La nonviolenza e' in cammino. 1257



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1257 del 6 aprile 2006

Sommario di questo numero:
1. Letture: AA. VV.: Lezioni Bobbio
2. Letture: Riccardo Castagneri, "I miei anni a Palermo". La verita' di Gian
Carlo Caselli
3. Letture: Israel Gutman, Bracha Rivlin, Liliana Picciotto (a cura di), I
Giusti d'Italia, Mondadori, Milano 2006
4. Enrico Peyretti: Il problema mio, il problema degli altri
5. Raffaella Mendolia: Un'espressione concreta
6. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
7. Dalla Via Crucis Pordenone-Aviano una lettera aperta al presidente della
Regione Friuli Venezia Giulia
8. Farid Adly e Mariangela Gallo: Un appello per la Casa delle culture ad
Acquedolci
9. Mauro Buonocore intervista Agnes Heller sull'Unione Europea
10. Silvia Albertazzi intervista Salman Rushdie
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. LETTURE. AA. VV.: LEZIONI BOBBIO
AA. VV.: Lezioni Bobbio. Sette interventi su etica e politica, Einaudi,
Torino 2006, pp. XII + 154, euro 14,50. Con una presentazione di Marco
Revelli, le relazioni svolte nel ciclo di incontri "Lezioni Norberto Bobbio.
Etica e politica" tenutosi a Torino nel 2004: contributi di Michael Walzer,
Umberto Eco, Giovanni Sartori, Stefano Rodota', Gustavo Zagrebelsky, Enzo
Bianchi, Giuliano Pontara. Assolutamente da leggere.

2. LETTURE. RICCARDO CASTAGNERI: "I MIEI ANNI A PALERMO". LA VERITA' DI GIAN
CARLO CASELLI
Riccardo Castagneri, "I miei anni a Palermo". La verita' di Gian Carlo
Caselli, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2006, suppl. al quotidiano
"L'Unita'", pp. 144, euro 5,90. La testimonianza di Gian Carlo Caselli
raccolta in questo volume costituisce un ulteriore suo contributo alla lotta
contro la mafia, di cui gli siamo - come ogni persona di retto sentire -
ancora una volta assai grati. Con una prefazione di Antonio Ingroia e una
testimonianza di Rita Borsellino.

3. LETTURE. ISRAEL GUTMAN, BRACHA RIVLIN, LILIANA PICCIOTTO (A CURA DI): I
GIUSTI D'ITALIA
Israel Gutman, Bracha Rivlin, Liliana Picciotto (a cura di), I Giusti
d'Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei. 1943-1945, Mondadori, Milano
2006, pp. XLVIII + 296, euro 20. I profili di piu' di quattrocento persone
che nell'infuriare della Shoah salvarono le vite dei perseguitati. Un libro
curato dal Centro ricerche dello Yad Vashem (il prestigioso Istituto per la
memoria della Shoah) e dal Centro di documentazione ebraica contemporanea di
Milano, promosso dall'Ambasciata d'Italia e dall'Istituto italiano di
cultura in Israele, con un messaggio del Presidente della Repubblica e una
prefazione del Ministro degli Esteri, e saggi di Avner Shalev, Nathan Ben
Horin, Bracha Rivlin, Liliana Picciotto. Un'opera la cui lettura e
meditazione vivissimamente raccomandiamo, e che sarebbe bene divenisse un
testo di studio nelle scuole di ogni ordine e grado.

4. I COMPITI DELL'ORA. ENRICO PEYRETTI: IL PROBLEMA MIO, IL PROBLEMA DEGLI
ALTRI
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha
fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del
"non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto
il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Non offende questi o quegli elettori, ma il senso stesso della politica
civile, la finissima frase di ieri, 4 aprile, del presidente del consiglio
(letterale, dalla registrazione video, che mostra un oratore serissimo, non
ironico): "Ho troppa stima dell'intelligenza degli italiani per pensare che
ci siano cosi' tanti [omissis (questo notiziario non ammette il turpiloquio,
neppure a fini documentari - ndr)] che possano votare facendo il proprio
disinteresse".
Vediamo. Le ultime parole, improprie, sono state intese da tutti con questo
significato: "votare contro il proprio interesse". E' molto probabilmente
questo cio' che voleva dire l'oratore. Infatti, "disinteresse" significa 1)
mancanza di interesse per qualcosa, o 2) spassionatezza, imparzialita', o 3)
noncuranza di ricavare un utile, materiale o morale (Zingarelli, 1986).
In quella frase intera, che parla di voto politico, il terzo e' l'unico
significato possibile: sono degli sciocchi gli elettori che non fanno il
proprio interesse. Infatti, nel senso generale di quel discorso, la frase
non poteva significare: sono degli sciocchi gli elettori che non hanno
interesse per il voto. E nemmeno poteva significare: sono degli sciocchi gli
elettori che votano in maniera spassionata, imparziale.
Ora, dire: "sono degli sciocchi gli elettori che non fanno il proprio
interesse", e' un pensiero che degrada la politica, ed e' rivelatore di
quale infimo concetto della politica ha quell'uomo di governo, e dunque da
quale concezione e' guidata la sua politica, come gia' sapevamo.
Ma c'e' un altro pensiero e un'altra pratica: "Il problema degli altri e'
uguale al mio. Sortirne [uscirne] tutti insieme e' la politica. Sortirne da
soli e' l'avarizia [l'egoismo]" (Scuola di Barbiana, Lettera a una
professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, 1967, p. 14). Politica ed
egoismo sono l'opposto l'una dell'altro.
Fare il proprio particolare privato interesse, come principale e decisivo
criterio politico, e' la negazione della politica. La quale invece e' la
ricerca del bene di ciascuno con e insieme al maggior bene possibile di
tutti, il classico "bene comune". Senza di cio' non c'e' la politica, la
vita insieme, ma la guerra di tutti contro tutti, lo smembramento della
societa' (essere soci) in bande di rivali. Un popolo "privatizzato" non e'
piu' in popolo. Senza popolo non c'e' demo-crazia, ma al massimo la
demo-cratura (dittatura elettiva).
L'autore di quella finissima frase ha cosi' confessato, meglio che mai, la
sua idea e il suo programma politico, che e' la distruzione della politica,
a cominciare dalle sue regole massime, contenute nella Costituzione, che
egli vorrebbe stravolgere (con le recenti riforme che dovremo bocciare nel
referendum di giugno) nella dittatura del capo del governo al di sopra del
Parlamento.
*
Sulla base di quel falso criterio "politico", e' proprio vero che
quell'uomo, in cinque anni, ha realizzato il suo programma.
Da "Internazionale", 10 marzo 2006, pag. 5, "La settimana" di Giovanni De
Mauro: Situazione delle societa' di Berlusconi dal 1994 ad oggi: Debiti:
nel 1994: 108 milioni di euro; oggi: zero. Casse: nel 1994: vuote; oggi: 303
milioni di euro. Patrimonio: 1994: 269 milioni di euro; oggi: 854 milioni di
euro. Distribuiti ai soci dal 1994 ad oggi: 850 milioni di euro. Incassi
personali di Berlusconi: nel 2004: 79 milioni di euro; nel 2005: 141 milioni
di euro. Cio' equivale ad uno stipendio mensile personale di 11,4 milioni di
euro. De Mauro conclude dicendo che, nei 55 secondi necessari per leggere le
36 righe della sua nota, Berlusconi ha incassato 268 euro. Cio' spiega "il
furioso attaccamento al potere di questo imprenditore", che sara' difficile
battere.
*
Ma c'e' un'altra cosa da dire, un avvertimento grave per la nostra civilta':
al di la' della competizione politica, e specialmente di questo momento
elettorale acuto, l'idea egoistica della politica, che e' contraddizione in
termini, e' penetrata anche nelle componenti tradizionali della sinistra,
oltre che nei moderati. Intorno al '70, su una sezione del Pci a Piombino
vidi un cartello: "Vota per te. Vota Pci", e pensai: qui si sbaglia
radicalmente.
La cultura del possesso e' destra, la cultura dei diritti e' sinistra, ma
non dei propri diritti acquisiti, bensi' dei diritti fino ad oggi negati,
conculcati, offesi. Se la sinistra si lascia contaminare dal pensiero
egoistico del neo-liberismo - che e' liberta' dei forti e non liberazione
dei deboli: libere volpi fra libere galline - la sinistra e' finita, e la
competizione e' solo per prendere il potere senza scopo giusto. Vogliamo
sperare che oggi in Italia non sia del tutto cosi', ma ci sono sintomi che
questa infezione morale, dunque politica, serpeggi nelle vene del
centro-sinistra.
Il dilemma della politica italiana, vista nel panorama intero dell'umanita',
e' qui: "Il problema degli altri e' uguale al mio. Sortirne tutti insieme e'
la politica. Sortirne da soli e' l'avarizia". Chi lo pensa e lo pratica
coerentemente?

