Nonviolenza. Femminile plurale. 67



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 67 dell'8 giugno 2006

In questo numero:
1. Nella Ginatempo: Carissima Lidia
2. Da un'intervista di Checchino Antonini a Lidia Menapace
3. Valeria Ando': Un laboratorio su "Pensiero femminile e nonviolenza di
genere" all'Universita' di Palermo
4. Lea Melandri: Noi, uscite dal silenzio, rilanciamo il conflitto
5. Luisa Muraro: Uomini, voi cosa dite?
6. Ida Dominijanni colloquia con Seyla Benhabib

1. LETTERE. NELLA GINATEMPO: CARISSIMA LIDIA
[Ringraziamo Nella Ginatempo (per contatti: nellagin at tiscali.it) per questo
intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera.
Nella Ginatempo e' una prestigiosa intellettuale impegnata nei movimenti
delle donne, contro la guerra, per la globalizzazione dei diritti; e'
docente di sociologia urbana e rurale all'universita' di Messina; ha tenuto
per alcuni anni il corso di sociologia del lavoro, svolgendo ricerche sul
tema del lavoro femminile; attualmente svolge ricerche nel campo della
sociologia dell'ambiente e del territorio. Tra le sue pubblicazioni: La casa
in Italia, 1975; La citta' del Sud, 1976; Marginalita' e riproduzione
sociale, 1983; Donne al confine, 1996; Luoghi e non luoghi nell'area dello
Stretto, 1999; Un mondo di pace e' possibile, Edizioni Gruppo Abele, Torino
2004.
Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara
nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento
cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle
donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino.
Nelle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La
maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa
in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968;
L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Carissima Lidia,
stasera ti ho vista in televisione. Con grande fermezza e sobrieta'
difendevi le ragioni del pacifismo, come hai fatto sempre...
Credo che la guerra sia eversione, del diritto internazionale, della morale
condivisa dei popoli, della nostra coscienza di esseri umani. Ha molti
difensori potenti e insidiosi questa eversione, si annidano anche tra le
fila della coalizione di maggioranza...
Intanto ti abbraccio forte e ti ringrazio perche' sei Lidia e perche' metti
sempre al primissimo posto la tua liberta' di coscienza e le tue chiare
parole, a dispetto di qualunque appartenenza, di qualunque comodita' e del
tempo che passa.
A presto,
Nella

2. RIFLESSIONE. DA UN'INTERVISTA DI CHECCHINO ANTONINI A LIDIA MENAPACE
[Dal quotidiano "Liberazione" del 7 giugno 2006 riprendiamo ampi stralci
della seguente intervista]

Donna, pacifista e partigiana... Nel curriculum di Lidia Menapace c'e' il
congedo illimitato e assoluto, e col grado di sottotenente, ricevuto al
termine della sua esperienza da partigiana combattente. Ma gia' allora
nonviolenta sebbene, all'epoca, "non sapevo neanche cosa volesse dire",
racconta a "Liberazione" dopo la seduta della prima seduta della Commissione
Difesa del Senato che, in virtu' dell'eta', le e' toccato presiedere durante
le operazioni di voto. La sorte ha voluto pure che cio' avvenisse a poche
ore dall'ennesimo lutto, dalla morte del giovane caporalmaggiore della
brigata Sassari in missione a un centinaio di chilometri da Nassiriya. Il
regolamento non lo prevede ma Menapace ha chiesto, e ottenuto, dai suoi
colleghi un minuto di silenzio in memoria dolente di quel soldato,
Alessandro Pibiri. "Umanamente non possiamo fare altro", ha spiegato ai
senatori la pacifista novarese che si laureo' in lettere a soli 21 anni e
perdipiu' adoperando la propria condizione di studentessa come copertura
dell'attivita' di staffetta partigiana. "Se mi avessero fermato avrei detto
che tornavo o andavo a studiare latino da un'amica", ricorda tornando
bruscamente ai giorni nostri. Quelli dell'Italia in guerra. Pensa ancora al
caporalmaggiore sardo. "L'ha detto perfino il padre, a cui volentieri
esprimerei di persona la mia solidarieta': ha detto 'riportiamoli a casa!'".
Lei e' d'accordo da sempre. "Bisogna chiudere subito questa partita per
nostra decisione e senza troppe trattative. Chiudere al piu' presto, anche
l'opinione pubblica e' d'accordo".
*
- Checchino Antonini: Perche' senza troppe trattative?
- Lidia Menapace: Dopo il ritiro tratteremo con l'Iraq su cosa si dovra'
fare nella ricostruzione, farlo prima sarebbe pericolosissimo perche' il
ritiro deve essere totale, una soluzione parziale offuscherebbe anche
l'immagine abbastanza benevola che la popolazione irachena nutre nei nostri
confronti rispetto ad altri paesi...
*
- Checchino Antonini: Quale dovra' essere, dopo il ritiro, il ruolo
dell'Italia?
- Lidia Menapace: Quello che la sua Costituzione dice: solidarieta'
internazionale e tutela della pace. Significa cercare sempre le trattative
diplomatiche e politiche e non rincorrere gli ultimatum militari.
*
- Checchino Antonini: E in Afghanistan potra' accadere un disimpegno
italiano?
- Lidia Menapace: Credo che non dovremmo ripetere la' gli errori che abbiamo
commesso in Iraq. La natura della missione e' differente, c'e' un mandato
Onu, ma l'Afghanistan e' un paese invaso e non pacificato. E' evidente che
bisognera' convocare una conferenza multilaterale.
