La domenica della nonviolenza. 76



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 76 del 4 giugno 2006

In questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Una riflessione sulla Costituzione
2. Gianni Ferrara: Rispondiamo tre volte no
3. Raniero La Valle: La Costituzione aggredita
4. Peppe Sini: Tre ragioni
5. Ida Dominijanni intervista Mario Tronti su Costituzione e referendum
6. Gaetano Azzariti: Un appuntamento cruciale

1. REFERENDUM. MARIA G. DI RIENZO: UNA RIFLESSIONE SULLA COSTITUZIONE
[Dal notiziario settimanale dell'Accademia apuana della pace (per contatti:
e-mail: aadp at lillinet.org, sito: www.aadp.it) riprendiamo il seguente
intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di
Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti,
Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza
velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli
2005]

La nostra Costituzione l'ho conosciuta davvero solo a scuola, al primo anno
delle superiori: la Carta era infatti in appendice ad uno dei libri di testo
(si stamperanno ancora testi cosi'?). Non avevo, all'epoca, molti motivi per
provare un legame vero con la terra in cui ero nata, e fu la  Costituzione a
darmeli. Leggevo quegli articoli e mi commuovevo, e mi indignavo per la loro
violazione, e approvavo e dissentivo, e percepivo pero' che la Costituzione
era stata davvero pensata come "casa comune", come garanzia delle liberta'
democratiche e patto di civilta' che doveva  permettere al popolo italiano
di vivere e fiorire.
In quel periodo leggevo anche altro, naturalmente, e mi imbattei nei
cosiddetti anti-utopisti (Orwell, Huxley, ecc.) e nei loro foschi mondi del
futuro. Fu anche grazie ad essi che imparai come il dominio non si mostri
sempre nella sua forma eclatante, immediatamente riconoscibile, con il
sangue e gli eserciti, ma strisci nell'esistenza quotidiana, pieghi le
persone a mille piccole vilta', le deprivi di empatia e di senso, le
terrorizzi e le blandisca: il cannone sottobraccio alla tv, per cosi' dire.
*
La riforma costituzionale su cui siamo chiamati ad esprimerci con il
referendum mira sostanzialmente a ribadire un concetto semplicissimo e
orripilante: il dominio deve sostituire il diritto. Essa modifica oltre un
terzo dei 139 articoli della Carta e va oltre le semplici "revisioni"
previste dall'art. 138; pur relativa formalmente alla sola Parte Seconda,
incide sostanzialmente anche sui Principi Fondamentali.
*
Il sistema di  bilanciamento e controllo, pensato in modo che nessuno
potesse occupare da solo la scena politica, viene distrutto dalla
concentrazione di poteri nella figura del "Primo Ministro", non piu'
"Presidente del Consiglio dei Ministri"; la locuzione usata e' quella
introdotta dal fascismo con la legge  2263/1925, e non a caso la Costituente
non la utilizzo'.
Costui, "eletto a suffragio universale e diretto dal popolo" (cosa che non
accade in nessuna democrazia occidentale) non necessita della fiducia della
Camera, e puo' scioglierla (attribuzione tolta al Presidente della
Repubblica cui compete attualmente) mentre essa non puo' sfiduciare il Primo
Ministro senza determinare con la sfiducia il proprio scioglimento. Poiche'
vi si accoppia l'ampliamento della nomina diretta da parte della maggioranza
di membri della Corte Costituzionale e la possibilita' di  nominare al
Consiglio Superiore della Magistratura persone senza alcuna competenza
giuridica, la pretesa palese della riforma e' che la maggioranza  politica
si sottragga ad ogni controllo da parte del Parlamento, della Corte
Costituzionale e della Magistratura.
*
"Ho vinto, e cio' legittima qualsiasi mia azione: ho vinto e faccio quel che
voglio". La traduzione locale nella regione in cui vivo e' "Padroni a casa
nostra". Niente regole per nessuno, niente rispetto per chiunque venga
classificato come "altro" e "straniero", niente diritti a meno di non
poterseli comperare.
I polsi mi tremano, all'idea che il sistema cosiddetto "federale" disegnato
dalla riforma divenga realta'. Non solo perche' esso porta ad un drastico
ridimensionamento di alcuni fondamentali diritti umani, come quello
all'istruzione e alla salute, differenziando i cittadini in base alla
residenza in aperta violazione della "pari dignita'" sancita nell'articolo
3, (l'eguaglianza di tutti i cittadini italiani), e non solo perche' con la
scomparsa del Fondo di Solidarieta' la diseguaglianza fra Regioni piu'
ricche e meno ricche diventera' devastante: trovo gravissima l'istituzione
di un nuovo corpo di Polizia su base regionale, per lo piu' non essendone
chiara l'effettiva funzione.
Nella mia regione ho gia' avuto modo di vedere all'opera le ronde di
vigilantes legittimati dai governi locali, quelli che io chiamo gli
"scherani del principe": persone senza alcuna professionalita' nel campo
della sicurezza e motivate solo da odio, disprezzo e pregiudizi.
Nell'immaginario sociale, costoro hanno gettato le basi per l'applicazione
di una "giustizia" privata e sommaria: non mi riesce difficile proiettarli
nel futuro, e pensarli mentre sfondano una porta e portano via i miei
vicini di colore, e neppure e' arduo individuare quale sara' la porta
successiva ad essere sfondata (la mia, la vostra, se solo avrete
protestato).
*
Si', sara' perche' leggo e scrivo troppa fantascienza, ma per una  volta
spero davvero di spaventare e non di intrattenere chi scorre queste righe;
non ci si sveglia nazisti per caso una mattina, il consenso ai regimi non si
manifesta nel giro di una notte: esso viene costruito passo  dopo passo, con
l'imposizione e l'intimidazione, con il bastone accoppiato alla carota, con
l'immissione progressiva nel corpo sociale di bugie  ripetute un milione di
volte, con le "riforme" in senso involutivo. Pensateci.
Ho fiducia che il referendum rigettera' la "devolution" e i suoi figlioletti
satanici. Ho speranza che la musica cambi. Ma bisogna che tutti si entri
nell'orchestra, e si faccia uno sforzo per suonare insieme.

