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La nonviolenza e' in cammino. 1317
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1317
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 5 Jun 2006 00:12:38 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1317 del 5 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: Una lettera 2. Daniele Lugli: La politica della nonviolenza 3. Anna Puglisi: La signora Provenzano 4. Augusto Cavadi: Le bibbie di Provenzano 5. Irene Alison intervista Joseph Woods 6. Arci: Un appello a votare "no" al referendum 7. Letture: AA. VV., Scelgo la Costituzione 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UNA LETTERA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per averci messo a disposizione questa lettera indirizzata a Nella Ginatempo ma concepita come intervento pubblico per una riflessione condivisa. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. Nelle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004. Nella Ginatempo (per contatti: nellagin at tiscali.it) e' una prestigiosa intellettuale impegnata nei movimenti delle donne, contro la guerra, per la globalizzazione dei diritti; e' docente di sociologia urbana e rurale all'universita' di Messina; ha tenuto per alcuni anni il corso di sociologia del lavoro, svolgendo ricerche sul tema del lavoro femminile; attualmente svolge ricerche nel campo della sociologia dell'ambiente e del territorio. Tra le sue pubblicazioni: La casa in Italia, 1975; La citta' del Sud, 1976; Marginalita' e riproduzione sociale, 1983; Donne al confine, 1996; Luoghi e non luoghi nell'area dello Stretto, 1999; Un mondo di pace e' possibile, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2004] Carissima Nella, sono venuta volentieri alla manifestazione del 2 giugno a Roma e mi pare che sia anche abbastanza riuscita. Pero' mi preoccupo del carattere sempre pio' "interno" delle espressioni del movimento e anche mi spiace un po' di essere "convocata" come parlamentare su una piattaforma che non ho minimamente cooperato a costruire. La mia intenzione era ed e' di proporre altre modalita' per la festa della repubblica, ragionando sulla sua "ragione sociale", che e' quella di "repubblica democratica fondata sul lavoro". Il lavoro viene celebrato il primo maggio e propongo che - se i sindacati sono d'accordo - il 1 maggio sia solenne come il 2 giugno, ma per l'appunto celebrato senza niente di militare, per ricordare la storia nonviolenta del movimento operaio. Il 2 giugno non puo' essere "usurpato" dalle Forze armate che hanno gia' la loro festa il 4 novembre (che peraltro dovrebbe essere piuttosto giorno di lutto: ricordando l'"inutile strage" della prima guerra mondiale); ricevere l'invito alla sfilata militare dal ministro della Difesa, che il 2 giugno e' dunque il piu' potente personaggio dello stato che "convoca" presidente della Repubblica, del Senato, della Camera e del Governo, cioe' la prima seconda terza e quarta autorita' dello stato, e' uno sbrego dell'etichetta e del simbolico che rasenta la rappresentazione di un colpo di stato, e ha un aspetto tanto poco egualitario da essere insopportabile, il trionfo della gerarchia! una cosa da monarchia, non da repubblica... * Il 2 giugno deve essere repubblicano e democratico, che e' quanto dire non gerarchico, ma esaltatore dell'eguaglianza e dell'azione civile e non militare. A me non piacerebbe che fosse celebrato con particolare rilievo a Roma, per questo avevo molto apprezzato che in alcuni luoghi gia' si fosse diffusa l'abitudine di fare una festa in piazza o una passeggiata in campagna o una mangiata all'aperto, insomma una cosa popolare; da anni propongo che facciamo qualcosa di simile al 14 luglio in Francia, data che ricorda la presa della Bastiglia da parte del popolo di Parigi, azione forte, ma indirizzata ad aprire un orrendo carcere, a celebrare la liberta' e a far uscire i prigionieri politici, e che si festeggia ballando tutta la notte per le strade. Insomma mi interessa una modalita' con la quale il patriottismo - come dice Napolitano - non si esprima con le armi, cioe' come patriottismo contro le patrie altrui, bensi' con la festa, che e' una modalita' per eccellenza inclusiva, non trattandosi di una festa con invitati eccellenti, con il biglietto d'invito da esibire e le mises delle dame, bensi' aperta a tutti e tutte, da festeggiare con bambini bambine nonni nonne vicini di casa passanti occasionali e immigrati/e che si uniscono magari insegnandoci i loro balli o i loro piatti. * Se questa era la mia meta non capisco perche' dovessimo parlare soprattutto d'altro, con la solita maniera gridata e piagnona della sinistra, senza una proposta nel