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La nonviolenza e' in cammino. 1341
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1341
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 29 Jun 2006 01:02:31 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1341 del 29 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. Giobbe Santabarbara: Quelli che... 2. Ida Dominijanni: Una vittoria 3. "Statunitensi per la pace e la giustizia" di Roma: Una lettera aperta al governo italiano 4. Marina Forti: Donne in Iran 5. Itala Vivan: Nuovo Sudafrica, corpi liberati in cerca di storie 6. Franco Melandri presenta "Camillo Berneri. Tra anarchismo e liberalismo" di Carlo De Maria 7. Saverio Aversa presenta "Non chiedere, non dire? Vite di gay in divisa" di Giulio Russo 8. Ristampe: Marco Polo, Milione 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE GIOBBE SANTABARBARA: QUELLI CHE... "ceux qui donnent a' boire aux chevaux ceux qui regardent leur chien mourir" (Jacques Prevert, Tentative etc., 1931) Quelli che ti schiacciano sotto lo scarpone chiodato e quando urli dal dolore dicono che sei troppo ribelle per meritare di vivere. Quelli che sono per la pace e votano i crediti di guerra. Quelli che non e' successo niente, non e' mai successo niente, e nel frattempo Auschwitz e Hiroshima. 2. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: UNA VITTORIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 giugno 2006. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005] La partita piu' bella l'Italia non l'ha vinta in Germania con un rigore all'ultimo minuto, l'ha vinta in casa, con un punteggio straordinario, dopo svariati ed estenuanti anni di gioco. Quel perentorio 61,7% di No alla controriforma costituzionale che avrebbe dovuto suggellare l'era berlusconiana acquista tanto piu' valore con quell'inatteso 53,6% di partecipanti al voto, che dopo dieci anni di quorum mancato riabilita, proprio sulla Carta fondamentale, l'istituto referendario e la vigilanza popolare sulle scelte politiche. Il No c'era il rischio che perdesse, ma c'era anche il rischio che vincesse di misura, con una partecipazione svogliata che avrebbe indirettamente autorizzato il ceto politico, di destra e di sinistra, a continuare a trattare la Costituzione come cosa propria, disponibile allo scambio politico. Cosi' non e' stato e i numeri parlano chiaro: la Costituzione e' di tutti, e nel momento di massimo rischio i suoi titolari se la sono presa in mano per presidiarla e confermarla. L'inatteso e non necessario quorum raggiunto oggi riporta alla mente il mancato quorum, altrettanto inatteso ma necessario, del referendum del '99 sull'abolizione della quota proporzionale dal "Mattarellum". Quel quorum mancato di allora pose fine alla favola bella del maggioritario come panacea di tutti i mali che aveva accompagnato i primi dieci anni della transizione italiana. Il quorum raggiunto di oggi mette fine alla favola bella della riforma costituzionale come protesi indispensabile di una modernizzazione senza qualita' che ha accompagnato anche gli anni successivi. Allora come oggi ne viene travolto e sepolto lo schema semplificato vecchio-nuovo di cui si accontenta una politica immiserita negli obiettivi e nelle pratiche. Posto di fronte a un quesito fondamentale sulla legge fondamentale, il paese "spaccato in due" della retorica postelettorale di poche settimane fa ha ritrovato una sua fondamentale unita', irrispettosa del bipolarismo coatto. Ha detto No all'egoismo sociale, al mito del Capo e alla servitu' volontaria che nelle intenzioni dei riformatori avrebbero dovuto sostituire i principi della solidarieta', dell'uguaglianza, della rappresentanza scritti in Costituzione. Anche la divisione territoriale artatamente costruita fra un'Italia moderna e produttiva e un'Italia passatista e dipendente ne esce ridimensionata: trionfante al Sud il No alla devolution vince anche al Nord, e il 51,8% che conquista a Milano parla chiaro quanto e piu' del 68,4% che incassa a Palermo o dell'82,5% in Calabria. Spiace per Bossi e per Speroni, ma se andranno in Svizzera pochi li seguiranno. Spiace per Berlusconi e Fini, ma tre sconfitte in tre mesi, e quest'ultima piu' di tutte, dicono che il vento del '94 ha smesso di soffiare. Sulla posta in gioco cruciale e ultimativa, quella del sovversivismo costituzionale della destra estranea al patto del '48, il paese ha messo l'alt. Ma l'ha messo anche sul vizio di giocare col fuoco della revisione che incanta al centro e a sinistra anche gli eredi di quel patto. Che i loro leader provassero a incassare la vittoria del No come un'autorizzazione a procedere sulla strada delle riforme perseguita in passato era del tutto scontato; e tuttavia suona oggi del tutto stonato. Quel No ha un altro suono. Rilegittima una Costituzione che anche loro hanno colpevolmente contribuito a delegittimare. E obbliga anche loro a sottostare alla sua autorita'. Come tutte le leggi umane, la Carta del '48 non e' intoccabile, ma nell'ambito dei suoi principi e delle sue procedure. Dopo il voto di ieri, fantomatiche commissioni, convenzioni e assemblee costituenti sono diventate improponibili, come pure ipotetiche riscritture complessive. La revisione costituzionale possibile torna a essere puntuale, affidata al parlamento, sottratta al capriccio delle maggioranze e, si spera, assicurata a un art. 138 al piu' presto riformulato. 