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La nonviolenza e' in cammino. 1256
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1256
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 5 Apr 2006 00:15:38 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1256 del 5 aprile 2006 Sommario di questo numero: 1. Mao Valpiana: Telecrazia 2. Oggi a Orte 3. Rossana De Gennaro: L'utopia razionale e i bisogni radicali. Ripensare Agnes Heller 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. I COMPITI DELL'ORA: MAO VALPIANA: TELECRAZIA [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] E' evidente che oggi, nella strettoia dell'attuale legge elettorale, il peggio del peggio e' rappresentato dalla coalizione del centrodestra che ha dimostrato di governare male, che ha coinvolto il paese in un conflitto bellico, che ha intaccato la Costituzione, che ha in se' elementi mafiosi, di corruzione, di illegalita', di interessi personali, che ha distrutto il sistema scolastico, legittimato la "giustizia fai da te", minato la solidarieta' nazionale, ed ora ha accolto in se' anche formazioni eversive di ispirazione nazi-fascista. Dunque, l'unica scelta possibile e' quella contraria, cioe' il voto ad uno dei partiti dell'Unione. Ma si tratta, appunto, di un voto "contro", non di un voto "per". Il programma elettorale dell'Unione, che ho letto con attenzione, e' ancora troppo generico, reticente su molti punti, inadeguato su altri, condivisibile solo per alcuni aspetti. Non e' un programma che mi ha appassionato, ed e' evidentemente un documento di mediazione al ribasso. Tuttavia, paragonato al programma del centrodestra - che e' invece impresentabile, distruttivo della pace, dell'ambiente, dell'economia e della solidarieta', scopertamente bugiardo alla luce di quanto non e' stato fatto nei cinque anni passati -, risulta apprezzabile. Ma il programma, che e' un elenco di cose da fare, da solo non basta: ci vogliono anche una proposta politica, una visione di societa' e delle idee-guida che stimolino la partecipazione dei cittadini. Questo sarebbe quel "di piu'" che ci vorrebbe per trasformare un voto "contro" in un voto "per". Ma purtroppo nell'Unione non ho trovato quest'aggiunta per me necessaria e indispensabile. Oggi, dunque, il voto "per" non esiste. O meglio, anche se si vota con convinzione "per" un certo partito di cui si condivide la politica, che ha messo in lista un candidato che riscuote la fiducia dell'elettore, questo voto va poi a sommarsi ai voti complessivi della coalizione e contribuisce a dare il premio di maggioranza anche ad altri partiti che eleggono parlamentari che possono non avere affatto la fiducia dell'elettore. Quindi si vota al buio. E il singolo voto, dato al tal partito, nel tal collegio, puo' servire poi ad eleggere chissa' quale altro deputato, di chissa' quale partito, in chissa' quale collegio; l'unica certezza che si ha e' che il proprio voto resta all'interno della coalizione prescelta e contribuisce all'elezione del presidente del consiglio. E' ancora troppo poco per chi ha una concezione quasi sacra del proprio voto, come espressione di volonta', di scelta, di partecipazione politica, come di un modo per "amare il prossimo" (don Lorenzo Milani definiva cosi' la politica). * C'e' bisogno quindi di ripensare completamente la politica. E io credo che cio' potra' essere fatto utilmente solo con le categorie della nonviolenza: amore, verita', ripudio della violenza, dialogo, empatia, mitezza, coraggio, abnegazione, pazienza, coscienza. Purtroppo le forme attuali della politica stanno andando in senso diametralmente opposto: i partiti, la legge e la campagna elettorale ne sono uno specchio. Il sistema bipolare obbliga ad alleanze innaturali, elimina le differenze ed esalta la mediocrita'. La legge elettorale ha affidato tutto il potere alle oligarchie dei partiti, che hanno gia' deciso la composizione del nuovo parlamento, esautorando l'elettore da qualsiasi possibilita' di scelta delle persone. Gli eletti non saranno votati dai cittadini, ma sono stati indicati dai partiti, per di piu' senza esprimere la territorialita'. La campagna elettorale non e' basata su veri dibattiti e confronti, ma pressoche' esclusivamente sulla "telecrazia". Pochi leader (si fa per dire...) accedono ai salotti buoni degli studi televisivi e parlano per tutti, piu' attenti a come dicono, piuttosto che a cosa dicono. Spesso lo spettacolo e' nauseante, comunque sempre ininfluente. Milioni di cittadini hanno l'illusione di "occuparsi di politica" solo perche' assistono ad un teatrino i cui attori sono giornalisti e politici, e "tifano" per uno dei "duellanti". Quale abisso vertiginoso, tra la piccola saletta dove si riunivano i partecipanti al Centro di orientamento sociale (C. O. S.) di Aldo Capitini per "ascoltare e parlare" con "tensione e familiarita'" sui tanti problemi della comunita' locale ed internazionale, e quella grande piazza virtuale che e' lo schermo televisivo del "duello" verbale e d'immagine fra i due candidati alla presidenza del consiglio. Come siamo caduti in basso. Che pena. * Gli amici della nonviolenza hanno una concezione altissima della politica, che e' tale solo se c'e' vera partecipazione, vero dialogo, vero confronto. E la nonviolenza vorrebbe andare persino oltre, passando dalla democrazia all'omnicrazia, il potere di tutti. Anziche' avanti, pero', negli ultimi decenni siamo andati indietro, precipitando dalla democrazia alla telecrazia. Non abbiamo saputo impedirlo, abbiamo tollerato l'abbrutimento del sistema maggioritario, abbiamo accettato la deriva del "meno peggio", abbiamo subito la spettacolarizzazione della politica. Anziche' disertare, come si sarebbe dovuto fare fin da quando anche partiti di centrosinistra hanno sostenuto il sistema maggioritario, ci si e' piegati pur di stare in gioco. Ma cosi' si diventa uguali all'avversario, come sempre avviene quando la violenza degli oppressi rende questi ultimi uguali all'oppressore. E' dunque una questione di metodo, oltre che di fine. In questo senso capisco chi non andra' a votare, o per rifiuto di questo sistema politico degradato, o perche' pensa che la logica del meno peggio fa cadere sempre piu' in basso e poi non ci