Voci e volti della nonviolenza. 27



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 27 del 20 giugno 2006

In questo numero:
1. Silvia Vegetti Finzi
2. Silvia Vegetti Finzi: Umanita'
3. Silvia Vegetti Finzi: Della felicita'
4. Silvia Vegetti Finzi ricorda Johannes Cremerius
5. Silvia Vegetti Finzi: Michel Foucault vent'anni dopo
6. Et coetera

1. SILVIA VEGETTI FINZI
Il fatto che Silvia Vegetti Finzi molto si sia donata nel generosamente
assistere e consigliare insegnanti e genitori, bambine e bambini, ragazze e
ragazzi, a costruire relazioni attente e solidali, a comprendere se', le
altre e gli altri, e il mondo grande e terribile; e molto si sia donata
nella pratica terapeutica come nell'insegnamento universitario; e molto si
sia donata in una pubblicistica anche divulgativa e all'occorrenza fin
didattica sollecita nel prestare aiuto e nel farsi intendere da chiunque ed
insieme sempre colta e rigorosa; e molto si sia donata in una saggistica
storiografica, ermeneutica e scientifica di riconosciuto cospicuo valore; e
molto si sia donata nella ricerca, nella riflessione e nell'iniziativa
femminista - che e' il cuore pulsante della nonviolenza in cammino; ebbene,
non vorremmo che questi molteplici meriti facessero passare in secondo piano
una elementare verita' che molto ci sta a cuore: che Silvia Vegetti Finzi e'
altresi' una pensatrice che ha dato plurimi e preziosi contributi originali
di elaborazione e aperto decisive piste di ricerca teorica. E anche di
questo qui la ringraziamo ancora.

