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La nonviolenza e' in cammino. 1331
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1331
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 19 Jun 2006 02:45:06 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1331 del 19 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. No 2. Luigi Ferrajoli: Lo scempio 3. Ida Dominijanni: Le collusioni 4. Giulio Vittorangeli: La democrazia, giorno per giorno 5. Guido Caldiron intervista Zainab Salbi 6. Elena Loewenthal presenta "Islam: l'identita' inquieta dell'Europa" di Farian Sabahi 7. Arrigo Quattrocchi ricorda Gyorgy Ligeti 8. A Pisa dall'8 all'11 settembre 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. NO A chi vuole imporre la dittatura del primo ministro sul parlamento, noi diciamo no. A chi vuole frantumare il diritto di tutti cittadini all'eguaglianza, noi diciamo no. A chi vuole asservire la magistratura, noi diciamo no. A chi vuole passare dalla democrazia rappresentativa al fascismo plebiscitario, noi diciamo no. A chi vuole fare strame della Costituzione nata dalla Resistenza, noi diciamo no. Al fascismo che torna, noi diciamo no. 2. RIFLESSIONE. LUIGI FERRAJOLI: LO SCEMPIO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 giugno 2006. Luigi Ferrajoli, illustre giurista, nato a Firenze nel 1940, gia' magistrato tra il 1967 e il 1975, dal 1970 docente universitario. Opere di Luigi Ferrajoli: della sua vasta produzione scientifica segnaliamo particolarmente la monumentale monografia Diritto e ragione, Laterza, Roma-Bari 1989; il saggio La sovranita' nel mondo moderno, Laterza, Roma-Bari 1997; e La cultura giuridica nell'Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1999] Mancano solo otto giorni al referendum sullo scempio della Costituzione repubblicana e il centrosinistra sembra non aver ancora iniziato la campagna elettorale per il "no". Frattanto la televisione - quella pubblica, e non solo quella di Berlusconi - illustra i contenuti del referendum spiegando che si andra' a votare semplicemente sulla diminuzione del numero dei parlamentari e su una piu' razionale e per tutti vantaggiosa differenziazione di competenze tra camera e senato e tra stato e regioni. Torniamo allora a raccontare l'incubo che ossessiona e tormenta quanti conoscono - un'infima minoranza dell'elettorato - cio' su cui andremo a votare: la possibilita', niente affatto inverosimile visti i sondaggi e la totale disinformazione, che prevalgano i "si'" a questa manomissione della nostra democrazia. * Avremmo, se vincessero i "si'", 20 sistemi sanitari, 20 sistemi scolastici e 20 sistemi di polizia diversi, con i relativi apparati burocratici e, soprattutto, con la lesione dell'uguaglianza dei cittadini nei diritti alla salute, all'istruzione e alla sicurezza, in danno di quanti abitano nelle regioni piu' povere. Avremmo un'ulteriore personalizzazione e verticalizzazione del sistema politico all'insegna di una sua degenerazione antiparlamentare e antirappresentativa. Tutti i poteri politici sarebbero di fatto concentrati nella figura autocratica di un "primo ministro" reso di fatto inamovibile e irresponsabile. Ne risulterebbe infatti capovolto il rapporto di fiducia tra parlamento e governo: non sarebbe piu' il governo che dovrebbe avere la fiducia del parlamento, bensi' il parlamento che dovrebbe avere la fiducia del primo ministro, il quale potrebbe sempre sciogliere la camera sotto la sua "esclusiva responsabilita'". Sarebbe d'altro canto praticamente impossibile la sfiducia, dato che essa comporterebbe, oltre alle dimissioni del primo ministro, lo scioglimento della camera e nuove elezioni; a meno che essa non fosse accompagnata dalla designazione di un nuovo primo ministro, che pero' dovrebbe essere votata dagli stessi "deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della camera". Sarebbero percio' impossibili le crisi di governo parlamentari. Solo la maggioranza, quasi all'unanimita', potrebbe sfiduciare il primo ministro. Maggioranza e minoranza verrebbero blindate, in un parlamento ridotto a una specie di societa' per azioni controllata, con un decimo o anche meno dei deputati, dal capo della coalizione vincente. Sarebbe cosi' alterato lo statuto del parlamentare, vincolato al primo ministro da un mandato imperativo dall'alto, in contrasto con il principio basilare della democrazia politica, stabilito dall'art. 67 della Costituzione, che "ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". La separazione tra potere esecutivo e potere legislativo sarebbe d'altro canto dissolta anche sul piano funzionale dal sabotaggio, oltre che dei poteri di controllo, anche delle classiche funzioni legislative del parlamento. Avremmo infatti ben quattro tipi di fonti che darebbero luogo ad altrettanti conflitti: 1) leggi di competenza della camera su ben 22 materie, con parere non vincolante del senato; 2) leggi di competenza del senato con parere non vincolante della camera in tema di sanita', organizzazione della scuola, programmi scolastici, polizia amministrativa e in ogni altra materia non di competenza della camera; 3) leggi di competenza congiunta di entrambe le camere su un'altra serie interminabile di materie; 4) leggi di competenza del senato cui il governo, su autorizzazione del presidente della Repubblica chiamato a "verificar(n)e i presupposti costituzionali", potrebbe proporre modifiche "essenziali per l'attuazione del suo programma" che, se non