultura, possibile solo se contemporaneamente costruisci
altro: altro sostegno, altro supporto, altro concetto di salute e di
malattia, di normalita' e di follia. Possibile, cioe', se insieme allo
smantellamento dei vecchi ospedali, non ci si e' limitati ad organizzare
semplici servizi ambulatoriali, ma si e' creata, per i vecchi e i nuovi
malati, la possibilita' di vivere e condividere in modo diverso la propria
sofferenza, vista come il prodotto di un insieme di fattori e non solo come
segno di pericolosita' sociale da reprimere. A questa sofferenza, che
risulta piu' complessa e insieme piu' semplice, occorre cioe' rispondere con
strutture e servizi che, oltre a garantire cura e assistenza, siano insieme
luoghi di vita, di stimolo, di confronto, di opportunita', di rapporti
interpersonali e collettivi diversi, puntando ad un cambio di cultura e di
politica prima sociali che sanitarie.
Si tratta, tuttavia, di una conquista culturale e sociale che, come ben
sappiamo, non si impone per legge. La cultura della popolazione, degli
utenti reali e potenziali dei servizi, cosi' come delle loro famiglie, puo'
mutare solo se la qualita' delle risposte e' capace di produrre, insieme,
cura assistenza qualita' di rapporti e progetti di vita tali da modificare
anche la qualita' delle domande individuali e sociali. Tali, quindi, da
promuovere una diversa normalita'.
*
Potremmo incominciare a dire che cio' che e' avvenuto nelle prime esperienze
fin dall'inizio degli anni '60, a Gorizia e successivamente a Trieste, e che
sara' poi fondamento della legge 180, e' stato essenzialmente lo spostamento
della responsabilita' professionale e istituzionale dalla tutela della
societa' dalla presunta o reale pericolosita' della malattia, alla tutela
del malato nella societa'. Questo spostamento richiedeva e richiede tuttora
un dovere professionale qualitativamente e quantitativamente diverso nei
confronti della persona sofferente, un diverso ruolo di responsabilita' che
si sostituisce al ruolo di potere, di forza, di dominio, di manipolazione
tradizionalmente implicito nell'esercizio delle discipline deputate a tali
problemi.
Non sempre questa assunzione di responsabilita' si e' verificata. Ma dove
c'e' stata la presa in carico complessiva della persona sofferente, c'e'
stato il mutamento culturale che ha prodotto altra realta', altro tipo di
cura, di sostegno, di assistenza. Quindi un altro tipo di tutela che non si
appropria piu' dei corpi ma che ne stimola l'autonomia e la
responsabilizzazione.
Parlo, dunque, di servizi aperti 24 ore su 24, tutti i giorni della
settimana, diversificati sulla base dei bisogni; servizi che non abbiano un
carattere strettamente ospedaliero dato che, superato il momento della
crisi, raramente un disturbato psichico ha bisogno di un letto d'ospedale,
visto che l'organizzazione ospedaliera agisce sempre in funzione della
malattia e non di progetti di vita.
Il punto di partenza e' stato comunque duplice: da un lato l'indignazione
provocata dalle condizioni disumane in cui erano trattati gli internati nei
manicomi (accettare quella situazione significava esserne complici);
dall'altro la necessita', se si voleva incominciare a capire i bisogni reali
delle persone, di accettare il conflitto che ogni soggetto produce, senza
difendersi dietro schemi interpretativi diventati ormai dogmi.
*
Si e' trattato e si tratta di un processo di liberazione contemporaneo per
il malato e per l'operatore.
Il primo nell'uscire dalla prigionia della irrecuperabilita' della malattia
data per scontata, dalla violenza dell'istituzione, nella conquista di
diritti perduti o mai avuti; il secondo, nell'uscire dalla prigione del
pregiudizio scientifico, riconoscendo la necessita' di una ricomposizione di
tutti gli elementi (biologici, psicologici e sociali) presenti non tanto
nella malattia di cui l'operatore continua a riconoscere solo i sintomi,
quanto nel malato, cioe' nella persona che si pretende di curare.
