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La nonviolenza e' in cammino. 1305
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1305
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 24 May 2006 00:31:28 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1305 del 24 maggio 2006 Sommario di questo numero: 1. Giuliano Pontara: Con Rita Borsellino 2. Per un 2 giugno di pace e legalita' costituzionale 3. "La politica prenda il posto delle armi. Basta con la parata militare, basta con le missioni militari" 4. Umberto Santino: Voci per un dizionario antimafia: Cosa nostra 5. Luciano Benini: Un impegno comune contro la minaccia nucleare 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GIULIANO PONTARA: CON RITA BORSELLINO [Ringraziamo Giuliano Pontara (per contatti: giuliano.pontara at philosophy.su.se) per questo intervento. Giuliano Pontara e' uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello internazionale, riproduciamo di seguito una breve notizia biografica gia' apparsa in passato sul nostro notiziario (e nuovamente ringraziamo di tutto cuore Giuliano Pontara per avercela messa a disposizione): "Giuliano Pontara e' nato a Cles (Trento) il 7 settembre 1932. In seguito a forti dubbi sulla eticita' del servizio militare, alla fine del 1952 lascia l'Italia per la Svezia dove poi ha sempre vissuto. Ha insegnato Filosofia pratica per oltre trent'anni all'Istituto di filosofia dell'Universita' di Stoccolma. E' in pensione dal 1997. Negli ultimi quindici anni Pontara ha anche insegnato come professore a contratto in varie universita' italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento. Pontara e' uno dei fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace (Iupip) - Universita' Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace (Unip), con sede a Rovereto (Tn), e dal 1994 al 2004 e' stato coordinatore del Comitato scientifico della stessa e direttore dei corsi. Dirige per le Edizioni Gruppo Abele la collana "Alternative", una serie di agili libri sui grandi temi della pace. E' membro del Tribunale permanente dei popoli fondato da Lelio Basso e in tale qualita' e' stato membro della giuria nelle sessioni del Tribunale sulla violazione dei diritti in Tibet (Strasburgo 1992), sul diritto di asilo in Europa (Berlino 1994), e sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia (sessioni di Berna 1995, come presidente della giuria, e sessione di Barcellona 1996). Pontara ha pubblicato libri e saggi su una molteplicita' di temi di etica pratica e teorica, metaetica e filosofia politica. E' stato uno dei primi ad introdurre in Italia la "Peace Research" e la conoscenza sistematica del pensiero etico-politico del Mahatma Gandhi. Ha pubblicato in italiano, inglese e svedese, ed alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo e francese. Tra i suoi lavori figurano: Etik, politik, revolution: en inledning och ett stallningstagande (Etica, politica, rivoluzione: una introduzione e una presa di posizione), in G. Pontara (a cura di), Etik, Politik, Revolution, Bo Cavefors Forlag, Staffanstorp 1971, 2 voll., vol. I, pp. 11-70; Se il fine giustifichi i mezzi, Il Mulino, Bologna 1974; The Concept of Violence, Journal of Peace Research , XV, 1, 1978, pp. 19-32; Neocontrattualismo, socialismo e giustizia internazionale, in N. Bobbio, G. Pontara, S. Veca, Crisi della democrazia e neocontrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 55-102; tr. spagnola, Crisis de la democracia, Ariel, Barcelona 1985; Utilitaristerna, in Samhallsvetenskapens klassiker, a cura di M. Bertilsson, B. Hansson, Studentlitteratur, Lund 1988, pp. 100-144; International Charity or International Justice?, in Democracy State and Justice, ed. by. D. Sainsbury, Almqvist & Wiksell International, Stockholm 1988, pp. 179-93; Filosofia pratica, Il Saggiatore, Milano 1988; Antigone o Creonte. Etica e politica nell'era atomica, Editori Riuniti, Roma 1990; Etica e generazioni future, Laterza, Bari 1995; tr. spagnola, Etica y generationes futuras, Ariel, Barcelona 1996; La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996; Breviario per un'etica quotidiana, Pratiche, Milano 1998; Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, LIV, n. 10, ottobre 1998, pp. 35-49. E' autore delle voci Gandhismo, Nonviolenza, Pace (ricerca scientifica sulla), Utilitarismo, in Dizionario di politica, seconda edizione, Utet, Torino 1983, 1990 (poi anche Tea, Milano 1990, 1992). E' pure autore delle voci Gandhi, Non-violence, Violence, in Dictionnaire de philosophie morale, Presses Universitaires de France, Paris 1996, seconda edizione 1998. Per Einaudi Pontara ha curato una vasta silloge di scritti di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, nuova edizione, Torino 1996, cui ha premesso un ampio studio su Il pensiero etico-politico di Gandhi, pp. IX-CLXI". Una piu' ampia bibliografia degli scritti di Giuliano Pontara (che comprende circa cento titoli) puo' essere letta nel n. 380 de "La nonviolenza e' in cammino". Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino assassinato dalla mafia, e' da molti anni insieme a don Luigi Ciotti la principale animatrice dell'associazione "Libera", la principale rete dei movimenti della societa' civile impegnati contro la mafia. Per coordinare e diffondere le informazioni sulla campagna a sostegno della candidatura di Rita Borsellino a presidente della Regione Sicilia e' attivo il sito: www.ritapresidente.it] Ho conosciuto un po' piu' da vicino la Sicilia quando, negli anni Sessanta-Settanta, in qualita' di membro del comitato che si era creato in Svezia a sostegno di Danilo Dolci, andai piu' volte a trovarlo e seguire per brevi periodi il lavoro sociale e educativo che, assieme ad alcuni bravissimi giovani collaboratori, da anni svolgeva a Trappeto, Roccamema, Partinico, Palermo e le inchieste che andava conducendo sulle misere condizioni sociali dei ceti piu' poveri della popolazione locale. Si parlava molto con la gente dei forti connubi tra mafia e politica, sia a livello locale sia a livello nazionale, dell'alto tasso di violenza, armata e strutturale, nell'isola, della grande corruzione che viziava il sistema politico locale, della piaga del clientelismo, della compravendita dei voti, delle costruzioni di strade e altre opere pubbliche iniziate in tempi di elezioni e poi lasciate li' a meta', in attesa di essere eventualmente riprese al prossimo turno elettorale, ma anche delle lotte contadine per la terra contro il latifondismo assenteista, della lunga schiera di sindacalisti uccisi negli anni precedenti dalla mafia, della necessita' di sovvertire il sistema di omerta', non soltanto come momento essenziale di lotta civile contro la mafia, ma anche come presupposto necessario per il buon funzionamento delle istituzioni democratiche. Oggi, come allora, sono piu' che mai essenziali quelle esigenze di "ricostruzione partecipata della democrazia", di potenziamento di una "trama non corrotta della vita civile e politica ", di "chiudere una storia di dipendenza, di clientelismo, di mafia, di mancanza di autonomia e legalita'", di coinvolgimento delle giovani generazioni, di intesa tra uomini e donne delle piu' diverse tendenze ma accomunati dall'impegno su alcuni essenziali valori, di "politiche di pace nel Mediterraneo" - tutte esigenze messe in primo piano nel nutrito, ambizioso e molto impegnativo "Programma partecipato" con cui Rita Borsellino si presenta come candidata alla Presidenza della Regione Sicilia. Sostengo con convinzione la candidatura di Rita Borsellino e le auguro di venire eletta con l'ampio appoggio popolare che ben si merita. 2. APPELLI. PER UN 2 GIUGNO DI PACE E LEGALITA' COSTITUZIONALE [Presentiamo ancora l'appello per il 2 giugno festa della Costituzione, senza l'abusiva parata militare, scritto da Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) e sottoscritto gia' da numerose persone. Per esigenze di spazio non riportiamo oggi le adesioni pervenute] Signor Presidente della Repubblica, insieme ai nostri vivi auguri per il Suo alto compito, Le rivolgiamo una calda richiesta, che viene dal popolo della pace, di festeggiare il prossimo 2 giugno come vera festa della Costituzione, come festa del voto popolare che ha voluto la Repubblica e eletto la Costituente, e niente affatto come festa militare. Ammessa, per amore di dialogo, e non concessa la necessita' dell'esercito - che noi come tale discutiamo (tra esercito e polizia democratica la differenza e' essenziale, come tra la violenza e la forza, la forza omicida e la forza non omicida) - esso non e' assolutamente il simbolo piu' bello e vero della patria, non e' l'esibizione giusta per il giorno della festa della Repubblica: nell'ipotesi piu' benevola, e' soltanto una triste necessita'. La parata militare e' brutta tristezza e non e' festa. La parata delle armi non festeggia la vita e le istituzioni civili del popolo, non dimostra amicizia verso gli altri popoli, non e' saggezza politica. Non e' neppure un vero rispetto per chi, sotto le armi, ha perso la vita. Rispettando le diverse opinioni, e' un fatto inoppugnabile che l'esercito non ha avuto alcuna parte nell'evento storico del 2 giugno 1946, quando unico protagonista e' stato il popolo sovrano e l'azione democratica disarmata: il voto. Nella festa del 2 giugno l'esercito e' fuori luogo, occupa un posto che non e' suo. * Per aderire all'iniziativa: scrivere lettere recanti il testo dell'appello al Presidente della Repubblica (all'indirizzo di posta elettronica: presidenza.repubblica at quirinale.it, ricordando che si deve firmare con il proprio nome, cognome e indirizzo completo, altrimenti le lettere non vengono prese in considerazione), e comunicare a "La nonviolenza e' in cammino" (e-mail: nbawac at tin.it) di avere scritto al Presidente. 3. DOCUMENTAZIONE. "LA POLITICA PRENDA IL POSTO DELLE ARMI. BASTA CON LA PARATA MILITARE, BASTA CON LE MISSIONI MILITARI" [Da varie persone amiche riceviamo il seguente appello sottoscritto dall'Arci e da decine e decine di associazioni di varia natura e da varie personalita'. Appello in cui non compare mai la parola nonviolenza - forse per stoltamente compiacere alcune strutture che ad esso hanno aderito e che in passato piu' volte hanno dimostrato la loro subalternita' a una scellerata tradizione militarista, violentista e totalitaria: e basta questo per rendere ambiguo e vano tutto il resto. Se non si fa la scelta della nonviolenza non solo non si contrasta la guerra, ma si resta complici della sua logica (peppe sini)] Associazioni, movimenti, reti, sindacati, singole cittadine e cittadini hanno lanciato un appello per chiedere al nuovo Governo un netto segnale di discontinuita' con il passato. Il rispetto dell'articolo 11 della Costituzione, il ripudio della guerra, l'affermazione di una cultura di pace, di giustizia e convivenza, devono diventare il cuore dell'azione del governo in politica estera. Di seguito il testo dell'appello, con le richieste avanzate al Governo e l'elenco delle prime adesioni. * La politica prenda il posto delle armi. Basta con la parata militare, basta con le missioni militari. Il 2 giugno l'Italia celebra la Repubblica, nata dalla Resistenza e fondata sulla Costituzione. Entro il 30 giugno il nuovo Parlamento dovra' votare sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero. La Costituzione Italiana e i diritti sociali che