La nonviolenza e' in cammino. 1316



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1316 del 4 giugno 2006

Sommario di questo numero:
1. A Firenze un 2 giugno antimilitarista e nonviolento
2. Elena Buccoliero intervista Andrea Cozzo sulla formazione alla
nonviolenza delle forze dell'ordine
3. Elizabeth Dwoskin: Una giornalista in Uzbekistan
4. Monica Lanfranco: Contro i fondamentalismi, e contro il relativismo
complice
5. Giulio Vittorangeli: Per una pace giusta tra Israele e Palestina
6. "Keshet" di gennaio-febbraio 2006
7. Riedizioni: Alessandro Manzoni, Opere
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. A FIRENZE UN 2 GIUGNO ANTIMILITARISTA E NONVIOLENTO
[Da Tiziano Cardosi (per contatti: tcardosi at tiscali.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo il seguente comunicato della "Fucina per la
nonviolenza" di Firenze. Tiziano Cardosi, amico della nonviolenza, impegnato
in varie iniziative di pace e di solidarieta', e' stato tra gli
organizzatori del convegno su "Nonviolenza e politica" svoltosi a Firenze il
5-7 maggio 2006 e partecipa all'esperienza della "Fucina per la nonviolenza"
di Firenze]

Il 2 giugno a Firenze un gruppo di persone amiche della nonviolenza hanno
invitato tutti quelli che volevano festeggiare la Repubblica senza ricorrere
alla retorica delle parate militari.
Un corteo colorato di palloncini, di bandiere della pace, di bandiere
tricolori con il simbolo della nonviolenza, e' sfilato per le vie del
centro, anche passando accanto a presidi delle forze armate. Davanti a
questi e ad un cippo dedicato ai "caduti per la Patria" e' stato osservato
un minuto di silenzio per ricordare i morti di tutte le patrie, soprattutto
i civili, che, nelle guerre moderne, sono il 90% delle vittime. Un minuto di
silenzio per sperare che non ci siano mai piu' eroi o caduti da piangere.
Come promotori della festa siamo stati davvero stupiti e soddisfatti della
partecipazione di tanti pacifisti.
Il fascino della nonviolenza sta germogliando nella coscienza di molti.
Durante il percorso e' stato distribuito il testo che segue.
*
2 giugno: festa della Repubblica
Noi festeggiamo la Repubblica espressa dall'articolo 11 della nostra
Costituzione: la Repubblica che ripudia la guerra.
Art. 11 Cost.: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali".
Noi crediamo che il passo fondamentale per abolire la guerra sia ripudiare
le armi e gli eserciti. Le armi non sono strumenti neutrali nelle mani
dell'uomo, ma sono fatte per essere usate. Gli eserciti sono strutture
troppo forti e potenti per restare docili nelle mani dei popoli: gli
eserciti distruggono i popoli, la storia ce lo insegna.
Noi festeggiamo la Repubblica espressa dall'articolo 3 della nostra
Costituzione: la Repubblica che rimuove tutti gli ostacoli che impediscono a
donne e uomini di poter accedere alla costruzione del proprio destino.
Art. 3. Cost.: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana".
Guerra, armi, eserciti impediscono lo sviluppo di ogni personalita':
distruggono e basta.
I soldati sono strumenti per uccidere ed essere uccisi: la loro personalita'
e' inibita per farne oggetti ubbidienti a ordini che non devono essere
discussi. Noi vogliamo che ridiventino esseri umani.
La Fucina per la nonviolenza di Firenze
Per contatti: tel. 3358083559, e-mail: p.u at libero.it

2. ESPERIENZE. ELENA BUCCOLIERO INTERVISTA ANDREA COZZO SULLA FORMAZIONE
ALLA NONVIOLENZA DELLE FORZE DELL'ORDINE
[Da "Azione nonviolenta" di marzo 2006 (disponibile anche nel sito
www.nonviolenti.org).
Elena Buccoliero (per contatti: e.buccoliero at comune.fe.it), nata a Ferrara
nel 1970, collabora ad "Azione nonviolenta" e fa parte del comitato di
coordinamento del Movimento Nonviolento; lavora per Promeco, un ufficio del
Comune e dell'azienda sanitaria locale di Ferrara dove si occupa di
adolescenti con particolare attenzione al bullismo e al consumo di sostanze,
e con iniziative rivolte sia ai ragazzi, sia agli adulti; a Ferrara, insieme
ad altri amici, anima la Scuola della nonviolenza. E' autrice di diverse
pubblicazioni, tra cui il recente (con Marco Maggi), Bullismo, bullismi,
Franco Angeli, Milano 2005. Un piu' ampio profilo biobibliografico di Elena
Buccoliero e' nel n. 836 de "La nonviolenza e' in cammino".
Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) e' docente universitario di
cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita'
didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene
da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha
pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte
del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue
opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della
complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi
e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio
dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di),
Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999;
Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti
delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo
2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella
Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le
facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario
accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001;
Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando',
A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?,
Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i
Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa,
Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema
scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che
cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione,
discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza,
conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2,
2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232,
febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche
di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004]

E' possibile trattare con metodi nonviolenti le situazioni di crisi che le
forze dell'ordine si trovano quotidianamente ad affrontare? Che rapporto
c'e' tra il rischio personale corso dagli agenti e la disposizione ad
esercitare violenza? E tra l'identificazione nel ruolo e nella divisa, e i
comportamenti sulla strada?
