La nonviolenza e' in cammino. 1266



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1266 del 15 aprile 2006

Sommario di questo numero:
1. De cartusiani desperationibus
2. Lidia Menapace: Primo messaggio "erga omnes"
3. Enrico Peyretti trascrive alcune meditazioni di Arturo Paoli
sull'eucaristia
4. Robin Morgan: Due lettere dopo l'11 settembre
5. Maria Teresa Carbone ricorda Germano Facetti
6. Letture: Fernanda Pivano, Viaggio americano
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. IN LUOGO DI UN EDITORIALE. DE CARTUSIANI DESPERATIONIBUS

Chiesero una volta al buon dottor *** in base a quali criteri venisse
compilato il bollettino ufficiale del circolo scacchistico di Vienna. E
cosi' dicono rispondesse quell'uomo probo e perennemente amareggiato.
"In primo luogo non pubblichiamo gli articoli che offendono la dignita' o
l'intelligenza di chicchessia.
In secondo luogo gli articoli che, anche solo con l'empiamente descriverlo o
l'irriflesso assumerne le posture o il gergo, propagano il male.
Item, gli articoli che mentono, sia pur solo per insipienza o frettolosita'.
Item, gli articoli che dicono cose palesemente non meditate, quantunque
vere.
Item, gli articoli che ripetono la chiacchiera universale.
Item, gli articoli scritti in modo sciatto: maltrattare la lingua e'
maltrattare il pensiero, e degradare la comunicazione, ovvero disprezzare e
umiliare le persone.
Item, gli articoli dediti alla futilita', che e' sempre complice degli
assassini.
Infine, gli articoli di propaganda, ovvero narcotici.
Gli scacchi sono un gioco, ma un gioco che si gioca seriamente. Una rivista
che ne parlasse in modo superficiale non sarebbe una rassegna di
scacchistica, sarebbe null'altro che un oltraggio.
Certo questo implica rinunciare anche a molte cose brillanti, ma non
luminose".

2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: PRIMO MESSAGGIO "ERGA OMNES"
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
questo intervento da lei stessa denominato - con lo humour che ce la rende
ancora piu' amabile - "da Lidia il primo messaggio 'erga omnes'": primo
messaggio, dopo l'elezione al Senato della Repubblica, rivolto a ringraziare
quante e quanti l'hanno sostenuta, a promuovere una prima comune
riflessione, a proporre forme di collaborazione. Lidia Menapace e' nata a
Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento
cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle
donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino.
Nelle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La
maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa
in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968;
L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Chi e come ringraziare? rispondo direttamente ai moltissimi messaggi che mi
arrivano e che testimoniano una grande cerchia di donne (e uomini)
affettuose partecipi attente, una vera speranza per la politica e la vita.
Ma vorrei anche dire qualcosa di "programmatico", in modo da cominciare
subito a cercar di dare un accento, un segno, una nota diversa alla mia
presenza nelle istituzioni. Davvero insperata con questo successo.
Le Donne del Forum di Rifondazione Comunista sono quelle che questa volta
hanno fatto una tenace difficile lotta per farmi candidare - altre volte una
pressione con molte firme, ospitata da "Avvenimenti", ebbe risposta negativa
dai Ds e settemila firme raccolte per iniziativa del Comitato 8 marzo di
Perugia per farmi senatrice a vita non ebbero effetto su Ciampi. Sembra che
l'elettorato sia stato di diversa opinione.
Gia' il Forum aveva ottenuto che Rifondazione Comunista mettesse in lista
molte donne (il 40% dei candidati, piu' di qualsiasi altro partito) e in
posizione da poter essere elette. Nelle analisi del voto il contributo
dell'elettorato femminile non e' pero' ancora stato valutato ed e' la prima
arrabbiatura di questa per me felice circostanza. Le elettrici erano le piu'
astensioniste: siamo riuscite a intercettare il loro rientro? e "i" giovani
quanto sono anche "le" giovani? e verso quali partiti o liste si sono
indirizzati/e? le differenze di percentuale tra Camera e Senato possono
essere lette anche dal punto di vista di genere? ecco un argomento che non
e' apparso nelle infinite discussioni sulle vincite e sulle perdite.
*
A me era stato destinato il posto di capolista al Senato in un collegio,
quello del Friuli Venezia Giulia, poco sicuro; in seguito, dopo il caso
Ferrando, tra alcuni nomi indicati per la sostituzione, di nuovo Donne del
Forum avanzavano la proposta del mio nel collegio dell'Abruzzo, che era
anche piu' sicuro. Ho accettato anche la seconda candidatura come capolista
e ho fatto la campagna elettorale senza risparmio di lavoro, trovando in
ambedue le regioni una accoglienza molto calorosa e coinvolgente, una
ospitalita' commovente e generosa. Forse una procedura diffusa di primarie
consentirebbe all'elettorato di aiutare i partiti a non fare troppi errori
nella scelta di chi candidare.
I dibattiti e le varie iniziative mi hanno consentito di svolgere una
campagna molto puntata sui contenuti, sottraendomi cosi' alla stupidita' di
rispondere a Berlusconi (il che mi pareva sbagliato: comunque potevo
permettermelo essendo fuori del circuito mediatico, che ha escluso del tutto
le donne). La risposta e l'attenzione di chi veniva ad ascoltarmi sono state
molto promettenti e di nuovo hanno segnato una fame di politica che fa ben
sperare, se naturalmente la politica e' - come deve essere - affrontamento
di problemi, espressione di passioni, azione tra gli umani per costruire una
abitabile sede di vita, una citta' giusta: non ho mancato di sottolineare
ogni volta che una citta' giusta non puo' essere fatta solo per una meta'
(scarsa) degli umani, e che fino a quando  nel nostro paese "naturalmente",
senza forzature, spontaneamente, nella rappresentanza non saranno presenti
ambedue i generi in modo equilibrato non si potra' parlare di democrazia,
dato che noi donne siamo addirittura la maggioranza della popolazione e
nessuno vorra' negare che - anche con un po' piu' di rosa nel parlamento
uscito or ora - siamo ancora abbondantemente sottorappresentate non solo per
numero, ma politicamente culturalmente ecc. ecc. Questo vale anche - tra gli
uomini - per immigrati, disoccupati, lavoratori ecc. Mettere l'accento e
l'attenzione sulla piu' grande tra le esclusioni attira l'attenzione su
tutte le esclusioni.
