La nonviolenza e' in cammino. 1334



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1334 del 22 giugno 2006

Sommario di questo numero:
1. Votiamo "no"
2. Anna e Giuseppe Fortugno, Rosanna Scopelliti: Una lettera aperta
3. Enrico Peyretti: Il fondo del problema
4. Terri Judd: Le donne di Bassora
5. Luisa Muraro: Delle donne e del cristianesimo
6. Barbara Spinelli: Per un'Europa laica
7. Elena Loewenthal: Da Ulisse a Giobbe il mistero del male
8. Margherita Giacobino: Lillian Faderman
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. VOTIAMO "NO"

Al referendum del 25-26 giugno votiamo "no".
Per difendere la Costituzione della Repubblica Italiana.
Per difendere la democrazia rappresentativa.
Per difendere la separazione dei poteri e il primato delle leggi.
Per difendere lo stato di diritto.
Per difendere la civilta' giuridica e la legalita' repubblicana.
Al referendum del 25-26 giugno votiamo "no".
Per respingere il colpo di stato della destra neofascista, razzista e
filomafiosa.
Votiamo no all'autoritarismo, al plebiscitarismo, al totalitarismo.
Votiamo no alla disgregazione, all'egoismo, all'anomia.
Al referendum del 25-26 giugno votiamo "no".

2. APPELLI. ANNA E GIUSEPPE FORTUGNO, ROSANNA SCOPELLITI: UNA LETTERA APERTA
[Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo la seguente
"Lettera aperta in merito al ruolo della commissione regionale antimafia"
della Calabria. Anna Fortugno, Giuseppe Fortugno, Rosanna Scopelliti sono
familiari di vittime della mafia che proseguono l'impegno per la verita' e
la giustizia, per l'umanita' intera. Per informazioni e adesioni:
www.ammazzatecitutti.org]

Abbiamo intrapreso, con ruoli e impegno diverso, una lotta di lunga durata
contro il fenomeno della criminalita' organizzata, in tutte le sue forme,
partendo dallo straordinario movimento di ribellione e di riscatto civile
nato in seguito al barbaro omicidio del dottor Franco Fortugno,
vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria, avvenuta il 16
ottobre 2005.
Il nostro urlo, ispirato al lenzuolo bianco esposto il 17 ottobre dai
ragazzi del Liceo scientifico di fronte al Tribunale di Locri, e racchiuso
poi nello striscione "E adesso ammazzateci tutti", ha lasciato il posto ad
iniziative concrete di mobilitazione e sensibilizzazione.
La grande manifestazione del 4 novembre 2005, il "patto etico per la
legalita'" con tutti i politici calabresi del 25 marzo di quest'anno, il
primo maggio nazionale con i sindacati, la manifestazione del 2 giugno al
"Valantain" ed altri importanti appuntamenti ci hanno consentito, insieme
alla realizzazione del sito www.ammazzatecitutti.org con un forum telematico
che coinvolge oltre 1.200 iscritti da tutta Italia, di approfondire le
questioni piu' attuali che questa lotta pone a chi vuole cambiare lo stato
di cose presenti.
*
Abbiamo percio' deciso di perseguire alcuni obiettivi di grande rilevanza
per concretizzare la nostra lotta:
- disegno di legge "Lazzati" per impedire ai mafiosi - che gia' non possono
votare - di fare campagna elettorale e ai politici di cercare il loro
sostegno;
- revisione della legge sulla confisca dei beni di provenienza illecita e
loro assegnazione, in modo da rendere praticabile e produttivo il loro uso;
- lotta all'evasione totale, nella quale alligna il ricatto delle cosche sui
lavoratori e si concretizza la peggiore concorrenza sleale nei confronti
delle imprese regolari;
- maggiore sostegno alle imprese che denunciano il "pizzo" sull'esempio di
Palermo;
- centralizzazione degli appalti;
- diffusione nelle scuole  e nella pubblica amministrazione della cultura
della legalita', contro la pratica del "diritto-favore".
*
"La mafia e' una manifestazione degli uomini e come tutte le cose degli
uomini ha un inizio ed una fine", diceva Giovanni Falcone. Noi ci crediamo,
ma vorremmo che le istituzioni fossero al nostro fianco per dare forza e
sostanza a questa speranza.
Certo non ci incoraggiano alcune situazioni che stanno venendo a crearsi,
come la presa di posizione del presidente degli imprenditori calabresi, che
minaccia di gettare la spugna, o ancora il fatto che - nonostante alcuni
lodevoli ed importanti risultati - troppi omicidi rimangono senza autori e
senza mandanti e infine - ma non meno  importante - il fatto che, in questo
primo anno di attivita', non ha certo brillato per efficienza la Commissione
regionale antimafia calabrese (come anche diverse Commissioni speciali
antimafia delle altre regioni del Mezzogiorno).
Noi chiediamo, alla luce soprattutto di quanto contenuto nella relazione
della Commissione nazionale antimafia, che vede nella 'ndrangheta "la piu'
potente delle organizzazioni criminali del mondo, ancor piu' forte di Cosa
Nostra", che la nuova Commissione regionale antimafia della Calabria,
riunitasi solo il 21 luglio 2005 ed il 24 ottobre dello stesso anno, si
faccia invece parte attiva di questo processo di cambiamento, aprendosi piu'
alla societa' ed ai movimenti antimafia che al mondo politico, diventando un
interlocutore attivo che sposta piu' in alto l'intervento, coinvolgendo a
sua volta, magistratura, Dia, forze dell'ordine, prefetture e forze
politiche e sociali.
Solo con interventi concreti e mirati si puo' vincere questa lotta di
civilta'.
E' ora di passare dalle analisi sociologiche alle proposte e da queste ai
fatti.
Facciamo appello a tutti coloro che hanno a cuore la democrazia e la
legalita'.
*
Anna e Giuseppe Fortugno
Rosanna Scopelliti
*
La lettera aperta potra' essere sottoscritta da ogni cittadino nel sito
www.ammazzatecitutti.org