merito. Sono un po' irritata di essere convocata a ripetere cio' che ho gia' detto scritto e parlato persino in aula, sul rispetto dell'art. 2 (pacs), dell'art. 3, (ostacoli alla parita' delle donne e dei migranti), sulla laicita' dello stato e sull'art.11 della Costituzione. Non sono d'accordo che ci sia tra noi e il movimento una modalita' non reciprocamente autonoma. Il movimento non ha rappresentanti, ne' i rappresentanti hanno potere sul movimento, siamo reciprocamente autonomi e se vi e' una relazione tra noi (che mi pare una novita' politica di grande respiro) essa e' per l'appunto una relazione tra pari, da verificare ogni volta nella composizione delle piattaforme, nella firma di documenti, nell'appoggio ad azioni ecc. ecc. Con grande affetto ma anche grande preoccupazione per un certo "incartarsi" del movimento per mancanza di fantasia politica, ti abbraccio forte Lidia 2. RIFLESSIONE. DANIELE LUGLI: LA POLITICA DELLA NONVIOLENZA [Da "Azione nonviolenta" di marzo 2006 (disponibile anche nel sito www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente articolo li' apparso col titolo "Voglia di impero, smania di comunita', rifiuto della democrazia. Verso il Convegno di Firenze su nonviolenza e politica". Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it) e' il segretario nazionale del Movimento Nonviolento, figura storica della nonviolenza, unisce a una lunga e limpida esperienza di impegno sociale e politico anche una profonda e sottile competenza in ambito giuridico ed amministrativo, ed e' persona di squisita gentilezza e saggezza grande. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, e-mail: azionenonviolenta at sis.it] Ci sono due desideri collettivi che caratterizzano questi anni: la voglia di impero e la voglia di comunita'. Della prima ci parla l'inizio veramente folgorante del libro di Fabio Mini (La guerra dopo la guerra). La voglia di impero, o si potrebbe dire la smania di impero, e' il fenomeno che caratterizza quest'avvio del terzo millennio. Sembra quasi che l'esperimento della democrazia popolare dopo meno di un secolo stia scivolando all'indietro verso un nuovo sistema imperiale. Almeno parallela cresce un'altra voglia, quasi una smania, di comunita', la nostalgia di una comunita' che non abbiamo in verita' mai conosciuto. Scrive Zigmunt Bauman (Voglia di Comunita'): La comunita' ci manca perche' ci manca la sicurezza, elemento fondamentale per una vita felice che il mondo di oggi e' sempre meno in grado di offrirci e sempre piu' riluttante a promettere. Ma la comunita' resta pervicacemente assente, ci sfugge costantemente di mano o continua a disintegrarsi, perche' la direzione in cui questo mondo ci sospinge nel tentativo di realizzare il nostro sogno di una vita sicura non ci avvicina affatto a tale meta... La voglia di sentirsi in quella comunione profonda diventa ricerca di un legame collettivo, potremmo quasi dire un legame "purche' sia", anche inventato. Il che sarebbe in se' abbastanza ridicolo se non avesse elementi preoccupanti, che emergono in luoghi non poi cosi' lontani da noi, con esiti cruenti. E' la ricerca di un'appartenenza che ci sorregga nella distinzione da chi e' diverso da noi perche' sta oltre un certo confine, definito per stile di vita, gruppo etnico o religioso, o semplicemente una distinzione funzionale a rivendicare il nostro privilegio. La smania di impero e di comunita' sono entrambi modi di rifiutare la politica, la democrazia, la ricerca faticosa della costruzione di una convivenza, che non e' regalata. L'impero e' una soluzione; significa che c'e' qualcuno, piu' forte di tutti, che aggiusta le cose. Nella storia, almeno in quella nostra, lo hanno impersonato i romani, poi gli inglesi, ora gli americani. Preferire l'impero e' arrendersi ad un'evidenza semplice: se il mondo e' fatto in modo tale che si puo' essere solamente piaga o coltello, meglio essere coltello - e possibilmente stare dalla parte del manico. * L'atomica contro l'ipocrisia Spesso chi mi chiede di parlare di Aldo Capitini mi domanda che cosa c'e' di vivo nei suoi scritti. La domanda vera e' per me quanto di vivo porto io (e portano anche gli altri) rispetto alle cose scritte e compiute da Aldo Capitini, cioe' quale sia oggi la nostra capacita' di proposta rispetto ad una testimonianza di pensiero e di azione che ho avuto la fortuna di incontrare. C'e' tra gli altri un testo breve di Capitini, scritto tre giorni dopo la bomba di Hiroshima e pubblicato su "Epoca" nel suo primo numero - siamo nell'agosto del '45: "Tutta la potenza si e' raccolta in una bomba di sovrumana potenza", scrive Capitini, "l'imperium si e' ricollocato verso l'unica forza che d'ora in poi puo' decidere