Ne parliamo con Andrea Cozzo (Movimento Nonviolento), docente di "Teoria e
pratica della nonviolenza" e di "Lingua e civilta' greca" presso
l'Universita' di Palermo. Negli ultimi anni ha condotto corsi sulla
"Formazione alla gestione creativa e nonviolenta delle situazioni di
tensione" con la Guardia di Finanza e i Carabinieri della sua citta', e con
i Vigili di Pescara, incontrando circa 200 persone. Con loro ha parlato di
strategie comunicative, di ruoli, di uso della forza e, soprattutto, di
alternative.
*
- Elena Buccoliero: Quando si parla di questo tema due sono le principali
obiezioni che vengono poste: da un lato l'idea che le forze dell'ordine
siano gia' preparate a svolgere il loro lavoro riducendo al minimo l'uso
della violenza, dall'altro la convinzione che se violenza resta, vuol dire
che e' inevitabile e quindi legittima, anche perche' agita con una divisa
addosso. Poi c'e' un ultimo approccio, cioe' che in alcuni casi la violenza
sia voluta e inestirpabile...
- Andrea Cozzo: Certo, queste sono le prime eccezioni che mi vengono
presentate. In linea di principio non credo che un poliziotto usi la
violenza per divertirsi o in modo arbitrario, ma la nonviolenza e' un passo
piu' in la'. Non e' semplicemente l'uso legittimo, o legale, o giustificato
della forza, ma e' cercare un'alternativa per non fare ne' subire violenza,
e per non permettere che ne venga fatta ad altri.
Ci vuole tempo perche' questa idea penetri nelle coscienze. La nonviolenza
e' un sovrappiu', uno scardinare il pensiero dicotomico che contrappone due
sole ipotesi - imporsi o subire - per seguire una strada diversa attraverso
delle vere e proprie tecniche di comunicazione.
Per "comunicazione" intendo le parole che si dicono ma anche i toni con cui
vengono pronunciate, i gesti che le accompagnano. E poi capire che la
comunicazione e' fatta non soltanto di una parte attiva, di presa di parola,
ma innanzitutto e prima ancora - fatto che solitamente viene ignorato - di
una capacita' di ascolto e di una capacita' di domanda. Il mio invito
ricorrente era proprio a mantenere una capacita' di domanda anche di fronte
all'atteggiamento che sembra piu' facile da decifrare.
Ho incontrato quasi duecento agenti e giurerei che erano tutte ottime
persone, di quelli che si divertivano a picchiare mi pareva che non ce ne
fossero. Tutti raccontavano di averlo fatto solo quando era necessario.
Allora si trattava per me di restringere il limite di questa necessarieta'.
Non ho mai detto: "fate male a manganellare", oppure "state sbagliando
tutto", perche', ripetevo, "sulla strada ci siete voi, voi sapete come
stanno le cose veramente. Pero' vi dico la mia".
*
- Elena Buccoliero: Come erano organizzati i corsi?
- Andrea Cozzo: Duravano in tutto 25-30 ore. Nella prima parte, teorica,
parlavo soprattutto io per definire i concetti base di violenza e di
nonviolenza, e di come la capacita' comunicativa puo' impedire l'escalation.
Nella seconda meta' del corso davo la parola agli agenti per una parte
applicativa. Invitavo i corsisti a presentare casi tratti dalla loro
esperienza in cui avevano ritenuto necessario ricorrere all'uso della forza,
e insieme cercavamo di capire se quello che io avevo appena detto poteva
essere di aiuto per individuare altre possibilita'.
Poi, certo, c'erano situazioni che a loro sembravano veramente impossibili
da trattare con la nonviolenza e io non mi sono mai opposto a questo,
proprio perche' l'esperienza diretta ce l'hanno loro, non io. Ma domandavo,
veramente domandavo, se non si poteva fare diversamente. Ecco, ho cercato
soprattutto di seminare dei dubbi, e mi pare di esserci riuscito.
*
- Elena Buccoliero: Le tue parole suonavano nuove all'orecchio dei corsisti?
- Andrea Cozzo: Sostanzialmente si'. Alcuni avevano ragionato su questi temi
nei percorsi di formazione come poliziotto di quartiere, per esempio
parlando della mediazione nelle liti familiari. Nessuno aveva mai pensato di
applicare le stesse strategie non soltanto come terze parti, ma nei
conflitti di cui era parte. Anche il fischio di un vigile sulla strada puo'
essere fatto in modo da farti sentire colpevole oppure semplicemente per
richiamare la tua attenzione. E fare questo non significa cedere di fronte a
chi infrange la legge, ma adoperare dei modi comunicativi che permettono
all'altro di non percepire davanti a se' un nemico, e di non opporsi a
propria volta.
*
- Elena Buccoliero: Il tema della controparte mi sembra molto importante.
Chi rappresenta la legge sembra sempre dover assumere delle parti, designare
il giusto e lo sbagliato...
