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La nonviolenza e' in cammino. 1340
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1340
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 28 Jun 2006 00:30:48 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1340 del 28 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. Nando dalla Chiesa: Felicita' 2. Alessandro Dal Lago: La guerra e le sue metamorfosi 3. Umberto Santino: Sul risultato delle elezioni regionali siciliane 4. Beatrice Busi presenta due recenti libri sulla biopolitica 5. Federica Resta presenta "La vita e le regole" di Stefano Rodota' 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. NANDO DALLA CHIESA: FELICITA' [Dal sito www.nandodallachiesa.it riprendiamo la seguente testimonianza. Nando dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente universitario, parlamentare; e' stato uno dei promotori e punti di riferimento del movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di straordinaria limpidezza morale. Dal sito sopra citato riprendiamo anche questa breve autopresentazione di Nando dalla Chiesa: "Chi sono? Uno che ama impegnarsi, specialmente se sono in gioco la liberta' e la giustizia. Ma anche la decenza mentale e morale. Insomma, mi piace la democrazia e ho cercato di darmi da fare per lei in tanti modi, anche se non ho ancora capito se lei me ne sia grata. Ora sono senatore ma domani non lo saro' piu'. Sono della Margherita ma sono soprattutto un ulivista convinto, praticamente un fan del partito democratico che si vorrebbe fare. Il mestiere, dite. Gia', sono un sociologo dell'economia, laureato in Bocconi e insegno la mia materia a Scienze Politiche di Milano (ma per ora sono in aspettativa). Scrivo libri (fino a oggi una ventina) e collaboro con diversi giornali. In particolare mi onoro di essere tra gli editorialisti dell'Unita' di Furio Colombo e Antonio Padellaro. Da qualche tempo sono anche editore. Ho fondato una casa editrice che non e' nemmeno piu' solo una promessa e che si chiama Melampo. Soci d'avventura, Lillo Garlisi e Jimmy Carocchi, miei allievi bocconiani arrivati al successo nell'editoria per i fatti loro. Faccio pure del teatro. O meglio, a tanto mi ha spinto l'era berlusconiana. E penso che nei prossimi anni mi ci dedichero' un bel po'. E infine, mi piace fondare. Mica solo la casa editrice. Ho fondato un circolo di nome 'Societa' civile' nella Milano degli anni ottanta. Una splendida creatura collettiva che ha tenuto botta al regime della corruzione di quel periodo. Poi, con il mio amico Gianni Barbacetto, ho fondato il mensile omonimo, grande esperienza giornalistica fatta da ragazzi irripetibili. Ho fondato con Leoluca Orlando e Diego Novelli la Rete, un movimento che diede agli inizi degli anni novanta dignita' politica nazionale all'idea che si dovesse combattere la mafia. Ho fondato il piccolo movimento di Italia democratica, anche quello con mensile, che conflui' nell'Ulivo battendosi contro il razzismo e la secessione. E pure Omicron, rivista sulla criminalita' organizzata al nord, sempre con Gianni Barbacetto. E il comitato di parlamentari 'La legge e' uguale per tutti' per fronteggiare l'offensiva del signor B.; un comitato alla testa di tante manifestazioni degli ultimi cinque anni e che ha prodotto l'unica esperienza di teatro civile al mondo fatto da parlamentari. Ho anche fondato con Fabio Zanchi e Lidia Ravera il Mantova Musica Festival, giunto ormai alla terza edizione e nato per contestare Sanremo finito nelle mani di Tony Renis. Soprattutto ho fondato una famiglia con Emilia. Ne sono nati Carlo Alberto e Dora, i miei gioielli, che se li avesse visti Cornelia ne sarebbe rimasta folgorata, altro che i suoi Gracchi, con tutto il rispetto...". Opere di Nando dalla Chiesa: Il potere mafioso. Economia e ideologia, Mazzotta 1976; Delitto imperfetto. Il generale, la mafia, la societa' italiana, Mondadori 1984, Editori Riuniti 2003; (con Pino Arlacchi), La palude e la citta'. Si puo' sconfiggere la mafia, Mondadori 1987; Il Giano bifronte. Societa' corta e colletti bianchi: il lavoro, la cultura, la politica, Etas libri 1987; Storie di boss ministri tribunali giornali intellettuali cittadini, Einaudi 1990; Dizionario del perfetto mafioso. Con un breve corso di giornalismo per gli amici degli amici, Mondadori 1990; Il giudice ragazzino. Storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione, Einaudi 1992; Milano-Palermo: la Nuova Resistenza (a cura di Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi 1993; I trasformisti, Baldini & Castoldi 1995; La farfalla granata. La meravigliosa e malinconica storia di Gigi Meroni il calciatore artista, Limina 1995; La politica della doppiezza. Da Andreotti a Berlusconi, Einaudi 1996; (a cura di), Carlo Alberto dalla Chiesa, In nome del popolo italiano. Autobiografia a cura di Nando dalla Chiesa, Rizzoli 1997; Storie eretiche di cittadini perbene, Einaudi 1999; Diario di fine secolo. Della politica, della giustizia e di altre piccolezze, Edizioni Pequod 1999; La partita del secolo. Storia di Italia-Germania 4-3. La storia di una generazione che ando' all'attacco e vinse (quella volta), Rizzoli 2001; La legge sono io. Cronaca di vita repubblicana nell'Italia di Berlusconi. L'anno dei girotondi, Filema edizioni 2002; La guerra e la pace spiegate da mio figlio, Filema edizioni 2003; La scuola di via Pasquale Scura. Appassionato elogio dell'istruzione pubblica in Italia, Filema edizioni 2004; La fantastica storia di Silvio Berlusconi. Dell'uomo