si risolleva piu'. Lo capisco ma non lo condivido. A me pare che oggi l'urgenza sia quella di togliere di mezzo l'ostacolo maggiore per la ripresa in mano della politica da parte dei cittadini, e cioe' il governo attuale della coalizione di centrodestra. Dunque e' necessario dare un voto all'Unione (sapendo che e' ancora solo un voto "contro") con tre obiettivi chiari e prioritari: ritirare le truppe italiane dall'Iraq, respingere con il referendum le modifiche della Costituzione, lavorare da subito per cambiare la legge elettorale in senso proporzionale. Ma se l'Unione vincera' e andra' al governo (come speriamo) sappiamo anche che quello non sara' il nostro governo, e che bisognera' lavorare molto dal basso per altri cambiamenti nella giusta direzione. Infatti i segnali venuti durante la campagna elettorale non lasciano aperte molte speranze ad un rapporto costruttivo con l'Unione. A febbraio, a firma Movimento Internazionale della Riconciliazione e Movimento Nonviolento, abbiamo elaborato una proposta di pace per il programma dell'Unione. L'abbiamo inviata a tutti i partiti del centro-sinistra e ai loro segretari. Risultato? Nemmeno una risposta, nemmeno un cenno di riscontro. Neanche per gentilezza, cortesia o educazione. I partiti dovrebbero essere uno strumento di collegamento fra la societa' e le istituzioni, per trasformare in proposta politica gli interessi generali, e quindi l'atteggiamento dei partiti dovrebbe essere quello di grande ascolto e di attenzione per cio' che si muove dal basso. Invece, niente: ciechi e sordi. Siamo ben coscienti di essere un piccolo movimento, un gruppo minoritario, ma abbiamo anche la consapevolezza di essere portatori (per fortuna non da soli, non unici) di una proposta di fondamentale importanza per il futuro di tutti: la nonviolenza. I temi della pace e della nonviolenza (cioe' l'unica speranza di futuro per il pianeta stesso) sono stati completamente oscurati durante la campagna elettorale, e poco spazio hanno avuto anche nel programma. * Per questo c'e' da insistere, e per questo riporto come promemoria per tutti noi quei cinque punti di governo che ritengo essere il minimo essenziale. - Ridurre le spese militari, finora sempre crescenti, almeno del 5% annuo progressivo, per finanziare forme di difesa nonviolenta quali ad esempio i Corpi civili di pace, unico mezzo degno per dare aiuto e solidarieta' democratica ai popoli vittime della guerra. - Spostare su un apposito capitolo di spesa il denaro sottratto al bilancio del Ministero della Difesa, per istituire il Ministero per la Pace, dotato di portafoglio, per adottare una rigorosa politica costituzionale di pace che obblighi a ripudiare la guerra come metodo di risoluzione delle controversie. - Cominciare subito il ritiro continuo e completo della presenza militare italiana di appoggio alla guerra e occupazione dell'Iraq. - Decidere l'espulsione dall'Italia delle molte decine di bombe nucleari presenti nelle basi Usa, in violazione clamorosa e inammissibile della Costituzione e dei patti internazionali. - Ripristinare e rafforzare la legge 185, limitativa del commercio delle armi, che e' causa primaria dei conflitti omicidi nel mondo, e disumano criminale esercizio del profitto economico. * Si dice che ogni popolo ha il governo che si merita. Io penso anche che "la gente" non sia poi tanto migliore di chi la governa (se non altro perche' ha permesso che cio' avvenisse). Dunque, in fondo, il nuovo governo rappresentera' proprio cio' che l'Italia e' oggi. Nel bene e nel male. Gli amici e le amiche della nonviolenza, per la loro piccola parte, fanno parte di questo popolo, e non intendono rinunciare alle proprie responsabilita'. Per questo, e solo per questo, andro' a votare. E votero' quel partito dell'Unione che, a mio giudizio, piu' ha fatto e fara' per ripensare la politica. A partire da se stesso. 2. INCONTRI. OGGI A ORTE [Carlo Sansonetti (per contatti: carlo.sansonetti at libero.it), parroco di Attigliano, ha preso parte a varie rilevanti esperienze di solidarieta' concreta in Italia e in America Latina, ed e' trascinante animatore dell'esperienza di "Sulla strada". Lorella Pica (per contatti: lorellapic at libero.it), gia' apprezzata pubblica amministratrice, e' impegnata nell'associazione "Sulla strada", nella rivista "Adesso", in molte iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza. Per sostenere le attivita' di solidarieta' in America Latina e in Africa dell'associazione "Sulla strada": via Ugo Foscolo 11, 05012 Attigliano (Tr), tel. 0744992760, cell. 3487921454, e-mail: sullastrada at iol.it, sito: www.sullastradaonlus.it; l'associazione promuove anche un periodico, "Adesso", diretto da Arnaldo Casali, che si situa nel solco della proposta di don Primo Mazzolari; per contattare la redazione e per richiederne copia: c. p. 103, 05100 Terni, e-mail: adesso at reteblu.org, sito: www.reteblu.org/adesso] Mercoledi' 5 aprile, nell'ambito del corso di educazione alla pace del Liceo scientifico di Orte, si svolgera' un incontro con don Carlo Sansonetti e Lorella Pica dell'associazione di solidarieta' "Sullastrada". L'incontro si tiene nell'aula biblioteca dell'Istituto tecnico commerciale "Fabio Besta" di Orte (Vt) con inizio alle ore 14. 3. RIFLESSIONE. ROSSANA DE GENNARO: L'UTOPIA RAZIONALE E I BISOGNI RADICALI. RIPENSARE AGNES HELLER [Da "Le passioni di sinistra", n. 6, maggio-agosto 2004 (disponibile nel sito: www.lepassionidisinistra.info). Rossana De Gennaro e' saggista di acuto impegno civile. Agnes Heller, illustre filosofa ungherese, nata a Budapest nel 1929, sopravvissuta alla Shoah, allieva e collaboratrice di Lukacs, allontanata dall'Ungheria, ha poi insegnato in Australia e in America. In Italia e' particolarmente nota per la "teoria dei bisogni" su cui si ebbe nel nostro paese un notevole dibattito anche con riferimento ai movimenti degli anni '70. Su posizioni democratiche radicali, e' una interlocutrice preziosa anche laddove non se ne condividessero alcuni impianti ed esiti teorici. Dal sito della New school for social research di New York (www.newschool.edu) presso cui attualmente insegna traduciamo questa breve notizia biografica essenziale aggiornata al 2000: "Nata nel 1929 a Budapest. Sopravvissuta alla Shoah, in cui ha perso la maggior parte dei suoi familiari morti in diversi campi di concentramento. Allieva di Gyorgy Lukacs dal 1947 e successivamente professoressa associata nel suo dipartimento. Prima curatrice della 'Rivista ungherese di filosofia' nel dopoguerra (1955-'56). Destituita dai suoi incarichi accademici insieme con Lukacs per motivi politici dopo la rivoluzione ungherese. Trascorse molti anni ad insegnare in scuole secondarie e le fu proibita ogni pubblicazione. Nel 1968 protesto' contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, e subi' una nuova persecuzione politica e poliziesca. Nel 1973, sulla base di un provvedimento ad personam delle autorita' del partito, perse di nuovo tutti gli incarichi accademici. 