- Andrea Cozzo: E in tutto questo, durante i corsi, moltissimo giocava la
pretesa degli agenti di non avere pregiudizi, e che tutti i pregiudizi li
avessero i cittadini contro di loro. In qualche misura la loro e' una
percezione reale perche' la divisa non piace granche', ma negli agenti
scattavano meccanismi uguali e contrari. Ad esempio, per loro era chiaro che
chi si comportava in modo sbagliato aveva l'intenzione di violare la legge e
magari di "fregarli", non esisteva la possibilita' che una persona si stesse
semplicemente sbagliando, o che non conoscesse la regola.
*
- Elena Buccoliero: Ci sono pregiudizi verso alcuni comportamenti, e forse
anche verso alcune categorie di persone...?
- Andrea Cozzo: Generalmente i giovani, per non parlare dei manifestanti. I
no global sono considerati tutti dei violenti. Se li invitavo ad
approfondire la conoscenza diretta mi dicevano: "Non possiamo mica metterci
a terra seduti accanto ai no global!". Capisco; se pero' farlo aiuta la
comunicazione, forse un poliziotto puo' sedersi su un marciapiede due minuti
per stare accanto ad un ragazzo e comunicare con lui in modo meno rigido.
Perche' la divisa poi...
*
- Elena Buccoliero: ... e' un bell'ostacolo, no?
- Andrea Cozzo: La maggior parte degli agenti racconta di trasformarsi
quando indossa la divisa. Alcuni si sentono i difensori della legge e non
guardano piu' in faccia a nessuno, "nemmeno mio fratello" dicevano per
mostrare la loro imparzialita' - e io a cercare di dimostrare che forse e'
possibile guardare tutti come il proprio fratello, piuttosto che nessuno.
Altri dalla divisa si sentono irrigiditi, adoperano una gestualita'
assolutamente innaturale perche' questo e' cio' che ritengono ci si aspetti
da loro. E' un problema complesso, e non puo' essere risolto finche' ognuno
si preoccupa di quello che l'altro si aspetta, anziche' concentrarsi sulla
propria identita' piu' vera.
*
- Elena Buccoliero: Avrai trovato, probabilmente, una violenza dettata dalla
paura in situazioni in cui le forze dell'ordine si sentono in prima linea, e
particolarmente a rischio.
- Andrea Cozzo: Questa obiezione era presente, collegata ad un'idea di
nonviolenza come cedimento. "Come", ribattevano, "io sono quello che rischia
di piu' e tu mi dici di essere nonviolento?". Abbiamo lavorato molto sulla
gestione delle emozioni in situazioni di tensione e sulla creativita'. Qui
ho adoperato lo schema di Galtung a proposito dei tre momenti di fronte al
conflitto: la diagnosi, cioe' la lettura della situazione, poi la prognosi,
la proiezione del conflitto, e infine la terapia, vale a dire l'intervento.
Nel conflitto pienamente dispiegato ci si inserisce, esattamente come la
barca non si oppone alle onde, ne' si lascia travolgere, ma le prende per il
verso giusto per avvantaggiarsene.
*
- Elena Buccoliero: Possono esserci situazioni in cui le forze dell'ordine
hanno a che fare con persone violente, o alterate, e in cui devono decidere
in tempi brevi come comportarsi.
- Andrea Cozzo: Abbiamo analizzato il caso di vicini che avevano chiamato la
polizia perche' in strada degli ubriachi lanciavano bottiglie contro le
porte, facevano schiamazzi, e gli agenti: "Che cosa potevamo fare noi, se
non dargli subito addosso per immobilizzarli?".
Ho proposto alternative che un po' hanno fatto ridere ma un po' sono
servite. Proviamo per esempio ad immaginare di solidarizzare con queste
persone, magari chiediamo da bere piuttosto che dirgli di smettere e questo
ci consentira' di avvicinarli e di distoglierli dal loro comportamento senza
fargli male. Un agente della Guardia di Finanza racconto' di essersi
comportato in un modo simile di fronte ad un paziente psichiatrico che,
rimasto solo in casa, si era messo a buttare dal balcone pentole, mobili,
tutto. In molti avevano cercato di fermarlo urlando sotto il balcone, la
polizia era arrivata a dirgli di smettere, altri avevano cercato di forzare
la porta ma invano, perche' lui l'aveva bloccata con degli ostacoli. Questo
agente era arrivato e aveva detto semplicemente: "Me lo offri un caffe'?". E
quello: "Acchiana", cioe' "Sali". Ecco, vedi... bastava non opporsi.
*
- Elena Buccoliero: Non sempre si riesce a fare la cosa giusta, per tante
ragioni. Si ha a volte l"impressione che per le forze dell'ordine, come per
altre istituzioni, sia quasi impossibile ammettere gli errori. Come se dire
"ho sbagliato" significasse mettere in discussione la propria legittimita' -
mentre per molti cittadini e' esattamente il contrario, proprio il silenzio
o la negazione creano sfiducia in chi dovrebbe difenderci.
- Andrea Cozzo: Ne abbiamo parlato riferendoci alle relazioni interpersonali
con il cittadino. Il poliziotto che si accorge di avere sbagliato e' in
difficolta' ad ammettere l'errore, anche quando se ne accorge - e questo e'
direttamente proporzionale a quanto aveva alzato il tono precedentemente, al
grado di presunzione di veridicita' che aveva mostrato.
*
- Elena Buccoliero: E' la gradualita' della lotta nonviolenta.
