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La nonviolenza e' in cammino. 1314
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1314
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 2 Jun 2006 00:09:44 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1314 del 2 giugno 2006 Sommario di questo numero: 1. Benito D'Ippolito: Dal mattino 2. Un appello inascoltato 3. Michele Di Schiena: Un "principato" da cancellare 4. Annamaria Rivera: Contro i fondamentalismi, e contro l'etnocentrismo 5. Alessandro Casellato: Alcune radici dell'oratoria civile di Piero Calamandrei 6. Riedizioni: Carlo Cattaneo, Opere 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: DAL MATTINO Poiche' il buon giorno si vede dal mattino cosi' si presenta anche il nuovo governo: facendo sfilare col passo dell'oca gli armigeri pronti ad uccidere ancora le armi puntate contro l'umanita'. 2. DOCUMENTAZIONE. UN APPELLO INASCOLTATO [Riproponiamo, con tutte le adesioni fin qui pervenute, l'appello per il 2 giugno festa della Costituzione, senza l'abusiva parata militare, scritto da Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) e sottoscritto da numerose persone] Signor Presidente della Repubblica, insieme ai nostri vivi auguri per il Suo alto compito, Le rivolgiamo una calda richiesta, che viene dal popolo della pace, di festeggiare il prossimo 2 giugno come vera festa della Costituzione, come festa del voto popolare che ha voluto la Repubblica e eletto la Costituente, e niente affatto come festa militare. Ammessa, per amore di dialogo, e non concessa la necessita' dell'esercito - che noi come tale discutiamo (tra esercito e polizia democratica la differenza e' essenziale, come tra la violenza e la forza, la forza omicida e la forza non omicida) - esso non e' assolutamente il simbolo piu' bello e vero della patria, non e' l'esibizione giusta per il giorno della festa della Repubblica: nell'ipotesi piu' benevola, e' soltanto una triste necessita'. La parata militare e' brutta tristezza e non e' festa. La parata delle armi non festeggia la vita e le istituzioni civili del popolo, non dimostra amicizia verso gli altri popoli, non e' saggezza politica. Non e' neppure un vero rispetto per chi, sotto le armi, ha perso la vita. Rispettando le diverse opinioni, e' un fatto inoppugnabile che l'esercito non ha avuto alcuna parte nell'evento storico del 2 giugno 1946, quando unico protagonista e' stato il popolo sovrano e l'azione democratica disarmata: il voto. Nella festa del 2 giugno l'esercito e' fuori luogo, occupa un posto che non e' suo. * Primi firmatari: Enrico Peyretti, Lidia Menapace, Anna Bravo, Giancarla Codrignani, Angela Dogliotti Marasso, Alberto L'Abate, Marco Revelli, Luigi Sonnenfeld, Gianguido Crovetti, Michela Vitturi, Patrizia Rossi, Alessandra Valle, Gennaro Varriale, Clara Reina, Enzo Arighi, Fabio Ragaini, Pasquale Pugliese, Nella Ginatempo, Stefano Longagnani, Martina Pignatti Morano, Ilaria Giglioli, Francesca Vidotto, Simone D'Alessandro, Carlo Corbellari, Franca Maria Bagnoli, Mario Signorelli, Lucia Ceccato, Nandino Capovilla, Maria G. Di Rienzo, Carlo Minnaja, Melo Franchina, Carmine Miccoli, Doriana Goracci, Mariagrazia Campari, Stefano Dall'Agata, Enea Sansi, Alfredo Izeta, Claudia Cernigoi, Michele de Pasquale, Antonio Sorrentino, Aldo e Brunella Zanchetta, Roberto Fogagnoli, Franco Borghi, Enza Longo, Annalisa Frisina, Alessandro Cicutto, Marcella Bravetti, Giuliana Beltrame, Giuliano Cora', Mariangela Casalucci, Mao Valpiana, Margherita Del Bene, Sergio Giorni, Claudia Marulo, Dario Cangelli, Carlo Ferraris, Danila Baldo, Gino Buratti, Marco Tarantini, Elisabetta Donini, Francesco Cappello, Donato Zoppo, Antonella Sapio, Franca Franchini, Franco Franchini, Francesco D'Antonio, Maurizio Campisi, Letizia Lanza, Adriana Mascoli, Francesco Boriosi, Agostino Regnicoli, Assunta Signorelli, Maria Edoarda Trillo', Giovanni Sarubbi, Angela Lostia, Antonia Sani, Lidia Maggi, Renzo Craighero, Antonio Campo, Franco Bardasi, Giancarlo Nonis, Maria Laura Massai, Piergiorgio Acquistapace, Maria Teresa Pellegrini Raho, Tiziano Tissino, Antonio Dargenio, Mirella Sartori, Pierpaolo Loi, Sergio Vergallito, Alessandra De Michele, Luisa Gissi, Margherita Moles, Bortolo Domenighini, Norma Bertullacelli, Giuseppe Pavan e Carla Galetto, Giorgio Grimaldi, Giovanni Santoruvo, Paolo Rosa', Sashinka Gorguinpour, Alidina Marchettini, Luca Bolognesi, Edoardo Daneo, Patrizia Parodi, Antonio Bianciardi, Francesco Pavanello, Riccardo Borgioli, Leila d'Angelo, Alberto Procaccini, Giorgio Gallo, Giuseppina Catalano, Pasquale Iannamorelli, Maria Rosaria Mariniello, Luigi Pirelli, Osvaldo Ercoli, Rodolfo Carpigo, Pierluigi Ontanetti, Bruno Fini, Marco A. Lion, Anna Maria Bruzzone, Massimo Dalla Giovanna, Bruno (Alberto) Simoni, Fabio Corazzina, Sofia Del Curto, Sandra Cangemi, Giuseppe Reitano, Katia Bouc, Lucilla Mancini, Giuliana Cupi, Tommaso Gamaleri, Alberta Pongiglione, Alessandro Gamaleri, Daniele Dalmazzo, Daniela Musumeci, Claudia Berton, Cristiano Rodighiero, Francesca Mele, Massimiliano Carra, Luciano Ghirardello, Irene Campari, Gianluca Carmosino, Evelina Savini, Maria Pia Simonetti, Giuliano Falco, Laura Picchi, Andrea Picchi, Marcella Fasciolo, Carlo Olivieri, Gabriele Aquilina e Elena Dall'Acqua, Carlo Schenone, Silvano Tartarini, Maria Stella Ruffini, Maurizio Berni, Agnese Manca, Elisabetta Badessi, Francesco Fiordaliso, Vito Correddu, Pierangelo Monti, Annamaria Rivera, Antonino Drago, Gianfranco Laccone, Michele Stragapede, Giacomo Grasso, Floriana