*
- Checchino Antonini: La domanda non vuole essere provocatoria ma ci spieghi
cosa ci sta a fare una pacifista in questa commissione?
- Lidia Menapace: Che la pace sia meglio della guerra, lo sottoscriverebbe
anche un capo di stato maggiore. Un pacifista, se non vuole limitarsi a
discorsi in aria, dove potrebbe operare piu' concretamente se non nelle
Commissioni Parlamentari Difesa di un Paese che ha la fortuna di avere
l'articolo 11 della Costituzione dove e' scritto chiarissimo il ripudio
della guerra?
*
- Checchino Antonini: Dunque, gran parte dei lavori della commissione
saranno determinati dai testi di legge che inviera' il governo, di tuo cosa
ci metterai?
- Lidia Menapace: Sono molto interessata ai sistemi di difesa dei paesi
neutrali. In Europa che ne sono parecchi: la Svizzera, la Svezia, Malta,
l'Austria. Ecco, l'Austria ha una bellissima legge sulla difesa popolare
nonviolenta: si potrebbe capire quale sia il sistema piu' adatto per un
paese che sancisce nella Costituzione il ripudio della guerra. Poi penso a
una conferenza internazionale di giuristi perche' il diritto internazionale
e' stato praticamente distrutto dall'atomica e dalla guerra permanente. Poi
penso a riunioni congiunte con la commissione Esteri e vorrei lavorare sulla
riconversione dell'industria bellica, anche di quella delle armi leggere che
fanno moltissime vittime. Non c'e' che l'imbarazzo della scelta.
*
- Checchino Antonini: E' vero, eri alla controparata del 2 giugno, credi si
possa eliminare la parata militare?
- Lidia Menapace: Credo che se si cominciassero a fare feste popolari in
ogni citta', la parata resterebbe sola. Mi sembra assurdo, inoltre, che la
sfilata si faccia su una delle aree archeologiche piu' preziose del mondo,
e' inqualificabile: se vai nei musei vedi che per ogni statua curano
temperatura, umidita' e luce, poi fanno passare i carriarmati sulle rovine
romane.
*
- Checchino Antonini: Che rapporto dovrebbe avere la Commissioen Difesa del
Senato con i movimenti pacifisti?
- Lidia Menapace: Sarebbe bene prendere contatto, sarebbe una grande
novita', naturalmente nella reciproca autonomia. Quando si dovra'
ridiscutere del modello di difesa, del commercio delle armi, le reti
pacifiste sono informatissime, spiegherebbero con grande eloquenza anche a
quei senatori che ritengono che le armi facciano bene alla salute.
*
- Checchino Antonini: Continuiamo per titoli: uranio impoverito e disarmo
nucleare.
- Lidia Menapace: Sono d'accordo con la proposta, presentata da Gigi
Malabarba e firmata da 60 parlamentari, per rifare la commissione
d'inchiesta sull'uranio impoverito. E mi convince l'iniziativa che parte da
Aviano (dove sono stipate 50 atomiche nella base Usa), sui danni che il
nucleare porta alla popolazione indipendentemente dal suo uso militare. Ad
Aviano e' stata anche decisa un'azione simbolica di denuncia del governo di
Washington perche' la sua dottrina della "multilateralita' selettiva"
prevede che dalla base di Aviano possa partire un attacco aereo all'Iran
senza che l'Italia sia interpellata.
*
- Checchino Antonini: Ti scontrerai con l'onnipresente segreto di Stato e
con un mondo a parte, quello militare.
- Lidia Menapace: Sicuramente sara' importante coinvolgere i militari
chiedendo obiezione di coscienza anche per i soldati di carriera. Negli Usa
ci sono cinquemila disertori dalla guerra all'Iraq. L'Italia e' anche un
caso pressoche' unico di negazione del diritto alla sindacalizzazione per i
lavoratori con le stellette che, invece, hanno bisogno di poter tutelare i
propri interessi.
*
E' davvero zeppa l'agenda... E' il condensato di un impegno iniziato in
maniera "casuale", ricorda alla fine dell'intervista. "Tornavamo da scuola,
mia sorella ed io, e ci fermarono tre giovanotti armati di vecchi moschetti.
Ci chiesero come la pensavamo dell'occupazione tedesca. Puoi immaginare cosa
rispondemmo noi che ci avevano appena deportato il padre". Gia' allora
dichiaro' di non voler portare armi, "un ribrezzo invincibile" e prese a
recapitare posta e stampa clandestina ai garibaldini del comandante Moscatel
li in Val Sesia, agli "azzurri" della Val d'Ossola (cattolici e militari
lealisti) e ai verdi (il colore del foulard di Giustizia e liberta') che
operavano sul Lago Maggiore. Talvolta portava anche del plastico, "ma solo
per attentati alle cose", precisa. "Quando fini' la guerra a nessuna di noi
venne in mente di chiedere di entrare nell'esercito, piuttosto chiedevamo
diritti civili". Da allora, Lidia Menapace, sara' sempre una "resistente
cronica".