5. PROPOSTE. RAFFAELLA MENDOLIA: UN'ESPRESSIONE CONCRETA
[Ringraziamo Raffaella Mendolia (per contatti: raffamendo at libero.it) per
questo intervento. Raffaella Mendolia fa parte del comitato di coordinamento
del Movimento Nonviolento, ed ha a suo tempo condotto per la sua tesi di
laurea una rilevante ricerca sull'accostamento alla nonviolenza in Italia]

Le motivazioni che mi spingono a destinare il 5 per mille al Movimento
Nonviolento, sono del tutto individuali: lo considero espressione concreta
della mia iscrizione al movimento, che risale al congresso passato, e che
pero' finora si e' potuta concretizzare in ben poche cose, a causa dei
condizionamenti determinati dal mio lavoro, che non mi lascia molto tempo
per dedicarmi ad altro (specie ultimamente).
Percio' tutte le altre motivazioni, le necessita' di sostentamento del
Movimento Nonviolento in particolare e dei movimenti nonviolenti in
generale, le campagne che possono trarre giovamento dalla disponibilita' di
nuove risorse, la opportunita' di cogliere un'occasione nuova e inedita
messa a disposizione per sostenere le associazioni a scopo sociale,
rafforzano la mia scelta ma non ne sono le vere determinanti.
Spero che molti, per le piu' diverse ragioni, condividano con me questa
scelta.

6. PROPOSTE. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dagli amici del Movimento Nonviolento (per contatti: Movimento Nonviolento,
sede nazionale, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax:
0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche: an at nonviolenti.org,
sito: www.nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo]

Cari tutti,
con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un
versamento al Movimento Nonviolento. Non si tratta di versare soldi in piu',
ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato.
Per poter destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento
Nonviolento, e' sufficiente appore la propria firma nell'apposito spazio e
scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione.
Il codice fiscale e': 93100500235.
Sostenete un'associazione che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora
per la crescita e la diffusione della nonviolenza.
Grazie.
Il Movimento Nonviolento
sede nazionale, via Spagna 8, 37123 Verona

7. APPELLI. DALLA VIA CRUCIS PORDENONE-AVIANO UNA LETTERA APERTA AL
PRESIDENTE DELLA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA
[Da Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo. Tiziano Tissino e' impegnato nel movimento
nonviolento dei "Beati i costruttori di pace" ed in numerose altre
esperienze ed iniziative nonviolente]