3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: IL FONDO DEL PROBLEMA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione il suo editoriale di apertura del n. 332 di maggio 2006
del mensile torinese "Il foglio" (sito: www.ilfoglio.info). Enrico Peyretti
(1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei
maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza;
ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e
diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora
regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno
Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e'
membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace
delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista
"Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Il fondo del problema politico e' un problema antropologico, cioe' morale:
quale tipo di essere umano decidiamo di essere? Di conseguenza: come
vogliamo vivere con gli altri? Come ci consideriamo a vicenda? Anche nelle
recenti elezioni politiche, la demarcazione e' stata questa: tra privatismo
e politica, tra il prendere per se' e il cercare per tutti. Naturalmente, la
linea di demarcazione non e' netta, non e' tracciata su una scheda, non si
calcola in numeri. In ognuno dei due campi puo' esserci qualcosa dell'altro.
Temiamo che complessivamente il privatismo prevalga sulla politica.
Chi ha vinto queste elezioni puo' essere soddisfatto, dopo lo spavento, ma
non ha molto da festeggiare, se non lo sfratto dal governo dei peggiori e
piu' pericolosi governanti nella storia della Repubblica. L'ideologia della
liberta' antisolidale, della liberta' dagli altri e dalla legge, ha
privatizzato non questo o quel settore economico: ha privatizzato largamente
il popolo. Un popolo smembrato in individui senza gli altri e' disintegrato,
cerca solo un conduttore (conducator, Fuehrer, duce) che gli dia la
sensazione di fare qualcosa insieme. Ma insieme ci sara' solo la gara alla
reciproca sopraffazione. Vivere senza e contro gli altri piace, illude
stoltamente, ma fa anche vergognare: cosi' chi vota per il conduttore, lo
nega, facendo fallire i sondaggi. Si fanno cose inconfessabili, sull'esempio
del personaggio ammirato.
L'affermazione, sebbene limitata, del centrosinistra e' sicuramente un bene
per l'Italia. Una meta' del popolo italiano resiste a quella deriva morale,
ma resiste confusamente. Ha ribrezzo del personaggio che rappresenta
quell'andazzo, ma ha poca costruttivita' culturale e morale da contrapporre
all'indecenza. La virtu' della socialita' costa dentro di noi, piu' che
fuori. Non basta proclamarla, occorre viverla nel quotidiano, nei consumi,
negli stili di vita, nella indipendenza dagli idoli brillanti, nel distacco
dal possesso e dal successo cretino: tutte virtu' morali personali - non
private, ma personali, interiori - che richiedono capacita' di sacrificio e
dedizione costruttiva, disinteresse personale, stima e desiderio dei valori
spirituali e umani, amore del prossimo e di chi ha bisogno, dovunque. Ognuno
di noi sa che tra credere in questo tipo di socialita' e viverlo
coerentemente c'e' un passaggio quotidiano impegnativo e personalmente
costoso.
Ma il centrosinistra, la cultura e la politica di centrosinistra, almeno
propongono al paese questa necessaria qualita' civile? Dicono che, piu' di
qualche euro in tasse, ogni cittadino ha da pagare agli altri questo impegno
personale per potere procedere insieme in dignita' e giustizia, liberta' e
pace? Oppure il centrosinistra e' soltanto la versione piu' decente, meno
volgare, piu' "moderata" del diffuso liberismo etico e politico, che riduce
la liberta' a egoismo di individui e di settori privilegiati dell'umanita'?
Dobbiamo disperatamente pensare che l'Italia sia tagliata moralmente in due,
schizofrenica, nemica di se stessa, apparentemente inguaribile? Oppure,
peggio, omogenea sotto bandiere di interessi diversi? Dobbiamo pensare che
la vittoria ai punti (scarsi) di una parte conti meno, dal punto di vista
della salute del popolo, della diffusione di una bassa morale politica?
Dentro ciascuno di noi c'e' l'umano e il meno umano, o disumano. Ma vivere
e' decidere, nelle cose personali e in quelle politiche, tra cio' che
umanizza e cio' che disumanizza. Certo, Berlusconi e' l'effetto, non la
causa della mezza Italia che si riconosce nella sua arroganza plutocratica
che irride la legge e chiama "azienda" una comunita' civile e politica.
Anche la campagna elettorale del centrosinistra si e' fatta trascinare nei
piccoli calcoli, senza il coraggio di distinguersi piu' nettamente sul piano
civile, costituzionale, sociale, della politica di pace; ha deciso di
competere, presso gli elettori, col miserabile spirito adescatore dalla
destra, restando sul solo piano economico, dei soldi. Qualche voto di piu'
e' un risultato prezioso - confrontiamolo mentalmente con la sciagura di una
nuova vittoria della destra! - ma non e' una dimostrazione solida della
qualita' politica nazionale. Il lavoro di ricostruzione dopo gli anni di
devastazione delle leggi e del costume, ora e' enorme, difficile, ma
possibile, percio' doveroso.
Cultura, informazione, associazionismo, scuola, chiese, movimenti, ora
dobbiamo tutti diventare piu' umili, piu' civili e generosi, piu'
collaborativi, per aiutare la societa' a guarire, a disinfettare lo spirito
dal "virus della ricchezza", lungo gli anni, per molti anni, e arrivare piu'
vicini alla salute della solidarieta', della amicizia politica universale,
nella "convivialita' delle differenze", nel rifiuto di vincere sugli altri
per vincere insieme su cio' che ci disumanizza, che molto ha diseducato il
nostro popolo, in questo tempo violento e neo-barbaro. Una piccola
affermazione in quantita' ci impegni nel cercare un'affermazione di
qualita', a vantaggio degli stessi adescati dall'egoismo anti-politico. Il
primo impegno e', in giugno, la difesa della Costituzione.