che porto' il paese in guerra senza avere fatto il servizio militare, Melampo 2004; Capitano, mio capitano. La leggenda di Armando Picchi, livornese nerazzurro, Limina 1999, nuova edizione 2005; Vota Silviolo!, Melampo 2005. Scritti su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono in vari libri di carattere giornalistico (tra gli altri di Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa, Corrado Stajano); tra le intervista si veda ad esempio quella contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli 1988. Il sito di Nando dalla Chiesa e': www.nandodallachiesa.it] Sono felice. Felice. Di una felicita' intensa. Immensa. Viva l'Italia del 26 giugno. Viva l'Italia che ha fatto la cosa piu' importante che un popolo possa fare: difendere la sua Costituzione. Viva Milano, medaglia d'oro della Resistenza, che ha fatto vincere i no, unico capoluogo con Mantova in tutta la Lombardia. Sabato sera, quando mi erano stati comunicati i risultati dei vari sondaggi d'opinione (vincono di misura i si' se vota piu' del 50 per cento), ero stato preso dall'angoscia. Avevo pensato che se la Costituzione fosse stata ripudiata dagli italiani, sarebbe stato il completamento di uno sfacelo etico-politico. Che non ci saremmo piu' ripresi. Magari avrebbe tenuto il governo. Ma il suo fondamento etico non sarebbe stato piu' lo stesso. Ho preso le gocce per dormire, dicendo a chi mi stava intorno nel breve week end di riposo che "se vince il si' e' come se mi cambiassero il cognome, la mia carta d'identita'". Non esageravo, per me era davvero cosi'. Non e' stato cosi'. Abbiamo vinto. E abbiamo gioito stasera in piazza Duomo, in trecento, chiamati all'ultima ora da me medesimo e da alcuni amici, perche' sembrava che nessuno avesse voglia di festeggiare. Per carita', non sia mai che ci facciamo del male... Abbiamo ringraziato le signore dei gazebo, perche' l'impegno di questi mesi e' stato in gran parte femminile. Sventolato il tricolore del 26 giugno e della Liberazione, mentre Speroni annunciava che l'Italia e gli italiani fanno schifo (che e' quello che lui e i suoi amici pensano realmente...). Quando ho invitato una mia amica a venire in Duomo mi ha risposto che era a Roma, dove si erano riuniti a festeggiare quelli che hanno lavorato "davvero" per il referendum. Complimenti a chi ha lavorato "davvero". E chissa' se cambieremo mai. Io mi auguro solo che questa vittoria non ci faccia montare la testa. E non ci faccia pensare che per gli italiani tutto va bene cosi' com'e' stato finora. Ne' ci induca a inciuci gia' tentati con esiti micidiali. Nel frattempo diamo un'occhiata a chi doveva svolgere una funzione di garanzia alla Rai: non ha saputo dare alcuna garanzia nemmeno quando c'e' stata di mezzo la posta suprema della Costituzione. Chi garantisce che cosa? 2. RIFLESSIONE. ALESSANDRO DAL LAGO: LA GUERRA E LE SUE METAMORFOSI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 giugno 2006 riprendiamo l seguente saggio li' apparso come anticipazione dalla rivista ´Conflitti globali" giunta al terzo numero. Alessandro Dal Lago e' docente di sociologia dei processi culturali all'Universita' di Genova, presso la stessa Universita' coordina un gruppo di ricerca sui conflitti globali; e' membro della redazione della rivista filosofica "aut aut", ha curato l'edizione italiana di opere di Hannah Arendt e di Michel Foucault. Tra le opere di Alessandro Dal Lago segnaliamo particolarmente Non-persone. L'esclusione dei migranti in una societa' globale, Feltrinelli, Milano 1999. Cfr. inoltre: I nostri riti quotidiani, Costa & Nolan, Genova 1995; (a cura di), Lo straniero e il nemico, Costa & Nolan, Genova 1997; La produzione della devianza, Ombre corte, Verona 2001; Giovani, stranieri & criminali, Manifestolibri, Roma 2001. Polizia globale. Guerra e conflitti dopo l'11 settembre, Ombre corte, Verona 2003] Quando le truppe delle nazioni belligeranti cominciarono a massacrarsi nell'estate del 1914, le loro divise erano per lo piu' quelle di trent'anni prima. Con l'eccezione degli inglesi, che avevano rinunciato da tempo alla tradizionale giubba rossa in favore del kaki, tutti gli altri mantenevano i segni esteriori di un modo di combattere che non esisteva piu'. I belgi portavano ancora il kepi' e le spalline con le nappe, mentre i tedeschi avevano ancora l'elmo con il chiodo della guerra franco-prussiana. I russi erano abbigliati con la tipica tunica contadina e il berretto con visiera della guerra con i giapponesi. I francesi avevano il lungo cappotto rimboccato e spesso i pantaloni rossi del 1870. I copricapi della cavalleria erano vari e bizzarri quanto le specialita' di un'arma considerata ancora la piu' nobile, mentre i corazzieri portavano ancora la corazza e il cimiero con la coda di cavallo. Nel giro di pochi mesi, la guerra di trincea cancello' tutto questo tripudio di colori, mostrine, coccarde ed elmi luccicanti. I cavalli restarono nei trasporti e, sostituiti progressivamente da camion e, verso la fine della guerra, dai prototipi di carri armati, finirono in gran parte per essere mangiati. I combattenti si assomigliarono tutti, spettri grigiastri in tute stracciate sullo sfondo di panorami tutti uguali: trincee fangose, pianure disseminate di mozziconi d'alberi e bucate dalle voragini delle esplosioni. I soldati erano divenuti operai della morte di massa. * Da guerriero a operaio La trasformazione del guerriero in operaio - come aveva preconizzato Ernst Juenger - trovo' il suo apice nella seconda guerra mondiale