La nonviolenza e' in cammino. 1323



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1323 dell'11 giugno 2006

Sommario di questo numero:
1. Con lo strumento del voto
2. John Friedmann: Rivisitando "Empowerment": principi per uno sviluppo
umano
3. Enrico Peyretti: Un giovane ucciso, i sepolcri imbiancati
4. Clara Sereni: Delle parole e della violenza contro le donne
5. Sandro Mezzadra presenta "Esercizi di potere" a cura di Iain Chambers
6. Mario Pezzella presenta "La guerra dei simboli" di Annamaria Rivera
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CON LO STRUMENTO DEL VOTO

Nella lettera ai cappellani militari del 1965 (all'origine del processo i
cui atti furono pubblicati col titolo L'obbedienza non e' piu' una virtu',
un libriccino che e' divenuto un manifesto e un abbecedario) scriveva
Lorenzo Milani: "le armi che voi approvate sono orribili macchine per
uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che
approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto".
Oggi e domani si vota ancora in una provincia e in decine di comuni
d'Italia. Si voti dunque, ovunque possibile, contro la guerra e contro la
mafia, contro il fascismo e contro la corruzione, contro il razzismo e per
l'umanita'.
E ancora si votera' il 25 e 26 giugno per impedire il colpo di stato, per
salvare la Costituzione scritta col sangue dei martiri della Resistenza.
Nulla e' piu' bello di avere diritto di voto, di poter decidere in comune.
Al voto, dunque.

2. RIFLESSIONE. JOHN FRIEDMANN: RIVISITANDO "EMPOWERMENT": PRINCIPI PER UNO
SVILUPPO UMANO
[Ringraziamo Alberto L'Abate (per contatti: labate at unifi.it) per averci
messo a disposizione il seguente testo di John Friedmann: "si tratta della
nuova introduzione al libro da me curato, Empowerment, verso il potere di
tutti, edito nel 2004 dalle edizioni Qualevita di Torre de' Nolfi (Aq).
Siccome questa nuova introduzione e' arrivata dopo la pubblicazione del
libro, molti di quelli che hanno acquistato il libro non la conoscono e
pubblicandola ora sul notiziario si fa un servizio anche a loro. Le persone
che leggendo questa nuova introduzione sono interessate ad acquistare il
libro lo possono chiedere all'editore: le nuove copie sono corredate da un
inserto con questo testo che Friedmann ha messo a punto venendo nel 2005 a
Firenze e presentandolo in vari ambienti cittadini" (Alberto L'Abate). Per
richieste alla casa editrice: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Alberto L'Abate e' nato a Brindisi nel 1931, docente universitario di
sociologia dei conflitti e ricerca per la pace, promotore del corso di
laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti"
dell'Universita' di Firenze, e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella
Peace Research, nell'attivita' di addestramento alla nonviolenza, nelle
attivita' della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; amico e
collaboratore di Aldo Capitini, ha collaborato alle iniziative di Danilo
Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e
programmatore socio-sanitario e' stato anche un esperto dell'Onu, del
Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'; ha promosso
e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, e si e'
impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione";
e' portavoce dei "Berretti Bianchi" e promotore dei Corpi civili di pace.
Tra le opere di Alberto L'Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla
nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento
sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana,
Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999;
Giovani e pace, Pangea, Torino 2001.
John Friedmann e' professore emerito di pianificazione urbana
dell'Universita' della California di Los Angeles e laureato ad honorem dalla
Universita' di Dortmund, in Germania, e dalla Pontificia Universita'
Cattolica del Cile. Per molti decenni ha lavorato come consulente di
pianificazione in America Latina, in Asia e in Africa. Dal 1965 al 1969 ha
diretto il programma della Fondazione Ford di assistenza allo sviluppo
urbano e regionale del Cile e per il suo lavoro ha ricevuto il
riconoscimento ufficiale del governo democratico di quel paese. Tra i suoi
numerosi libri di urbanistica, teoria pianificatoria e sviluppo regionale,
segnaliamo due suoi saggi tradotti in italiano: Pianificazione come dominio
pubblico: dalla conoscenza all'azione, Dedalo, Bari 1993; Empowerment. Verso
il potere di tutti, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004]

Lo sviluppo alternativo e' stato il mio tentativo, 15 anni fa, di elaborare
un quadro di lavoro di riferimento teorico sulla poverta', che non
cominciasse e finisse all'interno dei discorsi egemonici della teoria
economia neoclassica. Questa teoria, tanto popolare oggi, e' una riproposta
del liberismo ottocentesco di Manchester, ovvero della teoria dello stato
gendarme per la quale il ruolo dello stato e' ridotto al suo potere
poliziesco di mantenimento dell'ordine sociale in modo tale da consentire al
sistema dell'impresa privata di impegnarsi in una accumulazione
incontrastata.
Attualmente il liberismo di Manchester, un tempo praticato solo in Gran
Bretagna, e' stato adottato a livello globale. Ma i suoi fondamenti
filosofici non sono molto diversi da quelli che i suoi ideologi predicavano
due secoli fa: individualismo sregolato, competizione come primo movente del
comportamento umano, giustizia distributiva rapportata ai meriti di ciascuno
(cioe' quella che potremmo definire una forma di giustizia naturale, in
sintonia, insieme alla fiducia nella competizione, con il modello del
darwinismo sociale) e la fede in un mondo di risorse materiali illimitate.