approvate, sarebbero decise dalla camera a maggioranza assoluta. E' facile immaginare il caos istituzionale che proverrebbe da questo labirinto di competenze e dagli infiniti contenziosi generati dall'inevitabile incertezza dei confini tra le innumerevoli materie distribuite tra queste quattro fonti. Si sono addirittura previsti due nuovi organi - una commissione paritetica di 60 membri e un comitato di 8 membri designato dai due presidenti - per risolvere l'uno il disaccordo tra camera e senato sulle leggi bicamerali e l'altro i conflitti di competenza tra le quattro fonti. A questi conflitti si aggiungerebbero d'altro canto i conflitti tra conflitti: tra quelli intra-parlamentari affidati al comitato degli 8 e quelli sulle stesse materie tra stato e regioni, rimasti di competenza della corte costituzionale. Ne risulterebbe - tra un parlamento articolato di fatto in quattro camere (camera, senato, commissione dei 60 e comitato degli 8) e le 20 regioni - una conflittualita' intraistituzionale permanente; la possibilita' di ostruzionismi illimitati; la paralisi della funzione legislativa del parlamento in favore della decretazione governativa d'urgenza; una valanga di questioni procedurali sui due presidenti (e sul loro comitato) e sulla corte costituzionale; lo squilibrio in senso autoritario dell'intero assetto istituzionale; il crollo della certezza del diritto, il declino della legge e l'indebolimento della funzione garantista della giurisdizione, la cui "soggezione alla legge" risulterebbe sostituita dalla soggezione ai decreti legge del governo. Una frana, insomma, dell'intero edificio dello stato di diritto e della democrazia rappresentativa. * Siamo quindi di fronte non gia' a una semplice "revisione" della Costituzione, ma a una Costituzione nuova, che modifica simultaneamente la forma di stato, da nazionale a federale, e la forma di governo, da parlamentare a monocratica, e decostituzionalizza di fatto la Repubblica. E' infatti l'intera Costituzione, e non solo la sua seconda parte, che ne risulta stravolta: per la disuguaglianza nei diritti sociali provocata dalla cosiddetta devolution; per il nesso funzionale che lega la seconda parte della Carta alla prima; perche' infine la crisi della legge, che e' la fonte primaria di attuazione della Costituzione, non potrebbe non risolversi in un indebolimento di tutti i diritti fondamentali da questa stabiliti. Di qui la radicale illegittimita' di tutta questa operazione. Il potere di revisione non e' infatti un potere costituente, ma un potere costituito, che in quanto tale puo' produrre singoli emendamenti e non una costituzione del tutto diversa, se non in violazione della sovranita' popolare sancita dal primo articolo della Carta del '48. E' difficile capire se i dirigenti dell'Unione si rendano conto della portata dello sfascio prospettato da una vittoria del "si'". Non sembra, a giudicare dalla loro inerzia e dalle loro proposte di tornare, dopo il referendum, a trattare con l'opposizione non si sa bene su quali di tutte queste trovate. Due cose almeno dovrebbero allora essere chiare anche ai nostri rappresentanti: che un'eventuale vittoria del "si'" ben difficilmente indurrebbe la destra a rimettere in questione la sua riforma; e che la vittoria del "no" e' essenziale anche per quanti hanno a cuore, se non il futuro della democrazia, la sopravvivenza dell'attuale governo, che dall'entrata in vigore della costituzione di Berlusconi, Fini, Bossi e Calderoli risulterebbe pesantemente delegittimato. 3. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LE COLLUSIONI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 giugno 2006 (ivi col titolo: Il fantasma della bicamerale; il titolo da noi adottato - lo dichiariamo senza esitazioni - e' una forzatura, ovvero una scelta ermeneutica, critica e ortativa, della redazione di questo notiziario che - come e' noto - ritiene che il "no" al golpe berlusconiano debba valere come opposizione anche ad ogni ulteriore tentativo di stravolgimento della Costituzione - p. s.). Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005] "Puo' darsi che un giorno ci saranno le condizioni per riprendere in mano il lavoro da dove lo abbiamo lasciato", disse Massimo D'Alema l'8 giugno 1998 chiudendo il capitolo della commissione bicamerale da lui presieduta. Silvio Berlusconi aveva fatto saltare il tavolo all'ultimo momento, quando gia' tutti, politici cronisti e commentatori, davano per fatta l'approvazione in aula della bozza di riforma licenziata il 4 novembre del '97 dalla commissione istituita il 24 gennaio. Per uno di quei paradossi di cui la politica e' fatta, quelle condizioni evocate da D'Alema potrebbe essere proprio il referendum del 25 a crearle; e proprio la vittoria del "no". Come che vada, ci dicono infatti da destra e da sinistra, "il processo di riforma" riprendera'. Ma mentre se vincesse il "si'" Berlusconi potrebbe avere piu' interesse a incassare la nuova Costituzione scagliandola contro il governo che non a destabilizzarlo riaprendo il tavolo delle "larghe intese", se prevarra' il "no" c'e' poco da sperare che i vertici del centrosinistra lo interpreteranno come invito a sospendere la corsa alla revisione costituzionale: la parola d'ordine del "no per il cambiamento" su cui e' stata impostata la (modestissima) campagna referendaria annuncia gia' che lo interpreteranno al contrario come autorizzazione a riprenderla. La coazione a ripetere finira' dunque col prevalere