La nonviolenza e' in cammino. 1345



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1345 del 3 luglio 2006

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: A rose is a rose is a rose
2. Giancarla Codrignani: Non come Pilato
3. Lidia Menapace: Una lettera dal senato
4. Rossana Rossanda: Irresponsabilita'
5. Angela Giuffrida: La violenza, assenza di pensiero
6. Maurizio Viroli intervista Amy Gutmann sull'educazione democratica
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: A ROSE IS A ROSE IS A ROSE

In questa drammatica vicenda del prossimo voto parlamentare sul
rifinanziamento o meno della partecipazione militare italiana alla guerra in
corso in Afghanistan credo che non si puo' eludere il nodo della questione,
che a mio avviso e' il seguente: la Costituzione della Repubblica Italiana
ripudia la guerra, in Afghanistan e' in corso una guerra, l'Italia non puo'
prendervi parte. Punto. Il fatto che il precedente governo abbia violato la
Costituzione non autorizza a reiterare quel crimine.
Ovvero, detto altrimenti: o si fa la politica della guerra o si fa la
politica della pace: meta' e meta' non si puo', come diceva quell'antico
perseguitato non si possono servire due padroni.
E poiche' la guerra consiste della commissione di omicidi, essa e' sempre un
crimine, anzi il crimine dei crimini, e quindi va ripudiata sempre. Come
appunto recita la nostra saggia Costituzione.

2. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: NON COME PILATO
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per
questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli
obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista,
impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e'
tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace
e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai
telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le
altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994;
L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005]

Speriamo che sulla questione del voto dei 17 luglio sul rifinanziamento
della missione in Afghanistan non si confermi l'antica distinzione fra
"puri" e "impuri", tra "coerenti" e "integrati", tra "anime belle" e
"politica del cinismo". Sarebbe grave, perche' significherebbe non solo che
a troppi che vivono in "questo" mondo la storia non insegna niente, ma che
la fedelta' ai principi e' alibi per non accettare le responsabilita'.
Spero anche che per me, come per Lidia Menapace, non sia in questione la
scelta "pacifista". Comunque chiarisco che, se mi permetto il lusso di
presiedere ancora la Lega degli obiettori di coscienza, non e' perche' io
creda che nel 2006 sia facile trovare bacchette magiche: chi si rifiuta di
indossare una divisa militare non e' un illuso a oltranza (non e' neppure il
lavativo delle accuse viriliste), e' semplicemente uno che prefigura come
sarebbe facile mettere fine alla barbarie, se tutti, in tutti i paesi,
facessero un passo indietro e rifiutassero di risolvere i conflitti
sparando.
Quando ci si trova dentro una belligeranza, occorre chiedersi in primo luogo
che cosa abbiamo fatto per prevenirla. Perche' possiamo dire tutto quello
che ci pare, ma quando una situazione degenera in guerra, la guerra - per
quanto non ci piaccia - e' il dato di realta'. Da anni mi domando quanto
grande sia la responsabilita' di noi europei nel conflitto
israelo-palestinese: l'anno prossimo faranno sessant'anni dal suo inizio e
non si e' mai fatta una marcia europea ad Assisi per informare i cittadini e
indurre i governi ad assumersi, se non la responsabilita' di una soluzione
nonviolenta, un negoziato di disarmo e ricostruzione stabile.
Conosco, come tutti, molti preti che sostengono a spada tratta scelte
rigorose dei  principi di pace. Mi domando perche' mai non si rivolgano
prima di tutto alla loro Chiesa che mantiene nel suo "nuovo catechismo" la
guerra come estremo rimedio "giusto" e ai loro confratelli cappellani
militari che stanno in Iraq e in Afghanistan non per onorare la fedelta' al
Vangelo.
Chi vuole essere davvero contro ogni guerra dovrebbe pensare a quanto ha
fatto in questi ultimi anni per informarsi e capire le situazioni che nel
mondo mettono a rischio la pace. Per esempio, oggi, che cosa fa per studiare
il Pakistan e prevenire altri pericoli, che covano in quella zona.
Le tante iniziative pacifiste sono state importantissime per ciascuno di noi
perche' erano tutte cariche di forti valori simbolici: chi ne avesse tratto
conseguenze pratiche immediate, pero', sarebbe rimasto fuori dai parametri
politici, vittima di involontario desiderio di onnipotenza.
La politica e' - e deve essere - una cosa innanzitutto pulita e onorevole,
ma chi la pratica sa che le farfalle sotto l'arco di Tito non stanno nella
sua agenda. In Parlamento i governi debbono farsi carico anche degli atti di
cui non si ritengono responsabili e i singoli parlamentari non possono
limitarsi a testimonianze non solo non vincenti, ma produttrici di
conseguenze totalmente altre rispetto ai fini voluti.