3. ESPERIENZE. VALERIA ANDO': UN LABORATORIO SU "PENSIERO FEMMINILE E
NONVIOLENZA DI GENERE" ALL'UNIVERSITA' DI PALERMO
[Ringraziamo Valeria Ando' (per contatti: andov at tele2.it) per questa
testimonianza. Valeria Ando', docente di Cultura greca all'Universita' di
Palermo, e' tra le promotrici ed animatrici presso quell'ateneo di un gruppo
di riflessione e di pratica di nonviolenza di genere; direttrice del Cisap
(Centro interdipartimentale di ricerche sulle forme di produzione e di
trasmissione del sapere nelle societa' antiche e moderne), tutor del
laboratorio su "Pensiero femminile e nonviolenza di genere", autrice di
molti saggi, ha tra l'altro curato l'edizione di Ippocrate, Natura della
donna, Rizzoli, Milano 2000. Opere di Valeria Ando': (a cura di), Saperi
bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci,
Roma 2002; con Andrea Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i
filosofi?, Carocci, Roma 2002; L'ape che tesse. Saperi femminili nella
Grecia antica, Carocci, Roma 2005]

Si e' concluso in questi giorni il laboratorio con crediti su "Pensiero
femminile e nonviolenza di genere" che ho tenuto in qualita' di tutor presso
la Facolta' di Lettere dell'Universita' di Palermo.
Il laboratorio nasceva dall'intento di favorire, all'interno dell'offerta
didattica di una facolta' universitaria, un percorso di riflessione che,
adottando la specifica prospettiva di genere, contribuisse alla formazione
individuale alla nonviolenza e alla costruzione della cultura della pace.
L'assunto di fondo e' che sia possibile stabilire nessi forti a livello
teorico-concettuale tra il pensiero della noviolenza e il pensiero della
differenza sessuale. Peraltro entrambe queste forme di pensiero richiedono
la trasformazione di se' e del proprio rapporto col mondo e dunque hanno
entrambe un'immediata ricaduta nella pratica politica.
Il titolo del laboratorio ha determinato una autoselezione, nel senso che si
sono iscritte e hanno frequentato soltanto studentesse, 34 per l'esattezza,
cosa che, se non ha consentito il confronto con gli studenti maschi, ha
pero' reso la comunicazione estremamente diretta, autentica e senza filtri.
Dopo avere introdotto il tema, avere tracciato una breve storia del pensiero
della nonviolenza e del pensiero femminile, e avere fornito una definizione
di violenza e di nonviolenza, ho affrontato i contenuti a partire dai testi:
per questo ho preparato una antologia in cui ho trascritto interi brani di
pensatori della nonviolenza (Mohandas K. Gandhi, Aldo Capitini, Martin
Luther King, iuseppe Giovanni Lanza Del Vasto, don Lorenzo Milani, Dolci,
Pat Patfoort, Marianella Sclavi) e di pensatrici, dalle grandi maestre come
Hannah Arendt, Simone Weil, Maria Zambrano, fino alle filosofe
contemporanee, soprattutto italiane e francesi. Ho diviso i brani per grossi
temi, come "amore", "empatia", "partire da se'", "autorita' vs potere",
"conflitto e sua soluzione", "perdono", "comunicazione", "forme di lotta",
"mezzi e fini", "educazione, scienza e conoscenza", "religione". Questo ha
consentito di verificare come uno stesso tema avesse trovato risposte
diverse ma consonanti in ciascuna delle due forme di pensiero. Infine
abbiamo passato in rassegna le azioni di lotta nonviolenta compiute dalle
donne in diversi momenti della storia.
In ogni incontro, della durata di tre ore per un totale di 25 ore
complessive, dopo una introduttiva e breve forma di training, commentavano
insieme i pensieri contenuti nei testi. Progressivamente, col procedere
degli incontri, le studentesse si sono sempre piu' messe in gioco, partendo
dalla loro esperienza, dai loro vissuti, scoprendo con sorpresa gioiosa come
le parole dei pensatori e delle pensatrici trovavano in loro rispondenza
profonda. Ho assistito insomma all'avvio di un processo di crescita e di
consapevolezza, non solo della loro differenza femminile, ma anche e
soprattutto in funzione di una scelta di vita nonviolenta.
L'intreccio tra le due forme di pensiero e di pratica, che da anni vivo
nella mia persona, l'ho visto "incarnarsi" nelle studentesse, le ho viste
mettersi in movimento, iniziare un percorso di trasformazione. I momenti
piu' intensi e coinvolgenti sono stati sul tema della soluzione dei
conflitti: dopo avere chiarito i principali snodi teorici, le studentesse,
in coppia, hanno narrato per iscritto un loro conflitto e hanno ricevuto la
narrazione del conflitto della compagna; ciascuna poi ha dato all'altra
suggerimenti per la soluzione nonviolenta e hanno infine comunicato al
gruppo il guadagno positivo dell'esperienza. Sono emersi sentimenti forti,
emozioni intense!
Nella discussione conclusiva durante l'ultimo incontro tutte, con la voce
spezzata e gli occhi lucidi, hanno riconosciuto il cambiamento profondo che
gli incontri avevano prodotto, hanno espresso gratitudine alle compagne per
il percorso intrapreso insieme, un percorso di scelta di vita nonviolenta
nella assunzione consapevole della loro differenza femminile. Una di loro mi
ha consegnato un libriccino con le sue riflessioni, scritte in un linguaggio
schietto e immediato; ne riporto solo una frase: "il mio corpo di donna e'
la mia bandiera della pace".

4. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: NOI, USCITE DAL SILENZIO, RILANCIAMO IL
CONFLITTO
[Dal sito dell'Universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul
quotidiano "Liberazione" del 6 giugno  2006. Lea Melandri, nata nel 1941,
acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba
voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel
movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea
Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio,
Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno
d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga,
Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia
di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it
riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di
scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione
per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice
insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo
psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di
cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini &
Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70
e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi,
sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba
voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988
( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di
foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica
dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione
Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei
sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di
posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto',
'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha
diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione
femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione
aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle
donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

Sabato 17 e domenica 18 giugno 2006, presso la Casa internazionale delle
donne di Roma, si terra' un incontro nazionale delle assemblee che sono
sorte in varie citta' d'Italia a seguito della manifestazione del 14 gennaio
a Milano, e che abbiamo ormai preso l'abitudine di indicare con lo slogan
"Usciamo dal silenzio". Le ragioni che ci spingono a tentare una riflessione
collettiva allargata o, se si preferisce, il bilancio di sei mesi di intensa
iniziativa politica, sono molte. Comincero' a indicarne alcune.
*
Non si vedeva da molti anni una volonta' cosi' esplicita di protagonismo
politico da parte delle donne, riguardante la vita pubblica ai suoi massimi
livelli istituzionali (parlamento, giustizia, governo delle citta',
economia, informazione, ecc.). I risultati sotto questo profilo deludenti
delle elezioni politiche, amministrative, e della formazione del nuovo
governo, non sembrano aver incrinato la determinazione a tenere aperto, ora
piu' che prima, un conflitto - relativo al rapporto tra i sessi e ai
pregiudizi di cui e' ancora carico - che si preannuncia tanto piu' aspro
quanto piu' si fa scoperto e duraturo, implicando sia la sfera privata che
pubblica.
*
Nuova e' anche la presenza, nei gruppi, nelle assemblee cittadine, di donne
con percorsi diversi: chi viene dal femminismo, chi da esperienze di
partito, pratiche sociali, professioni, settori dell'economia e dei media.
Questa mescolanza richiede ascolto e curiosita' reciproca, disponibilita' ad
allentare appartenenze, preoccupazioni identitarie, irrigidite da anni di
frammentazione e isolamento. Ha bisogno, soprattutto, di produrre un
pensiero complesso, articolato su temi diversi, che oggi si intrecciano a
prescindere dalla nostra volonta' e consapevolezza. Basta pensare alla Legge
40 - che sta tornando di attualita' -, alle sue molteplici implicazioni:
sessuali, legislative, scientifiche, etiche, religiose, antropologiche.
Riusciremo a intersecare saperi, esperienze e linguaggi diversi, senza
alzare ancora una volta pregiudiziali barriere difensive, sospetti e
contrapposizioni astratte?
*
E' stata riconosciuta da tutte come un fatto positivo, in questa ripresa di
movimento, la partecipazione di donne appartenenti a generazioni diverse.
Detto questo si profilano alcuni interrogativi: come evitare che un dato
effettivamente interessante produca solo un sentimento consolatorio, la
rassicurazione generica della continuita', o un affettuoso abbraccio
familiare, trascurando l'impegno che esso ci chiede di tenere insieme
memoria e riattualizzazione di sapere e cambiamenti che vengono dalla storia
del femminismo? Come far dialogare la consapevolezza di alcune, maturata
attraverso una lunga pratica collettiva, e la tendenza diffusa, anche nei
movimenti giovanili, a rientrare nella neutralita'?
*
Abbiamo detto a gran voce, e scritto a varie riprese attraverso lettere e
documenti, che condizione prima, imprescindibile, perche' ispirata a
principi di civilta' e di democrazia compiuta, sarebbe dovuta essere
l'"eguaglianza di statuto tra donne e uomini nella sfera della vita
politica, istituzionale e sociale", cioe' "pari presenza in tutti i campi
decisionali a partire dal governo, consiglio superiore della magistratura,
ecc.", e nella sfera privata: cura di bambini e anziani, tradizionalmente
riservata alle donne. Non abbiamo visto alcun segnale che andasse in questa
direzione. Anzi, a guardare bene, sembra esserci stato un arretramento, una
chiusura e, in alcuni casi, episodi di aperta ostilita'. Nei dibattiti che
hanno accompagnato le due tornate elettorali e fatto seguito alle prime
iniziative del governo Prodi, le donne sono scomparse del tutto, persino la'
dove il loro parere di persone direttamente interessate ed esperte in
materia sarebbe dovuto essere imprescindibile. Ad esempio sulla legge 40, di
cui si e' tornato a parlare dopo le dichiarazioni del ministro Fabio Mussi
riguardo alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Per chi non si
accontenta di un commento laconico e scontato - "Si sa, quando il gioco si
fa duro..." - viene spontaneo domandarsi quali siano oggi i rapporti interni
ai partiti tra uomini e donne, tra donne e donne, perche' sia cosi'
difficile smascherare l'evidente ambiguita' della dichiarata apertura dei
partiti ai movimenti, perche' le donne che operano nell'informazione siano
ancora cosi' esitanti a contrastare la ormai grottesca monosessualita'
italica del panorama culturale e politico, perche' si limitino a fare da
intermediarie - vallette o conduttrici che siano -, sempre e comunque un
"medium" per gli uomini, una "risorsa" preziosa, indispensabile nella casa
come nella citta'.
*
La "femminilizzazione" del lavoro, della politica, della cultura, tanto
enfatizzata anche da sinistra, e' in realta' l'ultimo baluardo, insidioso
perche' meno riconoscibile, data la confusione tra "femminile" e donna, di
prerogative che il sesso maschile continua a riservare a se': pensare e
decidere, intelligenza, responsabilita' politica e senso morale. Tacitate
con la dichiarazione di diritti formali e con l'attribuzione di grandi
"valori" - esaltazione immaginaria che non e' mai mancata storicamente -, le
donne restano la' dove le ha collocate una mai tramontata misoginia.