sull'esigenza di fermarsi a riconsiderare criticamente l'intero arco - ormai piu' di venti anni - dei tentativi di revisione costituzionale, che sono approdati al paradossale risultato di delegittimare la Carta del '48 senza riuscire a riformarla. La coazione a ripetere trionfa nel metodo prima che nel merito. Gia' e' tornata a galla, per il dopo-referendum, la stessa disputa sullo strumento - commissione bicamerale, convenzione o assemblea costituente - che occupo' il campo prima dell'istituzione della bicamerale. Allora di convenzioni non si parlava - l'ipotesi spunta ora a imitazione dell'organismo che ha partorito il trattato costituzionale europeo - e la scelta fra bicamerale e assemblea costituente rifletteva un problema tutt'altro che tecnico. A invocare l'assemblea costituente era infatti quella parte del campo politico convinta che si trattasse non di riformare ma di riscrivere la Costituzione: le tre componenti del centrodestra, estranee al patto del '48, ma anche i settori piu' "nuovisti" del centrosinistra, quelli cioe' che avevano visto nell'esplosione di tangentopoli, nella crisi del sistema politico che ne era conseguita e nell'introduzione del maggioritario una cesura storica tale da formalizzare l'avvento della "seconda Repubblica" in una nuova Costituzione. Rispetto a questa marea montante (non va dimenticato che nel '96 il centrosinistra aveva vinto le elezioni favorito dal maggioritario, ma il centrodestra aveva ottenuto piu' voti e avrebbe probabilmente avuto la maggioranza in un'assemblea costituente eletta col proporzionale) l'istituzione della bicamerale parve il male minore anche a quanti avevano a cuore le sorti della Carta del '48, o comunque non vedevano nel biennio '92-'94 una cesura rivoluzionaria o traumatica tale da giustificare l'evocazione del potere costituente. Un argomento che resta valido oggi quanto allora. La bicamerale D'Alema era la terza della serie, dopo quelle presiedute da Bozzi nell'83-'85 e da De Mita e Jotti del '93-'94. Risale all'83, dunque, la prassi di concepire le riforme in apposite commissioni, derogando dalla procedura prevista dall'articolo 138 (doppia votazione delle camere, maggioranza assoluta nella seconda votazione e possibilita' di chiedere il referendum se questa maggioranza e' inferiore ai due terzi). Con la bicamerale D'Alema, tuttavia, comincia un'altra storia, sia per il suo mandato assai ampio (l'elaborazione di una proposta di riforma dell'intera seconda parte della Carta), sia per la congiuntura politica in cui si svolse e per il peso che la posta delle riforme costituzionali ha assunto da allora nell'andamento della transizione italiana. In gioco non c'era "solo" il cambiamento della forma di stato e di governo, del bicameralismo e dell'ordinamento giudiziario. C'era la partita simbolica cui abbiamo gia' accennato del passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, il bisogno di legittimazione della nuova destra extra, anti e post costituzionale (rispettivamente An, la Lega, Forza Italia), l'imporsi della "questione settentrionale" contro la storica questione meridionale, i desideri di revanche berlusconiani (e non solo) contro il controllo di legalita' della magistratura sulla classe politica. I giudizi prevalenti su quella stagione sono com'e' noto, a sinistra e soprattutto nella parte piu' "giustizialista" della sinistra, molto severi. Ma le accuse rivolte alla bicamerale, e segnatamente al suo presidente, di "legittimazione del nemico" e compromissione col medesimo soprattutto in materia di giustizia dovrebbero prima o poi misurarsi con almeno tre fatti: la necessita' di provare a contenere nella bicamerale la "marea montante" anticostituzionale di cui sopra, la legittimazione che a Berlusconi era gia' venuta dal voto popolare, il siluramento finale della bozza di riforma voluto in corner dallo stesso Berlusconi proprio perche' sulla giustizia non aveva ottenuto quello che voleva. Piu' che di legittimazione del nemico, si tratto' di un - ottimistico - tentativo di educarlo al galateo democratico, costituzionale e istituzionale, destinato al fallimento data la natura geneticamente ostile al costituzionalismo democratico novecentesco della destra che nel '94 si e' aggregata in Italia attorno a Berlusconi, e anche altrove ha fatto la sua comparsa al passaggio di secolo. Restano invece addebitati sul conto della bicamerale altri effetti. L'aver definitivamente consolidato l'idea - maturata gia' nel decennio craxiano - che cio' di cui la democrazia italiana soffre sia un deficit di governabilita', e dunque l'aver spostato la terapia dalla rappresentanza alla verticalizzazione dell'esecutivo. L'aver accreditato una concezione negativa delle funzioni dello stato, scisse dal legame sociale. E soprattutto l'aver alimentato la delegittimazione della Costituzione del '48 dipingendola come una Carta in perenne attesa di riforme incompiute, e la riduzione della revisione costituzionale a posta del gioco (se non dello scambio) politico e a protesi delle storture del sistema dei partiti e delle coalizioni. Attraverso queste quattro porte sono passate insieme, in Italia, la messa in mora della Costituzione e una concezione riduttiva della democrazia. Che insieme si sono ulteriormente saldate nella riforma della Costituzione varata dal centrodestra l'anno scorso e oggi sottoposta a referendum. In questo caso la procedura regolare del 138 e' stata formalmente ripristinata, ma, com'era gia' accaduto