4. MONDO. TERRI JUDD: LE DONNE DI BASSORA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Terri Judd apparso su "The Independent". Terri Judd e' gornalista]

Le donne di Bassora sono scomparse.
Tre anni dopo l'invasione dell'Iraq guidata dagli Usa, le liberta' laiche
delle donne sono state dissolte dall'islamismo militante che va crescendo
nel paese. In tutto l'Iraq, ha preso piede una sanguinosa e continua
oppressione delle donne. A molte donne sono state rasate le teste perche'
rifiutavano di indossare la sciarpa, altre sono state prese a sassate per
strada perche' usavano cosmetici. Altre ancora sono state rapite e uccise
per "crimini" che vengono catalogati semplicemente come "comportamento
inadeguato". Un apparato statale fragile e scarsamente funzionante
contribuisce a rendere il paese facile preda di estremisti la cui nozione di
liberta' non si estende alle donne.
Nel sud occupato dall'esercito della Gran Bretagna, dove l'"Esercito del
Mahdi" di Muqtada al-Sadr mantiene la sua presa, la situazione tocca il suo
peggio. Qui le donne sono costrette a vivere dietro porte chiuse da cui
possono emergere solo avvolte dai veli, nascoste dietro mariti e padri.
Persino indossare un paio di pantaloni e' considerato un atto di sfida
punibile con la morte. Una cittadina di Bassora, la dottoressa Kefaya,
lavorava all'ospedale per donne e bambini della citta' universitaria quando
comincio' a ricevere minacce di morte dagli estremisti religiosi. Non diede
ascolto alle intimidazioni. Un giorno, un uomo entro' nell'edificio e la
uccise.
Eman Aziz, una delle donne che parlano pubblicamente di questi pericoli,
dice: "C'erano cinque persone sulla lista della morte con la dottoressa
Kefaya. La minaccia era questa: se continui a lavorare, verrai uccisa".
Molte donne sono troppo spaventate per parlare ma alcune, nel timore che i
loro diritti vengano cancellati per sempre, hanno intrapreso il coraggioso
passo della testimonianza.
La dottoressa Kefaya e' solo una delle professioniste uccise negli ultimi
mesi. Parlando con noi dell'"Indipendent", accanto al vecchio palazzo di
Saddam Hussein nel centro di Bassora, Eman Aziz ha fatto i nomi di altre
amiche uccise. Tre delle sue ex compagne all'universita' sono state
assassinate. "La mia amica Sheda e sua sorella. Avevano ricevuto delle
minacce. Un giorno sono tornate a casa loro in compagnia di altre due donne.
Tutte e quattro sono state uccise a colpi di arma da fuoco". Il linguaggio
di Eman e' preciso in modo agghiacciante. "E la mia amica Lubna, lei era con
il suo fidanzato. Hanno sparato nel braccio a lui, e ucciso Lubna di fronte
ai suoi occhi. Poi c'erano le due sorelle che lavoravano nella lavanderia
del Palazzo".
Brevemente ma nei dettagli, Eman ci racconta di ogni vita spezzata.
*
Sotto Saddam, le donne non avevano grande spazio in politica, ma donne
d'affari o docenti viaggiavano senza problemi per il paese, mentre le loro
figlie si mescolavano liberamente agli studenti maschi all'universita'. Ora,
persino le donne piu' emancipate si sentono intimidite.
Sajeda Hanoon Alebadi, trentasettenne, che per la prima volta nella sua
vita, come Eman Aziz, si sente costretta ad indossare la sciarpa per
coprirsi la testa, dice: "Le donne vengono assassinate. Sappiamo che gli
esecutori degli omicidi dicono che abbiamo su di noi una 'fatwa'. Quelle non
erano brave donne, dicono, e dovevano essere uccise".
Dietro l'onda degli attacchi degli insorgenti, cresce la violenza contro le
donne che osano sfidare l'ortodossia islamica. Le "fatwa" che ordinano alle
donne di non guidare automobili o di non farsi vedere fuori di casa vengono
regolarmente emanate. Infiltrata dai miliziani, la polizia non vuole e non
puo' rispondere ai fondamentalisti.
"Dopo la caduta del regime", continua Alebadi, "i partiti dell'estremismo
religioso si sono mostrati sulle strade ed hanno cominciato a minacciare le
donne. Sebbene siano una minoranza, controllano posizioni di potere e
percio' controllano Bassora".
Avventurarsi oggi per le strade della citta' senza un parente di sesso
maschile significa rischiare aggressioni, umiliazioni e rapimenti. Una
giornalista, Shatta Kareem, racconta: "Ero alla guida della mia auto, quando
un altro mezzo mi si e' buttato addosso e mi ha spinto fuori di strada.
Oggi, se una donna viene vista guidare un'automobile, cio' viene considerato
una violazione dei diritti degli uomini".
E c'e' anche la paura che le leggi cosiddette islamiche diventino parte
integrante della nuova legislazione. "Per la religione musulmana", dice
ancora Eman Aziz, "se un uomo muore cio' che lascia va ad un membro maschio
della famiglia. Dopo la guerra tra Iraq e Iran c'erano cosi' tante vedove
che Saddam cambio' la legge, cosi' che l'eredita' potesse andare alle donne
e ai figli. Ora la legge e' cambiata di nuovo".
Sajeda Hanoon Alebadi stima che circa il 70% delle donne sposate di Bassora
siano rimaste vedove a causa dei continui conflitti. "Le puoi vedere
mendicare ad ogni incrocio, le vedove".
*
Gli ottimisti dicono che il 25% del Consiglio delle province irachene e'
composto da donne, e che cio' proverebbe un miglioramento nelle loro vite
dopo l'invasione. Ma la gente di Bassora risponde che questa e' una cortina
di fumo. Ogni donna che entra in quelle stanze, mi dicono, non riesce a
mettere in moto alcun cambiamento positivo. I manifesti elettorali affissi
in citta' illustrano bene questo punto di vista: i volti delle donne
candidate sono stati coperti di vernice nera e sovrastati dallo slogan
"niente donne in politica".
Eman Aziz aggiunge: "Le donne che fanno parte del Consiglio hanno molti
sogni, ma quando aprono bocca viene loro risposto: con tutto il rispetto, tu
non sai niente. Non hai le conoscenze. Questo e' un mondo di uomini. La tua
idea e' buona, ma non e' la migliore. In sempre maggior numero, queste donne
acconsentono a mettere la firma ovunque si indichi loro di farlo. Abbiamo
donne formalmente in posizioni di potere, ma che non hanno nessun potere
effettivo".
Numerosi ufficiali inglesi di stanza a Bassora dicono che si sentono "a
disagio" per la situazione, ma il portavoce del Foreign Office ci ha solo
informati che: "Il nuovo programma di governo prevede nei primi dieci punti
di prestare molta attenzione alle donne, giacche' esse costituiscono meta'
della societa' e si prendono cura dell'altra meta': percio' devono avere un
ruolo attivo nel costruire la societa' e lo stato. I loro diritti dovrebbero
essere rispettati in tutti i campi".
Tuttavia, fra le attiviste cresce la paura che l'estrema durezza della vita
quotidiana oscuri e ostacoli l'istanza di contrastare l'oppressione delle
donne.
Nei villaggi attorno a Bassora, le timide donne che sbirciano dalle fessure
delle porte non si lamentano neppure. Makir Jafar mi dice di ritenere
sufficiente aver avuto abbastanza istruzione da aiutare il figlio decenne a
fare i compiti. "C'e' il fiume. Si vive. Non ho bisogno di niente".

5. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: DELLE DONNE E DEL CRISTIANESIMO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso su "Vanity Fair" del 6 maggio 2006.
Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di
"Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la
seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei
sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza),
in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita'
Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una
carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare
nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997"]

Le persone abituate allo studio scientifico non possono prendere sul serio
Il Codice da Vinci di Dan Brown, un romanzone pseudoerudito confezionato con
ingredienti di moda. Ma devono riconoscere che al suo enorme successo ha
contribuito qualcosa di vero e importante, la scoperta che la storia del
cristianesimo e della Chiesa e' percorsa da una contraddizione mai risolta
fra l'ispirazione religiosa profondamente femminile e la prevalenza
schiacciante del sesso maschile. In questi ultimi decenni il conflitto e'
tornato ad accendersi con gli studi di Mary Daly e di altre pensatrici
femministe, sia cattoliche sia riformate. Questo, sia chiaro, non significa
discredito per la Chiesa, come certi vorrebbero (signori anticlericali,
guardate che la Chiesa non ha il monopolio del maschilismo), anzi, mostra
semmai che e' ben viva.
Tutto comincia molto presto. I Vangeli che si leggono in chiesa forse hanno
nascosto molto ma non tutto del fatto che il Maestro Yeshua (Gesu') fu
sostenuto dalle donne piu' che dagli uomini, anche dopo la sua morte in
croce, quando una donna per prima annuncio' agli spaventatissimi discepoli:
e' risorto. Il primo conflitto "femminista" scoppio' nella cerchia dei primi
seguaci, lo racconta il Vangelo di Maria (Myriam di Magdala, la Maddalena):
Pietro e Andrea attaccano Myriam, gelosi della profonda comunione che lei ha
con il Maestro.
Nel passaggio di poche generazioni, i maschi riuscirono ad escludere le
donne dalla predicazione e dal governo delle comunita', e diedero a se
stessi uno statuto clericale e gerarchico, alle comunita' un'organizzazione
rigida, alla dottrina una formulazione dogmatica. Al centro di tutto, il
disprezzo per il sesso femminile. Il contrasto con il messaggio evangelico
non poteva essere piu' eclatante.
Contro questo scandalo, fra le tante anonime, e' insorta anche la grande
Teresa d'Avila, con parole di fuoco, a suo rischio e pericolo. Oggi e' una
dottora della Chiesa, ma la sua vita era a rischio grave d'Inquisizione.
Altre, per la stessa ragione, erano finite sul rogo, come la milanese suor
Maifreda a capo di una comunita' che vedeva in lei il successore del papa di
Roma e che adorava lo Spirito santo incarnato in una santa sepolta a
Chiaravalle. Fini' sul rogo, a Parigi, anche la beghina Margherita, autrice
dello Specchio delle anime semplici che celebra la liberta' con accenti che
ricordano san Paolo e il Vangelo di Maria.
Nonostante tutto, io penso che alle donne sia andata meglio che agli uomini.
Questi si sono chiusi in una gabbia da cui fanno fatica a uscire, quelle
invece hanno potuto coltivare un rapporto piu' personale e fluido con il
divino. Percio', forse, la loro presenza attiva nella vita religiosa e'
reclamata oggi da molti, anche uomini, che vogliono salvare l'eredita'
religiosa. Di questo si tratta e non di una mera rivendicazione di parita' e
inclusione nel mondo degli uomini: disfare le gabbie del clericalismo e del
moralismo, vincere il nichilismo con la fiducia e l'amore, fare che circoli
ovunque lo spirito (santo) della liberta' (femminile).