- Andrea Cozzo: Gia', bisognerebbe partire sempre dal livello piu' basso di
conflittualita' e senza avere la presunzione di scommettere sulla
correttezza di quello che si pensa, o perfino di quello che si osserva. L'ho
detto molte volte: i sensi ingannano, ci possiamo sbagliare. Possiamo
interpretare male quello che abbiamo davanti agli occhi.
*
- Elena Buccoliero: Nel senso comune c'e' la convinzione che alcune persone
trovino nella divisa la protezione per dare sfogo alle proprie frustrazioni.
- Andrea Cozzo: Si', ma ammettere questo non e' facile perche' la divisa
condiziona davvero e ti dice che tu sei la legge. Da "alzo il tono perche'
la legge me lo consente", a "alzo il tono perche' sopraffare un altro mi fa
stare meglio psicologicamente" il passo e' breve e chi lo compie
difficilmente ne ha consapevolezza, sono due stadi troppo vicini e interni
al rapporto con il proprio ruolo.
*
- Elena Buccoliero: Ci sono situazioni valutate come impossibili da
trasformare?
- Andrea Cozzo: Quando ho parlato di mafia, li' era proprio un no secco.
Invano ho citato frasi di Falcone che potevano essere lette come
nonviolente, li' veramente mi dicevano "Lei professore vive sulle nuvole". E
poi le grosse manifestazioni: "Quando i no global tirano le pietre - mi
dicevano - che cosa fai se non: primo squillo di tromba, secondo squillo di
tromba e poi carica...?".
*
- Elena Buccoliero: Sai se le lezioni hanno avuto una influenza sulla
pratica quotidiana degli agenti?
- Andrea Cozzo: Alcuni me lo hanno detto successivamente. Moltissimi,
soprattutto i piu' anziani e i piu' colti, mi dicevano: "Io mi rendo conto
che queste sono cose belle, forse sono anche fattibili, ma mi rendo conto
pure che ormai ho un'altra mentalita'". E questo era bello e triste al
contempo.
*
- Elena Buccoliero: Forse bisognerebbe entrare nelle scuole di polizia...
- Andrea Cozzo: Oh si', moltissimi me lo hanno consigliato: "Queste cose le
dovrebbe insegnare alla scuola di polizia, avrebbero dei risvolti enormi;
noi abbiamo gia' avuto un addestramento di un certo tipo...". Ed
effettivamente alcune cose sono proprio conflittuali. Per anni gli hanno
insegnato tutt'altro, adesso arriva uno che parla di nonviolenza... O e'
stupido, o e' una specie di prete laico che vive sulle nuvole... oppure
dobbiamo cambiare qualcosa. Ne nasce un conflitto interiore in cui non e'
facile cavarsela.
*
- Elena Buccoliero: Te ne hanno parlato?
- Andrea Cozzo: Alcuni si', lo riconoscevano: "Ora so che non e' cosi'
meccanico fare come mi hanno insegnato, ma non sono sicuro di saper agire in
modo diverso".

3. MONDO. ELIZABETH DWOSKIN: UNA GIORNALISTA IN UZBEKISTAN
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo.
Elizabeth Dwoskin, giornalista, scrittrice e produttrice di programmi
radiofonici, vive a New York ed e' corrispondente per "We News"]

Una mattina dello scorso febbraio, Galima Bukharbaeva passeggiava per la
capitale uzbeka, Tashkent. Mentre si dirigeva verso la piazza principale
della citta' vide un gruppo di persone che, senza riconoscerla, continuarono
a fissare uno striscione. La scritta diceva: "Galima Bukharbaeva e' una
prostituta politica".
Galima pensa che dietro allo striscione ci sia stato il governo. I suoi
articoli le hanno guadagnato la sua ufficiale inimicizia. Questo tipo di
diffamazione personale, dice, investe spesso le giornaliste che criticano il
governo. Una delle sue colleghe ha trovato il proprio numero di telefono su
un manifestino che offriva sesso a buon mercato. Ma queste cose, aggiunge,
sono il minimo che un giornalista puo' temere nell'Uzbekistan sotto la
leadership governativa di Islom Karimov, che ha assunto poteri dittatoriali
nel 1991, e che era il primo segretario del partito comunista uzbeko durante
il periodo sovietico.
Il Comitato per la protezione dei giornalisti ha conferito alla trentunenne
Bukharbaeva il premio internazionale per la liberta' di stampa del 2005. "I
giornalisti piu' coraggiosi del paese sono le donne", racconta, "Se sei un
uomo ti bastonano, o ti accusano di essere un terrorista islamico. Se sei
una donna cercano di umiliarti: questo ti rende di cattivo umore per qualche
giorno, ma poi ricominci daccapo".
Galima Bukharbaeva irritava il suo governo gia' da qualche tempo, ma divenne
realmente insopportabile dopo il 13 maggio 2005. Gli eventi di cui diede
conto nei suoi articoli ebbero inizio con un processo, durante il quale 23
prominenti uomini d'affari della citta' di Andijon, nel nord est, furono
accusati di aver preso bustarelle e di terrorismo islamico. Bukharbaeva dice
che queste accuse sono di routine per il governo Karimov, che si e' alleato
con gli Usa nella campagna contro il terrorismo, e servono per confiscare i
beni delle persone o tacitare gli oppositori. Quando giunse notizia che gli
accusati avevano perso il processo, e che duemila individui avrebbero di
conseguenza perso il lavoro, cominciarono a circolare indiscrezioni sul
fatto che centinaia di parenti delle persone coinvolte si fossero armate e
stessero assediando la prigione.
