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La nonviolenza e' in cammino. 1345
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1345
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 3 Jul 2006 00:09:41 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1345 del 3 luglio 2006 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: A rose is a rose is a rose 2. Giancarla Codrignani: Non come Pilato 3. Lidia Menapace: Una lettera dal senato 4. Rossana Rossanda: Irresponsabilita' 5. Angela Giuffrida: La violenza, assenza di pensiero 6. Maurizio Viroli intervista Amy Gutmann sull'educazione democratica 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: A ROSE IS A ROSE IS A ROSE In questa drammatica vicenda del prossimo voto parlamentare sul rifinanziamento o meno della partecipazione militare italiana alla guerra in corso in Afghanistan credo che non si puo' eludere il nodo della questione, che a mio avviso e' il seguente: la Costituzione della Repubblica Italiana ripudia la guerra, in Afghanistan e' in corso una guerra, l'Italia non puo' prendervi parte. Punto. Il fatto che il precedente governo abbia violato la Costituzione non autorizza a reiterare quel crimine. Ovvero, detto altrimenti: o si fa la politica della guerra o si fa la politica della pace: meta' e meta' non si puo', come diceva quell'antico perseguitato non si possono servire due padroni. E poiche' la guerra consiste della commissione di omicidi, essa e' sempre un crimine, anzi il crimine dei crimini, e quindi va ripudiata sempre. Come appunto recita la nostra saggia Costituzione. 2. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: NON COME PILATO [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005] Speriamo che sulla questione del voto dei 17 luglio sul rifinanziamento della missione in Afghanistan non si confermi l'antica distinzione fra "puri" e "impuri", tra "coerenti" e "integrati", tra "anime belle" e "politica del cinismo". Sarebbe grave, perche' significherebbe non solo che a troppi che vivono in "questo" mondo la storia non insegna niente, ma che la fedelta' ai principi e' alibi per non accettare le responsabilita'. Spero anche che per me, come per Lidia Menapace, non sia in questione la scelta "pacifista". Comunque chiarisco che, se mi permetto il lusso di presiedere ancora la Lega degli obiettori di coscienza, non e' perche' io creda che nel 2006 sia facile trovare bacchette magiche: chi si rifiuta di indossare una divisa militare non e' un illuso a oltranza (non e' neppure il lavativo delle accuse viriliste), e' semplicemente uno che prefigura come sarebbe facile mettere fine alla barbarie, se tutti, in tutti i paesi, facessero un passo indietro e rifiutassero di risolvere i conflitti sparando. Quando ci si trova dentro una belligeranza, occorre chiedersi in primo luogo che cosa abbiamo fatto per prevenirla. Perche' possiamo dire tutto quello che ci pare, ma quando una situazione degenera in guerra, la guerra - per quanto non ci piaccia - e' il dato di realta'. Da anni mi domando quanto grande sia la responsabilita' di noi europei nel conflitto israelo-palestinese: l'anno prossimo faranno sessant'anni dal suo inizio e non si e' mai fatta una marcia europea ad Assisi per informare i cittadini e indurre i governi ad assumersi, se non la responsabilita' di una soluzione nonviolenta, un negoziato di disarmo e ricostruzione stabile. Conosco, come tutti, molti preti che sostengono a spada tratta scelte rigorose dei principi di pace. Mi domando perche' mai non si rivolgano prima di tutto alla loro Chiesa che mantiene nel suo "nuovo catechismo" la guerra come estremo rimedio "giusto" e ai loro confratelli cappellani militari che stanno in Iraq e in Afghanistan non per onorare la fedelta' al Vangelo. Chi vuole essere davvero contro ogni guerra dovrebbe pensare a quanto ha fatto in questi ultimi anni per informarsi e capire le situazioni che nel mondo mettono a rischio la pace. Per esempio, oggi, che cosa fa per studiare il Pakistan e prevenire altri pericoli, che covano in quella zona. Le tante iniziative pacifiste sono state importantissime per ciascuno di noi perche' erano tutte cariche di forti valori simbolici: chi ne avesse tratto conseguenze pratiche immediate, pero', sarebbe rimasto fuori dai parametri politici, vittima di involontario desiderio