2. REFERENDUM. GIANNI FERRARA: RISPONDIAMO TRE VOLTE NO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 giugno 2006. Gianni Ferrara e' uno dei
piu' noti costituzionalisti italiani, ordinario di Diritto costituzionale
all'Universita' "La Sapienza" di Roma, gia' parlamentare, collabora a
importanti riviste giuridiche ed e' autore di molti volumi tra cui La
democrazia alla fine del secolo. Diritti, eguaglianza, nazione, Europa,
Laterza Roma-Bari 1995; Gli atti costituzionali, Giappichelli, Torino 2000]

Sembra che i partiti dell'Unione si siano decisi a combattere la battaglia
per il "no" al referendum sulla controriforma costituzionale. Era tempo.
*
Devolution, nel suo significato politico-istituzionale, equivale a
trasmissione, trasferimento del potere. Il termine e' stato scelto da Bossi
in vena di esterofilia, un po' sospetta per un padano, per sottolineare
l'attribuzione alle Regioni, in via esclusiva - cioe' senza possibilita' che
leggi della Repubblica possano interferire - di alcune importanti materie
come l'assistenza e l'organizzazione sanitaria, l'organizzazione scolastica,
la gestione degli istituti scolastici e la polizia amministrativa.
Attribuzione che, accoppiata al cosiddetto federalismo fiscale e
combinandosi con le valenze funzionali del "Senato federale", verrebbe a
violare due principi fondamentali e percie' inviolabili della Costituzione
ma violati dalla "riforma" berlusconiana. Spezzerebbe la solidarieta'
politica, economica e sociale tra gli italiani proclamata dall'articolo 2
della Costituzione e svuoterebbe l'unita' ed indivisibilita' della
Repubblica sancita all'articolo 5 della Costituzione. Realizzerebbe, tout
court, il federalismo per le Regioni agiate, per poi realizzare quello per
le classi agiate.
*
Devolution, come si diceva, significa trasmissione, trasferimento del
potere. Da due secoli e piu', da quando il costituzionalismo e' entrato
nella storia degli Stati, il potere puo' essere trasferito ad una sola
condizione, inderogabile per la civilta' politica e giuridica. Una
condizione preclusiva: e' impediente che si trasferisca un potere non
diviso, non limitato, non condizionato.
Violando ogni principio di civilta' politica e giuridica, la legge
sottoposta a referendum trasmette si' un potere, ma lo raccoglie, lo
compatta, lo incrementa. Lo trasferisce tutto intero al Primo Ministro.
Questo nome non e' nuovo nella storia statale italiana. Fu introdotto con la
legge 24 dicembre 1925, n. 2263, che sostitui' la figura del Presidente con
quella di Capo del Governo, Primo Ministro. Non si volle aggiungere a questa
denominazione, nel 1925, quella di "duce del fascismo". La si aggiunse dopo.
Basterebbe questo precedente per ripudiare il cosiddetto "premierato" che
nulla ha a che fare, come e' evidente, con la forma parlamentare vigente in
Inghilterra.
E non e' bastato: subordinandogli, per legge costituzionale, i deputati, gli
si e' conferita anche la funzione legislativa. Mettendo nelle sue mani, al
suo arbitrio, al suo capriccio, al suo interesse i diritti, tutti i diritti
delle donne e degli uomini di questo Paese.
*
Con una conseguenza aberrante ulteriore: dovendo la funzione giudiziaria
essere sottoposta alla legge, potrebbe rientrare nell'ambito del potere del
Primo ministro anche la determinazione della funzione giudiziaria, il
contenuto delle sentenze.
In aggiunta, i poteri di garanzia del Presidente della Repubblica vengono
compressi, e su quelli della Corte costituzionale, quanto a nomina dei suoi
componenti, peserebbe il potere di direzione del Primo ministro sui
deputati, e la deriva localistica su quelli di nomina del Senato cosiddetto
federale.
*
Questa e' la devolution.
I "saggi" di Lorenzago e la maggioranza berlusconiana della XIV Legislatura
hanno provato a trasferire il significato di devolution dalla biologia (ove
significa degradazione, degenerazione, involuzione) alla politica, al
diritto costituzionale, alla democrazia.
Dobbiamo impedirglielo. Rispondendo tre volte no, per salvare la Repubblica,
la democrazia, i diritti, tutti i diritti di tutte e di tutti.

3. REFERENDUM. RANIERO LA VALLE: LA COSTITUZIONE AGGREDITA
[Dal sito dell'Accademia apuana della pace (www.aadp.it) riprendiamo il
seguente intervento. Raniero La Valle (per contatti:
raniero.lavalle at tiscali.it) e' nato a Roma nel 1931, prestigioso
intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia",
direttore di "Vasti - scuola di critica delle antropologie", presidente del
Comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle
figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla
parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano
1978; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano
1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della
Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte
alle grazie, Milano 2003]

