La nonviolenza e' in cammino. 1346



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1346 del 4 luglio 2006

Sommario di questo numero:
1. "Statunitensi per la pace e la giustizia": Oggi da Washington a Roma in
digiuno contro la guerra
2. Mao Valpiana: Qualche breve riflessione e una proposta di lavoro
3. Giobbe Santabarbara: L'astuzia piu' grande del diavolo
4. Severino Vardacampi: Cento cavalli bigi
5. Gli stupori di Scarpone: Capriole
6. Le amarezze di Protervo Villanzoni: L'argomento dell'arreso
7. Barbara Spìnelli: Afghanistan
8. Lidia Menapace: Bombe, frecce e un'amara conclusione
9. Peppe Sini: Un'epistola a Lidia in forma di sonetto
10. Tiziana Bartolini: Un appello di "Noi donne"
11. Letture: Vittorangelo Orati, Globalizzazione scientificamente infondata
12. Riedizioni: Francesco De Sanctis, Opere
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. "STATUNITENSI PER LA PACE E LA GIUSTIZIA": OGGI DA WASHINGTON
A ROMA IN DIGIUNO CONTRO LA GUERRA
[Dal gruppo romano degli "Statunitensi per la pace e la giustizia - U.S.
Citizens for Peace & Justice" (per contatti: info at peaceandjustice.it)
riceviamo e volentieri diffondiamo. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey
nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a
Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze,
con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo
figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato
negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente
pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di
madre), disponibile nel sito www.koabooks.com]

A Roma, in piazza Navona, martedi' 4 luglio 2006, dalle 18 alle 20 si
svolgera' una iniziativa di solidarieta' con lo sciopero della fame di Cindy
Sheehan e altri attivisti statunitensi per la pace: "4th of July - Troops
Home Fast".
Uno storico sciopero della fame sara' lanciato davanti alla Casa Bianca il 4
luglio, giorno della festa statunitense per l'indipendenza.
Lo sciopero viene indetto per esigere il ritiro immediato delle truppe
dall'Iraq e per commemorare i morti e feriti della guerra e
dell'occupazione. Vi partecipera' Cindy Sheehan, la "mamma pace"
statunitense, insieme ad attivisti, veterani della guerra in Iraq e
familiari di militari. Tra i partecipanti anche il tenente Ehren Watada,
diventato il 22 giugno il primo ufficiale dell'esercito statunitense a
rifiutarsi pubblicamente di andare in Iraq e sua madre Carolyn Ho.
Si uniranno a questa iniziativa, con uno sciopero della fame simbolico di un
giorno proprio il 4 luglio, oltre 1.500 cittadini statunitensi, tra cui
personaggi dello spettacolo, membri del congresso, veterani, musicisti,
scrittori e religiosi. Manifestazioni di solidarieta' con i dimostranti
davanti alla Casa Bianca saranno tenute in numerose citta' degli Stati
Uniti.
Nel mondo, manifestazioni analoghe con scioperi della fame sono in programma
in vari paesi, tra cui Germania, Irlanda, Ecuador e in Italia a Firenze e a
Roma.
Nella capitale, il gruppo romano "Statunitensi per la pace e la giustizia"
portera' anch'esso la propria solidarieta' alla manifestazione statunitense
"Troops Home Fast". Partecipera' allo sciopero della fame di un giorno e a
Piazza Navona fara' un volontinaggio tra turisti e romani per richiamarne
l'attenzione sulle iniziative in corso negli Stati Uniti.
Oltre al Troops Home Fast, il volantinaggio a Piazza Navona vuole anche far
sapere della Declaration of Peace, una campagna promossa negli Stati Uniti
da un ampio arco di movimenti, i quali dichiarano la propria intenzione di
organizzare azioni nonviolente in tutti gli Stati Uniti e nel mondo dal 21
al 28 settembre, se non saranno stati raggiunti per la Giornata
internazionale per la pace - 21 settembre 2006 - vari obiettivi, tra cui il
ritiro immediato delle truppe dall'Iraq, la chiusura delle basi militari
statunitensi in Iraq, il controllo Iracheno sulle proprie risorse naturali e
la riparazione dei danni causati dalla guerra e da 13 anni di sanzioni.
Sempre in Piazza Navona saranno raccolte firme tra i numerosi turisti
statunitensi presenti nella capitale a sostegno della campagna Voters for
Peace. Si chiede agli elettori di dichiarare "di non votare e sostenere un
candidato per il Congresso e per la Casa Bianca, il quale non assuma una
posizione pubblica mirata a porre rapidamente fine alla guerra in Iraq e a
evitare ogni futura guerra di aggressione".
*
Per maggiori informazioni sull'iniziativa di Roma: Stephanie Westbrook tel.
3331103510 o anche 068411649, e-mail: info at peaceandjustice.it, sito:
www.peaceandjustice.it
*
Per maggiori informazioni sulle iniziative negli Stati Uniti, vedere i siti:
- Troops Home Fast: www.troopshomefast.org
- Declaration of Peace: www.declarationofpeace.org
- Voters for Peace: www.votersforpeace.us
- Tenente Ehren Watada: www.thankyoult.org
*
Nota: L'iniziativa e' denominata "Troops Home Fast", si evidenza che in
inglese la parola fast ha un doppio significato, "velocemente" e "sciopero
della fame".