di onnipotenza. La politica e' - e deve essere - una cosa innanzitutto pulita e onorevole, ma chi la pratica sa che le farfalle sotto l'arco di Tito non stanno nella sua agenda. In Parlamento i governi debbono farsi carico anche degli atti di cui non si ritengono responsabili e i singoli parlamentari non possono limitarsi a testimonianze non solo non vincenti, ma produttrici di conseguenze totalmente altre rispetto ai fini voluti. La situazione in Iraq e' tale che, anche ritirando i soldati, non possiamo lavarcene le mani, e il personale civile destinato a interventi smilitarizzati di solidarieta' andra' protetto. In Afghanistan le cose sono quantomeno ambigue e basta ascoltare le donne per rendersi conto della vischiosita' violenta della situazione; il fatto che il Ministro degli Interni Amato sia arrivato a proporre l'acquisto di droga ad uso farmacologico dimostra quanto sia a rischio la situazione del paese, e il ritorno in forza dei talebani e' una minaccia seria. Si deve chiedere che l'Italia si faccia carico in sede Onu di nuove proposte politiche, non ha senso - qualunque cosa possa accadere in futuro - sfuggire ad una responsabilita' legittima. In ogni caso, quando la violenza e' in atto, non vale negarla: occorre condividerne le conseguenze, sia che ricadano su altri che su noi stessi. Con tutte le condanne possibili della violenza e delle guerre, ma non facciamo come Pilato, se non crediamo - come pensava lui - che fosse giusto. 3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UNA LETTERA DAL SENATO [Dal quotidiano "Liberazione del 30 giugno 2006. Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. Nelle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Oggi, cari amici pacifisti, devo narrrarvi cose gravi e difficili e non per scarico di coscienza o per trovare giustificazioni o condivisioni da parte vostra, dato che so che la responsabilita' di quello che decido e' mia e intera la tengo. Cominciano le prime decisioni del governo e la situazione non e' allegra, almeno in Senato, dove - come e' noto - la maggioranza e' risicatissima e le imboscate possono sempre succedere. L'opposizione per ora fa un'azione di disturbo regolamentare, un vero e proprio ostruzionismo, che e' un diritto, ma non e' una politica, se non quella di sfiancarci o trovarci sotto di uno o due senatori. D'altra parte il governo e la maggioranza sembrano voler usare molto il voto di fiducia per compattare senatori e deputati, il che pero' rende sempre piu' impacciata e difficile l'azione politica, tutta stretta fra richieste di verifiche, dispute regolamentari ecc. L'impressione di una sede che non ha rapporti con la realta' e' sempre piu' forte. Ieri 28 giugno siamo state e stati bloccati si puo' dire l'intera giornata in una serie di impuntature (tutte sull'interpretazione del regolamento) che alcuni seguono con appassionato interesse e molti con atteggiamento di gioco e sfida: insomma una cosa alquanto grottesca. A me viene sempre in mente che se gli uomini avessero dovuto occuparsi non solo di se stessi, ma anche della cura di altri, non avrebbero costruito un mondo, specialmente politico, con regole senza senso. Un voto di fiducia siamo riusciti a darlo ma il secondo della giornata e' stato bloccato dall'opposizione appunto con una sequela di trucchi regolamentari che la maggioranza non sembra altrettanto attrezzata a respingere. Ero molto distratta e incapace di appassionarmi, solo dotata di pazienza, fomentata dall'aria condizionata dell'aula. Ero pero' molto agitata da quello che era successo il pomeriggio precedente, quando avevo ascoltato la relazione dei capigruppo del Prc di Senato e Camera sulle decisioni e dicharazioni del governo sull'Afghanistan. Il governo era partito con dichiarazioni, sia del ministro degli Esteri che della Difesa, su posizioni che non si potevano accogliere, cioe' di accettazione delle richieste della Nato (che non e' nemmeno abilitata a chiedere cio' che chiede), cioe' di mandare altre truppe italiane e armamenti, quasi a giustificazione per la decisione di andarcene dall'Iraq. Attraverso una trattativa non semplice perche' quasi tutto l'Ulivo e' d'accordo con simili posizioni, e dall'opposizione si profila una disponibilita' dichiarata da parte dell'Udc di fare da stampella al governo su posizioni belliciste (non