Ricomposizione, dunque, di bisogni negati anche dalla parcellizzazione delle
discipline. Accettando il rischio della liberta' del malato e assumendosene
la responsabilita' attraverso il sostegno del gruppo, diventa allora
possibile reggere la sofferenza, accettarne ogni espressione, per spostare
il conflitto ad un livello diverso. Conflitto di potere e di interesse fra
l'istituzione e l'assistito, fra il medico e il paziente, ma anche fra il
paziente e la famiglia, fra l'adulto e il giovane, il docente e lo scolaro,
l'uomo e la donna, l'individuo e la societa'. Se il conflitto scompare o e'
appiattito e' sempre il piu' debole a soccombere.
*
Il processo necessario a questa trasformazione culturale non e' dunque
semplice e richiede una formazione degli operatori che tenga conto di tutti
gli elementi emersi nelle pratiche di questi anni. Una formazione capace di
misurarsi e confrontarsi con questa complessita', riconoscendo che se il
manicomio ha risposto ad un'esigenza della societa' nell'espellere gli
elementi di disturbo (i piu' deboli, i piu' svantaggiati, i piu' poveri
perche' solo questi erano internati), la psichiatria l'ha avallata e
confermata scientificamente. E' dunque con questo fallimento che deve
misurare i propri paradigmi, mentre nella formazione degli psichiatri e
degli psicologi - salvo rarissime eccezioni - non c'e' finora traccia di
quanto e' avvenuto nel settore in questi trent'anni ed il silenzio si fa
sempre piu' paradossale.
Da parte nostra, intendo da parte di chi ha creduto e operato secondo questa
linea, si puo' dire che a vent'anni di distanza dalla riforma, la cultura va
mutando soprattutto nelle esperienze che sono passate attraverso il
superamento del manicomio: il che significa dove si e' vissuta la passione
civile, etica e politica del cambiamento e la convinzione forte della
disumanita' e inutilita' dell'internamento, di fronte alla trasformazione di
persone in precedenza annientate da una logica di controllo sostenuta solo
dalla forza e dalla sopraffazione. Restano, certo, sofferenza, disagi,
inadeguatezze (non e' stata mai negata questa sofferenza), ma con un aspetto
umano che ponendo altre domande, richiede altre risposte e ricevendo altre
risposte pone altre domande.
*
Chi non conosce direttamente il potere di trasformazione della liberazione
che vale tanto per il malato quanto per l'operatore, penso difficilmente
possa rompere la logica in cui e' stato formato e la funzione che per
tradizione gli compete. Per questo e' utile continuare a parlare di
manicomio, non solo perche' di fatto ancora esiste, ma anche perche' non ci
sono sufficienti strumenti culturali e sociali per non ricostruirlo.
L'operazione di smantellamento di mura reali e metaforiche, di grate e di
rigide codificazioni ha infatti richiesto il rispetto dei diritti della
persona, sana o malata, e un confronto della propria disciplina con questi
diritti: il che a sua volta esige la capacita' di reggere il conflitto che
questo confronto produce, senza cancellarlo. Nell'accettazione dell'altro e
nel conflitto che ne deriva c'e' sempre il rischio di una perdita di se'
quando il ruolo non ti difende, non ti ripara. Ma e' questa uscita dal ruolo
pur giocandolo che consente di passare ad un livello piu' alto, piu'
comprensibile, piu' condivisibile per entrambi i poli dell'incontro: che
consente dunque di passare da una domanda all'apertura di un'altra domanda
qualitativamente diversa.
Per queste ragioni, ora che il superamento del manicomio e' dato per
accettato anche se non concretamente ovunque attuato, in un momento in cui
disoccupazione, impoverimento materiale e culturale di fasce sempre piu'
vaste di popolazione possono alimentare nuove forme di disagio e di
sofferenza, quindi di esclusione ed emarginazione, si fa piu' acuta la
necessita' di riprendere alcuni elementi problematici delle prime
esperienze, di riprendere a domandarci se il rapporto fra discipline,
individui e collettivi non richieda una messa in discussione piu' profonda
di queste discipline, in nome della necessita' di una formazione degli
operatori piu' adeguata ad una realta' che ormai corre su altri binari.

9. ET COETERA
Franca Ongaro Basaglia, intellettuale italiana di straordinario impegno
civile, pensatrice di profondita', finezza e acutezza straordinarie, insieme
al marito Franco Basaglia e' stata tra i protagonisti del movimento di
psichiatria democratica; e' deceduta nel gennaio 2005. Tra i suoi libri
segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982; Manicomio
perché?, Emme Edizioni, Milano 1982; Una voce: riflessioni sulla donna, Il
Saggiatore, Milano 1982; Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate
scomodo narrate da lui medesimo, Editori Riuniti, Roma 1987; in
collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante,
Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato
anche a L'istituzione negata, Che cos'e' la psichiatria, e a molti altri
volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia.