2. EDITORIALE. MAO VALPIANA: QUALCHE BREVE RIFLESSIONE E UNA PROPOSTA DI
LAVORO
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la
redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax  0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una
delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato
nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista;
fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e'
diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di
intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale
del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di
Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel
1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese
militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il
riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega
obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante
la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta
per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e'
stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione
Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters
International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e'
stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle
forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da
Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di
solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in
Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con
grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 di questo notiziario]

Cari amici,
vi sottopongo qualche breve riflessione sul dibattito di questi giorni. Con
una proposta conclusiva.
Ho l'impressione che stiamo parlando troppo di cosa dovrebbero o non
dovrebbero fare partiti e parlamentari (che non dipendono da noi) e troppo
poco di cosa devono fare i movimento nonviolenti (cosa che dipende
esclusivamente da noi).
Forse abbiamo impostato male il dibattito sull'Afghanistan.
Stiamo discutendo di cosa devono fare altri (votare si' o votare no), mentre
dovremmo decidere cosa dobbiamo fare noi (che non siamo chiamati a votare
ne' alla Camera ne' al Senato).
*
Tutti i parlamentari eletti (tutti!) rappresentano i partiti che li hanno
messi in lista e rispondono agli elettori e alle loro coscienze, per il
semplice fatto che nessuno dei partiti dell'Unione (nessuno!) al momento di
formare le liste ha pensato di chiedere ai nostri movimenti un parere o di
esprimere qualche candidatura.
Per di piu', quando in campagna elettorale ci siamo rivolti ai partiti
dell'Unione, nessuno di loro ci ha risposto.
Le nostre proposte erano chiarissime, e ad esse dobbiamo attenerci: "ridurre
le spese militari, finora sempre crescenti, almeno del 5% annuo progressivo,
per finanziare forme di difesa nonviolenta quali ad esempio i Corpi Civili
di Pace, unico mezzo degno per dare aiuto e solidarieta' democratica ai
popoli vittime della guerra. Spostare su un apposito capitolo di spesa il
denaro sottratto al bilancio del Ministero della Difesa, per istituire il
Ministero per la Pace, dotato di portafoglio, per adottare una rigorosa
politica costituzionale di Pace che obblighi a ripudiare la guerra come
metodo di risoluzione delle controversie".
Dunque la responsabilita' di cio' che faranno gli eletti, come il futuro del
governo, e' nelle loro mani, e non mi permetto di giudicare le scelte dei
singoli parlamentari. A loro spetta di rispettare in primis la Costituzione,
e poi di onorare l'impegno preso con gli elettori sulla base del programma.
La politica istituzionale, che e' l'arte del possibile attraverso i
compromessi, spetta a loro.
Non accetto la divisione tra parlamentari "realisti" e parlamentari "anime
belle", ne' quella tra chi pensa che la politica estera di questo governo e'
"una riduzione del danno" e chi invece vuole esprimere "un voto di
coscienza".
Penso che il governo debba governare, che i partiti devono fare i partiti e
che ai movimenti spetta il ruolo di movimenti.
A me interessa cio' che devono dire e fare oggi i movimenti nonviolenti.
*
Noi dobbiamo ispirarci ai principi della nonviolenza, ed esprimerci
attraverso campagne di opinione ed iniziative concrete che prefigurino cio'
che vogliamo.
Nel 2000 abbiamo iniziato un percorso di confronto con la politica, a
partire dalla Marcia specifica nonviolenta Perugia-Assisi che abbiamo
intitolato "Mai piu' eserciti e guerre". Ora e' un fatto incontestabile che
in Afganistan abbiamo un esercito che fa la guerra. La conclusione, dal
nostro punto di vista, e' ovvia.
Ma purtroppo noto che siamo attraversati da un certo sbandamento, come se
dovessimo interrogarci su cosa faremmo noi al posto di chi governa.
Ma noi non siamo al governo, e questo non e' il nostro governo (anche se
l'abbiamo votato).
Non e' una questione di coerenza (anche se ci sarebbe qualcosa da dire su
chi ha votato in un certo modo fino a ieri, all'opposizione, e oggi vota
diversamente perche' in maggioranza), ma di strategia.
Strategia della nonviolenza rispetto ai nostri obiettivi, che sono a lunga
scadenza, indipendentemente dal governo del momento.
*
Ci sono tre questioni importanti che a mio avviso richiedono una discussione
seria, che non puo' essere fatta via e-mail:
1) Partecipazione italiana alle missioni militari all'estero (Afghanistan,
Iraq, Intervento internazionale in Israele/Palestina) e Corpi Civili di
Pace;
2) Servizio civile volontario, gestione e prospettive (progetti, formazione
alla nonviolenza, difesa nonviolenta, servizio civile obbligatorio?);
3) Campagna per il disarmo atomico (obiettivi, modalita', strumenti,
conduzione della campagna).
Su questi tre punti propongo un seminario che riunisca amiche ed amici della
nonviolenza, per elaborare una nostra "politica della nonviolenza". Un
seminario da preparare bene, ma da realizzare con una certa urgenza (entro
settembre/ottobre). Se c'e' consenso, sono disposto a fare la mia parte.
Il futuro del governo e' certamente importante, ma non dipende da me, mentre
il futuro dei movimenti nonviolenti dipende anche da me, e sicuramente mi
sta molto piu' a cuore.

3. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: L'ASTUZIA PIU' GRANDE DEL DIAVOLO

Si sa, e' di far credere che non esiste.
Cosi' certi assassini pretendendo di far credere che deliberano la guerra
perche' vogliono la pace.
Machiavellismo degli stenterelli, e vite umane stroncate per sempre.
Congratulazioni.
*
In Afghanistan e' in corso una guerra. La Costituzione della Repubblica
Italiana proibisce al nostro paese di prendervi parte. Benedetta
Costituzione.
L'attuale maggioranza parlamentare, frutto delle elezioni in cui e' stata
sconfitta la coalizione golpista, non si omologhi ai golpisti, difenda la
legalita' costituzionale, ripudi la guerra.
Questo direbbe il grillo parlante.
*
Coloro che nel parlamento italiano ancora una volta si apprestano a violare
la Costituzione, che ancora una volta voteranno i crediti di guerra, che
ancora una volta macchieranno di sangue le mani loro e le nostre che abbiamo
la colpa di averli votati, ebbene, ci risparmino le ipocrisie e i sofismi,
ci risparmino gli argomenti meschini di chi non sa o non vuole guardare piu'
in la' del proprio ombelico, di chi non sa riconoscere che una e'
l'umanita'.
Noi non ascoltiamo neppure piu' le loro parole, poiche' parla per essi il
loro voto. E di fronte alla scelta di recar soccorso o uccidere, tra salvare
le vite o sopprimerle, tra la pace e la guerra, e - last but not least - tra
la Costituzione e l'anomia, tra la civile convivenza e l'esplosiva barbarie,
sia il tuo dire si' si', no no, tutto il resto si sa di dove viene.

4. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: CENTO CAVALLI BIGI

"E os que leem o que escreve,
Na dor lida sentem bem,
Nao as duas que ele teve,
Mas so' a que eles nao tem"
(Fernando Pessoa, Autopsicografia)

Tutto l'argomentare di coloro che in parlamento voteranno a favore del
finanziamento per la prosecuzione della partecipazione militare italiana
alla guerra in corso in Afghanistan, in violazione della Costituzione, in
complicita' con un massacro che li' perdura senza soste da decenni, si
riduce alla primazia delle miserabili beghe che scambiano i giochi di potere
nella coalizione del cosiddetto centrosinistra per il cuore del mondo e
l'albero della vita, cui tutto puo' essere sacrificato. E invece la vita di
un solo bambino afghano vale infinitamente di piu' di tutti gli intrighi di
palazzo e di tutte le carriere di corte di tutti i centrosinistra
dell'universo mondo.
Sorprende fino allo strazio che persone assai buone non se ne avvedano.
*
Amleto in camicia nera
Ci sono cose su cui si puo' mediare. E ci sono cose su cui occorre restar
fermi come torre.
Nel nostro ordinamento giuridico non si puo' mediare sul rispetto della
Costituzione, poiche' in questo ambito, come suonava quel motto sui muri di
Parigi, cedere un poco e' capitolare del tutto.
E non solo nel nostro ordinamento giuridico, ma in tutte le grandi
tradizioni di pensiero come nel foro interiore di ogni essere umano, non si
puo' mediare sull'unico principio che fonda la convivenza: tu non uccidere.
Poiche' se si ammette il diritto all'uccisione, e la guerra ne e' la
magnificazione tendenzialmente onnicida, ogni essere umano perde il primo e
fondamentale dei diritti che allo statuto di essere umano ineriscono: il
diritto a non essere ucciso, il diritto a vivere, senza del quale tutto
finisce, non vi e' piu' civilta', non vi e' piu' umanita', vi e' solo il
potere assassino, la generale paura e schiavitu', il bellum omnium contra
omnes.
Cosi' essere parlamentare in Italia implica il dovere di rispettare la
Costituzione, di opporsi alle uccisioni, di ripudiare la guerra: sono tre
espressioni, ma una cosa sola. Il parlamentare che viola questo triplice
impegno e' tre volte fedifrago: sia verso la legge, verso l'ordinamento
giuridico per la cui vigenza esercita il suo pubblico ufficio di
legislatore; sia verso il popolo italiano di cui e' rappresentante; sia
verso l'umanita': di appartenenti alla quale non e' suo diritto decretare
l'uccisione.
Chi vota si' ai crediti di guerra non cerchi scuse: scuse non ve ne sono.
*
Clarte'
Questo foglio non ha alcuna simpatia per la cosiddetta "sinistra radicale",
pseudonimo inventato in quest'ultimo decennio da chi si vergogna del suo
passato, e se se ne vergogna ne avra' ben donde. Noi non abbiamo mai avuto
bisogno di rovesciare la giacchetta.
Questo foglio non ha alcuna simpatia per i cosiddetti pacifisti "senza se e
senza ma", formula che disvela il totalitarismo di certe posizioni.
Questo foglio non ha alcuna simpatia per la legione dei funzionari,
consulenti, dirigenti e cosi' via delle burocrazie quasi sempre nepotiste e
clientelari della cosiddetta societa' civile (onlus, ong e via siglando)
perennemente all'assalto della diligenza dei soldi pubblici e delle carriere
parastatali: quando si e' sul libro paga si e' poco credibili nei proclami,
e chi sputa nel piatto in cui mangia non da' un bello spettacolo.
Questo foglio non ha alcuna simpatia per chi a seconda delle giornate e'
complice degli squadristi di piazza o dei bombardieri imperiali, chi un
giorno delira che "siamo tutti sovversivi" e il giorno dopo e' governativo
piu' del barone Scarpia.
Questo foglio non ha alcuna simpatia per chi riduce la nonviolenza a
ideologia di ricambio, cioe' al suo esatto contrario.
Questo foglio propugna la nonviolenza come opposizione alla violenza, come
potere di tutti, come libera aggiunta e afferramento alla verita', come
rigorizzazione morale e intellettuale, come lotta, comunicazione e apertura,
come scelta della pluralita', della relazione, del riconoscimento dei
diritti dell'altra e dell'altro, come progetto e impegno di difesa del mondo
che vive e di liberazione comune dell'umanita' intera incluse le generazioni
future. Il contrario della vilta', il contrario dell'indifferenza, il
contrario della rassegnazione, il contrario della complicita', il contrario
dell'apatia, il contrario della subalternita', il contrario dell'omissione.
*
Che fare?
Cosa occorre fare oggi nel parlamento italiano dal punto di vista della
nonviolenza in relazione alla nostra responsabilita' per l'Afghanistan?
Occorre fare due cose semplici (ma di quella semplicita' che, diceva il
poeta di Augusta, e' difficile a farsi).
La prima: cessare di partecipare alla guerra, opporsi alla prosecuzione
della guerra, agire per far cessare uccisioni e violenze.
La seconda: soccorrere le vittime e contribuire a costruire relazioni di
pace e di giustizia, ovvero recare aiuti umanitari con interventi rigorosame
nte nonviolenti.
Come e' noto vi sono gia' esperienze significative, anche italiane. Si
tratta di passare dal volontariato nonviolento di pochi alla scelta della
nonviolenza anche come politica internazionale degli stati, dalla
nonviolenza testimoniale dei singoli alla nonviolenza giuriscostituente
delle istituzioni, degli ordinamenti giuridici: cominci l'Italia.
Cominci l'Italia sostituendo l'intervento militare con un primo esperimento
di Corpi civili di pace. Cominci l'Italia con un vasto piano di aiuti sia
per lo sminamento e il disarmo, sia per la ricostruzione delle
infrastrutture civili, sia per la riconversione delle colture agricole (la
questione cruciale della sostituzione delle immense coltivazioni di papavero
da cui si ricava l'oppio che alimenta il mercato mondiale dell'eroina), sia
di assistenza e cura delle persone, sia e soprattutto sostenendo
particolarmente le esperienze democratiche e nonviolente animate dalle donne
in Afghanistan: esperienze il cui valore educativo, sociale, civile,
politico e' immenso.
L'alternativa hic et nunc non e' tra restare o ritirarsi, ma tra la guerra e
la pace: occorre cessare la partecipazione alla guerra, e promuovere
un'azione umanitaria e di pace di lungo respiro, in cui l'Italia puo' fare
la sua parte e insieme sollecitare gli organismi internazionali a un impegno
condiviso.
L'alternativa hic et nunc non e' tra intensificare le stragi o continuare le
stragi col ritmo attuale, ma tra continuare ad essere complici della guerra
o cessare di esserlo e cosi' avviare un'azione di politica internazionale
nonviolenta che miri a salvare le vite anziche' a sopprimerle.
I parlamentari italiani amici della nonviolenza, e ce ne fosse pure una
sola - ma noi crediamo che ve ne siano di piu', forse decine -, non solo
devono opporsi alla guerra, ma devono proporre un'iniziativa alternativa:
contro la guerra, di pace, nonviolenta.