della guerra o della pace". Di seguito tratteggia in modo sintetico e preciso quello che oggi noi chiamiamo globalizzazione, la prospettiva - ormai realizzata - di un mondo che si fa uno. E, ancora a proposito della bomba, dice: e' un bene che sia avvenuto, ci toglie la possibilita' di fare dei distinguo sull'opportunita' della violenza e ci interroga su come possiamo affermare, al di fuori di una logica di forza, i valori costruiti attraverso l'esperienza di comunita' che per la guerra hanno sofferto. Nella crisi e nel vedere in prospettiva il conflitto mondiale che si stava preparando, ancora dopo la bomba di Hiroshima e Nagasaki, Capitini ripropone con forza la nonviolenza come varco attuale della storia, come "la" cosa da fare, un tema politico da affrontare. Il che vuol dire trasformare anche le istituzioni, che poi sono modalita' di relazione tra le persone. Nel tempo si sono irrigidite, ispessite, e vanno di nuovo vivificate. E' una cosa con la quale occorre fare i conti, in particolare dovranno farlo i giovani in una situazione nella quale parlare di politica ha un suono che, se non e' osceno, ci manca poco, perche' il tipo di esperienza che viene fatta nella vita pubblica nel nostro paese, da anni a questa parte, ha perso molti degli elementi di valore, che sono inscritti anche nella nostra Costituzione. * Una marcia di molti... Aldo Capitini e' noto soprattutto come ideatore e promotore della Marcia per la pace Perugia-Assisi, che ha avuto la prima edizione nel 1961. Qualche breve cenno per contestualizzare. Il 1961 e' l'anno in cui si costruisce il muro a Berlino, l'anno della crisi di Cuba, che ci porta sull'orlo della guerra atomica. All'indomani della Marcia Kennedy dira' che "o gli uomini sono capaci di liberarsi della guerra, o la guerra si sbarazzera' di loro". In questo clima politico e culturale si colloca la prima Perugia-Assisi promossa da questo professore umbro che non ha dietro a se' grandi organizzazioni, nessuna forza politica o religiosa, solo l'intuizione di questa manifestazione per affermare una volonta' popolare di pace. La Marcia ebbe un suo significato e un suo senso, tanto che e' stata ripetuta e ancora si ripete, ad anni alterni, con l'aggiunta di edizioni "speciali". Dopo quella prima iniziativa furono costituite un po' dappertutto le Consulte per la Pace, con l'appoggio delle forze politiche e sindacali di sinistra, colpite dalla gravita' del momento. Capitini, non iscritto a partiti, ma noto per il suo impegno contro la guerra fin sotto il regime fascista, divenne presidente della Consulta nazionale della pace. Ci furono momenti di forte partecipazione popolare, che abbiamo ritrovato forse solamente con la campagna delle bandiere arcobaleno. Aldo Capitini, che pure aveva un ruolo riconosciuto - presidente nazionale della Consulta - in un movimento tanto ampio, senti' il bisogno di qualcosa di piu' specifico e radicato, che andasse oltre larghe ma generiche manifestazioni per la pace. Per questo scelse di costituire un piccolo movimento: il Movimento Nonviolento. * .. un movimento di pochi Quando la pace e' in pericolo si leva la reazione spontanea delle persone, una sensibilita' che pero' scompare non appena i media guidano la nostra attenzione su un tema diverso, su un'altra urgenza. Il rifiuto della violenza e' un obiettivo piu' mirato, piu' quotidiano, che pervade tutto il modo di essere di una societa' e non si realizza per caso. La guerra e' un'espressione, orribile, dell'incapacita' di risolvere in modo diverso dalla violenza i problemi che si pongono. Da li' nasce la necessita', per tutti noi, di approfondire il tema della nonviolenza e da li' nasce anche il piccolo ma tenacissimo Movimento Nonviolento in cui mi ritrova. Per lo stesso desiderio di esprimere messaggi precisi, specifici, dopo la Perugia-Assisi Capitini indice a Roma una marcia "contro la guerra, il terrorismo, la tortura". Dalle migliaia che avevano marciato in Umbria, si passa a 200 persone. Il tema e' chiaro: ci sono persone disposte in ogni caso ad assumere la questione della violenza come un punto centrale, consapevoli ormai che le strade dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni e che le vie del cambiamento, percorse con mezzi violenti ed incoerenti con il fine, portano al peggio. Gandhi precisa in piu' punti che dobbiamo esercitare la nostra padronanza sui mezzi che scegliamo, poiche' sui fini e' impossibile esercitare un controllo. Per certo sappiamo che quanto facciamo s'imprime indelebilmente sul risultato. Non e' vero che il fine giustifica i mezzi, come l'interpretazione piu' banale di Machiavelli fa dire, e' invece vero, sicuramente vero, che i mezzi pregiudicano il fine, lo