Lipparini, Chiara Cavallaro, Albino Bizzotto, Marcello Storgato, Fabrizio Canaccini, Marta Giraudo, Flavia Neri, Giusi Lauro, Paola Bientinesi, Andrea Maggi, Marco Giubbani, Lucia Salemi, Marco Mamone Capria, Alberto Trevisan, Tiziana Bonora, Roberto Varone, Maria Luisa Paroni, Chiara Pedersoli, Eugenio Lenardon, Paola Vallatta, Davide Ballardini, Rosa Graziuso, Eleonora Parlanti, Antonio Ariberti, Simone Mantia, Francesca Vecera, Osvaldo Dino del Savio, Barbara Todaro, Costanza Vecera, Augusta De Piero, Renato Mirabile, Elena Malan, Ronal Mirabile, Dina Losi, Michele Gramazio, Franco Verderi, Giuseppe Gonella, Silvia Trombetta, Luca Giusti, Gigi Perrone, Silvia Vienni, Piero Coltelli, Margherita Granero, Roberta Ronchi, Ezio Bertaina, Rosaria Lombardi, Anna Culpo e Andrea Piazza, Andrea Montagner, Roberto Vignoli, Marneo Serenelli, Giuliano Pontara, Sara Michieletto, Elvio Arancio, Luisa Mondo, Carla Capella, Daniele Biagiotti, Attilio Aleotti, Gianpaolo D'Errico, Silva Falaschi, Antonio Versari, Daniele Vasta, Cristina Ferrando, Daniele Todesco, Renato Solmi, Alfredo Panerai, Giovanni Pellegrini Raho, Tarcisio Alessandrini, Francesco Lo Cascio, Pio Russo Krauss, Alberto Marcone, Tommasina Squadrito, Lucia Russo, Tiziano Cardosi, Maria Perino, Stefano De Guido, Vincenzo Dipierro, Fabiola Campillo, Guy Fontanella, Teresa Maria Sorrentino, Sante Gorini, Daniela Giammarco, Pina Garau, Roberta Consilvio, Gaetano Pascoletti, Isabella Sardella Bergamini, Carla Pellegrini Raho, Anna Maria Livierato, Franco Capelli, Beatrice Dolci, Giovanni Zardi, Maurizio Peresani, Donatella Cortellini, Mauro Venturini, Marisa Mantovani, Guido Cristini, Sergio Mandolesi, Cinzia Abramo, Simona Venturoli, Francesca Ortali, Simona Morello, Silvia Munari, Paolo Bertagnolli, Carla Guerra e Massimo Zesi, Carmine Ferrara, Maria Amalia Girardi, Antonio Giuffre', Dario Scarpati, Claudia Tessaro, Illia Martellini, Roberto Guelpa, Alessandro Pesci, Roberto Saba, Micol Dell'Oro, Gisella Bordet, Stefano Montani, Maria Pia Cortellessa, Giuliano Spinelli, Giovanni Mandorino, Antonio Peratoner, Susanna Neuhold, Alfredo Panerai, Stefano Mazzucco, Alessio Di Florio, Caterina Lusuardi, Graciela De La Vega, Giacomo Alessandroni, Mauro Migliazzi, Daniela Este, Davide Morano, Luca Paseri, Roberto Benvenuti, Renato Moschetti, Romano Martinis, Francesco Aroldi, Daniela Occelli, Modesta Colosso, Elena Cianci, Giorgio Beretta, Alessandra Principini, Silvia Giamberini, Luca Agnelli e Samuela Bozzoni, Claudio Dalla Mura, Elio Rindone, Giuliana Bertola Maero, Annamaria Pistoia, Paolo Brentegani, Manuel Marabese, Norma Bertullacelli, Laura Caradonna, Giovanni Russotto, Paolo Vitali, Tilde Giorgi, Andrea Maffei, Marino Renda, Daniele Oian, Pino Ficarelli, Cosimo Magnelli, Antonio Mancini, Fiorella Rambaudi, Cesira Lupo, Claudia Berlucchi, Fabrizio Bianchi, Lulu' Ortega Madrigal, Roberto Gallo, Fulvio Cesare Manara, Salvino Franchina, Davide Scaccianoce, Luca Kocci, Stefano Terzi e Stefania Vergnani, Giandomenico Potestio; Sara Panzeri, Antonella Litta, Giovanni Fiorentini, Stefano Barbacetto, Vittorio Di Munzio, Gabriella Grasso, Amedeo Tosi, Dorella Battistella, Radesca Dominguel, Marco Gorini, Roberta Peyrot, Simone Puggelli, Salvatore Nasca, Anna Castelnuovo e Elio Pianezzola, Barbara Tozzi, Rossana Montecchiani, Secondo Ferioli, Anna M. Guantario, Fiamma Negrini, Donatella Sacco, Igor Lazzarini, Pasquale De Sole, Luciano Militello, Alberto Giannini, Luca Villa, Giustina Diligenza, Gianfranco Frascione, Maria Margherita Gaetani di Laurenzana, Claudia Tessaro, Luisa Morgantini, Edoardo Nucci, Artusa Maria Antonietta, Angela Nucci, Patrizio E. Tressoldi, Mariella Lecchi, Giacomo Ambrosino, Mario Polizzi, Francesco Gana, Sergio Dalmasso, Annarita Cardarelli, Marina Martignone, Livio Miccoli, Paola Cotticelli, Nazzareno Gabrielli, Giuseppe Coscione, Maria Caterina Cifatte, Danilo Bernardi, Francesco Anselmo, Andrea Baglioni, Rosanna Burdisso, Fabiana Valpiani, Gianni Brianese, Sergio Parmentola, Ghirardotti Domenico, Fantino Luciano, Simone Hardt, Alberto Maria Milazzo, Giorgio Guzzetta e Cinzia Scicchitano, Paola Merlo, Gianni Alioti e Danila Orlando, Antonella Prota Giurleo, Emiliano Piredda, Mina Ria, Gianmario Campana e Claudia Aime, Angela Giuffrida, Giancarlo Saccani, Michele Citoni, Caterina Di Francesco, Silvia Buonamico, Celeste Grossi, Paola Barassi, Juri Bossuto, Alberto Deambrogio, Sergio Dalmasso, Gian Piero Clement, Matteo Salvai, Silvia Cazzaniga, Maria Ausilia (Lilli) Marinello, Eliseo Politi, Elisabetta Oliani, Ettore Miserocchi, Costanza Lerda, Lidia Nembrini, Emanuele Fantini, Alberto Camata, Silvia Moiraghi, Mauro Castagnaro, Stefania Dall'Aglio, Cristina Mocciola, Gaetano Bonifacio, Luigi Mazzocchio, Chiara Casella, Anna Del Piano, Valerio Oddone, Manuela Romano', Raffaella Grasso Salvadori, Stefano Jalla, Pierluigi Monaco, Teresa Ducci, Serena Valenti, Mauro Carlo Zanella, Alessandro Romani, Luciano Corradini, Guido Vaudetto, Graziella Bernabe', Dante Ferrari, Diego Coriasco, Davide Scaglianti, Rita Marturano, Alessandra Tebaldi e Flavio Pessina, Gian Francesco Azzali, Angelo Gandolfi, Andrea Cozzo, Natalina Marconato, Angelo Ballardini, Giuseppe Simoni, Antonella Valer, Adriana Gatti, Lorenza Erlicher, Alessandro Pistoia, Maria Rosaria Giovannelli, Elsa Bortot, Marilena Spataro, Guido Pelosi, Giuseppe Vergani, Luciano Rossi, Paolo Battistutti, Andrea Valdambrini, Agnese Ginocchio, Fulvio Bucci, Emilia Cavallini, Normanna Albertini, Mario Malandrone, Emilia Cavallini. Hanno aderito altresi' riviste e siti, associazioni e comitati, rappresentanze sindacali ed istituzionali (ma consistendo questa specifica iniziativa nell'invio di lettere al Presidente della Repubblica, nel darne notizia abbiamo qui costantemente segnalato le firme dei concreti esseri umani anziche' le sigle e le testate a nome e per conto di cui talvolta quelle lettere erano inviate). 