La situazione in Iraq e' tale che, anche ritirando i soldati, non possiamo
lavarcene le mani, e il personale civile destinato a interventi
smilitarizzati di solidarieta' andra' protetto. In Afghanistan le cose sono
quantomeno ambigue e basta ascoltare le donne per rendersi conto della
vischiosita' violenta della situazione; il fatto che il Ministro degli
Interni Amato sia arrivato a proporre l'acquisto di droga ad uso
farmacologico dimostra quanto sia a rischio la situazione del paese, e il
ritorno in forza dei talebani e' una minaccia seria. Si deve chiedere che
l'Italia si faccia carico in sede Onu di nuove proposte politiche, non ha
senso - qualunque cosa possa accadere in futuro - sfuggire ad una
responsabilita' legittima.
In ogni caso, quando la violenza e' in atto, non vale negarla: occorre
condividerne le conseguenze, sia che ricadano su altri che su noi stessi.
Con tutte le condanne possibili della violenza e delle guerre, ma non
facciamo come Pilato, se non crediamo - come pensava lui - che fosse giusto.

3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UNA LETTERA DAL SENATO
[Dal quotidiano "Liberazione del 30 giugno 2006. Lidia Menapace (per
contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa
alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. Nelle elezioni
politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La maggior parte
degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani
e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il
futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo.
Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento
politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia
Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza
sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara
Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il
papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna,
Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Oggi, cari amici pacifisti, devo narrrarvi cose gravi e difficili e non per
scarico di coscienza o per trovare giustificazioni o condivisioni da parte
vostra, dato che so che la responsabilita' di quello che decido e' mia e
intera la tengo.
Cominciano le prime decisioni del governo e la situazione non e' allegra,
almeno in Senato, dove - come e' noto - la maggioranza e' risicatissima e le
imboscate possono sempre succedere. L'opposizione per ora fa un'azione di
disturbo regolamentare, un vero e proprio ostruzionismo, che e' un diritto,
ma non e' una politica, se non quella di sfiancarci o trovarci sotto di uno
o due senatori. D'altra parte il governo e la maggioranza sembrano voler
usare molto il voto di fiducia per compattare senatori e deputati, il che
pero' rende sempre piu' impacciata e difficile l'azione politica, tutta
stretta fra richieste di verifiche, dispute regolamentari ecc. L'impressione
di una sede che non ha rapporti con la realta' e' sempre piu' forte.
Ieri 28 giugno siamo state e stati bloccati si puo' dire l'intera giornata
in una serie di impuntature (tutte sull'interpretazione del regolamento) che
alcuni seguono con appassionato interesse e molti con atteggiamento di gioco
e sfida: insomma una cosa alquanto grottesca. A me viene sempre in mente che
se gli uomini avessero dovuto occuparsi non solo di se stessi, ma anche
della cura di altri, non avrebbero costruito un mondo, specialmente
politico, con regole senza senso.
Un voto di fiducia siamo riusciti a darlo ma il secondo della giornata e'
stato bloccato dall'opposizione appunto con una sequela di trucchi
regolamentari che la maggioranza non sembra altrettanto attrezzata a
respingere. Ero molto distratta e incapace di appassionarmi, solo dotata di
pazienza, fomentata dall'aria condizionata dell'aula.
Ero pero' molto agitata da quello che era successo il pomeriggio precedente,
quando avevo ascoltato la relazione dei capigruppo del Prc di Senato e
Camera sulle decisioni e dicharazioni del governo sull'Afghanistan. Il
governo era partito con dichiarazioni, sia del ministro degli Esteri che
della Difesa, su posizioni che non si potevano accogliere, cioe' di
accettazione delle richieste della Nato (che non e' nemmeno abilitata a
chiedere cio' che chiede), cioe' di mandare altre truppe italiane e
armamenti, quasi a giustificazione per la decisione di andarcene dall'Iraq.
Attraverso una trattativa non semplice perche' quasi tutto l'Ulivo e'
d'accordo con simili posizioni, e dall'opposizione si profila una
disponibilita' dichiarata da parte dell'Udc di fare da stampella al governo
su posizioni belliciste (non senza conti presentati).
Una sorta di cinico ripugnante "scambio" Iraq con Afghanistan e un patto tra
"moderati" apre alla "Grande coalizione" e allo "scarico" della sinistra
radicale come fosse una partita a scacchi o a tombola.