Ho sottolineato la pericolosita' del governo Berlusconi e del berlusconismo,
tra applausi scroscianti: insomma davvero tutto molto interessante ricco
appassionante.
I risultati per quanto mi riguarda sono stati molto positivi.
*
Non si puo' stare nemmeno un giorno tranquille, perche' appena finite le
elezioni, in tv si sono visti solo uomini a commentare i risultati, a fare
analisi, prospettive, progetti come se noi donne elette non potessimo avere
niente da dire: ho subito protestato e mi riprometto di chiedere una par
condicio di genere nell'accesso ai media, se vogliamo, tra cinque anni,
avere un bel gruppo di donne preparate a parlare in tv, e anche piu' uomini
invece dei soliti mezzibusti che troviamo a pranzo e a cena nei tg, e poi da
Vespa, a Ballaro', a Matrix, sempre quelli, sempre loro, che se
registrassero un programma e poi lo girassero in tutte le reti
risparmierebbero tempo e fatica e denaro e noi tempo e noia. Sono certa che
se le voci le facce le teste le pance fossero diverse e piu' numerose, il
tutto sarebbe piu' interessante.
*
Mi riprometto di inviare via e-mail ogni due settimane un racconto di quello
che succede al Senato perche' credo che invece di "curare il collegio"
bisogna attivare strumenti per rendere possibile la famosa "democrazia
partecipata" che abbiamo scritto nel programma di voler fare. Se dovessi
occuparmi - a titolo di esempio - di riconversione di fabbriche d'armi per
avviare una economia di pace, chi fa parte delle associazioni pacifiste e
antimilitariste sara' interessato/a a che scriviamo una legge, una
interrogazione, costruiamo una manifestazione, insomma facciamo una o piu'
azioni politiche coordinate: cio' dara' forza alle scelte politiche e ci
consentira' di pesare anche oltre le nostre materiali presenze.
*
Mi interessa molto cercar di mutare le forme e il linguaggio della politica
perche' una certa rigidita' delle espressioni non solo rende meno
comunicativo cio' che diciamo, ma influisce sulle nostre sinapsi cerebrali.
Avere avviato anni fa una campagna per il disinquinamento del linguaggio
politico dal simbolico militare, giova: se invece che di strategie tattiche
schieramenti parlassimo - come si usa nel femminismo - di buone pratiche e
di relazioni piu' o meno conflittuali, ci sentiremmo meno gradi sul berretto
e ci faremmo capire da tutti/e; le umane attivita' sono molte, e usare solo
il linguaggio della guerra fa si' che la politica si rappresenti come una
attivita' che si prolunga nella guerra (la guerra e' la politica continuata
con altri mezzi, come sosteneva von Clausewitz) invece che volta a costruire
attraverso la gestione nonviolenta dei conflitti una terra abitabile e
ospitale. Mi domando perche' piu' nessun politico e' in grado di
incominciare un documento cosi': "un fantasma si aggira per l'Europa ecc.":
i nostri linguaggi sono prevedibili, il nostro vocabolario trito e ritrito.
Abbasso il politichese! parliamo come mangiamo, cioe' come ci ha insegnato
quella che ci ha nutrito e insegnato a parlare, l'alma mater.
A risentirci.

3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI TRASCRIVE ALCUNE MEDITAZIONI DI ARTURO PAOLI
SULL'EUCARISTIA
[Ringrazamo Enrico Peyretti (per contatti e.pey at libero.it) per averci messo
a disposizione questi suoi "appunti sintetici" delle parole dette da Arturo
Paoli a Torino il 21 settembre 2005 ("Arturo Paoli, 93 anni, con la
lucidita' mentale e l'energia fisica di un quarantenne, ha parlato a Torino,
il 21 settembre 2005, sull'eucaristia").
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio,
ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con
altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio",
che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi
"Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research
Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi
per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della
rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario.
Arturo Paoli, religioso, costruttore di pace, saggista, e' una delle figure
piu' vive della solidarieta' operosa e della nonviolenza in cammino; su di
lui dal sito www.giovaniemissione.it riprendiamo la seguente scheda: "Arturo
Paoli e' nato a Lucca nel 1912. Si laurea in lettere classiche a Pisa ed e'
ordinato sacerdote nel 1940. Tra il '43 e il '44 partecipa alla Resistenza.
Nel 1949 viene nominato assistente nazionale della Giac (Gioventu'
Cattolica) mentre era alla presidenza Carlo Carretto. Assistente nazionale
dell'Azione Cattolica negli anni '50, fu costretto alle dimissioni per le
sue posizioni in contrasto con la gerarchia. Autore di numerose opere che
potrebbero andare sotto il titolo di "spiritualita' della relazione", ha
scritto fra gli anni '80 e i '90 la sua puntuale "Lettera dall'America
Latina" ai lettori di "Nigrizia" (www.nigrizia.it). Nel 1954 riceve l'ordine
di imbarcarsi come cappellano su una nave argentina destinata agli
emigranti. Durante questi viaggi conosce i Piccoli Fratelli di Charles de
Foucauld ed entra nella loro congregazione. Terminato il noviziato svolge il
lavoro di magazziniere nel porto di Orano (Algeria) e poi nelle miniere di
Monterangiu in Sardegna. Nel 1960 si reca in America Latina per avviare una
nuova fondazione: qui vive con i boscaioli della foresta argentina. Quando
il clima politico peronista si fa pesante, subisce una campagna
denigratoria: il suo nome e' nell'elenco di quelli che devono essere
soppressi. Nel 1974 si trasferisce in Venezuela; anche qui il suo lavoro e'
di impegno pastorale e di promozione sociale. Nel 1983 comincia a
soggiornare in Brasile, dove, dopo la dittatura militare, prende vita una
chiesa che e' tra le piu' vive dell'America Latina. In Brasile ha fondato