nel 2001 con la riforma di centrosinistra del Titolo V, con un sostanziale stravolgimento dello spirito garantista del 138 stesso, cioe' procedendo a colpi di maggioranza in parlamento. Il ricorso al referendum e' la garanzia estrema che la Costituzione ci mette a disposizione per la sua salvaguardia, e speriamo che risponda all'obiettivo di dire "no". Dopodiche' la coazione a ripetere del "processo di riforma" tornera', ancora una volta impastata con la lotta politica. Si dovrebbe invece finalmente aprire il tempo della riflessione. Venti anni e piu' di tentate riforme lasciano infatti al ceto politico il compito di tornare ad assumere la legge fondamentale come limite, e non come posta, del gioco politico. E ai costituzionalisti il compito di pensare un rilancio del costituzionalismo novecentesco all'altezza delle sfide antropologiche, etiche e geopolitiche del Duemila. 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA DEMOCRAZIA, GIORNO PER GIORNO [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Nel nostro occidente siamo tutti "democratici", destra e sinistra, almeno a parole. Ma quali sono le caratteristiche della democrazia, considerata "il meno cattivo dei sistemi politici"? Se parliamo di democrazia, vengono immediatamente in mente le elezioni. Troppe volte pero' ci si dimentica che di elezioni esistono molti tipi, piu' o meno democratici; e comunque per quanto necessarie sono insufficienti. Necessarie, perche' rappresentano un primo passo, insostituibile. Senza elezioni, niente democrazia. Ma e' chiaro che non bastano, e per molti motivi che ci possono introdurre ad una democrazia piu' vera. Pensiamo a quanto e' stato scritto sul tema della democrazia rappresentativa e della democrazia partecipativa. Una democrazia puramente formale finisce inevitabilmente con il produrre una democrazia incapace di mobilitare quelle energie politiche e morali di cui invece abbiamo estremo bisogno. Per molti di noi, la democrazia non e' solo metodo: un modo per scegliersi dei governanti cui obbedire e a cui delegare la rappresentanza; la democrazia e' anche contenuto ideale, e' un concetto-limite, cui tendere, per il quale lottare, premendo dal basso, giorno dopo giorno. Fare in modo che i cittadini decidano il piu' possibile insieme cio' che li riguarda. Il primo soggetto della democrazia, non bisognerebbe mai smetterlo di ricordarlo, e' il popolo. Il punto di partenza della politica democratica e' il potere che promana dal popolo. La sovranita' democratica non e' la sovranita' nazionale, ma la sovranita' popolare. Per tutto questo la democrazia rappresenta un'idea-forza che comporta un ideale politico nella viva trama dei rapporti quotidiani fra le persone. * Ma, tanto per restare in Italia, che cosa succede quando nel segreto della cabina in molti scelgono chi promette di far pagare meno tasse... e chi se ne importa se questo incide sul bilancio pubblico in modo da togliere assistenza, sicurezza, una vita decente a chi ne ha piu' bisogno? Succede che nel momento elettorale si sceglie non l'interesse pubblico, ma l'interesse privato; succede che prevale l'egoismo rendendo evidenti i segni del degrado che s'identificano nel trionfo dell'indifferenza, nel caotico abbrutimento di un'informe massificazione, nel dominio del becero marasma televisivo, nella violenza latente di larghi strati della popolazione "silenziosa". Cosi', come con l'erosione sistematica di ogni legalita', la nostra democrazia entra in crisi. E se nel 2001 il popolo di destra che aveva votato Berlusconi esprimeva ottimismo, vitalita' ingenua ma reale, voglia di arricchimento facile, oggi esprime solo paura: un sentimento su cui non si puo' costruire granche' di buono. Su questo si registra la vera difficolta' odierna del Berlusconi politico: "Non piu' uomo dei sogni ma degli incubi, non solo degli italiani che lo detestano, ma anche di quelli speculari e contrapposti degli italiani che lo votano" (Gianpasquale Santomassimo). * Siamo nel pieno dell'involuzione della democrazia italiana: pensiamo alla personalizzazione e verticalizzazione della rappresentanza politica. La diffusione del modello presidenzialista o di sistemi di tipo maggioritario tende sempre piu' a identificarsi con la persona del "capo". Inoltre abbiamo assistito, quasi impotenti, al venir meno della separazione tra sfera pubblica e interessi privati, tra istituti politici e potentati economici. E' quotidianamente sotto i nostri occhi l'affermazione del primato del mercato sulla sfera pubblica, con conseguente subordinazione dei poteri pubblici ai grandi interessi economici privati e la stretta alleanza tra poteri politici e poteri mediatici. * Ma certamente l'elemento piu' evidente di questa involuzione e' rappresentato dalla manomissione della Costituzione del '48, del paradigma stesso della democrazia costituzionale. La Costituzione e' cosa seria, e come tale dovrebbe essere sottratta alla disponibilita' delle contingenti maggioranze. Per tutto questo voteremo "no" al referendum del prossimo 25-26 giugno; con la consapevolezza, peraltro, che la democrazia la dobbiamo conquistare e difendere giorno per giorno, a partire dalla vita quotidiana, e non soltanto nelle grandi e solenni scadenze elettorali. 5. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA ZAINAB SALBI [Dal quotidiano "Liberazione" del 7 giugno 2006. Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale, Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002. Zainab Salbi, scrittrice e giornalista irachena, esule negli Stati Uniti, e' presidente dell'organizzazione "Women for Women International" che sostiene le sopravvissute alle guerre] "Come ricordo la mia infanzia in Iraq ai tempi della dittatura? Con la paura che provavo e con un'immagine: il volto di Saddam Hussein era dappertutto, le sue foto dominavano ogni strada, il suo sguardo ti seguiva ovunque. A scuola ci facevano imparare delle filastrocche che parlavano del dittatore, ci insegnavano a festeggiare il suo compleanno, che era una vera festa nazionale. Non solo, spesso gli insegnanti chiedevano a noi bambini se a casa i nostri genitori parlavano di Saddam e come ne parlavano. Le risposte a quelle domande potevano avere conseguenze anche molto gravi: c'e' chi e' finito in prigione per quello che suo figlio aveva detto del tutto ingenuamente. Insomma, avevamo paura, sempre paura". Zainab Salbi vive da molti anni negli Stati Uniti, e' presidente dell'organizzazione "Women for Women International" che aiuta le donne sopravvissute alle guerre, e' una scrittrice e una giornalista di successo. Eppure, quando le si chiede di tornare con la memoria alla sua infanzia trascorsa nell'Iraq di Saddam, sembra rabbrividire ancora oggi. Nata nove anni prima dell'ascesa al potere del tiranno di Tikrit, Zainab Salbi e' cresciuta in una famiglia borghese di Baghdad, il padre era pilota della compagnia di bandiera irachena, la madre insegnante di biologia. Alla serenita' dei suoi primi anni di vita si e' poi sovrapposta l'ombra temibile del dittatore, divenuto una figura familiare, ma non per questo meno inquietante, dopo che il padre di Salbi era stato scelto come proprio pilota personale dallo stesso Saddam. Non sopportando piu' il clima di oppressione che si respirava in tutto il paese e che si viveva anche nella sua famiglia, Zainab Salbi acconsenti' a un matrimonio combinato con un connazionale residente negli Stati Uniti, ma una volta giunta a Los Angeles si rese conto che il marito era un uomo violento e che accanto a lui la sua liberta' sarebbe stata ancora una volta condizionata. Una volta separata dall'uomo, Salbi ha scelto cosi' di occuparsi stabilmente dei diritti delle donne e ha raccolto in un volume, Una donna tra due mondi (pp. 320, euro 16,60), appena pubblicato da Corbaccio, la storia della sua "vita all'ombra di Saddam Hussein". L'abbiamo incontrata nei giorni scorsi a Roma dove e' venuta a presentare il suo libro. * - Guido Caldiron: Il dittatore dell'Iraq frequentava la casa della sua famiglia, era una presenza costante nella sua vita. Che effetto aveva su di lei? - Zainab Salbi: Saddam mi appariva un po' come un gas venefico che si stava infiltrando nella nostra casa e che ci stava uccidendo poco per volta. Del resto, non era solo una paura generica, Saddam aveva fatto uccidere il miglior amico di mio padre. E mia madre, in quanto sciita, temeva di poter essere arrestata da un giorno all'altro. Vivevo la mia paura e insieme quella dei miei genitori, li scoprivo deboli e vulnerabili, spaventati quanto me se non di piu'. E arrivavo anche a odiarli per quella che mi sembrava la loro debolezza. Inoltre ogni emozione doveva essere tenuta sotto controllo quando c'era la possibilita' di incrociare Saddam. * - Guido Caldiron: Per consentirle di fuggire dall'Iraq, sua madre l'ha spinta a sposare uno sconosciuto che viveva in America. Cosa ha pensato quando le ha fatto questa proposta? - Zainab Salbi: Intanto c'e' da dire che mia madre mi aveva spiegato che a Baghdad si sentiva in una gabbia, una gabbia invisibile ma che le andava sempre piu' stretta. E voleva offrirmi una possibilita', la sola che aveva, perche' almeno io potessi fuggire da quella gabbia. Quando mi spiego' che c'era quest'uomo in America che avrei potuto sposare, aveva le lacrime agli occhi. E anch'io stavo male: non capivo come proprio lei, che mi aveva sempre parlato del matrimonio come di un atto d'amore, potesse propormi una cosa del genere. Mi sono sentita tradita dal suo comportamento e poi, anche dopo che mi ero trasferita a Los Angeles, ho continuato per molti anni a provare rabbia nei confronti della mia famiglia. Solo dopo molto tempo, quando ho iniziato a lavorare con "Women for Women" mi sono resa conto che il comportamento di mia madre era stato molto simile a quello delle donne che incontro ora: donne che pur di offrire un futuro ai loro figli sono disposte a darli via, a separarsene e ad affidarli ad altri, come succedeva ad esempio alle vietnamite che affidavano i loro figli ai soldati americani perche' li portassero lontani dalla guerra, salvandogli cosi' la vita. Ci ho messo tanto a capire che i miei genitori era stati comunque molto coraggiosi e che, convivendo con il terrore della dittatura, avevano fatto tutto quello che potevano per farmi crescere libera. * - Guido Caldiron: E oggi, cosa significa per lei essere una donna irachena in America, mentre la sua patria d'adozione e' in guerra con il paese in cui e' nata? - Zainab Salbi: Diciamo che non mi vedo solo come una donna irachena. Ero contro la dittatura di Saddam, ma sono contraria anche alla guerra in corso oggi in Iraq. Non ho mai pensato che le mie idee o la mia storia potessero essere utilizzate negli Stati Uniti per appoggiare le posizioni dei repubblicani o dei democratici, il mio punto di vista vuole essere sempre quello delle donne prima di ogni altra cosa. Negli Stati Uniti mi batto perche' oggi gli iracheni possano