3. RIFLESSIONE. MICHELE DI SCHIENA: UN "PRINCIPATO" DA CANCELLARE [Dalla newsletter di "A Sinistra. Movimento politico antiliberista e pacifista" di Brindisi (per contatti: e-mail: asinistra at email.it, sito: www.asinistra.net) riprendiamo il seguente intervento. Michele Di Schiena, presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, magistrato, giurista, impegnato per la legalita' costituzionale, la democrazia, la pace e i diritti umani] L'accumulo di spropositati poteri nelle mani del Primo Ministro (nuova denominazione del Presidente del Consiglio): e' questo l'impianto della riforma costituzionale di Berlusconi e Bossi che mina alla radice la forma di governo parlamentare disegnata dalla Costituzione del '48 ed intacca le basi della nostra democrazia. Un Primo Ministro che viene formalmente nominato dal Presidente della Repubblica "sulla base delle elezioni della Camera dei Deputati"; che per l'efficacia della sua investitura non deve piu' ottenere la fiducia delle Camere; che "determina" la politica del Governo senza alcun rapporto di collegialita' col Consiglio dei ministri; che nomina e revoca a suo piacimento i ministri "dirigendo" (e non piu' solo promuovendo e coordinando) l'attivita' dei ministri medesimi; che e' titolare esclusivo del potere di decidere la vita o la morte della Camera dei Deputati col conseguente suo scioglimento e col ricorso ad elezioni anticipate; che "puo' porre - cosi' tortuosamente si esprime il testo - la questione di fiducia e chiedere che la Camera dei Deputati si esprima, con priorita' su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo". Un Primo Ministro, quello della riforma, che all'inizio del mandato illustra il "programma di legislatura" alle Camere senza essere in alcun modo condizionato dalla loro valutazione perche' il Senato ascolta ma non puo' interloquire mentre la Camera dei Deputati e' chiamata dal primo comma del riformato art. 94 della Costituzione ad esprimersi in merito con un voto al quale la citata norma non collega alcuna conseguenza. Sicche', in caso di voto totalmente o parzialmente contrario, il Primo Ministro, salvo che - bonta' sua - non si senta moralmente obbligato a dimettersi o a modificare il programma nelle parti non condivise dalla Camera, puo' continuare tranquillamente a governare attuando un progetto politico rifiutato in tutto o in parte in sede parlamentare. Una mostruosita' costituzionale dovuta, da una parte, all'intento dei riformatori di attribuire al Primo Ministro il potere personale di decidere da solo il programma per l'intera legislatura e, dall'altra, all'ipocrisia di dare alla Camera il contentino di un voto degradato a semplice parere non vincolante. La riforma prevede - e' vero - che la Camera puo' in ogni momento mandare a casa il Primo Ministro con una mozione di sfiducia ma e' evidente che questa mozione non potrebbe mai avere ad oggetto, per non porsi in aperto contrasto col citato primo comma dell'art. 94, il complessivo "programma di legislatura" mentre resta gravissima, anche per la pericolosita' del suo disvalore simbolico, la scissione operata tra un possibile voto di disapprovazione del programma ed un'eventuale mozione di sfiducia successiva. * La riforma costituzionale sulla quale si svolgera' il referendum del 26 e 27 giugno introduce insomma una forma di governo definito "premierato assoluto" perche' attribuisce al Primo Ministro un vero e proprio "dominio" sul Parlamento che viene trasformato in un organo sostanzialmente esecutivo. Una sorta di "principato elettivo" che porta alle estreme conseguenze la personalizzazione della politica, che mortifica il ruolo del Parlamento e depotenzia le funzioni del Presidente della Repubblica, che crea una rischiosa frattura tra i principi di civilta' e gli obiettivi di progresso enunciati nella prima parte della Costituzione e gli strumenti operativi disciplinati dalla seconda parte dello Statuto per l'inadeguatezza dei secondi ad essere strumento al servizio dei primi che vengono invece, con le innovazioni introdotte, di fatto contraddetti e gravemente minacciati. * Quanto poi alla cosiddetta devolution, basta rilevare che essa realizza il "trionfo" della confusione dal momento che attribuisce alle Regioni la potesta' legislativa esclusiva su sanita', organizzazione scolastica e polizia locale dopo aver riservato alla legislazione esclusiva dello Stato le prestazioni del servizio sanitario nazionale, le norme generali sulla tutela della salute, le norme generali sull'istruzione e l'ordine pubblico con l'esclusione di una polizia amministrativa regionale di incerto significato. * Col referendum costituzionale non sono allora in gioco solo l'ordinamento e l'organizzazione della Repubblica ma anche i valori fondativi del patto costituzionale e quindi i diritti essenziali di ciascun cittadino. La Costituzione del '48 ha convertito lo Stato di diritto nello Stato sociale garantendo i diritti di liberta' contro indebite incursioni dei poteri pubblici ma sospingendo questi poteri ad attivarsi per promuovere lo sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei lavoratori alle scelte politiche, sociali ed economiche del Paese con la rimozione degli ostacoli che di fatto la impediscono. Ed ha disegnato uno Stato democratico rivolto ad elevare le condizioni di vita di tutti i cittadini con un'attenzione privilegiata alle fasce sociali piu' deboli. Uno Stato impegnato a servire la causa della pace e della collaborazione tra i popoli. Un progetto che ha purtroppo trovato finora solo parziali attuazioni e che deve essere portato avanti con ogni determinazione. Occorre percio' cancellare col prossimo referendum una riforma che puo' bloccare questo progetto ed aprire la strada a gravi processi involutivi. 4. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: CONTRO I FONDAMENTALISMI, E CONTRO L'ETNOCENTRISMO [Dal quotidiano "Liberazione" del 24 maggio 2006. Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it), antropologa, vive a Roma e insegna etnologia all'Universita' di Bari. Fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ha sempre cercato di coniugare lo studio e la ricerca con l'impegno sociale e politico. Attiva nei movimenti femminista, antirazzista e per la pace, si occupa, anche professionalmente, di temi attinenti. Al centro della sua ricerca, infatti, sono l'analisi delle molteplici forme di razzismo, l'indagine sui nodi e i problemi della societa' pluriculturale, la ricerca di modelli, strategie e pratiche di concittadinanza e convivenza fra eguali e diversi. Fra le opere di Annamaria Rivera piu' recenti: (con Gallissot e Kilani), L'imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli. Veli postcoloniali e retoriche sull'alterita', Dedalo, Bari 2005] Un convegno internazionale dedicato ai fondamentalismi religiosi e alla loro vocazione misogina, promosso da una rivista femminista, con un gran numero di voci femminili, le piu' variegate per provenienze ed appartenenze, e' certo un evento importante, da salutare con molto interesse. Ma l'inserto che ne anticipa i temi, ospitato nel numero piu' recente del supplemento del quotidiano "Liberazione"; "Queer", mi sembra faccia un po' torto alla ricchezza e complessita' promesse dal convegno. Anzitutto, poiche' una parte dei testi che lo compongono parlano del mondo musulmano, l'inserto reca ben quattro foto (su cinque) che ritraggono donne musulmane velate, cosa che potrebbe fortuitamente evocare la classica iconografia orientalista. Essendo il convegno dedicato ai fondamentalismi (al plurale), meglio sarebbe stato essere piu' esplicite, scongiurando il possibile malinteso per cui l'unico fondamentalismo contro il quale si punta il dito sia quello di matrice musulmana. Di conseguenza, si sarebbe potuto arricchire l'iconografia, per esempio, con le immagini di una monaca di clausura, di un'ebrea ultraortodossa, di fondamentalisti protestanti che assediano cliniche che praticano l'aborto... In secondo luogo, non e' necessario aver letto Frantz Fanon per sapere che corpi femminili svelati o denudati possono ugualmente significare subordinazione, appropriazione e dominazione delle donne. Invece si ricava l'impressione che, nell'economia dell'inserto, il "velo islamico" finisca per assurgere a simbolo esclusivo dell'oppressione delle donne esercitata dai fondamentalismi. Questa impressione esce alquanto corroborata dalla lettura di un articolo, quello a firma di Mimouma Hadjam, il quale contiene una frase lapidaria che ne sintetizza il senso: "Le donne velate sono un reale pericolo nei confronti di quelle che non lo sono". L'autrice, che non teme di apparire tranchante, non fa alcuna distinzione fra veli scelti e veli obbligati, fra veli religiosi e veli identitari, fra veli come costume e veli come simbolo, fra burqa e chador imposti da regimi oscurantisti o da poteri teocratici e certi foulard all'italiana o alla francese: per esempio, quello indossato per libera scelta da una rispettabile signora marocchina, allontanata da un asilo-nido italiano perche' "spaventava i bambini" o quello altrettanto liberamente scelto dalle cittadine francesi Alma e Lila Levy (si faccia attenzione al cognome). Speriamo che l'autrice in questione non proponga nel convegno genovese che l'Italia si doti di una legge proibizionista alla maniera francese. Certo, la questione centrale non e' quella del cosiddetto velo, e tuttavia e' un po' deludente che non si dia conto della pluralita' delle posizioni, anche in ambito femminista, intorno alla controversa legge francese. La quale ha messo in luce paradossi che chi s'interroghi sulla laicita' e sul ruolo delle religioni nelle societa' pluriculturali non puo' ignorare: la "liberta' femminile" e' da imporre alle donne con mezzi coercitivi? Il principio della laicita' puo' essere affermato al costo di quello della liberta' individuale? E' coerente con lo spirito del femminismo chiedere che siano punite con l'espulsione dalla scuola pubblica coloro che sono reputate vittime d'oppressione? Una ragazza velata non ha il diritto di apprendere il pluralismo, la tolleranza, la laicita' e lo spirito critico dalla scuola pubblica? Dovremmo guardarci dalle semplificazioni, perche' esse possono veicolare consapevoli o inconsapevoli legittimazioni dell'esclusivismo occidentale. E possono favorire la tendenza all'amalgama, la propensione ad assimilare migranti, islamismo, terrorismo, gia' ben consolidata nelle societa' europee. Sui muri torinesi campeggia in questi giorni un manifesto elettorale di stampo nazista: "Lista Immigrati-basta: la soluzione finale al problema islamico". Si tratta di una forma di razzismo estrema, certo, ma che si alimenta del senso comune fatto di diffidenza od ostilita' verso la "barbarie" che viene da lontano: un'affermazione assoluta come "le donne velate sono un pericolo" non rischia di legittimare questi sentimenti? A proposito di "barbarie": la coppia oppositiva barbarie/civilta' ricorre piu' volte nell'inserto ed e' presente nello stesso titolo dato al convegno genovese, "La liberta' delle donne e' civilta'", che qualche malevolo potrebbe fraintendere e tradurre come: "La civilta' occidentale e' il solo modello che garantisce la liberta' delle donne". Solo alcuni passaggi dell'inserto e una breve quanto apprezzabile premessa nell'articolo di Marieme Helie-Lucas sulla "Geopolitica dei fondamentalismi" sono riservati alla pluralita' dei fondamentalismi e delle loro matrici culturali e religiose, al loro radicamento nella tradizione occidentale, alle violente campagne contro l'aborto, contro la liberta' femminile, contro la teoria darwiniana, condotte dai teocons statunitensi. Opportuno sarebbe stato ricordare, fra l'altro, che la stessa categoria di fondamentalismo e' stata coniata per definire un fenomeno nato in seno alla Chiesa battista americana, dunque di squisita origine occidentale. Il senso di queste notazioni critiche non e' quello d'impartire una lezioncina accademica, ma di ricordare quali siano le poste in gioco, culturali e politiche, allorche' coraggiosamente si affronta il tema intricato e difficile dei fondamentalismi e della loro misoginia. Per essere piu' chiara: e' indubbio che una parte del femminismo, per fortuna non maggioritaria, ha un'inclinazione etnocentrica e muove dal presupposto che la liberazione delle donne s'identifichi con l'estensione e la piena applicazione del modello liberale, rappresentato come insidiato dal pluralismo culturale e dalla "barbarie" del mondo non-occidentale. Questo femminismo "debole" rinuncia alla vocazione, propria del pensiero femminista, a sottoporre a critica tutte le tradizioni, compresa quella occidentale. Finisce dunque per aderire al neutro-maschile-universale, abdicando al compito d'immaginare una universalita' sessuata, policentrica e transculturale. Sicuramente il bel convegno genovese sapra' sfuggire alle trappole dell'etnocentrismo e dell'"universalismo particolare". 5. MEMORIA. ALESSANDRO CASELLATO: ALCUNE RADICI DELL'ORATORIA CIVILE DI PIERO CALAMANDREI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 maggio 2006 riprendiamo il testo della sintesi della relazione di Alessandro Casellato al convegno svoltosi in quella data a Montepulciano su "I linguaggi della memoria civile" nell'ambito delle iniziative per il cinquantenario della morte di Piero Calamandrei. In una scheda di presentazione dell'iniziativa apparsa sul medesimo quotidiano si scrive: "Un appuntamento - promosso dal Comune della cittadina toscana con la facolta' di lettere di Siena e Arezzo e la Societa' storica poliziana - che prende spunto dal ritrovamento, nell'archivio famigliare, di un discorso mai pronunciato che Calamandrei aveva preparato il 20 settembre 1921, in occasione dell'apposizione nell'atrio del palazzo comunale della lapide in memoria dei caduti poliziani nella Grande Guerra. Un incontro che consentira' di approfondire le origini dell'oratoria civile di Calamandrei, che si sviluppera' soprattutto nel secondo dopoguerra a celebrare uomini e citta' della Resistenza, ma evidenziandone le radici gia' nella memoria della Grande Guerra e negli anni torbidi dell'ascesa del fascismo. Per l'occasione sara' anche presentato il libro La lapide della discordia. Orazioni sulla Grande Guerra. Montepulciano e Siena 1920-1923 - a cura della Societa' Storica Poliziana, con una introduzione di Silvia Calamandrei (Le Balze) -, che raccoglie quattro orazioni di Calamandrei che testimoniano del suo impegno a dare continuita' e memoria all'esperienza maturata nella Grande Guerra, a fianco dell'intensa attivita' come giurista e scrittore. Ad arricchire il convegno ci sara' anche la mostra delle illustrazioni di Salvatore Puglia a Futuro Postumo (Le Balze, 2004): due racconti di Calamandrei sulla scomparsa del genere umano a seguito della catastrofe nucleare. Ma il convegno permettera' soprattutto di proseguire il dibattito e le polemiche tra storici aperto dall'introduzione di Sergio Luzzatto alla riedizione di Uomini e citta' della Resistenza (Laterza). Con approfondimento e confronto di intepretazioni nei contributi in programma di Riccardo Pizzinelli, Alessandro Casellato (di cui anticipiamo la relazione), Mario Isnenghi, Mimmo Franzinelli, Nicola Labanca, Camillo Brezzi, Massimo Baioni, Sergio Luzzatto, Gianpasquale Santomassimo. Paolo Bagnoli, Roberto Barzanti, Gianni Resti e Massimo Raffaeli. Un'occasione resa ancor piu' importante perche' il richiamo di Calamandrei sui contenuti programmatici della Costituzione e sulla responsabilita' politica dei cittadini a difenderla e attuarla, onorando le speranze della lotta di liberazione mantiene tutta la sua attualita'. E' un ancoraggio forte su tematiche come l'indipendenza della magistratura e della Corte costituzionale e sul nesso tra prima e seconda parte della Costituzione, tra liberta' e diritti sociali. Il nome di Calamandrei torna con sempre maggior frequenza a essere citato in modo pertinente (dopo qualche tentativo maldestro di Bondi di inserirlo nel repertorio berlusconiano) e il suo pensiero circola nelle iniziative che celebrano la Costituente e informano i cittadini sui contenuti del prossimo referendum sulla Costituzione. Costituzione che nel suo stile 'chiaro, saldo e sequenziale, somiglia al giurista, scrittore e uomo politico Piero