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La nonviolenza e' in cammino. 1288
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1288
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 7 May 2006 00:07:47 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1288 del 7 maggio 2006 Sommario di questo numero: 1. L'unico modo di rendere omaggio alle persone uccise 2. Oggi a Firenze 3. Severino Vardacampi: Eulogia per Lidia Menapace al Quirinale 4. Ancora uno sforzo 5. Enrico Peyretti: Contro la minaccia atomica 6. Paolo Candelari: L'impegno del Mir contro la follia atomica 7. Eugenio Melandri: Contro il nucleare, io ci saro' 8. Augusto Graziani ricorda John Kenneth Galbraith 9. Carla Ravaioli ricorda John Kenneth Galbraith 10. Enrico Peyretti: Pensiero forte, pensiero debole 11. Edoarda Masi: I fili 12. Simone Weil: Il bello 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. L'UNICO MODO DI RENDERE OMAGGIO ALLE PERSONE UCCISE E' non uccidere piu'. Mettere la guerra fuori dalla storia. Cessare di produrre le armi. Abolire gli eserciti. A tutti gli esseri umani riconoscere tutti i diritti umani. 2. INCONTRI. OGGI A FIRENZE Domenica 7 maggio, ore 10: percorso attraverso i luoghi della nonviolenza a Firenze. - Partenza da Piazza dellaSignoria, luogo storico della democrazia a Firenze; Palazzo Vecchio, dove lavorarono Giorgio La Pira e Enriquez Agnoletti; - Chiesa Metodista, nei pressi del luogo dove predico' Ferdinando Tartaglia, via de' Benci; - Cappella Pazzi, luogo caro ad Alexander Langer, piazza Santa Croce; - Casa di Pio Baldelli, collaboratore di Capitini, via Oriuolo 9; - Piazza San Marco, convento dove La Pira abito', sede dell'Universita' dove insegno' Aldo Capitini; - Chiesa di San Giovannino degli Scolopi, dove predico' padre Ernesto Balducci, via Martelli; - Palagio di Parte Guelfa, sede del primo Centro di Orientamento Sociale a Firenze; - arrivo e termine a Piazza della Signoria, ore 13. * L'inizativa e' promossa dal Movimento Nonviolento. Per informazioni: tel. 0458009803, fax: 045 8009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 3. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: EULOGIA PER LIDIA MENAPACE AL QUIRINALE Per molti buoni motivi proponiamo Lidia Menapace alla Presidenza della Repubblica. Perche' e' una donna. Perche' ha preso parte alla Resistenza. Perche' e' un'amica della nonviolenza. Perche' e' femminista. E tanto basterebbe ad ogni persona di retto sentire per dare il suo assenso. * Sed etiam Ma vi sono altri motivi ancora che questa proposta suffragano. Perche' ha altresi' assai contribuito alla coscienza e alle lotte del movimento dei lavoratori, e nelle sue esperienze piu' preziose e feconde: la via consiliare, la democrazia progressiva, l'ispirazione libertaria, nel solco delle idee piu' profonde e aggettanti di Rosa Luxemburg e di Antonio Gramsci. Perche' ha altresi' assai contribuito alla coscienza e alle lotte in difesa dell'ambiente, per un modello di sviluppo sostenibile, autocentrato, equo e solidale, con tecnologie appropriate, adeguato alla dignita' umana, rispettoso della biosfera e garante dei diritti delle generazioni future (un suo articolo, che noi attempati non abbiamo dimenticato, quello sulla "spontanea scelta di morte", resta trent'anni dopo una delle cose migliori che la coscienza ambientalista abbia espresso in Italia). Perche' ha altresi' assai contribuito alla coscienza e alla lotte dei movimenti di solidarieta' internazionale con i popoli oppressi, sapendo che non si puo' difendere la liberta' qui imponendo o accettando la servitu' altrove. E viceversa. La lotta per la dignita' e la liberazione dell'umanita' e sempre internazionale ed internazionalista, o non e'. Ed anche perche' nella sinistra italiana e' tra le poche persone che non ha mai esitato a denunciare la violenza totalitaria dei regimi delle societa' postrivoluzionarie, quando molti gentiluomini che oggi sono in preda a strane amnesie illo tempore erano entusiasti assertori della bonta' sublime dei gulag. Perche' ha costantemente preso parte alle lotte per i diritti delle persone come dei popoli, alle iniziative per il diritto alla salute e all'assistenza, alle azioni costruttive per la cooperazione e il dialogo. Perche' ha molto contribuito alla critica dei saperi, delle ideologie e delle istituzioni della trasmissione delle conoscenze e della socializzazione; propugnando un punto di vista concreto e solidale, femminista e schierato dalla parte degli oppressi, degli esclusi, delle persone la cui lingua i potenti mozzarono; formulando e praticando proposte alternative e schiudenti a piu' alto e profondo conoscere e condividere. Perche' conosce e rispetta ed e' curiosa e sollecita della pluralita' delle visioni del mondo, insieme restando intransigentemente ferma nella difesa di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani. Perche' ama le relazioni che riconoscono l'altro e l'altra, ne inverano la dignita' e ne hanno cura: perche' applica con serena sollecitudine l'etica dei volti e il principio responsabilita'. Perche' propone una condotta ispirata alla saggezza e alla sobrieta', all'ascolto e alla condivisione, al prendersi cura e alla reciprocita'; nitida nel ripudio di ogni guerra, di ogni