Cio' che fu stabilito dall'Assemblea Costituente nel 1947 e' oggi rimesso in
questione. Allora confluirono in quella decisione le tre grandi culture del
Paese, quella cattolica democratica, quella comunista e socialista allora
strettamente unite, e quella laico-liberale; ma l'incontro e la sintesi di
quelle tre culture fu talmente felice che non un pezzo della Costituzione
per ciascuna, ma l'intera Costituzione e' risultata perfettamente coerente a
ciascuna delle tre ispirazioni. Come fu possibile questo incontro?
Esso e' avvenuto per due ragioni: la prima e' quella piu' volte richiamata
da quel grande costituente che fu Giuseppe Dossetti. Le Costituzioni non si
fanno a tavolino. Esse sono il frutto di una grande vicenda storica, di un
momento straordinario della vita di un Paese. Per noi era l'uscita dalla
guerra, l'uscita dal fascismo, un'esperienza di sofferenze e di dolori,
sicche' c'era la volonta' condivisa di voltare pagina, di dare origine a una
convivenza nuova. E la seconda ragione e' che se quelle tre culture erano
diverse quasi in tutto, tuttavia avevano tre grandi convinzioni comuni.
*
La prima era l'antifascismo. Tutti avevano visto che cosa avesse voluto dire
la soppressione del Parlamento, la sua sostituzione con la Camera dei fasci
e delle corporazioni, e quindi tutti avevano l'ansia di ricostituire un
Parlamento, di ricostruire una democrazia parlamentare, la cui perdita aveva
significato la perdita della liberta' e dei diritti.
La seconda caratteristica comune era il pacifismo. Giustamente nell'articolo
11 della Costituzione si dice "l'Italia ripudia la guerra": non lo Stato,
non l'ordinamento, non il governo, non i partiti, ma l'Italia. Proprio
perche' si usciva da quella esperienza tragica che era stata la seconda
guerra mondiale c'era la comune convinzione che si dovesse veramente andare
a un sistema in cui la guerra fosse bandita. Infatti nell'art. 11 non c'e'
solo il ripudio della guerra, c'e' una volonta' positiva, e perfino la
disponibilita' "a limitazioni di sovranita' necessarie a un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni".
E la terza cosa e' che tutti erano proporzionalisti. La liberazione dal
nazifascismo in tutta l'Europa era stata la liberazione da un monismo, da un
potere unico, oppressivo, una sola cultura, un solo pensiero, un solo capo,
un solo esercito, una sola svastica; si trattava dunque, al posto di questo,
di permettere la fioritura delle differenze, e quindi favorire delle
rappresentanze che rispecchiassero abbastanza fedelmente la diversita' delle
posizioni nel Paese.
*
Tutto cio' fu possibile perche', prima che in Italia, una grande svolta era
avvenuta sul piano mondiale.
Uscendo dall'esperienza della distruzione bellica e degli stermini, le
Nazioni che unite avevano combattuto l'Asse di Germania, Italia e Giappone,
si erano incontrate nel 1945 a San Francisco per fondare l'Onu e aprire una
nuova stagione della storia umana. E la' operarono tre cambiamenti
fondamentali rispetto a quello che si era fatto e pensato fino ad allora.
Il potere sovrano degli Stati, che si era posto come un potere assoluto, fu
vincolato alla regola del diritto e alle rinunzie necessarie per costruire
un sistema mondiale di sicurezza e di pace, la guerra che era stata
l'architrave delle relazioni internazionali per secoli, fu dichiarata un
flagello da cui liberare le generazioni future e fu messa fuori dal diritto;
le filosofie e le dottrine politiche che dalla citta' antica di liberi e
servi, attraverso una lunga storia di discriminazione delle donne, degli
indios, dei neri, fino all'aberrazione ariana del nazismo, avevano fondato
la societa' sulla ineguaglianza per natura degli esseri umani, furono
rigettate e sostituite da un'antropologia della pari dignita' umana e dalla
"fede nell'eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle
nazioni grandi e piccole".
Su queste basi si costruirono sia la Carta dell'Onu che le Costituzioni
postbelliche: questo e' il significato piu' profondo del dato storico per
cui la Costituzione e la Repubblica sono nate dalla Resistenza.
*
Se la Costituzione e' di tutti, i cristiani hanno delle particolari ragioni
per rivendicarne i contenuti e difenderla. Non solo perche' vi concorsero
nel sacrificio che la precedette e nella elaborazione che ne fisso' i
principi e le norme nell'Assemblea Costituente, ma perche' il patrimonio che
vi e' rappresentato evoca i piu' alti valori della vita cristiana: dal
fondamento del lavoro su cui e' stabilita la Repubblica alla centralita'
della parola che si esprime nel Parlamento, dal primato della pace alla
conversione dei poteri in "funzioni" e servizi per il bene comune, dalla
pacificazione con la Chiesa cattolica alla laicita' e alla liberta'
religiosa. Nell'enciclica "Pacem in terris" di Giovanni XXIII la
Costituzione, come carta dei diritti e regola dei rapporti tra cittadini e
poteri pubblici fu celebrata come un "segno dei tempi", cioe' come una delle
conquiste storiche in cui costruzione umana e ordine voluto da Dio si
parlano e si incontrano.
Percio' i cristiani sono chiamati in causa oggi che la Costituzione, come
recita il titolo di un libro di Leopoldo Elia, e' "aggredita".
*
Vero e' che tale aggressione viene negata, perche' quella che viene rimossa
e sostituita dal testo di Calderoli e degli altri quadrumviri riunitisi a
Lorenzago e' solo la seconda parte della Costituzione, e quindi sarebbero
fatti salvi i principi e i diritti fondamentali della prima.
Ma le due parti della Costituzione sono speculari e necessarie l'una
all'altra. Racconta il costituzionalista Enzo Cheli che nel 1946, quando si
trattava di concepire il disegno della Carta costituzionale, in un incontro
informale col presidente Ruini cui parteciparono gli on. Dossetti, Cevolotto
e Moro, Aldo Moro propose per la prima parte una struttura a piramide
rovesciata, avente al primo posto i diritti e i doveri del cittadino nella
sua individualita', e poi via via del cittadino in rapporto alla famiglia e
alla scuola, quindi in rapporto alla sfera economica e infine in rapporto a
quella piu' ampia del mondo politico; e il presidente Ruini, accogliendo
quello schema, aggiunse che allora la seconda parte doveva cominciare col
Parlamento, in corrispondenza al primo articolo proclamante la sovranita'
popolare, e poi svilupparsi nella definizione degli altri istituti in cui
coerentemente doveva concretarsi l'organizzazione statale unitaria della
societa'. E cosi' si fece, in tal modo che la seconda parte risulto'
attuazione, strumento e garanzia della prima.
Ora nella riforma promossa dalla Lega e varata da tutta la destra sotto il
nome riduttivo e fuorviante di "devolution", questo rapporto viene rotto. Il
Parlamento e' travolto, la vita della Camera e' condizionata a quella del
governo, la rappresentanza popolare e' smembrata in una maggioranza dotata
di tutti i poteri e una minoranza senza diritti, i cui voti nemmeno
verrebbero contati nelle votazioni di "sfiducia costruttiva", l'unita'
nazionale che comporta pari opportunita' per tutte le regioni e' compromessa
e gli istituti di garanzia sono snaturati e mortificati. In particolare il
Presidente della Repubblica non avrebbe neanche il potere di salvare la
Camera dallo scioglimento che il Primo Ministro potrebbe decretare in ogni
momento mandando a casa i deputati a suo piacimento; verrebbe istituita la
figura sovrana e incondizionata del capo del governo, vero padrone
"determinante" della politica nazionale e del Paese intero. L'identita'
dell'Italia e il suo ruolo nel mondo sarebbero decisi da una persona sola, e
il popolo non potrebbe influirvi facendo valere le sue radici, la sua
civilta' e la sua cultura.
*
La cosa e' tanto piu' grave perche' dietro questo attacco alla Costituzione
si cela un attacco al costituzionalismo come tale. Oggi esso e' sotto scacco
in tutto il mondo, perche' non e' compatibile con la competizione selvaggia
e la guerra perpetua. Di nuovo questione italiana e questione internazionale
si toccano.
Questa e' la grande posta in gioco del 25 giugno, che investe tutti i
cittadini; ma, io credo, i "cristiani per la Costituzione" per primi.