Nel corso della Via Crucis per la pace da Pordenone ad Aviano del 2 aprile
2006 e' stata distribuita ai partecipanti la seguente lettera aperta, in cui
si chiede al presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Illy un incontro
in merito ad Aviano, alle atomiche ivi presenti, alle ipotesi di
riconversione della Base Usaf.
Al termine della Via Crucis, oltre duecento persone hanno sottoscritto la
lettera, che e' stata inoltrata in Regione.
Il documento e' reperibile anche nel sito www.vialebombe.org
*
Signor presidente della Regione Friuli Venezia Giulia,
oggi centinaia di persone si sono ritrovate sulla strada verso Aviano, in un
cammino di riflessione che ha unito insieme credenti e non credenti, laici e
religiosi.
Per molti dei presenti, la denuncia della Base Usaf di Aviano come una
"struttura di morte e di peccato" discende direttamente da un'esperienza di
fede, alla sequela di Gesu' di Nazareth e del suo vangelo di pace e
nonviolenza. Altri sono arrivati a conclusioni analoghe, ciascuno sulla base
di un proprio percorso personale o collettivo.
Tutti siamo comunque convinti che l'impegno a favore della pace e di un
ordine internazionale fondato sulla collaborazione, la fiducia e la
condivisione non puo' che essere antitetico rispetto a un modello che basa
la propria sopravvivenza sulla violenza e la guerra.
Aviano ospita 50 bombe atomiche [secondo fonti credibili - ndr], la cui
presenza e' chiaramente in contrasto con la legalita' internazionale e con
il dettato costituzionale. Non solo: quelle bombe trasformano la nostra
terra, che da sempre aspira alla pace, in incubatrice di morte. Quelle bombe
non servono a garantire ne' la nostra sicurezza, ne' quella del pianeta. Al
contrario, contribuiscono a far crescere l'odio e la paura tra i popoli.
E' per questo che siamo solidali con i promotori dell'azione legale, che ha
per obiettivo lo smantellamento di quelle atomiche. E' per questo che saremo
di nuovo ad Aviano tra il 6 ed il 9 agosto, anniversari di Hiroshima e
Nagasaki, per chiedere che il nostro territorio ed il pianeta intero siano
liberati dall'incubo nucleare.
Ci piacerebbe trovare al nostro fianco, in questa lotta, le forze politiche
e sociali, gli enti locali, i rappresentanti istituzionali di tutti i
livelli.
Un segno importante in questa direzione e' la nuova legge regionale sulla
pace, ormai in avanzata fase di elaborazione. I suoi contenuti e il percorso
partecipativo con cui e' stata costruita, ci fanno ben sperare che la
Regione Friuli Venezia Giulia possa diventare protagonista attiva di questo
processo di liberazione, non solo dalle atomiche, ma piu' in generale dalla
guerra e dalla violenza.
Tale processo, per sua natura, si svolge su piani diversi. C'e' il piano
strettamente giudiziario, quello legislativo, quello della coscientizzazione
e del coinvolgimento popolare. E poi c'e' il piano simbolico, della
testimonianza personale.
Ci sono gesti il cui significato ed impatto vanno ben al di la' del gesto
stesso in quanto tale. Ad esempio, se Lei rinunciasse alla carica di
Comandante Onorario del XXXI Fighter Wing, darebbe un segnale molto forte di
una Regione impegnata, fin nei suoi massimi esponenti, per la pace ed il
disarmo, e che non accetta di subordinare i suoi sentimenti di amicizia con
il popolo statunitense all'interno di una logica militaristica.
L'amministrazione regionale potrebbe inoltre avere un ruolo di primo piano
nell'avviare progetti di riconversione preventiva, liberando Aviano ed il
suo circondario dal ricatto occupazionale legato alla presenza della Base.
Tutti gli studi ed i casi concreti di riconversione dimostrano infatti che,
a parita' di investimento, l'economia civile offre molti piu' posti di
lavoro dell'economia militare.
Signor presidente,
al termine di questa lettera aperta, ci permettiamo di chiederLe un incontro
in cui discutere con Lei di quel che Aviano e', di quel che rappresenta, di
quello che si puo' fare per trasformarlo da "struttura di morte" in
strumento di vita.
In attesa di un suo cenno di risposta, Le porgiamo i nostri piu' sinceri
auguri di pace e serenita'.
*
Si prega di inviare eventuali risposte a: Tiziano Tissino, via Pola 3, 33080
Porcia, e-mail: tiziano at tissino.it, tel. 3492200890.

8. APPELLI. FARID ADLY E MARIANGELA GALLO: UN APPELLO PER LA CASA DELLE
CULTURE AD ACQUEDOLCI
[Da Farid Adly e Mariangela Gallo (per contatti: anbamed at katamail.com)
riceviamo e volentieri diffondiamo.
Farid Adly, autorevole giornalista (apprezzato collaboratore del "Corriere
della sera", "Il manifesto", Radio popolare di Milano, ed altre notissime
testate) e prestigioso militante per i diritti umani, e' direttore
dell'agenzia-stampa "Anbamed. Notizie dal Mediterraneo" e presidente
dell'associazione culturale Mediterraneo; gia' ai primi di aprile del 2005
nel centro siciliano in cui vive e lavora (Acquedolci, in provincia di
Messina) ha subito una grave intimidazione mafiosa: e' stato minacciato di
morte per impedirgli di svolgere il suo lavoro di inchiesta, documentazione
e denuncia, con particolar riferimento alla sua concreta azione in difesa
dell'ambiente, della legalita', dei diritti di tutti. A quella minaccia se
ne e' aggiunta nel febbraio 2006 una nuova, con un messaggio di morte
lasciato da ignoti saccheggiatori nell'abitazione sua e di Mariangela Gallo.
Mariangela Gallo, docente nelle scuole medie superiori, operatrice
culturale, regista teatrale di spettacoli di impegno civile, e' impegnata
nel volontariato, contro la mafia, per i diritti umani, nell'educazione alla
pace e alla solidarieta', insieme a suo marito Farid Adly e' stata
destinataria di un messaggio di morte nel febbraio 2006]

Carissima amica, carissimo amico,
siamo Mariangela Gallo e Farid Adly.
Ti scriviamo perche' crediamo che le minacce, da noi subite, debbano avere
una risposta all'altezza della situazione.
Il nostro impegno, in difesa dell'ambiente (contro le discariche abusive che
usurpano il paesaggio dei torrenti ai piedi dei Monti Nebrodi) e per una
societa' piu' giusta socialmente e culturalmente partecipata, non cessera'
di certo di fronte alla prepotenza e arroganza del potere e del malaffare
organizzato e malgrado il silenzio assordante del Sindaco e del Consiglio
Comunale di Acquedolci, che non hanno proferito una sola parola di condanna
contro l'atto criminale.
Ma questa battaglia va fatta raccogliendo le menti migliori della nostra
comunita' e preparando i giovani ad una cultura della solidarieta'. Per
questo abbiamo pensato che sia necessario intraprendere un progetto
lungimirante: aprire ad Acquedolci "la Casa delle Culture", uno spazio di
confronto, di approfondimento e di comunicazione, per una cultura solidale e
democratica.
Il progetto prevede l'istituzione di corsi di teatro, fotografia, video,
danza, pittura; una sala dibattiti e conferenze; una commissione donne per
la multiculturalita'; spazio giovani; una ludoteca; viaggi e turismo
solidale; proiezione film ed ascolto musica; campionato scacchi; corsi di
lingua italiana per stranieri e corsi di arabo per i figli di seconda
generazione degli immigrati, e tutte le altre attivita' di aggregazione
sociale.
Questo progetto ha un costo "di struttura" (chiaramente il lavoro umano e'
tutto di volontariato) che abbiamo valutato in 6.500 euro, per il primo
anno, e di 4.500 euro per gli anni successivi. Abbiamo anche individuato i
locali da prendere in affitto. Noi siamo certi che il progetto si
autofinanziera' una volta avviato, ma bisogna avere il capitale iniziale.
E' per questo che ti scriviamo, chiedendoti una mano: abbiamo sottoscritto,
come nostro contributo personale, i primi 500 euro e ci attendiamo dai tanti
amici, che ci hanno espresso una importante e fattiva solidarieta', di
continuare con noi un percorso di educazione alla legalita' e di impegno
culturale.
Se credi in questo progetto e nella necessita' di sostenerlo puoi mandarci
il tuo contributo. Una mattonella del mosaico, che sara' esposto nel
circolo, portera' il tuo nome e il nome della tua citta'. Alla fine
dell'anno riceverai il bilancio delle attivita' e il consuntivo delle
entrate e uscite dell'associazione onlus che costituiremo. Non abbiamo
fissato una cifra minima per il contributo, ma e' stato lasciato libero a
secondo della capacita' finanziaria di ciascuno.
Puoi versare il tuo contributo sul c/c postale n. 71495337 intestato a
Kashbur Ibrahim Ali', via Nettuno 1, 98070 Acquedolci (Me). Causale del
versamento: "Progetto Casa delle Culture".
Le coordinate bancarie (in caso di versamenti tramite bonifico bancario;
anche dall'estero): paese: IT, Check Digit: 91, CIN: J, cod. ABI: 07601,
CAB: 16500, n. conto: 000071495337.
Teniamoci in contatto, anche per farci conoscere tue proposte ed idee.
Cordialmente,
Mariangela Gallo e Farid Adly
via Nettuno 1, 98070 Acquedolci (Me), tel. 0941730053, cell. 3398599708