"Afa" (Associazione fraternita' alleanza), che e' una comunita' di laici
impegnati in alcuni progetti di aiuto alle famiglie delle favelas: progetto
Latte, Educazione, Salute, Donna, Informatizzazione. Nel 1999 lo Stato
d'Israele gli conferisce la nomina a "Giusto tra le Nazioni" per aver
aiutato e salvato alcuni ebrei nel 1944 all'epoca delle persecuzioni
naziste. Il suo nome sara' scritto per sempre nel muro d'onore del Giardino
dei Giusti dello Yad Vashem a Gerusalemme. Attualmente vive a Foz de Iguacu,
nel barrio di Boa Esperanza. Da quarant'anni Arturo Paoli condivide la sua
vita con i poveri, senza per questo rinunciare all'attivita' di
conferenziere e animatore: collabora con diverse riviste ("Rocca",
"Nigrizia", "Il Regno", "Jesus") e ha scritto una trentina di opere". Tra le
opere di Arturo Paoli: Gesu' amore, 1960, Borla 1970; Dialogo della
liberazione, 1969; La costruzione del Regno, Cittadella, Assisi 1971;
Conversione, Cittadella, Assisi 1974; Il grido della terra,1976; Camminando
si apre cammino, Gribaudi, Torino 1977; Cercando liberta', Gribaudi, Torino
1980; Tentando fraternita', Gribaudi, Torino 1981; Facendo verita',
Gribaudi, Torino 1984; Le palme cantano speranza, Morcelliana, Brescia 1984;
Testimoni della speranza, Morcelliana, Brescia 1989; Il silenzio, pienezza
della parola, Cittadella, Assisi 1991, 1994, 2002; La radice dell'uomo,
Morcelliana, Brescia; Camminando s'apre cammino, Cittadella, Assisi 1994; Il
sacerdote e la donna, Marsilio, Venezia 1996; Progetto Gesu': una societa'
fraterna, Cittadella, Assisi 1997; Quel che muore, quel che nasce, Sperling
& Kupfer, Milano 2001; Un incontro difficile, Cittadella, Assisi 2001; con
Remo Cacitti e Bruno Maggioni, La poverta', In dialogo, 2001; La gioia di
essere liberi, Edizioni Messaggero di Padova, Padova 2002; Della mistica
discorde, La meridiana, Molfetta (Ba) 2002; (con Francesco Comina), Qui la
meta e' partire, La meridiana, Molfetta (Ba) 2005]

"Prendete e mangiate, questo e' il mio corpo": come intendere oggi queste
parole, in un pensiero che non dipenda dalla filosofia dell'essere
(sostanza, accidenti, transustanziazione), che non e' piu' intesa?
La concezione di Dio nel mondo semita e' di Dio creatore, cioe' presente nel
mondo, perche' la creazione e' permanente, continua. C'e' nella Bibbia una
immagine di Dio, potente, tremendo, lontano, e anche un'altra, quella dei
profeti, kenotica, in cui Dio rinunzia all'onnipotenza per farsi prossimo,
vicino, specialmente nell'incarnazione, al fine non tanto di redenzione,
espiazione, ma per "dare la vita al mondo", cioe' portare a pienezza il
progetto creatore di Dio nella storia, specialmente nell'uomo, che e' il
riassunto della creazione: noi siamo tutte le cose, eppure limitati,
peccatori.
Cosa vuol dire essere peccatori? Significa essere incapaci di accogliere in
noi la pienezza della vita. Noi la rifiutiamo. In Giovanni Gesu' e' la vita.
Giovanni 5: "Il Padre opera (crea) sempre e io devo operare sempre", anche
di sabato. Va incontro a tutte le carenze di vita: "Vai! Cammina!". Piu' che
trasgressione di una legge, il peccato e' rifiuto della vita, un arresto
della crescita, a volte definitivo. Sviluppati di fuori, possiamo essere
dentro degli aborti, non cresciuti.
Gesu' nella sinagoga di Cafarnao: "Se non mangiate la mia carne... non
avrete la vita. Se mangerete... avrete la vita". Solamente l'accoglienza
della vita che viene da Dio, e' vita. Vita e' capacita' di convivenza,
amore, donazione, responsabilita' verso il mondo, affinita' con la vita di
Gesu'. Egli e' colui che accoglie pienamente in tutto se stesso la vita che
viene dal Padre. Spirito significa centro della nostra volonta', non
significa cose invisibili. Eucarestia e' infusione d'amore. Piu' obbediamo a
questa vita, piu' ci avviciniamo al modello di vita che e' Gesu'.
Una prima interpretazione dell'eucarestia fu quella greca, nelle categorie
del pensiero greco.
Un Dio uomo? Questo il tema dato a Emmanuel Levinas, filosofo ebreo, dagli
intellettuali cristiani francesi. Levinas (severo col cristianesimo, che per
lui e' una interpretazione errata della Bibbia) disse: noi non accettiamo
l'incarnazione, ma Gesu' e' importante. Poi riprese dall'Antico Testamento
tutti gli episodi di svuotamento di Dio, che scende accanto all'uomo per
aiutarlo ad essere figlio di Dio. L'interesse di Dio in questo avvicinamento
e' liberare l'uomo da tutte le forme di schiavitu' e dipendenza: non solo le
pulsioni interne (Freud) ma gli imperi, i regni. Dio e' "una forza che va
alle fondamenta dei poteri". Levinas prende quella parola dei vangeli: "non
ha dove posare il capo"; l'umilta' di Dio e' la forza che rovescia le
potenze della terra. E' una potenza che accetta l'impotenza. De Foucauld
direbbe: ha scelto "l'ultimo posto", ma non per soffrire, fare penitenza,
espiare, bensi' perche' questa poverta' scalza dalle fondamenta le
costruzioni del potere sull'uomo. Non si realizza la fraternita' senza
scalzare il potere dell'uomo sull'uomo, lo sfruttamento, l'inferiorita',
l'impedimento a vivere, che si tratti di forme politiche o religiose: Gesu'
attacca il Tempio.
Gesu' lava i piedi per sradicare il potere. La grande forza e' rinunziare ad
essere piu' degli altri: non la rinunzia a perfezionare la nostra vita, ma
ad usare la perfezione per dominare, a servirci di qualche nostra capacita'
per stare al di sopra degli altri.
L'eucarestia e' un'offensiva permanente contro il potere, e' offerta di
liberazione da tutte le servitu', per realizzare fraternita', cioe'
uguaglianza, amicizia, il semplice amare. E' la forza liberatrice di Cristo
in noi.
Un dilemma: l'eucarestia pensata nella cultura greca o in quella semitica.