4. REFERENDUM. PEPPE SINI: TRE RAGIONI
[Dal notiziario settimanale dell'Accademia apuana della pace (per contatti:
e-mail: aadp at lillinet.org, sito: www.aadp.it) riprendiamo il seguente
intervento]

Almeno tre ragioni mi sembra vi siano per respingere la cosiddetta riforma
costituzionale che il governo del principe golpista e la maggioranza
parlamentare eversiva e clientelare ad esso prona approvarono mesi or sono e
che tra qualche settimana sara' oggetto di consultazione referendaria.
*
La prima: le modifiche della parte seconda della Costituzione della
Repubblica Italiana introdotte dal principe golpista distruggono la
Costituzione nei suoi fondamenti, riverberando altresi' i loro effetti sulla
parte prima e fin sui principi fondamentali che della Costituzione
costituiscono i valori supremi modificando i quali il nostro ordinamento
giuridico decade ad altra, innominabile indecente cosa.
Frantumare l'accesso ai diritti e delegare funzioni e responsabilita'
decisive per l'inveramento dell'uguaglianza tra tutte le persone, in modo
tale che il principio di cittadinanza coessenziale all'istituto statuale ne
resta vulnerato e quasi schiantato: questa e' la cosiddetta "devolution".
Rompere la circolarita' dei poteri e dei controlli, attribuendo al
presidente del consiglio dei ministri un potere di tipo monarchico,
significa radicalmente annichilire il principio della separazione dei poteri
che e' alla base dalla riflessione e dell'esperienza politica e giuridica
cui e' legata non solo la democrazia parlamentare, ma la civilta' umana
dell'eta' moderna stessa. E questa e' la farneticazione e il crimine del
"premierato forte".
Improvvisare una delirante proliferazione di distinguo nell'ambito del
potere legislativo spezzettato e caleidoscopizzato, introducendo un
labirinto di conflitti di competenze, provocando ad un tempo autoritarismo e
anomia: questa e' la conseguenza della demolizione del bicameralismo attuale
e la sua sostituzione con un'orgia di affatturazioni.
E si potrebbe continuare.
*
La seconda: la Costituzione del 1948 e' frutto di una vicenda storica che
rimonta al primo e al secondo Risorgimento, e del confronto alto e della
convergenza profonda della maggiori tradizioni della cultura politica
contemporanea.
Non solo: nasceva dall'orrore della seconda guerra mondiale e dalla volonta'
di far cessare tutte le guerre; nasceva dalla liberazione d'Italia dal
barbaro dominio fascista; nasceva da un rinnovato sentimento di solidarieta'
e di affermazione dei diritti e dei doveri inerenti allo statuto di esere
umano.
Infine: si collocava in quel comune sentire che va dalla Carta delle Nazioni
Unite - fondata sul ripudio del "flagello della guerra" - alla Dichiarazione
universale dei diritti umani, che la Costituzione italiana esplicitamente
anticipava.
Quella Costituzione, la nostra Costituzione, non e' solo descrizione e
riconoscimento giuridico di valori e diritti, non e' solo definizione di un
ordinamento giuridico, ma e' anche progetto trasformativo, impegno
costruttivo, messaggio di liberazione, scelta di responsabilita': fondamento
di una democrazia progressiva. Prova ne e' il fatto che l'adeguamento ad
essa della legislazione penale e' stato un lungo processo tuttora in fieri.
Quella Costituzione, la nostra Costituzione, e' presidio delle nostre
liberta', rinunciare ad essa significherebbe arrendersi alla barbarie.
*
La terza: quali modelli giuridici, quali modelli culturali, quali modelli di
societa' si confrontano e si scontrano in questo referendum?
La "riforma" golpista berlusconiana e' coerente con una idea di societa'
fondata sul pieno dispiegarsi della violenza del piu' forte.
La difesa della Costituzione della repubblica italiana democratica ed
antifascista si fonda sulla volonta' di difendere un'idea di societa' e di
umanita' cosi' come definita dai primi undici articoli della Carta: una
societa' in cui si riconoscano tutti i diritti umani a tutti gli esseri
umani.
*
In conclusione: il referendum costituzionale che avra' luogo tra poche
settimane costituisce un appuntamento decisivo. La sua valenza
istituzionale, giuridica e politica e' enorme.
Tutto lascerebbe supporre che se la generalita' dei cittadini votassero con
piena cognizione di causa non vi dovrebbe essere dubbio sull'esito: la
Costituzione del 1948 verrebbe confermata, il golpe berlusconiano verrebbe
respinto, i "no" al colpo di stato prevarrebbero di gran lunga.
Ma non possiamo escludere che il dispiegarsi - nei giorni immediatamente
precedenti il voto - di una campagna mediatica dotata della potenza
dirompente che puo' esser messa in campo dall'apparato ideologico e
propagandistico del principe golpista potrebbe sedurre e traviare, ingannare
e truffare moltissime persone, e indurle a votare per la propria schiavitu'
anziche' per la propria liberta'.
Ancora una volta, vi e' un solo modo per contrastare la menzogna e la
prepotenza, l'inganno e l'oppressione: ed e' di favorire la massima
informazione, discussione, partecipazione.
Valgono ancora e sempre le immortali parole dell'antico poeta: piu' luce.