Consiglierei di leggere nelle scuole, a distanza di un secolo, Sesso e
carattere di Otto Weininger per capire con quanta violenza la tanto
decantata cultura occidentale, greco-latino-cristiana, bianca e
androcentrica abbia parlato e parli tuttora dell'"essenza" dell'uomo e della
donna: "La donna non sta in alcun rapporto con l'idea, non l'afferma ne' la
nega... e' amorale, cosi' come e' alogica", "Si puo' ben prevedere
l'equiparazione giuridica dell'uomo e della donna, senza percio' credere
nella loro eguaglianza morale e intellettuale".
*
Siamo testimoni ogni giorno di omicidi e stupri, che restano vergognosamente
"fatti di cronaca", mentre la dicono lunga sull'appropriazione maschile del
corpo della donna e sul nodo tragico di amore e odio che si annida fin nei
rapporti piu' intimi. In modo analogo, assistiamo incredule a una quotidiana
messa sotto silenzio della cultura e dei cambiamenti di coscienza, di
visione del mondo, che abbiamo prodotto nel corso di faticose battaglie di
emancipazione e di liberazione. Quanto riusciremo a sopportare questa
snervante altalena che ci costringe ora a identificarci con la vittima di un
sacrificio cruento, ora a recitare la parte di sagge e inascoltate
Cassandre?
*
Con queste ultime elezioni, politiche e amministrative, sono entrate in
parlamento e nelle amministrazioni donne - pochissime - che vengono
dall'esperienza del femminismo, e con gioia e sorpresa abbiamo sentito
pronunciare in quelle arene grondanti di agonismi maschili parole, concetti,
linguaggi a molte di noi familiari, perche' cresciuti nel crogiuolo di vite
raccontate ad altre, fatte oggetto di analisi e di considerazioni piu'
generali. Che le stesse donne, a pochi giorni dalla loro elezione, siano poi
ricomparse per riprendere un normale, comune lavoro politico con le singole,
i gruppi, le associazioni che le hanno sostenute, e' il ponte che
aspettavamo perche' la "societa' delle estranee" si sentisse un po' meno
estranea, ma soprattutto perche' il femminismo tornasse a lanciare la sua
sfida alla politica, a partire da tutto cio' che essa continua ciecamente a
cancellare, o a regalare alle peggiori inclinazioni del potere: il populismo
e il fondamentalismo.

5. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: UOMINI, VOI COSA DITE?
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "L'Unita'" del 22
maggio 2006. Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha
insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica
femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo"
riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di
undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio
Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in
filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo
Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal
Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora
nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al
progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo
coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e
Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi
sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte
della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano
1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri),
Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della
madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria,
Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato
vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista
trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita'
filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei
(da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il
profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e
nonna nel 1997"]

Mi e' stato chiesto di unirmi alla denuncia della violenza che patiscono
tante donne da parte di uomini.
Non e' giusto, infatti, che questo stillicidio di morte che minaccia
l'alfabeto della civilta', venga messo tra i fatti di cronaca e presto
dimenticato. Bisogna metterlo fra le questioni sulle quali non intendiamo
sorvolare, come le guerre e le poverta' estreme.
Ma, trattandosi della violenza di uomini su donne e bambini, io pretendo che
siano uomini a occuparsene per primi. Alcuni hanno cominciato. Io non voglio
ripetere cose che sono state dette troppe volte da parte nostra,
inascoltate.
La seconda ondata del femminismo, ormai trascorsa, ha cambiato molte cose in
meglio, ma la tendenza maschile a farsi valere con il disprezzo dell'altro
sesso, nel suo fondo sembra immutata.
Si e' pensato che fosse l'espressione del dominio patriarcale, ma questo non
c'e' piu' nei termini del passato e quella persiste. Si pensa che oggi noi
assistiamo alla reazione scomposta di una minoranza per la perdita del
privilegio sessista. Neanche questo mi sembra assodato. La violenza piu'
brutale e' di pochi (non tanto pochi, peraltro), ma il linguaggio del
disprezzo e' di molti, impossibile sapere quanti, forse i piu': e' il
linguaggio di una virilita' che forse per sua natura e' una conquista e si
sente percio' minacciata e fragile. E che, per di piu', non trova aiuto
nella cultura dominante i cui protagonisti, scientifici, religiosi,
politici, delle donne hanno un bisogno di cui sanno troppo poco. "Credevo
che lei fosse una donna, mi scusi", ha scritto una lettrice al direttore di
un periodico femminile. Mi scusi: non sia mai che una donna non riconosca la
virilita' di lui.
Se, da questo punto di vista, il femminismo e' passato invano, io penso che
c'entri anche la mancata rispondenza nella cultura politica che pretendeva
di stare dalla parte delle donne. In pieno femminismo, ricordo la vicenda di
una donna uccisa sulla porta di casa dal compagno, erano entrambi ferrovieri
e iscritti al sindacato, lei aveva deciso di andarsene con la loro bambina,
sul suo diario il giudice pote' leggere gli inutili sforzi che aveva fatto
per convincere l'uomo, troppo preso dalla militanza, a stare un po' in
famiglia. "L'Unita'" le dedico' un commento in prima pagina, firmato da un
suo commentatore abituale, che cominciava e concludeva su questo motivo:
perche' Caino uccide Abele? Sordo, distratto, astratto.