2. SILVIA VEGETTI FINZI: UMANITA'
[Dal "Corriere della sera" del 31 luglio 2000]

Le grida si espandono dalla stanza a quattro letti al corridoio. "Tenga giu'
le mani, non spinga, altrimenti chiamo la polizia", urla spaventata Marisa,
l'infermiera venuta per ricomporre la salma del paziente appena deceduto.
Che cosa sta accadendo nel reparto Oncologia medica di un grande ospedale
cittadino? E' morto un musulmano integralista e i parenti vogliono impedire
a tutti i costi che il suo corpo sia toccato da una donna perche' "se una
donna tocca il corpo di un uomo dopo morto, l'uomo non va in paradiso".
Problemi nuovi per la nostra societa' ma destinati a sollevare interrogativi
e sollecitare interventi validi per tutti.
L'irruzione dell'alterita' mette infatti in crisi il paradigma scientifico
centrato sulla cura del sintomo e incapace pertanto di farsi carico del
paziente nella sua complessita', fatta di storia, cultura, quotidianita',
emozioni sollecitate dall'angoscia, attese ingigantite dalla dipendenza. La
malattia grave e' per lo piu' vissuta come una situazione di emergenza che
richiede il ripristino rapido e totale dello stato di salute, intesa come
condizione naturale dell'uomo. Il medico viene cosi' investito da una
richiesta di cura magica, da una delega intollerante del limite e dello
scacco. Poiche' nessuno lo ha aiutato a prendere le distanze da un ruolo che
la societa' pretende salvifico, chi cura e' indotto ad assumere un
atteggiamento speculare, caratterizzato dalla sopravvalutazione della
scienza, dall'idealizzazione della professione, dalla dedizione
incondizionata a un compito eroicizzato. Salvo poi scontrarsi con cocenti
frustrazioni.
L'equivoco di considerare la malattia eccezionale e il rimedio assoluto
nasce, secondo l'interpretazione dello psicoterapeuta freudiano Sergio
Marsicano, dall'incapacita' di accettare la compenetrazione della vita e
della morte: il fatto che "l'uomo non muore perche' si ammala ma si ammala
perche' e' mortale".
Negare la dimensione esistenziale della malattia, considerarla uno strappo
da ricomporre al piu' presto, rende il ricovero ospedaliero del tutto avulso
dalla realta' della vita quotidiana, indifferente ai normali bisogni del
corpo e alle necessita' dello spirito. Nasce da qui l'impresa di
"umanizzazione dell'ospedale" che Marsicano ricostruisce nella Fabbrica dei
sogni (Angeli, pp. 224, lire 30.000, presentazione di Giorgio Cosmacini),
attraverso una formula originale che utilizza tanto la simulazione teatrale
delle situazioni quanto la discussione saggistica, con effetti che spaziano,
per i lettori, dall'impegno concettuale al piacere della narrazione.
L'intento del libro consiste nel condividere un'esperienza complessa,
collettiva, sempre coinvolgente, spesso appassionata. Umanizzare l'ospedale
richiede infatti un duplice sforzo: destrutturare le formazioni difensive
rappresentate dagli stereotipi mentali e dai ruoli burocratici e,