distorcono, lo fanno diventare diverso da quello che si voleva. * Un banco di prova: politica, amministrazione locale, partecipazione L'esperienza del fare politica, a partire dall'amministrazione locale, e', diceva Capitini, una responsabilita' necessaria. Puo' esserci nella vita un momento di meditazione quasi monastica, scriveva, ma poi occorre passare di nuovo per la vita pubblica, perche' questa capacita' di relazione con gli altri e' cio' di cui siamo costituiti. Altrimenti, ci ricordava, verra' ancora un tempo in cui le persone avvertiranno i politici come persone lontane, che non li rappresentano. E' molto bello, diceva Aldo, che ora ci siano comizi nelle piazze e non una persona che arringa le masse dal balcone di piazza Venezia o dalla radio, ma non sara' un progresso vero se restera' la distinzione tra chi parla e chi ascolta. Un tentativo di risposta erano i suoi Centri di Orientamento Sociale, dove si andava per ascoltare e parlare, non uno senza l'altro, dove i temi piu' diversi erano affrontati. Patate e ideali, ripeteva Capitini. Affiorano esperienze che riprendono quell'ispirazione, di seria e impegnata costruzione dal basso d'istituti per la miglior conoscenza, discussione, deliberazione degli argomenti di comune interesse. E' la necessaria aggiunta, fondata sul potere di tutti, agli istituti di democrazia rappresentativa, che attraversano una profonda crisi: dall'Onu alla circoscrizione. La democrazia, nella sua migliore espressione che e' quella costituzionale, appare fragile nelle cosiddette democrazie occidentali. Sembra avere smarrito la sua forza propulsiva. Viene da chiamarle democrazie accidentali. La loro pretesa di esportare diritti con la forza dell'economia, della corruzione, delle armi ha dato luogo, al piu', a democrature, che hanno fatto apparire meno orride, se non rimpiangere, le istituzioni precedenti. * Democrazia e costituzione La democrazia costituzionale e' esigente: chiede che la promessa d'eguaglianza che caratterizza il diritto sia presa sul serio, sempre piu' sul serio, turbando gli equilibri esistenti se sono fondati, come sono, sull'oppressione, su una violenza strutturale, coperta da una violenza culturale che impedisce il venire allo scoperto della violenza diretta. Quella che piu' ci spaventa, minacciando la nostra stessa vita, la nostra faticata sicurezza. La strada da percorrere era individuata con chiarezza nell'art. 3 della nostra Costituzione. I due commi vanno letti bene e assieme: "Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Realizzare la promessa d'eguaglianza e liberta', nell'effettiva partecipazione di tutti all'organizzazione politica, economica e sociale, non e' stata una priorita' per le forze politiche, di governo e d'opposizione, sia pure con diverse responsabilita'. Ne' i partiti sono stati, ben prima di tangentopoli, le libere associazioni dei cittadini per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, promessi dall'art. 49 della Costituzione. Tanto meno lo sono oggi. I partiti al potere [questo articolo e' precedente alle elezioni di aprile 2006 - ndr], uniti nella Casa delle impunita', hanno messo mano anche alla Costituzione stravolgendone l'impianto, limitando la partecipazione effettiva dei cittadini, vanificando il sistema di garanzie, delineando una figura di premier particolarmente inquietante in un paese che ha insegnato il fascismo al mondo. Per questo, quale che sia la pochezza dei loro oppositori, vanno sconfitti nelle elezioni e va liquidato, nel referendum costituzionale, il loro eversivo disegno. * Il potere di tutti E' un esito che si andava da tempo preparando. Aldo Capitini, libero religioso e indipendente di sinistra, fuori dalle chiese e dai partiti, vedeva, e si era all'indomani della liberazione del nostro paese, la fragilita' della costruzione democratica, il rischio di una progressiva distruzione della democrazia. Denunciava la superficialita' dell'approccio dei partiti interessati a conquistare e gestire posizioni di potere piu' che alla trasformazione, secondo liberta' e giustizia, delle istituzioni. Vedeva iniziata una strada, ai cui esiti assistiamo ora quasi impotenti, che avrebbe portato il paese in una situazione pre-fascista, con il fallimento dei partiti come strumento di rappresentanza ed intervento politico dei cittadini, il discredito delle organizzazioni sindacali, la disaffezione nei confronti degli istituti della democrazia. C'e' una lezione da imparare e diffondere: Ognuno deve imparare che ha in mano una parte di potere e sta a lui usarla bene, nel vantaggio di tutti; deve imparare che non c'e' bisogno di ammanettare nessuno, ma che cooperando o noncooperando, egli ha in mano l'arma del consenso