In questa, l'incarnazione simbolica di Cristo nell'eucarestia, che continua
ad incarnarsi in noi, e' l'accettazione dell'ultimo posto: non socialmente,
ma lottando contro tutte le dominazioni partendo dal piccolo, dal basso,
dalla nonviolenza, direbbe Gandhi.
Non si tratta del povero, del miserabile, che offre il suo dolore a Dio. Non
e' questo che vuole Gesu'. Si tratta che il povero prende coscienza della
sua dignita', del suo diritto a realizzare la pienezza della vita. Oggi le
comunita' di base sono strettamente eucaristiche. L'eucarestia non ha
bisogno di adorazione. E' eucaristico non chi passa cinque ore davanti al
santissimo sacramento, ma chi cerca la vita piena, che si raggiunge
attraverso la solidarieta' con gli altri. Percio' le comunita' di base non
organizzano violenza e forza, ma amicizia e accesso al diritto alla vita
piena, sempre soffocata dall'organizzazione politica e religiosa.
L'organizzazione tradisce l'eucarestia spiritualizzandola. Guardiamo la
teoria dell'espiazione del peccato (ormai abbandonata dai teologi, ma
dominante nei secoli fino a ieri): la morte di Gesu' intesa come castigo
supremo e tremendo: Dio perdona solo se il Figlio accetta tutta la tortura.
Un dio finalmente appagato, la sua furia placata da tutta quella pena,
finalmente puo' accondiscendere a perdonare.
Giustamente gli ebrei gridano: voi bestemmiate! Non avete mai letto il
Cantico, Isaia, Ezechiele, Osea... Come potete dire che Dio non perdona
senza quel prezzo di sangue?
Allora, perche' Gesu' ha accettato la croce? Perche' ha portato nella sua
carne l'amore intero di Dio per l'uomo, per la creazione, sebbene il mondo
non lo accetti. E' questo amore che lo spinge fin sulla croce: egli va
avanti, anche se l'uomo lo rifiuta.
Cristo mette nel mondo questo amore fortissimo, che libera.
"Mangiare la mia carne" vuol dire: questo amore e' nulla se non diventa la
vostra carne, cioe' tutti gli aspetti e momenti della vostra vita.
L'eucarestia e' carnale: amate fino a dare la vita. E' il dono di se', della
nostra carne, perche' diventi come la sua, dono intelligente per realizzare
vita giusta e piena. In questo accettiamo la vita di Dio, diventiamo figli
di Dio. Nel tempo, lungo la distensione del tempo - ci dicono gli ebrei -
dobbiamo cercare di diventare figli di Dio, non automaticamente col
sacramento, in un solo momento. Amare con giustizia e' la finalita'
dell'eucarestia.
Il messia - dicono gli ebrei - e' nel mondo, sta a noi riconoscerlo e
accoglierlo. C'e' una storia ebraica. Un uomo va dal rabbino: "Quando
arrivera' il messia?". "E' arrivato. E' la', fuori dalle mura, con i
lebbrosi". L'uomo corre, e lo vede: si sta fasciando le gambe con calma e
dolcezza musicale. "Sei tu il messia?". "Si'". L'uomo corre felice ad
annunciarlo a tutti: "Il messia e' venuto!". Pero', ci sono ancora guerre,
mali, violenze. Allora ritorna triste dal messia, il quale gli dice: "Io
sono il messia se voi ascoltate la mia voce". Si tratta di accoglierlo in
silenzio, nelle nostre azioni.
Che cosa e' pregare? La preghiera e' accogliere Dio in noi, ascoltarlo. Non
ci sono obblighi, formule che ottengano miracoli, non c'e' da raccomandarsi
ai santi.
"Gli uomini non l'hanno accolto". E lui ci dice: "Che devo fare di piu'? Mi
sono fatto piccolo, un nulla, perche' poteste accogliermi". Siamo in un
mondo cristianissimo, che non ha accolto Gesu'. "Ne' a Gerusalemme, ne' su
questo monte, ma in voi". Quando avete accolto il Signore, avete in mano il
mondo.
E' l'anno sull'eucaestia, ci sono grandi congressi, gli facciamo templi
d'oro, pur di tenerlo lontano da noi! Sei grande, ti onoriamo, sei il re dei
re, ti adoriamo, purche' non ti avvicini, non ci tocchi, tu non venga in
noi!
*
Risposte a interventi
- La teologia della liberazione non propone un'altra dottrina, ma un altro
punto di partenza: l'iniziativa di Dio che accoglie il grido dell'uomo, il
suo lamento. Dio stabilisce una relazione con l'uomo; e' l'essere che aiuta
l'uomo nel suo bisogno, e' provocato dall'uomo che dice: non ce la faccio!
La perfezione e' l'uomo che diventa capace di amare, che si libera
dall'egoismo, che sa convivere. Oggi, come puo' salvarsi il mondo? Da dove
cominciare? Dai bisogni umani degli offesi, dei poveri. Questo lo accetta
anche Bush, ma dice: non possiamo! La moltiplicazione dei pani vuol dire che
la distribuzione e la condivisione soddisfa i bisogni umani, accresce la
ricchezza, mentre l'accumulazione capitalistica impoverisce, sottrae. In
Brasile, ho messo dei ragazzi di strada a lavorare la terra: si sono
entusiasmati, hanno visto sorgere la vita. Avevo preparato una pastasciutta,
sono arrivati con un fascio di insalata e pomodori, gridando: "Siamo noi che
ti manteniamo!". Hanno perduto la dipendenza, sono liberati!
- Sulla sofferenza: ha valore non in se', ma solo se vissuta nell'amore:
"Non ho niente da darti, ma ti do me stesso, la mia debolezza". Gesu' e'
modello non perche' ha sofferto - la croce e' un delitto, solo un delitto -
ma perche' la' si e' donato all'umanita'.
- Per continuare la creazione di Dio, quali scelte quotidiane sono da fare
nel vivere, nel mangiare, nel consumare, per rispettare la natura? Abbiamo
bisogno delle cose, ma con grande rispetto. La poverta' evangelica non e' la
carenza del necessario.