simultaneamente, tentare nuovi modi di vivere il tempo e di abitare lo
spazio dell'istituzione. Il progetto comporta di considerare il paziente non
tanto un oggetto passivo di cura, un paziente appunto, quanto un soggetto
attivo nell'ambito di intensi scambi intellettuali e affettivi. A tal fine
nulla e' irrilevante. Si procede, con la consulenza di un valido architetto,
ad arredare e riorganizzare i locali. Si ricontrattano inoltre gli orari del
sonno, dei pasti, dei colloqui con i familiari, in modo che vi sia
continuita' e non frattura tra prima e dopo la malattia, tra fuori e dentro
l'ospedale.
Ma il ripristino della familiarita' (heimlich in senso freudiano), non basta
a rassicurare persone che la malattia pone di fronte all'angosciante
prospettiva della propria morte. Per questo occorre recuperare le quinte che
l'umanita' ha da sempre costruito per schermare l'inconcepibile: l'arte,
l'introspezione, il gioco, la relazione empatica, il distacco critico.
Possono sembrare illusioni di fronte all'urgenza delle cure mediche, ma e'
il modo migliore per preservare la speranza dei malati e ridimensionare le
illusioni degli operatori, sempre a rischio di soccombere emotivamente di
fronte all'eventuale insuccesso dei loro interventi. Entrano cosi' in
reparto, come elementi essenziali, oggetti "impropri" come la televisione, i
libri, i giornali, il computer, il telefono; riti consolatori come il te'
delle cinque, la scelta del menu', la festa collettiva. La riorganizzazione
del microcosmo ospedaliero si accompagna alla ridefinizione dell'identita'
individuale e alla riformulazione di relazioni personali piu' duttili e
aperte.
A questa prospettiva e' dedicata la maggior parte del libro che si propone
come testo di sensibilizzazione e formazione per tutti coloro che a vario
titolo operano in ospedale. Alla semiologia medica si affianca pertanto una
"lettura" psicologica della malattia che ne coglie il potenziale
comunicativo e il significato esistenziale. Non e' casuale che certe volte
la formazione neoplastica sopravvenga due o tre anni dopo la perdita di una
persona cara, quasi volesse esprimere, nel corpo, una sofferenza mortale che
non ha trovato sufficienti parole per dirsi. Il libro mostra come lo
psicologo possa aiutare gli operatori a separare l'identita' dal ruolo,
temperando lo slancio volontaristico con la competenza professionale e la
conoscenza di se'. Se vogliamo umanizzare la medicina scientifica, dobbiamo
controllare l'idealizzazione, relativizzare le aspettative, evitare la
delega incondizionata. Per questo e' necessario tollerare la mancanza,
l'assenza, il limite, abitare l'incertezza, sopportare la caducita'. Non a
caso Freud enumera il curare, insieme all'educare e al governare, tra le
imprese impossibili. Tuttavia meritevoli di essere affrontate proprio in
quanto costituiscono la specifica dimensione dell'umanita'.