'Disoccupata per motivi politici', tra il 1973 e il 1977 lavoro' come traduttrice. Nel 1977 emigro' in Australia. A partire dall'enorme cambiamento del 1989, attualmente trascorre parte dell'anno nella nativa Ungheria dove e' stata designata membro dell'Accademia ungherese delle scienze. Nel 1995 le sono stati conferiti il 'Szechenyi National Prize' in Ungheria e l''Hannah Arendt Prize' a Brema; ha ricevuto la laurea ad honorem dalla 'La Trobe University' di Melbourne nel 1996 e dall'Universita di Buenos Aires nel 1997". Opere di Agnes Heller: nella sua vastissima ed articolata produzione segnaliamo almeno: Per una teoria marxista del valore, Editori Riuniti, Roma 1974; La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1974, 1978; Sociologia della vita quotidiana, Editori Riuniti, Roma 1975; L'uomo del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1977; La teoria, la prassi e i bisogni, Savelli, Roma 1978; (con Ferenc Feher), Le forme dell'uguaglianza, Edizioni aut aut, Milano 1978; Morale e rivoluzione, Savelli, Roma 1979; Per cambiare la vita, Editori Riuniti, Roma 1980; Teoria dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1980, 1981; Teoria della storia, Editori Riuniti, Roma 1982; (con Ferenc Feher), Ungheria 1956, Sugarco, Milano 1983; Il potere della vergogna. Saggi sulla razionalita', Editori Riuniti, Roma 1985; Le condizioni della morale, Editori Riuniti, Roma, 1985; (con Ferenc Feher), Apocalisse atomica. Il movimento antinucleare e il destino dell'Occidente, Milano 1985; Oltre la giustizia, Il Mulino, Bologna, 1990; (con Ferenc Feher), La condizione politica postmoderna, Marietti, Genova 1992; Etica generale, Il Mulino, Bologna 1994; Filosofia morale, Il Mulino, Bologna, 1997; Dove siamo a casa. Pisan Lectures 1993-1998, Angeli, Milano 1999. Opere su Agnes Heller: la rivista filosofica italiana "aut aut" ha spesso ospitato e discusso la riflessione della Heller; cfr. in particolare gli studi di Laura Boella] "Le illusioni e gli altri mali sono volati fuori dal vaso di Pandora, ma e' rimasta la speranza, assolutamente fondamentale per poter rendere l'uomo al mondo ed il mondo casa dell'uomo" (Ernst Bloch, Il principio speranza) 1. Una pensatrice "eretica" A proposito della dottrina del materialismo dialettico e del totalitarismo comunista sovietico la filosofa ungherese Agnes Heller si esprimeva con queste parole nel suo scritto La dittatura sui bisogni: "Le due funzioni principali della dottrina (totalizzazione e controllo della totalizzazione) si risolvono in un processo che puo' essere chiamato de-illuminismo. (...) Se illuminismo implica l'uso della propria ragione, de-illuminismo significa non usarla, ma affidarsi all'intelletto collettivo del partito che pensa al posto del singolo individuo. (...) L'illuminismo esalta la liberta' personale, il de-illuminismo sostituisce ad essa la mera obbedienza. Il de-illuminismo libera l'umanita' dalla liberta' morale, intellettuale e politica. Nulla esprime meglio lo spirito anti-illuministico dello slogan del Komsomol, l'organizzazione della gioventu' comunista, 'la scuola preliminare' per i futuri membri di partito: 'Il partito e' la nostra ragione, onore, coscienza'. In questo slogan il de-illuminismo svela il suo segreto: l'auto-alienazione diventa un credo pubblicamente professato".(1). La societa' socialista sovietica e' considerata una "dittatura sui bisogni", un disvalore, una negazione di quell'idea di "libera associazione" tra individui che rappresentava - sia per Marx che per i socialisti - l'ideale stesso della societa' emancipata. Meglio di altri pensatori dissidenti dell'Est europeo la Heller rappresenta l'autocritica degli intellettuali al fallimento dell'esperienza socialista sovietica; non manca d'altra parte nei suoi scritti un costante riferimento polemico alle anime belle dell'eurocomunismo per la mancata ricezione delle esperienze dei filosofi dell'Est e del loro tentativo di pensare un marxismo aperto (2). Nata nel 1929 a Budapest, Agnes Heller e' stata una singolare testimone del nostro tempo: ebrea, sopravvissuta alla barbarie nazista, sin dal 1956 risulto' "scomoda" per il regime del socialismo reale che l'accuso' di revisionismo, cacciandola dall'Universita' di Budapest, dove lavorava, e dal partito, quando in Ungheria la repressione militare sovietica mise fine all'illusione degli intellettuali di potere trovare una "via ungherese al socialismo". La maturazione, negli anni successivi al '56, dei temi fondamentali del suo pensiero: il tema dell'etica nella prassi sociale, il tema della vita quotidiana, l'idea di un soggetto che si presenti come una mediazione di felicita' e valore, bisogno e significato, si verifico' negli anni bui in cui agli intellettuali ungheresi era proibita la liberta' di espressione delle proprie idee. Con la sua ricerca che ancora oggi, a settantuno anni, conduce tra Budapest e New York, ha posto con forza le ragioni dell'etica nell'ambito del pensiero politico intendendo la prassi fondata sul valore irripetibile dell'essere personale, sul soggetto inteso come relazione e comunita' con gli altri soggetti. La sua riflessione, incentrata su un duplice asse: la possibilita' di fondare una antropologia marxista ed il riferimento costante della politica all'ambito dei valori, ha conosciuto svolte teoriche ed esistenziali cruciali: negli anni tra il '65 ed il '68 partecipo' all'esaltante esperienza della scuola di Budapest (3), quel circolo di filosofi