3. APPELLI. "STATUNITENSI PER LA PACE E LA GIUSTIZIA" DI ROMA: UNA LETTERA APERTA AL GOVERNO ITALIANO [Dall'associazione "Statunitensi per la pace e la giustizia - U.S. Citizens for Peace & Justice" di Roma (per contatti: info at peaceandjustice.it) riceviamo e volentieri diffondiamo] Noi del gruppo romano "Statunitensi per la pace e la giustizia" scriviamo questa lettera per chiedere che il governo italiano ripensi alcuni "aiuti" che da' al nostro paese. Riteniamo questi "aiuti" contro gli interessi sia del popolo italiano sia di quello statunitense. Alcuni di questi "aiuti" sono il frutto di passate scelte di altri governi. Ci preme invitare il nuovo governo a un cambio di rotta. * Cominciamo con il chiedere di ripensare la presenza in Italia [secondo fonti ritenute attendibili - ndr] di un certo numero di bombe nucleari di proprieta' degli Stati Uniti, al momento sembrerebbe 90, depositate nelle basi di Aviano (Pordenone) e Ghedi Torre (Brescia). Tale presenza comporta che sia gli Stati Uniti, "stato nucleare", sia l'Italia, "stato non-nucleare", finiscano per violare lo spirito del Trattato di non proliferazione nucleare del quale sono entrambi firmatari. A causa di questa flagrante violazione lo stesso trattato diventa meno efficace. Per non parlare del grave pericolo a cui l'Italia si espone. Lo stoccaggio di queste bombe non garantisce la sicurezza, anzi, pone il territorio italiano a rischio di gravi incidenti con conseguenti danni ambientali nonche' aggiunge un potenziale obiettivo terroristico. In un sondaggio negli Stati Uniti dell'anno scorso, il 66% degli interpellati ha risposto che nessun paese, il proprio incluso, dovrebbe avere armi nucleari. Chiediamo al governo italiano di esigere il ritiro e lo smantellamento delle bombe nucleari presenti sul proprio territorio. * Anche l'ospitalita' data alle basi militari statunitensi non ci sembra un "aiuto" nel migliore interesse dei due popoli, ne' del mondo intero. La dislocazione in Italia di piu' di 20 installazioni militari statunitensi con piu' di 16.000 suoi soldati rende l'Italia uno strumento indiretto nella guerra preventiva, che molti esperti e l'opinione pubblica mondiale ritengono la causa di un mondo piu' pericoloso. Anche recenti sondaggi negli Stati Uniti, confermano che l'opinione pubblica statunitense ritiene il proprio paese sulla strada sbagliata (dal 60% al 69%), e su questo giudizio pesa fortemente la guerra globale. Chiediamo, quindi, che il governo italiano non dia appoggio a queste politiche statunitensi, e che si impegni per la chiusura e la riconversione a usi civili di queste basi. Ma non e' solo l'ospitalita' presso le basi che l'Italia regala agli Stati Uniti. Il 37% dei costi operativi di queste basi viene sostenuto dai contribuenti italiani, per non parlare dei numerosi sconti e agevolazioni di cui godono i soldati statunitensi. E' spesso frutto di accordi segreti di vecchia data di cui non si conoscono i dettagli. Chiediamo al governo italiano di rendere pubblici i testi di questi accordi in vista di un dibattito aperto per valutarne l'utilita'. * Come rivelato dal rapporto del Consiglio d'Europa sui voli segreti e sulle detenzioni illegali da parte degli Stati Uniti, la base statunitense di Aviano e' servita anche per il trasferimento del sigonr Abu Omar in Egitto dove e' stato incarcerato e torturato dopo il suo sequestro a Milano. Il caso di "extraordinary rendition" di Abu Omar, secondo il rapporto, e' quello meglio documentato grazie al lavoro dei magistrati italiani, i quali hanno richiesto la estradizione dei 22 agenti della Cia implicati nel caso. Chiediamo al nuovo governo italiano di fare quello che il precedente aveva rifiutato, cioe' di inoltrare la richiesta di estradizione al governo statunitense. Chiediamo inoltre che ci siano indagini interne e collaborazione con le indagini internazionali affinche' non ci sia piu' complicita' dell'Italia nelle detenzioni illegali e nella tortura, risultandone un forte esempio per gli altri paesi europei. * Infine, il piu' noto "aiuto" e' stato quello di mandare truppe in Afghanistan e in Iraq. In entrambi i paesi innumerevoli civili innocenti sono morti, tanti soldati statunitensi e italiani sono morti e ancora di piu' sono stati feriti, i due paesi sono stati distrutti, e centinaia di miliardi di dollari sono stati spesi senza migliorare la vita della gente, anzi. In entrambi i paesi ci sono stati gravi casi di tortura (Abu Ghraib in Iraq e Bagram in Afghanistan). In entrambi i paesi la vita quotidiana e' resa impossibile dalla mancanza di sicurezza e dalla violenza. Almeno in Italia, si parla di missioni di pace in entrambi i paesi, che con la pace tuttavia non hanno niente a che fare. E' ora di ritirare tutte le truppe. Chiediamo al governo italiano di portare i suoi soldati a casa. Chiediamo di non sostenere le guerre statunitensi in alcun modo, e invece di sostenere i popoli dell'Iraq e dell'Afghanistan con programmi di cooperazione affidati alle Ong che operano da tempo in questi paesi. * Ovviamente non e' solo l'Italia che "aiuta" il nostro paese. Con piu' di 700 installazioni militari fuori dagli Stati Uniti, in piu' di 130 paesi nel mondo, con piu' di 400 bombe nucleari in Europa, con piu' di 1.000 voli segreti che coinvolgono 14 paesi europei, e' chiaro che il nostro paese gode della complicita' di molte nazioni e governi. Cambiando rotta, l'Italia potrebbe contribuire a riorientare l'ingente spesa militare verso obiettivi di pace, stabilendo cosi' un importante precedente e recando un aiuto vero al nostro paese e al mondo. * Statunitensi per la pace e la giustizia, Roma - U.S. Citizens for Peace & Justice - Rome Per contatti: e-mail: info at peaceandjustice.it, sito: www.peaceandjustice.it 4. MONDO. MARINA FORTI: DONNE IN IRAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 giugno 2006. Marina Forti, giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] L'accusa