La nonviolenza e' in cammino. 1259



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1259 dell'8 aprile 2006

Sommario di questo numero:
1. Giancarla Codrignani: Votare
2. Enrico Peyretti: Il senso delle parole
3. Maria G. Di Rienzo: Arrestata Medha Patkar
4. Paolo Valente: La testimonianza di Leonhard Dallasega
5. Bruno Forte racconta un ricordo di Agnes Heller
6. Cristina Bay presenta due scritti di Carla Lonzi
7. Franco Cassano presenta "Mediterraneo" a cura di Ferhat Horchani e Danilo
Zolo
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. I COMPITI DELL'ORA. GIANCARLA CODRIGNANI: VOTARE
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per
questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli
obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista,
impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e'
tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace
e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai
telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le
altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994;
L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005]

Non e' facile mantenere il distacco in giorni come questi, mentre arrivano
notizie di persone che, certamente fedeli a propri principi, dicono di non
sentirsi sicuri che valga la pena andare a votare. Mi permetto di insistere:
non perche' ci si debba accontentare di ripieghi e mediazioni al ribasso, ma
perche' la realta' ha un suo senso e ci richiama al limite umano che e'
contenuto nelle situazioni.
Antigone e' ancora li', a richiamarci al rispetto delle leggi sui diritti
umani che erano non scritti ai tempi di Sofocle e che abbiamo impiegato
duemilacinquecento anni per scrivere nella carta dell'Onu neanche
sessant'anni fa. Adesso occorre dare forza di legge a quei principi, cosi'
come  all'art. 11 della Costituzione italiana, che e' un principio a cui si
debbono conformare le leggi.
Per fare le leggi sono necessari i governi: nei paesi democratici e' il voto
dei cittadini che fa i governi. Cinque anni fa una maggioranza relativa dei
nostri concittadini ha votato non solo per un governo di centrodestra, ma
per un aspirante al potere assoluto, che non ha mai detto come sia passato
da grande debitore a super-ricco, che ha adeguato la sua linea di governo a
proposte contenute nel "piano di rinascita" della P2, che vuole la giustizia
serva dei suoi interessi, che ha devastato la Costituzione, ha mortificato
scuola, sanita' e diritti e, per giunta, ha portato l'economia italiana al
disastro e l'immagine del nostro paese al ludibrio internazionale.
La democrazia non puo' ricorrere ai muscoli e non possiede bacchette
magiche. E' fragile e la si difende solo con la consapevolezza di essere
titolari di diritti, primo tra tutti quello del voto, la cui conquista
risale a soli due secoli or sono ed e' stata pagata con lotte sanguinose.
Poi la si sosterra' nel nuovo governo con la partecipazione democratica del
confronto, dentro una societa' fortunatamente plurale, con chi non la pensa
come noi, per non subire i colpi di coda dall'opposizione di chi oggi
insulta chi non vota per lui e non vuole che il figlio del professionista
sia uguale al figlio dell'operaio.
Sara' probabilmente dura uscire dal pantano che ha gia' corrotto i costumi
del nostro paese adeguandolo alla bassezza dei realities, alle illusioni del
successo, alla competitivita' e al consumismo.
Fatto salvo il rispetto dovuto per gli anarchici storici che contestano ogni
forma di statualita', chi non va a votare deve chiedersi se e' disposto a
rinunciare ai diritti suoi e degli altri, anche se non potra' vederli
attuati tutti e subito. Forse qualcuno pensa che nella circostanza
elettorale ci siano vie diverse dal voto che restino non solo democratiche
ma anche nonviolente per opporsi all'ingiustizia e al malaffare? Se si va a
votare, si potra' mantenere la liberta' di parola e di iniziativa critica,
mentre la scelta di tirarsi fuori (in realta' di consegnarsi al giudizio di
chi sara' maggioranza) non lo consentirebbe piu', quantomeno moralmente.

2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: IL SENSO DELLE PAROLE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha
fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del
"non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto
il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Abbiamo visto capovolgere il significato stesso delle parole: la guerra
chiamata pace, la sopraffazione chiamata liberta', l'egoismo chiamato
politica e persino amore civico. Abbiamo sentito, in campagna elettorale,
sfoderare il turpiloquio per qualificare peggio che stupidi i cittadini che
non usano il proprio privatissimo interesse come criterio principale e
decisivo della politica: questo e' falsificare le idee, cosa peggiore dello
spacciare moneta falsa.
Che cosa sia la politica e' stato detto in modo insuperabile da un gruppo di
ragazzi di montagna, col loro maestro: "Il problema degli altri e' uguale al
mio. Sortirne [uscirne] tutti insieme e' la politica. Sortirne da soli e'
l'avarizia [l'egoismo]" (1).
Politica ed egoismo sono l'opposto l'una dell'altro. Confondere gli opposti
nelle menti, insidiare gli spiriti, cavalcare il lato basso e i vizi
dell'umanita', e' tradimento e corruzione pubblica.
La neo-lingua orwelliana e' entrata nel discorso pubblico. Perduto nella
falsificazione il senso delle parole, e' perduta la posizione eretta
dell'uomo, i punti cardinali si incrociano sull'orizzonte, la vista che
guida l'azione si obnubila, diventiamo ciechi guidati da ciechi, se
intellettuali e voci pubbliche non rettificano i termini. La questione del
colloquio sociale e' la questione del senso, pur nel rispetto delle
differenze. Senza un senso comune non c'e' vita umana.
Chiesero a Confucio, nell'ipotesi che il principe Wei gli affidasse il
governo: "Che farai per prima cosa?". Rispose Confucio: "E' assolutamente
necessario ridare ai nomi il loro vero significato" (2).
*
Note
1. Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice
Fiorentina, Firenze 1967, p. 14.
2. Confucio, Dialoghi, libro VII, 305, in Opere, a cura di Fausto Tomassini,
Tea Milano 1989, pp. 148-149.

3. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: ARRESTATA MEDHA PATKAR
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista
teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche
sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005.
Medha Patkar, intellettuale indiana impegnata nelle lotte nonviolente per i
diritti umani e la difesa dell'ambiente, e' giustamente celebre per aver
dato vita negli anni '80 al Narmada Bachao Andolan (Nba), il movimento che
si oppone alla costruzione delle dighe sul fiume Narmada in India; la sua
lotta nonviolenta - per cui e' stata anche arrestata molte volte - ha
costretto la Banca Mondiale a ritirarsi dal finanziamento del progetto di
Sardar Sarovar, una delle principali dighe sul Narmada, ed il mondo intero a
prestare attenzione ai disastri umani ed ambientali causati da queste opere
mastodontiche; nel 1991 Medha Patkar ha ricevuto il Goldmann Prize, un
premio internazionale per chi si e' contraddistinto nella difesa
dell'ambiente e dei diritti umani, e dal 1998 al 2000 e' anche stata una
degli undici commissari dell'autorevole Commissione mondiale sulle dighe;
attualmente e' una delle figure-simbolo del  movimento new global e della
nonviolenza in cammino (un piu' ampio profilo di Medha Patkar e' nel n. 455
di questo foglio)]

Medha Patkar, l'organizzatrice chiave del Narmada Bachao Andolan (in sigla
Nba, il movimento popolare che tenta di impedire la costruzione di una serie
di dighe sul fiume indiano Narmada) e' stata arrestata ieri, 6 aprile,
all'ottavo giorno di sciopero della fame, mentre partecipava ad un raduno di
protesta nella zona di Jantar Mantar.
Gli attivisti dell'Nba stanno tentando di attirare l'attenzione sugli
effetti dell'ulteriore innalzamento della diga Sardar Sarovan, che dovrebbe
essere portata da 110,64 metri a 121,92: il che comporterebbe la distruzione
ulteriore di circa 220 villaggi e la violazione di un'ordinanza della Corte
Suprema che stabilisce come nessun innalzamento possa essere operato se
prima i governi delle regioni interessate non abbiano provveduto a trovare
nuova sistemazione ai profughi.
Medha Patkar ha iniziato lo sciopero della fame il 29 marzo, decisa a
portarlo avanti ad oltranza sino a che non otterra' una risposta dai governi
regionali. La polizia, che sostiene di averla arrestata per "tentato
suicidio", ha fatto irruzione fra i manifestanti pacificamente seduti verso
mezzanotte, malmenandone alcuni, ed ha prelevato di forza la donna, che
indebolita dal digiuno giaceva a terra su un letto improvvisato. Contro la
sua volonta', Medha e' stata trasportata dapprima all'ospedale Ram Manohar
Lohia, e successivamente all'All India Institute of Medical Sciences
(Aiims). I medici che l'hanno esaminata dicono che le sue condizioni sono
critiche, e che nelle prossime 48 ore potrebbero peggiorare.
Con lei sono stati arrestati e trasferiti in ospedale altri due attivisti
dell'Nba, Jamsingh Nargave e Bhagwati Patidar, che si erano da poco uniti al
digiuno.
*
La stampa indiana era ieri piena di espressioni di "preoccupazione" di varie
personalita', da Sonia Gandhi al primo ministro Manmohan Singh, che
attestavano anche la propria fiducia sul fatto che un accordo potra' essere
trovato. Ma dopo un mese di proteste, e gli otto giorni di digiuno di Medha,
nessun segnale positivo e' venuto ne' dai governi regionali ne' da quello
nazionale, mentre la zona di Jantar Mantar e' stata riempita di truppe
antisommossa. Medha aveva rifiutato nei giorni scorsi di sospendere lo
sciopero della fame su richiesta di Manmohan Singh, che le aveva assicurato
la creazione di una commissione sull'innalzamento della diga, perche' questo
non avrebbe sanato la violazione dell'ordinanza della Corte suprema, la
quale stabilisce che le famiglie costrette a spostarsi devono ricevere nuovi
insediamenti sei mesi prima dell'inizio dei lavori. Tale inizio era
programmato per l'8 marzo scorso: giorno in cui 24.000 persone di 177
villaggi seppero del progetto dell'innalzamento della diga per la prima
volta.
Mentre scrivo, e' ancora impossibile raggiungere Medha Paktar: l'ospedale
dell'Aiims ha fatto sgomberare i giornalisti dalla sua area. L'Nba ha fatto
sapere che i suoi membri, lei compresa, continueranno il digiuno ad
oltranza.