senza conti presentati). Una sorta di cinico ripugnante "scambio" Iraq con Afghanistan e un patto tra "moderati" apre alla "Grande coalizione" e allo "scarico" della sinistra radicale come fosse una partita a scacchi o a tombola. Cio' che discutendo si e' ottenuto e': nessun ampliamento di presenze italiane in Afghanistan, ne' dispiegamento fuori dalle zone in cui sono gia' stanziate, il mantenimento delle stesse spese per la missione ma con una ripartizione piu' orientata al civile che al militare, la scrittura di una mozione di indirizzo e l'istituizione di una commissione di monitoraggio, appunto per seguire e tenere sotto controllo tutto. Mi sembra importante che si sia riusciti a mantenere fermo il punto che nell'Unione cio' che e' stato convenuto nel programma e' impegnativo e cio' che nel programma non e' contenuto deve essere trattatto con lo stesso metodo del consenso che e' servito per il programma. E' cio' che e' stato fatto sull'Afghanistan ed e' anche cio' che mi ha convinta ad approvare l'accordo, pronta a mutare opinione se gli atti del governo non fossero limpidamente ancorati ad esso. Non e' semplice cio' che e' stato ottenenuto ma sembra una prima forma di riduzione del danno e la convalida del metodo decisionale del consenso. Anche l'avvio di una commissione di monitoraggio e' una cosa che va capita bene e utilizzata il piu' possibile. Dire no all'accordo in questo caso accelera semplicemente lo scivolamento a destra del governo, il proflarsi di una maggioranza che raccoglie Casini e company su posizioni molto filoatlantiche e cosi' via. Il dilemma resta drammatico. La mia decisione resta sempre legata alla possibilita' che verifiche insoddisfacenti mi inducano a mutare opinione. 4. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: IRRESPONSABILITA' [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 giugno 2006. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Il sequestro di 64 parlamentari palestinesi di Hamas, fra i quali otto ministri, in tutte le citta' della Cisgiordania da parte dell'esercito israeliano non e' una rappresaglia, e' il tentativo di affondare per sempre la gia' assediata e affamata Autorita' palestinese e di chiudere con ogni trattativa che pareva potersi aprire negli ultimi giorni. Sul documento dei prigionieri palestinesi in Israele, Hamas e Al Fatah avevano raggiunto un accordo per molti versi storico. Per la prima volta Hamas riconosceva, sia pure implicitamente ma in modo inequivocabile, la legittimita' dell'esistenza di due stati. Contro questo accordo, che innovava radicalmente non solo la linea di Hamas ma anche i suoi rapporti conAl Fatah, un gruppo fondamentalista - del quale, mentre scriviamo, non conosciamo l'identita' - aveva catturato un pilota di Tsahal [l'esercito di Israele - ndr], dichiarando che non l'avrebbe riconsegnato finche' non fossero state liberate le donne e i bambini che sono fra i circa ottomila detenuti palestinesi in Israele (obiettivo tanto umanamente ragionevole quanto sicuramente negato da Tel Aviv) e poi sequestrava un colono di 18 anni - ieri poi ucciso. La collera di Israele era comprensibile, ma la reazione e' stata spropositata al punto da preoccupare anche i G8 oggi riuniti a Mosca, che hanno mandato un ammonimento formale al governo di Israele: non esagerate. Ma non si tratta di una sbavatura di militari infuriati: la cattura di un cosi' consistente gruppo di parlamentari dei territori occupati, l'annuncio che ne seguiranno altre, mirano a mettere fuori gioco l'intero governo palestinese costringendo in queste ore tutta la rappresentanza di Hamas a entrare in clandestinita'. Non solo: Israele ha appena bombardato il principale asse stradale di Gaza, distruggendone tre ponti, la centrale elettrica che fornisce energia a meta' della Striscia di Gaza, e ha tagliato le forniture d'acqua, sprofondando il paese in una situazione sanitaria insostenibile. Gia' stava succedendo dopo le sanzioni inflitte dall'Europa. Qui non si tratta di un eccesso di vendicativita', si tratta della volonta' del governo di Ehud Olmert, in cui evidentemente sta anche il laburista Amir Peretz, di chiudere qualsiasi porta o dialogo di pace per togliere la Palestina come nazione dalla faccia del Medio Oriente. Politicamente parlando, e' l'esatto reciproco del gruppo fondamentalista