9. RIFLESSIONE. MAURO BUONOCORE INTERVISTA AGNES HELLER SULL'UNIONE EUROPEA
[Dal sito di "Caffe' Europa" (www.caffeeuropa.it) riprendiamo questa
intervista apparsa nel n. 240 del 15 novembre 2003.
Mauro Buonocore e' redattore-capo di "Caffe' Europa", redattore della
rivista "Reset", responsabile del sito del Dams dell'Universita' Roma III.
Agnes Heller, illustre filosofa ungherese, nata a Budapest nel 1929,
sopravvissuta alla Shoah, allieva e collaboratrice di Lukacs, allontanata
dall'Ungheria, ha poi insegnato in Australia e in America. In Italia e'
particolarmente nota per la "teoria dei bisogni" su cui si ebbe nel nostro
paese un notevole dibattito anche con riferimento ai movimenti degli anni
'70. Su posizioni democratiche radicali, e' una interlocutrice preziosa
anche laddove non se ne condividessero alcuni impianti ed esiti teorici. Dal
sito della New school for social research di New York (www.newschool.edu)
presso cui attualmente insegna traduciamo questa breve notizia biografica
essenziale aggiornata al 2000: "Nata nel 1929 a Budapest. Sopravvissuta alla
Shoah, in cui ha perso la maggior parte dei suoi familiari morti in diversi
campi di concentramento. Allieva di Gyorgy Lukacs dal 1947 e successivamente
professoressa associata nel suo dipartimento. Prima curatrice della 'Rivista
ungherese di filosofia' nel dopoguerra (1955-'56). Destituita dai suoi
incarichi accademici insieme con Lukacs per motivi politici dopo la
rivoluzione ungherese. Trascorse molti anni ad insegnare in scuole
secondarie e le fu proibita ogni pubblicazione. Nel 1968 protesto' contro
l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, e subi' una nuova persecuzione
politica e poliziesca. Nel 1973, sulla base di un provvedimento ad personam
delle autorita' del partito, perse di nuovo tutti gli incarichi accademici.
'Disoccupata per motivi politici', tra il 1973 e il 1977 lavoro' come
traduttrice. Nel 1977 emigro' in Australia. A partire dall'enorme
cambiamento del 1989, attualmente trascorre parte dell'anno nella nativa
Ungheria dove e' stata designata membro dell'Accademia ungherese delle
scienze. Nel 1995 le sono stati conferiti il 'Szechenyi National Prize' in
Ungheria e l''Hannah Arendt Prize' a Brema; ha ricevuto la laurea ad honorem
dalla 'La Trobe University' di Melbourne nel 1996 e dall'Universita di
Buenos Aires nel 1997". Opere di Agnes Heller: nella sua vastissima ed
articolata produzione segnaliamo almeno: Per una teoria marxista del valore,
Editori Riuniti, Roma 1974; La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli,
Milano 1974, 1978; Sociologia della vita quotidiana, Editori Riuniti, Roma
1975; L'uomo del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1977; La teoria, la
prassi e i bisogni, Savelli, Roma 1978; Istinto e aggressivita'.
Introduzione a un'antropologia sociale marxista, Feltrinelli, Milano 1978;
(con Ferenc Feher), Le forme dell'uguaglianza, Edizioni aut aut, Milano
1978; Morale e rivoluzione, Savelli, Roma 1979; La filosofia radicale, il
Saggiatore, Milano 1979; Per cambiare la vita, Editori Riuniti, Roma 1980;
Teoria dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1980, 1981; Teoria della
storia, Editori Riuniti, Roma 1982; (con F. Feher, G. Markus), La dittatura
sui bisogni. Analisi socio-politica della realta' est-europea, SugarCo,
Milano 1982; (con Ferenc Feher), Ungheria 1956, Sugarco, Milano 1983; Il
potere della vergogna. Saggi sulla razionalita', Editori Riuniti, Roma 1985;
Le condizioni della morale, Editori Riuniti, Roma, 1985; (con Ferenc Feher),
Apocalisse atomica. Il movimento antinucleare e il destino dell'Occidente,
Milano 1985; Oltre la giustizia, Il Mulino, Bologna, 1990; (con Ferenc
Feher), La condizione politica postmoderna, Marietti, Genova 1992; Etica
generale, Il Mulino, Bologna 1994; Filosofia morale, Il Mulino, Bologna,
1997; Dove siamo a casa. Pisan Lectures 1993-1998, Angeli, Milano 1999.
Opere su Agnes Heller: Nino Molinu, Heller e Lukacs. Amicus Plato sed magis
amica veritas: topica della moderna utopia, Montagnoli, Roma 1984; Giampiero
Stabile, Soggetti e bisogni. Saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni,
La Nuova Italia, Firenze 1979; la rivista filosofica italiana "aut aut" ha
spesso ospitato e discusso la riflessione della Heller; cfr. in particolare
gli studi di Laura Boella]