e' classica: "attivita' contro la sicurezza nazionale". Noushin Ahmadi Khorasani e Parvin Ardalan, due attiviste molto impegnate nel movimento per i diritti delle donne, sono state incriminate per aver organizzato una manifestazione (definita "illegale") contro le discriminazioni verso le donne, il 12 giugno scorso a Tehran. La manifestazione ha avuto molta meno copertura mediatica internazionale della decisione (poi rimangiata) di lasciar entrare le donne negli stadi. Eppure e' stata dispersa in modo molto violento dalla polizia - su internet circolano foto e racconti di persone presenti, che parlano di un intervento "di violenza senza precedenti" benche' la manifestazione fosse assolutamente pacifica. In effetti era un semplice sit-in, convocato per rivendicare eguaglianza nelle leggi, ad esempio per cio' che riguarda il divorzio e l'affidamento dei figli o l'eredita', o il bando della poligamia, cioe' riforme del codice di famiglia. Sono le rivendicazioni su cui da diversi anni ormai da' battaglia un agguerrito movimento di donne iraniane. Qualche giorni prima dell'annunciata manifestazione molte delle promotrici erano state convocate in tribunale e ammonite a revocare la manifestazione. Dunque il 12 giugno qualche decina di donne si e' raccolta in una piazza centrale di Tehran - per la verita' molte non sono riuscite ad arrivarci perche' gli accessi alla piazza erabno stati bloccati. Alla manifestazione hanno preso parte anche molti uomini, in particolare molti visi noti del movimento riformista. Ben piu' numerosa era la polizia, che ha disperso la piccola folla con manganelli e arrestato una settantina di persone. Tutti sono stati rimessi in liberta' negli ultimi giorni, comprese le due attiviste ora incriminate; resta agli arresti solo Ali Akbar Moussavi Khoeini, ex deputato riformista nella passata legislatura, e impegnato nell'Associazione indipendente dei giornalisti, che e' stato anche violentemente picchiato. Le incriminazioni fanno il paio con un'altra notizia circolata in questi giorni, i "pensionamenti" forzati di decine di professori dell'Universita' di Tehran e la chiusura di un certo numero di "societa' islamiche" universitarie, che sono in effetti diventati centri di attivismo degli studenti critici verso il regime. 5. RIFLESSIONE. ITALA VIVAN: NUOVO SUDAFRICA, CORPI LIBERATI IN CERCA DI STORIE [Dal quotidiano "Liberazione" del 24 giugno 2006 riprendiamo il seguente articolo tratto dall'ultimo numero della rivista "Leggendaria" dedicato all'Africa a ridosso della prima fiera internazionale del libro di Cape Town. Itala Vivan, studiosa e docente universitaria di letteratura comparata; ha svolto ricerche sulle societa' coloniali anglofone e sulla transizione al postcolonialismo, analizzandone le espressioni letterarie e le forme culturali; e' stata osservatrice internazionale durante le elezioni del 1994 in Sudafrica; ha dedicato particolare attenzione alle letturature africane e all'impegno contro il pregiudizio e le persecuzioni razziste. Tra le opere di Itala Vivan: Caccia alle streghe nell'America puritana, Rizzoli, Milano 1972; Interpreti rituali, Dedalo, Bari 1978; (a cura di), Il nuovo Sudafrica, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; (a cura di), Corpi liberati in cerca di storia, di storie. Il Nuovo Sudafrica dieci anni dopo l'apartheid, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005] Data la sua lunga e tormentata vicenda coloniale e postcoloniale iniziata nel 1652, sino al recente e terribile periodo dell'apartheid dal 1948 al 1990, il Sudafrica, terra percorsa da stirpi diverse e abitata oggi da genti di provenienza la piu' varia - africani, asiatici, europei - ha una storia letteraria di grande complessita' ma anche di straordinaria ricchezza. La complessita' nasce dall'intrecciarsi delle lingue e delle culture non di rado disparate l'una rispetto all'altra; la ricchezza e' frutto dell'apporto di sontuose e antiche tradizioni africane orali, dal sovrapporsi, nei secoli, della scrittura coloniale di lingua afrikaans e inglese, dai contributi delle popolazioni venute dall'Asia - indiani, malesi e altri - e infine dal processo di contatto, ibridazione e reciproche influenze che tutto cio' ha provocato e che offre oggi un panorama vario, un autentico arcobaleno di scritture e di lingue. Ma se tante e cosi' profonde sono le differenze, che cosa unisce i mille rivoli delle letterature di questo paese? Oggi il processo di ricostruzione del se' culturale, oltre che istituzionale e sociale, in atto in Sudafrica rivela la forte tenuta di un tessuto di fondo che unisce le genti e le stirpi, come i loro prodotti letterari, in una trama ben piu' stretta di quanto non si sarebbe potuto supporre anche fino a vent'anni fa, quando l'apartheid imperversava e i discorsi discriminatori e divisivi avevano di fatto il sopravvento. Nella intensa diversita' che caratterizza le forme e le modalita' di espressione letteraria orale e scritta e' tuttavia sempre presente la consapevolezza implicita, magari anche inespressa o taciuta, di un discorso comune che si riallaccia alla storia, al passato che appartiene a tutti anche se e' stato giocato con ruoli assai differenziati e se trova radici in memorie non sempre condivise. L'osservatore e' colpito dallo sforzo, visibile in tutti i settori del paese, in tutti i protagonisti del discorso letterario, volto a far emergere le storie individuali e di gruppo per restituire ai corpi liberati dal peso e dalle strettoie della perversa frammentazione dell'apartheid, nonche' della secolare oppressione del colonialismo antecedente, una molteplicita' di immaginari