islamico che sequestrando due israeliani e uccidendone uno ha voluto sabotare ogni possibile avvio di scioglimento dell'ormai tragico e quasi quarantennale contenzioso fra le parti. C'e' un fondamentalismo in Palestina che non riconosce l'esistenza di Israele e un fondamentalismo israeliano che non riconosce quella della Palestina. Cosi' stanno le cose, naturalmente tra forze del tutto impari. Sharon in coma, sembra caduto in coma ogni residuo di ragionevolezza del governo israeliano. Non e' possibile, non e' decente che il Consiglio di sicurezza non intervenga. E' ben vero che da decenni Israele disattende le sue decisioni ma e' anche vero che questa arroganza le e' stata consentita, specie dagli Stati Uniti. E senza attendere il Consiglio di sicurezza bisogna che l'Europa, su questo terreno dubitosa e incerta per l'incrocio ormai evidente fra il sentimento di colpa verso gli ebrei e un antiarabismo inconfessabile, si esprima subito. E subito ha da esprimersi il governo italiano. Non farlo sarebbe un gesto inammissibile di irresponsabilita'. 5. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: LA VIOLENZA, ASSENZA DI PENSIERO [Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per averci messo a disposizione il seguente intervento, gia' apparso ne "Il foglio del paese delle donne" (sito: www.womenews.net.spip). Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002. Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997". Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'". Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] La violenza letale sulle donne e' strettamente connessa ad altre forme di violenza che le assicurano un ampio e forte sostegno: la distanza forzata dal potere e lo sfruttamento dell'attivita' di cura. La violenza d'altronde viene esercitata anche sugli uomini poiche' costituisce la struttura portante delle societa' androcratiche che hanno nel dominio il loro baricentro. Il "femminicidio" e' sicuramente il piu' odioso dei crimini perche' rivolto contro le madri della specie a cui gli uomini devono la loro stessa esistenza, ma e' uno dei tanti aspetti in cui si manifesta la violenza maschile, cosi' diffusa e connaturata alle organizzazioni sociali dei padri da sembrare naturale e inevitabile. Il problema su cui interrogarsi e' dunque il deciso privilegio accordato alla forza cieca e ottusa, a cui si affidano tutti gli uomini indistintamente dal momento che non mettono in seria discussione i fondamenti sopraffattori delle comunita' da loro governate, ad esempio il gia' ricordato sfruttamento delle cure parentali, ne' si chiedono il perche' della fatale attrazione che la violenza in tutte le sue forme, dalle piu' eclatanti alle piu' subdole, esercita su di loro. * In un articolo apparso sul quotidiano "L'Unita'" del 22 maggio 2006, intitolato "Uomini, voi cosa dite?", Luisa Muraro scrive: "La seconda ondata del femminismo, ormai trascorsa, ha cambiato molte cose in meglio, ma la tendenza maschile a farsi valere con il disprezzo dell'altro sesso, nel suo fondo sembra immutata". Per la verita' le guerre che continuano ininterrottamente ad insanguinare il mondo ci permettono di ampliare il concetto e di affermare che non e' cambiata "la tendenza maschile a farsi valere con il disprezzo dell'altro", senza ulteriori precisazioni. Dal canto suo Lea Melandri, nell'articolo "Noi, uscite dal silenzio, rilanciamo il conflitto", apparso sul quotidiano "Liberazione" del 6 giugno scorso, cosi' si esprime: "La 'femminilizzazione' del lavoro, della politica, della cultura, tanto enfatizzata anche da sinistra, e' in realta' l'ultimo baluardo insidioso perche' meno riconoscibile, data la confusione tra 'femminile' e donna, di prerogative che il sesso maschile continua a riservare a se': pensare e decidere, intelligenza, responsabilita' politica e senso morale. Tacitate con la dichiarazione di diritti formali e con l'attribuzione di grandi 'valori' - esaltazione che non e' mai mancata storicamente - le donne restano la' dove le ha collocate una mai tramontata misoginia". Io mi chiedo: davvero noi potremo uscire dal luogo dove la misoginia maschile ci ha collocate inseguendo l'"uguaglianza morale e intellettuale" con gli uomini, senza chiederci se si puo' chiamare pensiero quello che si avvita autisticamente su se stesso, rifiutando