che tentavano di approfondire il pensiero di Marx partendo da una rilettura dell'opera di Lukacs. Fu, questa, una delle esperienze su cui si fondo', in quegli anni, una rinascita del marxismo, insieme alla rivista jugoslava "Praxis" (4) e alla scuola estiva di Korcula, alle cui discussioni sui testi del giovane Lukacs partecipavano anche Bloch e Goldmann. Nella scuola di Budapest e nella scuola estiva di Korcula, invece, si rileggeva Storia e coscienza di classe: si verificava in queste sedi un approfondimento verso la formulazione di una "filosofia positiva", fondata su una nuova ricezione del marxismo, inteso come teoria pluralistica all'interno di un movimento mondiale. In questo scritto vorrei soffermarmi su alcuni aspetti della riflessione sviluppata da Agnes Heller intorno agli anni '70 sul tema filosofia e politica, per metterne in evidenza l'attualita'. Puo' essere utile rileggere il pensiero della Heller e ripercorrere l'esperienza del marxismo ungherese che, nell'ambiente ostile dell'Universita' di Budapest, si confrontava con l'esperienza pluralistica dei movimenti sorti in Francia, in Germania, in America e in Italia a partire dal '68, perche' in quella esperienza si legge il tentativo di pensare nei termini di un marxismo aperto, metodo critico di trasformazione permanente dell'esistente a partire dalle strutture della vita quotidiana: la famiglia, le comunita', il lavoro. Parto dalla convinzione che rimettere in discussione categorie che appaiono ovvie come quelle di bisogno, di eguaglianza, di partecipazione, alla luce di un pensiero che si presenta come filosofia radicale, forse puo' essere utile per ripensare il progetto di societa' di una sinistra che voglia assumere dal proprio passato non solo la pesante eredita' del fallimento dei comunismi ma un metodo radicalmente critico di lettura e di trasformazione. Non rientra fra gli intenti di questa breve ricognizione, l'indagine sui rapporti fra la filosofia radicale della Heller ed il pensiero di Lukacs, ma ai fini del nostro discorso basti dire che, gia' in questi anni, la filosofa ungherese non si riconosceva piu' lukacsiana. In una intervista rilasciata non molti anni fa ai redattori del "Manifesto", in occasione del suo arrivo a Parigi per partecipare a un convegno su "Il '68 nella cultura politica europea", sostiene che il '68 e' stato dappertutto un movimento contro le grandi narrazioni, che, pur difendendo valori della modernita' anche diversi fra loro, aveva alla base la difesa vitale della liberta'. "Alla fine degli anni '60, inizio '70, eravamo alla scuola di Lukacs. Ma ne' io, ne' i miei amici, eravamo impegnati nel movimento di rinnovamento del marxismo che proponeva il ritorno alle radici, alle fonti marxiane.Quello che ci sembro' evidente, era il venire alla luce di molte varianti del marxismo, di molte interpretazioni possibili, in competizione tra loro: ed era precisamente questo cio' che piu' mi interessava" (5). Cosi' si esprime la Heller a proposito del clima culturale in cui nacque la sua riflessione e quella dei suoi compagni della scuola di Budapest: Mihaly Vayda, Giorgy Bence, Janos Kis. Erano gli anni in cui gli echi della mobilitazione degli studenti americani contro il Vietnam, il maggio francese, l'esperienza delle comuni in Germania si propagavano sino nella cultura e nella politica di un'Italia perbenista e conservatrice. Contemporaneamente, i movimenti introducevano il germe della critica alla struttura centralistica e dirigistica del partito comunista, ne mettevano in discussione il modello togliattiano e la funzione di "cerniera" della trasformazione rivoluzionaria. E' tanto piu' comprensibile che in quegli anni si rinnovasse la speranza della realizzazione di una societa' socialista aperta se si pensa che i protagonisti della scuola erano intellettuali ai quali i dieci giorni della rivolta ungherese del '56 avevano dato una lezione formidabile, insegnando loro che il socialismo e' un movimento reale che parte dal basso e non un processo importato dall'alto, da una elite rivoluzionaria. Dopo quei dieci giorni, "vissuti come una catastrofe", molti intellettuali rinunciarono all'idea di un socialismo ungherese e presero a difendere i metodi repressivi del sistema sovietico, altri scontarono con l'espulsione dall'Universita' l'espressione delle proprie idee libertarie, e, fra questi, la Heller. L'esperienza dell'eresia rispetto alle direttive del partito si rinnovo' nel '68 quando lei e gli altri della scuola di Budapest parteciparono al movimento cecoslovacco della Primavera di Praga e firmarono, dopo la repressione con i carri armati da parte dell'Unione Sovietica, il manifesto degli intellettuali della scuola estiva di Korcula. La sua protesta verra' pagata di persona con il licenziamento dall'Accademia delle scienze dove lavorava come sociologa. Fu la scuola di Budapest nel suo complesso ad essere investita dall'interdetto: i suoi esponenti vennero accusati di pluralismo, accusa da cui discenderebbero altre forme di deviazione: antisocialismo, antimarxismo, identificazione dell'atteggiamento radicale con gli hippies. * 2. Sulle tracce di un marxismo etico Ad una sintetica ricostruzione della genesi della filosofia radicale puo' fornire un utile contributo un'intervista che la Heller rilascio' nel 1978 ad Amedeo Vigorelli e Laura Boella sui temi della sua riflessione e i problemi del marxismo nei paesi dell'est, pubblicata in seguito in un agile libretto dal titolo Morale e rivoluzione, uscito nelle edizioni Savelli. Lei stessa sottolinea il rapporto tra il suo pensiero e la rivolta giovanile del '68. "In quegli anni avevo appena terminato di scrivere La rivoluzione della vita quotidiana: ero giunta alla conclusione che presupposto di un'autentica societa' socialista avrebbe dovuto essere la rivoluzione delle forme di vita, la creazione di nuove comunita'. E proprio allora in Europa ci fu un movimento di estensione mondiale che incarnava le stesse aspirazioni. Quei giovani si accingevano a realizzare nuove forme di vita. Erano l'utopia "materializzata". Lo slogan della rivolta francese: 'Siamo realisti, tentiamo l'impossibile', mi commosse fino alle lacrime. Finalmente si trattava dell'espressione non piu' di una