3. SILVIA VEGETTI FINZI: DELLA FELICITA'
[Dal "Corriere della sera" del 29 luglio 2001]

C'e' una domanda cruciale in ogni discorso sulla morale, pubblica o privata.
La domanda e': "perche' dovrei essere buono?", cioe' comportarmi in modo
onesto, leale, rispettoso delle norme, insomma virtuoso, e rinunciare cosi'
ai vantaggi che ci si possono attendere dalla menzogna, dalla frode, magari
dal delitto? Il pensiero classico dei Greci - ma la sua tradizione domina
l'etica occidentale fino al Settecento compiuto - dava a questa domanda una
risposta precisa: "perche' solo cosi' sarai felice". In altri termini: la
virtu' paga, essendo la sola garante di una vita armoniosa e prospera, di
una buona realizzazione di se' nel mondo. Naturalmente, questa tesi e' a
prima vista paradossale, tanti sono i controesempi possibili
sull'infelicita' del giusto (qui il caso topico e' la condanna di Socrate
alla cicuta) e il successo del malvagio (altrettanto topico l'esempio del
tiranno ricco e potente). Per questo aspetto, la storia dell'etica classica
e' quella di un immenso sforzo per mantenere nonostante tutto l'idea che la
felicita' e' il premio alla virtu', e dunque l'incentivo a praticarla,
eliminandone il carattere paradossale attraverso una progressiva
elaborazione dei caratteri da assegnare alla felicita' stessa.
Questa storia e' ora raccontata nello splendido libro di Fulvia De Luise e
Giuseppe Farinetti (Storia della felicita'. Gli antichi e i moderni,
Einaudi), con ricchezza di sapere unita alla levita' di un'esposizione che
non smarrisce mai il filo del discorso nonostante la complessita' dei temi
affrontati. Ci si apre dunque il ventaglio delle possibilita' esplorate dal
pensiero morale occidentale. Se per Socrate e gli Stoici la virtu' e' in se
stessa foriera di felicita', nell'autoconsapevolezza serena e incrollabile
del giusto, per Aristotele e' invece una "sciocchezza" pensare ad una
felicita' che prescinda dalle circostanze esterne (non si e' felici perdendo
di colpo, come il troiano Priamo, regno, mogli e prole). Aristotele rende
pero' in questo modo la felicita' piu' fragile, perche' dipendente dagli
altri, esposta ai colpi della sorte. Egli rinuncia tuttavia, laicamente, a
qualsiasi promessa di una felicita' oltreterrena per il giusto: una via che
sarebbe stata seguita invece dalla tradizione platonica e poi da quella
cristiana.
L'epoca aurea del pensiero della felicita' nel mondo moderno e' senz'altro
il Settecento, che riattiva le esperienze della filosofia antica e le
arricchisce, con il pensiero rivoluzionario francese - e soprattutto
giacobino - di una nuova dimensione, quella politica della liberta' e
dell'eguaglianza. Percio' Saint-Just poteva dire alla Convenzione, nel 1793,
che "la felicita' e' un'idea nuova in Europa": nuova, perche' si trattava
della felicita' di un popolo intiero, non solo dei saggi virtuosi
dell'antichita', e di questo mondo, non nell'altro del cristianesimo.
Con la Rivoluzione e i giacobini l'idea di felicita' raggiunge il suo
apogeo; subito dopo, inizia un declino che terminera', alla fine
dell'Ottocento, con Nietzsche e Freud, con quella che gli autori definiscono
efficacemente "l'eutanasia della felicita'". Il declino comincia quando Kant
e Hegel negano che il dovere della virtu' possa venire motivato dall'attesa
della felicita'. Per Kant, la legge morale e' un dovere assoluto che non ha
bisogno di una sanzione esteriore come quella della felicita' (tra l'altro,
il nesso virtu'-felicita' finisce per colpevolizzare gli infelici come
malvagi). Per Hegel, e' l'intero discorso della virtu' morale che viene
messo fuori campo dall'idea di un "corso del mondo" in cui si attua la
storia dello spirito: una storia che e' lavoro, sforzo, conflitto, mentre,
scrive Hegel, "i periodi di felicita' sono pagine bianche nella storia del
mondo".
Quello che conta nella vita degli individui, per lui come anche per Marx, e'
il contributo alla storia universale, e' la partecipazione al cammino
progressivo della ragione: la morale antica sembra ora abbia esaurito il suo
ciclo. Ma non ha davvero piu' nulla da dirci? Oggi sembra lecito dubitare
sia dell'imperativo assoluto di Kant con il suo rinvio implicito ma
inevitabile a una garanzia religiosa del dovere morale; e altrettanto lecito
e' il dubbio sulla concezione hegeliana della storia come progressivo
affermarsi dello spirito nel mondo, che supera e travolge le questioni della
moralita' individuale e pubblica. La rinuncia all'idea di felicita' sembra
aprire un vuoto nel pensiero etico, sembra cioe' produrre l'assenza di un
orizzonte di speranza che permetta, scrivono gli autori, di "pensare la
vita, di progettarla migliore".