e del dissenso. E questo potere lo ha ognuno, anche i lontani, le donne, i giovanissimi, i deboli, purche' siano coraggiosi e si muovano cercando e facendo. E Capitini non stava mai fermo, sempre a promuovere, a sollecitare, a sperimentare. Una societa' democratica che stia immobile, si corrompe e si muta: essa ha bisogno di rinnovarsi continuamente dal di dentro; la sua salute sta nel movimento, e il movimento e' impresso dal libero giuoco delle proposte riformatrici. La nostra proposta, riassunta al massimo consiste nello sviluppare e qualificare il controllo dal basso delle istituzioni rappresentative ad ogni livello, nell'aggiungere al metodo democratico il metodo nonviolento nelle lotte politiche, sociali, economiche, nel costruire luoghi che consentano ai cittadini di determinare la politica, integrando, se non radicalmente mutando o sostituendo, i partiti, che a tale compito male assolvono, nel lavorare per una nuova socialita' capace di affrontare la crisi della forme istituzionali infra e sovra statali. Non ci stancheremo di avanzarla e, per quel che ci riesce, di praticarla. 3. RIFLESSIONE. ANNA PUGLISI: LA SIGNORA PROVENZANO [Dal sito del Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" (per contatti: ia Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo,tel. 0916259789, fax 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente articolo gia' apparso sulla bella rivista "Mezzocielo" di marzo-aprile 2006. Anna Puglisi, prestigiosa studiosa e militante antimafia, e' impegnata nell'esperienza del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di cui e' una delle fondatrici. Tra le opere di Anna Puglisi: con Umberto Santino (a cura di), La mafia in casa mia, intervista a Felicia Bartolotta Impastato, La Luna, Palermo 1986; con Antonia Cascio (a cura di), Con e contro. Le donne nell'organizzazione mafiosa e nella lotta antimafia, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1988; Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990; Donne, mafia e antimafia, Centro Impastato, Palermo 1998, Di Girolamo, Trapani 2005; con Umberto Santino (a cura di), Cara Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 2005] Dopo 43 anni di latitanza e' stato arrestato Bernardo Provenzano, in un casolare a pochi chilometri da Corleone, il paese dove, dal 1992, era tornata a abitare la moglie con i figli. Secondo un copione abbastanza abusato, accanto al letto di Provenzano c'erano un rosario e una bibbia che ha voluto portare con se', assieme alle medicine, e ai poliziotti che lo arrestavano ha detto: "Non sapete quello che fate", volendosi forse paragonare a Cristo in croce, dato che il suo arresto e' avvenuto nel martedi' di Passione. Un'altra versione, piu' inquietante, della frase e': "Non sapete l'errore che state commettendo", forse intendendo dire che dopo la sua cattura e' possibile che si scateni di nuovo la violenza mafiosa. Gli inquirenti hanno detto che a portare le forze dell'ordine a scovare il capomafia sia stato un "errore" della moglie nell'invio del pacco con la biancheria pulita. Ci si chiede come mai non si sia potuto conoscere prima il luogo o uno dei luoghi in cui si e' nascosto Provenzano, seguendo l'itinerario di questi pacchi e dei famosi "pizzini". Di Provenzano, capomafia, componente la cupola, killer in anni piu' verdi e stragista, collezionista di ergastoli, regista di traffici, maestro del rapporto con le istituzioni per l'acquisizione di appalti pubblici e nel business legato alla sanita' e ai rifiuti, supposto garante da piu' di dieci anni di una pax mafiosa, si e' parlato molto. Poco si e' detto della moglie, Saveria Palazzolo, fedele compagna della sua latitanza, ma non solo. Saveria Benedetta Palazzolo proviene da una famiglia di Cinisi, legata alla mafia. Un suo fratello e' stato ucciso nella guerra di mafia dei primi anni Ottanta. Lei non si e' limitata a essere la compagna del capomafia fin da ragazza, ma ha gestito il suo patrimonio e i suoi affari. La sua attivita' ufficiale e' quella di camiciaia, ma gia' negli anni sessanta risultava proprietaria di un patrimonio valutato in centinaia di milioni: beni immobili, un feudo nelle campagne di Alcamo e partecipazioni azionarie. Come titolare delle aziende "Stella d'oriente", una societa' per la commercializzazione del pesce congelato, e "Enologica Galeazzo", e come socia di altre societa' considerate dagli inquirenti copertura per il riciclaggio di denaro sporco, nel 1990 viene condannata a tre anni e alcuni mesi (pena poi ridotta a poco piu' di due anni). Ma Saveria non ha scontato gli anni di carcere perche' dal 1983 aveva fatto perdere le sue tracce, poco prima che i carabinieri andassero ad arrestarla con