dialettica negativa, bensi' positiva" (6). Pur non essendo d'accordo con tutto quello che avveniva nei movimenti giovanili, nell'insieme li riteneva un inconfutabile segno dell'emergere di un nuovo concetto e di una nuova prassi della rivoluzione "che non si doveva identificare con l'accezione politico-giacobina nel senso stretto della parola, ma doveva intendersi piuttosto come rivoluzione della societa' civile, delle forme di vita" (7). Rimanendo fedele all'idea che la trasformazione delle forme politiche non sara' mai sufficiente a determinare un vero mutamento sociale, immagina la rivoluzione della vita quotidiana come un processo di lunga durata che si svolge sul terreno della societa' civile ed e' correlato alla trasformazione del sistema dei bisogni. Con la ricchezza interpretativa dei movimenti la Heller avrebbe fatto i conti anche in seguito, negli anni '70, quando, sulla scorta di una interpretazione anti-economicistica di Marx, lavora infatti intorno al progetto di un'antropologia marxista che si concretizza in parte nella sua indagine sulla teoria dei "bisogni radicali", uno dei nuclei fondamentali della sua riflessione. Sin dall'inizio degli anni '60, intendendo superare l'antinomia weberiana tra etica dell'intenzione ed etica della responsabilita', si mette sulle tracce di una tradizione di pensiero che fondi la sua scelta per un pensiero marxista etico e la trova nel pensiero filosofico greco, nella filosofia del Rinascimento, nelle idee di Rousseau. Si fa strada nel suo pensiero l'idea che le premesse per costruire una vita umanamente degna sono la democrazia e la comunita'. In questa fase, in cui scrive L'etica di Aristotele (1959), e L'uomo del Rinascimento (1963), non considerava "ancora adeguata ai problemi e ai bisogni del nostro tempo la teoria di Marx e le sue interpretazioni"; non aveva ancora rinvenuto una teoria alternativa al Diamat che rifiutava come forma di materialismo volgare. Le scelte teoriche di questo periodo sarebbero state ricche di conseguenze per la formulazione successiva del suo pensiero: dalle ricerche su Aristotele, sul Rinascimento e su Rousseau, nasceva l'invito ai marxisti dell'Occidente ad esercitare una funzione critica nei confronti del proprio passato, a comprendere che la trasformazione delle forme della politica suppone una critica della razionalita' strumentale e l'assunzione di una prospettiva razionale che includa i valori (8). Come la stessa Heller chiarisce nell'intervista, si trattava di progettare l'etica senza scivolare nell'ontologia, di creare un modello teorico che permettesse lo spostamento dall'idealismo etico allo spazio politico. La sua "filosofia radicale" prende quindi le forme di una critica del modello scientifico avalutativo che domina nell'ambiente delle accademie e che suppone una netta separazione tra il momento etico e quello razionale e si struttura come una ricerca dei fondamenti materialistici della teoria del valore (9); da queste premesse nasce l'incontro con i testi di Marx nei quali rinviene la categoria dei bisogni radicali quale fondamento storicamente determinato dei valori a cui la teoria e la prassi si devono riferire. * 3. La teoria dei bisogni radicali Il breve saggio La teoria dei bisogni radicali in Marx, del 1974, era in origine un frammento di uno studio piu' ampio sull'antropologia (10). Tradotto in molti paesi europei e in America, costituisce una lettura a dir poco eretica di Marx, nella chiave dei bisogni radicali. Si tratta di una lettura che non ha interessato molto gli studiosi di Marx, ma piuttosto alcuni livelli del movimento della sinistra rivoluzionaria. L'oggetto teorico - la teoria dei bisogni in Marx - si presta a fare esplodere le contraddizioni dell'accademia dove impera la versione riduttiva di un marxismo economicistico e l'idea che la scienza marxista sia depositaria della verita'. La Heller sostiene di volere analizzare la tendenza principale negli scritti del pensatore di Treviri poiche' e' consapevole che la natura "non sistematica" delle opere di Marx, specie dei Grundrisse, rende possibili molteplici interpretazioni; non esiste un'interpretazione "vera", pero' e' possibile riscontrare una tendenza principale che e' l'umanesimo, una concezione antropologica che pone i bisogni radicali come la espressione qualitativa dell'uomo. E' opportuno ricordare l'interpretazione che la Heller fornisce della prospettiva marxiana sui bisogni: "Secondo Marx la riduzione del concetto di bisogno al bisogno economico e' una espressione della estraneazione (capitalistica) dei bisogni, in una societa' in cui il fine della produzione non e' il soddisfacimento dei bisogni, ma la valorizzazione del capitale, in cui il sistema dei bisogni e' fondato sulla divisione del lavoro e il bisogno compare soltanto sul mercato, nella forma di domanda solvibile" (11). Seguendo le oscillazioni della teoria fra economicismo e prospettiva filosofico-antropologica, Heller nota che, dai Manoscritti economico-filosofici sino ai Grundrisse e al Capitale, Marx concepisce la categoria di "bisogno" come categoria di valore, "base e metro per qualsiasi raggruppamento o classificazione dei bisogni". La studiosa ungherese cerca di dimostrare che in Marx ogni giudizio riguardante i bisogni e' misurato in base al valore positivo di "bisogni umani ricchi", categoria che rappresenta, secondo lei, la prospettiva critica adottata da Marx per proporre un modello positivo di sviluppo. "Per Marx (...) la categoria di valore piu' importante e' la ricchezza; cio' costituisce anche una critica dell'uso che l'economia politica classica faceva della categoria 'ricchezza', identificandola con la ricchezza materiale. Per Marx il presupposto di questa ricchezza umana e' solo la base per il libero sfogo di tutte le capacita' e i sensi umani, cioe' per l'esplicazione della libera e molteplice attivita' di ogni individuo. Il bisogno come categoria di valore non e' altro che il bisogno di questa ricchezza" (12). I bisogni radicali sono il piano qualitativo da cui nasce il bisogno di comunismo: nascono nell'ambito di rapporti di produzione estraneati ma li trascendono perche' non possono essere soddisfatti in una societa' fondata su rapporti di subordinazione e di dominio. Il