5. REFERENDUM. IDA DOMINIJANNI INTERVISTA MARIO TRONTI SU COSTITUZIONE E
REFERENDUM
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo giugno 2006.
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di
liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania
Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005.
Mario Tronti (Roma, 1931), teorico e militante della sinistra italiana,
docente universitario di filosofia, partecipe di rilevanti esperienze di
riflessione e di impegno. Tra le opere di Mario Tronti: Operai e capitale,
Einaudi, Torino 1971; Sull'autonomia del politico, Feltrinelli, Milano 1977;
Il tempo della politica, Editori Riuniti, Roma 1980; Con le spalle al
futuro, Editori Riuniti, Roma 1992; La politica al tramonto, Einaudi, Torino
1998]

Espletato, salvo ballottaggi, il secondo appuntamento elettorale della
stagione si passa al terzo. Quello piu' importante, il referendum sulla
controriforma costituzionale della cosiddetta Casa delle liberta'. Il
centrosinistra dice "no", ma e' un "no" gravato da troppi non detti sul dopo
referendum, e da troppi equivoci sul rapporto fra innovazione e
conservazione e fra revisione e rilancio della Costituzione. Ne parliamo con
Mario Tronti, che oggi a Roma introduce, insieme con Gustavo Zagrebelsky,
l'assemblea annuale del Crs dedicata a "Repubblica e Costituzione".
*
Ida Dominijanni: Un titolo meno ovvio di quanto possa sembrare. Che
significa?
- Mario Tronti: Significa che in Italia la Repubblica e la Costituzione
nascono assieme e assieme si tengono. Questa doppia nascita e' un evento
politico, che chiude un'epoca e ne apre un'altra. Non c'e' forma
repubblicana senza la Carta del '48: la Costituzione definisce la forma fin
allora approssimativa dello Stato italiano e, come si disse in assemblea
costituente, "da' il volto" alla Repubblica. Un volto unitario, come
dimostra la struttura compatta della Carta, che non e' scindibile fra prima
e seconda parte, fra principi e ordinamento. I primi 12 articoli, il
cosiddetto Preambolo, definiscono i caratteri fondativi del nuovo Stato, che
il seguito del testo sviluppa in norme rigide e vincolanti. Stato
repubblicano, Stato democratico-parlamentare, Stato sociale, Stato laico,
Repubblica una e indivisibile, Stato regionale: ognuna di queste
definizioni, che sono delle vere e proprie decisioni politiche, si ritrovano
nei principi fondamentali, e tutto il resto - diritti e doveri,
ordinamento - ne consegue.
Questa compattezza formale esprime una unita' di intenti fra le componenti
popolari della societa' italiana, democristiani socialisti e comunisti, che
fu propria di quel momento magico della storia italiana, quando era in gioco
non l'attivita' di governo ma l'interesse dello Stato. Andreotti ha
ricordato di recente come anche dopo la dura rottura politica provocata
dalla cacciata dal governo di socialisti e comunisti nel '47, nella
Costituente si continuasse a lavorare in un costruttivo spirito di
collaborazione. Quella classe politica sapeva ancora distinguere fra livello
politico e livello storico dei problemi. Quella di oggi no.
*
Ida Dominijanni: Quel momento magico tuttavia duro' poco. E la storia della
Costituzione ne ha risentito.
- Mario Tronti: Non appena quel clima politico cambia, negli anni Cinquanta,
l'attuazione della Costituzione si blocca. Riparte negli anni Sessanta,
quando fra societa' e politica si rimette in moto un circolo virtuoso. E
torna a bloccarsi negli anni Ottanta, quando questo circolo si spezza e
l'asse del discorso si sposta dalla rappresentanza alla governabilita'. Non
e' un caso che l'onda del revisionismo costituzionale parta, con Craxi,
proprio sul tema della governabilita': la Costituzione viene attaccata nei
punti cardinali di una concezione dello Stato che guarda alla materia della
societa', e di un'idea della politica attenta ai bisogni del sociale.
*
Ida Dominijanni: Negli anni '90 pero' le cose si complicano: resta l'enfasi
sulla governabilita', ma il revisionismo costituzionale si nutre anche di
rotture piu' profonde. La destra che emerge nel '94 dalle macerie del
vecchio sistema politico e' fatta di tre culture politiche - quella di An,
della Lega e di Forza Italia - rispettivamente extra, anti e
post-costituzionali, che esprimono pezzi di societa' estranei al patto del
'48 e alle sue forme. A quel punto forse non c'era piu' solo revisionismo ma
anche crisi costituzionale.
- Mario Tronti: A quel punto c'era crisi delle culture fondative della
Costituzione. Una crisi certificata ma senza rinnovamento, un vuoto senza
eredita' in cui l'antipolitica berlusconiana ha potuto dilagare, e la
concezione della democrazia rappresentativa ribaltarsi in democrazia
immediata, o mass-mediatica.
*
Ida Dominijanni: D'accordo, ma non c'era anche qualcosa di piu' strutturale?
L'impresa post-fordista di Berlusconi, ad esempio, non esprimeva anche una
