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La nonviolenza e' in cammino. 1346
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1346
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 4 Jul 2006 00:18:45 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1346 del 4 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. "Statunitensi per la pace e la giustizia": Oggi da Washington a Roma in digiuno contro la guerra 2. Mao Valpiana: Qualche breve riflessione e una proposta di lavoro 3. Giobbe Santabarbara: L'astuzia piu' grande del diavolo 4. Severino Vardacampi: Cento cavalli bigi 5. Gli stupori di Scarpone: Capriole 6. Le amarezze di Protervo Villanzoni: L'argomento dell'arreso 7. Barbara Spìnelli: Afghanistan 8. Lidia Menapace: Bombe, frecce e un'amara conclusione 9. Peppe Sini: Un'epistola a Lidia in forma di sonetto 10. Tiziana Bartolini: Un appello di "Noi donne" 11. Letture: Vittorangelo Orati, Globalizzazione scientificamente infondata 12. Riedizioni: Francesco De Sanctis, Opere 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. "STATUNITENSI PER LA PACE E LA GIUSTIZIA": OGGI DA WASHINGTON A ROMA IN DIGIUNO CONTRO LA GUERRA [Dal gruppo romano degli "Statunitensi per la pace e la giustizia - U.S. Citizens for Peace & Justice" (per contatti: info at peaceandjustice.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com] A Roma, in piazza Navona, martedi' 4 luglio 2006, dalle 18 alle 20 si svolgera' una iniziativa di solidarieta' con lo sciopero della fame di Cindy Sheehan e altri attivisti statunitensi per la pace: "4th of July - Troops Home Fast". Uno storico sciopero della fame sara' lanciato davanti alla Casa Bianca il 4 luglio, giorno della festa statunitense per l'indipendenza. Lo sciopero viene indetto per esigere il ritiro immediato delle truppe dall'Iraq e per commemorare i morti e feriti della guerra e dell'occupazione. Vi partecipera' Cindy Sheehan, la "mamma pace" statunitense, insieme ad attivisti, veterani della guerra in Iraq e familiari di militari. Tra i partecipanti anche il tenente Ehren Watada, diventato il 22 giugno il primo ufficiale dell'esercito statunitense a rifiutarsi pubblicamente di andare in Iraq e sua madre Carolyn Ho. Si uniranno a questa iniziativa, con uno sciopero della fame simbolico di un giorno proprio il 4 luglio, oltre 1.500 cittadini statunitensi, tra cui personaggi dello spettacolo, membri del congresso, veterani, musicisti, scrittori e religiosi. Manifestazioni di solidarieta' con i dimostranti davanti alla Casa Bianca saranno tenute in numerose citta' degli Stati Uniti. Nel mondo, manifestazioni analoghe con scioperi della fame sono in programma in vari paesi, tra cui Germania, Irlanda, Ecuador e in Italia a Firenze e a Roma. Nella capitale, il gruppo romano "Statunitensi per la pace e la giustizia" portera' anch'esso la propria solidarieta' alla manifestazione statunitense "Troops Home Fast". Partecipera' allo sciopero della fame di un giorno e a Piazza Navona fara' un volontinaggio tra turisti e romani per richiamarne l'attenzione sulle iniziative in corso negli Stati Uniti. Oltre al Troops Home Fast, il volantinaggio a Piazza Navona vuole anche far sapere della Declaration of Peace, una campagna promossa negli Stati Uniti da un ampio arco di movimenti, i quali dichiarano la propria intenzione di organizzare azioni nonviolente in tutti gli Stati Uniti e nel mondo dal 21 al 28 settembre, se non saranno stati raggiunti per la Giornata internazionale per la pace - 21 settembre 2006 - vari obiettivi, tra cui il ritiro immediato delle truppe dall'Iraq, la chiusura delle basi militari statunitensi in Iraq, il controllo Iracheno sulle proprie risorse naturali e la riparazione dei danni causati dalla guerra e da 13 anni di sanzioni. Sempre in Piazza Navona saranno raccolte firme tra i numerosi turisti statunitensi presenti nella capitale a sostegno della campagna Voters for Peace. Si chiede agli elettori di dichiarare "di non votare e sostenere un candidato per il Congresso e per la Casa Bianca, il quale non assuma una posizione pubblica mirata a porre rapidamente fine alla guerra in Iraq e a evitare ogni futura guerra di aggressione". * Per maggiori informazioni sull'iniziativa di Roma: Stephanie Westbrook tel. 3331103510 o anche 068411649, e-mail: info at peaceandjustice.it, sito: www.peaceandjustice.it * Per maggiori informazioni sulle iniziative negli Stati Uniti, vedere i siti: - Troops Home Fast: www.troopshomefast.org - Declaration of Peace: www.declarationofpeace.org - Voters for Peace: www.votersforpeace.us - Tenente Ehren Watada: www.thankyoult.org * Nota: L'iniziativa e' denominata "Troops Home Fast", si evidenza che in inglese la parola fast ha un doppio significato, "velocemente" e "sciopero della fame". 