4. MEMORIA. PAOLO VALENTE: LA TESTIMONIANZA DI LEONHARD DALLASEGA
[Ringraziamo Paolo Valente (per contatti: valente.paolo at virgilio.it) per
questo intervento.
Paolo Valente, giornalista, saggista, scrittore, e' nato nel 1966 a Merano
dove vive; gia' direttore responsabile del settimanale altoatesino "Il
Segno", ha svolto numerose ricerche sulla storia locale, portandone in luce
aspetti nascosti o rimossi. ha scritto di lui Ettore Masina: "Uomo di
frontiera, vive la sua 'altoatesinita'' o 'sudtirolesita'' come una
opportunita' offertagli dal destino per rintracciare le difficili storie di
due ceppi culturali di cui gli uomini e le donne di buona volonta' hanno
condiviso, spesso senza rendersene conto, la stessa miseria e le stesse
speranze di riscatto. Degli scontri e degli incontri in cui si intrecciano
le loro sorti, lo storico-giornalista Valente si fa testimone attento e
amoroso. Non si arrende ai confini, neppure a quelli schierati dalle
montagne: c'e' sempre, pensa, un varco, un 'passo' per ritrovarsi fratelli".
Tra le opere di Paolo Valente: (con Claudio Ansaloni), Con i piedi
nell'acqua: Sinigo, tra bonifica e fabbrica: storia di un insediamento
italiano nell'Alto Adige degli anni Venti, Sturzfluege, Bolzano 1991; Un
prete in miniera. Intervista autobiografica a Giorgio Cristofolini, Edb,
Bologna 1993; (con Carlo Moeseneder), Il grande gioco. 50 anni di scoutismo
a Merano - Das grosse Spiel. 50 Jahre Pfadfinder in Meran, Merano 1996; (con
Carlo Moeseneder), Pietra su pietra: Santo Spirito a Merano: 1271-1951.
Notizie storiche sull'evoluzione di una comunita' particolare in una terra
plurilingue, Pluristamp, Bolzano 1996; Il maestro di Cordes. Mandato dal
duce per una vittoria piena. Romanzo storico, Praxis 3, Bolzano 1997; Oltre
l'Isarco: elementi e testimonianze di storia religiosa dei quartieri
bolzanini di Oltrisarco e Aslago. Provincia autonoma di Bolzano, Scuola e
cultura italiana, Bolzano 1998; La sfida di una diocesi plurilingue: fatti e
testimonianze sulla nascita della diocesi di Bolzano-Bressanone. Provincia
autonoma di Bolzano, Scuola e cultura italiana, Bolzano 1999; La societa'
operaia cattolica di Merano: 1898-1932, in: "Archivio trentino", Trento
1999; L'orchetto volante, Panorama, Trento 2001; (con Carlo Moeseneder),
Concordia 50. 1951-2001. Volti ed eventi di un coro altoatesino, Merano
2001; Pane & mare: i 50 anni della colonia 12 Stelle, Ideal, Bolzano 2002;
Il muro e il ponte. Frammenti dell'anima multiculturale di una piccola
citta' europea. Italiani a Merano prima della Grande Guerra, Temi, Trento
2003; Di la' del passo, Raetia, Bolzano 2003; Che fatica, che gioia. Parole
e interrogativi di chi sceglie il servizio volontario, Ega, Torino 2003; (a
cura di), Culturali. Alto Adige 1945-2000. Associazioni culturali,
personaggi, reti societarie, Provincia autonoma di Bolzano, Scuola e cultura
italiana, Bolzano 2003; Nero ed altri colori. Frammenti dell'anima
multiculturale di una piccola citta' europea. Italiani a Merano tra Austria
e Italia (1914-1938), Temi, Trento 2004; (a cura di), Culturali. Alto Adige
1945-2000. Le Associazioni si presentano, Provincia autonoma di Bolzano.
Scuola e cultura italiana, Bolzano 2004; L'albero dai fiori rossi. Voci e
volti del Golfo di Guinea, Emi, Bologna 2004; Saudade. Note brasiliane, Coro
Concordia, Merano 2004; Porto di mare. Frammenti dell'anima multiculturale
di una piccola citta' europea. Italiani (e molti altri) a Merano tra esodi,
deportazioni e guerre (1934-1953), Temi, Trento 2005; L'associazionismo
culturale ad Egna, Provincia autonoma di Bolzano. Scuola e cultura italiana,
Bolzano 2005; Der rote Korallenbaum. Erzaehlungen rund um den Golf von
Guinea, Emi, Bologna 2005; (con Franco de Battaglia), Trentino Alto Adige.
La nostra storia. Nomi fatti e volti di un territorio e del suo giornale.
Volume 1. '900 - anni '60, Seta, Bolzano 2005; (con Franco de Battaglia),
Trentino Alto Adige. La nostra storia. Nomi fatti e volti di un territorio e
del suo giornale. Volume 2. Anni '60 - 2005, Seta, Bolzano 2005.
Leonhard Dallasega, giovane altoatesino arruolato nelle Waffen-SS, si
rifiuto' di uccidere un ostaggio, e fu per questo lui stesso assassinato.
Scrive Paolo Valente in una lettera di accompagnamento del testo che segue:
"Leonhard Dallasega, giovane padre di famiglia altoatesino, arruolato nelle
Waffen-SS durante l'ultima guerra, negli ultimi giorni di aprile del 1945,
mentre cercava di tornare a casa, fu aggregato ad un gruppo di militari in
ritirata. Lo si volle costringere a fucilare il parroco di Giazza, don
Domenico Mercante, preso in ostaggio dai soldati. Tuttavia egli si rifiuto'
e per questo fu giustiziato sommariamente insieme al sacerdote. La sua
identita' rimase a lungo sconosciuta. Il 27 aprile ricorre il sessantunesimo
anniversario di questo fatto poco noto, ma meritevole di attenzione. Alla
storia di Leonhard ho dedicato uno dei due racconti lunghi del mio libro Di
la' del passo, Raetia, Bolzano"]

E' il pomeriggio di uno degli ultimi giorni di guerra, il 27 aprile 1945. Un
gruppo di circa cento soldati tedeschi, guidati da un manipolo di SS, esce
da Ala per dirigersi verso il Brennero. Al bivio appena fuori citta' si
fermano e fanno cerchio intorno ad un uomo malconcio in abito talare. Un
ufficiale compone in fretta e furia un plotone d'esecuzione. Tra i chiamati
c'e' un militare appartenente alle Waffen-SS. Il giovane sui trent'anni esce
dai ranghi e da' la sua pubblica testimonianza: "Sono cattolico, non sparo a
un innocente". Un rifiuto che di li' a pochi minuti gli costera' la vita. Il
prete e' falcidiato dai colpi dei fucili e cade nel cratere di una granata.
Subito dopo il soldato, che ha assistito impotente all'esecuzione con le
mani dietro la nuca, subisce la stessa sorte del sacerdote. Un colpo di arma
da fuoco lo raggiunge al volto. Cade esanime a fianco dell'altra vittima.
Nei giorni successivi i cittadini di Ala coprono pietosamente i due corpi
con un sottile strato di terra, finche' non giungono i parrocchiani del
prete a riscattarne le spoglie e finche' non giunge la fine della guerra. La
salma del soldato senza nome viene traslato al cimitero di Ala.
Il sacerdote e' don Domenico Mercante, da pochi anni parroco di Giazza,
paese cimbro alla sommita' della valle d'Illasi, tra i monti Lessini, nel
veronese. Nel tentativo di risparmiare il paese da saccheggi e distruzioni,
il pastore si era mosso, quella mattina, incontro alla colonna militare. I
soldati ne avevano subito approfittato per prenderlo in ostaggio,
promettendogli la liberazione una volta giunti al passo Pertica, da cui si
scende alla volta della valle dell'Adige. Promessa non mantenuta. A colpi di
scarpone e di baionetta il religioso era stato costretto ad accompagnare il
lugubre corteo fino al centro piu' meridionale del Trentino e qui era stata
velocemente decretata la sua condanna a morte con l'accusa di essere un
collaboratore delle bande partigiane.
Per decenni il nome del soldato che lo accompagno' nella sua sorte rimase
sconosciuto. Solo le ricerche del suo successore a Giazza e soprattutto di
mons. Luigi Fraccari, per lungo tempo assistente dei lavoratori italiani
prima nella Berlino nazista e poi in tutta la Germania orientale, hanno
portato ad individuarne l'identita'.
Si tratta di Leonhard Dallasega, nativo di Proves in val di Non (allora
comune di Rumo e provincia di Trento). Nato nel 1913 aveva servito in Africa
l'esercito italiano. Nel 1944 era stato richiamato alle armi e arruolato
nella SS combattenti. Dopo un periodo di formazione nel Reich era stato
destinato a Caldiero dove le SS avevano un centro di comando. Col grado di
caporalmaggiore svolgeva le funzioni di messo postale e di capocuoco.
Essendo imminente l'arrivo dell'esercito alleato che aveva ormai sfondato la
Linea gotica, le truppe tedesche si mossero in ritirata. Leonardo il 26
aprile decise di abbandonare il suo reparto, inforco' la sua bicicletta di
servizio e pedalo' per trenta chilometri risalendo la valle d'Illasi fino a
Giazza dove pernotto' in un casolare. L'indomani, mentre cercava di
scambiare la bici con un abito civile, incappo' nel gruppo di soldati che lo
prese con se' considerandolo uno sbandato.
La storia che segue e' quella che gia' abbiamo raccontato. Al momento della
fucilazione di don Domenico si rifiuto' di farsi complice di quell'omicidio.
Ebbe solo il tempo di dire: "Sono padre di quattro figli". Poi stramazzo' al
suolo. Fu spogliato di ogni documento di riconoscimento e la sua
testimonianza non sarebbe giunta a noi se alcuni cittadini di Ala non
avessero potuto vedere da una certa distanza tutto l'accaduto.