che contribuiscano a un immaginario comune, anche se non collettivo. * Una volta smantellato l'ordine geopolitico di segregazione spaziale che frantumava il territorio in una dozzina di luoghi "etnici", le homelands, con i bianchi al centro - collocati in quel che si definiva Repubblica Sudafricana - e i neri alla periferia nelle aree riservate, e tutti, secondo una folle classificazione, rinchiusi nei loro recinti, ecco che le schegge e i brandelli lacerati del territorio sudafricano si ricomposero in un tutto unico aperto a cittadini eguali di un solo Stato basato su principi di eguaglianza. Con quella stessa ricomposizione, siglata con le prime elezioni democratiche del 1994 e con la Costituzione varata nel 1996, le varie lingue del Paese ripresero anch'esse dignita' e divennero lingue ufficiali: le lingue xhosa, zulu, sotho, tsonga, tswana, ndebele, venda, swazi e pedi, insieme all'afrikaans e all'inglese, acquisirono un medesimo status e una eguale dignita' accanto alle molte altre lingue parlate in Sudafrica, come khoi, san, ebraico, gujarati, tamil, hindi, arabo, portoghese, tedesco, francese, greco e italiano. Anch'esse, le lingue, furono corpi viventi liberati dal nuovo ordine e immessi in una consapevolezza egualitaria che dichiarava rispetto e prometteva protezione e sviluppo. Il processo di democratizzazione tocco' anche le scritture letterarie, liberandole dalla costrizioni e dagli imperativi che sino al 1990 avevano impresso il loro marchio sulla produzione sudafricana e anche sciogliendole dall'incubo etnico. La resistenza culturale e politica, che aveva legato a se' gli scrittori sino al 1990, dominando il discorso letterario non solo per un imperativo morale, ma anche per un profondo bisogno di sopravvivenza e di giustizia, perse la propria ragione d'essere. Se dagli anni Sessanta in poi v'era stata la scrittura dal carcere e dall'esilio, se negli anni Settanta era fiorita la letteratura di protesta e negli anni Ottanta la letteratura popolare e proletaria, ora si smarri' l'impegno politico totalizzante e ci si rivolse alla contemporaneita' travolgente del Nuovo Sudafrica, all'urgenza del cambiamento. I temi dell'attualita' coinvolgono ora tutti gli scrittori e ne suggeriscono le scelte, non in modo compulsivo ma lasciandoli liberi di orientarsi in modalita', linguaggi e invenzioni strutturali e tematiche. Ma come nel paese intero si rileva una tendenza a incorporare il passato abbracciandolo tutto come proprio, cosi' nella scrittura il filone della storia affiora dovunque prepotentemente, offrendosi alla coscienza del paese per poterne diventare completamente parte. Si tratta di riconoscere dignita' di esistere alle molte storie cancellate e disperse nei secoli o anche solo nei decenni trascorsi, e di raccontarle insieme alle storie coloniali rivisitate e assunte come elementi costitutivi di un passato comune. Come i monumenti e i simboli di ieri non sono stati distrutti con ira, ma anzi, vengono conservati e immessi nel panorama nazionale - si pensi al Voortrekker Monument, o al sacrario dedicato alla lingua afrikaans, entrambi rimasti intatti, o anche a citta', piazze e vie che si chiamano ancora con i nomi coloniali o addirittura ricordano gli artefici dell'apartheid - cosi' le frammentate tradizioni di ieri vengono abbracciate in un solo sguardo che proietta sul presente la propria attenzione. Gli scrittori africani escono dall'ombra, nascono nuovi autori anche in lingue africane, senza piu' sentirsi o doversi mostrare "etnici", senza dover nascondere nulla di se', anzi, esaltando le caratterizzazioni e le diversita', gli orientamenti e le specificita' visti come elemento unificante e non di divisione. E' una travolgente esperienza di liberta', questa, che si rivela benefica per la creativita' degli artisti e che nel tempo dara' frutti cospicui. Ma gia' ora, a soli dieci anni dalla fine dell'apartheid, si individuano novita' interessanti e si profilano situazioni impreviste, mentre un abbondante flusso di scritture in varie lingue scorre in un Sudafrica che vanta una lunga e importante tradizione letteraria. Se la politica della Repubblica del Sudafrica si immerge profondamente nel continente cui appartiene, impegnandosi nelle emergenze e nelle situazioni di crisi, ma anche suggerendo tematiche di rinnovamento e rinascimento, la letteratura accetta complessivamente di chiamarsi ed essere africana, inglobando in questa sua africanita' le componenti postcoloniali di stampo europeo e gli apporti asiatici. Nel divenire veramente africana, questa nuova letteratura sa anche aprirsi a sollecitazioni internazionali e magari offrirsi con un profilo cosmopolita, come spesso accade oggi, in un'epoca in cui coesistono i globalismi e i regionalismi, le internazionalizzazioni e i localismi piu' spinti. * Il mondo ha riconosciuto l'eccellenza della letteratura sudafricana conferendole nel giro di pochi anni ben due premi Nobel, che sono andati a Nadine Gordimer e John Coetzee, maestri indiscussi, noti e apprezzati a livello mondiale. Ma oltre a questi, molti altri sono gli scrittori sudafricani che vengono letti e tradotti anche in Italia, ove si e' acceso un vivissimo interesse unito ad ammirazione per la cultura di un paese che e' stato artefice di un esemplare cambiamento pacifico grazie anche alla forza delle sue tradizioni, al radicato senso di unita' e di giustizia che la letteratura della resistenza aveva testimoniato in passato e che l'indagine sulla storia e la ricerca delle storie conferma ancora oggi. Oggi, nel 2006, volgiamo lo sguardo indietro a ricordare la splendida poesia della stagione di Soweto, fiorita dopo la rivolta