5. GLI STUPORI DI SCARPONE: CAPRIOLE

Ripristiniamo, per favore, la logica.
Il problema non sono otto parlamentari che votano contro la guerra.
Il problema sono mille parlamentari che votano a favore della guerra.
Il problema non sono otto parlamentari fedeli alla Costituzione.
Il problema sono mille parlamentari che violano la Costituzione.

6. LE AMAREZZE DI PROTERVO VILLANZONI: L'ARGOMENTO DELL'ARRESO

"Tanto, se non voto a favore della guerra io, vota a favore della guerra
qualcun altro".
Cosi' dicono anche tutti i membri di tutti i plotoni di esecuzione.

7. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: AFGHANISTAN
[Dal sito www.lastampa.it riprendiamo il seguente articolo apparso sul
quotidiano "La stampa" del 2 luglio 2006. Una sola obiezione ci sia qui
consentita: la lettura che Barbara Spinelli da' dell'art. 11 e' una lettura
possibile ma inadeguata, un'altra lettura possibile - e a nostro avviso piu'
adeguata, e se ci e' concesso di esprimerci nel gergo dei giuristi essa e
solo essa e' l'interpretazione autentica -, e' quella che limita il secondo
comma nei confini stabiliti dal primo: ovvero che l'Italia consente a
limitazioni di sovranita', ma fatto salvo il ripudio della guerra, ovvero
che non puo' essere costretta a partecipare a guerre anche se esse sono
mosse da alleanze o organismi cui l'Italia e' in qualche modo vincolata: sic
pro veritate, e chiedo venia (p. s.). Barbara Spinelli e' una prestigiosa
giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo particolarmente Il sonno
della memoria, Mondadori, Milano 2001, 2004; una selezione di suoi articoli
e' in una sezione personale del sito del quotidiano (www.lastampa.it)]