Cio' che discutendo si e' ottenuto e': nessun ampliamento di presenze
italiane in Afghanistan, ne' dispiegamento fuori dalle zone in cui sono gia'
stanziate, il mantenimento delle stesse spese per la missione ma con una
ripartizione piu' orientata al civile che al militare, la scrittura di una
mozione di indirizzo e l'istituizione di una commissione di monitoraggio,
appunto per seguire e tenere sotto controllo tutto.
Mi sembra importante che si sia riusciti a mantenere fermo il punto che
nell'Unione cio' che e' stato convenuto nel programma e' impegnativo e cio'
che nel programma non e' contenuto deve essere trattatto con lo stesso
metodo del consenso che e' servito per il programma. E' cio' che e' stato
fatto sull'Afghanistan ed e' anche cio' che mi ha convinta ad approvare
l'accordo, pronta a mutare opinione se gli atti del governo non fossero
limpidamente ancorati ad esso. Non e' semplice cio' che e' stato ottenenuto
ma sembra una prima forma di riduzione del danno e la convalida del metodo
decisionale del consenso. Anche l'avvio di una commissione di monitoraggio
e' una cosa che va capita bene e utilizzata il piu' possibile. Dire no
all'accordo in questo caso accelera semplicemente lo scivolamento a destra
del governo, il proflarsi di una maggioranza che raccoglie Casini e company
su posizioni molto filoatlantiche e cosi' via. Il dilemma resta drammatico.
La mia decisione resta sempre legata alla possibilita' che verifiche
insoddisfacenti mi inducano a mutare opinione.

4. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: IRRESPONSABILITA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 giugno 2006. Rossana Rossanda e' nata
a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Tra le opere di Rossana
Rossanda: L'anno degli studenti, De Donato, Bari 1968; Le altre, Bompiani,
Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione
sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria,
dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii,
Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo
Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma
1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La ragazza del
secolo scorso, Einaudi, Torino 2005. Ma la maggior parte del lavoro
intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e
proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in
articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

Il sequestro di 64 parlamentari palestinesi di Hamas, fra i quali otto
ministri, in tutte le citta' della Cisgiordania da parte dell'esercito
israeliano non e' una rappresaglia, e' il tentativo di affondare per sempre
la gia' assediata e affamata Autorita' palestinese e di chiudere con ogni
trattativa che pareva potersi aprire negli ultimi giorni.
Sul documento dei prigionieri palestinesi in Israele, Hamas e Al Fatah
avevano raggiunto un accordo per molti versi storico. Per la prima volta
Hamas riconosceva, sia pure implicitamente ma in modo inequivocabile, la
legittimita' dell'esistenza di due stati.
Contro questo accordo, che innovava radicalmente non solo la linea di Hamas
ma anche i suoi rapporti conAl Fatah, un gruppo fondamentalista - del quale,
mentre scriviamo, non conosciamo l'identita' - aveva catturato un pilota di
Tsahal [l'esercito di Israele - ndr], dichiarando che non l'avrebbe
riconsegnato finche' non fossero state liberate le donne e i bambini che
sono fra i circa ottomila detenuti palestinesi in Israele (obiettivo tanto
umanamente ragionevole quanto sicuramente negato da Tel Aviv) e poi
sequestrava un colono di 18 anni - ieri poi ucciso.
La collera di Israele era comprensibile, ma la reazione e' stata
spropositata al punto da preoccupare anche i G8 oggi riuniti a Mosca, che
hanno mandato un ammonimento formale al governo di Israele: non esagerate.
Ma non si tratta di una sbavatura di militari infuriati: la cattura di un
cosi' consistente gruppo di parlamentari dei territori occupati, l'annuncio
che ne seguiranno altre, mirano a mettere fuori gioco l'intero governo
palestinese costringendo in queste ore tutta la rappresentanza di Hamas a
entrare in clandestinita'. Non solo: Israele ha appena bombardato il
principale asse stradale di Gaza, distruggendone tre ponti, la centrale
elettrica che fornisce energia a meta' della Striscia di Gaza, e ha tagliato
le forniture d'acqua, sprofondando il paese in una situazione sanitaria
insostenibile.
Gia' stava succedendo dopo le sanzioni inflitte dall'Europa. Qui non si
tratta di un eccesso di vendicativita', si tratta della volonta' del governo
di Ehud Olmert, in cui evidentemente sta anche il laburista Amir Peretz, di
chiudere qualsiasi porta o dialogo di pace per togliere la Palestina come
nazione dalla faccia del Medio Oriente.