e nei conflitti che seguirono: Indocina, Corea, Vietnam. In una delle battaglie piu' sanguinose ed emblematiche del secondo conflitto mondiale, Stalingrado, gli operai russi saltavano direttamente su carri armati che avevano appena finito di assemblare per affrontare i tedeschi. I vietminh e i vietcong allestivano vere e proprie citta' sotterranee dotate di ospedali, officine e depositi da cui sbucavano per gettarsi contro francesi e americani. Forse, l'esempio estremo di una societa' civile che si prolunga, senza soluzione di continuita', nel suo esercito e' Israele, un paese in cui ogni studente, lavoratore o tecnico e' prima di tutto un soldato potenziale, pronto a raggiungere il suo reparto in poche ore. E' in tutti questi conflitti che il soldato-operaio si e' trasformato in soldato-tecnico, finendo per obliterare il suo predecessore. Indipendentemente dalla natura degli eserciti contemporanei (per lo piu' formati da volontari, con l'eccezione di Israele), il combattente e' divenuto ormai un "operatore". Gli strumenti che impiega sono complessi, sofisticati, costosissimi. Nelle visioni della Rma (la "rivoluzione nelle questioni militari", di cui si discute incessantemente negli Stati Uniti da un quindicennio), arerei e carri armati senza pilota, per non parlare di veri e propri robot capaci di autonomia operativa, tendono a sostituire i combattenti in carne e ossa. Il sistema di comando e di controllo, che comprende ormai il coordinamento di satelliti, specialisti sul terreno, artiglieria, aviazione tattica e strategica, e' interamente informatizzato e largamente automatizzato, almeno nelle intenzioni e nei progetti. Un esercito sul terreno tende ad assomigliare a una sorta di impresa delocalizzata, con i suoi complicati sistemi di approvvigionamento, produzione automatica just in time, turn-over delle maestranze, management ad hoc, marketing, pubblicita', struttura delle comunicazioni. Si tratta di produrre morti, invece che beni oppure servizi, ma, come si puo' vedere dalla progressiva integrazione di business strategico e strategia del business, metodi industriali e metodi militari finiscono per convergere. I comandi militari, in Iraq o in Afghanistan, ricordano, con le file di postazioni di computer in cui siedono uomini e donne in divisa, gli uffici di societa' finanziarie in cui, fianco a fianco, giovani vestiti tutti allo stesso modo spostano sugli schermi ingenti quantita' di denaro. Naturalmente, si tratta di una versione caricaturale della realta', se non di un'utopia. Questo modo aziendalistico di concepire la guerra si scontra con il fatto banale che nessuna armata iper-tecnologica e' immune dai contraccolpi di quella che viene definita guerra asimmetrica. Alla fine il combattente, per quanto iper, iper-nutrito, iper-armato e iper-specializzato, deve affrontare il nemico, il quale non e' disposto ad accettare in partenza di essere sconfitto perche' arretrato. Insomma, anche il supersoldato contemporaneo - attrezzato piu' come un astronauta che come un combattente tradizionale - deve misurarsi con l'"altro" in qualche momento della verita'. Ed ecco forme "sleali" di guerra - attentati, agguati, colpi sparati a casaccio, autobombe, attacchi suicidi - di fronte a cui anche l'attuale "impresa militare" si trova a mal partito, almeno fino a quando il fattore umano restera' decisivo. * Antidoti all'asimmetria Il soldato-operatore torna di colpo un fantaccino, quando scopre che il suo modo di fare la guerra ha gia' creato degli antidoti. Inventare antidoti agli antidoti e' l'obiettivo supremo di un pensiero strategico vittima probabilmente delle illusioni dell'opulenza e della tecnologia. Ma l'evoluzione dei combattenti secondo le linee evolutive del progresso economico e tecnologico - dall'artigiano al soldato e da questi al tecnico, fino all'utopia dell'operatore intoccabile - e' soltanto un aspetto della metamorfosi della guerra. Persino nella piu' automatizzata delle imprese, qualcuno - di solito un lavoratore sottopagato, uno straniero, un nativo, un clandestino - deve assicurare le condizioni oggettive o rimuovere i resti materiali della produzione "intelligente": manutentori, spedizionieri, cuochi, lavapiatti, uomini e donne delle pulizie. Ed ecco che, analogamente, le armate avveniristiche si avvalgono dei servizi di una schiera di operatori che assicurano la sopravvivenza, sotto ogni punto di vista, degli uomini in divisa: camionisti, cuochi, guardie del corpo e perche' no, anche addetti agli interrogatori, tutta gente definita con il generico termine di contractor, in cui rientrano veri e propri mercenari, figure ambigue di specialisti che hanno un piede dentro l'armata e uno nelle imprese che forniscono sicurezza, disperati e avventurieri di ogni tipo. Il peso di questo esercito di comprimari nell'ombra, che nella guerra del Golfo era intorno al 10 per cento, e' cresciuto nei Balcani ed e' probabilmente pari a un quinto delle truppe regolari nell'Iraq contemporaneo, dove si aggiunge a tutti gli imprenditori d'avventura che partecipano alla "ricostruzione", agenti dei servizi segreti, diplomatici e guardie private che proteggono gli uni e gli altri e se stessi. * Security globale Mentre la guerra si privatizza, la sicurezza interna ai paesi che partecipano a qualsiasi titolo a conflitti esterni, si militarizza. Nell'epoca di enduring freeedom e della guerra senza fine al terrorismo, e' divenuto normale vedere agli angoli delle strade, nelle stazioni e negli aeroporti uomini in divisa, regolari