uccisione, di ogni sopraffazione, di ogni menzogna; nitida nell'opporsi alla violenza flagrante come a quella occulta, a quella facilmente riconoscibile come criminale e a quella che per essersi cristallizzata in longeve strutture - rapporti di produzione e di proprieta', istituzioni, ideologie, mentalita' - sovente e' meno facile da individuare e da contrastare. Perche' pratica la difficile arte di interrogare e di interrogarsi, di camminare e fermarsi, di ascoltare le voci e i silenzi, di vedere le luci e le ombre, di cercare le radici degli eventi, di opporsi al male con la forza della verita'. * Dai tetti Certo, esistono naturalmente anche altre persone ben degne di essere chiamate al Quirinale. Alcune - ormai poche - persone che vengono dalla Resistenza. Pochissime che sono amiche della nonviolenza - un altro grande nome sarebbe Pietro Pinna, che solo l'assurdita' del tempo presente fa si' che non sia ancora senatore a vita. Alcune straordinarie intellettuali e militanti femministe che hanno dato contributi straordinari alla liberta' di tutte e tutti. Ma solo Lidia unisce in se' tutte queste caratteristiche. Certo, anche per motivi anagrafici, ma anche per aver saputo ogni volta fare la scelta giusta, dalla parte della verita' calpestata, dalla parte delle vittime, dalla parte dell'umanita' in lotta per la solidarieta' e la liberazione di tutte e tutti. Ed ogni volta pagando di persona il prezzo delle sue scelte, della sua coerenza, della sua irriducibile opposizione ad ogni potere che opprime: e non di rado sono stati prezzi tutt'altro che lievi. Solo Lidia. E questo e' quel che ci detta il cuore e che in un sussurro erompe, o in un grido. Dai tetti, naturalmente. * Gia' e non ancora Gia' il solo fatto di aver proposto Lidia al Quirinale e' forse una delle poche vere novita' politiche di questo confuso e teso momento: non ci si lasci ingannare dalle agenzie della societa' dello spettacolo: questa nostra iniziativa, pensata da tante e tanti - e ciascuna persona vi ha pensato per suo conto, senza fogli d'ordine, sessioni di comitati centrali, timbri e sigilli -, e' gia' oggi di gran lunga piu' rilevante di tante querimonie e di tanti teatrini da cui pure si lasciano ipnotizzare e quindi stordire tante brave persone. Non solo: il fatto che tante persone si riconoscano nella ragionevolezza di questa proposta e' gia' elemento che sposta equilibri, che apre una prospettiva a sinistra, un'alternativa all'asfissia della delega totale alla poltiica politicante entro cui la democrazia langue e la partecipazione muore. * Principio speranza e utopia concreta E infine: la proposta di Lidia Presidente della Repubblica non costituisce un'iniziativa astratta, ma concreta: anche nella sua testimonialita', anche nel suo essere per cosi' dire fortemente connotata da una caratterizzazione simbolica, ed ermeneutica, ed assiologica. Perche' nell'ambito della lotta politica e delle scelte istituzionali il simbolico e' gia' concreto, e nella storia dell'umanita' i simboli hanno sovente contato molto piu' degli interessi materiali nel determinare gli eventi (e purtroppo cio' e' stato vero anche e soprattutto nell'eziologia di inenarrabili catastrofi). Quante tragedie, quanto sangue versato, in nome della croce, in nome della patria, in nome della civilta', in nome della rivoluzione... Contano, eccome, i simboli, e l'ordine simbolico (e basterebbe leggere la grande filosofia contemporanea - non a caso pensata quasi solo da donne - per rendersi conto di quanta parte della nostra vita individuale e collettiva al simbolico eminentemente afferisce). Ermeneutica, poiche' questa iniziativa disvela la miseria della delega rassegnata e complice alle gerarchie di palazzo, e altra via invece propone: quella della partecipazione di tutte e tutti alle decisioni che tutte e tutti riguardano, certo nelle forme opportune e coerenti, e con le mediazioni ragionevoli e ricompositrici, valorizzando il complesso gioco di equilibri e garanzie che e' la forza e l'orgoglio della democrazia fondata sulla rappresentanza revocabile e sulla divisione dei poteri, sullo stato di diritto e sui controlli giurisdizionali, sul reciproco scambio - consentimento e adeguazione - tra istituzioni e mondi vitali quotidiani, leggi e costumi, pubblica amministrazione e deliberazione in comune, ordinamento giuridico e societa' civile. Una democrazia o e' articolata e procedurale o non e'. Ed insieme: una democrazia o e' partecipata - e per cosi' dire permanentemente assembleare e inclusiva fino all'ultima persona - o non e'. Assiologica, perche' questa iniziativa richiama ciascuna persona ad essere responsabile di cio' che e' pubblico, cioe' di tutti. Uscire dalla subalternita', uscire dall'apatia, uscire dalla rassegnazione, uscire dalla marginalita'. Come fu scritto sui muri parigini in quel mese che duro' un anno: nous sommes le pouvoir. Che e' la stessa opinione dei "giovani americani migliori" il cui motto era su una parete della scuola di Barbiana: I care. * Nous sommes le pouvoir La cosa forse piu' bella di questa iniziativa per Lidia Menapace Presidente della Repubblica e' che le persone che la stanno animando lo stanno facendo senza subalternita' e senza presunzioni, paghe di fare la cosa giusta senza