Politicamente parlando, e' l'esatto reciproco del gruppo fondamentalista
islamico che sequestrando due israeliani e uccidendone uno ha voluto
sabotare ogni possibile avvio di scioglimento dell'ormai tragico e quasi
quarantennale contenzioso fra le parti.
C'e' un fondamentalismo in Palestina che non riconosce l'esistenza di
Israele e un fondamentalismo israeliano che non riconosce quella della
Palestina. Cosi' stanno le cose, naturalmente tra forze del tutto impari.
Sharon in coma, sembra caduto in coma ogni residuo di ragionevolezza del
governo israeliano.
Non e' possibile, non e' decente che il Consiglio di sicurezza non
intervenga. E' ben vero che da decenni Israele disattende le sue decisioni
ma e' anche vero che questa arroganza le e' stata consentita, specie dagli
Stati Uniti. E senza attendere il Consiglio di sicurezza bisogna che
l'Europa, su questo terreno dubitosa e incerta per l'incrocio ormai evidente
fra il sentimento di colpa verso gli ebrei e un antiarabismo inconfessabile,
si esprima subito. E subito ha da esprimersi il governo italiano. Non farlo
sarebbe un gesto inammissibile di irresponsabilita'.

5. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: LA VIOLENZA, ASSENZA DI PENSIERO
[Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per averci
messo a disposizione il seguente intervento, gia' apparso ne "Il foglio del
paese delle donne" (sito: www.womenews.net.spip).
Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue
pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002.
Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di
"Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la
seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei
sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza),
in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita'
Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una
carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare
nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997".
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista,
redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della
rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione
teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente
L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma
1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo
strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996.
Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea
Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti.
Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita'
delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal
1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della
rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba
voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte
attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla
problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le
pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977
(Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 (
ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di
foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica
dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione
Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei
sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di
posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto',
'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha
diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione
femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione
aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle
donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'".
Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa,
militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria,
operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti,
lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a
lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione,
sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna
come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della
Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli,
Roma 2005. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie
divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang
Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg
Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

La violenza letale sulle donne e' strettamente connessa ad altre forme di
violenza che le assicurano un ampio e forte sostegno: la distanza forzata
dal potere e lo sfruttamento dell'attivita' di cura. La violenza d'altronde
viene esercitata anche sugli uomini poiche' costituisce la struttura
portante delle societa' androcratiche che hanno nel dominio il loro
baricentro. Il "femminicidio" e' sicuramente il piu' odioso dei crimini
perche' rivolto contro le madri della specie a cui gli uomini devono la loro
stessa esistenza, ma e' uno dei tanti aspetti in cui si manifesta la
violenza maschile, cosi' diffusa e connaturata alle organizzazioni sociali
dei padri da sembrare naturale e inevitabile.
Il problema su cui interrogarsi e' dunque il deciso privilegio accordato
alla forza cieca e ottusa, a cui si affidano tutti gli uomini
indistintamente dal momento che non mettono in seria discussione i
fondamenti sopraffattori delle comunita' da loro governate, ad esempio il
gia' ricordato sfruttamento delle cure parentali, ne' si chiedono il perche'
della fatale attrazione che la violenza in tutte le sue forme, dalle piu'
eclatanti alle piu' subdole, esercita su di loro.
*
In un articolo apparso sul quotidiano "L'Unita'" del 22 maggio 2006,
intitolato "Uomini, voi cosa dite?", Luisa Muraro scrive: "La seconda ondata
del femminismo, ormai trascorsa, ha cambiato molte cose in meglio, ma la
tendenza maschile a farsi valere con il disprezzo dell'altro sesso, nel suo
fondo sembra immutata". Per la verita' le guerre che continuano
ininterrottamente ad insanguinare il mondo ci permettono di ampliare il
concetto e di affermare che non e' cambiata "la tendenza maschile a farsi
valere con il disprezzo dell'altro", senza ulteriori precisazioni.
Dal canto suo Lea Melandri, nell'articolo "Noi, uscite dal silenzio,
rilanciamo il conflitto", apparso sul quotidiano "Liberazione" del 6 giugno
scorso, cosi' si esprime: "La 'femminilizzazione' del lavoro, della
politica, della cultura, tanto enfatizzata anche da sinistra, e' in realta'
l'ultimo baluardo insidioso perche' meno riconoscibile, data la confusione
tra 'femminile' e donna, di prerogative che il sesso maschile continua a
riservare a se': pensare e decidere, intelligenza, responsabilita' politica
e senso morale. Tacitate con la dichiarazione di diritti formali e con
l'attribuzione di grandi 'valori' - esaltazione che non e' mai mancata
storicamente - le donne restano la' dove le ha collocate una mai tramontata
misoginia".