o privati incaricati di proteggere, ispezionare o semplicemente rassicurare. In realta', come dimostrano gli esempi di Seattle e di Genova, la comparsa di ogni tipo di armigeri in pubblico e in operazioni che in teoria dovrebbero essere civili e' precedente all'11 settembre. Ma dopo questa data, la loro presenza e' normale e di fatto accettata, cosi' come lo sono il controllo delle comunicazioni private e persino l'attivita' di agenti segreti che, a dispetto di confini, sovranita' nazionali e leggi, danno la caccia a terroristi, reali, presunti o simpatizzanti, radicali, islamisti o semplicemente a chi e' ritenuto rientrare in queste categorie. Cosi', se e' vero che la guerra - salvo tragiche eccezioni - e' tenuta lontano dall'occidente o dal nord ricco del mondo, la sua ombra si allunga sulla vita quotidiana e sul nostro modo di pensare. Non importa perche' si va a morire in terre lontane, se si e' soldati regolari, o se ci si va per denaro se si e' operatori civili. E' sufficiente andarci e trovare la morte per meritare il plauso ufficiale della nazione, e persino riconoscimenti al valor "civile" che un tempo sarebbero stati conferiti a vedove di intrepidi pompieri o giovani ardimentosi capaci di strappare una scolaretta a un fiume in piena. * Sotto mentite spoglie Dumezil, in un famoso saggio, rifletteva sullo statuto ambivalente del guerriero, onorato e al tempo stesso tenuto ai margini della vita civile. Qualcuno che si macchia di sangue in nostro nome e che, pertanto, esauritasi la necessita' del tempo di guerra, la societa' rimuove, dopo averlo ricoperto di medaglie e stordito con le fanfare. Sembra che oggi l'ambivalenza si stemperi in ambiguita', ipocrisia e dissimulazione. Poiche' operatori militari e lavoratori della sicurezza tendono ad essere la stessa cosa, se non le stesse persone, guerra e pace, vita militare e vita civile si compenetrano. Ma non e' la civilta' ad avere colonizzato la guerra. E' questa, sotto le mentite spoglie della protezione sociale, a colonizzarci. Certo, tutto e' cominciato, apparentemente, quando la citta' simbolo del ventesimo secolo, la sua capitale, e' stata colpita nelle sue insegne piu' vistose. Ma chi potra' stabilire, quando la storia di tutto questo sara' scritta equanimemente o almeno in una prospettiva storica e non d'emergenza, chi davvero ha cominciato per primo? Importava a Omero di dare in eterno la colpa a Paride della guerra di Troia? Sta di fatto che una volta metabolizzata, la guerra resta tale anche se si traveste da civilta'. E questa e' l'estrema metamorfosi della guerra, divenire una variante della vita quotidiana. 3. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: SUL RISULTATO DELLE ELEZIONI REGIONALI SICILIANE [Dal sito del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente intervento di Umberto Santino originaramente apparso sulla rivista "Carta", n. 21, del 9 giugno 2006. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su questo stesso foglio nei nn. 931-934. Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino assassinato dalla mafia, e' da molti anni insieme a don Luigi Ciotti la principale animatrice dell'associazione "Libera", la principale rete dei movimenti della societa' civile impegnati contro la mafia. E' stata recentemente eletta consigliera alla Regione Sicilia. Dal sito della Wikipedia (http://it.wikipedia.org) riprendiamo la seguente piu' ampia notizia biobibliografica: "Rita Borsellino (Palermo, 2 giugno 1945) e' una cittadina siciliana nota per il suo impegno in campo politico e sociale. Sorella del magistrato Paolo Borsellino, nel 1967 si laureo' in farmacia all'Universita' degli Studi di Palermo, esercitando la professione di farmacista nel capoluogo siciliano per vari anni. E' divenuta, in seguito all'assassinio del fratello, testimone della lotta alle criminalita' organizzate. Nel 1995 divenne vicepresidente di Libera, associazione antimafia fondata da don Luigi Ciotti, di cui e' stata nominata presidentessa onoraria nel 2005. Con Libera ha contribuito in maniera determinante allíapprovazione delle legge 109/96 sull'uso sociale dei beni immobili confiscati alle mafie e sostiene attivamente il progetto Libera Terra. Dal 1992 e' impegnata attivamente nella societa' civile nel campo dell'educazione alla legalita' democratica, nel diffondere una cultura di giustizia e solidarieta', non solo per tener vivo il ricordo del fratello e di tutte le vittime della mafia, ma soprattutto perche' in particolare le nuove generazioni attraverso la conoscenza dei fatti acquistino consapevolezza dei propri diritti, del valore della legalita' e della democrazia, una coscienza critica e responsabile che, una volta adulte, consenta loro di fare scelte giuste e coerenti per il bene loro e della collettivita' nella quale sono chiamate a vivere. Dal 1994 assieme all'Arci Sicilia e in seguito con la collaborazione di Libera contribuisce all'ideazione e alla crescita dell'iniziativa della Carovana Antimafie, un'esperienza ormai di carattere internazionale che mira a "portare per tutte le strade" l'esperienza di un'antimafia propositiva che vuole incidere positivamente sulla realta' economica, sociale, amministrativa dei luoghi che attraversa stringendo intrecci solidali ed etici tra i cittadini, le istituzioni e le diverse realta' della societa' civile organizzata presenti sui territori. Dal 1998 e' presidentessa della 'Associazione Piera Cutino - guarire dalla talassemia', associazione senza scopo di lucro che promuove la ricerca medica