decidere liberamente del loro futuro e credo che se in questo processo di rinascita del paese la voce delle donne avra' un peso e una rappresentanza precisa, le cose non potranno che migliorare. Anche se ci vorra' ancora molto tempo. * - Guido Caldiron: Quella dell'Iraq e' stata presentata dall'amministrazione Bush come una "guerra per la liberta' e la democrazia". In questo caso, come gia' per l'Afghanistan, c'e' chi ha parlato anche di una "guerra in nome dei diritti delle donne". E le donne, secondo lei, cosa pensano di una guerra condotta in loro nome? - Zainab Salbi: Se non fosse un quesito drammatico, lo troverei quasi buffo. Questo perche' credo di poter dire che le donne non sono mai favorevoli alle guerre. Anche perche' quando si parla della guerra si immagina solo il fronte, i combattimenti, le truppe e non si considera cio' che succede nelle retrovie: i problemi quotidiani, la fame, l'istruzione dei bambini, la paura. Questa e' l'altra faccia della guerra, che vede le donne in prima fila, e che spesso viene dimenticata. Non voglio pero' dire che le donne sono sempre e solo vittime, parlo anche del loro eroismo, della resistenza che riescono a organizzare perche' la vita continui, nonostante tutto. Solo che la politica non ascolta mai le voci di queste donne. In guerra come in pace. 6. LIBRI. ELENA LOEWENTHAL PRESENTA "ISLAM: L'IDENTITA' INQUIETA DELL'EUROPA" DI FARIAN SABAHI [Dal quotidiano "La stampa" del 17 marzo 2006 riprendiamo la seguente recensione del libro di Farian Sabahi, Islam: l'identita' inquieta dell'Europa. Viaggio tra i musulmani d'Occidente, Il Saggiatore, pp. 323, 17,50 euro, apparsa col titolo "Non tollerare mai l'intolleranza". Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg. Farian Sabahi, storica, saggista, giornalista, docente di storia dell'Iran contemporaneo all'Universita' di Ginevra, docente al master sull'immigrazione dell'Universita' Bocconi di Milano; collabora a "Il Sole - 24 Ore", "Diario", di Radio Svizzera, Radio24 e Radio Popolare. Tra le opere di Farian Sabahi: Storia dell'Iran, Bruno Mondadori, Milano 2003; Islam: l'identita' inquieta dell'Europa, Il Saggiatore, Milano 2006] "La tradizione liberale e democratica non teme il rischio", scrive Farian Sabahi verso la fine del suo libro Islam: l'identita' inquieta dell'Europa. Viaggio tra i musulmani d'Occidente (prefazione di Ferruccio De Bortoli, Il Saggiatore, pp. 323, euro 17,50). Il viaggio si e' aperto con un esergo di Baruch Spinoza dedicato al difficile ma imprescindibile rapporto fra fede e liberta': un rapporto che nelle parole del filosofo non ammette ambiguita'. La liberta' non solo e' compatibile con la religione "ma, anzi, essa non puo' essere soppressa se non insieme alla pace dello Stato e alla religione". Il coraggio di non schivare il rischio e la liberta' di coscienza, che in una sorta di chiasmo spirituale apre e chiude questo saggio, ne e' anche il filo conduttore. Da Parigi a Ginevra e poi Londra, Stoccolma, Anversa, Amburgo e Madrid: Farian Sabahi compie un viaggio in alcune delle comunita' islamiche europee. Ogni sua meta e' affrontata con strumenti diversi: il microfono per l'intervista, un bagaglio storico culturale, sinossi di film e libri, bibliografie, cronologie e siti Internet. C'e', soprattutto, il suo sguardo attento e partecipe: "Come i giovani che ho intervistato mi sento anch'io, secondo le circostanze, italiana, europea e iraniana... Per questo l'esperienza su cui ho scritto e' stata sia professionale sia umana: consegnato il testo all'editore, riconosco di non essere piu' la stessa persona". Uno dei temi centrali e' la condizione femminile all'interno di queste comunita' che lo sguardo di Farian Sabahi esplora. Ma non si parla soltanto di velo, poligamia, lapidazione per le adultere. Si parla anche, ad esempio, di come un sistema articolato di borse di studio riservate alle ragazze musulmane rappresenterebbe una buona strada verso l'emancipazione, spesso frenata perche' quando in famiglia c'e' da pagare gli studi si prediligono, ovviamente, i maschi. E poi il dato di un universo migrante. "Essere immigrati non e' necessariamente un dramma", ma e' certamente, in questa nuova Europa multietnica, una condizione comune che influisce in vario modo sulla sensibilita' e i comportamenti della comunita' islamica. Nel libro si incontrano leader di centri islamici, giovani e attempate convertite, intellettuali, integralisti, studiosi. Ma anche luoghi e immagini, di questo Islam sparpagliato dai fiordi nordici alla penisola iberica. L'approccio e' sempre diretto, mai retorico e men che meno ambiguo. Come quando Sabahi domanda a Tariq Ramadan: "Chi si fa saltare in aria e' uno shahid, un martire, oppure un terrorista?", e non pare soddisfatta dall'esclamazione di risposta, "Dio solo lo sa!": "la retorica dell'affascinante intellettuale ginevrino non e', in fin dei conti, cosi' articolata da farmi cambiare opinione: per rendere veramente compatibili Islam e democrazia e' necessario abrogare quei precetti coranici - e di conseguenza la tradizione contenuta nei detti del Profeta, gli hadith - che discriminano la donna e i non musulmani". Proprio questa e' la notevole, originale forza del libro. Una forza etica che va al di la' del contenuto culturale, del principio della divulgazione. In queste pagine Sabahi non rinuncia mai al dettato spinoziano che sta all'inizio: l'intolleranza verso l'intolleranza. Che e' il principio fondamentale, forse l'unico, per la convivenza in una societa' multiculturale. 