Io mi chiedo: davvero noi potremo uscire dal luogo dove la misoginia
maschile ci ha collocate inseguendo l'"uguaglianza morale e intellettuale"
con gli uomini, senza chiederci se si puo' chiamare pensiero quello che si
avvita autisticamente su se stesso, rifiutando il confronto con la parte
dell'umanita' che assicura, in uno alla sopravvivenza, l'evoluzione mentale
della specie? D'altra parte il rifiuto a confrontarsi e' endemico nelle
societa' patricentriche dove gli spazi di liberta' per tutti, non solo per
le donne, sono ridotti ad una piu' o meno ampia omologazione. Mi chiedo se
davvero si possa parlare di morale e di politica a proposito dei
comportamenti antisociali condivisi dagli uomini cosi' profondamente e
diffusamente da permettere: a) l'inveramento e la legittimazione nelle
comunita' della violenza in tutte le sue forme, dallo sfruttamento
all'omicidio generalizzato nella guerra; b) la sua moltiplicazione e
reiterazione all'infinito; c) l'impossibilita' di offrire proposte
significative per uscire da sistemi di potere meschini e irrazionali.
Luisa Muraro conclude l'articolo citato sostenendo che bisogna ricominciare
"da tutta una cultura progressista che ragiona come se le donne fossero
uomini o, altrimenti, da meno e disponibili. E che quasi ostenta la sua
ignoranza della verita' riguardo agli inizi e alla cura della vita (che non
si trova nei laboratori, come credono gli scienziati e ora anche i papi,
dimentichi di Dio e della mamma)". Conclude con una domanda rivolta
direttamente agli uomini: "Che cosa la rende cosi' terribile, questa
verita', che vi impedisce di guardarla in faccia?".
Estendendosi alla cura l'ignoranza degli uomini non riguarda solo gi inizi
ma la vita in se stessa e cio' che impedisce loro di guardarla in faccia e'
proprio la mancanza di conoscenza, non la paura. Il percorso seguito dal
maschio umano sulla terra, mirante essenzialmente al conseguimento di un
potere personale, gli ha impedito di fare esperienze adatte a produrre
saperi significativi attorno ai viventi. L'ignoranza della vita e sulla vita
ha aperto falle spaventose nella sua mente che si evincono con chiarezza
nella centralita' da lui assicurata al conflitto, alla distruttivita' e alla
morte, di contro all'oblio della vita, del suo valore e della sua
incommensurabilita'.
*
Simone Weil e Hannah Arendt, parlando di assenza di pensiero a proposito del
fascismo e in genere del male, ci hanno indicato la strada da seguire. Ora
noi siamo in grado di individuare l'assenza di pensiero nella cecita', tanto
nefasta quanto paradossale, su tutto cio' che riguarda la vita da parte di
viventi quali sono, loro malgrado, gli uomini. Se si percepissero come
organismi viventi essi disprezzerebbero e distruggerebbero la natura che li
alimenta e di cui sono parte? Considererebbero la cura, assolutamente
indispensabile ad ogni vivente, un'attivita' di poco conto?
Perseguiterebbero le donne che sono le artefici della vita della specie
intera, compresa quindi la loro? Bisogna riconoscere che tali atteggiamenti
sono assolutamente privi di senso e autolesionisti, percio' il nostro fine
non puo' essere la condivisione alla pari di un sistema di pensiero carente
e irrazionale.

6. RIFLESSIONE. MAURIZIO VIROLI INTERVISTA AMY GUTMANN SULL'EDUCAZIONE
DEMOCRATICA
[Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche
(www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente intervista di Maurizio Viroli a
Amy Gutmann avvenuta il 21 maggio 1992 alla Princeton University, Usa.
Su Maurizio Viroli dal medesimo sito riprendiamo la seguente scheda:
"Maurizio Viroli (Forli', 1952) e' professore di teoria politica
all'Universita' di Princeton. Ha insegnato e trascorso periodi di ricerca
presso le Universita' di Cambridge, Georgetown (Washington D. C.), e presso
la Scuola normale superiore di Pisa. Si e' laureato in filosofia
all'Universita' di Bologna e ha conseguito il dottorato in scienze politiche
e sociali all'Istituto universitario europeo di Firenze con una tesi sul
pensiero politico di Rousseau poi pubblicata con il titolo Jean Jacques
Rousseau and the "Well-Ordered Society", Cambridge, Cambridge University
Press. E' inoltre autore di From Politics to Reason of State. The
Acquisition and Transformation of the Language of Politics (1250-1600),
Cambridge University Press; For Love of Country: An Essay on Patriotism and
Nationalism, Oxford, Oxford University Press. Clarendon Press; Machiavelli,
Oxford, Oxford University. Tutti i suoi lavori sono stati tradotti in
italiano e in altre lingue. Con Gisela Bock e Quentin Skinner ha curato
Machiavelli and Republicanism, Cambridge, Cambridge University Press, 1990.