Non voglio spendere qui il mio tempo per criticare questa ideologia o
visione del mondo che oggi, in modo multiforme, si insinua in tutti i
discorsi sulle politiche pubbliche in Europa occidentale come in
Nordamerica. Quello che sappiamo, e che puo' essere confermato
empiricamente, e' che l'inevitabile conseguenza di una economia di mercato
senza regole e' una abietta poverta' di massa, e che l'accumulazione al
vertice non produce alcune effetto di "sgocciolamento" verso le masse, come
spesso ci viene raccontato, ma tale accumulazione e' possibile solo perche'
la maggior parte della popolazione mondiale e' largamente ignorata dalle
istituzioni capitalistiche il cui unico obiettivo e' una ulteriore
accumulazione su scala globale.
Mi piacerebbe, invece, tracciare alcuni principi alternativi per una
economia morale che si collochi in un rapporto dialettico con l'attuale
economia dei mercati sregolatamente "liberi". L'economia morale locale non
e' un sostituto dell'economia di mercato globale, ne' intende essere una
nota a pie' di pagina dell'ideologia dominante. E' un'alternativa a pieno
campo che, in una continua lotta con i poteri egemonici esistenti,
condurra', si spera, ad una nuova sintesi dello sviluppo che mantenga la
promessa di un mondo nuovo rivolto non all'arricchimento individuale ma al
fiorire della vita umana.
*
Sono solo sette principi:
1. Gli esseri umani sono naturalmente sociali, dotati di affettivita', la
cui vita e la cui sussistenza sono autoprodotte in stretta interdipendenza
con gli altri, vicini e lontani, ma inevitabilmente in condizioni che non
sono state prodotte da loro.
Questo e' il principio di base. E' un'antropologia filosofica che ci dice
qualcosa sulla natura umana: a. che non siamo individui isolati che
perseguono il proprio autodeterminato corso nella vita; b. che non siamo
solo esseri pensanti e razionali, ma che siamo capaci di sentimenti come
l'amore, la passione, l'odio, la disperazione, la speranza ecc. Sentimenti
che di fatto sottendono ogni nostro pensiero e azione; c. disporre dei mezzi
per la sussistenza (vale a dire per la sopravvivenza fisica e la
riproduzione sociale) e' una condizione fondamentale della vita, laddove
"vita" assume il suo significato piu' ampio possibile; d. noi siamo agenti e
dunque responsabili della nostra vita e sussistenza; e. La vita e la
sussistenza sono attivita' intrinsecamente sociali che ci coinvolgono con
gli altri a livello individuale e generale; f. le condizioni in cui
riproduciamo la nostra vita e sussistenza non sono determinate da noi e
abbiamo limitate possibilita' di modificarle (per i filosofi esistenzialisti
siamo "gettati nel mondo").
*
2. L'economia morale, basata sulla reciprocita' e sulla cooperazione, esiste
in relazione di interdipendenza con l'economia di mercato che e' organizzata
sulla base di principi differenti.
Noi tutti partecipiamo simultaneamente a due economie: una economia di
mercato mediata dal denaro e in parte regolata dalla competizione e
un'economia morale regolata da principi come la reciprocita', la
cooperazione, la lealta', il senso del dovere, l'amore, ecc. l'economia
morale ha le sue origini nella comunita' familiare, quella che gli antichi
greci chiamavano oikos, che di fatto permea e rende possibile l'economia di
mercato capitalistica di oggi. Per questa ragione credo che l'economia
morale sia la piu' pervasiva delle due: l'economia di mercato e ogni forma
di organizzazione comunitaria crollerebbero in assenza della prevalenza
delle relazioni morali, mentre l'economia familiare, sebbene inserita nel
mercato, opera principalmente in base alle relazioni morali di reciprocita'
e cooperazione. Il mercato capitalista quindi dipende in buona misura
dall'economia familiare che si assume la responsabilita' fondamentale della
riproduzione sociale e dei suoi costi (1). I conflitti sono inevitabili e
possono sorgere quando il nucleo familiare, originariamente centrato
sull'autoproduzione della propria vita e sussistenza si impegna direttamente
in transazioni di mercato (ad esempio con il lavoro a domicilio e le
cosiddette attivita' informali). Inoltre nella maggior parte delle societa'
esiste una precisa divisione del lavoro in base al genere che nell'economia
non remunerata delle relazioni morali richiede alle donne un carico di
lavoro significativamente maggiore rispetto agli uomini.
*
3. La distribuzione delle ricompense dovrebbe essere guidata da un senso di
giustizia sociale (distributiva) e secondo la misura dei bisogni di
riproduzione sociale e di crescita individuale (flourishing) degli esseri
umani.
Questo principio si compone di una parte normativa (giustizia distributiva e
sviluppo umano come valori sociali fondamentali) e di una parte assertiva
sulle condizioni che rendono possibile la vita umana. L'asserzione e' che i
bisogni umani di sopravvivenza fisica, riproduzione sociale e crescita
individuale sono intrinsecamente circoscritti, mentre l'economia
capitalistica di mercato e' basata sull'assunto di un illimitato desiderio
di beni e servizi materiali, cio' che gli economisti classici hanno definito
come "domanda". I bisogni di vita e di sopravvivenza possiamo definirli
bisogni di base mentre la crescita individuale (flourishing) va oltre la
sopravvivenza e l'autoriproduzione.