il confronto con la parte dell'umanita' che assicura, in uno alla sopravvivenza, l'evoluzione mentale della specie? D'altra parte il rifiuto a confrontarsi e' endemico nelle societa' patricentriche dove gli spazi di liberta' per tutti, non solo per le donne, sono ridotti ad una piu' o meno ampia omologazione. Mi chiedo se davvero si possa parlare di morale e di politica a proposito dei comportamenti antisociali condivisi dagli uomini cosi' profondamente e diffusamente da permettere: a) l'inveramento e la legittimazione nelle comunita' della violenza in tutte le sue forme, dallo sfruttamento all'omicidio generalizzato nella guerra; b) la sua moltiplicazione e reiterazione all'infinito; c) l'impossibilita' di offrire proposte significative per uscire da sistemi di potere meschini e irrazionali. Luisa Muraro conclude l'articolo citato sostenendo che bisogna ricominciare "da tutta una cultura progressista che ragiona come se le donne fossero uomini o, altrimenti, da meno e disponibili. E che quasi ostenta la sua ignoranza della verita' riguardo agli inizi e alla cura della vita (che non si trova nei laboratori, come credono gli scienziati e ora anche i papi, dimentichi di Dio e della mamma)". Conclude con una domanda rivolta direttamente agli uomini: "Che cosa la rende cosi' terribile, questa verita', che vi impedisce di guardarla in faccia?". Estendendosi alla cura l'ignoranza degli uomini non riguarda solo gi inizi ma la vita in se stessa e cio' che impedisce loro di guardarla in faccia e' proprio la mancanza di conoscenza, non la paura. Il percorso seguito dal maschio umano sulla terra, mirante essenzialmente al conseguimento di un potere personale, gli ha impedito di fare esperienze adatte a produrre saperi significativi attorno ai viventi. L'ignoranza della vita e sulla vita ha aperto falle spaventose nella sua mente che si evincono con chiarezza nella centralita' da lui assicurata al conflitto, alla distruttivita' e alla morte, di contro all'oblio della vita, del suo valore e della sua incommensurabilita'. * Simone Weil e Hannah Arendt, parlando di assenza di pensiero a proposito del fascismo e in genere del male, ci hanno indicato la strada da seguire. Ora noi siamo in grado di individuare l'assenza di pensiero nella cecita', tanto nefasta quanto paradossale, su tutto cio' che riguarda la vita da parte di viventi quali sono, loro malgrado, gli uomini. Se si percepissero come organismi viventi essi disprezzerebbero e distruggerebbero la natura che li alimenta e di cui sono parte? Considererebbero la cura, assolutamente indispensabile ad ogni vivente, un'attivita' di poco conto? Perseguiterebbero le donne che sono le artefici della vita della specie intera, compresa quindi la loro? Bisogna riconoscere che tali atteggiamenti sono assolutamente privi di senso e autolesionisti, percio' il nostro fine non puo' essere la condivisione alla pari di un sistema di pensiero carente e irrazionale. 6. RIFLESSIONE. MAURIZIO VIROLI INTERVISTA AMY GUTMANN SULL'EDUCAZIONE DEMOCRATICA [Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente intervista di Maurizio Viroli a Amy Gutmann avvenuta il 21 maggio 1992 alla Princeton University, Usa. Su Maurizio Viroli dal medesimo sito riprendiamo la seguente scheda: "Maurizio Viroli (Forli', 1952) e' professore di teoria politica all'Universita' di Princeton. Ha insegnato e trascorso periodi di ricerca presso le Universita' di Cambridge, Georgetown (Washington D. C.), e presso la Scuola normale superiore di Pisa. Si e' laureato in filosofia all'Universita' di Bologna e ha conseguito il dottorato in scienze politiche e sociali all'Istituto universitario europeo di Firenze con una tesi sul pensiero politico di Rousseau poi pubblicata con il titolo Jean Jacques Rousseau and the "Well-Ordered Society", Cambridge, Cambridge University Press. E' inoltre autore di From Politics to Reason of State. The Acquisition and Transformation of the Language of Politics (1250-1600), Cambridge University Press; For Love of Country: An Essay on Patriotism and Nationalism, Oxford, Oxford University Press. Clarendon Press; Machiavelli, Oxford, Oxford University. Tutti i suoi lavori sono stati tradotti in italiano e in altre lingue. Con Gisela Bock e Quentin Skinner ha curato Machiavelli and Republicanism, Cambridge, Cambridge University