5. MEMORIA. BRUNO FORTE RACCONTA UN RICORDO DI AGNES HELLER
[Da un articolo di Bruno Forte, Se vince l'uomo vince la pace, apparso su
"Il mattino" del 21 febbraio 2003, riportiamo questa testimonianza.
Bruno Forte e' uno dei piu' influenti teologi cattolici viventi; su di lui,
dal sito www.emsf.rai riportiamo la seguente scheda: "Nato nel l949 a
Napoli, ordinato sacerdote nel l973, dottore in teologia nel l973 e in
filosofia nel l977, Bruno Forte e' ordinario di teologia dogmatica nella
Pontificia facolta' teologica dell'Italia meridionale, di cui e' preside. Ha
trascorso lunghi periodi di ricerca a Tuebingen e a Parigi. E' stato il
primo relatore al convegno della Chiesa italiana a Loreto (l985) e
all'assemblea delle Chiese europee a Erfurt (l988). E' consultore del
Pontificio consiglio per l'unita' dei cristiani. L'opera di Bruno Forte e'
articolata in tre campi, che corrispondono, nelle sue intenzioni, alle tre
virtu' teologali. Al primo, Simbolica della fede, appartiene una Simbolica
ecclesiale in otto volumi: 1. La parola della fede. Introduzione alla
simbolica ecclesiale, San Paolo, Milano, s. d.; 2. La teologia come
compagnia, memoria e profezia. Introduzione al senso e al metodo della
teologia come storia, San Paolo, Milano, l987; 3. Gesu' di Nazareth, storia
di Dio, Dio della storia. Saggio di una cristologia come storia, San Paolo,
Milano, l981; 4. Trinita' come storia. Saggio sul Dio cristiano, San Paolo,
Milano, l985; 5. Il mistero della Chiesa, comunione e missione. Saggio di
ecclesiologia trinitaria, San Paolo, Milano, s. d.; 6. L'eternita' nel
tempo. Saggio di antropologia e di etica sacramentale, San Paolo, Milano,
l993; 7. Teologia della storia. Saggio sulla Rivelazione, l'inizio e il
compimento, San Paolo, Milano, l99l; 8. Maria, la donna icona del Mistero,
San Paolo, Milano, l989. Al secondo Dialogica dell'amore, si ascrivono: La
Chiesa nell'Eucarestia, D'Auria, Napoli, l975; La Chiesa, icona della
Trinita', Queriniana, Brescia, l984; Laicato e laicita', Marietti, Genova,
l986. Al terzo, Poetica della speranza: Corpus Christi, D'Auria, Napoli,
l982; Sul sacerdozio ministeriale. Due meditazioni teologiche, San Paolo,
Milano, l989; Piccola introduzione alla fede, San Paolo, Milano, l992;
Piccola introduzione ai sacramenti, San Paolo, Milano,l994; Piccola
introduzione alla vita cristiana, San Paolo, Milano, l995. Forte e' inoltre
coautore, insieme con Massimo Cacciari e Sergio Givone di Trinita' per atei,
Cortina, Milano, l997. Di fronte al tramonto della ragione totalizzante,
Bruno Forte apre la sua meditazione filosofica teologica e poetologica sulla
crisi dell'io-soggetto all'ascolto dell'altro. La parola dell'altro e' al
centro del suo costante colloquio con le voci piu' significative della
filosofia e della teologia del nostro tempo: da Heidegger a Bultmann e a
Rahner, da Jaspers a Levinas e a Mounier. La questione dell'altro si
articola per Bruno Forte essenzialmente su cinque livelli: come evento di
linguaggio interessa l'ermeneutica; come rivelazione appartiene alla
teologia; come nominazione alla metafisica; come deterritorializzazione o
esodo e' un problema antropologico; e infine sotto il segno della storia si
manifesta come resistenza, che ha trovato nel martirio di Dietrich
Bonhoeffer la sua forma piu' alta".
Agnes Heller, illustre filosofa ungherese, nata a Budapest nel 1929,
sopravvissuta alla Shoah, allieva e collaboratrice di Lukacs, allontanata
dall'Ungheria, ha poi insegnato in Australia e in America. In Italia e'
particolarmente nota per la "teoria dei bisogni" su cui si ebbe nel nostro
paese un notevole dibattito anche con riferimento ai movimenti degli anni
'70. Su posizioni democratiche radicali, e' una interlocutrice preziosa
anche laddove non se ne condividessero alcuni impianti ed esiti teorici. Dal
sito della New school for social research di New York (www.newschool.edu)
presso cui attualmente insegna traduciamo questa breve notizia biografica
essenziale aggiornata al 2000: "Nata nel 1929 a Budapest. Sopravvissuta alla
Shoah, in cui ha perso la maggior parte dei suoi familiari morti in diversi
campi di concentramento. Allieva di Gyorgy Lukacs dal 1947 e successivamente
professoressa associata nel suo dipartimento. Prima curatrice della 'Rivista
ungherese di filosofia' nel dopoguerra (1955-'56). Destituita dai suoi
incarichi accademici insieme con Lukacs per motivi politici dopo la
rivoluzione ungherese. Trascorse molti anni ad insegnare in scuole
secondarie e le fu proibita ogni pubblicazione. Nel 1968 protesto' contro
l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, e subi' una nuova persecuzione
politica e poliziesca. Nel 1973, sulla base di un provvedimento ad personam
delle autorita' del partito, perse di nuovo tutti gli incarichi accademici.
'Disoccupata per motivi politici', tra il 1973 e il 1977 lavoro' come
traduttrice. Nel 1977 emigro' in Australia. A partire dall'enorme
cambiamento del 1989, attualmente trascorre parte dell'anno nella nativa
Ungheria dove e' stata designata membro dell'Accademia ungherese delle
scienze. Nel 1995 le sono stati conferiti il 'Szechenyi National Prize' in
Ungheria e l''Hannah Arendt Prize' a Brema; ha ricevuto la laurea ad honorem
dalla 'La Trobe University' di Melbourne nel 1996 e dall'Universita di
Buenos Aires nel 1997". Opere di Agnes Heller: nella sua vastissima ed
articolata produzione segnaliamo almeno: Per una teoria marxista del valore,
Editori Riuniti, Roma 1974; La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli,
Milano 1974, 1978; Sociologia della vita quotidiana, Editori Riuniti, Roma
1975; L'uomo del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1977; La teoria, la
prassi e i bisogni, Savelli, Roma 1978; Istinto e aggressivita'.
Introduzione a un'antropologia sociale marxista, Feltrinelli, Milano 1978;
(con Ferenc Feher), Le forme dell'uguaglianza, Edizioni aut aut, Milano
1978; Morale e rivoluzione, Savelli, Roma 1979; La filosofia radicale, il
Saggiatore, Milano 1979; Per cambiare la vita, Editori Riuniti, Roma 1980;
Teoria dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1980, 1981; Teoria della
storia, Editori Riuniti, Roma 1982; (con F. Feher, G. Markus), La dittatura
sui bisogni. Analisi socio-politica della realta' est-europea, SugarCo,
Milano 1982; (con Ferenc Feher), Ungheria 1956, Sugarco, Milano 1983; Il
potere della vergogna. Saggi sulla razionalita', Editori Riuniti, Roma 1985;
Le condizioni della morale, Editori Riuniti, Roma, 1985; (con Ferenc Feher),
Apocalisse atomica. Il movimento antinucleare e il destino dell'Occidente,
Milano 1985; Oltre la giustizia, Il Mulino, Bologna, 1990; (con Ferenc
Feher), La condizione politica postmoderna, Marietti, Genova 1992; Etica
generale, Il Mulino, Bologna 1994; Filosofia morale, Il Mulino, Bologna,
1997; Dove siamo a casa. Pisan Lectures 1993-1998, Angeli, Milano 1999.
Opere su Agnes Heller: Nino Molinu, Heller e Lukacs. Amicus Plato sed magis
amica veritas: topica della moderna utopia, Montagnoli, Roma 1984; Giampiero
Stabile, Soggetti e bisogni. Saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni,
La Nuova Italia, Firenze 1979; la rivista filosofica italiana "aut aut" ha
spesso ospitato e discusso la riflessione della Heller; cfr. in particolare
gli studi di Laura Boella]