2. EDITORIALE. MAO VALPIANA: QUALCHE BREVE RIFLESSIONE E UNA PROPOSTA DI LAVORO [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] Cari amici, vi sottopongo qualche breve riflessione sul dibattito di questi giorni. Con una proposta conclusiva. Ho l'impressione che stiamo parlando troppo di cosa dovrebbero o non dovrebbero fare partiti e parlamentari (che non dipendono da noi) e troppo poco di cosa devono fare i movimento nonviolenti (cosa che dipende esclusivamente da noi). Forse abbiamo impostato male il dibattito sull'Afghanistan. Stiamo discutendo di cosa devono fare altri (votare si' o votare no), mentre dovremmo decidere cosa dobbiamo fare noi (che non siamo chiamati a votare ne' alla Camera ne' al Senato). * Tutti i parlamentari eletti (tutti!) rappresentano i partiti che li hanno messi in lista e rispondono agli elettori e alle loro coscienze, per il semplice fatto che nessuno dei partiti dell'Unione (nessuno!) al momento di formare le liste ha pensato di chiedere ai nostri movimenti un parere o di esprimere qualche candidatura. Per di piu', quando in campagna elettorale ci siamo rivolti ai partiti dell'Unione, nessuno di loro ci ha risposto. Le nostre proposte erano chiarissime, e ad esse dobbiamo attenerci: "ridurre le spese militari, finora sempre crescenti, almeno del 5% annuo progressivo, per finanziare forme di difesa nonviolenta quali ad esempio i Corpi Civili di Pace, unico mezzo degno per dare aiuto e solidarieta' democratica ai popoli vittime della guerra. Spostare su un apposito capitolo di spesa il denaro sottratto al bilancio del Ministero della Difesa, per istituire il Ministero per la Pace, dotato di portafoglio, per adottare una rigorosa politica costituzionale di Pace che obblighi a ripudiare la guerra come metodo di risoluzione delle controversie". Dunque la responsabilita' di cio' che faranno gli eletti, come il futuro del governo, e' nelle loro mani, e non mi permetto di giudicare le scelte dei singoli parlamentari. A loro spetta di rispettare in primis la Costituzione, e poi di onorare l'impegno preso con gli elettori sulla base del programma. La politica istituzionale, che e' l'arte del possibile attraverso i compromessi, spetta a loro. Non accetto la divisione tra parlamentari "realisti" e parlamentari "anime belle", ne' quella tra chi pensa che la politica estera di questo governo e' "una riduzione del danno" e chi invece vuole esprimere "un voto di coscienza". Penso che il governo debba governare, che i partiti devono fare i partiti e che ai movimenti spetta il ruolo di movimenti. A me interessa cio' che devono dire e fare oggi i movimenti nonviolenti. * Noi dobbiamo ispirarci ai principi della nonviolenza, ed esprimerci attraverso campagne di opinione ed iniziative concrete che prefigurino cio' che vogliamo. Nel 2000 abbiamo iniziato un percorso di confronto con la politica, a partire dalla Marcia specifica nonviolenta Perugia-Assisi che abbiamo intitolato "Mai piu' eserciti e guerre". Ora e' un fatto incontestabile che in Afganistan abbiamo un esercito che fa la guerra. La conclusione, dal nostro punto di vista, e' ovvia. Ma purtroppo noto che siamo attraversati da un certo sbandamento, come se dovessimo interrogarci su cosa faremmo noi al posto di chi governa. Ma noi non siamo al governo, e questo non e' il nostro governo (anche se l'abbiamo votato). Non e' una questione di coerenza (anche se ci sarebbe qualcosa da dire su chi ha votato in un certo modo fino a ieri, all'opposizione, e oggi vota diversamente perche' in maggioranza), ma di strategia. Strategia della nonviolenza rispetto ai nostri obiettivi, che sono a lunga scadenza, indipendentemente dal governo del momento. * Ci sono tre questioni importanti che a mio avviso richiedono una discussione seria, che non puo' essere fatta via e-mail: 1) Partecipazione italiana alle missioni militari all'estero (Afghanistan, Iraq, Intervento internazionale in Israele/Palestina) e Corpi Civili di Pace; 2) Servizio civile volontario, gestione e prospettive (progetti, formazione alla nonviolenza, difesa nonviolenta, servizio civile obbligatorio?); 3) Campagna per il disarmo atomico (obiettivi, modalita', strumenti, conduzione della campagna). Su questi tre punti propongo un seminario che riunisca amiche ed amici della nonviolenza, per elaborare una nostra "politica della nonviolenza". Un seminario da preparare bene, ma da realizzare con una certa urgenza (entro settembre/ottobre). Se c'e' consenso, sono disposto a fare la mia parte. Il futuro del governo e' certamente importante, ma non dipende da me, mentre il futuro dei movimenti nonviolenti dipende anche da me, e sicuramente mi sta molto piu' a cuore. 3. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: L'ASTUZIA PIU' GRANDE DEL DIAVOLO Si sa, e' di far credere che non esiste. Cosi' certi assassini pretendendo di far credere che deliberano la guerra perche' vogliono la pace. Machiavellismo degli stenterelli, e vite umane stroncate per sempre. Congratulazioni. * In Afghanistan e' in corso una guerra. La Costituzione della Repubblica Italiana proibisce al nostro paese di prendervi parte. Benedetta Costituzione. L'attuale maggioranza parlamentare, frutto delle elezioni in cui e' stata sconfitta la coalizione golpista, non si omologhi ai golpisti, difenda la legalita' costituzionale, ripudi la guerra. Questo direbbe il grillo parlante. * Coloro che nel parlamento italiano ancora una volta si apprestano a violare la Costituzione, che ancora una volta voteranno i crediti di guerra, che ancora una volta macchieranno di sangue le mani loro e le nostre che abbiamo la colpa di averli votati, ebbene, ci risparmino le ipocrisie e i sofismi, ci risparmino gli argomenti meschini di chi non sa o non vuole guardare piu' in la' del proprio ombelico, di chi non sa riconoscere che una e' l'umanita'. Noi non ascoltiamo neppure piu' le loro parole, poiche' parla per essi il loro voto. E di fronte alla scelta di recar soccorso o uccidere, tra salvare le vite o sopprimerle, tra la pace e la guerra, e - last but not least - tra la Costituzione e l'anomia, tra la civile convivenza e l'esplosiva barbarie, sia il tuo dire si' si', no no, tutto il resto si sa di dove viene. 4. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: CENTO CAVALLI BIGI "E os que leem o que escreve, Na dor lida sentem bem, Nao as duas que ele teve, Mas so' a que eles nao tem" (Fernando Pessoa, Autopsicografia) Tutto l'argomentare di coloro che in parlamento voteranno a favore del finanziamento per la prosecuzione della partecipazione militare italiana alla guerra in corso in Afghanistan, in violazione della Costituzione, in complicita' con un massacro che li' perdura senza soste da decenni, si riduce alla primazia delle miserabili beghe che scambiano i giochi di potere nella coalizione del cosiddetto centrosinistra per il cuore del mondo e l'albero della vita, cui tutto puo' essere sacrificato. E invece la vita di un solo bambino afghano vale infinitamente di piu' di tutti gli intrighi di palazzo e di tutte le carriere di corte di tutti i centrosinistra dell'universo mondo. Sorprende fino allo strazio che persone assai buone non se ne avvedano. * Amleto in camicia nera Ci sono cose su cui si puo' mediare. E ci sono cose su cui occorre restar fermi come torre. Nel nostro ordinamento giuridico non si puo' mediare sul rispetto della Costituzione, poiche' in questo ambito, come suonava quel motto sui muri di Parigi, cedere un poco e' capitolare del tutto. E non solo nel nostro ordinamento giuridico, ma in tutte le grandi tradizioni di pensiero come nel foro interiore di ogni essere umano, non si puo' mediare sull'unico principio che fonda la convivenza: tu non uccidere. Poiche' se si ammette il diritto all'uccisione, e la guerra ne e' la magnificazione tendenzialmente onnicida, ogni essere umano perde il primo e fondamentale dei diritti che allo statuto di essere umano ineriscono: il diritto a non essere ucciso, il diritto a vivere, senza del quale tutto finisce, non vi e' piu' civilta', non vi e' piu' umanita', vi e' solo il potere assassino, la generale paura e schiavitu', il bellum omnium contra omnes. Cosi' essere parlamentare in Italia implica il dovere di rispettare la Costituzione, di opporsi alle uccisioni, di ripudiare la guerra: sono tre espressioni, ma una cosa sola. Il parlamentare che viola questo triplice impegno e' tre volte fedifrago: sia verso la legge, verso l'ordinamento giuridico per la cui vigenza esercita il suo pubblico ufficio di legislatore; sia verso il popolo italiano di cui e' rappresentante; sia verso l'umanita': di appartenenti alla quale non e' suo diritto decretare l'uccisione. Chi vota si' ai crediti di guerra non cerchi scuse: scuse non ve ne sono. * Clarte' Questo foglio non ha alcuna simpatia per la cosiddetta "sinistra radicale", pseudonimo inventato in quest'ultimo decennio da chi si vergogna del suo passato, e se se ne vergogna ne avra' ben donde. Noi non abbiamo mai avuto bisogno di rovesciare la giacchetta. Questo foglio non ha alcuna simpatia per i cosiddetti pacifisti "senza se e senza ma", formula che disvela il totalitarismo di certe posizioni. Questo foglio non ha alcuna simpatia per la legione dei funzionari, consulenti, dirigenti e cosi' via delle burocrazie quasi sempre nepotiste e clientelari della cosiddetta societa' civile (onlus, ong e via siglando) perennemente all'assalto della diligenza dei soldi pubblici e delle carriere parastatali: quando si e' sul libro paga si e' poco credibili nei proclami, e chi sputa nel piatto in cui mangia non da' un bello spettacolo. Questo foglio non ha alcuna simpatia per chi a seconda delle giornate e' complice degli squadristi di piazza o dei bombardieri imperiali, chi un giorno delira che "siamo tutti sovversivi" e il giorno dopo e' governativo piu' del barone Scarpia. Questo foglio non ha alcuna simpatia per chi riduce la nonviolenza a ideologia di ricambio, cioe' al suo esatto contrario. Questo foglio propugna la nonviolenza come opposizione alla violenza, come potere di tutti, come libera aggiunta e afferramento alla verita', come rigorizzazione morale e intellettuale, come lotta, comunicazione e apertura, come scelta della pluralita', della relazione, del riconoscimento dei diritti dell'altra e dell'altro, come progetto e impegno di difesa del mondo che vive e di liberazione comune dell'umanita' intera incluse le generazioni future. Il contrario della vilta', il contrario dell'indifferenza, il contrario della rassegnazione, il contrario della complicita', il contrario dell'apatia, il contrario della subalternita', il contrario dell'omissione. * Che fare? Cosa occorre fare oggi nel parlamento italiano dal punto di vista della nonviolenza in relazione alla nostra responsabilita' per l'Afghanistan? Occorre fare due cose semplici (ma di quella semplicita' che, diceva il poeta di Augusta, e' difficile a farsi). La prima: cessare di partecipare alla guerra, opporsi