Press, 1990. Fra i suoi lavori piu' recenti Il sorriso di Niccolo'. Storia di Machiavelli, Bari-Roma, Laterza, 1998; Repubblicanesimo, Bari-Roma, Laterza, 1999. Dialogo intorno alla repubblica con Norberto Bobbio, Bari-Roma, Laterza, 2001. Collabora a "La Stampa" ed e' presidente dell'Associazione Mazziniana". Su Amy Gutmann dal medesimo sito riprendiamo la seguente scheda: "Amy Gutmann e' nata a New York il 19 novembre 1949. Ha ottenuto nel 1972 il Master of Sciences alla London School of Economics, e il Ph. D. ad Harvard nel 1976. Dal 1975 in poi ha insegnato all'Universita' di Princeton, dal 1990 in poi come Laurance S. Rockefeller Professor. Nel biennio 1995-97 e' stata decana della Facolta' di Scienze Politiche a Princeton. E' redattrice di svariate riviste di filosofia politica, tra cui Journal of Political Philosophy, Raritan, Cambridge Studies in Philosophy and Public Policy, Teachers' College record. E' redattrice dell'University Center for Human Values Series in Ethics and Public Affairs dell'Universita' di Princeton. Amy Gutmann si e' occupata costantemente di temi connessi alla democrazia e ai suoi problemi: ha lavorato sul Welfare State, sui conflitti razziali, sull'etica politica e sull'educazione democratica, sui concetti di eguaglianza e liberta', sulla liberta' di associazione. Opere di Amy Gutmann: ha pubblicato svariati libri, tra cui: Liberal Equality, New York-London: Cambridge University Press, 1980; Democratic Education, Princeton University Press, Princeton, 1987; con Dennis Thompson, Democracy and Disagreement, Belknap Press, Cambridge, Usa, 1996; con Anthony Appiah, Color Conscious: The Political Morality of Race, Princeton University Press, Princeton, 1996. Gutmann e' stato curatrice dei seguenti volumi: Democracy and the Welfare State, Princeton University Press, Princeton, 1988; Multiculturalism and "The Politics of Recognition", Princeton University Press, Princeton 1992 (tradotto in otto lingue, tra cui l'italiano); A Matter of Interpretation, Princeton University Press, Princeton, 1997; Freedom by Association, Princeton University Press, Princeton, 1997-'98"] - Maurizio Viroli: Professoressa Gutmann, i piu' grandi teorici della democrazia hanno sottolineato l'importanza dell'educazione democratica dei cittadini per i regimi di quel tipo. Puu' fornirci un quadro del pensiero classico sull'educazione democratica? - Amy Gutmann: Sin dagli albori, la democrazia non si e' mai basata esclusivamente sul potere della maggioranza. I piu' grandi esponenti del pensiero democratico classico - filosofi come Rousseau, John Stuart Mill e John Dewey - erano convinti che il potere della maggioranza nascondesse il pericolo di una sua tirannia. Si rendeva, dunque, necessario studiare il modo migliore di affidare alla maggioranza il destino politico di un paese e vedere per quale motivo l'unico modo per riuscirci era far si' che tutti i cittadini venissero educati a conoscere i propri interessi. La democrazia, infatti, si basa sulla premessa che i cittadini conoscano perfettamente i loro interessi. Tale premessa e' realizzabile solo se le persone non sono analfabete, se ricevono un'istruzione che chiarisca loro cosa e' meglio, sia per se stessi che per la societa' in generale. * - Maurizio Viroli: Quali sono i motivi per cui l'istruzione e' cosi' importante per la democrazia? - Amy Gutmann: La mia posizione consiste in un'estensione del pensiero democratico classico, ma con una piccola variazione. L'estensione sta nell'idea che ogni democratico conosce i propri interessi meglio di chiunque altro se ne occupi al suo posto. In questo senso, un democratico rifiuta il concetto di elite; egli e' convinto che, sia nella teoria che nella pratica, la gente debba occuparsi in prima persona dei propri interessi. Per questo ritengo che l'educazione sia essenziale per la democrazia. La variazione e' la seguente: l'educazione non e' solo strumentalmente necessaria alla democrazia (cioe', essa non e' solo un mezzo per arrivare alla democrazia), ma fa parte del concetto stesso di cittadinanza. L'educazione rientra nel concetto dell'essere cittadino perche' non insegna solo a leggere e scrivere, ma insegna anche determinati valori, che sono appunto i valori democratici. Fra questi c'e', ad esempio, quello del rispetto per coloro con cui ci troviamo