attendersene meriti o vantaggi, persuase di essere forza politica autentica, e forza politica autentica proprio perche' non irreggimentate, non disponibili a farsi inquadrare, guidare o rappresentare da nessuno. Sono persone che dal femminismo hanno imparato che autonomia e solidarieta' vanno bene insieme. E che vi sono forse ancora piu' forme della politica, per dirla scespirianamente, di quante cose non vi siano tra cielo e terra. E che oggi la politica ricomincia dalla critica pratica dell'autoritarismo, della gerarchia, del militarismo e del patriarcato che lungamente hanno anche inquinato e sfigurato gli stessi movimenti di liberazione degli oppressi. Oggi la politica ricomincia dalla scelta della nonviolenza: la scelta dell'opposizione la piu' nitida e la piu' intransigente a tutte le uccisioni, a tutte le guerre, a tutti gli eserciti, a tutte le mafie, a tutti i terrorismi, a tutti i totalitarismi, a tutte le violenze assassine, a tutte le violenze denegatrici della splendente umana dignita' che ogni persona incarna e reca. Oggi la politica deve darsi forme coerenti con i fini altri e piu' alti, piu' profondi, piu' decisivi, che la scelta della nonviolenza propone come necessaria linea di resistenza contro la barbarie bellica e sopraffattrice che sta devastando le vite, il mondo, la civilta' umana. Forse piu' di ogni altra persona in Italia Lidia Menapace ha riflettuto - e con la sua viva pratica, nel corso di una lunga appassionata vicenda di impegno nei movimenti, non solo sul piano dell'elaborazione teorica - su questo tema delle forme pattizie e plurali della politica come relazione liberatrice, sul legame tra mezzi e fini, sull'intersecarsi delle dimensioni quotidiane, esistenziali e conviviali con la progettualita' e con l'organizzazione politica e sociale. Anche su questo alla sua scuola molte e molti di noi sono cresciuti. * Last, but not least Non solo: ci sembra che le persone che stanno animando questa iniziativa di sensibilizzazione e dibattito che ha alimentato e fatto crescere la proposta che Lidia Menapace sia eletta Presidente della Repubblica Italiana, lo stiano facendo non solo per un pubblico dovere, ma anche per il personale piacere di farlo: per fare una cosa bella, oltre che buona. Abbiamo una sola vita: ci piace fare le cose che ci sembrano belle. Ci sembrano belle le cose che ci sembrano buone. Ci sembrano buone le cose giuste e vere: lottare contro la violenza, recare aiuto all'umanita'. Ma e' bello anche contemplare il pesco in fiore, o lasciarsi affascinare dalla musica di Mozart, dalla voce di Billie Holiday, dalle lettere di Rosa Luxemburg, o raccontarsi intorno al fuoco antiche storie. E questa e' la vita. * Inchino E adesso aggiungo questo due righe di commiato solo perche' mi piaceva concludere l'articolo con un paragrafo che avesse per titolo la parola "inchino"; in gioventu' devo aver letto troppo Moliere e Marivaux. A tutte e tutti coloro che hanno dato una mano a diffondere e sostenere l'appello per Lidia Menapace presidente anche chi scrive queste righe dice grazie. 4. ANCORA UNO SFORZO [Riproponiamo il seguente invito] A tutte le persone che ci leggono rivolgiamo una preghiera ancora: di scrivere lettere, brevi e garbate, ai membri del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati che ritenete vostri preferenziali interlocutori o interlocutrici per chiedere loro di proporre e sostenere Lidia Menapace come Presidente della Repubblica. Gli indirizzi di posta elettronica dei senatori, delle senatrici, delle deputate e dei deputati sono assai agevolmente reperibili nei siti del Senato (www.senato.it) e della Camera (www.camera.it). Come sapete le votazioni per l'elezione del Presidente della Repubblica cominceranno lunedi' 8 maggio. Se vogliamo far sentire la nostra voce, o adesso o mai piu'. 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: CONTRO LA MINACCIA ATOMICA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Questo appello di Alex Zanotelli [pubblicato su "La nonviolenza e' in cammino" n. 1286 - ndr] e' assolutamente grave e importante. Se anche questa volta la minaccia atomica potra' essere - speriamo! - sventata o sospesa, rimane il fatto che il solo ventilare la possibilita' dell'uso dell'arma atomica e' una minaccia criminale, da chiunque venga. E' necessario che voci della ricerca morale umana dicano chiara questa verita', che giudica la violenza dei potenti, chiunque essi siano. Come fare udire questa verita'? La proposta di Zanotelli, di una riunione delle varie associazioni per la pace, forse non e' indispensabile, perche' richiede qualche tempo, e perche' non c'e' molto da aggiungere a quello che abbiamo sempre saputo e detto sugli armamenti in generale, ma in modo particolarissimo sull'arma atomica, grande o piccola che sia, sempre arcimicidiale, arcistragista, nello spazio e nel tempo. Forse un testo breve e chiaro, stilato da Zanotelli stesso, sottoscritto dai rappresentanti e dagli impegnati in tutto il movimento culturale e politico per la pace, indirizzato al Segretario dell'Onu, al governo italiano e a tutte le forze politiche, all'attuale e al prossimo Presidente della Repubblica - nella funzione irrinunciabile di massimo garante di democrazia, di pace, di politica della vita - sarebbe un intervento piu' rapido, immediato, largo, significativo ed esigente contro ogni possibile coinvolgimento italiano e contro qualsiasi avallo internazionale alla criminale minaccia atomica. Propongo che si proceda cosi', subito. Parliamone senza ritardo. 