Fra i suoi lavori piu' recenti Il sorriso di Niccolo'. Storia di
Machiavelli, Bari-Roma, Laterza, 1998; Repubblicanesimo, Bari-Roma, Laterza,
1999. Dialogo intorno alla repubblica con Norberto Bobbio, Bari-Roma,
Laterza, 2001. Collabora a "La Stampa" ed e' presidente dell'Associazione
Mazziniana".
Su Amy Gutmann dal medesimo sito riprendiamo la seguente scheda: "Amy
Gutmann e' nata a New York il 19 novembre 1949. Ha ottenuto nel 1972 il
Master of Sciences alla London School of Economics, e il Ph. D. ad Harvard
nel 1976. Dal 1975 in poi ha insegnato all'Universita' di Princeton, dal
1990 in poi come Laurance S. Rockefeller Professor. Nel biennio 1995-97 e'
stata decana della Facolta' di Scienze Politiche a Princeton. E' redattrice
di svariate riviste di filosofia politica, tra cui Journal of Political
Philosophy, Raritan, Cambridge Studies in Philosophy and Public Policy,
Teachers' College record. E' redattrice dell'University Center for Human
Values Series in Ethics and Public Affairs dell'Universita' di Princeton.
Amy Gutmann si e' occupata costantemente di temi connessi alla democrazia e
ai suoi problemi: ha lavorato sul Welfare State, sui conflitti razziali,
sull'etica politica e sull'educazione democratica, sui concetti di
eguaglianza e liberta', sulla liberta' di associazione. Opere di Amy
Gutmann: ha pubblicato svariati libri, tra cui: Liberal Equality, New
York-London: Cambridge University Press, 1980; Democratic Education,
Princeton University Press, Princeton, 1987; con Dennis Thompson, Democracy
and Disagreement, Belknap Press, Cambridge, Usa, 1996; con Anthony Appiah,
Color Conscious: The Political Morality of Race, Princeton University Press,
Princeton, 1996. Gutmann e' stato curatrice dei seguenti volumi: Democracy
and the Welfare State, Princeton University Press, Princeton, 1988;
Multiculturalism and "The Politics of Recognition", Princeton University
Press, Princeton 1992 (tradotto in otto lingue, tra cui l'italiano); A
Matter of Interpretation, Princeton University Press, Princeton, 1997;
Freedom by Association, Princeton University Press, Princeton, 1997-'98"]

- Maurizio Viroli: Professoressa Gutmann, i piu' grandi teorici della
democrazia hanno sottolineato l'importanza dell'educazione democratica dei
cittadini per i regimi di quel tipo. Puu' fornirci un quadro del pensiero
classico sull'educazione democratica?
- Amy Gutmann: Sin dagli albori, la democrazia non si e' mai basata
esclusivamente sul potere della maggioranza. I piu' grandi esponenti del
pensiero democratico classico - filosofi come Rousseau, John Stuart Mill e
John Dewey - erano convinti che il potere della maggioranza nascondesse il
pericolo di una sua tirannia. Si rendeva, dunque, necessario studiare il
modo migliore di affidare alla maggioranza il destino politico di un paese e
vedere per quale motivo l'unico modo per riuscirci era far si' che tutti i
cittadini venissero educati a conoscere i propri interessi. La democrazia,
infatti, si basa sulla premessa che i cittadini conoscano perfettamente i
loro interessi. Tale premessa e' realizzabile solo se le persone non sono
analfabete, se ricevono un'istruzione che chiarisca loro cosa e' meglio, sia
per se stessi che per la societa' in generale.
*
- Maurizio Viroli: Quali sono i motivi per cui l'istruzione e' cosi'
importante per la democrazia?