alla prosecuzione della guerra, agire per far cessare uccisioni e violenze. La seconda: soccorrere le vittime e contribuire a costruire relazioni di pace e di giustizia, ovvero recare aiuti umanitari con interventi rigorosame nte nonviolenti. Come e' noto vi sono gia' esperienze significative, anche italiane. Si tratta di passare dal volontariato nonviolento di pochi alla scelta della nonviolenza anche come politica internazionale degli stati, dalla nonviolenza testimoniale dei singoli alla nonviolenza giuriscostituente delle istituzioni, degli ordinamenti giuridici: cominci l'Italia. Cominci l'Italia sostituendo l'intervento militare con un primo esperimento di Corpi civili di pace. Cominci l'Italia con un vasto piano di aiuti sia per lo sminamento e il disarmo, sia per la ricostruzione delle infrastrutture civili, sia per la riconversione delle colture agricole (la questione cruciale della sostituzione delle immense coltivazioni di papavero da cui si ricava l'oppio che alimenta il mercato mondiale dell'eroina), sia di assistenza e cura delle persone, sia e soprattutto sostenendo particolarmente le esperienze democratiche e nonviolente animate dalle donne in Afghanistan: esperienze il cui valore educativo, sociale, civile, politico e' immenso. L'alternativa hic et nunc non e' tra restare o ritirarsi, ma tra la guerra e la pace: occorre cessare la partecipazione alla guerra, e promuovere un'azione umanitaria e di pace di lungo respiro, in cui l'Italia puo' fare la sua parte e insieme sollecitare gli organismi internazionali a un impegno condiviso. L'alternativa hic et nunc non e' tra intensificare le stragi o continuare le stragi col ritmo attuale, ma tra continuare ad essere complici della guerra o cessare di esserlo e cosi' avviare un'azione di politica internazionale nonviolenta che miri a salvare le vite anziche' a sopprimerle. I parlamentari italiani amici della nonviolenza, e ce ne fosse pure una sola - ma noi crediamo che ve ne siano di piu', forse decine -, non solo devono opporsi alla guerra, ma devono proporre un'iniziativa alternativa: contro la guerra, di pace, nonviolenta. 5. GLI STUPORI DI SCARPONE: CAPRIOLE Ripristiniamo, per favore, la logica. Il problema non sono otto parlamentari che votano contro la guerra. Il problema sono mille parlamentari che votano a favore della guerra. Il problema non sono otto parlamentari fedeli alla Costituzione. Il problema sono mille parlamentari che violano la Costituzione. 6. LE AMAREZZE DI PROTERVO VILLANZONI: L'ARGOMENTO DELL'ARRESO "Tanto, se non voto a favore della guerra io, vota a favore della guerra qualcun altro". Cosi' dicono anche tutti i membri di tutti i plotoni di esecuzione. 7. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: AFGHANISTAN [Dal sito www.lastampa.it riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "La stampa" del 2 luglio 2006. Una sola obiezione ci sia qui consentita: la lettura che Barbara Spinelli da' dell'art. 11 e' una lettura possibile ma inadeguata, un'altra lettura possibile - e a nostro avviso piu' adeguata, e se ci e' concesso di esprimerci nel gergo dei giuristi essa e solo essa e' l'interpretazione autentica -, e' quella che limita il secondo comma nei confini stabiliti dal primo: ovvero che l'Italia consente a limitazioni di sovranita', ma fatto salvo il ripudio della guerra, ovvero che non puo' essere costretta a partecipare a guerre anche se esse sono mosse da alleanze o organismi cui l'Italia e' in qualche modo vincolata: sic pro veritate, e chiedo venia (p. s.). Barbara Spinelli e' una prestigiosa giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo particolarmente Il sonno della memoria, Mondadori, Milano 2001, 2004; una selezione di suoi articoli e' in una sezione personale del sito del quotidiano (www.lastampa.it)] Visto che sono passati quasi cinque anni da quando e' cominciata l'offensiva in Afghanistan, e visto che il centrosinistra ne sta discutendo in Italia con particolare intensita' - dividendosi tra chi invoca continuita' e chi discontinuita' - conviene forse guardare ai fatti e non solo ai principi, a quel che sta effettivamente accadendo in questa guerra e non solo all'idea che sinistra o destra, politici o giornalisti, si fanno della sua opportunita'. C'e' un motto della Bbc che aiuta a pensare piu' di tanti manu ali o dibattiti: put the news first, metti al primo posto le notizie. Anche politici e giornalisti dovrebbero fare cosi': metti al primo posto i fatti, e solo dopo vedi se essi si adattano al dover essere dell'idea. E' questo che manca, nelle controversie italiane ed euro-americane. L'ideologia sommerge tutto e tutti, a destra e sinistra. I fatti sbiadiscono sino a svanire. Ognuno s'aggrappa al suo dogma e ne ha cura come fosse l'unica pianticella che conti. La pianticella che conta dovrebbe essere invece la realta', con le domande che essa suscita man mano che l'azione la plasma, la trasforma. * Perche' combattiamo, e cosa abbiamo ottenuto in cinque anni? Con quali fini fu scatenata l'offensiva e con quali fini e mezzi la si prosegue, a partire dal momento in cui i talebani sconfitti fanno in massa ritorno, riconquistando i cuori e le menti della povera gente non solo con la violenza? Abbiamo sbagliato nei