6. RIFLESSIONE. PAOLO CANDELARI: L'IMPEGNO DEL MIR CONTRO LA FOLLIA ATOMICA [Ringraziamo Paolo Candelari (per contatti: paolocand at libero.it) per questo intervento. Paolo Candelari, presidente del Movimento Internazionale della Riconciliazione, e' una delle piu' conosciute e stimate figure della nonviolenza in Italia. Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (in sigla: Mir in Italia, Ifor - International Fellowship of Reconciliation - a livello internazionale) e' uno dei principali e piu' autorevoli movimenti nonviolenti] Il Movimento Internazionale della Riconciliazione (parlo per esso), quantunque minuscolo movimento, e' sempre attento ad argomenti ed impegni come quelli proposti da Alex Zanotelli; solo che dall'esterno e' difficile vederlo. Abbiamo gia' tentato delle azioni per il disarmo atomico dell'Italia; abbiamo cercato, nella nostra piccolezza, di rendere coscienti le persone del movimento per la pace dell'estrema pericolosita' della situazione connessa all'Iran. Ciononostante, non mi sembra siamo ancora alla vigilia di un attacco militare americano all'Iran, forse siamo all'antivigilia. Cio' che e' grave e' che comunque, pur senza alcuna dichiarazione ufficiale, si faccia circolare coscientemente l'ipotesi che potrebbe essere usata l'arma atomica: cosi' l'opinione pubblica incomincia a farsi l'idea che questa e' in fondo un'arma come le altre, un po' piu' potente, ma molto efficace contro i malvagi di turno. E se per stavolta non sara' usata, intanto essa incomincia ad entrare nel novero delle possibilita': e a perdere quell'alone di tabu' che finora l'ha circondata nelle menti e nei cuori di tutti gli esseri umani. Come dice Enrico Peyretti, e' criminale gia' il solo ventilare la possibilita' di usarla. Con l'aggiunta che differentemente dall'epoca della guerra fredda oggi non siamo piu' di fronte alla "mutua distruzione assicurata", che la rende veramente inutile, ma essa potrebbe essere usata contro nazioni come l'Iran, che non possono certo reagire contro gli Usa, per cui la distruzione verrebbe assicurata a una parte sola. Per queste ragioni ritengo che il Movimento Internazioanle della Riconciliazione sia disposto ad iniziare una campagna che veda finalmente unite tutte le componenti nonviolente del movimento per la pace: con onesta' devo dire che noi da soli non saremmo in grado di organizzare grandi mobilitazioni; ma insieme ad altri, e con un po' di tempo a disposizione potremmo benissimo cercare di smuovere la troppo assonnata, su questi temi, opinione pubblica italiana. 7. RIFLESSIONE. EUGENIO MELANDRI: CONTRO IL NUCLEARE, IO CI SARO' [Ringraziamo Eugenio Melandri (per contatti: eugenio.melandri at tele2.it) per questo intervento. Eugenio Melandri, religioso saveriano, giornalista, impegnato nei movimenti di pace, di solidarieta', contro il razzismo, per la nonviolenza. Tra gli animatori di "Chiama l'Africa". Opere di Eugenio Melandri: segnaliamo almeno I protagonisti, Emi, Bologna 1984] Credo che l'appello all'unita' lanciato da Alex sia da prendere in seria considerazione. Credo peo' anche che occorra insieme studiare meglio l'obiettivo. Non e' utile che il pacifismo o l'impegno per la nonviolenza e la pace si faccia dettare l'agenda dai capricci dei grandi e dei meno grandi a livello internazionale. Anche perche' altrimenti rischiamo di stare sempre a rincorrere. Occorre invece darsi una programma e degli strumenti per cercare di indirizzare la politica su altri binari. Certo il problema della presenza di armi nucleari e' gravissimo, certo pure che la crisi iraniana, pur avendo alcune caratteristiche geopolitiche che la rendono, a mio avviso, non direttamente pericolosa, fa stare tutti con il fiato sospeso. Ma occorre anche stare attenti a seguire in toto questa crisi per non cadere nella trappola di chi sostiene la non proliferazione nucleare solo per gli altri e non per se stessi. Se si vuole davvero fare in modo che non ci sia proliferazione nucleare i primi a smetterla devono essere Usa, Francia, Cina, India, Pakistan, eccetera e tutto il club delle potenze nucleari. Perche' dovrei sentirmi piu' sicuro se l'arma nucleare ce l'ha Israele e gli Usa e non l'Iran o la Corea? Forse e' il tempo di una riflessione nuova, che poggi seriamente e concretamente sulla nonviolenza e che parta da un impegno serio per la giustizia e per il superamento delle divaricazioni profonde che esistono in questo mondo. Non e' la bomnba soltanto a doverci interpellare, ma le motivazioni politiche che stanno dietro la bomba. Da una parte ci si arma per difendere il proprio modello di vita basato sull'economia di ingiustizia e sullo sfruttamento delle risorse altrui. Dall'altra ci si vuole armare perche' si vuole averla vinta su chi si ritiene domini in modo ingiusto il mondo. Io credo che una seria riflessione, con conseguente impegno politico, non possa non passare da una rivoluzione copernicana delle relazioni tra popoli ricchi e popoli che aspirano alla