4. SILVIA VEGETTI FINZI RICORDA JOHANNES CREMERIUS
[Dal "Corriere della sera" del primo aprile 2002]

Il 20 marzo e' morto Johannes Cremerius, uno dei maggiori psicoanalisti
freudiani, un personaggio storico per contributi culturali e percorso di
vita. La morte lo ha colto in Renania dove era nato, nel 1918, e da dove
proveniva la sua famiglia, un luogo, come amava ricordare, in cui germanici
e romani avevano vissuto in pace per secoli. E proprio italo-tedesca e'
stata, per vari motivi, la sua collocazione esistenziale, tanto da definire
il nostro paese "la sua seconda patria". Nel 1939 si era rifugiato presso il
Collegio Ghislieri di Pavia per studiare medicina senza sottostare alle
pesanti ingiunzioni della cultura nazista. Costretto a ritornare in
Germania, fu inviato come medico al fronte orientale e, durante la ritirata,
fu tra i pochi sopravvissuti a un naufragio nello stretto di Skagerrak. Nel
frattempo la sua formazione medica si arricchiva di specializzazioni in
psichiatria e medicina interna, di una formazione psicosomatica e di un
training psicoanalitico. Nel 1950, invitato negli Stati Uniti, conobbe i
maggiori psicoanalisti esuli dall'Europa per motivi politici e razziali,
come Alexander, Kriss e Loewenstein, la Horney, Rado e la Deutsch. Al suo
ritorno in Germania, la fondazione Rockefeller gli concesse i finanziamenti
per l'apertura di un reparto psicosomatico presso il policlinico di Monaco,
ove svolse, tra l'altro, importanti ricerche sulla psicodinamica del diabete
mellito. Ottenne poi una cattedra universitaria a Giessen e successivamente
a Friburgo. In quegli anni gli psicoanalisti universitari erano fortemente
impegnati, secondo gli ideali della Scuola di Francoforte, a promuovere,
contro i residui di autoritarismo, lo spirito critico e le istanze
democratiche.
Sara' su queste affinita' che si realizzera', nel 1966, il fecondo incontro,
in Italia, con Gaetano Benedetti e Pier Francesco Galli, fondatore del
Gruppo milanese per lo sviluppo della psicoterapia e della nota rivista
"Psicoterapia e scienze umane". Successivamente collaborera' con altri
centri affini, ultimo dei quali la Scuola di psicoterapia psicoanalitica che
pubblica la rivista "Setting". Le numerose opere di Cremerius spaziano,
sempre dal punto di vista della psicoanalisi, dalla storia alla sociologia,
dalla teoria alla clinica, dall'educazione alla critica letteraria,
dall'estetica alla formazione degli analisti. Recentemente intervistato da
uno dei suoi piu' attenti biografi italiani, Marco Francesconi, Cremerius
afferma che lo scopo della terapia non consiste nella guarigione intesa come
adattamento alle esigenze sociali poiche' "la via e' lo scopo". E la via
psicoanalitica comporta un'esperienza di "illuminazione" di se' e del mondo.
Ma questo accade soltanto se la ricerca e' condotta nel segno della
liberta', al di fuori di regole burocratiche e condizionamenti
istituzionali. Il paziente non e' un malato ma un uomo impegnato in una
difficile impresa esistenziale. Come tale non dev'essere modificato, ma
compreso e accompagnato perche' la vita e' creazione, non adeguazione. "Io
penso, dice ancora Cremerius, che possa essere riconosciuto come analista
solo chi si sia addentrato nella filosofia freudiana, quindi nelle lotte per
la liberta', contro l'antisemitismo e l'oppressione dei deboli, per i
diritti dei bambini, per il rispetto delle donne e il riconoscimento del
loro valore".
Il suo testamento spirituale si conclude con queste parole: "Vedete, sono un
illuminista appassionato, anche se ho dovuto subire delle sconfitte". Ma,
per noi, la sconfitta peggiore e' la sua morte, l'impossibilita', d'ora in
poi, di ascoltare una voce cosi' nobile e forte. Tra i suoi libri
principali: Educazione e psicoanalisi, Nevrosi e genialita', Il mestiere
dell'analista , editi da Bollati Boringhieri; Psicosomatica clinica , Borla
edizioni e Il futuro della psicoanalisi, Armando editore.