fini, nei mezzi, in ambedue? Gli italiani sono in Afghanistan per contare in Iran, dicono alcuni, ma l'astuta mossa e' davvero astuta? Non rispondere a queste domande e' dogmatismo, dunque ortodossia che non ammette i dubbi, non apprende dagli errori, non incorpora i fatti, le notizie scomode, il terreno su cui la storia presente si fa. Aggirati, i dubbi vengono chiamati a loro volta dogmi, permettendo al dogmatico di dire: l'ideologia e' dell'altro! Come sempre accade, l'alternativa diventa a questo punto binaria: o sei incondizionatamente per la guerra o sei incondizionatamente pacifista. O appartieni a una sinistra riformista che accetta l'Occidente e l'America, o sei prigioniero di atavici massimalismi. L'ortodossia dogmatica e' per la verita' assai ben distribuita, essendo presente in ambedue i campi: in chi vuole a tutti i costi la continuita' dell'operazione e in chi vuole la discontinuita'. * Vediamo il dogmatismo dei primi: essi difendono una guerra che certamente non fu illegale, avendo ricevuto l'approvazione Onu prima che scoppiasse anziche' dopo; che fu intrapresa contro un pericolo tangibile (i talebani legati a Bin Laden), e non fittizio come le armi di distruzione di massa in Iraq. L'operazione in Afghanistan vien tuttavia tradotta in sostanza spirituale, in ipostasi: anche se attraversa difficolta', criticarla e domandarsi se valga la pena equivale a un tradimento, a una fuga infame dalle responsabilita'. Anche questo e' tipico del dogma, mai fallibile: nel dogma la storia non scorre ma fissa una volta per sempre le ragioni come i torti, e l'etica della convinzione inghiotte l'etica della responsabilita'. Quel che distingue l'etica responsabile e' il riesame delle convinzioni astratte e proprio tale distinzione non c'e' piu', impedendo di vedere come una guerra che nel 2001 voleva stabilizzare e democratizzare sia degenerata nel 2006 in guerra che solo dogmaticamente si giustifica, e che ha generato un potere centrale, a Kabul, sempre piu' impotente e instabile. * L'ortodossia dogmatica che affligge parte della sinistra e' apparentemente piu' attenta ai fatti ma esibisce una certezza non meno ideologica: il ripudio di ogni guerra, condotta nell'Onu, nella Nato o con gli Stati Uniti. Il dogma e' specialmente evidente nel modo in cui questa sinistra interpreta l'articolo 11 della Costituzione: un articolo profetico, che Luigi Einaudi impose dopo i disastri dei nazionalismi europei, e che non obbliga solo al ripudio della guerra, "come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Obbliga ad agire se necessario entro istituzioni multilaterali o sovranazionali (Onu, Nato, futura Europa unita): consentendo "a limitazioni di sovranita'" e partecipando a iniziative che queste istituzioni riterranno "necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni".Eventualmente anche iniziative militari, aventi come obiettivo sia la pace sia la giustizia. Consentire alle necessarie limitazioni di sovranita' significa rifiutare a se stessi il ritiro unilaterale, quando si ripudia una guerra condivisa con istituzioni multilaterali o sovranazionali. E significa che la loro strategia, i governi devono attuarla dentro queste istituzioni, magari operando perche' nasca e si rafforzi un'Unione politica in Europa. E' quello che la sinistra radicale non fa, leggendo solo la prima meta' dell'articolo 11, e con cio' non fa nemmeno politica. Non si tratta di esser dogmaticamente fedeli agli obblighi presi tra Europei e dentro la Nato, pero' e' in quelle sedi che si negozia, perdendo o vincendo le proprie battaglie. Ma questo non significa che i dilemmi denunciati da chi s'oppone alla guerra non esistano. Se non si vuol esser dogmatici, dobbiamo guardarli in faccia, mettere alla prova certezze, convinzioni. La guerra iniziata a Kabul nel 2001 non e' la stessa che si combatte oggi, l'avallo Onu non e' dato per sempre. * L'intera strategia va riesaminata alla luce di quel che sta accadendo sul terreno, dei successi o insuccessi conseguiti. Ogni dubbio va accolto, se serve a migliorare l'agire. Se Giordano o Diliberto dicono che la guerra ha prodotto caos in Afghanistan, il mio problema sostanziale non e' Giordano o Diliberto ma il caos. Il caos in effetti c'e', e questo significa che la guerra e' in bilico. Lo dicono ormai troppe testimonianze, resoconti. Innanzitutto i talebani non sono stati sconfitti, ma stanno riaccumulando forze, ritrovando alleati in Pakistan, riconquistando intere regioni non solo con la forza delle armi e la violenza sui costumi, ma capitalizzando lo sconforto delle popolazioni e il loro senso d'abbandono. Gran parte del Sud e' governato da essi, ed e' in guerra con truppe straniere e governative. E' un ritorno dovuto a errori occidentali vistosi, da cui ci si ostina a non imparare. L'errore piu' spettacolare e' stato quello di considerare facile questa guerra, in una nazione dove mai gli interventi stranieri furono facili nei due scorsi secoli. E' stata ritenuta cosi' facile che prestissimo, prima ancora di ottenere qualche risultato serio, l'amministrazione Usa ha aperto un secondo fronte bellico, in Iraq, che ha divorato forze, soldi, soldati, cura, fiducia. Ancor prima che l'Iraq divenisse la priorita', il generale Tommy