ricchezza, cominciando innanzitutto a denunciare le ipocrisie. Come quella, ad esempio, del "millennio contro la poverta'", In cui si pretende di risolvere il problema delle condizioni di vita impossibili in cui tanta gente vive, senza per nulla toccare la ricchezza. In questo modo si inganna la gente semplice, i problemi restano irrisolti, ma si da' l'idea di volerli risolvere. Oggi il problema piu' grande del mondo non e' la troppa poverta', ma la troppa ricchezza. Sono i patrimoni speculativi, i consumi dei ricchi che crescono sempre di piu', le leggi dell'economia i cui conti tornano solo per le tasche dei ricchi. Per quanto possa contare, io ci saro' in questo impegno. Ma vorrei che insieme si avesse il coraggio, tutti, di guardarci in faccia e, senza avere posizioni da difendere, si cercasse di riannodare i fili di un ragionamento che e' andato sfilacciandosi. Trovando insieme degli obiettivi coomuni e impegnandoci tutti insieme per perseguirli, qualunque sia il colore politco di chi ci governa. Forse il punto di partenza puo' anche essere l'emergenza atomica. Ma da sola questa emergenza rischi di essere letta da chi per disperazione giunge perfino a pensare a forme terroristiche di lotta - non dimentichiamoci la rabbia dei poveri di cui parla la "Populorum progressio" - come una battaglia fatta da chi sta fondamentalmente bene e ha paura che un'arma tanto distruttive vada a finire in mani non affidabili. In ogni caso ci saro'. 8. MEMORIA. AUGUSTO GRAZIANI RICORDA JOHN KENNETH GALBRAITH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 maggio 2006. Augusto Graziani, nato a Napoli nel 1933, economista, ha studiato particolarmente lo sviluppo economico italiano e i problemi del Mezzogiorno. Opere di Augusto Graziani: L'economia italiana dal 1945 a oggi, Il Mulino, Bologna 1989; I conti senza l'oste, Bollati Boringhieri, Torino 1997] Chi lo ha conosciuto ricorda la sua capacita' di colloquiare e tenendo sempre testa all'interlocutore. Sorridente e benevolo, largamente prodigo di parole cortesi, ma non alieno da frasi mordenti e (ahime' per l'interlocutore) sempre infallibilmente centrate. Galbraith ebbe una formazione teorica solida. Nato in Canada, fece i suoi studi all'Universita' di California. Successivamente fu accolto come professore di economia delle universita' piu' prestigiose: dapprima Princeton e infine Harvard. Durante la seconda guerra mondiale, Galbraith presto' la sua opera come consulente governativo ed ebbe la responsabilita' del controllo dei prezzi e del contenimento dell'inflazione. All'universita' di Harvard, Galbraith teneva un seminario settimanale, nel quale, dalle due alle quattro del pomeriggio, si accalcavano gli studenti piu' avanzati. Era un privilegio farne parte; ma anche un rischio, perche' non di rado il professore, interrompendo improvvisamente il suo dire, si rivolgeva al primo che gli capitava a tiro e gli poneva un quesito fulminante. Se il malcapitato non rispondeva prontamente, la stessa domanda veniva girata a un altro, e cosi' via fino a che non si trovava qualcuno che, avendo avuto qualche istante per riflettere, riusciva a trovare una risposta soddisfacente. I contributi che hanno assicurato a Galbraith la maggiore popolarita' non sono nel campo della teoria pura. Tre titoli segnano le tappe della sua attivita' di pubblicista: Il capitalismo americano, il grande crollo (dove viene analizzata la crisi del 1929 che mise in ginocchio l'economia degli Stati uniti), e La societa' opulenta. Quest'ultima opera, rimasta la piu' celebre e quella che gode della maggiore diffusione, contiene una critica instancabile del capitalismo moderno. L'economia nella quale viviamo, osserva Galbraith, ci ha assicurato un benessere materiale crescente e diffuso. Il governo delle grandi imprese assetate di profitto, produce senza tregua nuovi beni materiali (automobili, frigoriferi, lavatrici, e via dicendo), dei quali, grazie alla pubblicita', siamo indotti a sentire un bisogno insaziabile. Chi riflette sulla miseria dei secoli passati, non puo' che considerare questa evoluzione come un indiscutibile progresso. Ma la disponibilita' di beni materiali non e' tutto; una societa' che voglia dirsi davvero avanzata deve porsi mete, forse meno tangibili, ma certamente piu' ambiziose, a cominciare dalla diffusione della cultura; e qui le lacune sono ancora vistose. Galbraith formulo' questo messaggio rivolto ai suoi concittadini statunitensi alla fine degli anni Cinquanta. Messa a confronto con le idee dominanti nella cultura americana del tempo, la sua posizione risulto' innovativa e per alcuni osservatori addirittura rivoluzionaria. Negli Stati Uniti, la stragrande maggioranza della popolazione riceve una formazione di base estremamente limitata, mentre gli studi piu' avanzati sono riservati a una minoranza destinata a formare una ristretta classe intellettuale di elite. Questo assetto viene generalmente considerato soddisfacente e adeguato a una societa' moderna, dedita alla produzione di beni materiali. Il messaggio di Galbraith invertiva le priorita': anzitutto diffusione della cultura e successivamente preoccupazione per la ricchezza materiale. Si trattava di un richiamo a finalita' non soltanto piu' nobili, ma anche pienamente