l'accusa di associazione per delinquere. Nel 1992, quando ricompare a Corleone assieme ai due figli, Angelo e Paolo di sedici e nove anni, non ha piu' conti con la giustizia e come moglie di Provenzano, secondo una legge discutibile, puo' avvalersi della facolta' di non rispondere e non puo' essere inquisita e condannata per favoreggiamento. Ma con diversi provvedimenti sono stati confiscati beni ufficialmente intestati a lei, che sono stati ritenuti appartenenti al marito. A Corleone i due figli, "due ragazzi sereni e equilibrati" - secondo le parole dell'avvocato di famiglia - riprendono gli studi. Il maggiore, dopo il diploma, ottiene la licenza per aprire una lavanderia, ma nel gennaio 2002, in seguito alle proteste nate anche per una licenza data al secondo figlio di Toto' Riina, gli viene revocata l'iscrizione all'albo. Ora fa il rappresentante di aspirapolveri. Il figlio minore, laureato in lingue, quest'anno insegna italiano in una prestigiosa scuola tedesca, con una borsa di studio del ministero dell'Istruzione che lo ha scelto assieme ad altri giovani per promuovere la nostra cultura all'estero. I figli di Provenzano, quindi, hanno seguito una strada ben diversa dai figli maschi di Riina, condannati entrambi per mafia e il piu' grande anche per un duplice omicidio. Una diversa educazione impartita da Saveria Palazzolo rispetto a quella data ai suoi figli da Antonietta Bagarella? Cio' non toglie che madre e figli non abbiano ritenuto di prendere le distanze da Provenzano. Al contrario, dalle lettere che sono state trovate dimostrano di essere moglie e figli affettuosi in riverente attesa dei suoi consigli. Ancora una volta dobbiamo constatare l'unicita' dell'esempio di Peppino Impastato e di sua madre Felicia, per la rottura con il padre e con la parentela mafiosa. 4. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: LE BIBBIE DI PROVENZANO [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo commento pubblicato nel sito delle Comunita' di base italiane. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005; E, per passione, la filosofia, DG Editore, Trapani 2006. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Scovano Bernardo Provenzano e gli trovano sei o sette bibbie attorno. Forse i giornalisti confondono titoli, ma insomma: di vangeli, breviari e libri devozionali, comunque, si tratta. La coscienza del credente dovrebbe restarne turbata: o, per lo meno, interpellata. Mi hanno riferito lo slogan con cui un prete calabrese (di cui non conosco il nome) ha sintetizzato il compito delle chiese davanti alle mafie: annunciare (il vangelo), denunciare (i colpevoli), rinunciare (ai privilegi dell'omerta'). Gia' solo il primo dei tre doveri meriterebbe un'enciclopedia a parte. Perche' Provenzano puo' non avvertire alcuna contraddizione, anzi neppure frizione, fra la sua efferatezza criminale e la sua religiosita'? Diciamolo in maniera brutalmente succinta. Come ha documentato, piu' di altri, l'esegeta Giuseppe Barbaglio, il volto del Dio biblico e' duplice, un "Giano bifronte": misericordioso, paziente, pacifico; ma anche vendicativo, iroso, violento. Come recita un recente titolo del magistrato Roberto Scarpinato su "Micromega" (riprendendo suggestioni di altri), un Dio "padre" ma anche un Dio "padrino". Questa ambiguita', inevitabilmente, si risolve in sede ermeneutica. O si rimuovono i passi, le tonalita', le sfumature dell'amore libero e liberante di Dio: ed e' la strada della tradizione ecclesiastica, attenta a raccogliere ogni spunto che legittimi le gerarchie, gli ordinamenti, le sanzioni. Oppure si rimuovono i passi, le tonalita', le sfumature della sovranita' antropomorfica di Dio: ed e' la strada dei credenti che non venerano le Scritture come un feticcio, ma si ispirano ad esse come a un documento della ricerca (mai conchiusa) di un popolo in cammino. Ognuno di noi, anche inconsciamente, fa le sue scelte ermeneutiche. Provenzano ha fatto la sua. 5. TESTIMONIANZE. IRENE ALISON INTERVISTA JOSEPH WOODS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 maggio 2005. Irene Alison scrive prevalentemente di temi culturali sul quotidiano "Il manifesto". Joseph Woods, ventiquattrenne statunitense, e' stato quattro anni al fronte tra l'Afghanistan e l'Iraq, e' ora impegnato nel movimento pacifista dei veterani "Iraq veterans for peace"] Joseph e' il piu' giovane del gruppo. E quello con le idee piu' chiare. "Entrare nell'esercito e' stata una enorme sciocchezza. Ho sempre detestato le istituzioni repressive", dice alla telecamera di Ian Olds e Garrett Scott in Occupation: Dreamland, documentario in questi giorni nelle sale italiane. Otto soldati al fronte iracheno ritratti dai registi