trasformazione sociale che non si lascia piu' ordinare nella formula
costituzionale della "Repubblica fondata sul lavoro"?
- Mario Tronti: Al contrario: bisognava reinterpretare quel fondamento sulla
base della trasformazione sociale, trapiantarlo dalla societa' fordista alla
societa' postfordista. Che il lavoro sia cambiato non significa che abbia
perso centralita', anzi: in tempi di precarizzazione, la tutela del diritto
al lavoro andrebbe rilanciata e rafforzata. Con, non contro il dettato
costituzionale.
*
Ida Dominijanni: E' un buon esempio del confine sottile che passa fra un
cattivo revisionismo e un giusto rilancio della Costituzione. Alternativa a
mio avviso piu' corretta di quella fra conservatorismo e innovazione che
occupa da anni il dibattito pubblico.
- Mario Tronti: La spinta alla riforma costituzionale finora non e' stata
una spinta innovativa bensi' restaurativa. Volta a chiudere il circuito fra
societa' e politica che nella Costituzione e' aperto, e improntata a un
cattivo realismo politico che consiste nell'adattarsi al trend del momento
quale che sia - laddove realismo politico significa anche contrastare il
trend del momento con le rigidita' che per l'appunto una Costituzione
stabilisce. Altra cosa sarebbe un rilancio della Carta a partire dalle
trasformazioni reali della societa' nonche' dell'antropologia contemporanea.
La condizione della differenza umana posta dal femminismo a partire dagli
anni '70, ad esempio, nel testo del '48 ovviamente non c'e', ma oggi
andrebbe registrata.
*
Ida Dominijanni: Il fatto e' che i riformatori non guardano mai il cono
della trasformazione dalla base della societa', ma sempre e solo dall'alto
dei poteri. L'ossessione e' solo quella, ridefinire l'assetto dei poteri.
- Mario Tronti: Soprattutto, verticalizzare l'assetto dei poteri
stravolgendo la forma di governo. Mentre semmai alcuni interventi necessari
riguardano il bicameralismo e la forma di Stato. E comunque l'ordinamento
nazionale va ricollocato in un quadro almeno continentale. Il processo
costituzionale europeo adesso e' interrotto ma riprendera'. E va a sua volta
ripensato rispetto a come si e' svolto finora.
*
Ida Dominijanni: Ammettiamo che il referendum riesca a bloccare la
controriforma costituzionale della Cdl: gia' si dice anche da parte del
centrosinistra che poi bisognera' riaprire il processo riformatore. Ma come?
Secondo l'articolo 138 del testo costituzionale, la revisione della
Costituzione si fa in parlamento e su questioni puntuali. Alle spalle
abbiamo invece tre commissioni bicamerali che hanno tentato senza riuscirci
una revisione complessiva a lato del parlamento, e due riforme - quella del
centrosinistra sul titolo V e questa della Cdl - fatte in parlamento ma a
maggioranza, senza una adeguata base di consenso. Come procedere dopo il
referendum? E perche' dovremmo fidarci di un ceto politico che finora ha
messo mano alla Costituzione strumentalmente, piu' per risolvere i problemi
dell'assetto politico che per piu' nobili ragioni?
- Mario Tronti: Bisogna dire basta a questo procedimento congiunturale di
revisione, a questo "smanettamento" continuo o continuamente annunciato
della Costituzione. La Costituzione non e' una legge ordinaria, e' una legge
superiore e come tale va trattata. Non vorrei vedere un'altra bicamerale
all'orizzonte, ne' un'assemblea costituente composta dello stesso ceto
politico. Bisognerebbe escogitare una formula capace di rimettere in moto le
culture del paese: ripristinare a livello costituzionale un protagonismo
delle culture politiche, ammesso che ancora esistano. Forse l'idea di una
convenzione, fatta di rappresentanze politiche ma anche sociali e culturali,
non e' da scartare. Ma quello che piu' importa e' ritrovare e valorizzare il
dinamismo della nostra Costituzione. La nostra e' senza dubbio una
Costituzione giuridicamente garantista, ma anche politicamente
interventista. Ha dietro di se' il coraggio della lotta antifascista e la
scelta di campo della Resistenza. Non puo' limitarsi a dare forma
all'esistente. Deve, attraverso la leva del nuovo Stato, indicare le vie del
cambiamento della vecchia societa'. In questo senso, e solo in questo senso,
si puo' avviare, per alcune parti, un lavoro non di revisione ma di
aggiornamento.
Il volto della Repubblica va ridisegnato, forse ricostruito: troppa
distruzione sta dietro le nostre spalle. Distruzione dello stesso testo
costituzionale, attraverso queste improvvisate riforme di parte. In nome
della Costituzione impegnamoci a cancellarle. E poi riprendiamoci la visione
d'insieme di un assetto istituzionale capace di guidare l'attuale mutamento
sociale. Ma e' da questa Carta che dobbiamo partire. Questa Carta devono
amarla soprattutto le giovani generazioni. Perche' fu lo straordinario
prodotto di un giovanile entusiasmo repubblicano, che provo' a costruire con
la politica un nuovo Paese-societa', che ancora non abbiamo.