bisogno di estrinsecare la ricchezza delle possibilita' umane, conduce verso quella che Marx chiama la societa' dei produttori associati. E' il fondamento che consente di respingere la distinzione tra beni/bisogni di lusso, beni/bisogni necessari, di rifiutare una societa' che da un lato crea ricchezza e dall'altro crea un'assoluta miseria, di condannare la struttura economica capitalistica perche' la sua dinamica e' motivata dai bisogni di valorizzazione del capitale e non dai bisogni di sviluppo, di proporre un modello positivo del futuro dove il lavoro assurge a bisogno vitale e il tempo libero e' destinato ad attivita' multiformi. I bisogni umani ricchi possiedono un carattere storicamente determinato perche' sono prodotti dalla stessa struttura capitalistica: e' lo sviluppo delle forze produttive, che nasce dall'estensione della socializzazione della produzione, ed entra in contrasto con la concentrazione del possesso dei mezzi di produzione nelle mani di pochi capitalisti, che produce la dinamica di polarizzazione di ricchezza/miseria e tutte le antinomie che derivano dalla generalizzazione della forma-merce. I bisogni radicali quindi nascono nella coscienza della estraneazione, quando la produzione di massa fa sorgere un bisogno di universalita' e di tempo libero che non si puo' soddisfare entro il capitalismo. Nella interpretazione della Heller i bisogni sono misura critica nei confronti dell'alienazione capitalistica e termine di riferimento dei valori per la prassi e la teoria comunista di trasformazione dell'esistente. I valori non sono dunque concepiti in base ad una visione statica ed essenzialistica della natura umana ma come il carattere qualitativo di un determinato tipo di bisogni che si danno storicamente. Il piano qualitativo dei valori quale fondamento della prassi totalizzante e verifica pratica della teoria introduce un nuovo criterio di scientificita': questo e' la capacita' e il rigore dell'interrogazione sul comunismo come bisogno. La capacita' di cogliere questo livello teorico dentro il modo della contraddizione deve caratterizzare la teoria nella fase attuale del capitalismo: riferirsi ai bisogni significa dare risposte sull'individuo, sul sociale, sul lavoro, sul senso della ricchezza, sulla qualita' della vita. * 4. La rivoluzione della vita quotidiana La teoria dei bisogni non e' priva di conseguenze per la formulazione dei compiti e delle modalita' della prassi politica marxista; i bisogni radicali rimandano all'altro nucleo fondamentale della filosofia radicale, l'idea che la trasformazione della politica e delle sue forme non sia sufficiente ad operare un significativo mutamento. L'attenzione degli studiosi della scuola di Budapest come la Heller, Bence e Kis all'argomento della vita quotidiana si collega alla diffusione dell'opera di Lefebvre e Goldmann, i cui scritti erano molto conosciuti. Negli studi dei filosofi ungheresi si tratta di demistificare le forme reificate che l'esistenza immediata dell'uomo assume tanto nei paesi capitalistici dell'Occidente che in quelli socialisti dell'Est. Nei loro scritti la critica delle forme alienate del quotidiano non assume solo un carattere di critica del feticismo e delle forme della coscienza estraneata ma e' anche il presupposto per una sua radicale ristrutturazione. "La riproduzione costante della vita quotidiana" non puo' essere superata o annullata poiche' e' una struttura fondamentale dello sviluppo storico per quanto ad essa ineriscano l'alienazione, la ripetizione e l'oggettivazione; essa e': "La somma complessiva di quelle attivita' che esprimono la continua possibilita' di riprodurre una societa' tramite atti individuali di autoriproduzione" (13). Nella prospettiva etico-politica della Heller, essa e' il regno della convenzione, dell'adattamento passivo allo status quo, del pragmatismo, dell'opinione, in sostanza, di quell'insieme eterogeneo di forme di attivita' che non sono mai immediatamente correlate al complesso della praxis umana. All'interno dell'apparato concettuale del marxismo - nota la Heller - l'attualita' del tema e' legata all'imporsi di nuovi problemi alla prassi rivoluzionaria, sia nei paesi socialisti che in quelli capitalistici. In Occidente, finita l'era dell'ottimismo e delle illusioni del dopoguerra - quelle della battaglia collettiva contro l'oppressione - si assiste' alla restaurazione del mondo della vita quotidiana borghese. Le stesse "forze sociali rivoluzionarie" sembravano essersi integrate nell'ordine capitalistico, accettando il compromesso per cui l'innalzamento del tenore di vita e la possibilita' di soddisfare i bisogni essenziali assicuravano l'integrazione. Anche nel mondo socialista la destalinizzazione non era certo sufficiente ad assicurare la formazione di un modo di vita socialista. La radicalita' della proposta consiste nella critica alla versione dogmatica del marxismo che passa per scienza e suppone l'ineluttabilita' e l'automatismo della trasformazione in senso socialista: democratizzare la sfera del lavoro non e' sufficiente ad eliminare le forme dell'alienazione nella vita quotidiana. E' necessario piuttosto realizzare una democrazia di base sviluppando il bisogno di comunita', adottare "forme istituzionali che permettano la fruizione di una democrazia diretta da parte di tutta la societa'" (14), operare una "umanizzazione della vita" che "si attua con la partecipazione effettiva e non soltanto manipolata" (15), con l'estensione delle forme di vita comunitarie, l'allargamento degli spazi di democrazia e di dialogo, la corresponsabilizzazione di tutti i soggetti, la lotta contro il partitismo, il centralismo democratico, la concezione delle elites ed ogni forma di visione gerarchica, autoritaria ed elitaria della prassi politica. La trasformazione delle forme sociali e politiche si attua nell'ambito dello stato democratico e pluralista ed e' un processo aperto e permanente che si radica nel mondo della vita - in cui l'individuo non e' sussunto e risolto in una totalita' sovraordinata in quanto e' concepito come esserci nella comunita' della comunicazione (16). La fondazione della teoria e' nel livello immanente del "mondo della vita", dove si radicano i bisogni, e nello spazio