Franks, del comando centrale americano, dichiarava, nell'aprile 2002, che gli Stati Uniti "non erano piu' impegnati in una guerra in Afghanistan". Era una menzogna allora, e le menzogne si susseguono oggi. La guerra non solo non fini' nel 2002, ma oggi rischia la catastrofe. Rischia tanto piu' in quanto non c'e' vero chiarimento tra europei e americani sui rispettivi compiti e le trappole del conflitto. Le operazioni Nato in cui sono ingaggiati gli europei (Isaf) non sono tutte militari, molti Stati partecipano solo con la ricostruzione, e numerosissime sono le clausole che impediscono ai soldati Nato di agguerrirsi. * Senza impedimenti e' invece l'operazione Usa Enduring Freedom, che guerreggia contro insorti e talebani nel Sud o alle frontiere col Pakistan. Ma il confine fra operazione Usa e operazione Nato tende a svanire, la Nato e' invitata da Bush a svolgere una parte del compito statunitense, e non si puo' escludere che essa venga usata da Washington per coprire un eventuale, prossimo disimpegno americano. Qui e' il rischio: che l'eventuale passaggio di consegne avvenga senza che gli errori passati siano dibattuti tra Europa e Usa. Senza che siano analizzate e corrette le azioni che hanno disintegrato l'Afghanistan, a cominciare dall'eradicazione della produzione di oppio iniziata a marzo. L'eradicazione e' stata applicata con ottusa brutalita' e false promesse d'aiuto, dalle truppe anglo-americane, senza tener conto che in vaste zone, soprattutto a Sud, l'oppio permette ai contadini di sopravvivere. E' un punto su cui insiste il Senlis Council, un'associazione che si occupa di narcoterrorismo mondiale: nel rapporto del 6 giugno, e' scritto che l'eradicazione, non offrendo alternative ai coltivatori di oppio e colpendo in prima linea i contadini poveri, ha dato forza inaudita a talebani e Al Qaeda, saldando terrorismo insurrezione e droga. Non meno oscuro e' il capitolo ricostruzione: la stabilizzazione manca, e mancano sicurezza, elettricita', acqua (solo il 6 per cento degli afghani ha accesso all'elettricita'). Il nation building e' avvelenato da corruzione e disprezzo delle popolazioni. Un rapporto pubblicato il 2 maggio dalla studiosa afghano-americana Fariba Nawa per il Corpwatch, un'organizzazione che indaga sulle violazioni dei diritti dell'uomo e le frodi degli appalti, narra come enormi somme siano state versate a industrie spesso vicine all'amministrazione Bush (Ashbritt, Halliburton, DynCorp, Louis Berger, Blackwater) per costruire strade, ospedali, scuole, destinati a durare lo spazio di pochi giorni. Presto le strade s'affossavano, i tetti cadevano, le fogne straripavano. Tutte queste cose hanno creato frustrazione e rabbia nelle popolazioni, e la guerra che si sta acutizzando - i morti afghani nel 2006 sono 800, gli uccisi stranieri sono 34, le vittime civili di bombardamenti Usa aumentano - lo conferma. La manifestazione del 29 maggio a Kabul, contro americani e occidentali, e' il risultato di un conflitto che va ripensato. Una guerra cosi' non conviene farla, contro il terrorismo, se si fa degradare il paese com'e' avvenuto in Somalia: con i signori della guerra appoggiati da Washington e scacciati da islamisti moralizzatori. La scelta non e' tra il cedimento di chi assecondo' Hitler nel trattato di Monaco e la scelta di combatterlo a oltranza: e' sui modi in cui puo' esser evitata una condotta che accentua il male, pretendendo di saperlo debellare. * Il lamento afghano che ricorre nei resoconti e' sempre lo stesso: tante son state le parole non rispettate, che gli occidentali hanno proferito senza sentirsi in dovere di rispettarle. Troppe le promesse altisonanti, che non son state mantenute. Un giorno o l'altro converra' che su simili dilemmi si discuta, tra governi europei e poi tra europei e Casa Bianca. E se la discussione dovesse arenarsi, tocchera' dire a voce alta quel che nel vecchio continente si sussurra: che "non si puo' combattere una guerra antiterrorista e creare al contempo uno stato debole" (dichiarazione anonima di un dirigente europeo a Pamela Constable, "Washington Post", 26 giugno). E' una via che la sinistra radicale in Italia potrebbe imboccare ma che potrebbe esser tentata anche da chi vuol proseguire le scelte strategiche passate non riposandosi nel dogma, ma svegliandosi alla ragione e all'apprendimento dagli errori. 8. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: BOMBE, FRECCE E UN'AMARA CONCLUSIONE [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. Nelle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Ho persino perso il conto dei numeri d'ordine delle mie narrazioni, sia per la vorticosita' degli eventi che per le difficolta' materiali di lavoro, dato che al Senato ancora non vi sono stanze assegnate per lavorare; e ho avuto il computer fuori fase e persino avendo prestato il caricabatterie del telefonino a un compagno e' capitato che per distrazione se lo sia tenuto in tasca e portato in treno e io sia rimasta col cellulare del tutto scarico a Roma il giorno di san Pietro, che e' una festa nella quale non trovi un negozio aperto e non ho potuto comprarmene un altro da sostituire. Insomma sopravviviamo. Ho fatto una serie di osservazioni che riguardano le culture politiche