5. SILVIA VEGETTI FINZI: MICHEL FOUCAULT VENT'ANNI DOPO
[Dal "Corriere della sera" del 3 aprile 2004]

L'isola di San Servolo emerge dalle immobili acque della laguna di Venezia
come un miraggio. Per secoli ospedale psichiatrico, prima di diventare
fondazione culturale, San Servolo rappresenta la migliore allegoria del
convegno che vi si tiene oggi e domani, per iniziativa di Mario Galzigna.
L'occasione e' data dal ventesimo anniversario della morte di Michel
Foucault (1926-1984), uno dei filosofi piu' seguiti ai tempi del Maggio
parigino, quando si propugnava "l'immaginazione al potere". E, se intendiamo
l'immaginazione come capacita' di infrangere l'ovvio e il risaputo per
aprire nuove prospettive, dobbiamo convenire che Foucault gesti' con estrema
passione quel mandato.
Allievo della Scuola normale, militante, tormentato da una problematica
omosessualita', dotato di una cultura prodigiosa mai chiusa nell'erudizione
accademica, da giovane impegnato nella cura delle psicosi, mori' di Aids
proprio alla Salpetriere, l'istituzione psichiatrica in cui si concentra la
storia della follia in Occidente. Per la sua indagine storica e filosofica,
il manicomio rappresenta il luogo ideale, dove s'individuano piu' facilmente
le dinamiche del potere che, lungi dall'esaurirsi nello Stato, si diramano
in modo capillare nella famiglia, nella scuola, nei tribunali, negli
ospedali, nelle carceri attraverso quelle che Foucalt chiama le "pratiche
discorsive". Invisibili forme di dominio che, modellando i corpi e le menti,
fanno di noi quelli che siamo. Se Foucault s'impegna in una Storia della
follia e' per ricostruire in che modo si passa dall'emarginare i
comportamenti asociali entro recinti murari (i vari asili per derelitti),
sino a intervenire nei meccanismi della neurofisiologia attraverso i
farmaci, l'elettroshock, l'ipnosi, i colloqui clinici.
Lungo questo percorso Foucault s'avvede che il soggetto, colui che
orgogliosamente dice "io", e' in realta' un oggetto, un prodotto della
"microfisica dei poteri". L'interiorita' stessa, in cui collochiamo il
nucleo intangibile della nostra individualita', altro non e' che un effetto
di determinazioni esterne, di divieti, ingiunzioni ed esortazioni che in
mille modi ci hanno storicamente modellato in funzione degli interessi
dominanti. Portando alle estreme conseguenze questa ipotesi - che giunge
nella Volonta' di sapere sino alla psicoanalisi intesa come una versione
laica della plurisecolare pratica della confessione - Foucault cade pero' in
un vero e proprio paradosso. Se il soggetto non ha alcuna possibilita' di
emergere dalle sue determinazioni, se e' un mero prodotto dei meccanismi di
potere, come potra' mai adottare una prospettiva critica su se stesso e sul
mondo?
Sospinto anche dall'eclisse delle grandi utopie, Foucault retrocede allora
alla societa' antica, alla Grecia del V e IV secolo, dove gli sembra di
riconoscere, nella figura dell'aristocratico colto e saggio, un'ideale
figura di liberta'. Due opere, L'uso dei piaceri e La cura di se', indagano
il modo in cui il soggetto classico si costituisce e si da' forma attraverso
una morale estetica che modera l'impeto delle pulsioni e relativizza la
sfera pubblica sino a delimitare lo spazio intimo e privato
dell'interiorita'. Qui risiede quel residuo di liberta' che si puo'
recuperare una volta che siano state riconosciute tutte le determinazioni
che subiamo come esseri sociali.
Per Foucault la liberta' non e' una condizione originaria che si puo'
soltanto perdere, ma una meta da conquistare. In questi anni, in cui la
crisi della politica, l'eclisse dei valori, la perdita dei tradizionali
stampi d'identita' consegnano a ciascuno il compito di costruire un proprio
progetto di vita, l'impresa foucaultiana costituisce una mappa ineludibile.
Non perche' offra un repertorio di risposte, ma perche' funziona come
operatore di domande. Ed e' proprio questo il senso del convegno, che non
vuole essere museale ma progettuale.
Saranno inoltre discusse due opere di Foucault, appena pubblicate da
Feltrinelli. Commentando Gli anormali, Petrella ricostruira' il nodo
strettissimo che congiunge sapere e potere nella definizione delle tipologie
psichiatriche. Sono modelli forti con i quali ancora ci confrontiamo,
nonostante le battaglie contro l'istituzionalizzazione e la classificazione
della follia svolte da Basaglia. Infine la relazione di M. Galzigna prende
le mosse dal libro Il potere psichiatrico, per proporre un'epistemologia
clinica capace di comprendere i soggetti mobili e plurimi che
contraddistinguono la nostra epoca.
Lungo il percorso emergeranno le caratteristiche della posizione decentrata
di Foucault nella storia della cultura: la sua diffidenza verso i ruoli
accademici; l'eccentricita' di un sapere trasversale rispetto alle
discipline tradizionali; l'insofferenza verso ogni appartenenza di scuola;
la plasticita' di una scrittura che si modella sul suo oggetto, senza
effetti di stile fini a se stessi.
Dei tre temi proposti, abbiamo qui indicato il vettore potere-soggetti ma
affidiamo il terzo, la verita', al fascino dei luoghi e alla sinergia dei
discorsi.