Galima, che lavora per l'Institute for War and Peace Reporting (Iwpr),
arrivo' lo scorso maggio ad Andijon per trovare circa duemila dimostranti
disarmati che si erano riuniti nella piazza della citta' per protestare
pacificamente. Nei sette anni in cui aveva mandato articoli dall'Uzbekistan,
sia come direttrice regionale dell'Iwpr, sia come corrispondente di "France
Presse", Galima non aveva mai visto una dimostrazione di un'opposizione
democratica di tale entita'. "Per la prima volta, sentivo persone dire cose
del tipo: La Costituzione ci garantisce la liberta' di parola, e dov'e'
questa liberta'? Ci accusano di essere terroristi, di essere islamisti
politici, ma noi siamo persone comuni. Guarda le nostre mani, sono vuote.
L'unica cosa che vogliamo e' la verita'".
Quel momento di giovane democrazia fu pero' rapidamente distrutto, quando i
carri armati del governo circondarono la folla inerme e cominciarono a
sparare nel mucchio senza dare alcun avvertimento. Galima Bukharbaeva salto'
dentro un canale di scolo; una pallottola le attraverso' lo zaino che
portava sulla schiena. Non riusciva a vedere dove fossero il suo fidanzato e
sua sorella, entrambi giornalisti che erano presenti per lavoro.
Nonostante il governo abbia fissato il numero dei civili morti a 41, ed
attribuisca gli omicidi ai terroristi, Human Rights Watch stima che
centinaia di persone siano state uccise ad Andijon, uno dei piu' grandi
massacri della storia degli stati sovietici, e di sicuro il piu' grande
della moderna storia uzbeka. Indagini separate, condotte da Human Rights
Watch e dall'Alto Commissariato per i diritti umani dell'Onu attestano le
responsabilita' del governo uzbeko.
Bukharbaeva era una dei tre giornalisti presenti per conto di media
internazionali. I suoi racconti andarono lontano. "Era senza paura", dice di
lei Rachel Denber, direttrice dei programmi di Human Rights Watch per
l'Europa e l'Asia centrale. Sin dagli anni '90, Karimov ha espulso membri di
partiti d'opposizione e dissidenti. Gia' prima del massacro di Andijon,
Amnesty International stimava a circa 6.000 i prigionieri politici.
Navbahor Imamova, una giornalista che lavora per "Voice of America", il
servizio giornalistico finanziato dal governo Usa, dice che molti, se non la
maggioranza degli uzbeki, non hanno mai saputo cio' che accadde ad Andijon.
Imamova e' originaria dell'Uzbekistan e ha conosciuto Galima Bukharbaeva.
"Ci sono ben pochi giornalisti che scrivono quel tipo di critiche, in
Uzbekistan. Certamente io non potevo farlo: lavoravo per i media di stato,
ed i media di stato sono soggetti a censura". Imamova aggiunge che Galima e'
piu' conosciuta all'estero che in Uzbekistan, dove e' nota ai circoli
governativi ed alle elite che parlano russo o inglese. "Bukharbaeva non
scrive in uzbeko. Se lo facesse, i suoi articoli non verrebbero pubblicati".
Il Comitato per la protezione dei giornalisti mette l'Uzbekistan all'ottavo
posto dei paesi in cui l'informazione e' maggiormente censurata, subito dopo
Cuba, e subito prima della Siria.
Un giro di vite contro i giornalisti segui' il massacro di Andijon e Galima
fuggi' dal paese assieme ad una dozzina di colleghi. Il suo matrimonio,
originariamente pianificato per l'ottobre 2005 nell'antica citta' uzbeka di
Bukhara, e' avvenuto nel municipio di New York. Da allora, poiche' suo
marito e' riparato in Kyrgyzstan, la coppia si e' vista tre volte.
Non essendo ufficialmente bandita, Galima Bukharbaeva potrebbe tornare in
Uzbekistan, ma sa che non puo' piu' praticarvi la propria professione.
"Quello che veramente voglio e' fare la giornalista nel mio paese,
sviluppare media indipendenti in Uzbekistan", dice, "Ho visto quanto la
gente sia affamata di buona informazione, di informazione vera". Al momento,
tuttavia, rientrare in Uzbekistan sarebbe troppo pericoloso, come lo
striscione di febbraio ha dimostrato. "Il mio nome non spaventa solo i
funzionari, in Uzbekistan. Un mio amico d'infanzia, che lavora per il
governo, ha paura di incontrarmi. Gli ho telefonato e ho detto: Dai,
vediamoci. Dio sa se ne avremo mai piu' l'occasione".