accessibili per una societa' che, come quella americana, aveva largamente vinto la battaglia contro la miseria. In che misura il suo messaggio sia stato compreso e accettato dai suoi concittadini resta ancora cosa discutibile. Galbraith era dotato di una penna felice e i suoi scritti sono sempre avvincenti. Questa dote gli permise di spaziare su temi assai vari. Nel 1958, egli compi' un viaggio nei paesi d'oltrecortina, dov'era stato invitato a tenere un ciclo di conferenze: era la prima volta che il compito di parlare del capitalismo americano veniva affidato ad un economista estraneo alla scuola sovietica. Nel suo itinerario, Galbraith non tocco' la Russia, ma visito' a fondo Polonia e Jugoslavia. Ne risulto' un gustoso volumetto di impressioni di viaggio: a partire dall'arrivo a Varsavia, quando il malcapitato Galbraith fu costretto a una lunga serie di brindisi per ognuno dei quali era d'obbligo ingoiare il bicchierino di vodka tutto d'un sorso, fino al commiato finale, quando ebbe la soddisfazione di sentirsi dire in pubblico che le sue lezioni erano state profondamente istruttive, perche' il quadro del capitalismo americano che egli aveva tracciato era ben diverso da quello che veniva abitualmente descritto nelle universita' e nei dibattiti scientifici. Galbraith lascia il ricordo di un uomo che seppe essere uno studioso accurato e capace di coniugare aspetti diversi della teoria economica pura, ma al tempo stesso un osservatore acuto della realta' e un profondo conoscitore dei fatti. Chi ripercorrera' i suoi scritti trovera' non soltanto una larga messe di idee originali ma anche un prezioso insegnamento di metodo: che e' quello di perseguire insieme rigore logico e realta' storica. 9. MEMORIA. CARLA RAVAIOLI RICORDA JOHN KENNETH GALBRAITH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 maggio 2006. Carla Ravaioli e' un'autorevole giornalista e saggista, si e' occupata principalmente di movimenti sociali, dell'oppressione sulle donne, di economia e di ambiente. Tra le opere di Carla Ravaioli: La donna contro se stessa, Laterza 1969; Maschio per obbligo, Bompiani 1973; La questione femminile, 1976; Il quanto e il quale. La cultura del mutamento, Laterza 1982; Tempo da vendere, tempo da usare, Angeli 1986; (con Enzo Tiezzi), Bugie, silenzi, grida. La disinformazione ecologica in un'annata di cinque quotidiani, Garzanti 1989; Il pianeta degli economisti, ovvero l'economia contro il pianeta, Isedi 1992; Un mondo diverso e' necessario, Editori Riuniti, Roma 2003] "Se si eccettua il pericolo di una guerra nucleare, la questione dell'ambiente e' la minaccia piu' grave per il mondo". Il solito ambientalista rompiscatole, catastrofista e anche un po' menagramo? No. John Kenneth Galbraith. Sono parole che affido' al mio microfono nella sua bella casa di Boston il 31 gennaio 1991. Tema dell'intervista: la posizione della scienza economica di fronte alla crisi ecologica planetaria. Tema su cui intendevo fare un libro, e che andavo proponendo a un buon numero di economisti di grande prestigio (ben sei Nobel tra gli altri) spesso ricevendone reazioni quanto mai stupite: "Ambiente? Ma io sono un economista", fu ad esempio la prima risposta di Milton Friedman. Lui no. Mi fisso' immediatamente una data. E subito, dal primo scambio di battute, fu evidente che, a differenza dei suoi colleghi, riteneva la materia tutt'altro che estranea agli interessi specifici della sua disciplina, e che gia' aveva considerato l'incompatibilita' del modello economico attivo in tutto il mondo con la salvaguardia degli equilibri naturali. In anni in cui, eccettuati i padri della bioeconomia (Georgescu-Roegen, Boulding, Daly, e pochissimi altri) tutti gli economisti opponevano il piu' reciso rifiuto anche ad accettare la discussione sulla crescita, lui gia' con piena consapevolezza parlava degli "effetti negativi della crescita sull'ambiente", e della necessita', anzi del dovere dell'Occidente di rivedere il proprio stile di vita e di ridurre drasticamente i livelli di consumo. Aggiungendo - da sperimentato conoscitore del Sud del mondo, e sdegnato testimone del suo sfruttamento - che sarebbe indecente pretendere dai poveri un'attenzione all'ambiente che noi stessi non abbiamo. "Tocca a noi", ripeteva convinto, e - da severo antesignano della critica al consumismo - notava che dopotutto anche noi ne avremmo tratto vantaggio. Per concludere con una affermazione che al momento chioso' come "fuori tema": "Il capitalismo e' una macchina inbattibile nel produrre ricchezza, ma assolutamente incapace di distribuirla decentemente". Io osservai che non mi pareva un discorso tanto fuori tema. Rispose con un gesto, come a dire: lasciamo perdere. Sul problema, a differenza della grande maggioranza degli economisti, aveva riflettuto seriamente, e ne vedeva tutta la complessita': cio' che - diceva - avrebbe richiesto da parte di ciascun paese un'impegnata analisi della propria situazione ecologica, non solo per un adeguato trattamento dei rifiuti, quelli nucleari in primis, un severo sistema di tassazione di ogni tipo di inquinamento, decisi interventi fino alla proibizione delle industrie piu' inquinanti, e cosi' via. Soprattutto si rendeva conto di qualcosa di cui ancora oggi anche