E' da qui che bisogna ricominciare, e da tutta una cultura progressista che
ragiona come se le donne fossero uomini o, altrimenti, da meno e
disponibili. E che quasi ostenta la sua ignoranza della verita' riguardo
agli inizi e alla cura della vita (che non si trova nei laboratori, come
credono gli scienziati e ora anche i papi, dimentichi di Dio e della mamma).
Che cosa la rende cosi' terribile, questa verita', che vi impedisce di
guardarla in faccia?

6. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI COLLOQUIA CON SEYLA BENHABIB
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano riprendiamo la seguente
intervista apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 21 maggio 2006.
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di
liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania
Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005.
Seyla Benhabib e' una delle piu' rilevanti pensatrici femministe. Dal sito
dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it)
riportiamo la seguente scheda - di qualche anno fa, e che occorrerebbe
aggiornare -: "Seyla Benhabib e' nata ad Istanbul nel 1950. E' professoressa
di Teoria politica presso l'universita' di Harvard. Ha conseguito il
dottorato in filosofia nel 1977 all'universita' di Yale. Dal 1979 al 1981 e'
stata Alexander von Humboldt Fellow a Starnberg e Francoforte. Ha studiato
filosofia, politica e storia del pensiero femminile a Boston, presso la New
School for Social Research. E' stata professoressa ospite presso le
universita' di Costanza, Francoforte e Macerata. Dal 1986 al 1992 e' stata
coeditrice di "Praxis International". Seyla Benhabib si e' occupata di
teoria critica, filosofia politica e femminismo. Ha indagato le relazioni
della teoria critica della societa' con la tradizione del pensiero politico
e con l'etica contemporanea. Ha proposto un progetto di etica universale che
risente delle suggestioni di Habermas e che intende integrare il pensiero
femminile e il criticismo all'interno di un'etica dialogica che prospetta
l'atto etico come capacita' di entrare in relazione con il punto di vista
dell'altro. Recentemente Seyla Benhabib ha focalizzato i suoi interessi sul
pensiero femminista; sta lavorando ad un libro che esamina la filosofia
politica di Hannah Arendt (The Reluctant Modernism of Hannah Arendt)". Opere
di Seyla Benhabib: Critique, Norm and Utopie. A study of the Foundations of
Critical Theory, Columbia University Press, 1986; Fischer Verlag, 1992;
(con Drucilla Cornel), Feminism as Critique, Polity and Minnesota Presses,
1987;  (con Fred Dallmayr), The communicative Ethics Controversy, MIT Press,
1988; Situating the Self. Gender, Community and Postmodernism in
contemporary Ethics, Routledge and Polity Presses, 1992. Il testo di una
intervista a Seyla Benhabib su "La filosofia politica femminista" abbiamo
pubblicato integralmente nel n. 160 di questo notiziario]

Di Seyla Benhabib l'editore Cortina ha appena mandato in libreria in Italia
l'ultimo libro, I diritti degli altri: un lavoro sulla comunita' politica e
sui principi e le pratiche che regolano l'integrazione di stranieri,
migranti, rifugiati e richiedenti asilo nelle nostre democrazie.
La frase in esergo al volume - "No human is illegal", slogan della marcia
degli immigrati per i diritti civili che si tenne il 4 ottobre 2003 a New
York - rende da sola le intenzioni dell'autrice. Che spiega: "Al centro
della mia tesi c'e' la nozione di appartenenza politica, intesa come
iscrizione volontaria a una comunita' politica, e la sua ridefinizione nel
mondo globale. Lo stato moderno ha formalizzato l'appartenenza sulla base
della cittadinanza nazionale. Ma con la globalizzazione la sovranita'
statale e la cittadinanza nazionale entrano tutte e due in crisi; mentre con
le migrazioni emergono nuove modalita' di appartenenza, che stentano a
trovare adeguata formalizzazione. La teoria politica si sforza di ridefinire
una sovranita' post-statuale nell'era post-westfaliana, ma non puo'
riuscirci senza mettere in discussione la pretesa degli stati di mantenere
il controllo e la protezione dei confini nazionali da stranieri, intrusi,
rifugiati, richiedenti asilo. Una giusta appartenenza a mio avviso deve
comprendere il riconoscimento del diritto morale al primo ingresso dei
rifugiati e dei richiedenti asilo, un regime di confini porosi per i
migranti, la titolarita' per ogni essere umano di alcuni diritti
fondamentali inalienabili: chi si trova nella condizione di 'straniero' non
puo' essere privato di questi diritti fondamentali, e a determinate
condizioni acquisisce altresi' il diritto civile alla cittadinanza".
Ci si potrebbe fermare a parlare piu' a lungo di quest'ultimo lavoro di
Benhabib se il nostro incontro, avvenuto a ridosso del Festival di filosofia
di Roma della settimana scorsa, non fosse pressato da altre domande. Seyla
Benhabib e' anche una teorica femminista, nota in questo campo soprattutto
per il suo Situating the Self (Polity Press, 1992); e in un altro dei suoi
testi tradotti in italiano, La rivendicazione dell'identita' culturale:
eguaglianza e diversita' nell'era globale (Il Mulino, 2005) sottolinea che
la questione delle differenze e dei conflitti culturali non e' separabile da
quella della posizione che all'interno di ogni cultura e negli scambi
interculturali occupano gli uomini e le donne.