garantisce a tutti i cittadini e le cittadine sono sotto attacco. Il ripudio della guerra da essa sancito e' stato stracciato dai precedenti governi, che hanno trascinato il paese in guerre e occupazioni. Siamo tutti impegnati a respingere gli attacchi alla Costituzione votando no al referendum costituzionale del 25-26 giugno, e a difendere l'articolo 11. Noi chiediamo al Presidente della Repubblica e al Governo che sta per insediarsi di sospendere la parata militare prevista per il 2 giugno. Il pianeta e' attraversato da guerre, violenze, barbarie inaudite che ci impongono ogni giorno vittime e sofferenza. Enormi risorse sono sperperate in armamenti, mentre la poverta' aumenta ovunque. Il diritto a vivere in pace e dignita' spetta a tutti gli esseri umani. Non vogliamo l'esaltazione degli eserciti, ma la fine di qualsiasi logica militare e militarista; la diffusione di una cultura di pace, di giustizia e di convivenza. Chiediamo al nuovo Governo e al nuovo Parlamento di iniziare la legislatura dando un segnale forte di inversione culturale rispetto alla militarizzazione della societa' e della politica: si smetta di coprire il ruolo delle forze armate impegnate in operazioni di guerra e in occupazioni con la maschera degli interventi umanitari e di peace-keeping. Il lavoro umanitario e per la pace condotto quotidianamente da migliaia e migliaia di civili impegnati in operazioni di soccorso e di prevenzione dei conflitti non ha nulla a che fare con le armi e con gli eserciti. E' urgente che l'Italia separi le proprie responsabilita' dall'occupazione illegale dell'Iraq e dalla guerra permanente e si impegni con una forte iniziativa diplomatica per ristabilire sovranita', pace e convivenza nell'area. E' urgente che si pronunci contro qualsiasi intervento militare contro l'Iran, si impegni per un piano generale di disarmo nucleare, per la fine dell'occupazione in Palestina e una pace giusta in Medio Oriente. Chiediamo che non siano rifinanziate le missioni in Iraq e in Afghanistan, che si ritirino immediatamente i soldati italiani, ridiscutendo tutte le missioni militari italiane all'estero. La politica prenda il posto delle armi. L'Italia costruisca la pace con la pace. Per questo ci impegniamo a mobilitazioni diffuse il 2 giugno, che verranno decise citta' per citta', e prepariamo da subito la mobilitazione sotto il Parlamento, con delegazioni nazionali, in occasione del voto sul rifinanziamento delle missioni militari che si terra' prima della fine di giugno. * Per adesioni: Raffaella Bolini, e-mail: bolini at arci.it 4. RIFLESSIONE. UMBERTO SANTINO: VOCI PER UN DIZIONARIO ANTIMAFIA: COSA NOSTRA [Dal sito del Centro Impastato (per contatti: via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo il seguente testo pubblicato su "Narcomafie", n. 3, marzo 2004. Umberto Santino ha fondato e dirige il Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo. Da decenni e' uno dei militanti democratici piu' impegnati contro la mafia ed i suoi complici. E' uno dei massimi studiosi a livello internazionale di questioni concernenti i poteri criminali, i mercati illegali, i rapporti tra economia, politica e criminalita'. Tra le opere di Umberto Santino: (a cura di), L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1989; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, La violenza programmata. Omicidi e guerre di mafia a Palermo dagli anni '60 ad oggi, Franco Angeli, Milano 1989; Umberto Santino, Giovanni La Fiura, L'impresa mafiosa. Dall'Italia agli Stati Uniti, Franco Angeli, Milano 1990; Giorgio Chinnici, Umberto Santino, Giovanni La Fiura, Ugo Adragna, Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, Franco Angeli, Milano 1992 (seconda edizione); Umberto Santino e Giovanni La Fiura, Dietro la droga. Economie di sopravvivenza, imprese criminali, azioni di guerra, progetti di sviluppo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993; La borghesia mafiosa, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia come soggetto politico, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Casa Europa. Contro le mafie, per l'ambiente, per lo sviluppo, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1995; Sicilia 102. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dal 1893 al 1994, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1995; La democrazia bloccata. La strage di Portella della Ginestra e l'emarginazione delle sinistre, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Oltre la legalita'. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1997; L'alleanza e il compromesso. Mafia e politica dai tempi di Lima e Andreotti ai giorni nostri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 1997; Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, Roma 2000; La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. Su Umberto Santino cfr. la bibliografia ragionata "Contro la mafia. Una breve rassegna di alcuni lavori di Umberto Santino" apparsa su questo stesso foglio nei nn. 931-934] Che i mafiosi usino denominare l'associazione segreta di cui fanno parte "Cosa Nostra" e' un'acquisizione recente, derivante dalle dichiarazioni di mafiosi collaboratori di giustizia, e in particolare di Tommaso Buscetta. Deponendo davanti a Giovanni Falcone Buscetta cosi' delineava la struttura portante dell'organizzazione: "La denominazione 'Mafia' e' una creazione letteraria, mentre i veri mafiosi sono semplicemente chiamati 'uomini d'onore', ognuno di essi fa parte di una 'borgata' (questo nella citta' di Palermo perche' nei piccoli centri l'organizzazione mafiosa prende nome dal centro stesso) ed e' membro di una "'famiglia'. "In seno alla famiglia vi sono: 'il capo', eletto dagli uomini