- Il vescovo Bettazzi (presente alla conferenza) ha chiesto: come passare
dalla chiesa com'e' ora, a questa chiesa dell'eucarestia? Gesu' ha detto,
irritato: "Conoscete i segni dei tempi". Sono i tempi che decidono quali
sono le vere esigenze dell'uomo, oggi diverse da cinquant'anni fa. Per
esempio, e' inutile oggi ostinarci a presentare la fede col pensiero di san
Tommaso, mentre oggi il pensiero e' diverso. Quello che e' eterno e' la
Parola di Dio, che deve poter essere capita in corrispondenza alle esigenze
dell'uomo. Il concetto di persona cinquant'anni fa era quello di Boezio
("sostanza individua di natura razionale"), oggi non piu'. L'uomo e' uomo
con l'altro. "Io sono gli altri" (Lacan). Il concetto di alterita' e' molto
piu' vicino al vangelo, se l'uomo sa che si realizza soltanto con gli altri,
che non e' compiuto da solo. Questo cambierebbe anche la coppia: nessuno
impera sull'altro, ognuno si modifica verso l'altro. Tu non esisti come
"io", esisti con gli altri. Siamo nelle mani degli altri. E' la nuova
antropologia di oggi. Ero innamorato del personalismo di Mounier, ma gli
mancava la dimensione dell'alterita'. La chiesa cambiera': quando, in quanto
tempo, non lo sappiamo. Se soltanto capissimo queste nuove concezioni ed
esigenze umane! Non si escluderebbero i divorziati risposati, se si pensasse
che la condizione unica per l'eucarestia non e' una nostra "purezza", ma
l'offerta di me, l'accoglienza di lui in me, invece che insistere sulla
teoria della "presenza reale" secondo categorie (come la transustanziazione)
che non parlano piu', non dicono piu' la verita' dell'eucarestia.

4. MEMORIA. ROBIN MORGAN: DUE LETTERE DOPO L'11 SETTEMBRE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo le seguenti due lettere inviate da
Robin Morgan a varie persone amiche subito dopo la tragedia dell'11
settembre 2001. Robin Morgan e' nata a Lake Worth in Florida nel 1941, e
vive e lavora a New York; poetessa, saggista, romanziera, giornalista, e'
dagli anni '70 una delle figure piu' vive del movimento delle donne. Tra le
sue opere disponibili in italiano: l'intervista a cura di Maria Nadotti,
Cassandra non abita piu' qui, La Tartaruga, Milano 1996; Sessualita',
violenza e terrorismo, La Tartaruga, Milano 1998, 2003]

New York, 12 settembre 2001
Care amiche/i e sorelle,
dall'angolo della mia strada - da dove, guardando in giu' verso la Settima
Avenue, vedevo in pieno le due torri - ieri mattina ho visto incendiarsi la
prima torre e mentre stavo guardando ho visto il secondo aereo centrare la
seconda; poi, mentre ero ancora li' in piedi, ho visto crollare la prima
sotto i miei occhi. Era una cosa del tutto irreale, come se Hollywood avesse
realizzato un nuovo spettacolare trionfo di effetti speciali...
Questa mattina di buon'ora, quando sono uscita, guardando in giu' verso la
Settima Avenue non c'era piu' nulla, solo enormi volute di fumo - non
esisteva piu' nulla delle due torri...
La citta' mostra di saper resistere superbamente, i cittadini di New York
sono all'altezza dei londinesi sotto le bombe... tuttavia il suono delle
sirene delle ambulanze e il rumore degli aerei che sorvolano la zona mi
ricordano Beirut nei momenti peggiori di quella guerra...
Una delle mie preoccupazioni piu' gravi adesso e' per le reazioni verso la
comunita' islamica, perche' pochi anni fa, nelle 48 ore successive alle
bombe di Oklahoma City (prima che si scoprisse che l'autore era un maschio
bianco di destra e cristiano) tre cittadini arabi-americani sono stati
linciati nel Midwest.
Gia' adesso alcune moschee hanno subito delle minacce e alcune liste di
discussione in internet grondano odio contro gli arabi. Noi (femministe,
progressisti, ecc.) stiamo cercando di fare tutto il possibile per evitare
il montare di questi fantasmi - ed e' gia' pronta una rete di case sicure
per ospitare eventuali cittadini arabi o musulmani che potrebbero subire
minacce in questa situazione. Mi ha colpito sapere che le comunita'
neopagane e wicca stanno facendo la stessa cosa, in nome della liberta' di
religione contro ogni forma di persecuzione...
Dobbiamo esser calmi e vigili, dal momento che una sterzata verso l'estrema
destra e' realmente possibile. La stampa continua a funzionare, i giornali
vengono distribuiti regolarmente...
I media ci hanno dato un'informazione non-stop, sforzandosi di non
diffondere voci incontrollate (la lezione delle elezioni dello scorso anno
e' servita dunque a qualcosa)...
Confido che ciascuna di voi fara' tutto quello che e' possibile nei diversi
paesi, citta' e situazioni per aiutare la gente a chiedersi perche'
succedono queste tragedie e a capire che non sono solo dei "pazzi" o dei
"mostri" o dei "maniaci subumani" quelli che compiono simili drammatici atti
di violenza, ma che tali atti avvengono nella quotidiana cornice di violenza
patriarcale, a tal punto endemica da risultare invisibile in condizioni di
"normalita'".
E che azioni come queste sono generate da un insieme complesso di
circostanze, quali la disperazione per non riuscire a farsi ascoltare in
altre maniere, disperazione che deriva da una condizione di sofferenza che
dura da troppo tempo, persino da generazioni, la paralisi della capacita' di
provare simpatia per gli "altri", l'indurimento della sensibilita', la
proterva ingiustizia economica e politica, odi e paure etniche o tribali, il
fondamentalismo religioso e soprattutto l'erotizzazione e l'innalzamento
della violenza a paradigma della "mascolinita'" e "soluzione finale" di ogni
conflitto.
La violenza e' una forma di pazzia, ma e' una pazzia che i capi di molte
nazioni condividono con i loro oppositori...
*
New York, 18 settembre 2001
Cari amici,
la vostra risposta all'e-mail mandata il secondo giorno di questa calamita'
e' stata incredibile. Assieme ad amici e colleghi, mi hanno risposto
stranieri da tutto il mondo: dalla Serbia, Corea, Figi, Zambia, da tutto il
Nord America; e associazioni di donne da Senegal, Giappone, Cile, Hong Kong,
Arabia Saudita, persino dall'Iran. Avete offerto un commovente sostegno
emotivo e chiesto continui aggiornamenti. Non posso mandare regolari
resoconti come ho fatto durante le elezioni lo scorso novembre ma questo e'
un altro tentativo. Diffondete questa lettera come desiderate.