6. ET COETERA
Su Silvia Vegetti Finzi dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle
scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente notizia
biografica: "Silvia Vegetti Finzi e' nata a Brescia il 5 ottobre 1938.
Laureatasi in pedagogia, si e' specializzata in psicologia clinica presso
l'Istituto di psicologia dell'Universita' cattolica di Milano. All'inizio
degli anni '70 ha partecipato a una vasta ricerca internazionale, progettata
dalle Associazioni Iard e Van Leer, sulle cause del disadattamento
scolastico. Inoltre ha lavorato come psicoterapeuta dell'infanzia e della
famiglia nelle istituzioni pubbliche. Dal 1975 e' entrata a far parte del
Dipartimento di Filosofia dell'Universita' di Pavia ove attualmente insegna
psicologia dinamica. Dagli anni '80 partecipa al movimento femminista,
collaborando con l'Universita' delle donne 'Virginia Woolf' di Roma e con il
Centro documentazione donne di Firenze. Nel 1990 e' tra i fondatori della
Consulta (laica) di bioetica. Dal 1986 e' pubblicista del 'Corriere della
Sera' e successivamente anche di 'Io donna' e di 'Insieme"' Fa parte del
comitato scientifico delle riviste: 'Bio-logica', 'Adultita'', 'Imago
ricercae', nonche' dell'Istituto Gramsci di Roma, della 'Casa della cultura'
di Milano, della 'Libera universita' dell'autobiografia' di Anghiari.
Collabora inoltre con le riviste filosofiche 'Aut Aut' e 'Iride'. Molti suoi
scritti sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e spagnolo. E'
membro dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, della
Societa' italiana di psicologia; della Societe' internationale d'histoire de
la psychoanalyse. Nel 1998 ha ricevuto, per i suoi scritti di psicoanalisi,
il premio nazionale 'Cesare Musatti', e per quelli di bioetica il premio
nazionale 'Giuseppina Teodori'. Sposata con lo storico della filosofia
antica Mario Vegetti, ha due figli adulti, Valentina e Matteo. Gli interessi
di Silvia Vegetti Finzi seguono quattro filoni: il primo e' volto a
ricostruire una genealogia della psicoanalisi da Freud ai giorni nostri,
intesa non solo come storia del movimento psicoanalitico ma anche come
storia della cultura; il secondo, una archelogia dell'immaginario femminile,
intende recuperare nell'inconscio individuale e nella storia delle
espressioni culturali, elementi di identita' femminile e materna cancellati
dal prevalere delle forme simboliche maschili: a questo scopo ha analizzato
i sogni e i sintomi delle bambine, i miti delle origini, i riti di
iniziazione femminile nella Grecia classica, le metafore della scienza,
l'iconografia delle Grandi Madri; il terzo delinea uno sviluppo psicologico,
dall'infanzia all'adolescenza, che tenga conto anche degli apporti
psicoanalitici. Si propone inoltre di mettere a disposizione, tramite una
corretta divulgazione, la sensibilita' e il sapere delle discipline
psicologiche ai genitori e agli insegnanti; il quarto, infine, si interroga
sulla maternita' e sugli effetti delle biotecnologie, cercando di dar voce
all'esperienza e alla sapienza delle donne in ordine al generare". Tra le
opere di Silvia Vegetti Finzi: (a cura di), Il bambino nella psicoanalisi,
Zanichelli, Bologna 1976; (con L. Bellomo), Bambini a tempo pieno, Il
Mulino, Bologna 1978; (con altri), Verso il luogo delle origini, La
Tartaruga, Milano 1982; Storia della psicoanalisi, Mondadori, Milano 1986;
La ricerca delle donne (1987); Bioetica, 1989; Il bambino della notte.
Divenire donna, divenire madre, Mondadori, Milano 1990; (a cura di),
Psicoanalisi al femminile, Laterza, Roma-Bari 1992; Il romanzo della
famiglia. Passioni e ragioni del vivere insieme, Mondadori, Milano 1992;
(con altri), Questioni di Bioetica, Laterza, Roma-Bari 1993; (con Anna Maria
Battistin), A piccoli passi. La psicologia dei bambini dall'attesa ai cinque
anni, Mondadori, Milano 1994; Freud e la nascita della psicoanalisi, 1994;
(con Marina Catenazzi), Psicoanalisi ed educazione sessuale, Laterza,
Roma-Bari 1995; (con altri), Psicoanalisi ed identita' di genere, Laterza,
Roma-Bari 1995; (con Anna Maria Battistin), I bambini sono cambiati. La
psicologia dei bambini dai cinque ai dieci anni, Mondadori, Milano 1996;
(con Silvia Lagorio, Lella Ravasi), Se noi siamo la terra. Identita'
femminile e negazione della maternita', Il Saggiatore, Milano 1996; (con
altri), Il respiro delle donne, Il Saggiatore, Milano 1996; Volere un
figlio. La nuova maternita' fra natura e scienza, Mondadori, Milano 1997;
(con altri), Storia delle passioni, Laterza, Roma-Bari 1997; Il fantasma del
patriarcato, Alma Edizioni, 1997; (con altri), Fedi e violenze, Rosenberg &
Sellier, 1997; (con Anna Maria Battistin), L'eta' incerta. I nuovi
adolescenti, Mondadori, Milano, 2000; Parlar d'amore, Rizzoli, Milano 2003;
Silvia Vegetti Finzi dialoga con le mamme, Fabbri, Milano 2004; Quando i
genitori si dividono, Mondadori, Milano 2005.

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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
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