d'onore. Egli, a sua volta, nomina 'il sottocapo', uno o piu' consiglieri (se, pero' la famiglia e' vasta, anche i consiglieri sono eletti, in numero non superiore a tre), e 'i capidecina'. Il capo della famiglia viene chiamato 'rappresentante' della famiglia stessa. "Al di sopra delle famiglie e con funzioni di coordinamento, esiste una struttura collegiale, chiamata 'commissione', composta da membri, ciascuno dei quali rappresenta tre famiglie territorialmente contigue. Trattasi di uno dei capi delle tre famiglie, designato dai capi delle stesse. I membri dalla commissione, ai miei tempi, duravano nella carica per tre anni, ma non so se tuttora vengono rispettate queste regole. Attualmente, la profonda degenerazione dei principi ispiratori della mafia, ha portato come conseguenza che queste regole vengono rispettate solo formalmente, perche' nella realta' la 'commissione' e' lo strumento attraverso cui colui o coloro che dominano impongono la loro volonta'. "Nel suo insieme, questa organizzazione si chiama 'Cosa Nostra', cosi' come negli U.S.A." (Tribunale di Palermo 1984, pp. 4-5). Le rivelazioni di Buscetta per un verso costituiscono una sorta di depositum fidei della tradizione di Cosa Nostra, per un altro sono un atto di accusa delle degenerazioni che avrebbero prodotto i corleonesi con la loro inesauribile sete di potere e di sangue. A prescindere dal nome, che costituisce una novita', tutti gli aspetti che concorrono a formare l'immagine compiuta di Cosa Nostra com'e' stata ricostruita attraverso le dichiarazioni di vari mafiosi collaboratori di giustizia si ritrovano quasi identici risalendo indietro nel tempo. La cerimonia iniziatica presenta varianti secondarie (il dito da cui viene fatto sgorgare un po' di sangue, a volte e' il pollice destro, a volte l'indice o il medio di una mano imprecisata, l'indice della destra, un dito qualsiasi, o quello con cui si spara), ma c'e' sempre la punciuta, come pure l'immagine sacra che viene bruciata. Anche il giuramento ha qualche variante ma sostanzialmente la formula, quando e' riportata, ribadisce l'irrevocabilita' del vincolo contratto con il patto di sangue. Cosi' giurano i neofiti della Fratellanza di Girgenti nel 1884: "Giuro sul mio onore di essere fedele alla fratellanza, come la fratellanza e' fedele con me, e come si brucia questa santa e questi pochi gocci del mio sangue, cosi' versero' tutto il mio sangue per la fratellanza, e come non puo' tornare questa cenere nel proprio stato e questo sangue un'altra volta nel proprio stato, cosi' non posso rilasciare la fratellanza". Cosi' giura il medico Melchiorre Allegra nel 1916: "Giuro di essere fedele ai miei fratelli, di non tradirli mai, di aiutarli sempre, e se cosi' non fosse, io possa bruciare e disperdermi, come si disperde questa immagine che si consuma in cenere". E questo e' sinteticamente il giuramento di Buscetta nel 1948: "Le mie carni devono bruciare come questa 'santina' se non manterro' fede al giuramento" (in Gambetta 1992, pp. 367-369). La cerimonia di iniziazione che prevede alcuni passaggi obbligati (il candidato dev'essere presentato da parte di un membro anziano dell'associazione, al nuovo arrivato vengono rivelate l'esistenza dell'organizzazione e le sue regole, il novizio deve scegliersi un padrino che pratichera' il taglietto sul dito, la pronuncia della formula del giuramento) vuole avere la pregnanza simbolica di un battesimo, con precisi riferimenti alla liturgia cattolica, con l'uso di un'immagine sacra, prima cosparsa del sangue sprizzato dal dito del novizio e poi bruciata tra le sue mani. Evidente poi la valenza simbolica del sangue: e' una sorta di rinascita rituale, da' vita a una nuova parentela tra i consociati e contiene un preciso riferimento alla punizione che spetta a chi tradisce il patto consociativo (Paoli 2000, p. 81). Dice il "pentito" Antonino Calderone, ricordando la sua cerimonia di iniziazione: "Col sangue si entra e col sangue si esce da Cosa Nostra! Lo vedrete da voi, tra poco, com'e' che si entra col sangue. E se uscite, uscite col sangue perche' vi ammazzano" (in Arlacchi 1992, pp. 57-58). Con l'iniziazione il novizio acquista lo status di "uomo d'onore" che dura tutta la vita: l'ammissione a Cosa Nostra "impegna quell'individuo per tutta la vita. Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Ne' mafiosi" (Falcone e Padovani 1991, p. 97). L'enfasi posta su questi aspetti sacrali non puo' far dimenticare che si tratta di una associazione criminale, il cui scopo e' la commissione di delitti, dall'estorsione all'omicidio, mentre l'immagine di se' che danno i mafiosi, almeno i vecchi mafiosi, e' ben diversa. Dice Buscetta, ricordando quel che dicevano i suoi antichi maestri che lo hanno iniziato ai segreti di Cosa Nostra: "Mi hanno detto che essa era nata per difendere i deboli dai soprusi dei potenti e per affermare i valori dell'amicizia, della famiglia, del rispetto della parola data, della solidarieta' e dell'omerta'. In una parola, il senso dell'onore" (in Arlacchi 1994, p. 11). Da qui ai Beati Paoli, i mitici vendicatori di torti, il passo e' breve. Cosa Nostra sarebbe nata perche' mancava la giustizia pubblica, per difendere la Sicilia vessata in mille modi: "Perche' noi siciliani ci siamo sentiti trascurati, abbandonati dai governi stranieri e anche da quello di Roma. Cosa Nostra, per questo, faceva la legge nell'isola al posto dello Stato. L'ha fatto in diverse epoche storiche, anche quando non si chiamava Cosa Nostra. Io so che una volta essa si chiamava 'I Carbonari', poi si e' chiamata 'I Beati Paoli' e solo in un terzo momento 'Cosa Nostra'" (ibidem, pp. 15-16). Siamo nel pieno del mito apologetico, condito di leggende e