Nell'ambito di un convegno promosso a Pisa qualche anno fa, dove eravamo
entrambi relatori, ebbi modo di chiederle direttamente della sua esperienza
dei totalitarismi e di ascoltare personalmente da lei la testimonianza della
maniera a dir poco prodigiosa in cui fu salvata dalle retate antisemite e
dal conseguente inesorabile destino di distruzione.
La sua famiglia viveva nascosta in una casa non lontana dall'uscita del
ghetto di Budapest, circondato da tutte le parti. Agnes era poco piu' che
una bambina: le retate delle SS si susseguivano, e le ore che separavano lei
e i suoi cari dalla tragedia sembravano contate. Fu allora che spiando dalla
finestra, si accorse che dei due soldati tedeschi di guardia all'uscita del
ghetto, uno si era allontanato. Il ragionamento che fece in quel momento -
di impressionante maturita' per l'eta' che aveva, ma dalla drammaticita'
degli eventi era stata resa piu' che precoce - fu semplice, fulmineo: se mi
avvicino ora al soldato e lo guardo negli occhi, avra' pieta' di una
bambina, perche' in assenza del controllo d'altri la sua umanita' non avra'
paura a manifestarsi. Fu questione di attimi: la cosa ando' come Agnes aveva
previsto. Il soldato, fissato negli occhi da una bambina spuntata dal
silenzio del terrore, dopo un attimo di esitazione consenti' a lei e ai suoi
cari di uscire indisturbati dal ghetto, senza alcun segno di riconoscimento.
Fu la loro salvezza. Da questa esperienza, la Heller mi diceva di aver
tratto la convinzione alla base di tutta la sua opera: che, cioe', c'e'
un'umanita' in tutti noi, una coscienza morale, e che questa coscienza -
posta in condizione di potersi esprimere liberamente - non resiste alla
trascendenza dello sguardo d'altri, soprattutto dello sguardo innocente.

6. MAESTRE. CRISTINA BAY PRESENTA DUE SCRITTI DI CARLA LONZI
[Ringraziamo Cristina Bay (per contatti: bamborsa at tiscali.it) per averci
messo a disposizione la seguente presentazione de "La donna clitoridea e la
donna vaginale" e di "Sessualita' femminile e aborto" di Carla Lonzi,
utilizzata per un seminario del Centro Donna di Grosseto.
Cristina Bay, studiosa di formazione filosofica, esperta di cucina
vegetariana, per molti anni si e' occupata di una piccola azienda agricola
biologica; e' impegnata nell'esperienza del Centro Donna di Grosseto, per i
cui seminari di studio ha curato la presentazione di classici del pensiero e
della narrativa delle donne. Opere di Cristina Bay: (con Allan Bay), Ricette
verdi, Touring Club Italia, 2004.
Carla Lonzi e' stata un'acutissima intellettuale femminista, nata a Firenze
nel 1931 e deceduta a Milano nel 1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo
di Rivolta Femminile. Opere di Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Scritti di
Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982; Taci, anzi
parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978;
Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985. Opere su Carla
Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla
Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990]