"Per il momento l'Unione Europea e' un grandissimo esperimento, il tentativo
di realizzare una grande impresa dal punto di vista politico".
Agnes Heller non si lascia guidare da facili entusiasmi quando si parla di
Europa. Autrice di libri come Etica generale (Bologna 1994), Filosofia
morale (Bologna 1997), Dove siamo a casa. Pisan Lectures 1993-1998 (Milano
1999), la Heller, che e' stata allieva di Lukacs e attualmente e' Hannah
Arendt Professor of Philosophy presso la New School for Social Research di
New York, ci parla della sua Ungheria e della prossima entrata nell'Unione.
E ci racconta il suo modo di vedere l'Unione Europea, immergendosi in una
successione di parole che descrivono e spiegano un'istituzione politica come
se fosse una persona che per vivere insieme agli altri ha bisogno di fare
scelte ponderate, di vivere gli anni che daranno conto di vittorie e
sconfitte, dell'autoironia e dell'umorismo necessari per non sopraffare i
punti di vista di chi ci sta intorno.
*
- Mauro Buonocore: Che significa diventare cittadina europea per Agnes
Heller?
- Agnes Heller: Il prossimo mese di maggio l'Ungheria sara' definitivamente
un paese dell'Unione Europea e questo e' certamente un vantaggio. Lo e' in
modo particolare perche' far parte di un soggetto politico collettivo
garantisce ai paesi dell'est una certa difesa dalle guerre.
*
- Mauro Buonocore: In che senso?
- Agnes Heller: Nel senso che le guerre che hanno colpito il cuore
geografico del territorio che siamo soliti chiamare Europa, come ad esempio
la crisi nei Balcani, sarebbero andate in maniera molto diversa se gia'
allora l'Unione europea fosse stata un'istituzione matura, perche' avrebbe
potuto proteggere i suoi membri dai conflitti che invece li hanno dilaniati,
che hanno spaccato popoli e territori. Ovviamente per il momento si puo'
parlare con ottimismo perche' la situazione dell'Europa e' oggi, sotto un
certo punto di vista, promettente. L'Unione sembra essere un'istituzione che
nasce e cresce con solidi presupposti, ma non possiamo prevedere con
esattezza quello che succedera' tra qualche decennio, se l'equilibrio che si
sta creando la' dove ci sono state guerre intestine durera' a lungo. Il
grande pregio dell'Unione Europea e' che sta nascendo come un'istituzione
compatta dal punto di vista politico ed economico, ma mantiene la varieta'
delle culture che la compongono.
*
- Mauro Buonocore: Che cosa e', secondo lei, che tiene insieme tante culture
diverse?
- Agnes Heller: Esistono delle basi comuni, prima fra tutte probabilmente la
filosofia e il pensiero dell'eta' classica, la cultura greco-romana che puo'
essere considerata un elemento proprio a tutte le tradizioni culturali
europee. Ma dobbiamo stare attenti a non fare confusione e tenere bene
distinti i termini di Europa e Unione Europea, sono due cose diverse. Il
primo e' un concetto piu' vasto del secondo, e' una tradizione che lega, una
specie di collante che tiene insieme i paesi europei nonostante le
differenze storiche che si sono sviluppate nel corso dei secoli. Questa
tradizione va ricercata nella cosiddetta narrativa modello, cioe' nei
modelli narrativi che sono identici in tutte le letterature europee e
rappresentano, nonostante le differenze, un fondo comune. Mi riferisco, ad
esempio, ai racconti biblici, e alla cultura greco-romana. Ma al di la'
delle origini culturali e dei tratti comuni che possiamo rintracciare nelle
storie europee, l'identita' europea non e' ancora qualcosa di cui possiamo
dire che ci appartiene. Se proviamo a chiedere a un ragazzo di qualsiasi
nazionalita' che cosa significhi essere europeo, la nostra domanda rimarra'
incomprensibile. Se invece chiediamo a un ragazzo italiano, ad esempio, che
cosa voglia dire essere italiano, che sia romano milanese o napoletano, la
sua risposta sara' piu' chiara e definita. Per questo credo che al momento
l'Unione Europea va vista come un grande esperimento, il tentativo di
realizzare una grande impresa.
*
- Mauro Buonocore: E nella pratica che cosa sara' di questo grande
tentativo?
- Agnes Heller: Io spero che nella pratica si possa tradurre in un successo,
ma e' presto per dirlo perche' i successi e gli insuccessi maturano nel
tempo. Accade per le istituzioni politiche esattamente quello che succede
alla vita degli individui: il bilancio dei pro e dei contro, dei guadagni e
delle perdite, dei successi e delle sconfitte cui ci avranno condotto le
nostre scelte lo potremo fare solo con il conforto degli anni. E' il tempo
che ci da' conto della bonta' di una scelta.
*
- Mauro Buonocore: In che modo l'ingresso dell'Ungheria arricchisce l'Unione
europea?
- Agnes Heller: Credo che ogni singola nazione abbia i suoi valori da
portare dentro l'Unione Europea, ciascuno puo' avere una sua importanza, una
risorsa specifica dal punto di vista culturale, da condividere per
arricchire la coesistenza con gli altri. E l'Ungheria non fa certo
eccezione. Quello che puo' portare nella condivisione di valori e tradizioni
con i paesi europei, non riguarda soltanto il grande patrimonio culturale e
musicale della nostra storia, ma anche lo spirito e l'umorismo tipico degli
ungheresi che hanno una fortissima qualita' che e' l'autoironia. Sto
parlando di una qualita' che puo' rivelarsi molto importante all'interno
della coabitazione di molte diversita', perche' una delle cose di cui ha
bisogno un'istituzione politica nascente e' la capacita' di saper ridere di
se stessa in maniera costruttiva. L'autoironia e l'umorismo infatti si
traducono in una sorta di scetticismo che non e' una caratteristica solo
ungherese, ma riguarda anche altri popoli ed e' molto importante perche' si
contrappone al cinismo. Contrariamente a quest'ultimo, lo scetticismo si
puo' definire come una sorta di relativismo che mette sempre le cose in
discussione, una qualita' costruttiva che lascia spazio alla comprensione
dei punti di vista di chi ci sta intorno. Sul piano internazionale, si
traduce in una forma di liberalismo, una specie di antidoto alle ideologie
forti, al terrore, all'arroganza e alla superbia. L'umorismo e' un modo di
rapportarsi alla vita che cammina sulla via, che tradizionalmente appartiene
alla piu' alta cultura europea, della liberta' umana, civile e morale.