giovanile che trent'anni fa a partire dal 16 giugno 1976 scosse le township sudafricane e impresse una svolta alle politiche della lotta contro l'apartheid, rivelando la presenza di una nuova generazione di resistenti, di combattenti. Era una poesia rapida e vibrante, fatta per essere recitata in pubblico, nell'arena di comunita' riunite intorno a uno sciopero o a una bara, dopo una retata o un massacro della polizia di allora. Poesia che riprendeva gli antichi ritmi orali e risuonava dell'eco bellicosa della tradizione africana, e che infiammo' gli animi di coloro che riuscirono a udirne il battito rapido e pulsante, gli accenti di accesa rivolta, i singhiozzi di angoscia. Oggi questa poesia sembra lontana, e i suoi autori sono trascurati, anche quando sono ancora in vita, come quel Sipho Sepamla che cantava Ti amo, Soweto, e affermava orgogliosamente, ´Questa terra e' mia / Perche' io sono la terra / La terra si chiama come me". La guerra e' finita, si sono deposte le armi, anche le armi della poesia. 6. LIBRI. FRANCO MELANDRI PRESENTA "CAMILLO BERNERI. TRA ANARCHISMO E LIBERALISMO" DI CARLO DE MARIA [Da "A. rivista anarchica", anno 36 n. 315, marzo 2006 (disponibile anche nel sito www.arivista.org). Franco Melandri, studioso del pensiero e del movimento anarchico, saggista, collabora con varie riviste. Camillo Berneri (1897-1937), pensatore e militante anarchico, antifascista, esule, accorso volontario in Spagna in difesa della repubblica, fu assassinato dagli stalinisti; dal sito del Comune di Reggio Emilia riprendiamo la seguente scheda: "Nato a Lodi nel 1897, Camilo Berneri trascorre l'infanzia seguendo la madre maestra elementare, nei suoi incarichi a Palermo, Milano, Cesena, Forli' e Reggio Emilia. Qui entra nel partito socialista, dove inizia la sua attivita' politica. Alla fine del 1915 passa tra le fila anarchiche. Nel 1916 si trasferisce con la madre ad Arezzo. L'anno successivo sposa Giovanna Caleffi di Gualtieri e viene richiamato alle armi. Congedato nel 1919, comincia a collaborare assiduamente alla stampa anarchica partecipando poi alla costituzione dell'Unione anarchica italiana. Nel 1922 si laurea in filosofia a Firenze con Gaetano Salvemini, entra in contatto con Carlo Rosselli ed Ernesto Rossi, e' vicino a "Italia libera" e collabora con il "Non mollare!". I suoi studi spaziano da argomenti di carattere filosofico ad altri di contenuto sociale e politico. Nel 1926 abbandona l'Italia, per recarsi a Parigi dove inizia la sua collaborazione con la stampa libertaria e dove verra' arrestato assieme ad altri fuoriusciti italiani, tra cui Carlo Rosselli. Scarcerato nel maggio del 1930, inizia a peregrinare tra Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Germania. Allo scoppio della guerra civile in Spagna, e' tra gli organizzatori del primo contingente di volontari italiani. Nel corso degli scontri del maggio 1937 tra comunisti e anarchici e poumisti, sara' assassinato il 5 maggio da una pattuglia di polizia comandata da agenti staliniani". Opere su Camillo Berneri: per un avvio cfr. Carlo De Maria, Camillo Berneri. Tra anarchismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2004. Carlo De Maria, storico, e' autore del volume: Camillo Berneri. Tra anarchismo e liberalismo, Franco Angeli, Milano 2004] Fa sempre piacere quando, al di la' dei circuiti ristretti della (meritoria) editoria militante, qualcuno, seguendo percorsi di ricerca scientifica, giunge ad occuparsi di pensatori e militanti di minoranza; soprattutto, poi, se questa minoranza e' quella libertaria e anarchica. E' questo il caso del recente Camillo Berneri. Tra anarchismo e liberalismo di Carlo De Maria (Franco Angeli, 2004, pp. 205, euro 20) che, grazie anche ad un grandissimo lavoro negli archivi, ripercorre sia la tormentata biografia di Camillo da Lodi, come a volte Berneri si firmava, che la sua evoluzione intellettuale, rimarcando, nella parte conclusiva, i nodi teorico-politici piu' problematici e stimolanti del suo pensiero. Negli ultimi anni, va notato, l'attenzione su Berneri e' sicuramente aumentata (da ricordare il capitolo a lui dedicato da Nico Berti ne Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Lacaita, 1998; l'antologia Anarchia e societa' aperta. Scritti editi e inediti, M&B, 2001, curata e introdotta da Pietro Adamo; la giornata di studi, in collaborazione tra Centro Studi Libertari e "Il manifesto", a Roma nell'ottobre 1996; la giornata di studi tenutasi a Reggio Emilia nel maggio 2005), ma questo non toglie che egli sia comunque rimasto un pensatore-militante di nicchia, la cui figura e' stata riproposta - spesso senza studiarla - dagli anarchici, e tenuta ai margini delle ricerche - senza, in genere, preoccuparsi di conoscerne il pensiero - dai non anarchici. Il libro di De Maria, quindi, giunge a colmare almeno in parte queste mancanze ed anche per questo la sua lettura si rivela notevolmente stimolante. Sicuramente interessante e' l'accuratissima ricostruzione biografica, che mette in luce la formazione intellettuale di Berneri - maturata soprattutto all'Universita' di Firenze, dove ebbe Gaetano Salvemini come maestro e Carlo e Nello Rosselli ed Ernesto Rossi come compagni di studio e sodali -, cosi' come la sua instancabile attivita' antifascista, svolta soprattutto nell'esilio (dove, vittima di una macchinazione della polizia fascista, fini' sia in carcere che espulso da vari paesi), fino alla sua tragica uccisione, avvenuta nel '37, per mano dei comunisti, durante la guerra di Spagna, dove egli era accorso fra i primi. Un aspetto che De Maria sottolinea di tutto il percorso biografico berneriano e' il rapporto che questi, passato