"La donna clitoridea e la donna vaginale" e "Sessualita' femminile e aborto"
sono entrambi scritti nell'estate del 1971.
*
Ne "La donna clitoridea e la donna vaginale" Carla Lonzi rivendica la
clitoride come organo sessuale femminile principale, fonte di un piacere che
a molte donne e' sconosciuto, perche' assoggettate psicofisiologicamente al
piacere maschile, cioe' all'orgasmo dell'uomo nella vagina, pagando come
prezzo un piacere inesistente o secondario, condizionato dalla fusione
sentimentale con l'uomo.
E sostiene che la donna per autonomizzarsi dall'uomo, dal senso di
complementarieta' con l'uomo, deve considerarsi una persona con un erotismo
autonomo al centro del quale sta la clitoride.
"Per godere pienamente dell'orgasmo clitorideo la donna deve trovare
un'autonomia psichica dall'uomo".
Inoltre "nell'uomo il meccanismo del piacere e' strettamente connesso al
meccanismo della riproduzione, nella donna meccanismo del piacere e
meccanismo della riproduzione sono comunicanti, ma non coincidono". "La
complementarieta' e' un concetto che riguarda la donna e l'uomo nel momento
procreativo, non in quello erotico-sessuale".
Per la sessualita' patriarcale la donna vaginale e' la donna matura, quella
clitoridea immatura, omosessuale, frigida (Freud). Sono gli anni in cui la
sessualita' femminile viene indagata sia dal rapporto Kinsey che da
Master-Johnsons che da una parte mettono in evidenza la difficolta' e la
parzialita' dell'orgasmo femminile durante il coito,  dall'altra non mettono
in discussione quello che e' il piacere ufficiale della cultura sessuale
patriarcale e continuano a considerare la vagina come organo sessuale
primario e la clitoride punto focale della reazione sessuale femminile.
Anche per quello che riguarda la sessualita' Carla critica le donne
emancipate, che pensano di essere in parita' con l'uomo e invece gli offrono
una emotivita' modellata su quella di lui e anche se vedono soddisfatto il
proprio piacere, non arrivano ad esprimere una sessualita' in proprio. "E'
importante per noi affermare il proprio sesso e non solo averlo
soddisfatto".
"La donna non e' la grande-madre, la vagina del mondo, ma la piccola
clitoride per la sua liberazione".
"Quell'orgasmo vaginale che per Freud era il frutto di una maturazione
psicosessuale della donna, per il femminismo e' il prodotto del suo
adattamento psicosociale". Anche Masters e Johnson affermano che la donna
nel coito risponde piu' al sistema psicosociale che a quello biofisico,
tanto che la forza di identificazione con il partner amato puo' dare impeto
orgasmico. "Godendo di un piacere come risposta al piacere dell'uomo la
donna perde se stessa come essere autonomo, esalta la complementarieta' al
maschio, trova in lui la sua motivazione di esistenza".
"Non ci pronunciamo sull'eterosessualita', non siamo cosi' cieche da non
vedere che e' un pilastro del patriarcato, non siamo cosi' ideologiche da
rifiutarla a priori. Ognuna di noi puo' studiare quanto le piace o spiace il
patriarca e quanto l'uomo".
"Noi vogliamo affermare l'amore clitorideo come modello di sessualita'
femminile nel rapporto eterosessuale, poiche' non ci basta avere la
clitoride come punto di riferimento cosciente ne' vogliamo che
l'ufficialita' sulla clitoride appartenga al rapporto lesbico. Pero' siamo
convinte che fin quando l'eterosessualita' sara' un dogma, la donna restera'
in qualche modo la complementare dell'uomo mentre essa puo' portare
dall'adolescenza nel suo bagaglio di intuizioni uno slancio verso le donne
su cui rimisurare all'occorrenza lo svolgimento delle relazioni
eterosessuali". Questo passo a mio parere apre a quell'indagine sulla
sessualita' femminile in relazione alla madre che ha avuto poi nel
femminismo seguente un ampio approfondimento.
Carla afferma di non voler fare una discriminazione di valore fra donna
vaginale e donna clitoridea, quanto sottolineare come nel femminismo come
presa di coscienza di se' possano trovare entrambe uno sbocco naturale. "Il
femminismo per la donna prende il posto della psicanalisi per l'uomo...
trova la coscienza collettiva femminile che elabora i temi della sua
liberazione".
Come negli altri suoi testi Carla si esprime per frasi molto incisive che
possono apparire ideologiche o dogmatiche. Per me questa sua modalita'
esprime chiarezza, immediatezza e radicalita' politica.
Siamo negli anni in cui la sessualita' patriarcale viene affrontata dalle
donne nell'autocoscienza e denunciata nei suoi aspetti di sopraffazione
della sessualita' femminile. Quella che puo' apparire forzata e' una
divisione troppo netta fra donna vaginale/assoggettata all'uomo e donna
clitoridea/autonoma dall'uomo, non tanto da un punto di vista  psichico e
simbolico, di cui oggi si puo' riconoscere anzi tutta la forza liberatoria,
quanto da un punto di vista sessuale. L'approfondimento da parte femminista
del rapporto primario con la madre e dell'esperienza, potenziale o reale,
della maternita' ha aperto nuove ipotesi e/o conoscenze sulla sessualita'
femminile che ne fanno tuttora un argomento di indagine. Esiste un piacere
vaginale che sia autocentrato e non modellato sulla sessualita' maschile?
*
Il breve testo sull'aborto e' strettamente connesso all'analisi sulla
sessualita' femminile. "Ci rifiutiamo di chiedere all'uomo, al potere, ai
legislatori, quello che in realta' e' stato il contenuto espresso da
miliardi di vite di donne andate al macello dell'aborto clendestino".
Le donne restano incinte perche' sottomesse alla  sessualita' patriarcale
pene-vagina. La contraccezione e l'aborto sono dei rimedi, ma non mettono in
discussione questo modello sessuale che corrisponde al piacere maschile.
"Per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto
abortendo?".
Se il concepimento e' un sopruso sul corpo della donna, sulla sua
sessualita', "negandole la liberta' di aborto l'uomo trasforma il suo
sopruso in una colpa della donna. Concedendole tale liberta'... la attira in
una nuova solidarieta' che rimandi a tempo imprecisatamente lontano il
momento in cui essa si chieda se risale alla cultura, cioe' al dominio
dell'uomo, o all'anatomia, cioe' al destino naturale, il fatto che essa
rimane incinta".
La legalizzazione dell'aborto lascia intatto "il mito dell'atto genitale
concluso dall'orgasmo dell'uomo nella vagina".
"Noi rivendichiamo una parte del nostro corpo che ci procura il piacere
senza condannarci alla procreazione e ci sgancia dalla condizione emotiva
di chi si da' da inferiore a un essere superiore...". In una  sessualita'
polimorfa sganciata dal modello procreativo la vagina "da luogo della
violenza e della volutta' diventa, a discrezione, uno dei luoghi per i
giochi sessuali".
"L'aborto non e' una soluzione per la donna libera, ma per la donna
colonizzata dal sistema patriarcale".