relazionale in cui si definisce la validita' intersoggettiva delle norme etiche, pena il rischio dell'abbandono della prassi alla irrazionalita', sostiene la pensatrice ungherese. Prende forma sin dagli anni '70 un'utopia radicale che vuole costituire un fondamento idealistico-trascendentale della politica, dove il principio speranza e' dato dalla possibilita' di assumere un orizzonte etico collettivo (dove le norme siano condivise dalla comunita' umana), che non sia un orizzonte metafisicamente fondato ma condizione di validita' e di possibilita' della comprensione intersoggettiva del senso e del consenso. * 5. Recupero della memoria e radicalismo Quale senso puo' assumere rispolverare l'interpretazione di un marxismo aperto e plurale e di una filosofia radicale, oggi che la morte delle ideologie e il fallimento del comunismo dell'Est hanno sgomberato la strada al pensiero unico? Oggi che, avendo accantonato - forse troppo in fretta - la questione dell'alternativa tra socialismo e barbarie, finita l'era del primo, ci rimane soltanto la barbarie. Oggi che - su scala planetaria - il mondo ci appare ossessionato dall'emergenza del terrorismo, la faccia speculare e connaturata alla globalizzazione, il destino della politica sembra quello di ridursi a strategia del governo dell'emergenza affidata ad oligarchie ristrette, mercantili, tecnocratiche o militari. Di fronte all'insicurezza dilagante le teorie della "guerra preventiva", dell'aggressione necessaria, si rafforzano e pretendono di ridisegnare lo spazio possibile della prassi politica. Forse e' il momento di prendere posizione prima che questo bisogno collettivo di sicurezza declini verso la costituzione ed il rafforzamento di scelte politiche di forza che puntino all'ordine e verso la costituzione di "attori sovranazionali" - l'Europa anzitutto - che rappresentino un semplice contrappeso alla politica della "superpotenza americana" (17). Riflettere sul senso della politica e sulla possibilita' di farne un patrimonio di idee e di progetti condiviso ed "agito" dal protagonismo dei popoli, significa per la sinistra rivisitare la propria storia ed attingere al proprio patrimonio di idee senza coltivare il complesso del ripiegamento nostalgico sul proprio passato se e' vero che la perdita della memoria e' una delle forme della reificazione della coscienza. Come invita a fare A. Cavarero in un recente articolo comparso sul "Manifesto" (18), porsi sul serio il problema della pace significa pensare un'antropologia completamente nuova rispetto a quella della tradizione politica occidentale, significa esprimere un'idea del mondo diversa da quella incentrata sul nesso politica/violenza/guerra. Significa ripensare alla radice l'essere umano e il suo condividere il mondo, concepire il soggetto come essere-insieme-con-gli-altri nel suo essere-al-mondo, cosa piuttosto familiare alla teoria e alla pratica delle donne. Ripensare la politica in relazione alla misura umana - se si intende l'uomo, con Hannah Arendt, unicita' incarnata, fragile e bisognosa di senso - significa trasformare il nostro linguaggio; pensare che la rivoluzione non e' l'assalto armato al Palazzo d'inverno, ma la trasformazione della vita quotidiana, la prassi rivoluzionaria che investe le forme dell'agire e del pensare che stanno alla base del mondo della vita. Cio' puo' significare una politica che ha a cuore la pace, e non la guerra. All'interno di questo solco assume il suo significato la proposta di un'utopia razionale in cui la filosofia radicale si mette alla prova avendo come unico metro non "i limiti della ragione" ma la propria missione defeticizzante nei confronti del mondo contemporaneo. La misura critica rispetto alle forme dell'alienazione sono i bisogni radicali, storicamente determinati e materialisticamente fondati, la cui realizzazione e' anche la meta, poiche' trascendono le forme storiche assunte dal mondo dell'alienazione capitalistica; il primo veicolo tramite cui si realizza la trasformazione sono le "comunita'", "istituzioni della vita quotidiana", dove gli uomini possono e devono sviluppare la capacita' di dialogo e la libera comunicazione sul piano sociale, deterrente contro la burocratizzazione e la estraneazione della politica nell'ambito del partito e garanzia di una democrazia pluralistica. Le esperienze di "auto-organizzazione" e dei movimenti - dalla protesta di massa contro il piano di riordino della sanita' di Terlizzi al movimento di Scanzano contro la discarica di scorie radioattive, dalla mobilitazione nelle piazze per la pace, ai movimenti contro la globalizzazione - costituiscono una sollecitazione a ripensare i soggetti di una possibile trasformazione delle forme sociali e politiche e costringono a riflettere entro l'orizzonte del riferimento costante della prassi politica ai bisogni della gente. Risalta, nel confronto con queste esperienze, l'attualita' di una riflessione in cui il marxismo diventa metodo critico che mette in questione permanentemente le forme reificate ed estraneate dell'esistenza, e determina la prassi e il progetto della politica come aspirazione a rendere il mondo piu' umano, utopia concreta, alimentata da quello che Ernst Bloch chiamava il principio speranza. Ripensare la politica in termini di riferimento al telos e al mondo dei bisogni non significa proporre il ritorno di ideologismi o riaffermare visioni sistemiche che abbiano pretese di verita'; piuttosto costituisce il discrimine fondamentale tra lo scadimento delle forme della politica a techne e governo dell'esistente - in cui il legame tra potere e violenza resta indiscusso - e la progettazione di forme dell'agire che abbiano come protagonisti i soggetti reali, incarnati e portatori di bisogni. E invita, a partire dai bisogni, a smontare - pezzo per pezzo - la presunta definitivita' e assolutezza dello stato attuale delle cose. * Note 1. Cfr. A. Heller, La dittatura sui bisogni, Sugarco, Milano 1984, p. 231. 2. "Se il pericolo, spesso adottato, di 'socialdemocratizzazione' significa una rinuncia ad interrogarsi sui piu' ampi obiettivi storici del movimento a favore di esigenze puramente pragmatiche, e' importante capire che il 'silenzio diplomatico' dei partiti eurocomunisti sulle cosiddette societa' socialiste dell'est europeo e' di per se' un fattore importante che esercita un'influenza proprio in questa direzione". A. Heller, op. cit., p. 19. 