- Amy Gutmann: La mia posizione consiste in un'estensione del pensiero
democratico classico, ma con una piccola variazione. L'estensione sta
nell'idea che ogni democratico conosce i propri interessi meglio di chiunque
altro se ne occupi al suo posto. In questo senso, un democratico rifiuta il
concetto di elite; egli e' convinto che, sia nella teoria che nella pratica,
la gente debba occuparsi in prima persona dei propri interessi. Per questo
ritengo che l'educazione sia essenziale per la democrazia. La variazione e'
la seguente: l'educazione non e' solo strumentalmente necessaria alla
democrazia (cioe', essa non e' solo un mezzo per arrivare alla democrazia),
ma fa parte del concetto stesso di cittadinanza. L'educazione rientra nel
concetto dell'essere cittadino perche' non insegna solo a leggere e
scrivere, ma insegna anche determinati valori, che sono appunto i valori
democratici. Fra questi c'e', ad esempio, quello del rispetto per coloro con
cui ci troviamo in disaccordo, o il cui stile di vita differisce dal nostro;
senza educazione - e per educazione intendo quella pubblica - tale rispetto
non puo' esserci. L'educazione e' importante per la democrazia semplicemente
perche' l'essenza della democrazia sta nella virtu' civica. La virtu' civica
richiede comprensione e rispetto per i modi di vivere degli altri. L'unico
modo in cui le persone che fanno parte di una famiglia, o di una comunita',
possono riuscire a conoscere e a rispettare stili di vita diversi dal
proprio e' quello di essere educate a contatto con persone diverse da loro,
di comprendere gli altri osservando come sono fatti, di rendersi conto sin
da bambini che ci sono sia differenze che somiglianze. A mio avviso, dunque,
capire l'importanza di un'educazione democratica e' tutt'uno con il capire
cosa significhi essere un cittadino democratico e possedere una forma di
virtu' civica. Senza educazione non puo' esserci virtu' civica.
*
- Maurizio Viroli: Professoressa Gutmann, nel suo lavoro sul governo della
Polonia Rousseau sembra vedere l'educazione democratica indirizzata alla
formazione di patrioti. Lei e' d'accordo con questa interpretazione
dell'educazione democratica?
- Amy Gutmann: No, io non credo che l'educazione democratica debba essere
rivolta alla formazione di patrioti. Vorrei pero' aggiungere che Rousseau e
la sua teoria hanno avuto una profonda influenza sul modo di intendere
l'educazione. Nel mio paese - gli Stati Uniti - esiste oggi un movimento
caratterizzato da uno spirito molto rousseauiano che, pur non facendo
diretto riferimento a Rousseau (forse perche' Rousseau non e' molto noto
all'americano medio), si propone di educare al patriottismo. Sono convinta
che si tratti di un movimento minoritario, ma al tempo stesso decisamente
pericoloso. Il motivo per cui lo ritengo pericoloso dal punto di vista
democratico e' che sono convinta che i cittadini debbano conoscere pregi e
difetti del loro paese. Virtu' civica non significa "il mio paese ha sempre
ragione", non significa che sosterro' il mio paese qualsiasi cosa faccia.
Virtu' civica significa assumersi la responsabilita' di fare in modo che il
proprio paese si trovi dalla parte della ragione. L'unica forma di
educazione alla virtu' civica che sia compatibile con l'obiettivo di
migliorare il proprio paese e' quella che insegna alla gente a pensare in
modo critico al proprio paese, al suo ruolo nel mondo e al suo modo di
trattare gli altri cittadini. Questa non e' affatto un'educazione al
patriottismo nel senso rousseauiano del termine. Certo, e' importante e
necessario sentirsi patriottici nel senso di avere a cuore il proprio paese,
perche' e' la' che ognuno ha maggiori responsabilita' e capacita' di
intervento. In questo senso, dunque, siamo tutti patrioti e se possediamo un
senso di virtu' civica dobbiamo sentirci responsabili innanzi tutto di
quanto succede intorno a noi, nel quartiere, nello stato e nel paese in cui
viviamo.
*
- Maurizio Viroli: Finora abbiamo parlato solo dell'educazione dei
cittadini. Non crede, invece, che una parte fondamentale dell'educazione
democratica dovrebbe riguardare gli uomini politici? E quali potrebbero
essere i criteri fondamentali di una tale educazione?