6. RIFLESSIONE. BARBARA SPINELLI: PER UN'EUROPA LAICA
[Dal quotidiano "La stampa" del 28 maggio 2006. Barbara Spinelli e' una
prestigiosa giornalista e saggista; tra le sue opere segnaliamo
particolarmente Il sonno della memoria, Mondadori, Milano 2001, 2004; una
selezione di suoi articoli e' in una sezione personale del sito del
quotidiano (www.lastampa.it)]

Un giorno ci accorgeremo, forse, che a forza di discutere delle radici
religiose d'Europa avevamo difeso un'idea distorta della civilta': avevamo
difeso un'identita' cristiana che sicuramente ci fonda, ma che non e'
l'unica identita' di cui l'individuo europeo e' fatto. Avevamo difeso una
dimensione del suo essere, ci eravamo sforzati di dare un nome a quel che
costituisce il continente, ma al singolo non avevamo dato piu' liberta' ne'
piu' pace. Fuori dall'Europa avevamo fomentato guerre, dentro avevamo
conosciuto tensioni non sanabili con l'Islam d'immigrazione. Il caso di
Ayaan Hirsi Ali, deputata olandese che e' minacciata di morte
dall'integralismo islamico per aver abbandonato la sua religione, e' un
avvertimento per gli europei. D'un tratto, la sua identita' non musulmana e'
divenuta un ostacolo alla sua integrazione in Europa, le ha tolto ogni
protezione, l'ha lasciata sola non solo davanti all'Islam radicale ma anche
all'Olanda. Il suo stesso partito (il Vvd, partito liberale cui Hirsi Ali e'
affiliata dal 2002) ha tentato di escluderla dalla vita pubblica, l'ha
considerata alla stregua di un'intrusa intrufolatasi in Olanda con trucchi
non legali. E' stata una compagna di partito, la ministra dell'Immigrazione
Verdonk, a toglierle la cittadinanza il 15 maggio in seguito a una
trasmissione televisiva che rivelava quello che la deputata di origine
somala aveva spesso raccontato: la sua fuga da un matrimonio forzato, il
nascondimento di data di nascita e cognome, la menzogna sul paese disertato
(non la Somalia in guerra, ma il Kenya).
Ma la verita' di Hirsi Ali non e' in questi sotterfugi, indispensabili per
ottenere asilo politico. E' nel suo abbandono dell'Islam, che la tramuta in
paria. Adolescente, Ayaan era stata educata al fanatismo e aveva fatto
propri gli slogan antisemiti, antioccidentali. La giovane donna e' dunque
fedifraga, apostata. Non appartiene ad alcuna religione, e proprio questo
sta pagando. E' punita dagli ex correligionari, che minacciano d'ucciderla
da quando scrisse il testo del documentario sullo sfruttamento delle donne
musulmane girato da Theo Van Gogh, ucciso il 2 novembre 2004. Ma e' anche
punita dai dirigenti del paese ospite e dagli europei che non le hanno
offerto la cittadinanza dell'Unione. La ministra Verdonk nel frattempo s'e'
ravveduta. Ma il male e' fatto, e non solo l'Olanda ma l'Europa ne escono
male. Non hanno saputo dar rifugio all'apostata, sancendo la solitudine di
chi fuori dalle chiese e' senzatetto. Gli Stati Uniti restano piu'
coraggiosi dell'Europa, proponendosi come sua nuova patria. Non sono mancate
le proteste. C'e' stato un appello di intellettuali olandesi, che hanno
"provato vergogna". Ma sono numerosi coloro che hanno approvato, e
significativa e' la dichiarazione di Nasr Joemman, portavoce di
un'associazione sunnita nei Paesi Bassi: "Sono contento che Hirsi Ali lasci
l'Olanda. Cosi' potremo finalmente lavorare alla creazione di una societa'
armoniosa".
Societa' armoniosa e' un'espressione molto usata, scabrosa, e ingannatrice.
Dici multiculturalismo, e apparentemente aspiri all'armonia. Favorisci la
convergenza tra varie fedi, fai un lungo elenco di religioni fondatrici
d'Europa (cristiana, ebraica, eventualmente musulmana), auspichi scuole
confessionali diverse, ma questo non significa automaticamente armonia o
pace. Significa spartizione, rapporto di forza, quote, lobby. Si parla
molto, in Italia, di insegnamenti religiosi diversificati. In Germania il
ministro dell'Interno Schauble, democristiano, sta fissando proprio in
questi giorni le condizioni per l'apertura di scuole musulmane. Ma come
fare, con chi non appartiene a nessuna religione o migra da una all'altra?
Come proteggere chi non si riconosce nella sola esperienza di fede? Eppure
l'Europa si e' formata creando spazi anche per loro: la sua cultura
intreccia le vite di Papi, principi ma anche di fedifraghi e di liberi
pensatori. L'Europa e' Dante, Maimonide e anche Baruch Spinoza, l'ex
portoghese escluso dalla comunita' ebraica di Amsterdam (il bando