3. J. Arnason, Il Marxismo dell'est europeo, in Aa. Vv. Storia del marxismo, vol. 4, Einaudi, Torino 1982, propende per un uso riduttivo della categoria: "Se si adopera in senso largo, questa etichetta si riferisce ad un gruppo relativamente eterogeneo unito solo da un comune impegno di critica socialista, anche se l'espressione e' stata associata talvolta ad una piu' specifica posizione filosofica" (p. 203). Qui preferiamo assumere l'espressione "scuola di Budapest" nell'accezione che ne da' A. Vigorelli, il quale ne sottolinea la omogeneita' di posizioni rispetto ai temi essenziali della critica al socialismo reale e alla prospettiva di fondare un marxismo etico a partire da una considerazione antropologica. Questa ricezione delle teorie dei marxisti ungheresi e' legata alla rivista "aut-aut" - della quale la stessa Heller e' stata redattrice dal '74 - che ha sollecitato l'attenzione sul tema dell'incontro tra fenomenologia e marxismo. Cfr., in particolare, il saggio di Laura Breccia Boella, Filosofia e politica nella scuola di Budapest ("aut-aut", n. 140, 1974), dove l'autrice affronta il nodo filosofia e politica soffermandosi, tra l'altro, sull'incontro di fenomenologia e marxismo nel pensiero di Vajda, dove la filosofia di Husserl viene colta nel suo carattere di critica della coscienza feticizzata e richiamo alla fondazione pre-categoriale nella Lebenswelt (il mondo-della-vita). Sul tema del soggetto e sulla prospettiva socialista nell'antropologia di A. Heller cfr. anche il n. 157-158, 1977. 4. La cosiddetta "Scuola di Praxis" costitui' il gruppo piu' importante dell'opposizione marxista jugoslava. L'edizione della rivista usci' dal 1964 al 1975: il suo proposito fu quello di fornire un panorama piu' vasto della cultura filosofica jugoslava o meglio delle prospettive di analisi che corrispondevano alla cultura di sinistra piu' avanzata, legata alle universita' di Zagabria e di Belgrado. Vedi Johann P. Arnason, op. cit., pp. 178-185. Sul tema sono interessanti i saggi comparsi su "aut-aut", fra cui quello di P. A. Rovatti, "Praxis" e il nuovo marxismo dell'uomo, in "aut-aut" n. 116, 1970, in cui si sottolinea che la strada di "Praxis" e' soprattutto combattere lo schematismo della contrapposizione umanismo/antiumanismo, ponendosi sia contro ogni rinnovato tentativo di rifondare il marxismo sulla base di una essenza dell'uomo, sia contro la versione economicistica o strutturalistica e la sua traduzione in termini di ideologia politica. 5. A. Heller, Morale e rivoluzione, (a cura di L. B. Boella e A. Vigorelli), Savelli, Roma 1979. 6. A. Heller, op. cit., pp. 46-47. 7. Ibidem. 8. La razionalita' formale, che si identifica con un modello di scienza avalutativa e neutrale, implica una visione dell'etica in cui vige la separazione tra pubblico e privato e dove le scelte non sono razionalmente fondate; una dissociazione teoria/prassi. Rifiutando ogni concezione della storia di matrice positivistica - in cui lo sviluppo delle forze produttive debba necessariamente condurre al socialismo - sostiene che: "La critica dell'onnipotenza della ragione strumentale fa parte della teoria radicale, ma solo ove la si intenda come limitazione e controllo della ragione strumentale mediante le discussioni e le scelte di valore razionale di tutti gli interessati. Ma se si rifiuta totalmente o non si prende in considerazione la ragione strumentale o la costituzione di un agire razionale rispetto al valore, l'aspirazione alla trasformazione delle forme di vita all'interno della comunita' diventa l'ideologia del sangue e del suolo" (A. Heller, op. cit. pp. 56-57). 9. Le tappe di questa ricerca sono gli scritti: Morale della sociologia o sociologia della morale,1963; Sociologia della vita quotidiana, Editori Riuniti, Roma 1975; Valore e storia,1969; Per una teoria marxista del valore, Editori Riuniti, Roma 1974. 10. Sul tema cfr. Laura B. Boella, Teoria del soggetto e prospettiva socialista ("aut-aut" n. 157-158, 1977), in cui si mette in evidenza che il progetto di un'antropologia sociale comprendente cinque parti, rispettivamente dedicate agli istinti, alla teoria degli affetti, alla "seconda natura", alla teoria dei bisogni e alla teoria della personalita', e' sostenuto dalla dichiarazione esplicita delle premesse di valore che la guidano, da "un'epistemologia che costruisce il proprio oggetto teorico sulla base di un essenziale riferimento a un ideale di emancipazione". Sono messi in risalto anche i limiti di questa concezione del soggetto, prigioniera dell'utopia dell'uomo totale goethiano. Sul tema vedi anche, nello stesso numero della rivista, A. Vigorelli, Critica del socialismo burocratico e teoria della vita quotidiana nella scuola di Lukacs, che invece sottolinea il limite teorico nella mancanza di un'analisi delle classi. 11. A. Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1978, p. 40. 12. Ibidem. 13. A. Heller, La teoria marxista della rivoluzione e la rivoluzione della vita quotidiana, in "aut-aut", n. 127, 1972, pp. 58-71. 14. A. Heller, op. cit., p. 48. 15. Ivi, p. 69. 16. Per quanto riguarda il criterio di verita' delle idee di valore l'autrice ama richiamarsi alle concezioni di filosofi come Apel e Habermas. La Heller ne condivide l'utopia democratica di una "comunita' di comunicazione ideale", fondata sul consenso intersoggettivo, ma propone di sostituire al criterio del "consenso" quello della "discussione" che sfugge ai pericoli del relativismo etico e allude ad un'utopia radicale fondata sul pluralismo delle forme di vita e sulla massima della tolleranza rivoluzionaria. 17. Mi riferisco all'analisi condotta da I. Mortellaro in Concretezza dell'utopia, "La rivista del manifesto" n. 48, marzo 2004. 18. Vedi A. Cavarero, Una politica oltre il potere, "Il manifesto", 28 febbraio 2004, e in generale tutto il dibattito seguito all'articolo di P. Ingrao su "Liberazione", 7 gennaio 2004. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1256 del 5 aprile 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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