10. RIFLESSIONE. SILVIA ALBERTAZZI INTERVISTA SALMAN RUSHDIE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 marzo 2006.
Silvia Albertazzi e' docente di letteratura inglese all'Universita' di
Bologna. tra le opere di Silvia Albertazzi: Il tempio e il villaggio. La
narrativa indo-inglese e la tradizione britannica, Bologna, Patron, 1978;
(con L. M. Crisafulli Jones), In viaggio nel racconto. Percorsi e
prospettive della narrativa breve di lingua inglese, Urbino, QuattroVenti,
1992; Bugie sincere. Narratori e narrazioni 1970-1990, Roma, Editori
Riuniti, 1992; La letteratura fantastica , Bari, Laterza, 1993; Translating
India. Travel and Cross-Cultural Transference in Post-Colonial Indian
Fiction in English, Bologna, Clueb, 1993; Nel bosco degli spiriti. Senso del
corpo e fantasmaticita' nelle nuove letterature di lingua inglese, Manziana
(Roma), Vecchiarelli, 1998; (a cura di), Appartenenze. La scrittura delle
donne di colore nelle letterature di espressione inglese, Bologna, Patron,
1998; Lo sguardo dell'Altro. Le letterature postcoloniali, Roma, Carocci,
2000; (a cura di, con Roberto Vecchi), Abbecedario PostcolonialeMacerata,
Quodlibet, 2001; (a cura di, con Roberto Vecchi), Abbecedario Postcoloniale
2 Macerata, Quodlibet, 2002; (a cura di, con Donatella Possamai),
Postmodernism and Postcolonialism Padova, Il Poligrafo, 2002; (con Adalinda
Gasparini), Il romanzo new global. Storie di intolleranza, fiabe di
comunita', Pisa, Ets, 2003.
Salman Rushdie, nato a Bombay nel 1947, vive in Gran Bretagna; romanziere,
nel 1989 e' stato condannato a morte dal fondamentalismo islamico per aver
pubblicato un libro (il romanzo I versi satanici) e da allora vive
praticamente in clandestinita' ed in costante pericolo di vita. Tra le opere
di Salman Rushdie: I figli della mezzanotte, Garzanti, Milano 1987,
Mondadori, Milano 2003; I versi satanici, Mondadori, Milano 1989; Il sorriso
del giaguaro, Garzanti, Milano 1989; La vergogna, Garzanti, Milano 1991,
Mondadori, Milano 1999; Harun e il mar delle storie, Mondadori, Milano 1991;
Il mago di Oz, Linea d'Ombra, Milano 1993, Mondadori, Milano 2000; Patrie
immaginarie, Mondadori, Milano 1994; L'ultimo sospiro del moro, Mondadori,
Milano 1995; Est, Ovest, Mondadori, Milano 1997; La terra sotto i suoi
piedi, Mondadori, Milano 1999; Furia, Mondadori, Milano 2002; Grimus,
Mondadori, Milano 2004; Shalimar il clown, Mondadori, Milano 2006. Opere su
Salman Rushdie: AA. VV. (a cura di Federico Tibone), Salman Rushdie: il
silenzio dell'occidente, Sonda, Torino-Milano 1991]