contro la talassemia. Numerose sono state le sue iniziative contro le attivita' mafiose ed in favore dell'emancipazione delle donne. Tra le sue opere, impregnate proprio di questi temi, si ricordano Nonostante Donna. Storie civili al femminile (1996); La fatica della legalita' (1999); I ragazzi di Paolo. Parole di resistenza civile (2002); Fare memoria. Per non dimenticare e per capire (2003); Rita Borsellino - Il sorriso di Paolo (2005). Alla fine del 2005 si e' intensificato il suo impegno politico accettando la proposta, veicolata dalla coalizione di centrosinistra, di candidarsi alla presidenza della Regione Sicilia nelle amministrative della primavera 2006... E' sposata dal 1969 e ha tre figli"] Rita Borsellino non ce l'ha fatta. Certo, il consenso per Cuffaro si e' notevolmente ristretto (passa dal 59 per cento delle regionali del 2001 all'attuale 52,9), la Borsellino riesce a raggiungere il 42,2 per cento, mentre Leoluca Orlando nel 2001 era arrivato solo al 36,6, ma il dato di fondo e' che la maggioranza dell'elettorato siciliano rimane legata a un sistema di potere che rimonta agli anni '40, ai primi passi della Regione a statuto speciale. E bisogna chiedersi perche' e' durato tanto tempo. La risposta, almeno in termini generali e schematici, non e' difficile. La Democrazia cristiana prima, il centrodestra adesso sono riusciti a coltivare gli interessi degli strati sociali piu' forti, piu' o meno direttamente legati ad ambienti mafiosi, e a tenere a galla una rete di consenso tra gli strati piu' deboli, distribuendo redditi e offrendo opportunita' che assicurino la sussistenza. Le sinistre e il centrosinistra non sono riusciti e non riescono a costruire un blocco sociale alternativo. Con la candidatura di Rita Borsellino, venuta dopo vani tentativi di trovare una candidatura credibile tra le file dei partiti, si era aperta una prospettiva nuova, che ha portato al coinvolgimento della societa' civile nella redazione del programma, ma nella scelta dei candidati sono ritornati a pesare vecchi vizi. Esigua e inadeguata la rappresentanza dell'associazionismo, nessuno spazio ai protagonisti di lotte esemplari, come quella per la casa; i partiti, che hanno considerato la Borsellino un personaggio estraneo e hanno maldigerito la sua vittoria nelle primarie, hanno imposto i loro uomini e non si sono certo sbracciati durante la campagna elettorale. Tutto questo puo' avere influito, ma il problema di fondo rimane la mancanza di una strategia politica. Le iniziative antimafia degli ultimi anni, nelle scuole, con l'antiracket e l'uso sociale dei beni confiscati, non sono riuscite a far lievitare un movimento di liberazione in cui si riconosca gran parte della popolazione. Puo' anche darsi che, utilizzando il voto disgiunto, si sia voluto esprimere il distacco da Cuffaro per le sue disavventure giudiziarie, ma dopo gli esempi di Marcello Dell'Utri, di Gaspare Giudice, Calogero Mannino, dello stesso Cuffaro, candidati ed eletti alle elezioni politiche nonostante i processi in corso, non tener conto delle incriminazioni e neppure delle condanne fa parte del paesaggio politico nazionale. Cosa fare adesso? Le elezioni regionali non sono l'ultima spiaggia e fare una buona opposizione non significa rassegnarsi a gestire la sconfitta in qualche modo. Se si vuole costruire una strategia bisogna elaborare progetti che diano risposte concrete ai problemi posti dalla disoccupazione e dalla precarieta', dai bisogni collettivi, organizzando la partecipazione, riscoprendo la presenza sul territorio, senza attendere miracoli e senza riproporre deleghe. Se si camminera' in questa direzione, queste elezioni possono essere una premessa e un laboratorio e non la riconferma di una Vandea senza speranza. 4. LIBRI. BEATRICE BUSI PRESENTA DUE RECENTI LIBRI SULLA BIOPOLITICA [Dal quotidiano "Liberazione" del 23 giugno 2006. Beatrice Busi, giornalista e saggista, impegnata nell'esperienza di "A/Matrix", collabora con varie testate. Antonella Cutro e' ricercatrice presso l'Universita' degli Studi di Salerno. Si occupa in particolare del rapporto tra pensiero politico e saperi biologici. Opere di Antonella Cutro: Michel Foucault. Tecnica e vita. Biopolitica e filosofia del bios, Bibliopolis, 2004; (a cura di), Biopolitica. Storia e attualita' di un concetto, Ombre Corte, 2005. Michel Foucault, filosofo francese (Poitiers 1926 - Parigi 1984), critico delle istituzioni e delle ideologie della violenza e della repressione. Opere di Michel Foucault: Storia della follia nell'eta' classica, Rizzoli; Raymond Roussel, Cappelli; Nascita della clinica, Einaudi; Le parole e le cose, Rizzoli; L'archeologia del sapere, Rizzoli; L'ordine del discorso, Einaudi; Io, Pierre Riviere..., Einaudi; Sorvegliare e punire, Einaudi; La volonta' di sapere, Feltrinelli; L'uso dei piaceri, Feltrinelli; La cura di se', Feltrinelli. Cfr. anche i tre volumi di Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, Feltrinelli. In italiano sono stati pubblicati in volume anche molti altri testi e raccolte di interventi di Foucault, come Malattia mentale e psicologia, Cortina; Questa non e' una pipa, Serra e Riva, Scritti letterari, Feltrinelli; Dalle torture alle celle, Lerici; Taccuino persiano, Guerini e associati; e varie altre raccolte di materiali, trascrizioni di conferenze, seminari. Opere su Michel Foucault: tra le molte disponibili segnaliamo Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza; Vittorio Cotesta, Linguaggio, potere, individuo, Dedalo; Hubert