In termini di giustizia distributiva che e' sempre, di per se', un criterio
sociale, la societa' (nello sviluppo alternativo) ha la responsabilita' di
assicurare le condizioni ottimali per la crescita individuale (flourishing).
La realizzazione degli obiettivi di crescita individuale dei membri della
household dipende dalle dinamiche sociali interne al gruppo familiare sul
quale la societa' esercita un controllo limitato (2).
*
4. Come esseri sociali, dotati di affettivita', gli esseri umani si
relazionano gli uni con gli altri in comunita' che li vincolano a reciproche
obbligazioni e responsabilita' alle quali sono collegate aspettative e
diritti.
Il principio introduce un'altra variabile: la comunita'. Per comunita' in
questo contesto si intende un'entita' politica a base territoriale  e le sue
specifiche forme di "governance". Una comunita' che esiste a diverse scale
di grandezza, dal villaggio alla metropoli e altre ancora fino agli stati
nazionali e ad altre forme di stato. Alcuni di noi oggi parlano di comunita'
globale e della necessita' di procedure e regole a questo livello per la
salvaguardia della vita e dello sviluppo umano (ad esempio diritti umani e
sviluppo sostenibile). Il principio che collega i diritti ai doveri e', a
mio parere, una condizione universale  della vita sociale, ma sia gli uni
che gli altri sono oggetto di lotta perenne e costituiscono il cuore di cio'
che si intende per cittadinanza politica.
*
5. Ci sono limiti alla crescita economica che, se superati, conducono ad una
lotta senza quartiere per la sopravvivenza di alcune comunita' umane.
Il principio capitalista della "crescita illimitata" e' insostenibile sulla
lunga durata e ci condannera' infine a una guerra permanente tra nazioni per
il controllo delle risorse, per la giustizia distributiva e per la
sopravvivenza collettiva. Tale stato di guerra e' gia' in atto in diverse
parti del mondo. Lo sviluppo alternativo deve quindi trovare il modo di
superare il principio obsoleto, ma ancora dominante, della crescita
economica illimitata. Cio' implichera', in prima istanza, uno sviluppo
orientato principalmente al soddisfacimento dei bisogni umani primari di
tutti i membri all'interno delle loro comunita'. (si vedano i principi 3 e
4).
*
6. In linea di principio e' possibile raggiungere uno sviluppo
socio-economico che  assicuri ad ognuno, per prima cosa, la sussistenza di
base in modo da rendere possibile la crescita (flourishing) delle capacita'
individuali, che sono di fatto diverse tra gli esseri umani.
Questa e' una dichiarazione di speranza piu' che un principio. Si noti che
in questa affermazione l'individuo entra per la prima volta nel mio discorso
e che in quanto tale gli sono riconosciute capacita' individuali differenti.
Non tutti noi siamo capaci di diventare scienziati, artisti, compositori
ecc. anche in condizioni ideali di giustizia e di sviluppo umano. Cio' che
puo' essere fatto e' assicurare che le condizioni di vita consentano agli
individui di raggiungere il loro potenziale, qualsiasi esso sia.
*
7. L'unico illimitato potenziale degli esseri umani e' l'universo dello
spirito creativo, della ricerca di conoscenza, delle domande e delle
rivelazioni.
Dobbiamo comunque stare attenti a garantire che lo spirito creativo sia
indirizzato su modalita' che sostengono e/o migliorano la vita. In questa
prospettiva anche la ricerca scientifica deve sottostare a questo principio.
La scienza non puo' reclamare una maggiore autonomia morale rispetto alle
altre attivita' umane, essa deve sempre ritenersi responsabile nei confronti
delle comunita' politiche e in definitiva nei confronti della comunita'
mondiale, sul cui supporto e' fondata.
*
Le istanze per uno sviluppo alternativo sono universali, sono le istanze dei
poveri senza potere (disempowered). Ma la loro realizzazione dipende da una
continua lotta nonviolenta, a livello locale e globale, contro gli attuali
poteri costituiti del mondo.
Il carattere particolare dell'economia morale tende ad essere circoscritto a
localita' specifiche. I principi di reciprocita' e del valore d'uso che la
guidano sono piu' evidenti nella loro applicazione a livello di comunita'
familiare (household) e di comunita' locale.  Quando sono allargati a
popolazioni piu' vaste tendono ad indebolirsi e possono essere sopraffatti
dalle attuali strutture di potere.
In un mondo che avra' presto dieci miliardi di persone delle quali forse
solo un terzo ha un potere relativamente forte (e' sufficientemente
empowered), le lotte piu' importanti sono a livello delle comunita' locali
dove i diritti possono essere rivendicati non solo in quanto esseri umani,
ma anche come cittadini di precise comunita' politiche.
La lotta comune deve coinvolgere direttamente i poveri. Lavorare insieme ai
poveri e' percio' una precondizione per il successo di una lotta. Ma come
tra gli altri aggregati della popolazione umana anche tra i poveri senza
potere (disempowered) ci sono delle differenze. Non solo sono deprivati di
potere in modo ineguale, ma differiscono anche in rapporto al genere,
all'eta', all'educazione, all'occupazione, alla religione, alla lingua, ed
in una molteplicita' di altri modi. Noi, che disponiamo di un potere
relativamente forte, dobbiamo essere capaci di recepire queste differenze ed
di comprendere questa molteplicita'.
Uno sviluppo alternativo non potra' mai essere raggiunto in modo definitivo.