7. LUTTI. ARRIGO QUATTROCCHI RICORDA GYORGY LIGETI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 giugno 2006. Arrigo Quattrocchi e' un noto e apprezzato musicologo; nato a Roma, dove vive e lavora, scrive come critico musicale sul quotidiano "Il manifesto" e collabora con Rai-Radiotre prevalentemente per trasmissioni sui materiali d'archivio; come musicologo ha pubblicato un volume sulla storia dell'Accademia Filarmonica Romana (di cui e' membro), un volume su La musica in cento parole. Un piccolo lessico (Carocci, Roma 2003), saggi e articoli su Beethoven, Rossini, Verdi, Dallapiccola, ed ha inoltre curato la revisione sull'autografo della "Jerusalem" di Verdi; e' altresi' impegnato nel campo della vita indipendente delle persone con disabilita'. Gyorgy Ligeti (1923-2006) e' uno dei grandi musicisti del Novecento] "Quando moriro', se proprio ci tenete a chiamare qualcosa con il mio nome, dedicatemi una strada sbagliata Gyorgy Ligeti". Cosi' disse una volta a Budapest, con il suo umorismo tagliente, il compositore transilvano, nato nel 1923. Ligeti si e' spento ieri mattina a Vienna, all'eta' di 83 anni, per una grave malattia, e la "strada sbagliata" da lui imboccata e' oggi considerata come una delle prospettive piu' affascinanti e personali della musica del secondo Novecento. E' una strada di ricerca maturata attraverso drammatici rivolgimenti biografici: l'interruzione degli studi a Budapest, nel 1943, i lavori forzati cui venivano destinati i cittadini di origine ebraica; la limitazione della creativita' da parte del regime, negli anni dopo la guerra. Quindi, l'invasione sovietica del 1956 e la decisione di trasferirsi in occidente. Anche per queste vicende, Ligeti non fu un autore precoce; dopo gli esordi in Ungheria, nel segno di Bartok, il suo approdo a Vienna, nel 1956, lo porta in contatto con le figure di spicco dell'avanguardia tedesca, Stockhausen, Koenig e Eimert; inizia cosi' a lavorare presso lo studio di musica elettronica della radio di Colonia, per passare in seguito alla trattazione diretta di voci e strumenti. Questo lento sviluppo dell'esperienza compositiva doveva far si' che Ligeti rimanesse sostanzialmente estraneo al dibattito degli anni Cinquanta intorno al pensiero seriale e al cosiddetto "post-webernismo", e sviluppasse invece il suo pensiero a partire da presupposti differenti da quelli del calcolo predeterminato e strutturale degli eventi sonori. In sostanza alle strategie della composizione, cioe' alle preoccupazioni relative alla astratta tecnica compositiva, Ligeti ha anteposto le strategie della ricezione, cioe' le preoccupazioni relative al suono in se' e per se' e agli effetti del suono sull'ascoltatore; una posizione che ha fatto apparire la musica di Ligeti ancora attualissima, anche dopo il tramonto della stagione piu' rigorosa dell'avanguardia storica. Nulla di estetizzante c'e', comunque, nel pensiero musicale di Ligeti; e questo perche' - almeno a partire da uno dei suoi capolavori, Atmospheres per orchestra, del 1961 - la ricerca sul suono, la predilezione per le fasce di materia sonora, in cui sono annullati precisi rapporti intervallari fra i suoni, e per le loro trasmutazioni presuppongono un ripensamento del concetto di tempo musicale, verso la fissazione dell'attimo. L'esempio forse piu' celebre di questo procedimento - anche per gli impieghi cinematografici del brano - e' quello di Lux aeterna (1966) per sedici voci a cappella - che fa seguito al Requiem dell'anno precedente, in una direzione di liturgia funebre - in cui la sovrapposizione delle linee vocali crea un magma sonoro senza inizio e senza fine, teso verso l'eternita', in una prospettiva neoplatonica. C'e', dietro questo tipo di procedimento, l'esperienza della musica elettronica trasportata su voci e strumenti acustici, che viene ripetuta anche in altre forme, ad esempio con Volumina (1962) per organo e Lontano per orchestra, o anche il Concerto per violoncello (1966). Ma Ligeti doveva guardare poi verso esperienze diverse. All'inizio degli anni Settanta nelle sue partiture fanno la comparsa elementi melodici, come nel Doppio concerto per flauto e arpa basato, come altri brani, su due movimenti contrastanti, su una trasparenza di scrittura che lascia spazio a tratti ironici. Non e' un caso che l'esperienza maggiore di quel decennio, poi rielaborata negli anni successivi, sia l'opera Le grand macabre (1978), visione sarcastica, surreale, pessimistica del mondo moderno, in cui fanno irruzione in modo sfrontato il sesso e la politica; e', Le grand macabre, uno degli approdi piu' trasgressivi e importanti del teatro contemporaneo. Ma gli interessi di Ligeti dovevano guardare ancora oltre. La prospettiva degli anni Ottanta e' quella della musica africana e della poliritmica, che innerva le sue opere piu' recenti. Polemista instancabile, ricco di un sarcasmo graffiante che deborda nei suoi scritti e nelle sue interviste - l'ultima, imperdibile, e' il volume Lei sogna a colori?, un colloquio con Eckhard Roelcke edito in Italia da Alet lo scorso anno - Ligeti ha attraversato il secondo Novecento da grande indipendente, senza mai essere uomo di parte e di scuola, e forse anche per questo si e' imposto come uno dei pochi autentici maitres-a'-penser della musica del nostro tempo. Alle sue partiture occorre oggi augurare un vasto fiorire di studi, e, soprattutto in Italia, molte occasioni di pubblica esecuzione. 