7. LIBRI. FRANCO CASSANO PRESENTA "MEDITERRANEO" A CURA DI FERHAT HORCHANI E
DANILO ZOLO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 aprile 2006.
Franco Cassano, docente universitario, e' un autorevole sociologo e
saggista. Dal sito www.comune.benevento.it riprendiamo la seguente scheda:
"Franco Cassano e' nato ad Ancona nel 1943 e insegna Sociologia della
conoscenza nell'Universita' di Bari. E' stato intellettuale di punta del
marxismo meridionale, ma ha iniziato, negli anni Ottanta, una riflessione
che, senza rinnegare quelle radici, si apriva a nuovi orizzonti. Il pensiero
meridiano, ovvero ripensare il Mezzogiorno riconsiderando la sua identita'
culturale rispetto a una modernizzazione che non lo ha fatto, e' l'opera che
nel 1996 ha aperto il dibattito sull'autonomia del pensiero meridionale. In
Approssimazione. Esercizi di esperienza dell'altro (Il Mulino, 1989),
partendo dal presupposto dell'assoluta trascendenza dell'altro, chiunque
egli sia, venivano analizzati i modi dell'avvicinamento, riconoscendo la
necessita' di "una volonta' d'impotenza". Partita doppia. Appunti per una
felicita' terrestre (Il Mulino, 1993) era uno straordinario percorso in otto
stazioni che cercavano di evidenziare come ogni situazione della vita e
della storia sia, appunto, una "partita doppia", abbia vantaggi e svantaggi,
schiudendoci spesso all'orizzonte tragico, che e' quello in cui l'uomo e'
gettato. Ne Il pensiero meridiano (Laterza, 1996), il suo libro piu' celebre
che ha posto le basi teoriche di un nuovo meridionalismo, il Sud del mondo
(anche attraverso una riflessione su Camus e Pasolini) viene pensato a
partire da parametri nuovi, valorizzandone prima di tutto l'osmosi con il
mare, l'"andar lenti", contro il mito moderno dell'"homo currens", la sua
dimensione di frontiera. Con Mal di Levante (Laterza, 1997) e Paeninsula
(Laterza, 1998) Cassano ha esteso la sua riflessione a Bari e all'Italia,
insistendo su temi come la contaminazione tra le culture per risolvere il
rapporto con il futuro. Modernizzare stanca (Il Mulino, 2001) raccoglie una
serie di saggi in cui Cassano riflette con sobrieta' e ironia su una gran
varieta' di aspetti del vivere umano. La modernita' - questa la tesi di
fondo - presenta dei coni d'ombra: esistono degli aspetti che non riesce a
risolvere in modo soddisfacente, esistono dei valori (favole, preghiere,
ricordi infantili, passioni, relazioni affettive) che essa, a volte
colpevolmente, trascura, e che possono essere proficuamente riattivati per
renderci meno nevrotici. Il suo ultimo lavoro e' una breve saggio su
Leopardi, Oltre il nulla (Laterza, 2003), la cui tesi centrale e' che il
"nulla" nell'autore de La ginestra e' solo la penultima parola. Il
disincanto di cui il recanatese si fece teorico e poeta non coincide con la
resa. Nostro compito e' farci carico della verita' senza rassegnarsi. Nello
stesso tempo Leopardi va riattivato come poeta civile, alfiere di una
"solidarieta' planetaria", che puo' nascere dalla capacita' dello "sguardo
da lontano". Cassano appare come uno dei pensatori piu' liberi ed originali
del panorama intellettuale italiano, grazie anche alla sua passione e alla
sua inesausta curiosita' intellettuale, che rompe barriere tra discipline e
ideologie. Fa parte del comitato scientifico del Laboratorio Progetto
Poiesis e della redazione della rivista "Da qui". Presiede a Bari il
movimento di cittadinanza attiva Citta' plurale".
Ferhat Horchani e' docente alla facolta' di diritto e scienze politiche
dell'Universita' di Tunisi.
Danilo Zolo, illustre giurista, nato a Fiume (Rijeka) nel 1936, e' docente
di filosofia e sociologia del diritto all'Universita' di Firenze. Tra le
opere di Danilo Zolo segnaliamo almeno: Stato socialista e liberta'
borghesi, Laterza, Bari 1976; Il principato democratico, Feltrinelli, Milano
1992; (a cura di), La cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1994; Cosmopolis,
Feltrinelli, Milano 1995; Chi dice umanita', Einaudi, Torino 2000;
Globalizzazione: una mappa dei problemi, Laterza, Roma-Bari 2004]