giovanissimo all'anarchismo dal socialismo prampoliniano, mantenne sempre con vari esponenti della sinistra non comunista, in particolare con liberali, come Gobetti, con socialisti-liberali, come Carlo Rosselli, con libertari "senza partito", come Silvio Trentin, con repubblicani federalisti, come Fernando Schiavetti, con socialisti dissidenti, come Alberto Jacometti. L'attivita' pubblicistica di Berneri fu instancabile (cosa che, come egli stesso lamentava, unitamente ai problemi economici ed ai guai legali, gli impedi' di affrontare molte questioni in modo organico) e rivolta non solo ai giornali anarchici, ma anche, appunto, alle pubblicazioni di "Giustizia e liberta'", dei repubblicani federalisti, dei socialisti "anticoncentrazionistî", e proprio in questa massa enorme di articoli, cosi' come nella grande quantita' di lettere e note inedite (oggi in gran parte conservate all'Archivio Famiglia Berneri domiciliato a Reggio Emilia), ebbe modo di porre in modo abbastanza chiaro i termini della sua ricerca intellettuale. Questa, come bene illustra De Maria nei capitoli ad essa dedicati, partiva dalla considerazione che "La crisi dell'anarchismo e' evidente", e quindi si incentro' progressivamente sulla ricerca di un "anarchismo attualista", il quale, sulla scorta del "problemismo" salveminiano e del "fenomismo" postulato da Berneri stesso, poneva al suo centro la ricerca della "citta' possibile", contrapposta alla "citta' attuale", dominata dalla dittatura fascista e dai totalitarismi nazista e comunista, ma anche alla "citta' utopica" postulata dalla maggioranza degli anarchici suoi contemporanei. Rispetto a questa "citta' utopica" - che egli vedeva, al massimo, come punto d'orientamento - Berneri non risparmio' le critiche, appuntandosi non solo sulla sua difficile, se non impossibile, realizzabilita', ma soprattutto sulla concezione di fatto totalizzante che essa tradiva. * Come hanno messo in luce anche i gia' citati Berti ed Adamo, e come De Maria sottolinea piu' volte, Berneri fu molto sensibile agli aspetti totalitari presenti, ed inconsapevolmente assunti, anche nel pensiero anarchico e proprio per reagire ad essi egli continuamente tento' di elaborare una teoria politica libertaria che, nella sua attuabilita' immediata, salvaguardasse sia le liberta' individuali e sociali che la possibilita' stessa della ricerca sociale, continuamente trasformando, per usare termini berneriani, il fatto della societa' nella scelta dell'associazione. In questo percorso gli scogli che egli non poteva evitare furono quelli della politica e della statualita', rispetto ai quali egli cerco' (a fronte del rifiuto radicale, da parte dell'anarchismo, di ogni forma politica e di ogni istituzionalizzazione, un rifiuto che egli giudicava cieco e superficiale) di individuare delle ipotesi libertarie che traducessero sul piano della politica operativa la sua ispirazione; una ispirazione che, per usare ancora le sue parole, ebbe modo di compendiare nella formula: "Cattaneo completato da Salvemini e dal Soviettismo". L'impostazione di Berneri, in altre parole e come bene illustra De Maria, si basava sulla convinzione che la "politica libertaria", cioe' la "pratica dell'anarchismo", fosse non tanto rifiuto dell'esistente e richiamo ad una rivoluzione palingenetica, ma soprattutto ricerca e pratica dell'"altro" nell'esistente stesso, quindi continua costruzione dal basso di nuove forme politiche ed istituzionali. Come sottolinea fin dal titolo il libro di De Maria, uno degli influssi che in questo cammino si rivelarono determinanti per Berneri fu il confronto col liberalismo (non a caso una famosa frase berneriana fu "Nell'Internazionale gli anarchici furono i liberali del socialismo"), in particolare quello "rivoluzionario" di Gobetti e quello "socialista" di Rosselli, rispetto al quale la sua posizione - come, del resto quelle di Gobetti e Rosselli - fu particolare. Da un lato, infatti, Berneri non ebbe dubbi nell'indicare nelle forme storiche assunte dal liberalismo classico - cioe' nello stato-nazione, nella politica fatta coincidere solo col parlamentarismo, nella logica economica basata sull'accentramento capitalista e sullo sfruttamento delle masse operaie, nel colonialismo e nell'imperialismo a livello dei rapporti internazionali - i principali responsabili della catastrofe del '15-'18 e della nascita dei totalitarismi nell'eta' postbellica. Dall'altro lato, pero', Berneri conservo', ponendoli non raramente al centro delle sue riflessioni, alcuni elementi fondanti dell'eredita' della tradizione liberale, quali la difesa radicale della liberta' individuale, il liberismo in economia (dalle quali derivavano le sue critiche feroci al comunismo, fosse questo quello marxista o quello degli anarchici stessi), la consapevolezza che "ubi societas ibi jus", cioe' che non e' realmente possibile costruire una societa' libera e giusta se non costruendo anche norme, diritti, istituzioni che tale liberta' siano deputati a difendere. * Purtroppo, la sua prematura morte non ci permette di sapere a quali conclusioni Berneri sarebbe giunto, ammesso che la sua instancabile ricerca avesse potuto accontentarsi di un qualche risultato raggiunto, mentre, dall'altra parte, gli esiti della "rivoluzione italiana" - che nelle speranze di Berneri, Rosselli, Jacometti, Schiavetti avrebbe dovuto non solo spazzare via il fascismo, ma anche costruire una nuova Italia ed una nuova Europa federale, basata sulle autonomie comunali - si sono rivelati ben diversi, quando non opposti, a quanto essi postulavano. Una questione, comunque, rimane aperta e va indagata: essi, e Berneri in particolare, hanno