"Urgono nuove immagini. Immagini per un mondo senza dio", si legge proprio
all'inizio del nuovo romanzo di Salman Rushdie, Shalimar il clown, appena
uscito da Mondadori nella traduzione di Vincenzo Mantovani (pp. 480, euro
19). Se nella produzione narrativa antecedente la fatwa del 1989 era
centrale la figurazione del vuoto lasciato dall'assenza di Dio, nei romanzi
successivi a imporsi e' piuttosto il tentativo di dare forma a un
immaginario per un mondo privo di divinita'. Con una sola eccezione: la
favola Harun e il mare delle storie, primo lavoro pubblicato dopo la
condanna a morte, nel 1991, ambientata in un mondo magico dove non e'
questione di fedi e dei.
Shalimar il clown, favola per adulti senza lieto fine e senza catarsi,
sembra porsi come contraltare tragico di quel racconto fatato, lieve e
ottimista. E come Harun appare, nella sua calviniana leggerezza, l'opera
piu' riuscita del periodo della cattivita', Shalimar, nel suo intreccio di
"territori che si sovrappongono e storie che si intrecciano" (per dirla con
Edward Said) e', senza ombra di dubbio, il miglior lavoro di Rushdie dai
Versi satanici a oggi.
Certo questa favola terribile, che parte e si chiude in una Los Angeles
molto simile a quella vista in Crash, ("una citta' nascosta, una citta' di
estranei") dopo aver toccato sperduti villaggi del Kashmir, la Strasburgo
del periodo bellico e la swinging London degli anni '60, riesce nell'intento
di creare un immaginario per un mondo sconvolto da cattive interpretazioni
del divino, lacerato da guerre di religione e da fondamentalismi.
Storia della genesi di un angelo sterminatore - figura, questa, molto amata
da Rushdie, che la inserisce in ogni suo lavoro dai tempi de La vergogna
(1983) - Shalimar il clown narra di un grande amore che si converte in un
odio senza fine e in sete di vendetta, ma anche della metamorfosi
inquietante di un giovane che da attore girovago si trasforma in killer
spietato. Al suo destino si intrecciano quelli della donna che,
abbandonandolo, lo porta a una tale trasformazione; dell'uomo con cui viene
tradito; della figlia che da questo tradimento nasce. Destini - trattandosi
di Rushdie - non ordinari, segnati dall'impossibilita' di rassegnarsi, come
la maggior parte dei comuni mortali, a vivere nello spazio intermedio "tra i
ricordi e le cose di tutti i giorni. Tra ieri e domani, nel paese della pace
e della felicita' perduta, nel posto della tranquillita' smarrita".
E' proprio a quel passato che i protagonisti di Shalimar il clown cercano
invano di ritornare: a quel passato che nei suoi saggi Rushdie defini' "il
paese da cui tutti siamo emigrati"; ma quello stesso tempo e quello stesso
paese i suoi personaggi si impegnano caparbiamente a distruggerlo, una volta
sfumata la possibilita' di riaverlo. E poiche' "Le storie erano storie e la
vita reale era la vita reale, nuda, brutta e in definitiva impossibile da
abbellire col cerone di una favola", quella che Rushdie propone e' una
favola che non arretra di fronte alla violenza e al massacro, e non offre la
gratificazione di un lieto fine.
Ne parliamo con lui, in Italia per presentare il suo libro.
*
- Silvia Albertazzi: Nei "Figli della mezzanotte" tutti gli artisti che
vivono nella comunita' dei maghi sono comunisti: sono i soli che potrebbero
fare la rivoluzione proprio perche', credendo nel soprannaturale, agiscono
di conseguenza. Ho sempre interpretato questa loro caratteristica come la
metafora di un certo ottimismo politico, quello che consentiva alle persone
della nostra generazione di continuare a credere in una rivoluzione che,
come Godot, non arrivava mai. Oggi in "Shalimar il clown" lei ci mostra un
villaggio di artisti che diventa culla del terrorismo: sta a indicare un
cambiamento nella sua visione politica?
- Salman Rushdie: La descrizione della comunita' dei maghi nei Figli della
mezzanotte e' piuttosto satirica tant'e' che parecchie persone di sinistra
in India si offesero quando il libro usci', pensando che volessi dire che la
politica di sinistra era fatta di trucchi. Ma I figli della mezzanotte,
anche se diventa cupo sul finale, e' un libro ottimista, mentre Shalimar il
clown e' un romanzo alquanto triste, perche' parla della distruzione della
bellezza. Tuttavia, ho cercato di inserirvi il maggior numero di elementi
umoristici possibile: in linea di massima tutti i personaggi piu' cattivi
sono comici, ma nel complesso questo libro rimane quanto di piu' vicino alla
tragedia abbia mai scritto. Quindi, si', c'e' stato un cambiamento nel mio
sguardo sulla politica, ma d'altra parte, dopo tutto quello che abbiamo
attraversato in questi ultimi venticinque anni, la mia visione non poteva
che oscurarsi.
*
- Silvia Albertazzi: Lei crede ancora che "l'irrealta' e' l'unica arma con
cui distruggere la realta', per poi poterla ricostruire", come scriveva in
un suo saggio degli anni '80? Non le sembra un sogno?
- Salman Rushdie: Certo, ci credo ancora. Del resto, se si fa un mestiere
come il mio, ovvero immaginare sogni per vivere, non si puo' non crederci.
*
- Silvia Albertazzi: Si possono anche immaginare incubi...
- Salman Rushdie: Certamente, ma non sono che cattivi sogni. Questo e' cio'
che distingue gli esseri umani dalle altre creature: solo noi sappiamo usare
l'immaginazione per ripensare il nostro modo di essere. E finche' abbiamo
questa capacita' possiamo usarla per cambiare le possibilita' che ci vengono
date dalla vita.
*
- Silvia Albertazzi: Ma perche', ancora una volta, ha scelto di ambientare
un romanzo nel mondo dello spettacolo?
- Salman Rushdie: Forse il mondo dello spettacolo appare un po' troppo nei
miei lavori. Per quanto riguarda questo libro, mi interessava scrivere della
tradizione musicale dell'oriente, che e' simile al jazz perche' abbatte le
barriere tra compositore e esecutore, diversamente da quanto accade nella
musica occidentale, in cui le due figure non coincidono quasi mai. L'idea
che riguarda gli attori, invece, nasce dal mio incontro con una compagnia di
girovaghi incontrati nel Kashmir, quando vi andai per girare un documentario
nel 1987. Ricordo che questi attori girovaghi erano terrorizzati all'idea di
parlare di fronte alla macchina da presa. Aspettavano che la spegnessimo,
altrimenti, quando gli si chiedeva di raccontare i loro problemi
rispondevano: "Va tutto bene". Alla fine, abbiamo dovuto arrenderci. Ma
l'esperienza e' rimasta viva in me ed e' all'origine di questo libro. Volevo
scrivere le storie che gli attori non avevano avuto il coraggio di
raccontare. E' passato tanto tempo, ma alla fine ce l'ho fatta.
*
- Silvia Albertazzi: Sempre a proposito di riferimenti al mondo dello
spettacolo, perche' uno dei suoi protagonisti si chiama Max Ophuls, come il
regista della "Ronde" e di "Lola Montes"?
- Salman Rushdie: Ma, forse era meglio non usare il nome Max Ophuls, pero'
alla fine ho deciso di lasciarlo, perche' mi sembrava ci stesse bene. E'
solo un gioco, come quello di chiamare il suo assistente Ed Wood...
*
- Silvia Albertazzi: Cosi' ha anticipato la mia prossima domanda: Edgar Wood
e' o non e' Ed Wood?
- Salman Rushdie: E' solo un gioco, non ci sono legami tra i due, a parte il
nome. Pero' Ed Wood e' considerato "il peggior regista del mondo", e anche
il mio Ed Wood quanto a cattiveria non scherza. Vede? E' proprio un gioco,
il gioco di uno scrittore a cui piace il cinema. Ma in fin dei conti,
qualche relazione tra il mio ambasciatore e il regista Ophuls c'e': entrambi
si trovano ad agire in un momento di trasformazione, si muovono dal vecchio
mondo al nuovo. E inoltre, Ophuls e' un regista molto interessato al
problema del tradimento sessuale, pensi appunto a Lola Montes, e il mio
romanzo tratta di tradimenti. Cio' che mi piace di piu' del mio Max, pero',
e' che durante la resistenza crea documenti falsi, diventa un falsario...
*
- Silvia Albertazzi: Questo non e' per caso un omaggio a "F for Fake" di
Orson Welles?
- Salman Rushdie: Si', certo, mi fa piacere che l'abbia notato. A proposito,
lo sa che il vero nome del regista Max Ophuls era Openheimer? Mi piaceva
l'idea che anche lui, come il mio Max, avesse cambiato identita'.
*
- Silvia Albertazzi: Fatto sta che nel libro i nomi di persona hanno