Le sue opportunita' maturano nel rapporto dialettico con il mondo in cui
viviamo e che, al momento, e' organizzato in base a principi diversi.
La via per uno sviluppo alternativo puo' essere solo quella del dialogo.
*
Il rafforzamento del potere sociale  (social empowerment)  passa attraverso
l'accesso delle comunita' familiari (households) a certe basi strategiche
del potere sociale. Ottenuto l'accesso alle basi del potere sociale, le
comunita' familiari hanno raggiunto una condizione necessaria per cominciare
ad essere le produttrici della loro vita e della loro sussistenza in luogo
di essere costrette a riprodurre le condizioni della loro poverta'.
L'espressione "autoproduzione della vita e della sussistenza" suggerisce un
ruolo molto differente da quello del lavoratore e del consumatore. La mia
vita di lavoratore e' governata da regole imposte da altri, la mia vita di
consumatore e' un piacere privato  del tutto passivo. L'"autoproduzione
della vita e della sussistenza" suggerisce invece un ruolo pro-attivo, nel
quale si afferma il mio ruolo sociale ed affettivo, in cui sono in grado di
esercitare scelte in rapporto agli scopi che voglio raggiungere.
La strada per il rafforzamento del potere politico (political empowerment)
passa attraverso il rafforzamento del potere sociale.
*
Note
1. L'economia familiare e' in declino in tute le societa' capitalistiche
avanzate, dove la dimensione della famiglia sta drammaticamente riducendosi
mentre la maggior parte dei suoi servizi che una volta erano assicurati
dall'economia morale vengono esternalizzati diventando parte dell'economia
di scambio del mercato. Inoltre in molte grandi citta' il numero di persone
che vivono sole e' aumentato significativamente negli ultimi decenni eppure
nei paesi meno avanzati l'economia morale della famiglia funziona ancora e
resta insostituibile.
2. Le famiglie dovrebbero essere considerate come microcomunita' politiche
in cui la distribuzione di diritti e doveri in materia di riproduzione
sociale e crescita individuale sono spesso oggetto di contestazioni.

3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: UN GIOVANE UCCISO, I SEPOLCRI IMBIANCATI
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha
fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del
"non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto
il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Che cos'e' questo zelo urgente di presidenti, vescovi e ministri, e in coda
i giornalisti, davanti al soldato Pibiri morto, nel dire e ridire,
ripetitivi come la pubblicita', convinti di convincerci, che la nostra
spedizione superarmata in Iraq, agli ordini e di scorta agli inglesi
invasori, fa la pace e non la guerra? Ma l'ex-ordinario militare Giuseppe
Mani, ora vescovo di Cagliari, che pure aveva giustificato la guerra del
'99, ha detto: "Ero formalmente contrario alla guerra, cosi' come aveva
sostenuto papa Wojtyla. Ora lo sono ancora di piu'... Bush ci ha imbrogliati
tutti... E' stata una guerra ingiusta" (comunicato di Pax Christi). E' bene
che anche i vescovi siano finalmente divisi, sul difendere la guerra, e
Bettazzi non sia solo nel dire la verita'.
Ma cos'e' quel grande zelo di tutta l'ufficialita' sacra e laica, a
santificare la spedizione armata, in appoggio alla guerra illegalissima? E
perche' si fa silenzio sulle parole, tutte, del padre del soldato morto
Pibiri? Ho sentito alla radio qualche minuto della messa del funerale:
disgusto, per chi e' credente e sa cos'e' la cena in memoria di Cristo, e
per chi sa ancora distinguere i mezzi di guerra dai mezzi di pace. Che cosa
spinge tutti costoro a continuare la celebrazione dell'inganno? O sono
ingenui, o sono soci.

4. RIFLESSIONE. CLARA SERENI: DELLE PAROLE E DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "L'Unita'" del 22
maggio 2006. Clara Sereni, nata a Roma nel 1946, scrittrice tra le maggiori
degli ultimi decenni ed intellettuale di forte impegno civile. Tra le opere
di Clara Sereni: Sigma Epsilon, Marsilio 1974; Casalinghitudine, Einaudi
1987; Manicomio primavera, Giunti 1989; Il gioco dei regni, Giunti 1993;
Eppure, Feltrinelli 1995; Taccuino di un'ultimista, Feltrinelli 1998]

Le parole non bastano piu', sembrano diventate inutili e vuote: i dati sulla
violenza contro le donne, nel mondo e in Italia, sono cosi' schiaccianti da
ammutolire. E le ultime trovate della cosiddetta informazione (la foto del
bambino mai nato) caso mai ce ne fosse bisogno sottolineano come il corpo di
donna sia, in tanti casi tanto diversi fra loro, nient'altro che un
contenitore, un oggetto che acquista valore soltanto sul mercato del cinismo
voyeuristico.
Non ci sono ricette facili e rapide, per rispondere a tutto questo, ma
dobbiamo trovare almeno le parole per dirlo. Per una come me, che delle
parole ha fatto il proprio mestiere, l'esigenza di restituire al linguaggio
un senso e un peso e' una urgenza indifferibile: credo fermamente che questo
sia un primo passo indispensabile, senza il quale nessun'altra strategia e'
pensabile.