Mi focalizzero' su New York, per esperienza diretta, non per sminuire le
vittime delle calamita' di Washington o della Pennsylvania. Oggi era il
diciottesimo giorno. Incredibilmente, e' passata una settimana. Si e'
instaurata un'anormale quotidianita'. Il nostro sindaco alle prese con i
soliti contenziosi (principalmente brutte notizie per i newyorchesi di
colore e per gli artisti) ha affrontato questo momento con efficienza,
compassione e vero senso del comando. La citta' e' viva e dinamica. Lungo la
quattordicesima strada c'e' di nuovo traffico, la posta e' smistata e sono
tornati i giornali. Ma questa mattina molto presto ho camminato verso est e
poi verso sud, quasi fino alla punta dell'isola di Manhattan. I sedici acri
dell'incidente sono chiusi, e il perimetro e' controllato dalla Guardia
Nazionale, posto di coordinamento per i soccorritori. E' possibile
avvicinarsi di piu' al Livello Zero di quanto fosse possibile lo scorso fine
settimana, da quando parte dei distretti finanziari sono aperti e lavorano a
fatica. La visione diretta da' piu' punti di vista, e odori, che la tv e i
giornali. Ho pianto ancora, perfino scrivendo questo resoconto.
Se a prima vista lo scorso martedi' sembrava un bizzarro effetto speciale di
George Lucas adesso l'occhio del regista e' cambiato: sembra il macabro
obiettivo di Agnes Varda affiancato da immagini cosi' surreali che
potrebbero essere state filmate da Bunuel o Kurosawa.
Era un giorno chiaro senza nuvole di autunno. Ma non appena ci si avvicina
l'area si mostra come densa di fumo: si entra in un'atmosfera di polvere e
nubi di fumo provenienti dai fuochi che ardono ancora in profondita' sotto i
milioni di metri cubi di macerie. Verso la parte bassa della Seconda Avenue
sono parcheggiati dieci camion frigoriferi che aspettano con sacche per
cadaveri. Densa cenere bianca, frammenti di vetri rotti coprono strada dopo
strada di quartieri fuori dal perimetro. Impronte di mani sui finestrini
delle macchine e sulle portiere con una scia verso il basso sono state
lasciate come dei frenetici graffiti. Alcune volte ci sono dei messaggi
scritti con le dita sulla cenere: "U R e' sopravvissuto". Si possono vedere
gli interni dei negozi chiusi molti dei quali hanno le vetrine rotte o
distrutte, e cosi' si entra in un'altra incredibile dimensione: un orologio
da muro fermo sulle 9.10, tavoli di ristoranti apparecchiati meticolosamente
ma ricoperti da due dita di cenere, scaffali delle drogherie pieni zeppi di
lattine e alti recipienti pieni di mele e meloni adesso tutti impolverati di
calce bianca. Le persone camminano barcollando lungo queste vie indossando
maschere per filtrare l'aria piena di cenere e maleodorante a causa della
plastica ancora in fiamme, e eruzioni di acqua di fognatura; la puzza della
morte e dei corpi in decomposizione...
I numeri stordiscono la mente. Sono dettagli fragili, individuali, che
mescolano paralisi e dolore. Una cavigliera con su stampato "Joyleen",
trovata su una caviglia. Solo questo: una caviglia. Un paio di mani, una
nera, una bianca, strette insieme. Solo questo. Niente polsi. Un ben
piantato saldatore venuto dall'Ohio che balbettava "stiamo lavorando in un
cimitero. Sono tra i cadaveri, non sopra". Ogni lampione, insegna,
impalcatura, cassetta della posta, e' tappezzata di poster fotocopiati fatti
in casa, un arcobaleno etnico di volti e nomi: la morte, grande
livellatrice, non solo le immagini di solito formali di bianchi, maschi,
adulti, con giacca e cravatta, del mondo della finanza, ma i funzionari
postali, i segretari, i camerieri. Passi piu' volte e i poster dei mancanti
all'appello, le facce, i nomi, le descrizioni divengono familiari. Il
ragazzo puliscivetri albanese con le sopracciglia folte. Il ragazzino
lavapiatti messicano che aveva un tatuaggio della bandiera americana.
L'assistente del custode che era immigrato dall'Etiopia. Il nonno
italoamericano che possedeva un carretto di ciambelle. Il giovane
pasticciere ventitreenne cinoamericano del ristorante Windows on the World
che era andato la' prima quel giorno per poter preparare un pranzo di lavoro
per cinquecento persone. Il pompiere che aveva posato baldanzosamente
indossando la sua cravatta con il trifoglio verde. Il manager di medio
livello afroamericano azzimato con un piccolo anello d'oro all'orecchio che
portava affari meno importanti a una delle compagnie. La segretaria di mezza
eta' che ride alla macchina fotografica dalla sedia a rotelle. L'operaio
della manutenzione con un nome polacco, con il suo bambino appena nato.La
maggior parte delle facce sorridono; la maggior parte degli scatti sono foto
famigliari; molte sono foto recenti di matrimonio...
Il mio patriottismo e' piccolo, ma ho una grande passione per New York, in
parte per la nostra sabbiosa secolare energia di resistenza, e perche' tutto
il mondo viene qua: 80 paesi avevano gli uffici nelle Twin Towers; 62 paesi
hanno perso cittadini nella catastrofe; sono stimati a 300 i nostri cugini
inglesi morti, sia negli aerei sia nei palazzi. Il mio personale conforto lo
trovo non nelle cerimonie o nelle preghiere comunitarie ma nel lavoro
veramente eroico (una parola di cui solitamente si abusa) di ordinari
newyorchesi che diamo per scontato ogni giorno, che hanno superato questo
momento con modestia, troppo occupati persino per notare che stavano
esprimendo lo splendore dello spirito umano: pompieri, aiuti medici,
infermieri, medici d'emergenza, ufficiali di polizia, operatori della
sanita', muratori, guidatori d'ambulanze, ingegneri, manovratori delle gru,
salvavita, "tunnel rats"...