gli ambientalisti piu' qualificati raramente sembrano avvertiti. Non bastano i provvedimenti dei singoli paesi, diceva: "Cio' che manca finora, e che la situazione urgentemente richiede, e' una politica globale". E citava il buco nell'ozono, le piogge acide, l'effetto serra, fenomeni che riguardano l'intero pianeta, che si manifestano sovente agli antipodi del luogo in cui se ne producono le cause, che esigono pertanto una strategia sovranazionale, che solo "un'autorita' globale" puo' affrontare in modo adeguato. E parlo' perfino (cosa allora presa in esame solo da pochi specialisti) dell'assurda contabilizzazione del Pil: "Computare in positivo il valore dell'acciaio prodotto e non il valore negativo degli scarichi inquinanti provenienti dall'acciaieria, e' un modo ingannevole di fare i conti". E aggiunse, quasi commovendomi: "Inoltre il Pil omette molte cose importanti: ad esempio l'enorme contributo che proviene dal lavoro delle donne". Continuo' a parlare a lungo, senza piu' bisogno di sollecitazioni, quasi riflettendo ad alta voce, mentre nel pomeriggio invernale scendeva il buio sui boschi che circondavano la casa. Era chiaro che la sua attenzione al problema era dovuta anche a una sorta di aristocratica sofferenza di fronte al deterioramento estetico dell'ambiente, a "quel particolare tipo di polluzione che non lede la salute, ma offende chiunque abbia sensibilita' alla bellezza del paesaggio, che deriva dall'uso incontrollato del territorio, dalla manomissione delle campagne", senza dire dei monumenti antichi "oggi gravemente a rischio". L'Italia per esempio, disse: "Era molto piu' bella quando la visitai le prime volte, tanti anni fa". Nel coro elogiativo che ha commentato qualche giorno fa la sua morte quasi nessuno ha notato la sua attenzione alla crisi ecologica. Ma la cosa non stupisce. 10. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: PENSIERO FORTE, PENSIERO DEBOLE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento] Questa opposizione ha un senso corrente che merita di essere analizzato e discusso. Per "forte" si intende comunemente un pensiero rigido, dogmatico, che tende ad imporsi, fino - al limite - ad usare la violenza. Tale e' il pensiero "unico", strumento di un sistema di poteri. Con "debole" si intende un pensiero che ha i pregi e le virtu' opposte a quei difetti e vizi. Propongo di scalfire il luogo comune, riflettendo sul fatto che la forza non e' un vizio, e la debolezza non e' una virtu'. La forza non e' un vizio, se comprendiamo che forza e violenza non sono termini sinonimi, anche se come tali li usa il linguaggio corrente. Il linguaggio corrente, impreciso, e forse volutamente confusionario, copre la violenza-vizio col manto della forza-virtu', come quando dice "forze armate" per dire l'organizzazione statale della violenza omicida, oppure "uso della forza" per dire l'uso della violenza armata. Pur ammettendo zone miste di realta' e dei corrispondenti significanti, sembra di poter dire che il polo di senso "forza" e il polo di senso "violenza", sono distanti e opposti l'uno all'altro: la forza e' resistente, difensiva e costruttiva; la violenza e' intollerante, offensiva e distruttiva. La forza produce vita. La violenza produce offesa e morte. La forza umana e' una qualita' e una virtu' morale. La violenza e' un male, un vizio. Pensiero forte, in questo senso e non nel senso solito, e' un pensiero critico, impegnato a resistere alla falsificazione, a difendere e comunicare idee valide e umanizzatrici, ad argomentare con tutto il rigore possibile, a superare gli schemi ricevuti per procedere verso una maggiore verita'. Di questo pensiero forte c'e' bisogno in ogni societa' in via di umanizzazione. La qualifica di "debole" attribuita ad un pensiero e' ambigua. Se significasse il contrario di quanto ho appena detto del pensiero "forte", sarebbe una carenza, sarebbe cedimento e rinuncia al compito della ricerca e della critica. Con una certa cattiveria e' stato detto bene, a suo tempo, che "dove la Fiat e' forte il pensiero e' debole". Se il pensiero e' debole davanti ai poteri forti (qui nel senso che si impongono anche con violenza) e' un pensiero vile, non fedele al suo compito critico. * Piuttosto che "debole" opposto a "forte", sarebbe bene denominare "mite" quel tipo di pensiero che vuole essere davvero alternativo al pensiero rigido, dogmatico, violento. La mitezza, infatti, e' il vero contrario della violenza. Pensare con mitezza, radice dell'agire con mitezza, e' la vera antitesi del pensare con violenza, radice dell'agire con violenza. La mitezza e' la nonviolenza positiva (ben piu' che la mera astensione dal fare violenza). La quale nonviolenza e' una forza, una progressiva liberazione dai propri impulsi violenti, una capacita' di resistenza e di lotta. La nonviolenza positiva e' il "satyagraha" gandhiano, "forza della verita'", o "forza dell'anima", o "forza di amare", o forza della fedelta' alla verita' conosciuta: cioe' una forza e non una debolezza, una forza che e' tutto l'opposto della violenza; un atteggiamento verso la verita' che e' tutt'altro dalla pretesa di possederla, come sa chi ha accostato un poco l'idea gandhiana di "satyagraha". Gandhi e' stato un fortissimo lottatore, e ha avviato