di stereotipi. Non e' da escludere che la nascita delle associazioni mafiose sia stata stimolata da un contesto in cui l'associazionismo segreto era abbastanza diffuso, con la presenza di soggetti come la Carboneria e la Massoneria, e le sollevazioni popolari in Sicilia durante l'Ottocento vedono fianco a fianco vari attori, tra cui le nascenti o gia' consolidate associazioni mafiose. Come pure le squadre popolari che agiscono nelle rivolte del XVIII e del XIX secolo hanno una doppia anima: uno spirito di ribellione che portera' alla nascita dei movimenti popolari in lotta per il cambiamento e un'esigenza di mobilita' sociale che portera' anche all'arruolamento nei gruppi mafiosi (Santino 2000, p. 136). Ma da questo a dire che c'e' una linea diretta tra Carbonari e Cosa Nostra, tramite i Beati Paoli, ci corre. Come abbiamo visto un motivo ricorrente e' quello dell'onore. In cosa consiste l'onore dei mafiosi? Per Franchetti il mafioso e' "un uomo che sa far rispettare i suoi diritti, astrazion fatta dai mezzi che adopera a questo fine" (Franchetti 1993, p. 97) e "il modo piu' efficace per farsi rispettare in buona parte di Sicilia e' l'esser in fama di aver commesso qualche omicidio" (ibidem, p. 36). Piu' recentemente Vincenzo Marsala, figlio del capomafia di Vicari in provincia di Palermo, ha dichiarato che "il prestigio all'interno della famiglia si raggiunge soprattutto con la consumazione di omicidi, nel senso che questo e' il banco di prova nel quale si dimostra la valentia dell'uomo d'onore. In tal caso si dice che trattasi di una persona che 'vale'. E piu' importante e' l'omicidio che viene commesso, piu' si innalza il prestigio del mafioso" (in Paoli, 2000, p. 91). L'abilita' nell'uso della violenza ha un ruolo decisivo nello status di "uomo d'onore". Che poi nel codice onorifico mafioso abbiano un peso altri fattori, per esempio la capacita' di preservare la verginita' e la castita' delle donne, questo piu' che essere una specificita' dell'organizzazione mafiosa rientra nel codice comportamentale su cui si fonda la societa' agro-pastorale mediterranea (Schneider 1987). C'e' da chiedersi come e perche' questi "valori" entrino a far parte del bagaglio del mafioso. Si potrebbe rispondere che i membri dell'associazione criminale per coprire i loro misfatti introiettano, o manipolano, regole comportamentali delle societa' in cui agiscono, al solo scopo di darsi un'immagine di rispettabilita'. Ma una spiegazione in termini solo utilitaristici e strumentali e' insoddisfacente non tenendo conto che si e' formato un codice culturale mafioso, in cui convivono aspetti diversi e contraddittori. Buscetta e' stato discriminato per le sue frequentazioni femminili ed esempi recenti dimostrano che ci sono ancora mafiosi che hanno dell'onore una concezione del tipo di quella descritta precedentemente, intesa all'osservanza della morale sessuale delle donne. Nel gennaio del 2003 l'anziano capomafia dell'Acquasanta di Palermo Antonino Pipitone e' stato accusato, in seguito alla rivelazioni di alcuni "pentiti", di aver fatto uccidere nel 1983 la figlia Rosalia per punirla di una relazione extraconiugale, fingendo che si trattasse di una rapina. Questa visione legata alla tradizione etica cristiano-cattolica in materia di comportamenti sessuali convive con una pratica che considera l'omicidio un diritto-dovere dell'affiliato e ne fa il pilastro portante del codice onorifico. E va sottolineato che l'omicidio e' sempre in agguato, anche quando si tratta di uccidere donne o bambini. * Dal questore Sangiorgi a Cosa Nostra Anche l'esistenza della struttura organizzativa risalirebbe lontano nel tempo. Scriveva nel novembre del 1898 il questore di Palermo Ermanno Sangiorgi: "L'agro palermitano di cui particolarmente mi occupo con la presente relazione, e' purtroppo funestato, come altre parti di questa e delle finitime provincie, da una vasta associazione di malfattori, organizzati in sezioni, divisi in gruppi: ogni gruppo e' regolato da un capo, che chiamasi capo-rione, e, secondo il numero dei componenti e la estensione territoriale, su cui debba svolgersi la propria azione, a questo capo-rione viene aggiunto un sottocapo, incaricato di sostituirlo nei casi di assenza o di altro impedimento. E a questa compagnia di malviventi e' preposto un capo supremo. La scelta dei capi-rione e' fatta dagli affiliati, quella del capo supremo, dai capi-rione riuniti in assemblea, riunioni che sono ordinariamente tenute in campagna. Scopo dell'associazione e' quello di prepotere, e quindi di imporre ai proprietari dei fondi, i castaldi, i guardiani, la mano d'opera, le gabelle, i prezzi per la vendita degli agrumi e degli altri prodotti del suolo" (Sangiorgi 1898, pp. 9-10). L'associazione era divisa in otto gruppi insediati nelle borgate a ovest della citta': Piana dei Colli, Acquasanta, Falde, Malaspina, Uditore, Passo di Rigano, Perpignano, Olivuzza. Le altre cosche disseminate dalla zona sud-est fino al mare (Pagliarelli, S. Maria di Gesu', Ciaculli, Villabate) non pare facessero parte del coordinamento, come pure non sembra sufficientemente documentata l'estensione dell'associazione su scala provinciale (Lupo 1988, pp. 466-467). La tesi di Sangiorgi era decisamente controcorrente. Se si toglie un testo di Augusto Schneegans, console dell'impero tedesco in Sicilia, che nel 1890 pubblica un libro in cui sostiene che la mafia e' una "societa' segreta", "uno Stato nello Stato" (Schneegans 1890, 1990), la convinzione piu' diffusa era che possono esserci cosche, sodalizi criminali in vari luoghi, ma non ci sono ne' "regole fisse" ne' "gerarchia prestabilita" (Alongi 1977, p. 49). La visione della mafia delineata nei rapporti del