nell'inverno del 2004, durante sei settimane trascorse nella base statunitense di Falluja (la "dreamland" del titolo) nei giorni di fragile quiete che precedettero l'assalto finale americano alla citta'. Notti in branda, discorsi da caserma, polvere, paura. E otto american boys - quelli dell'82sima divisione aviotrasportata dell'esercito Usa - arruolatisi per caso, per sbaglio o per bisogno, e spediti ai confini del deserto col mitra a tracolla per "mantenere l'ordine e sopprimere la resistenza" in una guerra fatta di incursioni notturne nelle case, di domande senza risposta ("Che diavolo stiamo facendo qui? - si chiede uno di loro - Detesto dirlo, ma credo che siamo qui solo per proteggere il nostro petrolio"), di difficili rapporti con una popolazione locale stremata e assediata. Joseph Woods, ventiquattro anni di cui quattro trascorsi al fronte tra l'Iraq e l'Afghanistan, ha lasciato Falluja poco dopo le riprese di Occupation: dreamland, scegliendo di non riarruolarsi e di entrare negli Iraq veterans for peace. Da New York, dove ha ripreso gli studi, ci racconta la sua guerra. * - Irene Alison: Perche' sei entrato nell'esercito? - Joseph Woods: Il motivo principale era mettere insieme i soldi per il college. Ero molto giovane, e l'esercito mi sembrava anche il posto giusto per acquisire piu' forza e disciplina. Anche mio nonno era nell'esercito, era in Europa durante la seconda guerra mondiale e seguire le sue orme mi sembrava una buona idea. Ma la verita' e' che quando mi sono arruolato, nel 2000, non mi aspettavo quello che stava per succedere. Non avevo idea che mi sarei ritrovato nel bel mezzo di una guerra. * - Irene Alison: Gli abitanti di Falluja sostengono che la causa scatenante della battaglia siano stati i colpi sparati dai militari americani, il 28 aprile 2003, sui civili riuniti in protesta davanti alla scuola occupata dalle truppe Usa. Che responsabilita' credi abbiano avuto gli americani nell'esplosione del conflitto a Falluja? - Joseph Woods: Gli americani sono direttamente responsabili per quello che e' successo, anche se all'inizio non avevano intenzione di uccidere dei civili disarmati. Al tempo dell'incidente dell'aprile 2003, le regole erano "sparate se vi sentite minacciati". Io non ero alla scuola quel giorno, non so se i soldati che hanno aperto il fuoco si sono sentiti minacciati o se, semplicemente, hanno aperto il fuoco contro tutto quello che gli capitava a tiro. Ma, comunque siano andate le cose, il solo fatto che i soldati americani fossero la' a occupare una scuola elementare mette gli Stati Uniti dalla parte del torto. * - Irene Alison: Dal documentario appare chiaro che per voi non era possibile distinguere, nelle vostre azioni, tra civili e combattenti. Quali erano i vostri rapporti con la popolazione civile, e quanto la possibilita' di uccidere dei civili era considerata un inevitabile incidente di percorso? - Joseph Woods: Le occasioni di normale interazione con la popolazione locale non erano molte, c'era una diffidenza reciproca insuperabile. In battaglia, invece, l'uccisione o il ferimento di civili era frequente. E' quello che accade se dai armi pesanti a ragazzini di 18 o 19 anni. In guerra si prendono un sacco di decisioni sbagliate, alcuni uccidono per paura, mentre altri soldati ammazzano per vendetta, come se uccidere fosse il modo piu' ovvio di reagire alla morte di un compagno. * - Irene Alison: Al di la' degli episodi di Abu Ghraib, la tortura e' uno strumento utilizzato comunemente dai soldati americani? - Joseph Woods: La tortura e' usata frequentemente. Non ho mai visto di persona cose gravi come quelle di Abu Ghraib. Ma, sia in Iraq che in Afghanistan, i superiori ci ordinavano di impedire ai prigionieri di dormire. Spesso, nelle rotazioni dei turni di guardia, i soldati rimanevano soli con i prigionieri, senza nessuna supervisione. Molti di loro perdevano il controllo ed erano liberi di fare quello che volevano. Io stesso non posso ritenermi innocente. Ho fatto cose ai prigionieri di cui mi pento. Non abusi fisici, ma insulti, intimidazioni verbali. Allora li vedevo come "nemici", come "cattivi ragazzi". Credevo che , visto che erano detenuti dall'Fbi o dalle forze speciali americane, dovevano essere "cattivi". Solo dopo mi sono reso conto che probabilmente erano degli innocenti che si erano trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato. * - Irene Alison: Nel documentario assistiamo al "lavaggio del cervello" fatto dai superiori ai soldati il cui periodo di ferma sta per scadere affinche' restino nell'esercito. Vengono usati spesso questi mezzi di persuasione intimidatori? - Joseph Woods: Tutta la mia esperienza nell'esercito e' stata un lavaggio del cervello. Sotto le armi ci sono due tipi di persone. Quelli che hanno subito il lavaggio del cervello e quelli che non lo hanno subito, e si capisce al primo sguardo chi appartiene a una categoria e chi all'altra. Io ho sempre cercato di fare bene il mio lavoro, ma non credo di essere mai stato considerato un "soldato ideale". Protestavo molto e non mi sono mai completamente uniformato alle regole, e questo i miei superiori me l'hanno fatto pesare. Poi, dal momento in cui capiscono che hai deciso di non riarruolarti, cominciano a trattarti diversamente, diventi un traditore. 