8. INCONTRI. A PISA DALL'8 ALL'11 SETTEMBRE [Nuovamente diffondiamo il seguente invito, e nuovamente ringraziamo Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) per aver promosso insieme al Centro Gandhi di Pisa e alla redazione tutta di "Quaderni Satyagraha" questa importante iniziativa. Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti presso l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998] L'11 settembre 1906 si svolgeva nel vecchio Teatro Imperiale di Johannesburg, convocata dal giovane avvocato Gandhi, una grande assemblea degli Indiani immigrati in Sud Africa. Essi decidevano di intraprendere una campagna di lotta e di disobbedienza civile contro leggi discriminatorie ed umilianti. Successivamente il Mahatma Gandhi riconobbe in quell'evento l'atto di nascita del Satyagraha, cioe' di un modo nuovo di lottare che sostituisce alla forza fisica il ricorso a una Forza piu' grande, che nasce dall'amore per gli altri e per la Verita'. * Nell'avvicinarsi del centenario di quello storico evento, il Centro Gandhi di Pisa e i "Quaderni Satyagraha" vogliono avviare una riflessione e una ricerca comune che indichino i percorsi attuali e ininterrotti del Satyagraha di Gandhi. Di fronte alla grande confusione semantica e politica, all'uso spesso strumentale del termine "nonviolenza" e della stessa immagine di Gandhi, vogliamo ribadire che la sua nonviolenza non e' passivita', negativita', o scelta del male minore; e' invece obiezione di coscienza alle strutture di dominio e scelta rivoluzionaria di trasformazione sociale per costruire il potere di tutti (l'"omnicrazia" di Aldo Capitini) a partire dai piccoli gruppi. Il mondo della politica sembra oggi ipnotizzato, incapace di rompere gli schemi retorici che tengono prigioniere le menti. L'abbattimento del muro di Berlino e la riunificazione europea attraverso l'azione nonviolenta dei popoli non e' servita a immaginare un ruolo per l'Europa al di fuori delle ambizioni di "grande" potenza economica e militare. Adottando pratiche discriminatorie verso i migranti e accodandosi al richiamo di una "guerra di civilta'" il nostro sistema politico nasconde in realta' un'aggressione neocoloniale di sfruttamento dei paesi del Sud del mondo. Su tutte le questioni cruciali della pace e della guerra, la lotta Satyagraha indica una via di uscita radicale e globale, che va cioe' alla radice dei problemi angoscianti e dei conflitti apparentemente irrisolvibili della modernita', rovesciando i modelli politici ed economici dominanti, costruendo alternative realistiche all'imperialismo economico e alla politica di aggressione militare, scegliendo nuovi stili di vita e un nuovo modello di sviluppo. Questo percorso non puo' prescindere dalla cooperazione con i movimenti indigeni degli altri continenti, che ci suggeriscono la possibilita' di cambiare il mondo senza ricreare strutture di dominio, tessendo reti internazionali di cittadinanza attiva che valorizzino le identita' locali. * Durante tre giorni di studio con tavole rotonde e intense discussioni, dalla sera dell'8 settembre all'11 settembre 2006, vogliamo ricordare un evento che non ha dato inizio alla strategia del terrore e della guerra preventiva, ma a un metodo rivoluzionario e nonviolento di liberazione sociale. Al termine del laboratorio di discussione, che si terra' in una struttura residenziale sul mare, ci sposteremo il giorno 11 settembre a Pisa per un evento pubblico di celebrazione del centenario e presentazione della via gandhiana alla pace e alla giustizia. A tal fine convochiamo le amiche e gli amici italiani della nonviolenza, i lettori e gli abbonati ai "Quaderni Satyagraha", per ridefinire un programma attuale per la rivoluzione nonviolenta sui temi cruciali dell'organizzazione del potere dal basso, dell'economia solidale e della parsimonia, della ridefinizione del rapporto pace-giustizia, del servizio civile e della difesa popolare nonviolenta, degli interventi civili e non-armati nelle situazioni di crisi, del disarmo atomico, della critica alla scienza dominante, della definizione di una bioetica, della laicita' e della riforma di religione. Attraverso un percorso di maggiore consapevolezza e di mutua chiarificazione vogliamo costruire una rete capace di agire in senso culturale e politico per far crescere l'alternativa nonviolenta. Il Centro Gandhi e la redazione di "Quaderni Satyagraha". * Il convegno si svolgera' presso il Regina Mundi (www.cifpisa.com), viale del Tirreno 62, a Calambrone, Pisa. Si tratta di una struttura alberghiera affacciata sulla pineta e la spiaggia, dove i partecipanti ed i loro accompagnatori potranno alloggiare e consumare i pasti (abbiamo chiesto alla direzione di prepararci pranzi vegetariani). Vi aspettiamo per la sera dell'8 settembre e vorremmo che restaste fino alla tavola rotonda dell'11 settembre che si svolgera' a Pisa e potra' concludersi con una cena in centro. Il programma sara' pubblicato sul sito www.centrogandhi.it non appena sara' stato definito. * Iscrizione entro il 31 luglio: compilare il modulo disponibile nel sito del Centro Gandhi (www.centrogandhi.it) e inviarlo all'indirizzo e-mail: 11settembre.nonviolenza at centrogandhi.it oppure tramite fax al 1782205126 (per i ritardatari, dopo il 31 luglio contattare Leila al 3355861242). 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1331 del 19 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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