So benissimo quanti uomini, e anche quante donne, di fronte all'appello al
politically correct alzano gli occhi al cielo, o fanno spallucce. Non ci si
ricorda piu' di anni in certa misura vittoriosi, quando Nilde Jotti era "la"
presidente della Camera e una fiction di grido come "La piovra" aveva come
protagonista una magistrata: i drammatici slittamenti lessicali e di costume
di tanti anni, e in particolare dell'ultima legislatura, fanno si' che si
parli tutt'al piu' di "quote rosa", e anche questa e' una concessione che ci
viene (non viene) fatta.
La declinazione al femminile di cariche e funzioni e' "passata di moda",
dicono i piu', e dunque non ci si sforza in alcun modo di utilizzarla. Anche
da parte delle donne: che accettano e talvolta pretendono di essere chiamate
sindaco, o "il" presidente per esempio della Regione tale o talaltra, o
ministro. Preoccupate ancora e sempre - come dicono a Roma - "di non farsi
riconoscere", di non mettere in evidenza l'identita' di genere, tuttora
percepita come debolezza. E pazienza se poi, nelle cronache, sembra curioso
leggere che il sindaco portava un tailleur alla moda, o che ha partorito un
figlio.
Ma le parole sono sostanza, e non solo apparenza, delle cose. Restituire
loro il peso che meritano non e' bizantinismo da delegare agli addetti ai
lavori, e' un compito alto che deve riguardare, oggi piu' che mai, tutte e
tutti coloro che si pongono l'obiettivo di ridare serenita', normalita',
decenza a un Paese da troppo tempo, e sotto troppi aspetti, in discesa. E
quella della visibilita' femminile, del riconoscimento delle competenze, dei
saperi e delle abilita' delle donne, e' una tessera nient'affatto secondaria
del complesso puzzle della societa' in cui viviamo.
L'impegno di Prodi e dell'intera coalizione ad una presenza femminile forte
nel governo, nelle istituzioni e negli enti ha trovato finora applicazioni
amare: piu' un cazzotto che un riconoscimento, e la nostra democrazia appare
sempre piu' zoppa, amputata. Ancor piu' in questa situazione, la
responsabilita' delle donne cooptate in situazioni di potere e' enorme. La
speranza accorata e' che - a cominciare dall'impegno delle nominate a farsi
chiamare con l'appellativo del proprio genere, a farsi riconoscere in quanto
donne in ogni passo del loro procedere - si cominci a finirla almeno nelle
parole con la maschiocrazia che, non solo metaforicamente, ci offende, ci
tortura, ci uccide.
Almeno nelle parole: perche' quanto ai fatti, a quanto e' dato di vedere,
bisognera' aspettare ancora un bel pezzo.

5. LIBRI. SANDRO MEZZADRA PRESENTA "ESERCIZI DI POTERE" A CURA DI IAIN
CHAMBERS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2006.
Sandro Mezzadra insegna storia del pensiero politico contemporaneo e studi
coloniali e postcoloniali al'Universita' di Bologna, e' membro della
redazione di "Filosofia politica" e di "Scienza & Politica"; i suoi
principali argomenti di ricerca sono la storia delle scienze dello Stato e
del diritto in Germania tra Otto e Novecento, la storia del marxismo, la
teoria critica della politica: globalizzazione, cittadinanza, movimenti
migratori, studi postcoloniali. Pubblicazioni principali: von Treitschke, La
liberta', Torino 1997 (cura e introduzione); La costituzione del sociale. Il
pensiero politico e giuridico di Hugo Preuss, Bologna 1999; Diritto di fuga.
Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione, Verona 2001; Marx, Antologia di
scritti politici, Roma 2002 (cura e introduzione, con Maurizio Ricciardi);
Marshall, Cittadinanza e classe sociale, Roma-Bari 2002 (cura e
introduzione).
Iain Chambers e' stato tra gli animatori del Centro per gli studi culturali
di Birmingham, in Inghilterra; trasferitosi in Italia, insegna Letteratura
inglese e studi culturali e postcoloniali all'Universita' Orientale di
Napoli, dove dirige il Centro di studi postcoloniali di recente
costituzione. Tra le opere di Iain Chambers disponibili in italiano:
Dialoghi di frontiera, 1995; (con Paul Gilroy), Hendrix, hip hop e
l'interruzione del pensiero, 1995; Ritmi urbani, 2003; Paesaggi migratori,
2003; Sulla soglia del mondo, 2003; (a cura di), Esercizi di potere, 2006.
Antonio Gramsci, nacque ad Ales, in provincia di Cagliari, nel 1891. Muore a
Roma il 27 aprile 1937. La sua figura e la sua riflessione, dal buio del
carcere fascista, ancora illumina la via per chi lotta per la dignita'
umana, per un'umanita' di liberi ed eguali. Opere di Antonio Gramsci:
l'edizione critica completa delle Opere di Antonio Gramsci e' ancora in
corso di pubblicazione presso Einaudi. E' indispensabile la lettura delle
Lettere dal carcere e dei Quaderni del carcere. Opere su Antonio Gramsci: si
vedano almeno le monografie di Festa, Fiori, Lajolo, Lepre, Spriano.