Nel frattempo, in tutti gli Stati Uniti il desiderio di rappresaglia monta
come un ruggito prepotente. Sono salite le vendite delle bandiere. Sono
salite le vendite delle pistole. Alcune stazioni radio hanno proibito di
trasmettere la canzone di John Lennon "Imagine". Nonostante gli appelli di
tutte le autorita' (persino di Bush), le moschee vengono attaccate e gli
arabi americani nascondono i loro bambini in casa; due omicidi in Arizona
sono gia' stati definiti crimini di odio, le vittime sono un americano
libanese e un sikh che e' morto semplicemente perche' indossava un
turbante...
Lo scorso giovedi', i tele-evangelisti dell'ala destra Jerry Falwell e Pat
Robertson (i nostri leaders americani talebani cresciuti qui) sono apparsi
nel programma televisivo di Robertson "The 700 club", dove Falwell ha dato
la colpa per quanto e' accaduto a New York "ai pagani, agli abortisti, alle
femministe, ai gay e alle lesbiche... all'Unione delle Liberta' Civili
Americane" e ai gruppi "che hanno cercato di secolarizzare l'America".
Robertson ha risposto "Concordo totalmente". E dopo che la Casa Bianca di
Bush ha definito queste affermazioni "inappropriate", Falwell si e' scusato
(ma non ha ritirato i suoi commenti); Robertson non si e' nemmeno scusato
(il programma e' trasmesso dal Fox Family Channel, recentemente acquistato
dalla Walt Disney Company, nel caso voleste inoltrare una protesta).
Le sirene sono diminuite. Ma hanno cominciato i tamburi. Tamburi funerari.
Tamburi di guerra. Uno Stato di Emergenza, con una richiesta di arruolamento
di 50.000 riserve. Il Dipartimento della Giustizia sta cercando di ottenere
maggiore autorita' per una sorveglianza piu' ampia, poteri di detenzione
all'estero, intercettazioni telefoniche di persone e strette restrizioni sui
resoconti militari.
E sono cominciate le petizioni. Per la giustizia ma non per la vendetta. Per
una ragionevole risposta ma contro una sempre crescente richiesta di
ritorsione. Per la vigilanza delle liberta' civili. Per i diritti di
innocenti musulmani americani. Per "bombardare" l'Afghanistan di pacchi con
cibo e medicinali, non di bombe. Ci saranno marce per la pace, veglie,
rallies... Un membro della Camera del Rappresentanti, Barbara Lee
(Democratici della California), una donna afro-americana, ha espresso
l'unico voto in entrambe le Camere del Congresso contro il conferimento a
Bush dei pieni poteri...
Quelli di noi che hanno accesso ai media hanno cercato di far sentire una
voce differente. Ma i nostri sono messaggi complessi con soluzioni a lungo
termine, e questo e' un momento in cui la gente desidera ardentemente
semplicita' e termini brevi, risposte facili.
Tuttavia e' urgente che tutti voi scriviate lettere agli editori dei
giornali, che parliate nei talk show e che quelli che hanno accesso ai media
come attivisti, funzionari, esperti e qualunque altra cosa, facciano il
maggior numero possibile di interviste e apparizioni. Usate internet.
Discutete delle cause che stanno alla base del terrorismo, della necessita'
di diminuire questo clima di violenza patriarcale che ci circonda in questa
normalita' forzata, della necessita di ascoltare la disperazione della gente
per dissuaderla dal commettere atti drammatici e omicidi; della necessita'
di eliminare orribili ingiustizie economiche e politiche, di ripudiare odi e
paure etnico-tribali, di rifiutare fondamentalismi religiosi di ogni tipo.
Soprattutto discutete della necessita' di smascherare la mistica della
violenza, separandola da cio' che concepiamo come eccitamento, erotismo e
"virilita'"; della necessita' di capire che la violenza differisce solo per
grado, non per tipo, e prospera secondo uno spettro che va dal bambino
picchiato e dalla donna stuprata - che vivono nel terrore - a un'intera
popolazione che ora vive nel terrore.
Nel frattempo piangiamo, piangiamo e piangiamo. Non so neanche cosa sono le
mie lacrime, perche' continuo a vedere fantasmi e a sentire echi.
La simpatia del mondo mi commuove profondamente. Ma sento come delle eco
morire nel silenzio: il mondo distoglie la sua attenzioni dalle grida dal
Ruanda...
Il Livello Zero e' un'enorme massa greve. E penso: Bosnia, Uganda.
Piu' di 5.400 persone sono disperse e presumibilmente morte (senza contare i
morti di Washington e della Pennsylvania). La tv sottolinea: di civili, mio
dio, di civili. E vedo i fantasmi. Hiroshima, Nagasaki, Dresda, il Vietnam.
Vedo le bocche e i nasi coperti dalle maschere per la strada trasformarsi
nei volti dei cittadini di Tokio, che indossano simili maschere ogni giorno
contro l'inquinamento tossico. Vedo gli occhi impauriti diventare gli occhi
terrorizzati di donne obbligate a indossare l'hajib o il chador o il burka
contro la loro volonta'.
Fisso i cartelloni delle foto dei dispersi e penso alle madri degli
scomparsi. Vedo i fantasmi di altri volti. Nelle fotografie dei musei
dell'Olocausto. Nel giornale ritagliato da Haiti. Nelle cronache dalla
Cambogia.
Mi dispiace per le persone eleganti che hanno perso le loro case vicino al
luogo del disastro, e vedo con quanta solerzia le agenzie dei servizi
sociali stanno cercando di provvedere alle loro necessita' immediate e a
lungo termine. Ma vedo dei fantasmi: quelli dei perennemente senza tetto che
dormono per le strade della citta', le cui necessita' non sono mai
soddisfatte.
Osservo come i newyorchesi si tirano indietro di fronte a voci chiassose,
come i genitori vanno nel panico quando i loro figli tornano tardi da
scuola. Osservo le mie amiche israeliane femministe come Yvonne, che ha
vissuto con questo terrore per decenni e che persino oggi, ostinatamente,
presenta una petizione pubblicata chiedendo la pace.
Vedo per la strada le persone che hanno perso il posto di lavoro, che non
sanno da dove arrivera' il loro prossimo stipendio, che temono rifornimenti
di acqua e cibo contaminati, che sono in ansia per i loro figli alle armi,
che sono snervati dai posti di controllo, che sono in lutto, che si sentono
ferite, umiliate, oltraggiate. Vedo i miei amici come Zahira nei campi
profughi di prima accoglienza di Gaza e della West Bank e penso intensamente
alle donne palestinesi che hanno vissuto esattamente in questo stato d'animo
per quattro generazioni.