Visto che sono passati quasi cinque anni da quando e' cominciata l'offensiva
in Afghanistan, e visto che il centrosinistra ne sta discutendo in Italia
con particolare intensita' - dividendosi tra chi invoca continuita' e chi
discontinuita' - conviene forse guardare ai fatti e non solo ai principi, a
quel che sta effettivamente accadendo in questa guerra e non solo all'idea
che sinistra o destra, politici o giornalisti, si fanno della sua
opportunita'. C'e' un motto della Bbc che aiuta a pensare piu' di tanti manu
ali o dibattiti: put the news first, metti al primo posto le notizie.
Anche politici e giornalisti dovrebbero fare cosi': metti al primo posto i
fatti, e solo dopo vedi se essi si adattano al dover essere dell'idea. E'
questo che manca, nelle controversie italiane ed euro-americane. L'ideologia
sommerge tutto e tutti, a destra e sinistra. I fatti sbiadiscono sino a
svanire. Ognuno s'aggrappa al suo dogma e ne ha cura come fosse l'unica
pianticella che conti. La pianticella che conta dovrebbe essere invece la
realta', con le domande che essa suscita man mano che l'azione la plasma, la
trasforma.
*
Perche' combattiamo, e cosa abbiamo ottenuto in cinque anni? Con quali fini
fu scatenata l'offensiva e con quali fini e mezzi la si prosegue, a partire
dal momento in cui i talebani sconfitti fanno in massa ritorno,
riconquistando i cuori e le menti della povera gente non solo con la
violenza? Abbiamo sbagliato nei fini, nei mezzi, in ambedue? Gli italiani
sono in Afghanistan per contare in Iran, dicono alcuni, ma l'astuta mossa e'
davvero astuta? Non rispondere a queste domande e' dogmatismo, dunque
ortodossia che non ammette i dubbi, non apprende dagli errori, non incorpora
i fatti, le notizie scomode, il terreno su cui la storia presente si fa.
Aggirati, i dubbi vengono chiamati a loro volta dogmi, permettendo al
dogmatico di dire: l'ideologia e' dell'altro! Come sempre accade,
l'alternativa diventa a questo punto binaria: o sei incondizionatamente per
la guerra o sei incondizionatamente pacifista. O appartieni a una sinistra
riformista che accetta l'Occidente e l'America, o sei prigioniero di atavici
massimalismi. L'ortodossia dogmatica e' per la verita' assai ben
distribuita, essendo presente in ambedue i campi: in chi vuole a tutti i
costi la continuita' dell'operazione e in chi vuole la discontinuita'.
*
Vediamo il dogmatismo dei primi: essi difendono una guerra che certamente
non fu illegale, avendo ricevuto l'approvazione Onu prima che scoppiasse
anziche' dopo; che fu intrapresa contro un pericolo tangibile (i talebani
legati a Bin Laden), e non fittizio come le armi di distruzione di massa in
Iraq.
L'operazione in Afghanistan vien tuttavia tradotta in sostanza spirituale,
in ipostasi: anche se attraversa difficolta', criticarla e domandarsi se
valga la pena equivale a un tradimento, a una fuga infame dalle
responsabilita'. Anche questo e' tipico del dogma, mai fallibile: nel dogma
la storia non scorre ma fissa una volta per sempre le ragioni come i torti,
e l'etica della convinzione inghiotte l'etica della responsabilita'. Quel
che distingue l'etica responsabile e' il riesame delle convinzioni astratte
e proprio tale distinzione non c'e' piu', impedendo di vedere come una
guerra che nel 2001 voleva stabilizzare e democratizzare sia degenerata nel
2006 in guerra che solo dogmaticamente si giustifica, e che ha generato un
potere centrale, a Kabul, sempre piu' impotente e instabile.
*
L'ortodossia dogmatica che affligge parte della sinistra e' apparentemente
piu' attenta ai fatti ma esibisce una certezza non meno ideologica: il
ripudio di ogni guerra, condotta nell'Onu, nella Nato o con gli Stati Uniti.
Il dogma e' specialmente evidente nel modo in cui questa sinistra interpreta
l'articolo 11 della Costituzione: un articolo profetico, che Luigi Einaudi
impose dopo i disastri dei nazionalismi europei, e che non obbliga solo al
ripudio della guerra, "come strumento di offesa alla liberta' degli altri
popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Obbliga ad agire se necessario entro istituzioni multilaterali o
sovranazionali (Onu, Nato, futura Europa unita): consentendo "a limitazioni
di sovranita'" e partecipando a iniziative che queste istituzioni riterranno
"necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
nazioni".Eventualmente anche iniziative militari, aventi come obiettivo sia
la pace sia la giustizia. Consentire alle necessarie limitazioni di
sovranita' significa rifiutare a se stessi il ritiro unilaterale, quando si
ripudia una guerra condivisa con istituzioni multilaterali o sovranazionali.
E significa che la loro strategia, i governi devono attuarla dentro queste
istituzioni, magari operando perche' nasca e si rafforzi un'Unione politica
in Europa.
E' quello che la sinistra radicale non fa, leggendo solo la prima meta'
dell'articolo 11, e con cio' non fa nemmeno politica. Non si tratta di esser
dogmaticamente fedeli agli obblighi presi tra Europei e dentro la Nato,
pero' e' in quelle sedi che si negozia, perdendo o vincendo le proprie
battaglie. Ma questo non significa che i dilemmi denunciati da chi s'oppone
alla guerra non esistano. Se non si vuol esser dogmatici, dobbiamo guardarli
in faccia, mettere alla prova certezze, convinzioni. La guerra iniziata a
Kabul nel 2001 non e' la stessa che si combatte oggi, l'avallo Onu non e'
dato per sempre.
*
L'intera strategia va riesaminata alla luce di quel che sta accadendo sul
terreno, dei successi o insuccessi conseguiti. Ogni dubbio va accolto, se