un movimento mondiale di lotta nonviolenta forte. Ma ha insegnato che non possiamo fare violenza proprio perche' non siamo mai sicuri di essere nel vero, pur con le piu' sincere convinzioni. Percio' la sua vita e' stata una serie continua di "esperimenti con la verita'", una instancabile ricerca, pienamente consapevole della comune fallibilita'. Percio' il suo pensiero e' tipicamente "mite", ma forte, e non debole. * Se e' giusto chiarire il termine "debole" nel senso positivo di "mite", un chiarimento e' da fare anche su "forte", detto di un pensiero. Oggi sono in largo uso i termini "fondamentalismo" e "integralismo", per dire appunto modi di pensare "forti" nel significato di "violenti", o tendenti alla violenza. Fondamentalismo mi pare che dica attaccamento eccessivo a determinati fondamenti, fino alla fissazione, percio' alla incapacita' di pluralismo, di dialogo e convivenza, e semmai con la tendenza all'aggressivita'. Integralismo mi pare che dica mania di conservazione integra di un determinato intoccabile quadro di idee e comportamenti, con gli stessi pessimi effetti del fondamentalismo. Ma i due termini dicono soltanto la degenerazione maniacale e disastrosa di certe qualita' positive del pensiero: avere un fondamento, conservare un patrimonio. In se', non e' male che un pensiero coerente e vivo abbia dei fondamenti e non perda dei valori trasmessi dalla tradizione. La negativita' che oggi si usa esprimere con fondamentalismo e integralismo, sarebbe espressa meglio se si scegliesse il termine "totalitarismo". Questo termine e' sequestrato, ben comprensibilmente, dal linguaggio politico, ma si presta con precisione a significare ogni pretesa di avere tutto (come il totalitarismo politico e' la pretesa di possedere concentrato tutto il potere politico). Il fondamentalismo sbaglia nel restare tutto e solo accanitamente sui propri fondamenti; l'integralismo sbaglia nel conservare tutto e solo accanitamente il patrimonio ricevuto. Una cultura, una civilta', e' totalitaria, quando ritiene di realizzare "tutti" gli sviluppi di umanita' che altre culture e civilta' realizzerebbero solo in parte o in modo distorto. Una religione e' totalitaria quando ritiene di avere "tutte" le luci e le virtu' religiose che altre religioni non avrebbero o avrebbero solo parzialmente o in modo viziato. * Credo che il pensiero debba essere forte, nel senso di resistente e combattivo, con la forza della ragione, contro le forze irrazionali e brutali; e che debba essere debole, nel senso di mite, che non offende e non inganna, che sa imparare e correggersi. Allora, se valgono qualcosa queste osservazioni, piuttosto che di pensiero forte e pensiero debole dovremmo parlare di pensiero "totalitario" e di pensiero "mite", pensiero "violento" e pensiero "nonviolento". Violento e' anche il pensiero che per non essere dogmatico rinuncia a giudicare e combattere i poteri violenti. Nonviolento e' anche il pensiero forte e combattivo nel difendere valori umani offesi dalla violenza. Mi pare che parlando di violenza e nonviolenza, invece che di forza e debolezza, riusciremmo ad esprimere meglio questa differenza davvero decisiva per arrivare a pensare meglio e agire meglio. Panikkar ha scritto che il compito della filosofia e' oggi "disarmare la ragione armata". Arturo Paoli ha scritto: dire che una religione e' vera e le altre false e' una dichiarazione di guerra. Ci sono tanti modi "totalitari" di pensare una "verita'" tale che ne nascono violenza e guerra. Ci occorre sopra ogni altra cosa imparare un modo "mite" di pensare la verita', che produca l'agire giusto e pacifico. 11. MAESTRE. EDOARDA MASI: I FILI [Da Edoarda Masi, Il libro da nascondere, Marietti, Casale Monferrato (Al) 1985, p. 104. Edoarda Masi e' nata a Roma nel 1927, intellettuale della sinistra critica, di straordinaria lucidita', bibliotecaria nelle biblioteche nazionali di Firenze, Roma e Milano, ha insegnato letteratura cinese nell'Istituto Universitario Orientale di Napoli; ha vissuto a Pechino e a Shangai, dove ha insegnato lingua italiana all'Istituto Universitario di Lingue Straniere. Ha collaborato a numerose riviste, italiane e straniere, tra cui "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Kursbuch", "Les temps modernes". Tra le opere di Edoarda Masi: La contestazione cinese, Einaudi, Torino 1968; Per la Cina, Mondadori, Milano 1978; Breve storia della Cina contemporanea, Laterza, Bari 1979; Il libro da nascondere, Marietti, Casale Monferrato 1985; Cento trame di capolavori della letteratura cinese, Rizzoli, Milano 1991. Tra le sue traduzioni dal cinese in italiano: Cao Xuequin, Il sogno della camera rossa, Utet, Torino 1964; una raccolta di saggi di Lu Xun, La falsa liberta', Einaudi, Torino 1968; e Confucio, I dialoghi, Rizzoli, Milano 1989] Vanno ormai annodati i fili che legano le storie alla Storia. 12. MAESTRE. SIMONE WEIL: IL BELLO [Da Simone Weil, Lezioni di filosofia, Adelphi, Milano 1999, p. 221. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Il bello testimonia che l'ideale puo' passare nella realta'. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1288 del 7 maggio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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