L. Dreyfus, Paul Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie; Didier Eribon, Michel Foucault, Flammarion; Francois Ewald, Anatomia e corpi politici. Su Foucault, Feltrinelli; Jose' G. Merquior, Foucault, Laterza; Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri; Paolo Veronesi, Foucault: il potere e la parola, Zanichelli; cfr. anche il recente volume di "Aut aut", n. 232, settembre-ottobre 2004, monografico su Michel Foucault e il potere psichiatrico] Piu' che ad una categoria del pensiero, la biopolitica assomiglia ad uno strano animale proteiforme. Flessibile, liquida e sinuosa, riesce ad adattarsi ad ambienti teorici molto diversi tra loro. Come testimonia l'antologia curata da Antonella Cutro (Biopolitica. Storia e attualita' di un concetto, Ombrecorte, pp. 171, euro 16) l'idea di un "governo della vita" ha un'origine lontana e un raggio d'azione molto ampio che si estende dal concetto positivista di biocrazia coniato da Auguste Comte a meta' dell'Ottocento fino alle ricerche attuali del gruppo dei Biopolitics americani, impegnati nella definizione di un approccio biologico allo studio della politica. In mezzo ci sono alcuni tristissimi capitoli della storia del pensiero occidentale che tracciano una linea di continuita' tra l'eugenetica statunitense di inizio Novecento e la tanatopolitica nazista entrambe legate a quelle estremizzazioni razzistiche del darwinismo sociale che tentava spiegazioni biologiche delle disuguaglianze di classe. * Per chi intende la politica non solo come tecnica della governance ma soprattutto come arte creativa per una radicale trasformazione dell'esistente, il lavoro fondamentale nella riflessione sulla biopolitica rimane comunque quello di Michel Foucault. Il filosofo francese la utilizza per la prima volta in una conferenza sulla nascita della medicina sociale tenuta nel 1974 all'Universita' di Rio de Janeiro, ma e' nel primo volume della Storia della sessualita' che vengono gettate le basi della tesi sulla biopolitica sviluppata tra il 1976 e il 1979 nei corsi svolti al College de France. "Si potrebbe dire che al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si e' sostituito un potere di far vivere o di respingere nella morte... La vecchia potenza della morte in cui si simbolizzava il potere sovrano e' ora ricoperta accuratamente dall'amministrazione dei corpi e dalla gestione calcolatrice della vita". Il passaggio di consegne dal potere sovrano al biopotere si costituisce e si articola principalmente in due forme: una "anatomo-politica del corpo umano" impegnata nel processo di normalizzazione delle sessualita' eccentriche oltre che dell'addomesticamento dei corpi ai ritmi e alle esigenze del lavoro produttivo e riproduttivo, ma anche una "bio-politica della popolazione", ovvero la creazione di un apparato specifico di sapere e potere che passa attraverso fenomeni di "statalizzazione del biologico" legati all'affermazione dell'economia liberale come strumento di governo. "Su questo sfondo si puo' capire l'importanza assunta dal sesso come oggetto di scontro politico: esso e' l'elemento di connessione dei due assi lungo i quali si e' sviluppata tutta la tecnologia politica della vita... il sesso e' contemporaneamente accesso alla vita del corpo e della specie. Ci si serve di esso come matrice delle discipline e principio delle regolazioni". * Tra le cinquantasei voci che costituiscono il recente e corposo volume Lessico di biopolitica (Manifestolibri, pp. 382, euro 30), le piu' interessanti sono proprio quelle piu' fedeli all'impostazione foucaultiana che desiderava tenere assieme problematizzazione della biopolitica e analisi sull'emergere di pratiche di resistenza radicate nel corpo. Talmente fedeli a Foucault da reiterarne anche la sua sottovalutazione del movimento femminista che ha invece rappresentato un potentissimo "brivido sociale" proprio a partire dalla politicizzazione del sesso e delle relazioni. In particolare sono i lemmi relativi a Corpi, Differenze, Singolarita' e Sessualita', oltre a quella specifica sulle Pratiche di resistenza che ci aiutano ad uscire dal dibattito accademico. "Riappropriandosi del diritto a esprimere un sapere sulla propria condizione, i gay, le lesbiche, i delinquenti, i pazzi, hanno fatto emergere le strategie attraverso cui i discorsi medici, giuridici, scientifici, religiosi, delegittimano e squalificano le loro condotte. A partire dalla denaturalizzazione delle proprie forme di vita, le minoranze hanno avviato una lotta politica contro il sistema sociale che crea esclusione e stigma" ("Pratiche di resistenza"). Ma lo sganciamento della sessualita' dalla riproduzione e delle identita' dal sesso anatomico operato dai movimenti degli anni Settanta che ha aperto ampi spazi di liberta' sociale nei processi di soggettivazione, di costruzione delle identita' e delle relazioni affettive, e' una lotta politica ancora attualissima. "La riduzione a natura di qualunque stile di vita poco incline al conformismo sociale e' un escamotage della razionalita' scientifica per difendere i confini normativi definiti dall'organizzazione politico-sociale": una mossa riduzionista che sembra non conoscere sosta e deve farci stare costantemente in guardia riguardo ad ogni "uso pubblico" della biologia in favore di una presunta naturalita' dell'ordine sociale. E la tendenza neoconservatrice di una larga parte della maggioranza di governo che si e' espressa nell'istituzione di un Ministero della famiglia e di una Commissione interministeriale di bioetica