*
Per maggiori informazioni:
- Committee to Protect Journalists - International Press Freedom Awards:
www.cpj.org/awards05/galima.html
- Institute for War and Peace Reporting: www.iwpr.net

4. RIFLESSIONE. MONICA LANFRANCO: CONTRO I FONDAMENTALISMI, E CONTRO IL
RELATIVISMO COMPLICE
[Dal quotidiano "Liberazione" del 24 maggio 2006 riprendiamo questo articolo
che prosegue un dibattito sviluppatosi su quel giornale. Monica Lanfranco
(per contatti: mochena at tn.village.it), giornalista professionista, nata a
Genova il 19 marzo 1959, vive a Genova; collabora con le testate delle donne
"DWpress" e "Il paese delle donne"; ha fondato il trimestrale "Marea";
dirige il semestrale di formazione e cultura "IT - Interpretazioni
tendenziose"; dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo, libro/agenda che
veniva accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'"; collabora con il
quotidiano "Liberazione", i mensili "Il Gambero Rosso" e "Cucina e Salute";
e'' socia fondatrice della societa' di formazione Chance. Nel 1988 ha
scritto per l'editore PromoA Donne di sport; nel 1994 ha scritto per
l'editore Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle
ragazze d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una collana
di autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996 l'ufficio
stampa per il network europeo di donne "Women in decision making". Nel 1995
ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato imperfetto
nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con Silvia
Neonato, Lotte da orbi: 1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo testo
di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in
floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in
Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della
partoriente (La Clessidra). Recentemente ha pubblicato due importanti volumi
curati in collaborazione con Maria G. Di Rienzo: Donne disarmanti, Edizioni
Intra Moenia, Napoli 2003; Senza velo. Donne nell'islam contro
l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Cura e conduce corsi di
formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici)
sulla storia del movimento delle donne e sulla comunicazione]

Chi sa, magari noi di "Marea" impegnate da settembre dello scorso anno per
realizzare l'appuntamento del 26 e 27 maggio dal titolo "La liberta' delle
donne e' civilta' - donne e uomini che lavorano contro i fondamentalismi
religiosi, per l'autodeterminazione femminile e la cittadinanza" siamo nel
solco del femminismo "debole"; personalmente non mi spiace, visto che ho
piuttosto paura delle teorie "forti", che mi sembra fin qui hanno pervaso il
paese con il governo delle destre, e buona parte del resto del mondo
avvelenando la societa' con i valori dominanti della guerra, del terrorismo
e della violenza in generale.
L'intento nostro e' quello di dare voce a donne e uomini (pochi, ma
esistenti) che non hanno la stessa voce, anche sulla stampa di sinistra, di
chi grida e impartisce ordini con e senza divisa militare e disegna sistemi
di coercizione in ogni latitudine e cultura. Cio' che queste persone dicono,
per esperienza diretta loro, e che noi abbiamo assaggiato con la sconfitta
sulla legge 40, solo per restare nella storia recente, e' che i
fondamentalismi religiosi non hanno semplicemente una "vocazione" misogina:
sono una visione politica il cui profilo non esitano a definire fascista,
come afferma la rete internazionale delle Women living under muslim laws.
In queste visioni ogni trasgressione alla regola data, che e' quella
dell'eterodirezione e della supremazia patriarcale, e' passibile di varie
gradazioni di punizione, tra cui la morte. In questa visione la tradizione,
e la parola del dio di turno, e' una legge immobile, non compassionevole
(fatte salve le traduzioni piu' aperte del Corano e quelle del cristianesimo
della liberazione, dove ci sono spinte libertarie subito censurate dalle
gerarchie ecclesiastiche). Per questo, tra le persone che compongono il
mosaico delle presenze a Genova ci sono, come forti alleati in una
costruzione del cambiamento, quelle e quelli che, da credenti, sanno bene il
confine tra fede personale e laicita' politica, e stanno a fianco di chi non
crede, affinche' la soglia della politica non sia oltrepassata dalle diverse
personali visioni ultraterrene.
In un dibattito su questi argomenti qualche mese fa una donna marocchina mi
disse di essere contenta che, forse, in Canada, come richiesto dalla parte
fondamentalista della comunita' musulmana locale, accanto alla legge dello
stato laico si potesse affiancare la sharia; secondo il suo punto di vista
la legge umana e' fallace, mentre quella divina e' infallibile, e quindi
perfetta. Una legge perfetta che le avrebbe impedito, in molte parti del
mondo, di essere alla sera tardi in un luogo pubblico misto a discutere. Di
fronte a questa legittima, ma per me laica e femminista, pericolosissima
visione, credo sia importante sentire le parole, tra le altre, di tre
persone credenti con salde posizioni progressiste che saranno a Genova, come
un imam che rischia la vita per quello che dice sulla liberta' delle donne e
sulla separazione tra stato e chiesa, una pastora valdese, e un gesuita. E
soprattutto le voci delle attiviste femministe che dall'Algeria, dai
Balcani, dall'Iran e dall'Italia a rischio di laicita' pensano che la storia
umana debba essere presa nelle loro mani, e che le tradizioni da non
toccare, invocate dai fondamentalisti di ogni natura, sono frutto di un
pensiero che impone la legge del piu' forte, patriarcale, e schiavista.
Quanto alla questione del corpo, della liberta' di coprirlo e scoprirlo,
dobbiamo continuare a discutere, e lo faremo. Per il femminismo di casa
nostra non e' mai venuta meno la voglia di stigmatizzare come l'uso della
nudita' femminile da parte del mercato sia una forma di, appunto,
mercificazione. Non credo pero' che sia un passo avanti cedere ad una
tendenza pericolosa, nella quale mi pare si rischia di slittare: quella che,
in nome del rispetto per le altre culture e religioni, o per paura di essere
accusate di razzismo, o per l'interiorizzazione del concetto di tradimento
dei valori della patria/comunita', esprime reticenza a nominare e condannare
le violazioni dei diritti umani in generale, e piu' in particolare le
violazioni dei diritti delle donne.