Gli appelli tesi a evitare lo scontro delle civilta' si moltiplicano, ma la
prospettiva di una pace e di un'intesa durevoli non registra passi in
avanti. Questo non significa che il discorso vada lasciato cadere, ma al
contrario che e' necessario farne crescere la qualita' e il rigore, cosi' da
rendere piu' netta la distanza dall'equivoca genericita' dell'unanimismo e
dei discorsi edificanti.
Uno dei meriti del volume curato da Ferhat Horchani e Danilo Zolo,
Mediterraneo. Un dialogo fra le due sponde (Jouvence, pp. 204, euro 16), e'
appunto quello di provare ad avviare un confronto serio e approfondito tra
Europa e mondo islamico, attraverso gli interventi di nove studiosi, quattro
tunisini e cinque italiani (a Orsetta Giolo si deve la ricca bibliografia
che chiude il volume). Non sono frequenti i libri curati insieme da uno
studioso italiano e uno arabo, e ovviamente da un lavoro cosi' complesso e
inedito, piu' che una risposta univoca e sicura, emerge un inventario di
problemi da approfondire: un inventario che tuttavia ha il pregio di non
disperdersi in mille direzioni, ma di mettere a fuoco alcuni temi
importanti, tali da avviare un confronto ulteriore.
Alcuni saggi sono dedicati alle trasformazioni istituzionali intervenute nei
paesi della sponda sud e alla delicata questione del riconoscimento dei
diritti individuali: e' il caso per esempio del lungo e documentato studio
di Mohamed Bouguerra sulla storia dello statuto personale nella
codificazione tunisina, e del breve excursus che Hafidha Chekir dedica ai
diritti delle donne nei paesi musulmani. Da entrambi i contributi emerge un
quadro complesso, ma segnato dall'arretramento che i processi riformatori
hanno subito sotto l'onda del fondamentalismo. Se pero' si controntano le
dinamiche dei sistemi punitivi di entrambe le sponde - come fa Emilio
Santoro nel suo bel saggio - appare evidente che tale riflusso non e' una
caratteristica esclusiva del mondo musulmano, perche' anche in occidente, a
partire dagli anni Settanta, le politiche penali hanno subito un profondo
arretramento, passando dai vecchi obiettivi rieducativi a un'enfasi
crescente sulla pericolosita' delle categorie a rischio (in primo luogo
migranti ed emarginati).
Mettendo a confronto i diversi approcci teorici al tema della
globalizzazione, Lucia Re illustra - accanto alle posizioni gia' note di
Beck, Bauman e Bourdieu - quelle di Olivier Roy, che sottolineano il nesso
forte esistente tra i processi di globalizzazione e l'emergere del
fondamentalismo. Quest'ultimo, lungi dall'essere una difesa della
tradizione, e' per Roy intimamente legato a una forma di esperienza
religiosa tipica del mondo globalizzato, fondato sulla mobilita',
sull'individualismo e sulla perdita dei legami tradizionali. Tesi
interessante, che pero' dovrebbe spiegare perche' l'islamismo politico,
figlio del mondo globalizzato, abbia scelto la via dell'opposizione frontale
e della jihad e non quella dell'inserimento al suo interno. In altra
direzione si muove Paola Gandolfi, che studiando i processi migratori
individua nei migranti il veicolo di nuove forme di comunicazione tra le due
sponde, un tramite prezioso per la crescita dell'autonomia della societa'
civile dai governi, sia a nord che a sud del Mediterraneo.
In uno dei saggi piu' impegnati teoricamente, Hamadi Redissi affronta il
rapporto tra Islam e modernita': si tratta di un tema estremamente delicato,
ma ci risulta difficile nascondere alcune perplessita' su un punto cruciale
del ragionamento dello studioso tunisino, la cui riflessione - pur essendo
ricca di spunti e mai schematica - appare infatti condizionata da una
immagine della modernita' troppo priva di ombre, ben diversa dal quadro
critico a cui siamo abituati. Per Redissi, e talvolta anche per Ferhat
Horchani, la modernita' diventa un valore universale, un vero e proprio
criterio di misura delle civilta', perche' essa altro non e' che liberazione
dalla tradizione, da qualsiasi tradizione. L'occidente e' riuscito a
emanciparsi, afferma Horchani, perche' si e' svincolato dalle tradizioni e
ha vinto la battaglia della modernita' che ha unito dal basso le societa'
europee.
La modernita' pero' non e' solo opposizione alla tradizione, ma anche
continuita' con essa. Come dimenticare le tesi di Weber sulle radici
religiose della razionalizzazione della vita che caratterizza l'occidente?
Oppure come non ricordare il confronto sulle origini della modernita' tra le
tesi di Karl Loewith e quelle di Hans Blumenberg? O infine, per venire ai
nostri tempi, come non pensare alle tesi di Remi Brague sul modello romano,
che sottolineano l'assoluta singolarita' della tradizione europea, il suo
carattere non assiale e quindi secondario? Se invece si assume la modernita'
come un criterio di misura neutro ed universale, il dialogo tra le due
sponde diventa un monologo, in cui i protagonisti hanno un ruolo
profondamente disuguale: uno parla, l'altro ascolta, uno insegna, l'altro
apprende. Il rischio e' che la cultura islamica venga ridotta a una serie di
vincoli e di ritardi, un fondale sul quale si proiettano le avventure della
modernita' occidentale.
La parte finale del saggio di Horchani (oltre che l'introduzione, scritta a
due mani con Zolo), in cui vengono analizzati gli effetti
dell'occidentalizzazione forzata indotta dalla globalizzazione, risulta
invece interessante e convincente. Affiora qui una visione critica della
modernita', la coscienza dello stretto nesso esistente tra espansione della
cultura occidentale e dominio. Un nesso che non e' nato negli ultimi venti
anni, perche' tutta la storia dell'occidente ha tenuto saldamente insieme
modernita', universalismo ed espansione. Da sempre la storia della
modernita' e' anche storia della globalizzazione e dell'universalizzazione
dell'occidente. La sottolineatura di questo nesso e' al centro del saggio di
Zolo e della sua polemica contro la pretesa (contenuta in ogni
universalismo) di fare di una cultura il criterio di misura delle altre: non
a caso Zolo parla di "fondamentalismo della modernita'".
L'unica premessa seria di un dialogo effettivo tra le culture e' la critica
di tutti i fondamentalismi. E' qui il cuore del messaggio che viene dal
Mediterraneo: le culture possono dialogare soltanto se ognuna di esse
abbandona la pretesa del possesso esclusivo della verita', se ogni
interlocutore e' convinto di avere qualcosa da insegnare, ma anche qualcosa
da imparare dall'altro. E giustamente Horchani ricorda nel suo saggio
l'umanesimo islamico e l'Islam liberatore: sviluppi importanti che
smentiscono l'idea di una tradizione immobile e sempre uguale a se stessa.
Per sconfiggere il fondamentalismo, pero', oggi forse c'e' bisogno di un
passo ulteriore, di una grande ripresa creativa della cultura islamica,
capace di disegnare una "terza via" tra fondamentalismo e subalternita'. Una
indicazione in questo senso puo' forse venire dal cosiddetto "femminismo
islamico", espressione che alla nostra sensibilita' rischia di apparire come
un ossimoro, ma che in realta' consiste in una critica del potere
patriarcale influenzata certo dal femminismo occidentale, ma non riducibile
ad esso, nella consapevolezza che le linee del dominio sono complesse e la
loro decostruzione richiede non una banale pratica imitativa, ma un lavoro
creativo. Piu' che di abbandonare la propria tradizione, si tratta di
metterla in movimento, di distinguere ad esempio - come fa Fatima Mernissi -
tra il Corano, che riconosce l'uguaglianza di tutti i fedeli di fronte a
Dio, e la marea di interpolazioni antifemminili successive dovute agli
interpreti. Ma d'altra parte l'impulso non e' unidirezionale: da questo
lavoro critico lo stesso occidente puo' infatti apprendere qualcosa di se'
che spesso preferisce rimuovere. Quando la Mernissi critica la "tirannia
della taglia 42", ci rivela come anche in occidente lo sguardo maschile
continui a governare, tramite il denaro e il successo, il corpo femminile.
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma ci fermiamo qui. Cio' che e' certo
e' che l'universale del futuro non sara' l'imposizione di una cultura alle
altre, ma una costruzione a piu' mani. E' questa la lezione che ci viene dal
Mediterraneo, una lezione che va al di la' degli stessi confini di questo
mare.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1259 dell'8 aprile 2006

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