Calamandrei che non solo contribui' alla sua stesura ma incarno' l'anima laica e intransigente dell'Assemblea che, nel biennio '46-47, produsse la carta costituzionale', come ha scritto Massimo Raffaeli. Il cinquantenario dalla morte di Calamandrei coincide con un momento significativo della storia della nostra democrazia e offre occasioni di commemorazione non retoriche, di associazioni, scuole e comuni. Un filo comune di queste iniziative e' stato il video prodotto dall'Anpi di Cinisello Balsamo, a cura di Patrizia Rulli, che monta il discorso ai giovani del 1955 citato dal nuovo presidente della Camera Bertinotti, su immagini di repertorio dell'Istituto Luce e foto di Calamandrei, facendo irrompere la sua voce toscana, pacata ma con improvvisi scatti di gravita' ammonitoria ('E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, rimuovere gli ostacoli...') che marcano i punti salienti della nostra Carta". Ci sia consentito di aggiungere che dispiace che il quotidiano dimentichi il contributo dato da Piero Calamandrei e dalla sua rivista "Il ponte" alla promozione della nonviolenza. Alessandro Casellato (1971), storico, insegna all'Universita' di Venezia ed e' condirettore dell'Istituto per la storia della Resistenza e della societa' contemporanea della Marca trevigiana, fa parte della redazione della rivista "Venetica", si occupa di storia veneta in eta' contemporanea e delle tematiche inerenti la memoria e l'uso pubblico della storia. Tra le sue pubblicazioni: Una "piccola Russia". Un quartiere popolare di Treviso tra fine Ottocento e secondo dopoguerra, Verona 1998; Venetismi. Diario di un gruppo di studio sul Veneto contemporaneo 1997-1999, Verona 2000; "I sestieri popolari", in (Stuart Woolf e Mario Isnenghi , a cura di), Storia di Venezia. L'Ottocento e il Novecento, Roma, 2002. Piero Calamandrei, nato a Firenze nel 1889 ed ivi deceduto nel 1956, avvocato, giurista, docente universitario, antifascista limpido ed intransigente, dopo la Liberazione fu costituente e parlamentare, fondatore ed animatore della rivista "Il Ponte", impegnato nelle grandi lotte civili. Dal sito dell'Anpi di Roma (www.romacivica.net/anpiroma) riprendiamo la seguente notizia biografica su Piero Calamandrei: "Nato a Firenze nel 1889. Si laureo' in legge a Pisa nel 1912; nel 1915 fu nominato per concorso professore di procedura civile all'Universita' di Messina; nel 1918 fu chiamato all'Universita' di Modena, nel 1920 a quella di Siena e nel 1924 alla nuova Facolta' giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile. Partecipo' alla Grande Guerra come ufficiale volontario combattente nel 218mo reggimento di fanteria; ne usci' col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello. Subito dopo l'avvento del fascismo fece parte del consiglio direttivo dell'"Unione Nazionale" fondata da Giovanni Amendola. Durante il ventennio fascista fu uno dei pochi professori che non ebbe ne' chiese la tessera continuando sempre a far parte di movimenti clandestini. Collaboro' al "Non mollare", nel 1941 aderi' a "Giustizia e Liberta'" e nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d'Azione. Assieme a Francesco Carnelutti e a Enrico Redenti fu uno dei principali ispiratori dei Codice di procedura civile del 1940, dove trovarono formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali della scuola di Chiovenda. Si dimise da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che gli veniva richiesta dal Rettore del tempo. Nominato Rettore dell'Universita' di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicche' esercito' effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioe' dalla liberazione di Firenze, all'ottobre 1947. Presidente del Consiglio nazionale forense dal 1946 alla morte, fece parte della Consulta Nazionale e della Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipo' attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sugli accordi lateranensi, sulla indissolubilita' del matrimonio, sul potere giudiziario. Nel 1948 fu deputato per "Unita' socialista". Nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di "Unita' popolare" assieme a Ferruccio Parri, Tristano Codignola e altri. Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Universita' di Firenze, direttore con Carnelutti della "Rivista di diritto processuale", con Finzi, Lessona e Paoli della rivista "Il Foro toscano" e con Alessandro Levi del "Commentario sistematico della Costituzione italiana", nell'aprile del 1945 fondo' la rivista politico-letteraria "Il Ponte". Mori' a Firenze nel 1956". Tra le opere di Piero Calamandrei segnaliamo particolarmente Uomini e citta' della Resistenza, edito nel 1955 e successivamente ristampato da Laterza, Roma-Bari 1977, poi riproposto da Linea d'ombra, Milano 1994, e nuovamente ripubblicato da Laterza recentemente] "Piero Calamandrei nacque come scrittore politico nel 1944, a cinquantacinque anni". Con queste parole, esattamente quarant'anni fa, Norberto Bobbio apri' la sua introduzione agli Scritti e discorsi politici di Calamandrei. Oggi questo giudizio non puo' che starci stretto. Abbiamo, rispetto ad allora, nuovi documenti su cui riflettere e una diversa idea di politica in cui collocarli. E forse oggi - a cinquant'anni dalla morte - ci e' anche possibile intrattenere un rapporto diverso con il grande giurista che fu per dieci anni - quelli cruciali, perche' fondativi - il massimo sacerdote della religione repubblicana. Il mito di Piero Calamandrei, a dire il vero, e' tuttora vivo e operante. Le reazioni con cui e' stata accolta dagli