- Amy Gutmann: Si', educare i cittadini significa anche educare i leaders
politici. In democrazia, i cittadini diventano leader, ma se l'educazione si
rivolge solo ai cittadini comuni, rischia di trascurare l'educazione dei
leader. Parte dell'educazione democratica invece deve occuparsi della
formazione dei futuri leader della societa', affinche' essi comprendano
esattamente le particolari responsabilita' di cui sono investiti proprio in
base al maggior potere di cui dispongono rispetto ai cittadini comuni. Ora,
se diamo per scontato che il potere corrompe, e che il potere assoluto
corrompe in modo assoluto, ci sono diversi principi che andrebbero insegnati
a coloro che detengono il potere. Il tutto non si risolve nel seguire
semplicemente il volere della maggioranza. Al contrario, questo principio fa
parte di un'educazione sbagliata, perche' governare un paese comporta
necessariamente la responsabilita' di guidarlo. Naturalmente, non si tratta
neanche di fare tutto quello che si ritiene giusto, senza curarsi
dell'opinione altrui. Ci sono, quindi, due aspetti che riguardano
l'educazione di un leader democratico. Il primo riguarda la necessita'
d'ispirargli il coraggio e la capacita' di capire che vale la pena di
battersi per cio' che si ritiene giusto, e di spiegarlo alla gente. Il
secondo e' quello di fargli capire che, anche se ritiene che le sue azioni
siano giuste, ed anche se le illustra ai cittadini in modo a suo avviso
soddisfacente, puo' succedere che i cittadini rispondano: "Ci dispiace, ma
secondo noi e' sbagliato". In tal caso, indipendentemente dal suo valore
come politico, e' suo dovere ritirarsi.
*
- Maurizio Viroli: Professoressa Gutmann, come sa, uno dei mali piu' seri
che minacciano le societa' democratiche e' la corruzione del mondo politico.
Cosa pensa di questo problema?
- Amy Gutmann: L'elemento piu' comune che porta un politico alla corruzione
e' la convinzione che riuscira' a farla franca, non solo nel senso che non
verra' scoperto, ma anche in quello di pensare che i cittadini comuni non
riusciranno mai a capire veramente cosa sia la politica. Partendo da questa
visione, gli uomini politici, sebbene democraticamente eletti, possono fare
praticamente cio' che vogliono e possono farlo in un modo che li soddisfi in
pieno. L'educazione democratica e' il miglior antidoto che abbiamo contro
questa forma di corruzione, che si nutre di due elementi. Il primo e' la
visione dall'alto, dalla posizione dei leader politici, da cui il cittadino
comune non appare abbastanza intelligente, o interessato alla propria
societa' democratica, da riuscire a esercitare un controllo sui suoi
rappresentanti. Il secondo e' cio' che io chiamo l'"apatia" dei cittadini,
cioe' la sensazione provata da questi ultimi che gli uomini politici siano
in ogni caso incontrollabili, che non ci sia nulla che i cittadini possano
dire, o fare, per impedire ai politici di fare cio' che vogliono. E' proprio
questa la ricetta per la corruzione: l'arroganza da una parte e l'apatia
dall'altra.
*
- Maurizio Viroli: Esistono rimedi per correggere queste deviazioni?
- Amy Gutmann: L'educazione democratica, se riesce nel suo intento, dovrebbe
rappresentare un antidoto sia per l'apatia che per l'arroganza, un antidoto
che lavora in modo molto sottile. Per prima cosa, pur non trasmettendo ai
cittadini comuni la sensazione che possono fare quello che vogliono, o di
essere piu' potenti di quanto non siano in realta', l'educazione democratica
puo' fare in modo che essi comprendano meglio cosa sia la politica e che
osservino con molta attenzione gli atti dei loro leader politici. Il
migliore, l'unico antidoto sia all'apatia che all'arroganza, quindi, e' la
comprensione, la conoscenza, lo studio. Quello di sconfiggere l'ignoranza di
fondo di molti cittadini e' un passo importantissimo, che nessuna societa'
democratica ha ancora compiuto con successo. Un altro antidoto alla
corruzione e' una valida educazione democratica, cioe' un'educazione basata
sulla filosofia democratica, che insegni ai futuri leader che il politico
non e' al di sopra della gente comune, se non per le responsabilita' che
comporta il suo compito di governare e di rendere conto del suo operato alla
maggioranza. Parte dell'educazione democratica dei futuri leader quindi sta
nel far comprendere loro che dovranno dar conto alla gente di tutte le loro
azioni, che la loro capacita' di giudizio non e' affatto migliore di quella
della gente comune, se non per il fatto che essi si trovano in una posizione
da cui e' possibile difendere il proprio operato in pubblico e che hanno il
dovere di difenderlo. La piu' grande lezione di educazione democratica per i
leader politici e' quella impartita da Kant quando affermo' che la
condizione assoluta per qualsiasi azione etica e' il suo carattere pubblico,
la sua trasparenza. Se non puo' sostenere l'esposizione alla luce del sole,
o lo sguardo del pubblico, allora e' necessariamente un'azione corrotta. E'
l'apparenza della corruzione, e l'apparenza della corruzione in democrazia
corrisponde alla realta' della corruzione stessa: essa non puo' sostenere la
chiarezza del controllo pubblico, ne' attraverso il normale processo
decisionale, ne' attraverso un processo di qualsiasi altro tipo.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1345 del 3 luglio 2006

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