Lo scorso week-end, molti cittadini di Manhattan hanno lasciato la citta'
per fare visita ai familiari, hanno cercato di tornare alla normalita', di
fare una pausa. Come sono defluiti dalla citta', ho visto farsi avanti i
fantasmi di altri viaggiatori: centinaia di migliaia di profughi afgani che
scappano in massa dalle loro citta' natali nelle quali il terrore e'
l'abitudine, cercando di sfuggire a un paese rinsecchito per la siccita' e
cosi' devastato dalla guerra che non e' rimasto nulla da bombardare, un
paese con 50.000 orfani disabili e due milioni di vedove il cui unico mezzo
di sostentamento e' l'elemosina; dove l'aspettativa di vita e' di 42 anni
per gli uomini e 40 per le donne; dove le donne impartiscono in segreto
bisbigliando sottovoce le lezioni alle bambine, alle quali e' proibito
andare a scuola, donne che rischiano la vita per decapitazione insegnando a
leggere alle bambine.
I fantasmi allungano le mani. "Ora lo sai", sospirano, indicandomi la
spensieratezza, l'arroganza e l'orgoglio in cui e' vissuto il mio paese.
"Doveva succedere una simile tragedia per farti vedere queste realta'?" e
l'eco ripete "Oh, ti prego, finalmente hai capito?".
Questa e' una calamita'. Questa e' un'opportunita'. Gli Stati Uniti, che
cosi' tanti di voi chiamano America, ora potrebbero scegliere di iniziare a
capire il mondo. E a farne parte. Oppure no.
Per ora la mia finestra ancora non espone una bandiera, ne' porto un nastro
rosso bianco e blu. Invece, piango per una citta' e per il mondo. Invece, mi
aggrappo a lealta' diverse, affermando la mia non-bandiera, il mio non-inno,
la mia non-preghiera; e' la sfida di una donna matta che ha anche in un
tempo di ignoranza e carneficina semplici parole come suoi unici strumenti.
Virginia Woolf che scrive "Come una donna io non ho un paese. Come una donna
io non voglio un paese. Come donna il mio paese e' il mondo intero".
Se questo e' tradimento, questa e' la mia colpa.
In una luttuosa e assurda, tenace speranza.

5. LUTTI. MARIA TERESA CARBONE RICORDA GERMANO FACETTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 aprile 2006.
Maria Teresa Carbone, traduttrice, saggista, organizzatrice culturale,
curatrice con Nanni Balestrini del sito di letture e visioni in rete
www.zoooom.it
Germano Facetti, resistente antifascista e sopravvissuto alla deportazione,
architetto, designer e grafico, docente universitario, e' deceduto ai primi
di aprile 2006]

Non e' un caso che a dare l'annuncio della morte del grafico milanese
Germano Facetti, scomparso l'8 aprile presso l'ospedale di Sarzana all'eta'
di 78 anni, sia stato il quotidiano britannico "Guardian". Fu proprio in
Inghilterra infatti che Facetti si impose negli anni Cinquanta e Sessanta
come uno dei maestri della grafica contemporanea, diventando famoso in
particolare per la nuova veste che ideo' per i Penguin Books.
Nato a Milano nel 1926, Germano Facetti si uni' ancora adolescente alla
Resistenza e per questo venne arrestato nel 1943 dai nazisti e deportato a
Mauthausen. Qui riusci' a sopravvivere - racconto' in seguito - grazie al
consiglio di un altro internato che gli disse di "imparare il tedesco, non
guardare il nemico negli occhi e non chinare mai le spalle". Quando il campo
venne liberato, Facetti raccolse fotografie, disegni e altri documenti della
sua esperienza che furono in seguito alla base di un documentario girato da
Anthony West, The Yellow Box: A Short History of Hate, e che verranno ora
donati al Museo della Resistenza di Torino.
Tornato in Italia dopo la guerra, il giovane studio' architettura e storia
dell'arte, e alla fine degli anni Quaranta divenne assistente nel celebre
studio Belgiojoso, Peressutti e Rogers (Bbpr) di Milano, dove incontro' la
sua futura moglie, l'architetto inglese Mary Crittall, con la quale nel 1950
si trasferi' a Londra.
Qui, fedele al rifiuto dello specialismo caratteristico del Bauhaus,
alterno' diversi lavori (design di oggetti, allestimenti di mostre e di
spazi teatrali, insegnamento presso scuole d'arte) fino a quando, nel 1960,
venne ingaggiato dall'editore dei Penguin Books, Allen Lane - che di Facetti
aveva particolarmente apprezzato il progetto del Poetry Bookshop di Soho -
per ridisegnare la veste grafica delle copertine. Convinto della necessita'
di coniugare "una disciplinata strutturazione visiva" a "una estesa
flessibilita'", il grafico italiano rinnovo' completamente l'immagine dei
Penguin, con l'obiettivo di fornire "un impianto visuale di riferimento al
testo letterario, come ulteriore servizio per il lettore". Il suo maggiore
successo in questo senso furono le copertine a sfondo nero dei Penguin
Classics che riusci' a imporre nonostante la diffidenza dei responsabili
della collana e che furono subito premiate da un grande successo di
pubblico.
Rientrato in Italia all'inizio degli anni Settanta, Facetti continuo' ad
alternare l'insegnamento - fra l'altro presso l'universita' di Yale - alla
grafica editoriale. Consulente per diverse case editrici, realizzo' ancora
centinaia di copertine di riviste e di libri (sue sono per esempio le Guide
dell'Espresso).

6. LETTURE. FERNANDA PIVANO: VIAGGIO AMERICANO
Fernanda Pivano, Viaggio americano, Bompiani, Milano 1997, 2001, pp. 400,
euro 8,26. Una vivacissima raccolta di saggi brevi perlopiu' apparsi su
giornali e riviste, una cavalcata nella letteratura, nella cultura, nella
storia americana. Alcuni articoli sono piccole gemme; tutti recano sempre
preziose informazioni, interpretazioni acute, una testimonianza
insostituibile. Fernanda Pivano, generosa maestra, amica della nonviolenza.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1266 del 15 aprile 2006

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