Edward Said, prestigioso intellettuale democratico palestinese, uno dei piu'
grandi umanisti del secondo Novecento, era nato a Gerusalemme nel 1935,
docente di letteratura comparate alla Columbia University di New York, a New
York e' deceduto il 25 settembre 2003. Autore di molti libri, tradotti in 26
lingue, tra le opere di Edward W. Said segnaliamo: Orientalismo, Bollati
Boringhieri, Torino, poi Feltrinelli, Milano; La questione palestinese,
Gamberetti, Roma; Cultura e imperialismo, Gamberetti, Roma; Tra guerra e
pace, e Dire la verita', ambedue presso Feltrinelli, Milano; cfr. anche le
raccolte di articoli La convivenza necessaria, Indice internazionale, Roma;
Fine del processo di pace, Feltrinelli, Milano; e' stata recentemente
pubblicata in italiano la sua autobiografia, Sempre nel posto sbagliato,
Feltrinelli, Milano]

"Come vedi", scriveva Antonio Gramsci all'amico Giuseppe Berti dal carcere
di San Vittore, l'8 agosto 1927, "io razzolo anche nei letamai!".
Descrivendo le disordinate letture di quei primi mesi di detenzione, Gramsci
si compiaceva della sua "capacita' abbastanza felice di trovare un qualche
lato interessante anche nella piu' bassa produzione intellettuale, come i
romanzi d'appendice".
"Se avessi la possibilita'", aggiungeva, "accumulerei centinaia e migliaia
di schede su alcuni argomenti di psicologia diffusa popolare". D'altro
canto, la stessa sensibilita' culturale consentiva a Gramsci di farsi beffe
di un libro "tanto strombazzato" e dal titolo tanto altisonante quanto
quello, da poco uscito in Francia, di Henri Massis, Defense de l'Occident.
"Cio' che mi fa ridere", si legge nella stessa lettera a Berti, "e' il fatto
che questo egregio Massis, il quale ha una benedetta paura che l'ideologia
asiatica di Tagore e di Gandhi non distrugga il razionalismo cattolico
francese, non s'accorge che Parigi e' diventata una mezza colonia
dell'intellettualismo senegalese e che in Francia si moltiplica il numero
dei meticci. Si potrebbe, per ridere, sostenere, che se la Germania e'
l'estrema propaggine dell'asiatismo ideologico, la Francia e' l'inizio
dell'Africa tenebrosa e che il jazz-band e' la prima molecola di una nuova
civilta' eurafricana!". Fa una certa impressione rileggere queste righe,
cosi' prossime a una sensibilita' che oggi si definirebbe senza indugio
"postcoloniale".
*
Vi e' qui una delle tante tracce seguendo le quali e' possibile ricostruire
il profilo di un "altro Gramsci", decisamente diverso - e assai piu' vicino
a noi - rispetto a quello ingessato dall'ortodossia e dal culto di partito
che fino a non molti anni fa, a dispetto del prezioso lavoro filologico e
interpretativo svolto con rigore da grandi interpreti della sua opera,
continuava a circolare nella cultura politica italiana. Non sorprende, in
questo senso, che un uso piu' libero e creativo del pensiero gramsciano,
foucaultianamente considerato una "cassetta degli attrezzi", sia stato fatto
a partire dagli anni Settanta al di fuori dell'Italia.
Un discorso a parte, in questo senso, andrebbe fatto sul grande laboratorio
latinoamericano, dove il confronto con Gramsci assume una rilevanza cruciale
e caratteri di assoluta originalita' fin dalla fine degli anni Venti, con la
pubblicazione dei Sette saggi sulla realta' peruviana di Jose' Carlos
Mariategui.
Lo stesso dibattito latinoamericano, d'altro canto, si e' proficuamente
intrecciato, in anni piu' recenti, con la rilettura di Gramsci avviata nel
mondo anglosassone dai saggi di Stuart Hall, che hanno fatto dell'autore dei
Quaderni del carcere un riferimento imprescindibile per gli studi culturali
e postcoloniali. Basti ricordare, a questo proposito, i lavori dello storico
indiano Ranajit Guha, fondatore dei "Subaltern Studies", e quelli di Edward
Said, che proprio dalla ripresa di concetti (subalternita', egemonia) e di
testi (Alcuni temi della quistione meridionale) gramsciani hanno preso
l'avvio per muovere verso esiti che hanno profondamente segnato i dibattiti
culturali "globali" degli ultimi anni.
Proprio Said ci ha ricordato del resto che non solo le persone, ma anche le
teorie viaggiano (Traveling Theory si intitola appunto uno dei saggi piu'
noti del grande critico palestinese, scritto nel 1982 e poi "rivisitato" nel
1994). E viaggiando possono certo "addomesticarsi", perdere la propria
originaria carica di provocazione, ma possono anche "ibridarsi" in altre
costellazioni storiche, geografiche e culturali, dando luogo a
concatenazioni e a esiti tanto imprevisti quanto interessanti.
Varrebbe davvero la pena di saggiare in riferimento al pensiero di Gramsci
l'intuizione di Said, di ricostruire in questa chiave la storia globale
della sua ricezione e reinterpretazione: quel che ne deriverebbe non sarebbe
soltanto la stesura di un capitolo particolarmente affascinante di storia
intellettuale del Novecento, ma anche l'allestimento di un grande archivio
di testi, temi e concetti a disposizione del pensiero critico contemporaneo.
Un primo contributo in questo senso e' offerto dal volume curato da Iain
Chambers per la casa editrice Meltemi, Esercizi di potere. Gramsci, Said e
il postcoloniale (pp. 140, euro 14).