addetti ai lavori l'introduzione un po' iconoclasta di Sergio Luzzatto alla nuova edizione di Uomini e citta' della Resistenza (Laterza) ne e' una prova. Ma anche a livello diffuso, nelle citta', nelle associazioni, nei comitati per la difesa della Costituzione, nei dibattiti suscitati dal referendum imminente, Calamandrei sembra tornato a nuova vita. Eppure, per non bloccarlo in un'icona astratta, pare giunto il momento di farlo passare dal mito alla storia. Cominciamo allora col dire che Piero Calamandrei - fiorentino, classe 1889 - respira politica sin da giovanissimo, se non in fasce, certo in famiglia: assimila una tradizione culturale dall'esempio del padre e del nonno, uomini di legge, laici e repubblicani, cultori della patria e del Risorgimento, devoti a Mazzini e Carducci. Ma e' in un'altra famiglia elettiva che il giovane Piero trova il suo primo gruppo di affinita'. "Il Giornalino della domenica" viene fondato da Luigi Bertelli - Vamba e' il nome d'arte - nel 1906, a Firenze. E' un settimanale per bambini, di prim'ordine: basti dire che sulle sue pagine esce a puntate un capolavoro della letteratura per l'infanzia come Gian Burrasca. Ma e' anche qualcosa di piu'. Opera - di fatto - come un soggetto politico, come un foglio militante, che si rivolge ai giovanissimi per mobilitarli in senso patriottico. Veicola un ambizioso progetto di rieducazione nazionale. Fa politica proprio mentre critica i politicanti, i partiti, i compromessi dell'Italia giolittiana che sembra aver perso il legame morale con la stagione alta del Risorgimento. Con Vamba, Piero ha un rapporto particolare, quasi di devozione e figliolanza spirituale. Sul suo "Giornalino", mentre e' ancora studente universitario, comincia a pubblicare poesie e apologhi. Sono testi apparentemente impolitici e fanciulleschi, ma si inseriscono senza scarti in quel contesto molto connotato. Affrontano spesso il tema della morte. Una morte strana, laica e bambina: ne sono protagonisti fanciulle e fanciulli chiamati a farvi i conti in un mondo ormai secolarizzato, tutto immanente e senza aldila'. Facile vederci, col senno di poi, la premonizione dell'immane catastrofe in arrivo che falcidiera' proprio gran parte di quei giovani che il "Giornalino" aveva formato e che imporra' a tutti di fare i conti con le aporie di cotanta mortifera modernita'. Vamba condurra' fisicamente i suoi ragazzi in prima linea e maturera' gia' nel corso del conflitto l'idea di eternare la memoria di coloro che erano caduti in un martirologio che ricollegasse il loro sacrificio a quello dei grandi nomi del Risorgimento. E' dunque in questo ambiente culturale che Piero fa il suo apprendistato letterario e si apre alla vita adulta; ad esso attingera' per trovare chiavi di lettura capaci di elaborare prima il significato, poi la memoria, della guerra che nel giro di pochi anni si sarebbe materializzata. La Grande Guerra rappresenta per Piero - e per quel segmento della sua generazione che ha ricevuto lo stesso imprinting - un evento atteso, preparato, voluto. La realta' superera' l'immaginazione e le fonti che abbiamo oggi integralmente a disposizione - le lettere alla fidanzata, poi moglie, Ada Cocci - si rivelano preziose per cogliere la dialettica tra posizioni pubbliche e privati turbamenti che si svolge nella sua coscienza. Ma la guerra sara' in ogni caso per lui un tornante decisivo, un momento di crescita e autorivelazione, di vera e propria scoperta di se' e delle proprie vocazioni. Al fronte, ufficiale dell'esercito, sperimenta l'arte del comando all'interno di un organismo complesso e in rapida trasformazione. Impara a conoscere gli uomini, il loro animo, incontra i contadini e gli operai, cioe' le masse popolari da cui la vita civile e la cultura prebellica lo avevano tenuto lontano. Si scopre brillante avvocato nei tribunali militari e capace organizzatore culturale nei servizi di propaganda. Fa le sue prime prove come oratore, prima mitografo delle ragioni della guerra e poi organizzatore della sua memoria. E' dunque nell'intorno della Grande Guerra che comincia a costruire la sintassi della sua prosa civile, a definire un repertorio di temi e immagini, uno stile e un timbro inconfondibili. E li trae, in gran parte, proprio dalla tradizione giornalinesca, nostalgica e commemorante, in cui si era formato. Per tutta la sua vita Calamandrei leggera' quella guerra - che per la nostra sensibilita' attuale non rappresenta che l'esordio della modernita' nella sua dimensione piu' crudele - con lo sguardo ottocentesco di chi ne fa invece il coronamento del Risorgimento. Ancora a distanza di anni, permarra' ben ferma in lui l'idea di aver combattuto una guerra giusta, razionale, risolutiva; ne parlera' e scrivera' sempre come se fosse stata non una tragedia, ma un'epopea. Anche questo non e' un tratto solo individuale, ma largamente generazionale, e sarebbe quanto meno anacronistico giudicarlo esclusivamente sulla base della consapevolezza e dei disincanti del presente. Eppure non si puo' eludere la domanda sulla lunga durata di questa memoria collettiva nella nostra storia nazionale. Una memoria che certo si e' andata esaurendo tra gli anni '60 e '70, per il fisiologico venir meno di coloro che l'avevano incarnata, oltre che per l'emergere di una contromemoria - essa stessa generazionale - che ne ha contestato l'egemonia. Ma si e' dimostrata comunque capace di scorrere e informare di se' altre stagioni, altri capitoli della storia italiana. Fino a ricomparire, in anni recenti, di fronte alla crisi del sistema politico