Sara' interessante anche discutere della questione del velo, che
personalmente non amo perche' non amo i simboli di appartenenza che oggi
sono purtroppo quasi sempre segni di delimitazione di territorio prossimo
allo scontro, e che nel caso delle donne hanno anche il valore aggiunto
della proprieta' e unicita' di possesso verso la parte maschile della
famiglia. Non a caso in Iran le donne rischiano la vita se non lo indossano,
e proprio la', da qualche giorno, ebrei, cristiani e altre minoranze etniche
e religiose devono contrassegnarsi con particolari simboli e colori. Vengono
i brividi se si fanno collegamenti con la storia di appena mezzo secolo
fa...
Forse la visione femminista e' rimasta l'unica davvero globale e meno
vincolata dalle ideologie, in grado di riposizionare le priorita' nel mondo,
dominato dall'odio spesso alimentato dalle appartenenze religiose, di razza,
di etnia, di enclave, di setta.
Chi ha pensato questo incontro ha fatto un percorso di liberazione dentro il
pensiero occidentale, certo, in una prospettiva che cerca di ispirarsi al
meglio di questo pensiero incarnato, per me, nelle lotte del cambiamento
delle suffragiste inglesi, delle partigiane come Lidia Menapace e Tina
Anselmi, delle pacifiste nordamericane come Rachel Corrie, delle donne in
nero come Morgantini e Stasa, solo per citare i primi nomi che mi vengono in
mente. Mi piacerebbe che questi esempi fossero da guida per le donne di
altre parti del mondo, cosi' come lo sono state per me, per moltissime di
noi. Penso che sia importante anche raccogliere l'invito che una musulmana,
lesbica e femminista come Irshad Manji rivolge prima di tutto ai credenti
musulmani, quando rilanciano a specchio la lotta contro i crociati: quando
abbiamo smesso di pensare? domanda lei. Per noi, forse, in parte iniziare a
rispondere puo' voler dire non aver paura di dire che il pensiero critico di
genere va applicato sempre e dovunque, lavando pubblicamente i nostri panni
e anche quelli degli altri: il bucato al fiume, almeno nelle nostre valli
liguri, era un momento di grande confronto e spazio libero per le donne.

5. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: PER UNA PACE GIUSTA TRA ISRAELE E
PALESTINA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
 di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato
da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e
di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Non e' facile, in questi tempi bui, parlare del dolore della Palestina,
nonostante la drammatica attualita'.
La nostra umanita', la nostra cultura, la nostra politica sono sconfitte
dagli eventi che ogni giorno di piu' insanguinano e sfigurano Gerusalemme,
Israele e la Palestina.
Le parole umane e di speranza riesce a trovarle, non a caso, un autorevole
intellettuale palestinese, ora parlamentare italiano, Ali Rashid, che in un
suo toccante articolo sulla situazione palestinese, pubblicato il 18 maggio
dal "Manifesto", in poche righe esprime tutto lo sdegno per una situazione
intollerabile e per i silenzi complici e vergognosi della politica
occidentale.
Da parte di Israele proseguono gli "omicidi mirati" di palestinesi;
dall'altra parte, si fa sempre piu' critica la crisi tra Al-Fatah del
presidente Abu Mazen e il movimento islamico Hamas al governo.
Da noi, puntualmente scoppia la polemica sull'antisemitismo di sinistra.
Tutto questo non fa fare un solo passo avanti alla possibilita' di costruire
una pace giusta fra Israele e Palestina.
Dovrebbe essere chiaro, oramai, che il voto palestinese del 25 gennaio ha
punito l'Autorita' nazionale palestinese (Anp), per la sua dilagante
corruzione e per i privilegi e gli abusi di un ceto politico estraniato
dalle masse e dai loro bisogni; mentre ha premiato Hamas per il posto che
occupa all'interno della societa' palestinese, specialmente per la sua
presenza nella vita collettiva e nella cura del sociale.
"... Ma soprattutto ha dato un senso all'esistenza di persone la cui
dignita' era stata calpestata e la cui vita era considerata insignificante e
senza valore. Ha infuso sicurezza a una generazione di giovani che ha visto
i genitori, umiliati dall'occupazione e dalla poverta', divenire l'ombra di
se stessi" (David Grossman).
Pensare di uscire da questa situazione puntando sull'embargo ed il
boicottaggio economico, che finisce per affamare un intero popolo, e' cosa
veramente strabiliante.
Quando dovrebbe essere chiaro, usando le parole dell'attuale ministro degli
esteri italiano (dal "Corriere della sera" del 29 gennaio 2006), che: "Cio'
che accade in Palestina e' anche una conseguenza dell'occupazione in Iraq.
Gli Stati Uniti e altri paesi europei, tra cui l'Italia, hanno infatti
pensato di combattere il terrorismo con la politica della guerra, delle
torture, delle uccisioni dei civili. Tutto questo ha purtroppo avuto
l'effetto di allargare le basi di massa del fondamentalismo islamico". Il
presidente diessino ora ministro ricorda anche le vittime palestinesi e
l'esistenza del muro.
Il "muro dell'apartheid" si presenta come il piu' grande furto di terre dal
1967 ad oggi, tanto che una volta completato (avra' una lunghezza di 650
chilometri), permettera' ad Israele di annettersi definitivamente il 60%
della Cisgiordania rendendo cosi' impossibile la nascita di uno stato
palestinese con una sua continuita' territoriale e quindi qualsiasi
soluzione negoziata del conflitto.