La tavola rotonda del Festival sull'"Universalismo della differenza", alla
quale abbiamo partecipato tutte e due con Luisa Muraro, Lidia Ravera e
Francesca Brezzi, ha messo in scena alcune discrepanze e alcune difficolta'
di traduzione fra il lessico politico del femminismo italiano e quello del
femminismo americano, difficolta' che ruotano sull'uso diverso delle
categorie di differenza sessuale e di gender e su altre diversita' di
percorso e di contesto. Ci era rimasta la curiosita' di discuterne ancora.
*
- Ida Dominijanni: Che impressioni hai tratto da questo breve scambio con
alcune voci del femminismo italiano?
- Seyla Benhabib: E' stato troppo breve purtroppo, bisognerebbe istruirne
uno piu' approfondito. Mi e' parso che ci sia qui in Italia un dibattito
sulla differenza sessuale molto ricco, ma difficile da tradurre nel contesto
americano. Il dibattito femminista americano degli ultimi vent'anni e' stato
interamente occupato dalla polemica costruttivismo versus essenzialismo,
declinata come gender versus differenza sessuale. Una polemica per molti
versi semplicistica e piena di luoghi comuni, che ha impedito fra l'altro
uno sviluppo in positivo del linguaggio della differenza e dei primi lavori
di Luce Irigaray.
*
- Ida Dominijanni: E' quello che Rosi Braidotti chiama la "disconnessione
transatlantica" della teoria femminista. Luisa Muraro, nella sua "lezione
magistrale" al Festival, ne ha dato una sua spiegazione, attribuendo
l'abbandono del linguaggio e della pratica della differenza sessuale nel
femminismo americano per un verso, sul fronte sociale, all'accanimento sulla
rivendicazione del potere in competizione con gli uomini, per l'altro verso,
sul fronte accademico, alla subalternita' della ricerca teorica al
post-strutturalismo. Che ne pensi?
- Seyla Benhabib: Direi che sono abbastanza d'accordo, con qualche aggiunta.
La polemica antiessenzialistica all'inizio faceva perno sulle tesi di
Foucault e sui primi lavori di Judith Butler: il nocciolo stava
nell'affermazione che qualsiasi soggettivita' e' costruita dentro le
pratiche disciplinari e che dunque non e' pensabile un'essenza dell'essere
umano o del soggetto che preesista a queste pratiche o ne prescinda.
Affermazione giusta - e peraltro non inedita: gia' Marx diceva che siamo
nient'altro che esseri sociali -, che col tempo e' diventata pero' una
specie di passepartout contro un nemico di comodo, largamente inventato e
fantasmatico. Quali sarebbero le posizioni essenzialiste contro cui si
rivolge? A meta' anni Novanta, perfino il mio lavoro sul se' situato e'
stato tacciato di essenzialismo, per non dire quello di Carol Gilligan...
*
- Ida Dominijanni: ... che invece, a ben guardare, non lo e': ho avuto modo
di discuterne con lei (cfr. "Il manifesto" del 25 settembre 2005). Ma quali
sono i referenti sociali di questa polemica? O si tratta di un conflitto
puramente accademico?
- Seyla Benhabib: La polemica contro l'essenzialismo si e' intrecciata con
la degenerazione della politica dell'identita' in quella che io chiamo
"etica del sospetto" generalizzata. All'inizio, anche qui, si trattava delle
piu' che legittime rivendicazioni delle minoranze etniche e sessuali contro
le pratiche di esclusione e gerarchizzazione che inficiano l'universalismo:
le donne di colore e le omosessuali avevano di che "sospettare" contro "la
Donna" bianca e eterosessuale. Ma via via questa critica si e' infilata in
due vicoli ciechi: per un verso la rivendicazione di quote e pari
opportunita', dentro un quadro di risorse sempre piu' scarse. Per l'altro
verso, una politica dell'identita' sempre piu' individualistica, che scivola
dall'appartenenza a una minoranza sessuale a un "my belonging" che nega in
radice ogni possibilita' di rappresentazione collettiva: nessuna puo'
parlare per nessun'altra e alla fine ognuna parla solo a nome di se stessa.
Questa deriva e' del tutto in contrasto con la mia visione dell'interesse e
di una politica basata sull'in-between, alla Hannah Arendt. Vengo dal '68,
sono una socialista democratica, eterosessuale e madre, mi e' difficile
riconoscermi in una politica dell'identita' sessuale incapace di trovare
degli interessi comuni e di fare coalizione.
*
- Ida Dominijanni: C'e' dell'altro, secondo me. Questa politica
dell'identita' frammentata, che solitamente si definisce politica delle
differenze, finisce con il riprodurre il fantasma contro cui si batte,
"essenzializzando" le microidentita' (o differenze che dir si voglia). Mi
pare piu' antiessenzialista una concezione della differenza come
differimento dall'identita' - dell'altro, del genere, della stessa
singolarita' - qual e' quella che cerchiamo di far operare nel pensiero
della differenza italiano, in questo non dissimile da alcune gender
theories. Insomma, io penso che la mappa transatlantica andrebbe aggiornata
e ridisegnata, decostruendo e confrontando le parole che abbiamo usato fin
qui: genere, differenza, differenze, identita', singolarita'...