un'enorme importanza, tanto che spesso lei ne fornisce dettagliate
etimologie. Tra l'altro, cita anche una fiaba dei fratelli Grimm,
"Rumpelstinstkin", che si fonda sul potere di un nome.
- Salman Rushdie: Vede, contrariamente a quanto accade in occidente, dove se
chiamate una bambina Chiara o Clara non state tanto a pensare che il suo
nome significa "luce", in oriente il nome lo si sceglie non perche' abbia un
bel suono, ne' in omaggio a qualche parente, bensi' per quel che significa.
Riflette cio' che i genitori pensano del figlio. Salman, per esempio,
significa "pacifico": e' questo che i miei genitori pensavano di me! Lo
stesso faccio io con i miei personaggi. Questo e' un romanzo sul paradiso
perduto, quel Kashmir che gli adulti perdono e la nuova generazione sogna,
ma non puo' ritrovare. Ci sono diversi paradisi nel libro. C'e' la
California, per esempio, un paradiso rovinato dal materialismo. Ma Los
Angeles mi ha colpito molto, e anche la bellezza della zona circostante e'
incredibile. Ho avuto la stessa reazione di fronte alla bellezza del
Kashmir: per questo per me e' cosi' dolorosa la situazione alla quale il
paese e' approdato: ci sono cresciuto, i miei nonni provenivano di la'.
Inoltre penso che la bellezza di quella regione non sia solo fisica: ricordo
una speciale bellezza che proveniva dal modo in cui le persone vivevano
insieme. Certo, c'erano tensioni che anche il romanzo riporta, per esempio
quando Boony e Shalimar non si aspettano che il loro amore venga approvato
dal villaggio, perche' anche in quel contesto paradisiaco una unione tra
indu' e musulmani e' inusuale. Se nella prima parte del libro ho cercato di
mostrare l'armonia di quella comunita', e' perche' il lettore ne vivesse la
distruzione come qualcosa di ancora piu' doloroso. Ricordo di essere tornato
dal Kashmir distrutto e avere raccontato quel che aveva fatto l'esercito
indiano, la desolazione a cui avevo assistito; ma in India i liberali di
sinistra ai quali parlavo non volevano ascoltare, mi trattavano come un
fondamentalista islamico! In linea di massima, ho una grande ammirazione per
l'esercito indiano, che e' genuinamente secolare e non politico, come si
capisce se lo si paragona a quello pakistano. Pero', in Kashmir si sono
comportati e ancora si comportano in maniera sconvolgente, e io volevo
mostrare questo orrore.
*
- Silvia Albertazzi: Proprio tali premesse fanno somigliare questo suo
ultimo libro a "La vergogna", e' d'accordo?
- Salman Rushdie: Si', ha ragione. Anche La vergogna usa la tecnica della
favola per parlare di cose che non sono favole. E soggetto di entrambi e' la
cultura dell'onore, il fatto che la gente per onore uccida, anche le persone
che ama. Forse la scena piu' importante di Shalimar e' quella che descrive
Boony quando torna a casa dopo la sua fuga con Max e si rende conto di come
il suo villaggio l'abbia rigettata. Mentre la scrivevo, mi era chiaro che
Shalimar l'amava ancora, ma il desiderio di vendicare il suo onore superava
in lui ogni altro sentimento. C'e' un conflitto in lui e alla fine,
purtroppo, onore, vergogna e violenza prevalgono.
*
- Silvia Albertazzi: E' chiaro che le favole hanno una grande importanza
nella sua narrativa. Perche'?
- Salman Rushdie: Prima di tutto, per la tradizione dalla quale provengo: le
narrazioni classiche orientali sono favole e le stesse tecniche narrative
che impiego mi vengono da quella tradizione. Inoltre, per il tipo di romanzi
che mi hanno attratto per primi in occidente: quelli di Bulgakov, Borges,
Calvino, Garcia Marquez. Pero', le favole pure, senza appigli con il mondo
reale, non mi interessano piu' di tanto: ho sempre bisogno che ci sia un
rapporto con la realta'. E' un po' quello che diceva Calvino quando
affermava che la fantasia e' come la marmellata: occorre un pezzo di pane su
cui spalmarla, altrimenti ci si appiccicano le mani. Non avrei potuto dirlo
meglio. Prenda un autore come Dickens: c'e' un background - il suo pezzo di
pane - che e' estremamente naturalistico, iper-naturalistico, direi: da esso
emergono personaggi esagerati, situazioni surreali, come le cause legali
interminabili di Casa desolata, o i mucchi di immondizia del Nostro comune
amico, immagini che si potrebbero definire magico-realiste, ma che affondano
le loro radici in un terreno ben riconoscibile. Penso che occorra prima di
tutto conoscere il mondo di cui si scrive e che poi su quel terreno si
possano coltivare strane piante che, se fatte crescere bene, risulteranno
appartenere da sempre a quel mondo.
*
- Silvia Albertazzi: La metafora della nudita' ricorre con insistenza nel
libro. Che cosa significa nell'economia di questo romanzo?
- Salman Rushdie: La nudita' ha a che vedere con l'arte. Una cosa che si
impara presto, come autori, e' a liberarsi di tutte le maschere. E, se si e'
fortunati, si impara ad essere meglio se stessi. Nel mio lavoro si e' molto
esposti, molto vulnerabili, perche' si raccontano cose private, e se il
libro viene rifiutato e' come se venisse rigettata una parte di te. Scrivere
e' un'attivita' molto scoperta: alla fine di un libro si e' esausti. C'e'
sempre uno iato tra progetto e realizzazione, ma stavolta, alla fine, mi
sono detto: "questo e' il libro che volevo scrivere. Ha quel tipo di verita'
che volevo raccontare".
*
- Silvia Albertazzi: Sul giornale satirico "Charlie Hebdo" e' apparso un
manifesto contro il totalitarismo islamico, che lei ha firmato insieme ad
altri undici intellettuali, tra i quali Bernard-Henry Levi e Taslima
Nasreen. Ci puo' parlare di questa sua pubblica presa di posizione, di cui
in Italia non e' filtrato nulla?
- Salman Rushdie: Non ho scritto io il manifesto, ne' so chi l'ha scritto:
al testo che mi e' stato inviato sia io che gli altri firmatari abbiamo
apportato correzioni e commenti. Ci sono volute un paio di settimane per
avere il testo definitivo, che cosi' com'e' rappresenta appieno il mio
pensiero e che approvo in ogni sua parola. Nella cosiddetta "blogosfera" e'
molto discusso, mentre e' chiaro che i media maggiori hanno avuto paura di
diffonderlo, e questo mi sembra patetico. Pare proprio che mentre tutti
coloro che hanno auspicano la censura e la violenza abbiano ampi spazi e un
sacco di tempo a disposizione per esprimere i loro punti di vista, non
altrettanto si possa dire di chi mette in guardia contro il pericolo reale
del fondamentalismo. Pericolo che non e' quello sbandierato
dall'amministrazione Bush, perche' non ha niente a che vedere con lo scontro
di civilta', ma nonostante questo rappresenta una minaccia profonda alla
liberta' e a tutto cio' che conta, indipendentemente da dove veniamo o da
cio' in cui crediamo. Tra i firmatari del manifesto ci sono persone che
hanno rischiato molto per la difesa delle loro idee, molti di loro hanno
dovuto lasciare i loro paesi: sono tutte persone che sanno bene di che cosa
stanno parlando. E tuttavia, faticano a farsi ascoltare. Mi sconvolge
l'assenza di risposta a questa non facile presa di posizione: nessuno dei
firmatari ha appoggiato questo manifesto per un tornaconto personale.
Eppure, per quanto ne so, nessuno in Italia lo ha fatto circolare. Credo che
in Inghilterra solo il "London Times" abbia scritto un articolo molto breve
in proposito, senza riportare il testo. Lo stesso negli Stati Uniti: si sa
che esiste, ma nessun giornale l'ha pubblicato. E' una dimostrazione del
fatto che stiamo subendo un processo di intimidazione in nome della
religione, il che non lo rende certo piu' giustificabile. Secondo me,
proprio per questo dovremmo reagire, perche' intimidazione significa
terrorismo. A me sembra che si faccia molta confusione tra la condivisibile
necessita' di non offendere la sensibilita' religiosa, e il fatto di
considerare questa offesa illegale.
*
- Silvia Albertazzi: Un'ultima domanda: vedendo la biblioteca dei suoi
genitori distrutta dalle fiamme, Max Ophuls ricorda una frase di Bulgakov:
"I manoscritti non bruciano". Lei ne e' davvero convinto?
- Salman Rushdie: Si', ci credo davvero. Anzi, ne sono certo.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1257 del 6 aprile 2006

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