questore palermitano, che pero' non ha retto al vaglio giudiziario (il processo del 1901 si concluse con molte assoluzioni e lievi condanne), e' la piu' vicina a quella ricostruita attraverso le dichiarazioni dei pentiti dagli anni '80 in poi. Come abbiamo visto nella mafia palermitana degli ultimi anni dell'Ottocento e nei primi del Novecento le cariche sono elettive e questa tradizione avrebbe resistito al passare degli anni e sarebbe stata archiviata dall'avvento al potere dei corleonesi. "La mafia e' un organismo democratico, uno dei piu' importanti organismi democratici" dichiara il "pentito" Leonardo Messina che esalta il ruolo della famiglia mafiosa e ridimensiona il ruolo del capo: "Il capo viene eletto dalla base e non e' vero che abbia un'immagine cosi' rilevante: l'epicentro di tutto e' la famiglia, il capo ne e' solo il rappresentante. E' sempre la famiglia che decide, il capo viene votato dalla base, dagli uomini d'onore" (in Paoli 2000, p. 43) ed elettivi sono pure i membri della commissione provinciale. Ci troveremmo di fronte a una struttura fondata sulla democrazia diretta, in cui almeno sulla carta preoccupazione costante sarebbe stata quella di evitare la concentrazione dei poteri. Fino agli anni '50 del XX secolo il coordinamento tra i gruppi della provincia di Palermo sarebbe stato assicurato da rapporti informali e solo nel 1957 si sarebbe istituzionalizzata la cosiddetta "commissione provinciale". Buscetta riferisce che sarebbe stato il boss siculo-americano Joe Bonanno a suggerire di creare un organo di coordinamento simile a quello adottato da La Cosa Nostra americana negli anni '30, come strumento di moderazione e di pace interna (in Arlacchi 1994, pp. 65-66). Rispetto alla proposta di Bonanno furono apportati dei cambiamenti: invece di una sola commissione come negli Stati Uniti, furono costituite piu' commissioni, una per ogni provincia in cui era presente Cosa Nostra, e venne costituita una struttura intermedia, il mandamento, una circoscrizione che comprendeva il territorio di tre famiglie contigue, con un capo che, almeno fino a un certo punto, non fosse capo di una delle famiglie, per evitare che favorisse la famiglia di appartenenza. Sempre a dire di Buscetta, alla commissione di Palermo si decise di nominare semplici "soldati" e non capifamiglia o consiglieri: "Volevamo evitare che troppo potere si concentrasse nelle mani delle stesse persone. Consideravamo inoltre il fatto che la distanza tra un uomo d'onore soldato e uno consigliere, rappresentante o vicerappresentante, in Sicilia non era mai stata molto grande. Appartenere a Cosa Nostra implicava l'essere uomini d'onore: questa era la base di tutto. Si potevano poi inventare gerarchie, cariche, commissioni, ma all'interno di una famiglia si respirava un'aria di uguaglianza perche' tutti sentivamo di far parte di una elite molto speciale" (ibidem, pp. 69-70). La proposta non piace a tutti e si arriva a un compromesso; della commissione palermitana faranno parte dodici soldati e quattro capifamiglia (ibidem, p. 71). Solo a meta' degli anni '70 si sarebbe formata una "commissione interprovinciale" formata dai rappresentanti di sei provincie, ad esclusione di Messina, Siracusa e Ragusa, dove non c'erano uomini di Cosa Nostra. Anche qui, nel progetto originario presentato dal capomafia di Catania Pippo Calderone, si voleva evitare la concentrazione dei poteri, con un caporegione, chiamato segretario, che doveva essere, solo un primus inter pares. L'irruzione dei corleonesi, ben presto sboccata nella guerra aperta, avrebbe travolto questi principi e imposto un regime dittatoriale, monocratico, a una sorta di repubblica confederale fondata sull'uguaglianza dei membri e sulla rappresentanza democratica. In effetti con la guerra di mafia dei primi anni '80 la vecchia commissione viene decimata e si forma un nuovo organismo composto da rappresentanti schierati con i vincitori. La dittatura dei corleonesi tiene in piedi l'organismo collegiale ma esso e' totalmente egemonizzato da Riina e dai suoi alleati. Gia' prima dell'esplosione della guerra di mafia, la struttura di Cosa Nostra aveva subito delle modifiche in gran parte legate alla gestione del traffico di stupefacenti: la divisione in famiglie non operava piu', ognuno poteva associarsi con chi voleva e si rendeva necessario il ricorso ad esterni. A dire di Buscetta, il denaro avrebbe corrotto tutto e tutti e i principi ispiratori di Cosa Nostra sarebbero stati travolti. Se la radice di questa "degenerazione" va ricercata nel traffico di droga, addossare le responsabilita' ai corleonesi non corrisponde alla realta', dato che essi avevano un ruolo secondario rispetto ai Bontate e ai Badalamenti. Quest'ultimo mantiene il suo ruolo anche dopo essere stato "posato", cioe' espulso dall'organizzazione (Santino 1992, p. 122). I corleonesi piu' che di un processo di modernizzazione, per adeguare l'organizzazione ai nuovi compiti criminali, sono portatori di un surplus di violenza che all'interno mira all'occupazione delle posizioni di potere mentre all'esterno vuole abbattere gli ostacoli che il processo di espansione delle attivita' incontra e condizionare le dinamiche socio-politiche. Il ricorso massiccio alla violenza e i piu' eclatanti delitti esterni (dall'assassinio di Dalla Chiesa alle stragi del '92 e del '93) produrranno effetti boomerang, innescando la reazione delle istituzioni che infliggera' gravi colpi all'organizzazione Cosa Nostra, con l'arresto e la condanna di centinaia di affiliati. * Il segreto: confidenti e collaboratori Cosa Nostra e' un'associazione segreta e i suoi affiliati sono tenuti a rispettare la legge del silenzio (omerta') ma negli ultimi