in disaccordo, o il cui stile di vita differisce dal nostro; senza educazione - e per educazione intendo quella pubblica - tale rispetto non puo' esserci. L'educazione e' importante per la democrazia semplicemente perche' l'essenza della democrazia sta nella virtu' civica. La virtu' civica richiede comprensione e rispetto per i modi di vivere degli altri. L'unico modo in cui le persone che fanno parte di una famiglia, o di una comunita', possono riuscire a conoscere e a rispettare stili di vita diversi dal proprio e' quello di essere educate a contatto con persone diverse da loro, di comprendere gli altri osservando come sono fatti, di rendersi conto sin da bambini che ci sono sia differenze che somiglianze. A mio avviso, dunque, capire l'importanza di un'educazione democratica e' tutt'uno con il capire cosa significhi essere un cittadino democratico e possedere una forma di virtu' civica. Senza educazione non puo' esserci virtu' civica. * - Maurizio Viroli: Professoressa Gutmann, nel suo lavoro sul governo della Polonia Rousseau sembra vedere l'educazione democratica indirizzata alla formazione di patrioti. Lei e' d'accordo con questa interpretazione dell'educazione democratica? - Amy Gutmann: No, io non credo che l'educazione democratica debba essere rivolta alla formazione di patrioti. Vorrei pero' aggiungere che Rousseau e la sua teoria hanno avuto una profonda influenza sul modo di intendere l'educazione. Nel mio paese - gli Stati Uniti - esiste oggi un movimento caratterizzato da uno spirito molto rousseauiano che, pur non facendo diretto riferimento a Rousseau (forse perche' Rousseau non e' molto noto all'americano medio), si propone di educare al patriottismo. Sono convinta che si tratti di un movimento minoritario, ma al tempo stesso decisamente pericoloso. Il motivo per cui lo ritengo pericoloso dal punto di vista democratico e' che sono convinta che i cittadini debbano conoscere pregi e difetti del loro paese. Virtu' civica non significa "il mio paese ha sempre ragione", non significa che sosterro' il mio paese qualsiasi cosa faccia. Virtu' civica significa assumersi la responsabilita' di fare in modo che il proprio paese si trovi dalla parte della ragione. L'unica forma di educazione alla virtu' civica che sia compatibile con l'obiettivo di migliorare il proprio paese e' quella che insegna alla gente a pensare in modo critico al proprio paese, al suo ruolo nel mondo e al suo modo di trattare gli altri cittadini. Questa non e' affatto un'educazione al patriottismo nel senso rousseauiano del termine. Certo, e' importante e necessario sentirsi patriottici nel senso di avere a cuore il proprio paese, perche' e' la' che ognuno ha maggiori responsabilita' e capacita' di intervento. In questo senso, dunque, siamo tutti patrioti e se possediamo un senso di virtu' civica dobbiamo sentirci responsabili innanzi tutto di quanto succede intorno a noi, nel quartiere, nello stato e nel paese in cui viviamo. * - Maurizio Viroli: Finora abbiamo parlato solo dell'educazione dei cittadini. Non crede, invece, che una parte fondamentale dell'educazione democratica dovrebbe riguardare gli uomini politici? E quali potrebbero essere i criteri fondamentali di una tale educazione? - Amy Gutmann: Si', educare i cittadini significa anche educare i leaders politici. In democrazia, i cittadini diventano leader, ma se l'educazione si rivolge solo ai cittadini comuni, rischia di trascurare l'educazione dei leader. Parte dell'educazione democratica invece deve occuparsi della formazione dei futuri leader della societa', affinche' essi comprendano esattamente le particolari responsabilita' di cui sono investiti proprio in base al maggior potere di cui dispongono rispetto ai cittadini comuni. Ora, se diamo per scontato che il potere corrompe, e che il potere assoluto corrompe in modo assoluto, ci sono diversi principi che andrebbero insegnati a coloro che detengono il potere. Il tutto non si risolve nel seguire semplicemente il volere della maggioranza. Al contrario, questo principio fa parte di un'educazione sbagliata, perche' governare un paese comporta necessariamente la responsabilita' di guidarlo. Naturalmente, non si tratta neanche di fare tutto quello che si ritiene giusto, senza curarsi dell'opinione altrui. Ci sono, quindi, due aspetti che riguardano l'educazione