presieduta dal Ministro degli interni, la dice lunga sull'attualita' stringente di una riflessione e un dibattito approfondito sulla biopolitica. Come abbiamo tristemente gia' sperimentanto durante la campagna referendaria sulla legge 40, la posta in gioco attuale nello scontro tra Stato, Chiesa e Grande Scienza e' proprio la stessa definizione di "vita". Ma come sottolinea Foucault, "questo non significa che la vita sia stata integrata in modo esaustivo a delle tecniche che la dominano e la gestiscono; essa sfugge senza posa". * Dopo la potente esperienza dei movimenti delle "minoranze" negli anni Settanta rimane aperto l'interrogativo su quali siano le forme dell'organizzazione e della lotta adeguate al presente. Rileggendo Foucault, quando nella Volonta' di sapere scrive che e' la vita intesa "come bisogni fondamentali, essenza concreta dell'uomo, realizzazione delle sue virtualita' e pienezza del possibile" a rappresentare la posta in gioco delle lotte politiche contemporanee anche quando si modulano attraverso richieste di diritti, non possiamo non guardare al significato dei movimenti recenti che, da Roma a Parigi, hanno espresso gesti di ribellione e biosindacalismo radicale contro la precarieta' come dispositivo di controllo postfordista. Diritto alla casa, diritto al reddito, diritto alla formazione e alla libera circolazione dei saperi, diritto alla liberta' di movimento delle persone significano semplicemente diritto alla vita. L'unico diritto alla vita che un governo di centrosinistra dovrebbe preoccuparsi davvero di garantire: di fronte alle continue rapine del biopotere le lotte sociali non possono essere arrestate. Piuttosto, sono destinate a generalizzarsi. 5. LIBRI. FEDERICA RESTA PRESENTA "LA VITA E LE REGOLE" DI STEFANO RODOTA' [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 giugno 2006. Federica Resta insegna diritto penale all'Universita' di Foggia e collabora a varie pubblicazioni specializzate. Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo, Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e' Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste "Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al 2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994; Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997; Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano 2006] Qual e' il vero limite, il katechon, del nostro fare quando esso coinvolge la vita? Spesso inseguiamo etiche immaginarie o ci affidiamo a improbabili leggi, finendo per riprodurre quel mondo joyceano insieme "stracolmo di cultura e totalmente privo di saggezza". L'incipit di Stefano Rodota' e' coinvolgente: il diritto cui si rimanda costantemente quando sono in ballo le questioni del nascere, del vivere, del morire, e' nello stesso tempo troppo presente e troppo assente. Vive di vuoti e pieni: o e' ipertrofico e eccessivo, o del tutto latitante. Caduta l'illusione illuministica di poche e chiare leggi, oggi ci ritroviamo con una melmosa inflazione di norme che appannano e spesso rimuovono il problema. I novissima che si affacciano sotto forma di hard cases, casi difficili, da Terry Schiavo a Mrs. Pretty a Perruche, ne sono una puntuale conferma. Liberta'/costrizione; responsabilita'/immunita'; scelta/imposizione; possibilita'/necessita'; rispetto/violazione; legittimita'/violenza. Sono soltanto alcune delle coppie oppositive, con le quali ciascuno di noi si confronta ogni giorno, soprattutto quando sono in ballo le scelte della vita quotidiana. Sono i poli opposti di un conflitto su cui la societa' costruisce dinamiche ed equilibri, in una profonda e costante tensione tra la vita e le regole. * Potere sublimato Rodota' torna oggi a farci riflettere su questo gioco, sottile e complesso ad un tempo, tra l'"eccedenza" della vita rispetto ad ogni forma che ne cristallizzi il fluire, e la pretesa, titanica ed allo stesso tempo ingenua, del diritto di disciplinarne ogni aspetto; anche quelle dinamiche multiformi e inspiegabili che parlano una lingua diversa inaccessibile alla semantica delle norme, dei divieti, della regolamentazione degli spazi di liberta'. In un'epoca in cui la tecnica sembra mutare gli stessi confini ed il senso profondo della vita e delle sue figure (il corpo, la nascita, la morte, il dolore, l'identita' fisica e psichica, la convivenza, l'autodeterminazione, gli spazi e le condizioni della realizzazione del se'), una politica del diritto arrogante avanza la pretesa di decidere quando e come la vita debba avere un inizio ed una fine; se e in che termini assicurare il dominio del se', la trasparenza e il controllo della propria sfera privata; se e a quali condizioni garantire a ciascuno la realizzazione della propria personalita' conformemente al proprio sistema di valori e alle proprie aspirazioni legittime. Nel disciplinare la volonta' di potenza della tecnica sulla vita, il diritto ne simula il codice del potere, sublimato e ritualizzato nell'idea, "demonicamente ambigua", della forza della legge. Come quella della tecnologia scientifica, definita da Nietzsche "lunga e antica paura, fattasi infine sottile, spirituale, intellettuale", la storia del diritto e del processo di normazione della vita affonda le sue radici nel tentativo di esorcizzare il terrore della violenza, affermando malinconicamente l'inviolabilita' di diritti umani minacciati da quella stessa umanita' che vorrebbe tutelarli. La realta' attuale dimostra tragicamente il paradosso di un diritto che, nella pretesa di