Non si tratta, come scrive lo stesso curatore, di un lavoro di
approfondimento accademico: piuttosto, di una raccolta di brevi interventi
di diversa provenienza disciplinare (letteraria, storica, filosofica) che si
propongono di indicare in modo stenografico "delle strade non ancora
imboccate, degli orizzonti ancora da attraversare, nella convinzione che il
senso del mondo esiste nell'atto di riconfigurarlo e, dunque, trasformarlo".
Questa necessita', sottolineata da Gayatri Spivak (su cui si soffermano in
particolare Lidia Curtis e Marina De Chiara), di "re-immaginare il pianeta"
fa da sfondo all'intero volume, la cui trama viene dipanandosi tra
l'imperativo gramsciano di "pensare 'mondialmente'" e le riflessioni di Said
sul cosmopolitismo e sul concetto di worldliness (al centro degli interventi
di Lea Durante e Serena Guarracino).
*
Il contrappunto tra Gramsci e Said produce cosi' i suoi effetti
nell'interpretazione di un romanzo della scrittrice egiziana Ahdaf Soueif,
In the Eye of the Sun (1992), in cui il movimento continuo della
protagonista tra Egitto e Inghilterra diventa metafora di un "vivere in un
vero e proprio stato di traduzione": espressione paradigmatica di una nuova
"subalternita' transnazionale, economica e culturale ma, anch'essa, messa in
movimento, in un tragitto che viene dal sud e porta il sud dentro di se'",
sfidando le stesse coordinate geografiche della nostra comprensione del
mondo (Marta Cariello); oppure, nell'intervento di Sara Marinelli, diventa
un prisma che consente di leggere il mondo da uno dei suoi tanti margini, il
carcere di Secondigliano.
Coerentemente con l'attenzione sempre riservata da Said al "materialismo
geografico" gramsciano, il libro curato da Chambers ben si presta a essere
letto come contributo a una cartografia del mondo globale contemporaneo, nel
tentativo di rendere conto di quel processo di continuo rimescolamento dei
confini che ne costituisce uno dei tratti salienti.
*
Piu' in generale, del resto, il dialogo tra Gramsci e Said propone, come
opportunamente sottolinea lo stesso Chambers, l'importanza strategica di
un'analisi culturale capace da una parte di costituire un terreno di
riflessione critica sulle trasformazioni che investono l'economia e la
politica, sfidandone la "autonomia", dall'altra di ribadire continuamente
"la centralita' dell'esercizio complessivo del potere". E di non rinunciare,
per riprendere il tema dell'intervento di Giorgio Baratta (tra gli
interpreti italiani di Gramsci senza dubbio uno dei piu' attenti agli usi
che ne sono stati fatti negli studi culturali e postcoloniali), a porre la
domanda sulla possibilita' di un nuovo "umanesimo dopo la 'morte
dell'uomo'".

6. LIBRI. MARIO PEZZELLA PRESENTA "LA GUERRA DEI SIMBOLI" DI ANNAMARIA
RIVERA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2006.
Mario Pezzella, docente universitario di estetica, studi filosofici a Pisa e
a Parigi, ha curato l'edizione italiana di testi di Bachofen e su Jung,
organizzato seminari e convegni di studio, ha collaborato con Remo Bodei
nella progettazione della collana "Il lessico dell'estetica" presso
l'editore "ll Mulino" ed e' redattore della rivista "Iride" e direttore
responsabile della rivista "Controtempo".
Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it), antropologa,
vive a Roma e insegna etnologia all'Universita' di Bari. Fortemente
impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ha
sempre cercato di coniugare lo studio e la ricerca con l'impegno sociale e
politico. Attiva nei movimenti femminista, antirazzista e per la pace, si
occupa, anche professionalmente, di temi attinenti. Al centro della sua
ricerca, infatti, sono l'analisi delle molteplici forme di razzismo,
l'indagine sui nodi e i problemi della societa' pluriculturale, la ricerca
di modelli, strategie e pratiche di concittadinanza e convivenza fra eguali
e diversi. Fra le opere di Annamaria Rivera piu' recenti: (con Gallissot e
Kilani), L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari
2001; (a cura di), L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e
nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma
2003; La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita',
Dedalo, Bari 2005]

Durante la guerra d'Algeria alcune donne arabe furono esibite in pubblico
mentre bruciavano il loro velo tradizionale, manifestando cosi' - nelle
intenzioni dei colonizzatori - la loro adesione ai valori moderni e laici
dello stato occupante. Questa scena abbastanza turpe, descritta anche in un
saggio di Frantz Fanon, viene ricordata da Annamaria Rivera nel suo La
guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita' (Dedalo,
pp. 140, euro 14): essa sembra anticipare la polemica sorta recentemente in
Francia sulla legge che proibisce alle ragazze musulmane di portare il velo
nella scuola pubblica. In realta' il velo - nella sua materialita' o anche
nel suo significato tradizionale - c'entra assai poco nel conflitto attuale:
come nel caso descritto da Fanon, la proibizione e' piuttosto una
imposizione simbolica, un segno di comando, una umiliazione e una
omologazione dell'"altro". Come gia' rilevava Fanon, alla difesa del
laicismo si somma qui una pulsione sadica.