e come si manifestano sui vari temi. Ora mi occupero' della cultura di destra nazionalistica e patriottarda, che imperversa abbastanza. Ne ho preso conoscenza per il noto episodio delle Frecce tricolori. * Negli ultimi giorni sono stata (dopo che a Trieste e Udine durante il referendum e le conferenze stampa per chiarire e discutere) a Pordenone a margine di due iniziative: una era per lanciare la notizia che un comitato di cinque cittadini del luogo (cui si sono collegati molti altri: erano gia' 150 dopo un paio di giorni di raccolta di firme, e non solo individuali) presenta una denuncia verso il governo degli Usa per i danni e i rischi possibili provocati dalle atomiche stazionate ad Aviano; tra sette giorni il processo avra' inizio formalmente e poi si vedra'. Infatti Aviano e' una base americana in territorio italiano e a parita' di sovranita', ma che non dice - nemmeno a parlamentari venuti in visita - se vi sono o no bombe atomiche, pericolo di inquinamento, piano di evacuazione ecc. Nel corso della presentazione dell'iniziativa e' venuto fuori che due parlamentari europee hanno presentato una formale richiesta perche' il governo degli Usa ritiri entro il 2006 tutte le sue atomiche su suolo europeo: sara' il caso di collegarsi e di aggiungere ad Aviano Ghedi e Camp Darby, dove mi sembra ci sia gia' intenzione. * Nel pomeriggio del sabato primo luglio sono invece andata alla base di Rivolto perche' la' - dove sono stanziate le Frecce tricolori - da anni un gruppo di tenaci pacifisti il primo sabato di ogni mese fa una manifestazione contro la base. Sono cosi' venuta a conoscenza che esiste anche un comitato di genitori che denunciano attacchi continui di panico dei bambini piccoll al rumore tremendo degli aerei che sorvolano - quando, ogni giorno, si addestrano - le case, a bassa quota, pericolosamente; altre persone lamentano disturbi dell'udito: tali "inconvenienti" non sono portati a conoscenza della piu' vasta opinione pubblica e anche le amministrazioni locali sono intimidite dal "prestigio" delle Frecce. Sara' il caso di fare intervenire scienziati, medici, fisici. ambientalisti (i vigneti al cherosene!) per dare risposte precise e dire che una nazione che si occupa piu' del prestigio acrobatico di una pattuglia che della salute dei bambini ha poco da "essere orgogliosa". Ci ha raggiunto anche un compagno dirigente locale dei Ds, venuto a dirci che anche lui e' orgoglioso, che tutto il mondo ci invidia le Frecce, che quando va all'estero tutti gli domandano delle Frecce e gli magnificano tale gloria italiana: a me non e' mai capitato. Comunque a chi mi racconta tali storie dico che ho un altro concetto di patria e sarei piu' contenta di poter dire che l'Italia ha il piu' alto tasso di spese per la ricerca e il piu' basso di spese militari, un ottimo sistema scolastico pubblico, un altrettanto buon sistema sanitario, la migliore legge sulle migrazioni ecc. * Mentre ero a Rivolto davanti alla base uno dei manifestanti mi si e' avvicinato e mi ha detto: "Non farete mica cadere il governo sull'Afghanistan?", domanda che mi viene regolarmente fatta da cittadini e cittadine semplici, non di partito, non di organizzazione, ma interessati alla politica. La paura che la sinistra produca un danno irreparabile al governo e' molto forte, non siamo ancora abbastanza attendibili, sembra. Rassicuro, anche se tutto cio' mi da' una forte angoscia. Ho molto riflettuto sulla posizione che ho preso e - allo stato delle conoscenze che ho - confermo che avere ottenuto da un governo, partito accettando lo scambio richiesto dagli Usa (venite via dall'Iraq, ma aumentate in Afghanistan), che invece non vi sia ne' un soldato ne' un'arma in piu'; che alcune centinaia di soldati vengano passati al civile; che il contigente italiano resti posizionato dove e' (a Kabul e ad Herat) e quindi non sia impiegato nella campagna al sud; che una commissione di monitoraggio sia varata per tenere sotto controllo la situazione, ebbene, mi sembra andare nella direzione giusta. Tutto questo e' stato ottenuto con grandi difficolta', perche' nell'Unione prevale la posizione militare e i pacifisti sono in minoranza, sicche' a tutto questo si e' arrivati solo perche' i nostri capigruppo sono stati capaci di far valere il metodo del consenso e non la votazione a maggioranza: credo possiamo dire che si e' impedita una escalation, inizia un modestissimo avvio di inversione di tendenza e si sono poste le basi per procedere in quel senso. E' ugualmente una conclusione amara, ma l'obiezione di coscienza [il riferimento e' alla dichiarazione di alcuni parlamentari di voto contrario al rifinanziamento della missione militare italiana in Afghanistan - ndr] lascia libero il governo di trovare altre forze per fare la maggioranza, come si e' subito capito dalle espressioni di grande rispetto e ammirazione verso gli obiettori di D'Alema, il quale vede con favore che il suo sempre presente progetto di mutare alleanze e procedere verso la Grande coalizione, non viene meno. 9. AMICIZIE. PEPPE SINI: UN'EPISTOLA A LIDIA IN FORMA DI SONETTO Lidia amatissima, la mia opinione diverge dalla tua; cosi', se posso, vorrei tentar di dirne la ragione andando subito, e' mestieri, all'osso. Sia benedetta la Costituzione che ad ogni guerra, e non per paradosso, la nostra vieta partecipazione: veto che non puo' essere rimosso. In terra afgana oggi c'e' la guerra la guerra che consiste di omicidi la guerra che ogni civilta' sotterra la guerra che devasta tutti i nidi la guerra che travolge cio' che afferra: ad essa di votare no decidi. 