6. REFERENDUM. GAETANO AZZARITI: UN APPUNTAMENTO CRUCIALE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 maggio 2006. Gaetano Azzariti e'
docente di Istituzioni di diritto costituzionale all'Universita' "La
Sapienza" di Roma]

Vittorio Emanuele Orlando, il fondatore della prima scuola italiana di
diritto pubblico, padre della patria, alla fine dell'800 sostenne che,
raggiunta l'unita' politica, fondato lo Stato italiano, era giunta l'ora di
"dare la scienza del diritto pubblico" al nostro paese, assegnando ai
giuristi questo compito fondamentale. Durante i governi della destra storica
il compito fu assolto addirittura con un eccesso di arroganza, ponendo i
giuristi a capo del processo d'unificazione politica e amministrativa.
Successivamente la scienza giuridica ha assunto un ruolo piu' riservato, ma
ha sempre continuato a influenzare la sfera del politico, conservando un
salutare distacco da essa. All'Assemblea costituente fu decisivo l'apporto
dei giuristi, e l'integrazione tra questi e i politici ha rappresentato una
delle ragioni del successo (si pensi al rapporto tra Lelio Basso e Massimo
Severo Giannini, solo per citare un caso, che partori' la norma piu'
significativa dell'intera nostra costituzione: il principio di eguaglianza
sostanziale, scolpito nel testo della nostra costituzione con parole
impegnate e profetiche, con un'eleganza stilistica e una precisione
concettuale insuperate). Ora il colloquio tra giuristi e potere s'e'
trasformato. Troppi giuristi si offrono come consiglieri dei principi
rinunciando all'autonomia della propria scienza, molti politici non amano i
vincoli giuridici, in particolare quelli che il diritto costituzionale, nato
per limitare il potere, pretende di imporgli. Nell'epoca della tecnica e
della neutralizzazione del politico, gli unici tecnici inascoltati dal
potere appaiono essere proprio i costituzionalisti.
*
Destra sorda
E' cosi' che l'ultima grande riforma dell'intera seconda parte della nostra
Costituzione ha conquistato il piu' alto numero di critiche da parte degli
studiosi di diritto costituzionale, eppure - inascoltate le critiche - e'
stata approvata di forza e a colpi di maggioranza nello scorcio della
passata legislatura. Ora, si spera, sara' il corpo elettorale che si
esprimera' il 25 giugno nel referendum costituzionale a dare regione ai
tecnici e torto ai politici.
E' probabile che la sordita' del ceto politico di centrodestra, che ha
progettato e poi strenuamente voluto la modifica costituzionale, sia almeno
in parte da far risalire alle culture politiche di appartenenza: Forza
Italia, Alleanza nazionale e Lega - le forze politiche egemoni in quel
campo - sono estranee, per storia e pratica politica, ai principi della
Costituzione italiana del dopoguerra. Tant'e' che una ragione che spiega la
forzatura costituente risiede proprio nella volonta' di legittimare la
propria forza e fondare la propria esistenza su nuove basi costituzionali.
Non credo pero' ci si possa accontentare di questa spiegazione. La fuga dal
diritto costituzionale non puo' ridursi a una semplice intolleranza di una
parte delle forze partitiche refrattarie a ricondurre il proprio agire
politico entro un ordine costituzionale esistente; questa tesi trova almeno
due ostacoli: una banale ragione pratica, una profonda ragione storica.
Anzitutto, in effetti, non si comprenderebbe perche' quelle stesse forze
politiche, nel momento in cui, rifiutando questa costituzione, decidono di
scrivere una loro costituzione, non utilizzino al meglio i propri tecnici
per formare un testo giuridicamente (tecnicamente) solido o almeno in grado
di funzionare. Diciamolo chiaramente: la "nuova" costituzione non solo e'
inaccettabile perche' esprime una concezione autoritaria dello Stato,
dell'organizzazione politica e dei rapporti tra poteri, ma e' anche
pessimamente scritta (si guardi per curiosita' il nuovo articolo 70 della
costituzione sulla funzione legislativa e si comprendera' immediatamente
come non potra' mai un Parlamento operare in base a quegli incomprensibili
criteri di riparto tra le funzioni di Camera e Senato). Potrebbe anche
maliziosamente ritenersi che sia una sciatteria tecnica politicamente
redditizia (l'esempio che si e' richiamato, in fondo, e' un modo per
paralizzare ed indebolire l'organo parlamentare a favore del governo, il che
rappresenta uno dei principi ispiratori della riforma costituzionale), ma
cio' confermerebbe l'impressione che al fondo ci sia una profonda
insofferenza nei confronti del diritto costituzionale e delle sue regole,
anche nei suoi aspetti meno ideologicamente orientati relativi alle tecniche
di scrittura dei testi costituzionali. Meglio regole mal scritte che
condizionamenti costituzionali, sembra essere il pensiero politico
dominante.
Vi e' poi un'altra profonda ragione storica, che ancor piu' preoccupa. In
effetti se tutto potesse ridursi all'incultura ed all'estraneita' al sistema
costituzionale vigente della destra di questo paese, la vittoria seppur di
misura alle elezioni politiche ci renderebbe tutti piu' sicuri per il
futuro. Passata la notte della democrazia costituzionale ci appresteremmo a
tornare alla normalita'. Una parentesi, forse per alcuni aspetti drammatica,
ma ormai alle nostre spalle. Non credo sia cosi' semplice. Non lo penso sia
perche' ritengo che le forze di centrosinistra non siano senza peccato, sia
perche' l'idea di tornare al tempo della normalita' puo' essere diversamente
intesa.
Entrambe le convinzioni si fondano sulla valutazione del recente passato. Se
si volge lo sguardo all'indietro si scorge un percorso accidentato e pieno
di "disinvolture" costituzionali: dall'acritica assunzione di parole
d'ordine storicamente patrimonio culturale della destra (la forma di governo
presidenziale), allo schiacciamento delle ragioni "superiori e
indisponibili" dei valori costituzionali sulle esigenze contingenti della
politica e della sua crisi progressiva. Un'impennata si ebbe durante tutti
gli anni '90 (ma il processo di erosione delle ragioni del costituzionalismo
data in Italia almeno dalla meta' degli anni '70), quando si e' voluto
tradurre un'evidente e profonda crisi politica in crisi costituzionale,
senza avvedersi che in tal modo non si sarebbe potuto raggiungere alcuno dei
risultati sperati. Che sia fallito l'obiettivo della stabilizzazione del
sistema politico perseguito attraverso riforme della costituzione sempre
piu' spericolate non puo' stupire: bastava sapere che non e' questo il
compito delle costituzioni, le quali se dettano le regole della politica,
tuttavia non forniscono ad essa alcuna soluzione pratica ed immediata. Ma,
evidentemente, nessuno ha avuto interesse ad ascoltare chi conosce cosa sono
le costituzioni, meglio e' apparso usarle per fini, piu' o meno nobili, ma
comunque strumentali.
*
Propaganda contro la Carta
Cio' che appare piu' grave e' pero' che il fallimento degli obiettivi
politici contingenti non e' stato privo di conseguenze sul piano "nobile"
della Costituzione. Anziche' consolidarne il ruolo in tempi che vedono una