tutelare l'umanita' da se stessa oltre ogni limite e ad ogni costo, rinnega la propria differenza dalla forza. Si pensi al Patriot Act statunitense che, in nome della suprema esigenza di sicurezza della societa' da un nemico dall'identita' incerta, ha giustificato gravi violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini, costruendo uno stato di polizia globale che fa della tecnologia un'arma per la tanatopolitica, legittimando la tortura e la carcerazione indefinita di persone, anche soltanto sospettate di essere enemy aliens. Ma non meno violente e illiberali sono le leggi che, imponendo un sistema eteronomo di valori di cui proclamano la cogenza universale, pretendono di sostituirsi alla persona nella scelta su aspetti decisivi della vita, soprattutto, ma non solo, nel rapporto con la tecnica (se e come procreare, in che limiti accettare il dolore e la cura, quando preferire una morte dignitosa ad un'esistenza artificiale, ma anche se e perche' portare il chador, quale modello di famiglia scegliere, fino a che punto accettare le nuove "schiavitu'" derivanti da usi impropri della genetica e della telematica). In nome di un astratto dovere pubblico di tutela dell'individuo da se stesso, il diritto finisce con l'espropriare la persona del proprio "spazio di decisione" sulle scelte che ne riguardano la vita, il corpo e l'identita' che esso, unione di soma e psyche', esprime. Ma del rapporto tra tecnica e vita, il diritto simula la piu' profonda ambivalenza del pharmakon: come l'antidoto che avvelena nel salvare la vita, cosi' il diritto (soprattutto, ma non solo, il diritto penale) e' sacrificio ritualizzato, e' legittimazione della forza; disciplina e monopolio di quella violenza da cui immunizza il corpo sociale. Il monito di Nietzsche ai giudici ne e' forse l'emblema piu' significativo: "Il vostro uccidere dev'essere compassione e non vendetta. E mentre uccidete, fate in modo di giustificare voi stessi la vita!". La cristallizzazione del flusso, spontaneo e libero, dell'esistenza, in forme universalmente vincolanti e cieche alla singolarita' individuale, rischia di paralizzarne la vitalita', nel momento stesso in cui dichiara di volerla proteggere. * Nuda vita e norma astratta Nel tentativo di regolamentare la vita e le scelte individuali che ad essa danno un senso piu' profondo della mera esistenza biologica, il diritto valica i suoi stessi limiti, e mistificante e' la sua pretesa di ricondurre la nuda vita a norma astratta; la felicita' interiore a diritto azionabile; la liberta' a questione politica di sicurezza. Ed e' la forza della vita a reagire, con una logica immunitaria, a questa arroganza del diritto, non soltanto perche' ogni norma e' tale perche' puo' essere violata (significativi in tal senso i fenomeni di "turismo procreativo, abortivo, dell'eutanasia" che Rodota' menziona). Ma anche e soprattutto perche' la vita e' e resta umana, troppo umana per essere ridotta ad oggetto di un dovere quanto di una semplice pretesa. Cosi', anche una legge proibizionista in materia di procreazione assistita (quale la nostra 40/2004), non potra' imporre l'impianto coattivo di embrioni nell'utero della donna che abbia revocato il consenso dopo la loro formazione; ne' potra' sanzionare la coppia che violi il divieto di fecondazione eterologa. Del resto, leggi che, come il nostro codice penale, vietano l'eutanasia, non puniscono il suicidio neppure nella forma tentata, e negherebbero diritti umani dichiarati inviolabili da Costituzioni e trattati internazionali se esigessero l'alimentazione forzata di detenuti in sciopero della fame, o se imponessero coattivamente la trasfusione al soggetto che la rifiuti per motivi religiosi. Di fronte alla volonta' di potenza tecnocratica di una biopolitica che riduce la vita, e le scelte etiche ad essa relative, a questioni pubbliche da dominare con la logica del potere e la ragion di stato, la riaffermazione della dimensione assiologica dell'esistenza e della dignita' della persona esige un ripensamento della funzione e dei limiti del diritto, che non "allontani da se' la vita, ma cerchi di penetrarvi" (Rodota'). Una politica per (e non su) la vita, che si faccia uno strumento sobrio e mite per la realizzazione delle liberta' e dei diritti di tutti, non puo' che iniziare con il prendere sul serio il sistema dei diritti umani, quale espressione dell'articolarsi del diritto alla vita. La pretesa che dobbiamo avanzare nei confronti del diritto e' che divenga una tecnica di soluzione nonviolenta dei conflitti; strumento di garanzia della persona da ogni forma (dalle piu' evidenti a quelle piu' sottili e pertanto piu' subdole) di coercizione, o di imposizione di valori nei quali si riconosca soltanto una parte dei cittadini. Mite e "leggero" sulle questioni che solo il singolo possa decidere secondo coscienza, il diritto deve invece intervenire con la cogenza delle prescrizioni positive a tutela dei soggetti deboli, degli esclusi dal patto sociale che l'assolutismo del mercato e una cittadinanza ancora una volta censitaria relegano ai margini della comunita'. Mettere il diritto al servizio del "mestiere di vivere" - come auspica Rodota' - significa allora renderlo strumento di protezione della vita; di ogni frammento di vita, dell'esistenza concreta di ogni essere umano, affermandone i bisogni reali come diritti. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1340 del 28 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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