d'esclusione del 1656 ordina che "nessuno abbia rapporti orali o scritti con
lui, nessuno lo soccorra, nessuno rimanga con lui sotto un solo tetto,
nessuno gli si avvicini piu' di quattro passi, nessuno legga uno scritto
redatto o pubblicato da lui").
*
Sono spesso gli stranieri che ci descrivono meglio, e anche per le radici
d'Europa e' cosi'. Ci voleva Spinoza per descrivere l'Olanda, ci vuole Hirsi
Ali per descrivere l'Europa, e per aiutare un paese dell'Unione ad adottare
leggi che proteggano le musulmane dal potere delle famiglie e delle moschee.
Siamo anche ben descritti da Amartya Sen, il filosofo-economista di origine
indiana: chi voglia meditare su laicita' e Islam apprendera' molto dal suo
ultimo bellissimo libro (Identita' e violenza, Usa 2006), che e' una
requisitoria argomentata, razionale, contro guerre di civilta' e troppo
ansiose ricerche di radici. E' della cultura d'Europa che Sen parla, e di
un'identita' che non ha un'unica dimensione: ognuno di noi ha al tempo
stesso preferenze religiose, civili, estetiche; ognuno appartiene a una
lingua e un mestiere; a un comune, una nazione e all'Europa; a una classe
sociale, una lingua, una politica. Per passione puo' concentrarsi su
un'identita', ma sempre avra' piu' patrie mentali o spirituali.
Amartya Sen dice che il male del mondo odierno e' nella sua "classificazione
in appartenenze", nel suo trasformarsi in una "federazione di religioni e
civilta'". Questa classificazione impoverisce l'individuo, ne riduce
liberta' e responsabilita'. La guerra di civilta' presume che civilta' sia
eguale a religione: che non esista una cultura araba accanto alla musulmana,
una "storia dei popoli musulmani accanto alla storia islamica". E' un
riduzionismo che da' un peso enorme e pericoloso alle autorita' religiose,
soprattutto musulmane: esse diventano i nostri soli interlocutori, i soli
rappresentanti legittimati di civilta' diverse dalla nostra.
Ma Sen dice qualcosa di piu'. La tentazione riduzionista non genera solo
guerre di civilta', ma paradossalmente genera anche quel che in apparenza e'
antitetico alla guerra, e' intriso appunto di armonia: genera i discorsi sul
dialogo tra religioni, e le incessanti ricerche di un Islam migliore,
pacifico, moderato. E' il peccato fatale di un multiculturalismo che
inchioda gli individui nelle grandi famiglie religiose e che vede alleate
sinistre e destre estreme, fautrici del cosiddetto differenzialismo (bisogna
rispettare le culture diverse, purche' non si mescolino con la nostra). E'
un'alleanza contro cui Hirsi Ali si batte fin da quando apparteneva alla
socialdemocrazia olandese. Il dialogo mondiale non e' tra civilta' a una
dimensione, ma tra le discordanti o parallele figure in cui s'impersonano
individui e popoli.
*
Non stupisce che il primo attacco a Hirsi Ali sia stata l'inchiesta d'un
canale televisivo socialdemocratico: nella cultura di sinistra laicita' e
multiculturalismo sono identici, cosa assai opinabile. Multiculturali sono
ormai le nostre societa', multiculturalista e' la teoria che allinea diverse
civilta' omogenee, e laico e' il metodo per far convivere una gamma
eterogenea di preferenze e passioni umane. La laicita' deve farsi garante
dei culti ma anche dell'individuo apostata, passibile in gran parte
dell'Islam di pena di morte. Non solo: secondo Sen la laicita' non impone
fedi edulcorate, moderate. Si puo' avere una religiosita' smisurata, e
tuttavia viverla accettando regole laiche. Guido Ceronetti, in un articolo
su questo giornale del 20 febbraio 2003, elencava le innumerevoli identita'
d'Europa (troiane, greche, babilonesi, egiziane, fenicie, ebraiche,
cristiane, musulmane) e saggiamente concludeva cosi': "Potrei suggerire
(agli europei, ndr) questa soluzione: 'Le radici spirituali dell'Europa sono
innumerevoli e alquanto misteriose. Non possiamo esplorarle qui. Ci
limitiamo a qualche enunciazione pratica, ai fini di una unita' politica che
in ogni caso non potra' mai essere una concorde e uniforme realta'
spirituale'". Dante aveva migliaia di radici. Sotto la Chiesa Nuova, a Roma,
c'era una Vallicella di acquitrini ed esalazioni sulfuree che celavano uno
degli ingressi italici agli Inferi e un tempio a Proserpina e Dite. Sotto il
cristianesimo, il paganesimo. Sotto il paganesimo, l'acqua d'Oriente e
Occidente. Sotto tutto questo: l'identita' misteriosa d'Europa.