indicato alcuni dei nodi filosofico-teorici ed operativi con cui chi voglia una trasformazione libertaria non puo' non confrontarsi, soprattutto se animato dal loro stesso spirito critico e dalla loro stessa volonta' di ricerca e realizzazione. Proprio su tale questione, ed in particolare sulla questione del liberalismo, tuttavia, un appunto a De Maria (ma anche, almeno in parte, a Berti ed Adamo) e' forse necessario. Liberalismo, infatti, e' categoria teorico-politica dai significati assai vasti, che non a caso, e solo per fare qualche esempio, copre tanto il peggior operare del capitalismo monopolista quanto la critica di questo in nome del diritto di chi lavora a godere del frutto della sua fatica, tanto le leggi antioperaie e la repressione dei movimenti popolari quanto la difesa delle organizzazioni dal basso e le rivendicazioni di una maggior giustizia sociale, e cosi' via, cosicche', oggi, in particolare in clima di "liberalismo berlusconiano", non e' ben chiaro capire a quale liberalismo si faccia riferimento usando tale espressione. Berneri (e prima di lui un altro grande "eretico" dell'anarchismo, Francesco Saverio Merlino), inoltre, proprio perche' consapevole di questa contraddittorieta' della tradizione liberale, che certo non rifiutava in toto, uso' sempre il termine libertario, in cio' certo marcando la sua differenza da anarchico, per qualificare il senso della sua ricerca, e cosi' facendo pose in luce, come del resto fecero anche Gobetti e Rosselli, un altro nodo problematico. Il liberalismo, infatti, e' storicamente stato una delle declinazioni della ricerca della liberta', una ricerca che ad esso preesisteva e che si e' nutrita di molteplici influenze. In tale declinazione il liberalismo storico ha certo messo in luce e formalizzato alcuni punti ineludibili (quali quelli prima accennati) della "liberta' possibile", tuttavia non e' ne' giusto ne' legittimo attribuire al liberalismo stesso il monopolio della sensibilita' e dell'attenzione al problema della liberta' in quanto tale. Per questo se da un lato non e' possibile tralasciare il portato del liberalismo alla individuazione di possibilita' di liberta', dall'altro non e' possibile - come dimostrano, fra l'altro, teorizzazioni quali il proudhonismo, l'anarchismo americano dei Benjamin Tucker e delle Voltairine De Cleyre, il cooperativismo di Osvaldo Gnocchi-Viani - definire col termine liberalismo, o far risalire ad esso, ogni spinta libertaria. * Detto tutto questo, tuttavia, rimane certo vero che l'anarchismo attualista di Berneri e' stato un grande, seppur monco, tentativo di correzione e reinvenzione libertaria dell'anarchismo, un tentativo che, come appunto anche De Maria dimostra, si poneva al passo coi tempi non per un superficiale bisogno di essere alla moda, ma per l'acuta comprensione del fatto che la ricerca della liberta' e della giustizia, proprio perche' tale, non puo' mai essere ritenuta esclusivo patrimonio di qualche movimento o teoria, oppure conclusa anche nei suoi aspetti fondanti. Di tale ricerca, il Berneri che emerge dalle pagine di De Maria e' stato - quasi come un eroe tragico nella sua profonda consapevolezza della drammaticita' della situazione e dei problemi - tanto un attore quanto uno snodo, ed e' per questo che il merito maggiore del libro - oltre, ovviamente, a quelli specificamente storici e scientifici - e' quello di mostrare che questa stessa ricerca deve essere ripresa, continuata, approfondita. Anche oggi, e piu' che mai, infatti, come appunto Berneri scriveva: "il verbo dei Maestri e' da conoscersi e da intendersi, ma troppo i nostri maggiori rispettiamo per porre costoro a Cerberi ringhiosi delle proprie teorie, quasi come ad arche sante, quasi come a dogmi", ed e' anche per questo che: "Bisogna ripensare originalmente tutti i problemi del nostro tempo, restare aperti sull'avvenire". 7. LIBRI. SAVERIO AVERSA PRESENTA "NON CHIEDERE, NON DIRE? VITE DI GAY IN DIVISA" DI GIULIO RUSSO [Dal quotidiano "Liberazione" del 24 giugno 2006. Saverio Aversa vive a Roma dove lavora come educatore in un centro per disabili, attivista del movimento glbt e per i diritti umani, giornalista culturale, si occupa di culture delle differenze. Giulio Russo si occupa da anni della condizione dei gay e delle discriminazioni che subiscono; ha organizzato sportelli d'aiuto, seminari e incontri; con il Circolo Pink di Verona ha realizzato il volume Le ragioni di un silenzio. La persecuzione degli omosessuali durante il nazismo e il fascismo (Ombre corte, 2002), che organizza i materiali di una dei primissimi convegni sul tema. Opere di Giulio Russo: Non chiedere, non dire? Vite di gay in divisa, Ombre corte, 2006] Come da programma del Roma Pride, presso il circolo Mario Mieli si e' tenuto l'altra sera un interessante incontro pubblico per la presentazione del libro di Giulio Russo Non chiedere, non dire? Vite di gay in divisa, edito da Ombre Corte (pp.213, euro 18). Ospiti due dei cinque segretari del sindacato di polizia Siulp, Giuseppe De Matteis e Luigi Notari. * Il libro di Russo racconta le vicende di quindici omosessuali che sono poliziotti, carabinieri, soldati, vigili urbani; quindici uomini che dietro la divisa e il ruolo pubblico svolto nascondono sentimenti e attrazione verso altri uomini. Il giornalista Andrea Pini, introducendo la presentazione, ha proprio sottolineato la clandestinita' nella quale vivono i gay che indossano una divisa anche se ha ricordato l'apertura mentale e la disponibilita' di molti dirigenti e tra questi il compianto Nicola Calipari. Molti omosessuali debbono, tutti i giorni, far fronte all'ostilita', piu' o meno evidente, dei