- Seyla Benhabib: Penso anch'io che bisognerebbe promuovere un confronto
piu' dettagliato. Insieme a un aggiornamento dell'analisi sociale. Negli
Stati Uniti, l'economia post-fordista ha radicalmente trasformato i rapporti
sociali fra uomini e donne, inserendo le donne al centro della societa' dei
servizi e spedendo a casa gli uomini che prima lavoravano in fabbrica. La
struttura della famiglia cambia di conseguenza, e non e' un caso che
sull'aborto sia impossibile tornare indietro malgrado trent'anni di
propaganda reazionaria. Siamo nel pieno di un enorme mutamento sociale che
purtroppo non trova rappresentazione politica.
*
- Ida Dominijanni: Torniamo sui punti di contatto. Uno e il riferimento
all'"in-between" arendtiano, comune anche alla teoria politica femminista
italiana che fa perno sulla categoria e sulla pratica della relazione.
L'altro, connesso, io lo trovo nella tua insistenza sulle strategie
discorsive e narrative che metti alla base della tua concezione della
democrazia deliberativa. La nostra pratica del "partire da se'" puo' esser
vista come una di queste strategie narrative.
- Seyla Benhabib: Pare anche a me. A me sta a cuore enfatizzare la relazione
come aspetto costitutivo dell'individuo e della collettivita'. E la
narrativita' come aspetto costitutivo del se', delle culture, dello scambio
interculturale e del confronto pubblico. La narrazione smentisce la
concezione identitaria e olistica delle culture come entita' compatte e
incomunicanti, spezza le opposizioni congelate fra islam e occidente,
religione e laicita', pubblico e privato, eterosessualita' e omosessualita'
e via dicendo. E' cruciale nella costruzione di una sfera pubblica non
statuale, aperta ai movimenti della societa' civile, e di processi
deliberativi che tengano davvero conto delle differenze e del modo in cui
emergono, si contaminano, si interrogano a vicenda.
*
- Ida Dominijanni: Qui forse c'e' una differenza fra noi da evidenziare. Per
il femminismo della differenza italiano le pratiche ridisegnano la sfera
pubblica e fanno politica di per se', tu invece vedi la discorsivita' in
funzione di piu' ampi processi deliberativi e normativi e di una
rivitalizzazione della democrazia.
- Seyla Benhabib: Tutta la teoria femminista americana ha lavorato molto
nell'ultimo decennio sulla democrazia, la sfera normativa, la teoria
costituzionale. In effetti, stiamo facendo la nostra "lunga marcia
attraverso le istituzioni".
*
- Ida Dominijanni: Ma la democrazia come si presenta oggi merita tanta
dedizione? Qual e' lo stato della democrazia americana dal tuo punto di
vista?
- Seyla Benhabib: E' uno stato preoccupante. L'11 settembre ha ridisegnato
il profilo della sovranita' in termini estremamente contraddittori: a un
evento sintomatico dell'era post-westfaliana, gli Usa hanno reagito con il
linguaggio della sovranita' statuale tradizionale. L'Impero e' senza
egemonia. All'interno, la "guerra al terrore" - una guerra mai dichiarata
contro un nemico non identificato e non identificabile - viene usata come
giustificazione per aumentare il potere dell'esecutivo. Il congresso ha dato
al governo poteri di polizia; il Patriot Act e' una legge tremenda,
imprecisa, che apre una sorta di stato di guerra nello stato di pace. Ma ci
sono anche dei cambiamenti di lungo periodo che cominciano prima e vanno
oltre l'impatto dell'11 settembre.
*
- Ida Dominijanni: Quali? Questa tua visita in Italia ti fa venire in mente
dei paragoni fra le tendenze della democrazia americana e quelle della
democrazia italiana?
- Seyla Benhabib: Direi proprio di si'. Qui e la' mi pare che agisca la
stessa crisi della democrazia costituzionale e la stessa tendenza al
cesarismo, al plebiscitarismo, allo svuotamento della rappresentanza. E
ancora, un'analoga trasformazione del rapporto fra politica ed economia, che
privatizza l'amministrazione e fa fuori il concetto di pubblico. Con Bush
negli Stati Uniti e' passata l'idea che il governo e' una forma di business
e che tutto si puo' appaltare ai privati, dalle prigioni alla gestione dei
beni comuni. Con i risultati che abbiamo visto, ad Abu Ghraib come a New
Orleans, e con una emorragia continua del senso della responsabilita'
pubblica e, direi, dell'onore pubblico. Non e' questione di destra e
sinistra: in gioco c'e' il destino della res publica.
*
- Ida Dominijanni: La tendenza al cesarismo e al plebiscitarismo non va di
pari passo con il crescere di quella "estetica dell'individualismo" che
denunciavi prima? E questo, non dovrebbe riaprire una riflessione radicale
sulla democrazia, sul rapporto fra individuo, massa e potere che ovunque in
Occidente si sta riconfigurando?
- Seyla Benhabib: Plebiscitarismo e individualismo vanno insieme anche per
via della crisi delle istituzioni della societa' civile, dalla famiglia alla
scuola. A questo bisogna aggiungere - negli Usa e, mi pare, anche in
Italia - il risentimento delle nuove elite di governo contro le elite
intellettuali storiche, e l'azione invasiva e pervasiva delle tv e dei media
elettronici che "occupano" la sfera pubblica passivizzandola (e negli Usa
spargono semi di fondamentalismo religioso). Anche se io sono convinta che
le nostre societa' non siano totalitarie, e che due secoli di democrazia
americana ci abbiano vaccinato dal totalitarismo, non posso fare a meno di
ripensare alle analisi di Hannah Arendt sulla distruzione degli spazi di
rappresentazione e articolazione del se' che fu all'origine del
totalitarismo.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 67 dell'8 giugno 2006

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