e all'appannamento dell'identita' nazionale, quale unica grande narrazione unificante, spendibile e presentabile. La prefazione che il presidente Ciampi ha concesso alla riedizione di Uomini e citta' della Resistenza non e' che un tassello della sua opera di restaurazione di una religione civile che alla poetica di Calamandrei si e' largamente ispirata. D'altronde, e' la stessa biografia di Calamandrei che consente di interpretare questa continuita' di ispirazioni e di linguaggi capace di legare in un unico filo le guerre degli italiani dal Risorgimento alla Grande Guerra e poi alla Resistenza. Il fascismo - si noti - in questa rappresentazione scompare; e il buco nero della memoria collettiva coincide non a caso con il lungo inabissamento dello stesso Calamandrei dalla scena politica, negli anni del regime. Nel 1944, quindi, Calamandrei, non nasce, ma tutt'al piu' ri-nasce alla politica. E lo fa portandosi dietro - apparentemente intatto - tutto il suo bagaglio di parole, di miti, di figure poetiche con cui andra' a costruire la "nuova" religione civile dell'Italia repubblicana. E' un'esperienza davvero straniante rileggere - con la consapevolezza di cio' che stava in quel bagaglio - il famoso Discorso sulla Costituzione del 1955, all'Umanitaria di Milano, che pochi giorni fa Fausto Bertinotti ha richiamato nell'atto del suo insediamento alla presidenza della Camera. Sembra la riscrittura dei discorsi fatti piu' di trent'anni prima, nell'altro dopoguerra. Le matrici culturali sono identiche, gli espedienti retorici gli stessi. Persino gli aneddoti ricorrono uguali, come quello dell'emigrante in mezzo all'oceano in tempesta che si disinteressa della sorte della nave, sostenendo di non esserne il proprietario, e rischiando cosi' di finire a fondo con essa: Calamandrei lo riferisce ai ragazzi che ha ora di fronte per convincerli a interessarsi della politica, come aveva fatto nel '18 per convincerne altri a fare la guerra. E i parallelismi continuano. Negli articoli della Costituzione sente le voci lontane di Mazzini e Garibaldi, di Cavour, Cattaneo e Beccaria, mescolate alle voci recenti dei giovani morti partigiani, proprio come a suo tempo aveva sentito le voci di altre schiere di morti levarsi dai campi di battaglia dallo Stelvio a Monfalcone. E se nel '21 aveva invitato le nuove generazioni "nate troppo tardi" a recarsi in pellegrinaggio sul Carso e sul Piave, ora le sprona ad andare sui monti, nelle carceri, nei campi di concentramento. Nel 1920 aveva chiesto agli studenti senesi di non tradire e farsi carico del sacrificio di cinquecentomila morti; nel 1955 chiede agli studenti milanesi di ricevere nelle loro mani e far vivere la Costituzione come "testamento di centomila morti". Morti - si badi bene - in Russia e in Africa, per le strade di Milano e di Firenze: accostati come se fossero tutti martiri - consapevoli o meno, prima e dopo l'8 settembre 1943 - di un significato che li sovrasta. La commozione che questo discorso e' in grado ancora oggi di suscitare in chi lo ascolta (come e' possibile fare, nella versione originale con la voce di Calamandrei) non dovrebbe esimerci dal riflettere sui significati che esso veicola, e la gratitudine che in molti nutriamo per il suo autore, e ancor piu' per le persone cui egli tributa un riconoscimento, non dovrebbe impedirci di valutare criticamente i meriti ma anche i limiti di quella tradizione culturale. Non basta qui distinguere - come e' pur doveroso fare - tra storia e memoria, dando spazio alla funzione critica della prima per contenere la portata emotiva della seconda. Troppo difficile e impoverente sarebbe, in ogni caso, fare a meno di memoria, sia come individui che come collettivita'; e persino l'oblio - a guardar bene - sarebbe una forma attiva di memoria. Sandro Portelli, nel suo mirabile libro sulle Fosse Ardeatine (Donzelli, 1999), si chiedeva se "avremo mai parole laiche e civili per designare questi fondatori della nostra coscienza, parole che non li consegnino, col solo nominarli, alla bandiera e al crocifisso, alle Chiese e agli Eserciti, delegati permanenti all'amministrazione della morte". Calamandrei ha cercato in piu' fasi della propria vita di dare una risposta a simili interrogativi. Per questo lo sentiamo maestro e compagno, anche quando ce ne distacchiamo. A noi tocca avviare il lavoro di memoria laica e consapevole su di lui e sulla religione civile che e' il suo lascito piu' cospicuo. Cioe' scegliere non se ricordare, ma come ricordare; valutare secondo quali modalita' istituire la relazione sempre cangiante tra presente e passato, tra generazioni che si avvicendano, e anche tra noi e i nostri morti, cosi' che sia possibile onorarli e rispettarli, ma senza restarne schiacciati ne' intrappolati. 6. RIEDIZIONI. CARLO CATTANEO: OPERE Carlo Cattaneo, Opere, Biblioteca Treccani - Il Sole 24 ore, Milano 2006, pp. XLIV + 624, euro 12,90 (in suppl. a "Il sole 24 ore"). Dalla classica Letteratura Italiana Ricciardi una selezione delle opere di Cattaneo a cura di Ernesto Sestan. Carlo Cattaneo e' forse l'autore della tradizione di pensiero politico italiana da vent'anni piu' citato e meno letto. E invece, come ci insegno' tanti anni fa Norberto Bobbio, metterebbe conto di sproloquiarne di meno e studiarlo di piu', giacche' molto ancora ha da insegnare: sul piano del metodo, delle proposte, e della testimonianza. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1314 del 2 giugno 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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