vent'anni l'omerta' e' stata platealmente violata da centinaia di mafiosi collaboratori di giustizia. Negli anni '80 ha cominciato ad assumere sempre maggiore consistenza il fenomeno del pentitismo: i primi collaboratori della giustizia sono stati soggetti esterni a Cosa Nostra, legati soprattutto al traffico di droghe, poi con Buscetta e Contorno si e' aperta la stagione dei capi e gregari che facevano ricorso alla giustizia rivelando i segreti dell'organizzazione. Piu' che di un vero e proprio pentimento, fondato su ragioni etiche (il caso di Leonardo Vitale, che nel 1973 si presento' spontaneamente alla squadra mobile di Palermo per fare una serie di rivelazioni e doveva finire rinchiuso in manicomio criminale e cadere ucciso nel dicembre del 1984, rimane almeno per lungo tempo un caso unico), si e' trattato di una crisi della cultura mafiosa indotta dallo straripare della violenza interna. La collaborazione con la giustizia nei termini in cui si e' configurata negli ultimi decenni e' una novita' ma in passato non era rara la pratica di passare informazioni confidenziali alla polizia. Spesso ci troviamo di fronte a rapporti cosi' circostanziati (e' il caso dei rapporti del questore Sangiorgi) che non possono non farci pensare all'uso di indicazioni provenienti dall'interno del mondo mafioso. Solo che, a differenza di quanto e' avvenuto con le dichiarazioni dei collaboratori, le fonti confidenziali non potevano essere citate in dibattimento e cio' spiega il fallimento di inchieste antiche e recenti. Per fare fronte all'emorragia dei "pentiti" Cosa Nostra ha fatto ricorso per lunghi anni alla violenza, colpendo parenti esterni al mondo mafioso; piu' recentemente si e' avviata una pratica di recupero all'interno di un mutamento strategico fondato sull'attenuazione della violenza. * Il quadro attuale Per la mafia degli ultimi anni si parla di mafia "sommersa" o "invisibile", la cui caratteristica piu' evidente e' la rinuncia ai delitti eclatanti. La struttura organizzativa ha subito una significativa torsione per ammortizzare i colpi ricevuti, procedere alle sostituzioni con la cautela necessaria per evitare defezioni e mantenere un alto livello di segretezza. Il capo dei capi sarebbe Bernardo Provenzano, la cui latitanza ha superato i quarant'anni, che sarebbe affiancato da un direttorio ristretto. Provenzano mirerebbe a una pacificazione tra l'ala "stragista" e quella "moderata" e a una ricostruzione della struttura organizzativa attraverso un reclutamento piu' rigoroso, limitato a soggetti appartenenti a famiglie di tradizione mafiosa, e una rigida compartimentazione. La strategia di rilancio fa perno sul controllo del territorio, con il ricorso massiccio al prelievo estorsivo riducendo l'ammontare delle somme richieste (pagare meno, pagare tutti). Nel frattempo i capi detenuti hanno piu' volte fatto sentire la loro voce ricorrendo anche a forme inedite. Nel marzo 2002 il boss Pietro Aglieri indirizza una lettera al procuratore generale antimafia e al procuratore di Palermo, di cui la stampa ha pubblicato ampi stralci, in cui esclude che possano essere "strade percorribili" la collaborazione e la dissociazione e propone l'apertura di un "confronto aperto e leale" con lo Stato per "trovare soluzioni intelligenti e concrete che producano veramente dei frutti positivi" ("La Repubblica" 18 aprile 2002; Dino 2002, p. 281). Nel luglio dello stesso anno Leoluca Bagarella durante un'udienza legge una "petizione" a nome anche di altri detenuti in cui dichiarano di essere "stanchi di essere strumentalizzati... dalle varie forze politiche" e di avere iniziato una "protesta civile e pacifica" contro le proroghe del 41 bis. Seguono due lettere di detenuti sottoposti al carcere duro, tra cui il capomafia Giuseppe Graviano, in cui si dichiara che dalla protesta "pacifica e civile" dello sciopero della fame, se non sara' abolito il 41 bis, passeranno "a forme piu' drastiche". Accusano gli "avvocati meridionali" eletti al Parlamento che prima deprecavano il 41 bis ma ora non dicono una parola contro di esso. Il 22 dicembre allo stadio di Palermo compare uno striscione con la scritta: "Uniti contro il 41 bis. Berlusconi dimentica la Sicilia" ("Narcomafie" 2002, 2003). Con la legge 23 dicembre 2002, n. 279, il 41 bis e' entrato definitivamente nel nostro ordinamento e i mafiosi detenuti non ci stanno a rassegnarsi al carcere a vita e alle restrizioni del carcere duro, richiamano esplicitamente o implicitamente patti non onorati e promesse non mantenute (dall'abolizione dell'ergastolo alla revisione dei processi), ma le minacce non hanno avuto seguito. Un decennio di pax mafiosa non vuol dire che Cosa Nostra abbia deposto definitivamente le armi. I segnali inviati dagli stragisti detenuti potrebbero essere le avvisaglie di una ripresa della conflittualita' interna e di una nuova offensiva rivolta contro uomini delle istituzioni. * Riferimenti bibliografici - Alongi Giuseppe, La maffia, Sellerio, Palermo 1977. - Arlacchi Pino, Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone, Mondadori, Milano 1992; Addio Cosa Nostra. La vita di Tommaso Buscetta, Rizzoli, Milano 1994. - Dino Alessandra, Mutazioni. Etnografia del mondo di Cosa Nostra, La Zisa, Palermo 2002. - Falcone Giovanni in collaborazione con Padovani Marcelle, Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1991. - Franchetti Leopoldo, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Donzelli, Roma 1993. - Gambetta Diego, La mafia siciliana. Un'industria della protezione privata, Einaudi, Torino 1992. - Lupo Salvatore, Il tenebroso sodalizio. Un rapporto sulla mafia palermitana di fine Ottocento, in "Studi storici", 1988, n. 2, pp. 463-489. - "Narcomafie", n. 