colleghi. Capita anche, fortunatamente, che amicizia e solidarieta' prendano il posto del dileggio, del disprezzo o soltanto dei comuni pettegolezzi. L'autore si e' chiesto: chi sono, come vivono, ma soprattutto dove sono i gay in divisa in Italia? Franco, maresciallo dei carabinieri, ha 46 anni e si definisce bisessuale/versatile, e' sposato, non ha mai fatto coming out sul posto di lavoro ma con qualche collega, dopo la scoperta reciproca della stessa condizione, ha intrattenuto relazioni e frequentazioni. Mario, capitano di marina, ha 55 anni e si e' congedato da qualche anno perche' non riteneva piu' conciliabile la vita militare con la necessita' di vivere in liberta' la propria omosessualita'. Carmine, finanziere, 35 anni, ha preso coscienza come gay qualche mese dopo aver indossato la divisa per la prima volta. Ha fondato il gruppo tematico "Militarigay", accessibile in internet, che modera e dirige. Vincenzo, carabiniere, 26 anni: "Mi sono arruolato quando il nostro amore era appena finito. Non andavamo piu' d'accordo e ciascuno ha preso la sua strada. Lui si e' sposato. I colleghi sanno di me, al massimo fanno le battutine, mai velenose pero'". Davide, poliziotto, 35 anni, dopo la denuncia di un tentativo di rapina subito in un luogo di ritrovo all'aperto frequentato da gay, i colleghi hanno saputo di lui e l'hanno bersagliato con un mobbing trasversale. Luca e' alpino, ha 29 anni e al momento e' in missione all'estero. A qualche collega ha rivelato di essere fidanzato con un ragazzo: "La mia gerarchia condannerebbe un omosessuale allo stesso modo di un eterosessuale che infanga l'onore della divisa". Renato, poliziotto, 35 anni: "Sento la compressione e l'oppressione di essere gay in Polizia, di essere attento a come ti comporti". * Significativa la partecipazione all'incontro dei due esponenti sindacali della polizia, un fatto piu' unico che raro che rappresenta un elemento nuovo nei confronti di un tabu' molto radicato basato sul luogo comune che la virilita', considerata indispensabile per le forze dell'ordine, e' strettamente correlata all'eterosessualita', mentre l'omosessualita' e' sinonimo di debolezza e di effeminatezza. De Matteis, confermando i numerosi episodi di mobbing verticale (attuato da un superiore) e orizzontale (attuato da colleghi di pari grado) ha affermato che quello che succede nel corpo di polizia e' comune a molti altri posti di lavoro anche se, di fatto, i lavoratori discriminati rimangono clandestini. Notari ha ricordato come anche per le donne lavoratrici si registrano episodi discriminatori legati alla sfera sessuale e ai permessi concessi per maternita'. Il forte cambiamento registrato con l'ingresso delle donne nel tempo e' stato ridimensionato: attualmente sempre meno donne si arruolano perche' e' richiesto un periodo di addestramento nell'esercito di almeno tre anni. * Russo mette inoltre in evidenza come da sempre i rapporti che i cittadini glbt hanno con le forze dell'ordine siano conflittuali. Il pregiudizio che ritiene l'omosessualita' una devianza e' ancora presente nella societa' e maggiormente in coloro che hanno la funzione istituzionale della sicurezza. Gli abusi da parte di rappresentanti delle forze dell'ordine continuano a ripetersi e sono il segno che l'evoluzione dei costumi incide piu' lentamente nei riguardi di chi gestisce il potere. Un altro aspetto del rapporto omosessuali-divise e' la difesa dei cittadini glbt dalle aggressioni che possono subire per esempio nei luoghi di cruising all'aperto oppure fuori dai locali gay. Chi viene aggredito, picchiato, rapinato o abusato ha, ancora oggi, difficolta' a sporgere denuncia. La paura di essere scoperto, di non avere un interlocutore adatto nelle forze dell'ordine, di ammettere di aver subito violenza inducono la vittima a tacere. Al momento non si hanno notizie di caserme o questure che hanno un referente per le violenze subite da gay, lesbiche, transgender o per i crimini basati sull'odio e l'intolleranza. Qualcosa comincia a cambiare e l'associazione di gay in divisa Polis Aperta fa giusto riferimento alla direttiva europea 2000/'78 che tutela dalle discriminazioni sul posto di lavoro basate su motivazioni religiose, convinzioni personali, disabilita' fisica e mentale, eta', orientamento sessuale e identita' di genere. La stessa direttiva e' stata paradossalmente stravolta dal governo Berlusconi che ne ha fatto una norma che discrimina a sua volta invece di tutelare, stabilendo casi di incompatibilita' tra mansioni lavorative e omosessualita' o transgenderismo. Polis Aperta e' nata nel 2005 con l'intento di sviluppare una rete di solidarieta' fra i soci e per assistere con le adeguate forme legali i soggetti discriminati. I gay in divisa hanno partecipato per la prima volta al Pride di Milano nel giugno dello stesso anno mentre nel novembre scorso a Firenze si e' tenuta una riunione dell'European gay police network ma con una partecipazione scarsa da parte dei rappresentanti italiani. 8. RISTAMPE. MARCO POLO: MILIONE Marco Polo, Milione, Mondadori, Milano 1982, 2006, pp. XXXII + 712, euro 12,90 (in suppl. a vari periodici Mondadori). Nelle redazioni toscana e franco-italiana per le egregie cure di Gabriella Ronchi e con introduzione di Cesare Segre. Infinitamente si vorrebbe tornare a questa infinita vicenda in cui trovi gli archetipi di ogni narrare, ogni viaggiare, ogni scoprire, ogni sperare, e la statura dell'essere umano misura di tutte le cose, e il mistero che tutto avvolge. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1341 del 29 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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