di un leader democratico. Il primo riguarda la necessita' d'ispirargli il coraggio e la capacita' di capire che vale la pena di battersi per cio' che si ritiene giusto, e di spiegarlo alla gente. Il secondo e' quello di fargli capire che, anche se ritiene che le sue azioni siano giuste, ed anche se le illustra ai cittadini in modo a suo avviso soddisfacente, puo' succedere che i cittadini rispondano: "Ci dispiace, ma secondo noi e' sbagliato". In tal caso, indipendentemente dal suo valore come politico, e' suo dovere ritirarsi. * - Maurizio Viroli: Professoressa Gutmann, come sa, uno dei mali piu' seri che minacciano le societa' democratiche e' la corruzione del mondo politico. Cosa pensa di questo problema? - Amy Gutmann: L'elemento piu' comune che porta un politico alla corruzione e' la convinzione che riuscira' a farla franca, non solo nel senso che non verra' scoperto, ma anche in quello di pensare che i cittadini comuni non riusciranno mai a capire veramente cosa sia la politica. Partendo da questa visione, gli uomini politici, sebbene democraticamente eletti, possono fare praticamente cio' che vogliono e possono farlo in un modo che li soddisfi in pieno. L'educazione democratica e' il miglior antidoto che abbiamo contro questa forma di corruzione, che si nutre di due elementi. Il primo e' la visione dall'alto, dalla posizione dei leader politici, da cui il cittadino comune non appare abbastanza intelligente, o interessato alla propria societa' democratica, da riuscire a esercitare un controllo sui suoi rappresentanti. Il secondo e' cio' che io chiamo l'"apatia" dei cittadini, cioe' la sensazione provata da questi ultimi che gli uomini politici siano in ogni caso incontrollabili, che non ci sia nulla che i cittadini possano dire, o fare, per impedire ai politici di fare cio' che vogliono. E' proprio questa la ricetta per la corruzione: l'arroganza da una parte e l'apatia dall'altra. * - Maurizio Viroli: Esistono rimedi per correggere queste deviazioni? - Amy Gutmann: L'educazione democratica, se riesce nel suo intento, dovrebbe rappresentare un antidoto sia per l'apatia che per l'arroganza, un antidoto che lavora in modo molto sottile. Per prima cosa, pur non trasmettendo ai cittadini comuni la sensazione che possono fare quello che vogliono, o di essere piu' potenti di quanto non siano in realta', l'educazione democratica puo' fare in modo che essi comprendano meglio cosa sia la politica e che osservino con molta attenzione gli atti dei loro leader politici. Il migliore, l'unico antidoto sia all'apatia che all'arroganza, quindi, e' la comprensione, la conoscenza, lo studio. Quello di sconfiggere l'ignoranza di fondo di molti cittadini e' un passo importantissimo, che nessuna societa' democratica ha ancora compiuto con successo. Un altro antidoto alla corruzione e' una valida educazione democratica, cioe' un'educazione basata sulla filosofia democratica, che insegni ai futuri leader che il politico non e' al di sopra della gente comune, se non per le responsabilita' che comporta il suo compito di governare e di rendere conto del suo operato alla maggioranza. Parte dell'educazione democratica dei futuri leader quindi sta nel far comprendere loro che dovranno dar conto alla gente di tutte le loro azioni, che la loro capacita' di giudizio non e' affatto migliore di quella della gente comune, se non per il fatto che essi si trovano in una posizione da cui e' possibile difendere il proprio operato in pubblico e che hanno il dovere di difenderlo. La piu' grande lezione di educazione democratica per i leader politici e' quella impartita da Kant quando affermo' che la condizione assoluta per qualsiasi azione etica e' il suo carattere pubblico, la sua trasparenza. Se non puo' sostenere l'esposizione alla luce del sole, o lo sguardo del pubblico, allora e' necessariamente un'azione corrotta. E' l'apparenza della corruzione, e l'apparenza della corruzione in democrazia corrisponde alla realta' della corruzione stessa: essa non puo' sostenere la chiarezza del controllo pubblico, ne' attraverso il normale processo decisionale, ne' attraverso un processo di qualsiasi altro tipo. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1345 del 3 luglio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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