10, ottobre 2002, Cronologia luglio 2002, pp. 60-61; n. 3, marzo 2003, Cronologia dicembre 2002, p. 67. - Paoli Letizia, Fratelli di mafia. Cosa Nostra e 'Ndrangheta, il Mulino, Bologna 2000. - Sangiorgi Ermanno, Rapporto dell'8 novembre 1898, in Archivio centrale dello Stato, fondo Ministero degli Interni, Direzione generale di Ps, atti speciali (1898-1940), busta 1, fasc. 1, pp. 9-10. - Santino Umberto, La cosa e il nome. Materiali per lo studio dei fenomeni premafiosi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; Mafia e maxiprocesso: dalla "supplenza" alla "crisi della giustizia", in AA. VV., Gabbie vuote. Processi per omicidio a Palermo dal 1983 al maxiprocesso, F. Angeli, Milano 1992, pp. 97-178. - Schneegans Augusto, La Sicilia nella natura, nella storia e nella vita, Barbera, Firenze 1890, ristampato da Edizioni Giada, Palermo 1990. - Schneider Jane, La vigilanza delle vergini, La Luna, Palermo 1987. - Tribunale di Palermo, Ufficio istruzione processi penali, giudice istruttore Giovanni Falcone, Processo verbale di interrogatorio dell'imputato Buscetta Tommaso, Palermo 1984. 5. RIFLESSIONE. LUCIANO BENINI: UN IMPEGNO COMUNE CONTRO LA MINACCIA NUCLEARE [Ringraziamo Luciano Benini (per contatti: luciano.benini at tin.it) per questo intervento. Luciano Benini, gia' presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir-Ifor), da sempre impegnato in molte attivita' e iniziative di pace e di solidarieta', e' una delle persone piu' prestigiose dei movimenti nonviolenti in Italia. Alessandro Zanotelli (per contatti: alex.zanotelli at peacelink.it), missionario comboniano, ha diretto per anni la rivista "Nigrizia" conducendo inchieste sugli aiuti e sulla vendita delle armi del governo italiano ai paesi del Sud del mondo, scontrandosi con il potere politico, economico e militare italiano: rimosso dall'incarico e' tornato in Africa a condividere per molti anni vita e speranze dei poveri, solo recentemente e' tornato in Italia; e' direttore responsabile della rivista "Mosaico di pace" promossa da Pax Christi; e' tra i promotori della "rete di Lilliput" ed e' una delle voci piu' prestigiose della nonviolenza nel nostro paese. Tra le opere di Alessandro Zanotelli: La morte promessa. Armi, droga e fame nel terzo mondo, Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia, Publiprint, Trento 1988; I poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno 1996; Leggere l'impero. Il potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana, Molfetta 1996; Sulle strade di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita, Emi, Bologna 1998; Ti no ses mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La solidarieta' di Dio, Emi, Bologna 2000; R...esistenza e dialogo, Emi, Bologna 2001; (con Pietro Ingrao), Non ci sto!, Piero Manni, Lecce 2003; (con Mario Lancisi), Fa' strada ai poveri senza farti strada. Don Milani, il Vangelo e la poverta' nel mondo d'oggi, Emi, Bologna 2003; Nel cuore del sistema: quale missione? Emi, Bologna 2003; Korogocho, Feltrinelli, Milano 2003. Opere su Alessandro Zanotelli: Mario Lancisi, Alex Zanotelli. Sfida alla globalizzazione, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2003] Va preso molto sul serio l'appello di Alex Zanotelli sul pericolo di una guerra nucleare in Iran. Alex si rivolge direttamente ai movimenti di cui faccio parte da decenni (Mir, Movimento Nonviolento, Pax Christi...): proprio la storia di questi movimenti sta li' a dire che non si puo' entrare nel sottile gioco della "guerra no, ma ...". Il no alla guerra, e alla sua preparazione, o e' senza se e senza ma o diventa sempre possibile trovare una giustificazione plausibile. Quanto all'allarme atomico, il bollettino degli scienziati atomici americani riporta in copertina, ormai dagli anni '50, le lancette dell'orologio che con la loro distanza dalla mezzanotte ci indicano quanto siamo vicini o lontani dal pericolo della guerra nucleare. Non so che ora indichi l'ultimo numero della rivista, ma certo ormai da molto tempo il rischio che corriamo e' grande. Noi, movimenti nonviolenti, tutti i giorni lavoriamo, parliamo, scriviamo, facciamo scelte contro la guerra e la sua preparazione, gli eserciti e le spese militari. Certo, sono importanti anche i gesti simbolici, le scelte forti (penso al carissimo amico Turi Vaccaro), ma credo occorra scavare in profondita' tutti i giorni per estirpare, dal cuore dell'essere umano e dalle scelte politiche, ogni idea che la violenza possa servire a risolvere qualcosa. Quando negli anni '70 dicevamo che c'era una profonda connessione fra nucelare civile e nucleare militare, e che imboccare la strada dell'"atomo pacifico" avrebbe aperto le porte alle armi nucleari, non venivamo ascoltati. Oggi l'Iran, che naviga nel petrolio e che potrebbe impostare il proprio futuro sul sole, sceglie il nucleare. E gli Stati Uniti, che hanno decine di centrali nucleari e centinaia di migliaia di bombe nucleari, si ergono a paladini della non proliferazione. Ciascuno di noi continui e rafforzi il suo impegno nonviolento. Lo faccia Alex, e facciamolo tutti noi cristiani, nei confronti di una Chiesa che sembra preoccupata di tante cose ma non di cio' che veramente, come diceva l'indimenticabile teologo Bernhard Haering, puo' insidiare il seme dell'uomo sulla terra, la guerra. Facciamolo tutti nei confronti del nuovo governo, che riesca a capire che il futuro e' nella pace e nella cooperazione fra i popoli, non nella continua lotta, armata e non, per prevalere sugli altri. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1305 del 24 maggio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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