Dalla recente antologia di scritti di Franco Basaglia, L'utopia della
realta', Einaudi, Torino 2005, da Franca Ongaro Basaglia curata, riprendiamo
la seguente notizia biobibliografica, redatta da Maria Grazia Giannichedda,
che di entrambi fu collaboratrice: "Franca Ongaro e' nata nel 1928 a Venezia
dove ha fatto studi classici. Comincia a scrivere letteratura infantile e i
suoi racconti escono sul "Corriere dei Piccoli" tra il 1959 e il 1963
insieme con una riduzione dell'Odissea, Le avventure di Ulisse, illustrata
da Hugo Pratt, e del romanzo Piccole donne di Louise May Alcott. Ma sono gli
anni di lavoro nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, con il gruppo che si
sta raccogliendo attorno a suo marito Franco Basaglia, a determinare la
direzione dei suoi interessi e del suo impegno. Nella seconda meta' degli
anni '60 scrive diversi saggi con Franco Basaglia e con altri componenti del
gruppo goriziano e due suoi testi - "Commento a E. Goffman. La carriera
morale del malato di mente" e "Rovesciamento istituzionale e finalita'
comune" - fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano il lavoro
di apertura dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos'e' la psichiatria
(1967) e L'istituzione negata (1968). E' sua la traduzione italiana dei
testi di Erving Goffman Asylums e Il comportamento in pubblico, editi da
Einaudi rispettivamente nel 1969 e nel 1971 con saggi introduttivi di Franco
Basaglia e Franca Ongaro, che traduce e introduce anche il lavoro di
Gregorio Bermann La salute mentale in Cina (1972). Dagli anni '70 Franca
Ongaro e' coautrice di gran parte dei principali testi di Franco Basaglia,
da Morire di classe (1969) a La maggioranza deviante (1971), da Crimini di
pace (1975) fino alle Condotte perturbate. Nel 1981 e 1982 cura per Einaudi
la pubblicazione dei due volumi degli Scritti di Franco Basaglia. Franca
Ongaro e' anche autrice di volumi e saggi di carattere filosofico e
sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie, sulla
bioetica, la condizione della donna, le pratiche di trasformazione delle
istituzioni totali. Tra i suoi testi principali, i volumi Salute/malattia.
Le parole della medicina (Einaudi, Torino 1979), raccolta delle voci di
sociologia della medicina scritte per l'Enciclopedia Einaudi; Una voce.
Riflessioni sulla donna (Il Saggiatore, Milano 1982) che include la voce
"Donna" dell'Enciclopedia Einaudi; Manicomio perche'? (Emme Edizioni, Milano
1982); Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo narrate da lui
medesimo (Editori Riuniti, Roma 1987). Tra i saggi, Eutanasia, in
"Democrazia e Diritto", nn. 4-5 (1988); Epidemiologia dell'istituzione
psichiatrica. Sul pensiero di Giulio Maccacaro, in Conoscenze scientifiche,
saperi popolari e societa' umana alle soglie del Duemila. Attualita' del
pensiero di Giulio Maccacaro, Cooperativa Medicina Democratica, Milano 1997;
Eutanasia. Liberta' di scelta e limiti del consenso, in Roberta Dameno e
Massimiliano Verga (a cura di), Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella
societa' contemporanea, Angelo Guerrini, Milano 2001. Dal 1984 al 1991 e'
stata, per due legislature, senatrice della sinistra indipendente, e in
questa veste e' stata leader della battaglia parlamentare e culturale per
l'applicazione dei principi posti dalla riforma psichiatrica, tra l'altro
come autrice del disegno di legge di attuazione della "legge 180" che
diventera', negli anni successivi, testo base del primo Progetto obiettivo
salute mentale (1989) e di diverse disposizioni regionali. Nel luglio 2000
ha ricevuto il premio Ives Pelicier della International Academy of Law and
Mental Health, e nell'aprile 2001 l'Universita' di Sassari le ha conferito
la laurea honoris causa in Scienze politiche. E' morta nella sua casa di
Venezia il 13 gennaio 2005".

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 29 del 4 luglio 2006

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