10. APPELLI. TIZIANA BARTOLINI: UN APPELLO DI "NOI DONNE" [Da Tiziana Bartolini, direttrice di "Noi donne" (per contatti: tel. 3395364627, e-mail: noi.donne at libero.it, sito: www.noidonne.org), riceviamo e volentieri diffondiamo] Nel sito di noidonne (www.noidonne.org) e' pubblicato un appello da inviare ai parlamentari per alcuni provvedimenti di contrasto della violenza sulle donne. Vi chiedo di far circolare la notizia, proponendo di firmare l'appello on line. Tiziana Bartolini * Il testo dell'appello Una donna uccisa e cento che rischiano di morire lentamente Da una ricerca Eures, un omicidio su quattro in Italia avviene in famiglia, tra le mura domestiche (187 nel 2004). Una persona ogni due giorni ed il 70% delle vittime sono donne, soprattutto uccise quasi unicamente per ragioni passionali o durante un litigio da partner abituali, passati o pretesi tali, da familiari maschi o da clienti e sfruttatori. Senza contare che gli omicidi sono solo la punta dell'iceberg della violenza di genere. Per ogni donna uccisa ce ne sono tante che subiscono ogni giorno umiliazioni e vessazioni, che rischiano di morire lentamente. Troppo spesso gli omicidi di donne vengono giustificati e letti dalla nostra societa', dalla nostra cultura e dai mass media, come gesti di uomini disperati che non sono riusciti a sopportare il dolore e il peso della separazione, per troppo amore, per troppo attaccamento. Non e' vero. Si tratta piuttosto di manifestazioni derivate da profondo egoismo e dalla incapacita' di alcuni uomini di slegarsi da una visione della donna arcaica e non piu' riproponibile al giorno d'oggi. Nel nostro paese i reati per i quali le donne sono vittime di violenze ed uccisioni sono in preoccupante aumento: prioritaria deve essere dunque la presa in carico da parte del governo del problema e la conseguente iscrizione nell'agenda politica delle azioni urgenti e concrete per ridimensionare questa emergenza. Le donne e gli uomini che sottoscrivono questo appello richiamano fortemente l'attenzione sulla necessita' di: - fornire aiuti alle vittime a tutti i livelli (giuridico, sanitario, psicologico, professionale e finanziario); - creare sezioni specializzate presso i Tribunali con competenze civili e penali dedicate alla lotta contro la violenza di genere; - implementare un sistema che consenta meccanismi facilitati per il ritiro di pubblicita' sessiste e discriminatorie; - progettare interventi formativi di sensibilizzazione all'uguaglianza e contro la violenza di genere nei programmi scolastici e sui luoghi di lavoro pubblici e privati; - finanziare e potenziare i Centri antiviolenza in Italia. Invitiamo dunque le ed i parlamentari, le ministre e i ministri a farsi carico di questa istanza, perche' siamo nella convinzione che la complessita' del problema della violenza sulle donne, cosi' come documentano gli studi di genere, e' il nodo centrale di ogni politica che voglia garantire uno sviluppo sociale ed economico e pari dignita'. 11. LETTURE. VITTORANGELO ORATI: GLOBALIZZAZIONE SCIENTIFICAMENTE INFONDATA Vittorangelo Orati, Globalizzazione scientificamente infondata. Una nuova teoria per il popolo di Seattle, Editori Riuniti, Roma 2003, pp. X + 166, euro 14. Un'acuta analisi delle correnti teorie del commercio internazionale, e la proposta di un paradigma economico alternativo; un contributo alla riflessione di grande rigore e interesse (e non credo che faccia velo a chi scrive questa brevissima segnalazione l'amicizia che lo lega all'autore del libro, economista di grande valore e prestigio internazionale). Con una presentazione di K. Puttaswamaiah. 12. RIEDIZIONI. FRANCESCO DE SANCTIS: OPERE Francesco De Sanctis, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano 2006, pp. XL + 672, euro 12,90 (in suppl. a "Il sole 24 ore"). Dalla classica Letteratura Italiana Ricciardi, alcuni capitoli dalla Storia della letteratura italiana e alcuni altri testi, a cura di Niccolo' Gallo e con introduzione di Natalino Sapegno. E' una bella silloge, ma nel caso del De Sanctis una silloge non basta: la Storia della letteratura italiana va letta tutta (e preferenzlalmente va letta proprio nella magnifica edizione datane da Gallo per i tipi di Einaudi, che fu una delle straripanti gioie della nostra gioventu' con la letteratura latina del Marchesi e quella greca del Lesky): e va letta tutta per il banale motivo che se cominci a leggerla non puoi non desiderare di arrivare alla fine, e per cosi' dire di volerne ancora; e tra i saggi critici, suvvia, come rinunciare a leggere almeno tutti quelli raccolti e presentati da Luigi Russo in una non dimenticata edizione laterziana? Ma basta cosi', che' quando si comincia a parlare di De Sanctis non ci si ferma piu'... 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1346 del 4 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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