7. RIFLESSIONE. ELENA LOEWENTHAL: DA ULISSE A GIOBBE IL MISTERO DEL MALE
[Dal quotidiano "La stampa" del 19 aprile 2003. Elena Loewenthal, limpida
saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora
da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele,
attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del
Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri";
sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la
tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti
vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen
per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena Loewenthal: segnaliamo
particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano
1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002;
Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le altre. Letture
bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi ha curato
Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al
XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione
italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg]

Il giusto che soffre e' uno schiaffo alla giustizia umana, un oltraggio
ancor peggiore a quella divina. Eppure, e' una delle immagini piu'
ricorrenti: la fede la considera come la piu' lampante, endemica conferma
che il male esiste. L'etica laica e' solo all'apparenza rassegnata di fronte
al paradosso dell'assurda fatalita' che s'accanisce contro chi non se lo
merita e lascia vivere in pace il perverso.
Il giusto che soffre per antonomasia e' il biblico Giobbe, figura spesso
equivocata: la sua virtu' non e' la pazienza, piuttosto una specie di
tenacia che gli impedisce di arrendersi, lo costringe a provare a spiegarsi,
ad esigere spiegazione dal Signore e dagli amici. In questo sta il suo
eroismo immane, contrapposto a un'ardita meschinita' che muove lassu' in
cielo, fra l'Eterno e Satana, il ragionamento. Ma questa figura universale
che da' consistenza al dolore e ne illumina l'inspiegabilita', e' incarnata
non soltanto nella tradizione del Libro. La tragedia greca, ad esempio, ha
come tema centrale l'assurdita' della sofferenza: in un mondo governato da
un Olimpo distratto e fin troppo simile alla terra su cui dovrebbe vegliare,
il tormento degli eroi ce li rende incredibilmente vicini.
Come Ulisse, in una delle pagine piu' belle non solo del suo libro, ma anche
fra tutte quelle mai scritte. Lui, sfinito e lacero, barba lunga e occhi
smarriti, e' stato appena miracolosamente scaraventato sulla spiaggia
dell'isola dei Feaci. Qui, privo d'ogni passato e presente, gli pare di
sognare davanti a una fanciulla ricciuta che gioca con le ancelle. Prima di
rivolgere la parola a Nausicaa ci pensa, si nasconde, forse si guarda con
gli occhi del cuore: poi le chiede pieta' per quel suo aspetto spaventoso. E
la giovinetta risponde con parole forti, severe: "Se Zeus ti ha dato questi
mali, bisogna che tu li subisca".
Inizia cosi' il percorso nel dolore e nella giustizia al centro di una serie
di saggi usciti tempo fa e ora riproposti: Charles Moeller, Saggezza greca e
paradosso cristiano (Morcelliana, Brescia, pp. 275, euro 18,50). Lo studioso
scomparso nel 1986 ha dedicato la vita al rapporto fra cristianesimo e
modernita', e qui scrive dentro una dichiarata prospettiva di fede. Ma e' un
percorso davvero aperto, di respiro pieno. Egli ci conduce dentro la
tragedia greca, il tormento di Edipo e quello di Antigone che va incontro
alla morte con una coscienza del dolore cosi' lontana dal rigido martirio:
"Dolorosa scoperta di se stessa: al momento di perire tutta la sua fierezza
l'abbandona. Mentre i martiri cristiani andavano gioiosi incontro alla
morte, ella sente spezzarsi l'esaltazione del sentimento di gloria. Le
sembra di non aver meritato cio' che le tocca".
In questo dialogo con la sofferenza ci si sofferma infine sullo strazio di
Ifigenia, che "ama la vita, il sorriso" e tuttavia si sottomette a suo
padre. A lei risponde, con le stesse terribili note, una piccola figura
biblica che non ha nemmeno nome: e' la figlia di Iefte, donata al Signore
per un voto di vittoria cui il giudice condottiero non puo' venir meno,
quando al suo ritorno dalla battaglia la bambina per prima gli viene
incontro festante, e cosi' facendo si condanna a morte. Lei che non ha nome,
chiede solo a suo padre due mesi di vita per "vagare sui monti". Dopo quel
tempo, la Bibbia pudicamente tace, e ricorda ormai soltanto il pianto suo e
del padre che dovette sacrificarla.

8. PROFILI. MARGHERITA GIACOBINO: LILLIAN FADERMAN
[Dal quotidiano "Liberazione" del 17 giugno 2006.
Margherita Giacobino e' narratrice, saggista, traduttrice. Tra le opere di
Margherita Giacobino: Casalinghe all'inferno, Baldini & Castoldi, Milano
1996; Orgoglio e privilegio. Viaggio eroico nella letteratura lesbica, Il
dito e la luna, Milano, 2003; Guerriere ermafrodite cortigiane, Il dito e la
luna, Milano, 2005.
Lillian Faderman, saggista, narratrice e docente universitaria, e' autrice
di importanti opere sulla storia lesbica e femminista nel mondo anglosassone
e in particolare negli Stati Uniti. Opere di Lillian Faderman disponibili in
italiano: Una storia tutta per noi. Lillian Faderman: un'antologia, Il dito
e la luna, Milano 2006]