Restano rari i commenti che hanno collegato l'occupazione dei Territori
palestinesi da parte di Israele con la guerra e l'occupazione
anglo-americana dell'Iraq; e ancora piu' scarsi gli approfondimenti della
politica di guerra occidentale, che ora minaccia do travolgere l'Iran. Non
e' stata rilevata la portata mondiale di quella politica.
Infine, dovrebbe essere chiaro che criticare la politica del governo di
Israele non implica alcuna complicita' con atti criminali e terroristici e
con l'infame barbarie dell'antisemitismo.
In nome di che cosa c'e' questo vergognoso ed imbarazzante silenzio che
significa consenso, e in nome di quale principio qualche dotto del diritto
ci fa sapere che l'occidente deve essere comunque e sempre a fianco del
governo di Israele anche quando il governo di Israele sbaglia e mette a
repentaglio quello che l'occidente democratico dovrebbe rappresentare in
termini di diritto e legalita'?
Anche la sinistra europea, con la sua inconsistente leadership, ha le sue
non poche responsabilita', soprattutto quando ha, di fatto, messo sullo
stesso piano la vittima e l'aguzzino, l'occupato e l'occupante.
Dobbiamo percio' poter diffondere di nuovo la speranza per un futuro piu'
bello e meno squallido per la Palestina, per difendere un popolo che viene
calpestato nella sua dignita'; sperando che nel frattempo si svegli la parte
migliore della societa' israeliana e della comunita' internazionale. Perche'
la rivolta palestinese anche negli attentati e' una rivolta politica
disperata, che si puo' far cessare solo ricostituendo uno stato di giustizia
fra due nazioni, riconoscendo l'esistenza di due stati con reciproche e
ferme garanzie.

6. RIVISTE. "KESHET" DI GENNAIO-FEBBRAIO 2006
"Keshet. Vita e cultura ebraica" e' la bella rivista diretta da Bruno Segre
(per informazioni, contatti e richieste: e-mail: keshet at libero.it, sito:
www.keshet.it). Il fascicolo di gennaio-febbraio 2006 (anno IV, n. 1-2) e'
monografico e reca le relazioni del congresso della Federazione sionistica
italiana svoltosi a Roma nel febbraio 2004 (nel centenario della scomparsa
di Theodor Herzl) ed ulteriori contributi. Molti testi sono di estremo
interesse, e dell'intero fascicolo raccomandiamo vivamente la lettura.

7. RIEDIZIONI. ALESSANDRO MANZONI: OPERE
Alessandro Manzoni, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano
2006, due voll., il primo di pp. LXII + 666, ed il secondo di pp. CXXXVI +
546, euro 12,90 a volume (in suppl. a "Il sole 24 ore"). Dalla classica
Letteratura Italiana Ricciardi, il primo volume reca, con un'introduzione di
Riccardo Bacchelli, i Promessi sposi e la Storia della colonna infame, il
secondo - a cura di Romano Amerio - le Osservazioni sulla morale cattolica.
Devo confessarlo: ai tempi del ginnasio trovavo i Promessi sposi non di rado
prolisso e noioso, e nonostante Goethe e Lukacs ancora alla fine del liceo
lessi e rilessi il piu' di Manzoni per obbligo e non per piacere. Aggiungo
che in quanto militanti allora e sempre filoleopardiani ci sentivamo
altresi' in dovere di essere antimanzoniani (a un dipresso per le
contingentissime ragioni che illo tempore illustro' Timpanaro; ma fummo
anche, capitano di queste acrobazie del gusto, accesamente - accesi da
Cervantes e da De Sanctis e da Borges - filoariosteschi, e - per quegli
automatismi oppositivi propri dell'eta' verde e provetta - antitassiani,
finche' Fortini non ci rivelo' l'errore della nostra mania misotassesca).
Solo molti anni dopo tornammo a leggere e cominciammo a meglio intendere ed
amare Manzoni, e certo sara' anche perche' invecchiando si diventa
indulgenti, si vuole nuovamente sentire l'aroma della giovinezza cosi' come
si e' depositato nei libri che leggemmo allora, si desidera tornare a una
lingua che fu normativa quando alle lettere ci adddestravamo e che oggi
nessuno piu' parla, poffarbacco. Ma tutto cio' e' nulla: la verita' e' che
quella vicenda di poveracci lombardi che da giovani ci strappava l'applauso
solo a tratti nei pezzi di virtuosismo, oggi tutta ci pare un blocco
possente, come i romanzi di Svevo. Non solo: anche un libro che sfogliammo
per dovere in gioventu', quelle interminabili e interrotte - e a tratti
sconcertanti, e a tratti buffe - Osservazioni sulla morale cattolica, oggi
che ci siamo decisi a rileggerle cogliendo l'occasione di questa riedizione
che presenta il testo critico per le cure - amorevoli e parimenti rigorose
invero - di Romano Amerio, ci si rivela - a noi miseri ateisti da sempre
innamorati delle grandi teologie novecentesche - piu' appassionante di gran
parte della pubblicistica corrente, anche la piu' densa ed urgente. Chissa'
perche'.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1316 del 4 giugno 2006

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