6. DOCUMENTI. ARCI: UN APPELLO A VOTARE "NO" AL REFERENDUM [Dal notiziario settimanale dell'Accademia apuana della pace (per contatti: e-mail: aadp at lillinet.org, sito: www.aadp.it) riprendiamo il seguente documento dell'Arci, la piu' partecipata associazione ricreativa e culturale italiana] Il 25 e 26 giugno saremo chiamati alle urne per il referendum confermativo delle modifiche costituzionali approvate dal Parlamento nella scorsa legislatura. L'Arci invita i cittadini a votare "no" per bocciare una riforma indecente che la destra ha voluto imporre a colpi di maggioranza, senza cercare il consenso piu' ampio che la rilevanza della materia avrebbe richiesto. Quella riforma stravolge i principi della Costituzione repubblicana e gli equilibri della nostra democrazia, mette in discussione l'efficienza delle istituzioni e i valori di fondo della convivenza nazionale. Stravolge il sistema istituzionale fondato sulla rappresentanza parlamentare trasformandolo nel governo personale di un premier eletto direttamente dal popolo, che puo' chiedere lo scioglimento delle camere, nominare e revocare ministri senza sottoporsi alla fiducia del Parlamento: un primo ministro con poteri paragonabili addirittura a quelli di Mussolini nel 1925. Quella riforma riduce la consistenza numerica e le competenze del Parlamento, indebolisce il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale, aumenta il controllo politico sulla magistratura. Tutto cio' avvalora una concezione plebiscitaria della democrazia, in cui i cittadini sono solo spettatori delle decisioni assunte e la sovranita' popolare si esaurisce nell'esercizio del voto che ogni cinque anni conferisce ad una sola persona il mandato irrevocabile a governare, una delega in bianco svincolata da ogni controllo. Quella riforma rappresenta lo sfascio dell'unita' del paese: lasciando alle Regioni competenze esclusive su materie essenziali, come la scuola e la sanita', frantuma l'unita' dei grandi sistemi nazionali, rinnega il principio dell'universalita' dei diritti e aggrava le disparita' fra le varie parti del Paese, e penalizza ulteriormente il Sud. Quella riforma colpisce a morte la coesione della comunita' nazionale proponendo una societa' che antepone gli interessi individuali al bene comune. Rappresenta la demolizione di un sistema paese gia' indebolito dalla messa in discussione dei diritti del lavoro, dell'istruzione pubblica, del pluralismo dell'informazione, dell'autonomia della magistratura, dell'equita' fiscale, del principio del ripudio della guerra. La nostra Costituzione e' frutto del patto che uni' le forze migliori del paese all'indomani della tragedia della guerra, ha contribuito a formare l'identita' del Paese, lo ha guidato nei momenti difficili, ha coltivato una democrazia caratterizzata dal pluralismo, dalla ricchezza della rappresentanza sociale, della partecipazione popolare, dalla cultura diffusa del bene pubblico. E' un patrimonio che dobbiamo difendere gelosamente. Deve essere - per tutti - la base indiscutibile da cui partire per stringere un nuovo patto di cittadinanza che sappia guardare alle modificazioni dell'oggi ed affrontare le sfide del futuro. 7. LETTURE. AA. VV.: SCELGO LA COSTITUZIONE AA. VV., Scelgo la Costituzione. No alla controriforma, Mrc, Roma 2006, pp. 192, euro 4,50 (in supplemento ai quotidiani "Il manifesto" e "Liberazione"). A cura di Maurizio Oliviero e Franco Russo, una raccolta di interventi sulla Costituzione, sul golpe berlusconiano, sul referendum del 25-26 giugno, con contributi di Gianni Ferrara, Alfonso Di Giovine, Mauro Volpi, Francesco Bilancia, Alessandra Valastro, Claudio De Fiores, Laura Ronchetti, Paola Marsocci, Elisa Olivito, Gaetano Azzariti e dei curatori. In appendice un commento di Stefano Villamena alle modifiche apportate alla Costituzione dal 1948 al 2005, e un confronto sinottico tra la Costituzione della Repubblica Italiana e la "riforma" golpista berlusconiana. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1317 del 5 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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