D'altra parte, Rivera pone il problema anche da un punto di vista reciproco
e complementare: perche' tanta decisione e perfino ostinazione nel portare
il velo? Probabilmente il suo significato tradizionale ha qui una importanza
limitata: rilevante e' invece il contesto specifico in cui ora viene
esibito. Si tratta di un "rovesciamento dello stigma": l'esclusione cui
l'altro e' sottoposto suscita una risposta reattiva, che recupera come
bandiera identitaria proprio cio' che era colpito dal disprezzo. La critica
del velo come simbolo della tradizionale sottomissione della donna non e'
qui del tutto pertinente: nel contesto mutato, anche il significato
culturale non e' piu' lo stesso, e anzi il velo puo' diventare un segno
aggressivo e affermativo.
Si tratta di un fenomeno generale, che investe molteplici aspetti delle
culture "tradizionali", una volta che esse siano colonizzate o sottoposte a
un processo di esclusione: i simboli non valgono piu' per cio' che
significavano nel contesto originario, ma si induriscono in strumenti di
contrapposizione identitaria. Si tratta di una vera e propria "invenzione
della tradizione", che viene poi retroflessa verso una identita' originaria.
Quanto piu' la cultura egemone intensifica le sue forme di esclusione e di
pretesa superiorita', tanto piu' i gruppi minoritari reagiscono con forme
speculari di contronazionalismo e rivendicazione etnica. Si giunge fino alla
formazione di "comunita' immaginarie", che hanno poco a che vedere con
quelle dei luoghi di provenienza e appartenenza.
Se l'occidente continuera' a considerare l'altro "come il Male che irrompe o
s'insinua nel proprio mondo", tanto piu' rafforzera' un processo imitativo,
in cui l'altro lo considerera' come la fonte di ogni corruzione. Questo
aspetto polemico e aggressivo spesso non e' presente nei simboli
tradizionali, ma essi vengono reinterpretati e anche deformati nell'ottica
della guerra simbolica presente. Un simile processo di imitazione
speculare - o di identificazione con l'aggressore - puo' giungere fino
all'estremo del fondamentalismo e del totalitarismo, puo' portare sia
l'Occidente che il suo Nemico a "deliranti fantasie di purezza" (Rivera).
Da questo punto di vista, Rivera rilegge la polemica contro il comunitarismo
e il relativismo, accusati di tradire i valori universali dell'essere umano,
che andrebbero sempre e comunque non solo difesi ma anche imposti: come e'
accaduto - almeno nelle intenzioni - nelle recenti "guerre umanitarie". In
realta', l'universalismo e' spesso solo la maschera di un radicato
etnocentrismo, per cui l'universale coincide senza eccezioni con i valori
della nostra cultura, che detiene le chiavi interpretative per definire
l'umano e il non umano. In questa visione illuminista non c'e' spazio per un
autonomo e diversificato processo di sviluppo, in cui le forme tradizionali
potrebbero non essere cancellate, ma modificarsi al proprio interno, trovare
una propria concezione della liberta' individuale.
Un relativismo temperato sembra in grado di comprendere meglio la pluralita'
e il rispetto reciproco tra culture differenti, senza omologarle in una
identita' indistinta.
Vero e' che in altre culture esistono pratiche che a noi sembrano
inaccettabili (come esistono nella storia dell'Occidente pratiche che paiono
ripugnanti a tutto il resto del mondo); ma ammettere il relativismo non
significa accettare le culture come blocchi granitici e immodificabili.
Questa forma di relativismo non irrigidisce le differenze culturali in
nuclei identitari inalterabili, in appartenenze che peserebbero
sull'individuo come un destino. Da un lato il singolo puo' entrare in un
rapporto negativo e dialettico con parti della propria cultura; d'altra
parte la cultura e' un processo storico e dinamico, che vive modificando
costumi e attribuzioni di valore.
Rivera ricorda la dialettica del proprio e dell'estraneo, che De Martino
proponeva nei suoi ultimi appunti, raccolti nella Fine del mondo: non si
tratta di rinunciare alle proprie categorie conoscitive ed etiche, ma di
comprenderne la "storia sedimentata" e di "raggiungere quel fondo
universalmente umano in cui il 'proprio' e l''alieno' sono sorpresi come due
possibilita' storiche di essere uomo" (De Martino).
Piu' che degli universali di contenuto, si tratta allora di definire
universali formali, regole di dialogo, che consentano la comunicazione e la
traduzione reciproca delle culture. Nella traduzione non emergono solo le
affinita', ma anche le differenze irriducibili. Tuttavia, proprio questo
scarto o insufficienza della traduzione, al limite della sua possibilita',
e' particolarmente interessante.
Concetti come Dio, persona, anima, non trovano completo corrispettivo in
molte lingue e culture diverse dalla nostra: e gia' Las Casas si arrovellava
per rendere in spagnolo le figure del pantheon azteco. Erano dei, spiriti,
demoni o diavoli? Tutte queste traduzioni si alternano nel suo testo
cercando di circoscrivere l'irriducibile differenza dei fondamenti della
cultura azteca. Ma proprio questi "impensati" possono essere considerati
come "nozioni-ponte" tra le differenze culturali; questi "nodi
intraducibili" (Coppo) permettono da un lato di comprendere che le proprie
categorie non sono cosi' universali da riassorbire in se' tutto; dall'altro
offrono l'occasione di una prospettiva "terza", di una definizione o ricerca
concettuale, che trascende entrambe le culture in gioco, pur avendo qualcosa
in comune con esse. I cosiddetti "universali" sono lente acquisizioni che
scaturiscono dall'accumulo delle esperienze storiche, e non i principi
astratti di una cultura che si pretende superiore.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1323 dell'11 giugno 2006

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it