Il pride e' un'occasione per parlare di differenze, per far parlare quelle
differenze che fanno profondamente parte della storia di tutti. Ecco perche'
e' significativo che a conclusione della settimana cruciale del Torino Pride
2006, il giorno dopo la grande sfilata nel centro della citta', sia in
programma il convegno "Esistenza lesbica tra societa', immaginario e
letteratura" che avra' per ospite d'onore la storica statunitense Lillian
Faderman, autrice di una serie di libri fondamentali sulla storia e la
letteratura delle donne che amano le donne.
La vita di Faderman, che lei stessa ci racconta nel suo ultimo libro,
l'autobiografico Naked in the Promised Land (Nuda nella terra promessa,
2003) e' un percorso irregolare e avventuroso, avvincente come un romanzo.
Figlia illegittima di un'immigrata ebrea proveniente dalla Lettonia,
superstite di una famiglia sterminata dai nazisti, la piccola Lillian nacque
durante la guerra e visse un'infanzia di poverta' sognando Hollywood. Voleva
diventare una star del cinema per offrire a sua madre la mela d'oro, per
salvarla dalla fabbrica e dalle camere di pensione. Precoce e brillante, a
dodici anni studiava gia' recitazione, a sedici con i soldi ricavati posando
come pin-up si fece rifare il naso, troppo ebraico per una futura diva. Nel
frattempo scopriva che le sue emozioni e i suoi desideri la spingevano verso
le donne, ed esplorava il mondo sommerso e pericoloso dei bar gay, tra femme
in pantaloni aderenti e butch spavalde e toste come gli uomini e spesso
altrettanto dure con le loro amanti. Nel sottobosco di Los Angeles incontro'
non uno ma molti lupi, ma essendo piu' intelligente di Cappuccetto Rosso
riusci' sempre a farla franca. E ne venne fuori, proprio come le pioniere di
cui si occupano i suoi libri, grazie al suo cervello e all'amore delle
donne: riprese gli studi e divenne la stimata Faderman di oggi. Che non e'
diventata rettora soltanto perche' a un certo punto ha deciso di farsi un
figlio e allevarlo con la sua compagna, cosa che il puritano establishment
accademico non le ha perdonato. E infine si e' dedicata a riscattare dal
silenzio le vite delle donne che prima di lei avevano amato altre donne.
Il suo primo lavoro importante, Surpassing the Love of Men (Al di la'
dell'amore degli uomini) e' del 1981 e segna una tappa fondamentale negli
studi sulla storia lesbica: ricostruendo le vicende dell'amicizia romantica
tra donne, Faderman getta un ponte tra passato e presente, individua
continuita' e differenze, contestualizza i discorsi d'amore tra donne
all'interno della storia sociale ed economica delle diverse epoche. E
parlando di lesbismo, sposta l'accento dalla sessualita' all'amore,
segnalando la necessita' di restituire ai rapporti tra donne la loro
complessita' e ricchezza emotiva e affettiva.
Dieci anni dopo, Odd Girls and Twilight Lovers, un secondo libro dedicato
alla vita delle lesbiche negli Stati Uniti nel Novecento: dall'invertita,
questa costruzione dei sessuologi di fine Ottocento, canonizzata da
Radclyffe Hall ne Il pozzo della solitudine, alle subculture lesbiche degli
anni '50 e '60 di cui l'autrice ha conosciuto splendori e miserie, al
riscatto femminista della parola "lesbica", ma anche ai pronfondi conflitti
noti all'interno del movimento femminista come "guerre del sesso".
Del 1995 e' Chloe plus Olivia, antologia di letteratura lesbica dal titolo
di woolfiana memoria, in cui si conferma la cifra del lavoro di Faderman,
fatta di lucida passione e lavoro tenace: una mole di testi che raccontano
la vita delle donne e l'immaginario degli uomini, un labirinto in cui la sua
duplice competenza di letterata e storica ci permette di orientarci seguendo
fili che si srotolano davanti a noi, affascinanti e sinuosi.
E infine To Believe in Women (Credere nelle donne. Quello che le lesbiche
hanno fatto per l'America, 1999) rivoluziona ancora una volta tutti i nostri
preconcetti: ricostruendo la vita delle grandi donne del primo Novecento,
dal premio Nobel per la pace Jane Addams alla pioniera dell'educazione
femminile Carey Thomas, l'autrice ci mostra come il loro successo fu reso
possibile dalla forza dell'amore e dell'alleanza con altre donne. Cosi'
facendo Faderman si sottrae al concetto di storia di una "minoranza" per
indagare le ragioni che hanno reso invisibile l'esperienza lesbica in una
storia ufficiale falsamente neutra, e mette in primo piano il rapporto tra
relazioni d'amore e scena politica.
*
Lillian Faderman partecipera' alla sfilata del Pride di Torino con lo stesso
vestito rosso che ha indossato due settimane fa, quando ha percorso le vie
di Fresno su una macchina scoperta in qualita' di Grand Marshal del Pride
della citta' californiana dove vive e insegna da oltre trent'anni e dove ha
allevato suo figlio Avrom.
Nella sua prima intervista in Italia una giornalista le chiede a quali
difficolta' ha dovuto fare fronte nell'ambiente accademico per il suo lavoro
di studiosa di argomenti glbt. "Nessuna difficolta' - risponde lei,
freschissima e impeccabile anche se reduce da oltre dodici ore di viaggio -
Negli Usa sono state soprattutto le universita' piccole e private a
osteggiare gli studi di genere e glbt, mentre quelle grandi e pubbliche
hanno appoggiato, e appoggiano con forte convinzione, il concetto di una
cultura aperta alla diversita' umana".
E la scelta di diventare madre, di allevare un figlio con la sua compagna?
"Negli anni '70 - spiega Faderman - le donne americane eterosessuali avevano
ormai ben chiaro che sessualita' e riproduzione sono due cose distinte, e
usavano la pillola per non restare incinte. Io ho pensato che potevo fare il
contrario, restare incinta senza fare sesso. Sono stata probabilmente la
prima lesbica ad avere un figlio con l'inseminazione artificiale, nel 1974.
Mio figlio, come la maggior parte dei figli di madri lesbiche che conosco,
e' un uomo sereno e affettuoso, eterosessuale, sposato e padre di una
bambina di due mesi e mezzo. Dagli studi piu' recenti - prosegue Faderman -
emerge che i figli di madri lesbiche non sono molto diversi,
psicologicamente, da quelli di coppie eterosessuali. La differenza piu'
significativa sta nel fatto che i maschi appaiono piu' gentili, e le femmine
piu' capaci di farsi valere. Il che forse non e' un male, no?", dice con un
sorriso che riconferma il suo fascino e la sua autorevolezza.
Sono felice che oggi Faderman sia finalmente leggibile anche in italiano, e
che lo sia con il mio contributo: il libro che ho curato e tradotto per
l'editrice milanese Il dito e la luna si chiama: Una storia tutta per noi.
Lillian Faderman: un'antologia. Incontrarla al convegno di Torino e' un
onore e un'occasione importante per tantissime donne, e uomini, che la
conoscono e la stimano.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1334 del 22 giugno 2006

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