caduta delle legittimazioni dei poteri politici e dunque rafforzare
quell'ancora che puo' dare senso e valore all'agire politico, si e' pensato
bene di eroderne le fondamenta, delegittimare la costituzione vigente con
un'opera incessante di propaganda negativa (la "vecchia" costituzione e la
retorica del cambiamento costituzionale necessario) e di assalti fuori
controllo (le forzature compiute con leggi ordinarie in materie
costituzionali, le modifiche "tacite", i progetti di riscrittura di intere
parti eterogenee di costituzione, l'istituzione di commissioni
"quasi-costituenti", l'evocazione diretta del terribile potere costituente:
tutte misure di rottura o comunque in deroga a quelle ordinariamente
previste dalla stessa costituzione per la sua revisione all'articolo 138).
Le disinvolture costituzionali del centrosinistra, la sordita' dei suoi
responsabili politici ai richiami severi della dottrina costituzionalistica,
sono di minor gravita' rispetto a quelle vissute nell'ultima legislatura?
Non saro' io a negarlo, ma che si possa riprendere il cammino semplicemente
mettendo tra parentesi l'operato della destra considerandolo il male
assoluto e nascente dal nulla, mi sembrerebbe francamente bizzarro, miope,
forse suicida.
Possiamo permetterci in sostanza di riprendere il cammino interrotto delle
riforme costituzionali "la' dove eravamo rimasti"? Nuove bicamerali, accordi
di governabilita', pirotecniche proposte di trasformazione costituzionale si
affacciano gia' all'orizzonte. La smania del nuovo, la permanente crisi dei
partiti, l'irresistibile leggerezza della politica dei giorni nostri,
l'incultura costituzionale diffusa, spingono tutte verso la direzione di una
nuova stagione di uso congiunturale e distorto della costituzione. Ci si
puo' opporre? Si puo' rilanciare una politica costituzionale consapevole? O
e' troppo rivoluzionario nell'Italia di oggi chiedere che si lotti per la
costituzione, per l'affermarsi di un costituzionalismo che certo sia
adeguato ai tempi della globalizzazione e della fine degli spazi chiusi, ma
non percio' arreso al tempo dell'indeterminatezza e della politica senza
valore?
Tra breve una risposta sara' data. Dopo il referendum costituzionale del 25
e 26 giugno constateremo in via di fatto se c'e' ancora spazio per una
riflessione critica sulle sorti del costituzionalismo, che sappia tener
conto delle valutazioni della dottrina piu' consapevole del ruolo che le
costituzioni devono e possono ricoprire nel nostro tempo. Se il referendum
costituzionale sara' in grado di produrre un'auspicabile soluzione di
continuita' rispetto ad un periodo passato di lungo, lento e progressivo
deterioramento non e' scritto; che sia in grado di produrla non puo'
escludersi.
Ammesso che il referendum respinga l'ultimo assalto alla Costituzione (in
caso contrario approderemo ad un altro sistema costituzionale, e ben poco
rimarra' da dire), le modalita' di reazione allo scampato pericolo possono
essere diverse. La reazione continuista e' gia' stata annunciata. In alcuni
casi, l'unico insegnamento che si ritiene di dover trarre da una stagione da
mettersi rapidamente alle spalle e' quella che induce ad evitare alcune
improvvide forzature del recente passato (le riforme a stretta maggioranza).
Ben poca cosa rispetto alla gravita' dello stato confusionale in atto. Ove
prevalesse questa reazione continuista, si dimostrerebbe la profondita'
della crisi di cultura del ceto politico e l'inanita' di un pensiero critico
ormai sopraffatto da un pensiero unico, egemone e non scalfibile. Lo spazio
per la riflessione critica non scomparirebbe, ma i tempi si allungherebbero.
La critica dell'esistente diventerebbe il compito principale rispetto a
qualsiasi impegno per la trasformazione del sistema costituzionale, in ogni
caso - in mancanza di una seria ridefinizione concettuale - condannata ad
un'irresistibile perdita di senso costituzionale.
*
Cercare un'altra strada
Personalmente mi auguro invece che, dopo il referendum, un'altra strada sia
percorsa. Piu' riflessiva, ma non percio' scarsamente innovativa. Anzi, a
ben vedere, una prospettiva affatto rivoluzionaria rispetto al passato
trentennio (l'origine della crisi, si e' poc'anzi affermato, e' da far
risalire a meta' degli anni '70), che finalmente espliciti il reale segno
conservatore delle politiche costituzionali fin qui perseguite. Politiche,
quelle passate, "disinvolte", non invece "nuove". Almeno se con questa
abusata espressione si vuole intendere adeguate ai reali problemi delle
societa' democratiche e pluraliste del nostro tempo. Se si e' consapevoli
della profondita' della crisi, si evitino facili scorciatoie, si affrontino
di petto, invece, la complessita' dei tempi difficili. Una strada impervia,
forse tortuosa, ma che alla fine puo' giungere a rinnovare la forza del
diritto delle costituzioni. Solo allora potremmo approdare a un nuovo
costituzionalismo, senza per cio' temere di aver gettato al vento un
capitale di civilta' giuridica, senza ottenere nulla in cambio. Come finora
e' avvenuto.
Quella indicata rappresenta una prospettiva forse politicamente difficile,
ma non velleitaria. L'auspicata vittoria del no al referendum costituzionale
provochera' di per se' una rinnovata energia alla nostra vigente
Costituzione, consolidandone la oramai consumata base di legittimazione,
riaffermandone forza e valore. Allora, anziche' rimetterla immediatamente in
discussione - dando nuovo vigore alla tesi del necessario superamento
purchessia della vigente costituzione - piu' saggio sarebbe concedersi una
pausa di riflessione. Non per conservatorismo costituzionale (piu' o meno
nobile), ma per "operare conoscendo", secondo l'insegnamento di un grande
giurista, Riccardo Orestano, troppo spesso dimenticato in questa fase
storica dominata dall'irriflessivita' del politico e dall'irresponsabilita'
della tecnica.
In termini piu' concreti, puo' cosi' sintetizzarsi l'alternativa cui ci si
trovera' dinanzi dopo il referendum: una nuova stagione di trasformazioni
costituzionali in Italia puo' aprirsi o seguendo i tempi costipati della
politica, ovvero quelli allungati della cultura. Personalmente preferisco i
secondi. Solo quando, se e dopo che in Italia si affermera' una cultura
della "manutenzione costituzionale" - altrove presente, la quale ha
garantito revisioni, anche profonde, dei testi delle costituzioni nazionali
senza produrre al contempo lacerazioni del tessuto e dell'idea che si ha di
costituzione - si potra' (e a quel punto si dovra') promuovere le riforme
costituzionali necessarie al tempo della globalizzazione e alla fine degli
spazi chiusi. Un riformismo radicale - altro che conservatorismo
costituzionale - quest'orizzonte deve fare proprio. Chi e' disposto ad
accettare le sfide della storia rinunciando a quelle della politica? Chi e'
disposto ad ascoltare la voce del diritto costituzionale e non solo quelle
della politica politicante?

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 76 del 4 giugno 2006

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