serve a migliorare l'agire. Se Giordano o Diliberto dicono che la guerra ha
prodotto caos in Afghanistan, il mio problema sostanziale non e' Giordano o
Diliberto ma il caos. Il caos in effetti c'e', e questo significa che la
guerra e' in bilico. Lo dicono ormai troppe testimonianze, resoconti.
Innanzitutto i talebani non sono stati sconfitti, ma stanno riaccumulando
forze, ritrovando alleati in Pakistan, riconquistando intere regioni non
solo con la forza delle armi e la violenza sui costumi, ma capitalizzando lo
sconforto delle popolazioni e il loro senso d'abbandono. Gran parte del Sud
e' governato da essi, ed e' in guerra con truppe straniere e governative. E'
un ritorno dovuto a errori occidentali vistosi, da cui ci si ostina a non
imparare.
L'errore piu' spettacolare e' stato quello di considerare facile questa
guerra, in una nazione dove mai gli interventi stranieri furono facili nei
due scorsi secoli. E' stata ritenuta cosi' facile che prestissimo, prima
ancora di ottenere qualche risultato serio, l'amministrazione Usa ha aperto
un secondo fronte bellico, in Iraq, che ha divorato forze, soldi, soldati,
cura, fiducia. Ancor prima che l'Iraq divenisse la priorita', il generale
Tommy Franks, del comando centrale americano, dichiarava, nell'aprile 2002,
che gli Stati Uniti "non erano piu' impegnati in una guerra in Afghanistan".
Era una menzogna allora, e le menzogne si susseguono oggi. La guerra non
solo non fini' nel 2002, ma oggi rischia la catastrofe. Rischia tanto piu'
in quanto non c'e' vero chiarimento tra europei e americani sui rispettivi
compiti e le trappole del conflitto. Le operazioni Nato in cui sono
ingaggiati gli europei (Isaf) non sono tutte militari, molti Stati
partecipano solo con la ricostruzione, e numerosissime sono le clausole che
impediscono ai soldati Nato di agguerrirsi.
*
Senza impedimenti e' invece l'operazione Usa Enduring Freedom, che
guerreggia contro insorti e talebani nel Sud o alle frontiere col Pakistan.
Ma il confine fra operazione Usa e operazione Nato tende a svanire, la Nato
e' invitata da Bush a svolgere una parte del compito statunitense, e non si
puo' escludere che essa venga usata da Washington per coprire un eventuale,
prossimo disimpegno americano. Qui e' il rischio: che l'eventuale passaggio
di consegne avvenga senza che gli errori passati siano dibattuti tra Europa
e Usa. Senza che siano analizzate e corrette le azioni che hanno
disintegrato l'Afghanistan, a cominciare dall'eradicazione della produzione
di oppio iniziata a marzo. L'eradicazione e' stata applicata con ottusa
brutalita' e false promesse d'aiuto, dalle truppe anglo-americane, senza
tener conto che in vaste zone, soprattutto a Sud, l'oppio permette ai
contadini di sopravvivere.
E' un punto su cui insiste il Senlis Council, un'associazione che si occupa
di narcoterrorismo mondiale: nel rapporto del 6 giugno, e' scritto che
l'eradicazione, non offrendo alternative ai coltivatori di oppio e colpendo
in prima linea i contadini poveri, ha dato forza inaudita a talebani e Al
Qaeda, saldando terrorismo insurrezione e droga. Non meno oscuro e' il
capitolo ricostruzione: la stabilizzazione manca, e mancano sicurezza,
elettricita', acqua (solo il 6 per cento degli afghani ha accesso
all'elettricita'). Il nation building e' avvelenato da corruzione e
disprezzo delle popolazioni. Un rapporto pubblicato il 2 maggio dalla
studiosa afghano-americana Fariba Nawa per il Corpwatch, un'organizzazione
che indaga sulle violazioni dei diritti dell'uomo e le frodi degli appalti,
narra come enormi somme siano state versate a industrie spesso vicine
all'amministrazione Bush (Ashbritt, Halliburton, DynCorp, Louis Berger,
Blackwater) per costruire strade, ospedali, scuole, destinati a durare lo
spazio di pochi giorni.
Presto le strade s'affossavano, i tetti cadevano, le fogne straripavano.
Tutte queste cose hanno creato frustrazione e rabbia nelle popolazioni, e la
guerra che si sta acutizzando - i morti afghani nel 2006 sono 800, gli
uccisi stranieri sono 34, le vittime civili di bombardamenti Usa aumentano -
lo conferma. La manifestazione del 29 maggio a Kabul, contro americani e
occidentali, e' il risultato di un conflitto che va ripensato. Una guerra
cosi' non conviene farla, contro il terrorismo, se si fa degradare il paese
com'e' avvenuto in Somalia: con i signori della guerra appoggiati da
Washington e scacciati da islamisti moralizzatori. La scelta non e' tra il
cedimento di chi assecondo' Hitler nel trattato di Monaco e la scelta di
combatterlo a oltranza: e' sui modi in cui puo' esser evitata una condotta
che accentua il male, pretendendo di saperlo debellare.
*
Il lamento afghano che ricorre nei resoconti e' sempre lo stesso: tante son
state le parole non rispettate, che gli occidentali hanno proferito senza
sentirsi in dovere di rispettarle. Troppe le promesse altisonanti, che non
son state mantenute. Un giorno o l'altro converra' che su simili dilemmi si
discuta, tra governi europei e poi tra europei e Casa Bianca. E se la
discussione dovesse arenarsi, tocchera' dire a voce alta quel che nel
vecchio continente si sussurra: che "non si puo' combattere una guerra
antiterrorista e creare al contempo uno stato debole" (dichiarazione anonima
di un dirigente europeo a Pamela Constable, "Washington Post", 26 giugno).
E' una via che la sinistra radicale in Italia potrebbe imboccare ma che
potrebbe esser tentata anche da chi vuol proseguire le scelte strategiche
passate non riposandosi nel dogma, ma svegliandosi alla ragione e
all'apprendimento dagli errori.

8. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: BOMBE, FRECCE E UN'AMARA CONCLUSIONE
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. Nelle elezioni
politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La maggior parte
degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani
e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il
futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo.
Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento
politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia
Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza
sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara
Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il
papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna,
Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Ho persino perso il conto dei numeri d'ordine delle mie narrazioni, sia per
la vorticosita' degli eventi che per le difficolta' materiali di lavoro,
dato che al Senato ancora non vi sono stanze assegnate per lavorare; e ho
avuto il computer fuori fase e persino avendo prestato il caricabatterie del
telefonino a un compagno e' capitato che per distrazione se lo sia tenuto in
tasca e portato in treno e io sia rimasta col cellulare del tutto scarico a
Roma il giorno di san Pietro, che e' una festa nella quale non trovi un
negozio aperto e non ho potuto comprarmene un altro da sostituire. Insomma
sopravviviamo.
Ho fatto una serie di osservazioni che riguardano le culture politiche e
come si manifestano sui vari temi. Ora mi occupero' della cultura di destra
nazionalistica e patriottarda, che imperversa abbastanza. Ne ho preso
conoscenza per il noto episodio delle Frecce tricolori.
*
Negli ultimi giorni sono stata (dopo che a Trieste e Udine durante il
referendum e le conferenze stampa per chiarire e discutere) a Pordenone a
margine di due iniziative: una era per lanciare la notizia che un comitato
di cinque cittadini del luogo (cui si sono collegati molti altri: erano gia'
150 dopo un paio di giorni di raccolta di firme, e non solo  individuali)
presenta una denuncia verso il governo degli Usa per i danni e i rischi
possibili provocati dalle atomiche stazionate ad Aviano; tra sette giorni il
processo avra' inizio formalmente e poi si vedra'. Infatti Aviano e' una
base americana in territorio italiano e a parita' di sovranita', ma che non
dice - nemmeno a parlamentari venuti in visita - se vi sono o no bombe
atomiche, pericolo di inquinamento, piano di evacuazione ecc.
Nel corso della presentazione dell'iniziativa e' venuto fuori che due
parlamentari  europee hanno presentato una formale richiesta perche' il
governo degli Usa ritiri entro il 2006  tutte le sue atomiche su suolo
europeo: sara' il caso di collegarsi e di aggiungere ad Aviano Ghedi e Camp
Darby, dove mi sembra ci sia gia' intenzione.
*
Nel pomeriggio del sabato primo luglio sono invece andata alla base di
Rivolto perche' la' - dove sono stanziate le Frecce tricolori - da anni un
gruppo di tenaci pacifisti il primo sabato di ogni mese fa una
manifestazione contro la base.
Sono cosi' venuta a conoscenza che esiste anche un comitato di genitori che
denunciano attacchi continui di panico dei bambini piccoll al rumore
tremendo degli aerei che sorvolano - quando, ogni giorno, si addestrano - le
case, a bassa quota,  pericolosamente; altre persone lamentano disturbi
dell'udito: tali "inconvenienti" non sono portati a conoscenza della piu'
vasta opinione pubblica e anche le amministrazioni locali sono intimidite
dal "prestigio" delle Frecce. Sara' il caso di fare intervenire scienziati,
medici, fisici. ambientalisti (i vigneti al cherosene!) per dare risposte
precise e dire che una nazione che si occupa piu' del prestigio acrobatico
di una pattuglia che della salute dei bambini ha poco da "essere
orgogliosa".
Ci ha raggiunto anche un compagno dirigente locale dei Ds, venuto a dirci
che anche lui e' orgoglioso, che tutto il mondo ci invidia le Frecce, che
quando va all'estero tutti gli domandano delle Frecce e gli magnificano tale
gloria italiana: a me non e' mai capitato. Comunque a chi mi racconta tali
storie dico che ho un altro concetto di patria e sarei piu' contenta di
poter dire che l'Italia ha il piu' alto tasso di spese per la ricerca e il
piu' basso di spese militari, un ottimo sistema scolastico pubblico, un
altrettanto buon sistema sanitario, la migliore legge sulle migrazioni ecc.
*
Mentre ero a Rivolto davanti alla base uno dei manifestanti mi si e'
avvicinato e mi ha detto: "Non farete mica cadere il governo
sull'Afghanistan?", domanda che mi viene regolarmente fatta da cittadini e
cittadine semplici, non di partito, non di organizzazione, ma interessati
alla politica.
La paura che la sinistra produca un danno irreparabile al governo e' molto
forte, non siamo ancora abbastanza attendibili, sembra. Rassicuro, anche se
tutto cio' mi da' una forte angoscia.
Ho molto riflettuto sulla posizione che ho preso e - allo stato delle
conoscenze che ho - confermo che avere ottenuto da un governo, partito
accettando lo scambio richiesto dagli Usa (venite via dall'Iraq, ma
aumentate in Afghanistan), che invece non vi sia ne' un soldato ne' un'arma
in piu'; che alcune centinaia di soldati vengano passati al civile; che il
contigente italiano resti posizionato dove e' (a Kabul e ad Herat) e quindi
non sia impiegato nella campagna al sud; che una commissione di monitoraggio
sia varata per tenere sotto controllo la situazione, ebbene, mi sembra
andare nella direzione giusta. Tutto questo e' stato ottenuto con grandi
difficolta', perche' nell'Unione prevale la posizione militare e i pacifisti
sono in minoranza, sicche' a tutto questo si e' arrivati solo perche' i
nostri capigruppo sono stati capaci di far valere il metodo del consenso e
non la votazione a maggioranza: credo possiamo dire che si e' impedita una
escalation, inizia un modestissimo avvio di inversione di tendenza e si sono
poste le basi per procedere in quel senso.
E' ugualmente una conclusione amara, ma l'obiezione di coscienza [il
riferimento e' alla dichiarazione di alcuni parlamentari di voto contrario
al rifinanziamento della missione militare italiana in Afghanistan - ndr]
lascia libero il governo di trovare altre forze per fare la maggioranza,
come si e' subito capito dalle espressioni di grande rispetto e ammirazione
verso gli obiettori di D'Alema, il quale vede con favore che il suo sempre
presente progetto di mutare alleanze e procedere verso la Grande coalizione,
non viene meno.

9. AMICIZIE. PEPPE SINI: UN'EPISTOLA A LIDIA IN FORMA DI SONETTO

Lidia amatissima, la mia opinione
diverge dalla tua;  cosi', se posso,
vorrei tentar di dirne la ragione
andando subito, e' mestieri, all'osso.

Sia benedetta la Costituzione
che ad ogni guerra, e non per paradosso,
la nostra vieta partecipazione:
veto che non puo' essere rimosso.

In terra afgana oggi c'e' la guerra
la guerra che consiste di omicidi
la guerra che ogni civilta' sotterra

la guerra che devasta tutti i nidi
la guerra che travolge cio' che afferra:
ad essa di votare no decidi.

10. APPELLI. TIZIANA BARTOLINI: UN APPELLO DI "NOI DONNE"
[Da Tiziana Bartolini, direttrice di "Noi donne" (per contatti: tel.
3395364627, e-mail: noi.donne at libero.it, sito: www.noidonne.org), riceviamo
e volentieri diffondiamo]

Nel sito di noidonne (www.noidonne.org) e' pubblicato un appello da inviare
ai parlamentari per alcuni provvedimenti di contrasto della violenza sulle
donne.
Vi chiedo di far circolare la notizia, proponendo di firmare l'appello on
line.
Tiziana Bartolini
*
Il testo dell'appello
Una donna uccisa e cento che rischiano di morire lentamente
Da una ricerca Eures, un omicidio su quattro in Italia avviene in famiglia,
tra le mura domestiche (187 nel 2004). Una persona ogni due giorni ed il 70%
delle vittime sono donne, soprattutto uccise quasi unicamente per ragioni
passionali o durante un litigio da partner abituali, passati o pretesi tali,
da familiari maschi o da clienti e sfruttatori.
Senza contare che gli omicidi sono solo la punta dell'iceberg della violenza
di genere. Per ogni donna uccisa ce ne sono tante che subiscono ogni giorno
umiliazioni e vessazioni, che rischiano di morire lentamente.
Troppo spesso gli omicidi di donne vengono giustificati e letti dalla nostra
societa', dalla nostra cultura e dai mass media, come gesti di uomini
disperati che non sono riusciti a sopportare il dolore e il peso della
separazione, per troppo amore, per troppo attaccamento. Non e' vero. Si
tratta piuttosto di manifestazioni derivate da profondo egoismo e dalla
incapacita' di alcuni uomini di slegarsi da una visione della donna arcaica
e non piu' riproponibile al giorno d'oggi.
Nel nostro paese i reati per i quali le donne sono vittime di violenze ed
uccisioni sono in preoccupante aumento: prioritaria deve essere dunque la
presa in carico da parte del governo del problema e la conseguente
iscrizione nell'agenda politica delle azioni urgenti e concrete per
ridimensionare questa emergenza.
Le donne e gli uomini che sottoscrivono questo appello richiamano fortemente
l'attenzione sulla necessita' di:
- fornire aiuti alle vittime a tutti i livelli (giuridico, sanitario,
psicologico, professionale e finanziario);
- creare sezioni specializzate presso i Tribunali con competenze civili e
penali dedicate alla lotta contro la violenza di genere;
- implementare un sistema che consenta meccanismi facilitati per il ritiro
di pubblicita' sessiste e discriminatorie;
- progettare interventi formativi di sensibilizzazione all'uguaglianza e
contro la violenza di genere nei programmi scolastici e sui luoghi di lavoro
pubblici e privati;
- finanziare e potenziare i Centri antiviolenza in Italia.
Invitiamo dunque le ed i parlamentari, le ministre e i ministri a farsi
carico di questa istanza, perche' siamo nella convinzione che la
complessita' del problema della violenza sulle donne, cosi' come documentano
gli studi di genere, e' il nodo centrale di ogni politica che voglia
garantire uno sviluppo sociale ed economico e pari dignita'.

11. LETTURE. VITTORANGELO ORATI: GLOBALIZZAZIONE SCIENTIFICAMENTE INFONDATA
Vittorangelo Orati, Globalizzazione scientificamente infondata. Una nuova
teoria per il popolo di Seattle, Editori Riuniti, Roma 2003, pp. X + 166,
euro 14. Un'acuta analisi delle correnti teorie del commercio
internazionale, e la proposta di un paradigma economico alternativo; un
contributo alla riflessione di grande rigore e interesse (e non credo che
faccia velo a chi scrive questa brevissima segnalazione l'amicizia che lo
lega all'autore del libro, economista di grande valore e prestigio
internazionale). Con una presentazione di K. Puttaswamaiah.

12. RIEDIZIONI. FRANCESCO DE SANCTIS: OPERE
Francesco De Sanctis, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano
2006, pp. XL + 672, euro 12,90 (in suppl. a "Il sole 24 ore"). Dalla
classica Letteratura Italiana Ricciardi, alcuni capitoli dalla Storia della
letteratura italiana e alcuni altri testi, a cura di Niccolo' Gallo e con
introduzione di Natalino Sapegno. E' una bella silloge, ma nel caso del De
Sanctis una silloge non basta: la Storia della letteratura italiana va letta
tutta (e preferenzlalmente va letta proprio nella magnifica edizione datane
da Gallo per i tipi di Einaudi, che fu una delle straripanti gioie della
nostra gioventu' con la letteratura latina del Marchesi e quella greca del
Lesky): e va letta tutta per il banale motivo che se cominci a leggerla non
puoi non desiderare di arrivare alla fine, e per cosi' dire di volerne
ancora; e tra i saggi critici, suvvia, come rinunciare a leggere almeno
tutti quelli raccolti e presentati da Luigi Russo in una non dimenticata
edizione laterziana? Ma basta cosi', che' quando si comincia a parlare di De
Sanctis non ci si ferma piu'...

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1346 del 4 luglio 2006

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