La nonviolenza e' in cammino. 1256



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1256 del 5 aprile 2006

Sommario di questo numero:
1. Mao Valpiana: Telecrazia
2. Oggi a Orte
3. Rossana De Gennaro: L'utopia razionale e i bisogni radicali. Ripensare
Agnes Heller
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. I COMPITI DELL'ORA: MAO VALPIANA: TELECRAZIA
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it, e anche presso la
redazione di "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax  0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una
delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato
nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista;
fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e'
diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di
intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale
del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di
Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel
1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese
militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il
riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega
obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante
la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta
per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e'
stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione
Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters
International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e'
stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle
forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da
Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di
solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in
Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con
grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4
dicembre 2002 di questo notiziario]

E' evidente che oggi, nella strettoia dell'attuale legge elettorale, il
peggio del peggio e' rappresentato dalla coalizione del centrodestra che ha
dimostrato di governare male, che ha coinvolto il paese in un conflitto
bellico, che ha intaccato la Costituzione, che ha in se' elementi mafiosi,
di corruzione, di illegalita', di interessi personali, che ha distrutto il
sistema scolastico, legittimato la "giustizia fai da te", minato la
solidarieta' nazionale, ed ora ha accolto in se' anche formazioni eversive
di ispirazione nazi-fascista. Dunque, l'unica scelta possibile e' quella
contraria, cioe' il voto ad uno dei partiti dell'Unione. Ma si tratta,
appunto, di un voto "contro", non di un voto "per".
Il programma elettorale dell'Unione, che ho letto con attenzione, e' ancora
troppo generico, reticente su molti punti, inadeguato su altri,
condivisibile solo per alcuni aspetti. Non e' un programma che mi ha
appassionato, ed e' evidentemente un documento di mediazione al ribasso.
Tuttavia, paragonato al programma del centrodestra - che e' invece
impresentabile, distruttivo della pace, dell'ambiente, dell'economia e della
solidarieta', scopertamente bugiardo alla luce di quanto non e' stato fatto
nei cinque anni passati -, risulta apprezzabile.
Ma il programma, che e' un elenco di cose da fare, da solo non basta: ci
vogliono anche una proposta politica, una visione di societa' e delle
idee-guida che stimolino la partecipazione dei cittadini. Questo sarebbe
quel "di piu'" che ci vorrebbe per trasformare un  voto "contro" in un voto
"per". Ma purtroppo nell'Unione non ho trovato quest'aggiunta per me
necessaria e indispensabile.
Oggi, dunque, il voto "per" non esiste. O meglio, anche se si vota con
convinzione "per" un certo partito di cui si condivide la politica, che ha
messo in lista un candidato che riscuote la fiducia dell'elettore, questo
voto va poi a sommarsi ai voti complessivi della coalizione e contribuisce a
dare il premio di maggioranza anche ad altri partiti che eleggono
parlamentari che possono non avere affatto la fiducia dell'elettore. Quindi
si vota al buio. E il singolo voto, dato al tal partito, nel tal collegio,
puo' servire poi ad eleggere chissa' quale altro deputato, di chissa' quale
partito, in chissa' quale collegio; l'unica certezza che si ha e' che il
proprio voto resta all'interno della coalizione prescelta e contribuisce
all'elezione del presidente del consiglio. E' ancora troppo poco per chi ha
una concezione quasi sacra del proprio voto, come espressione di volonta',
di scelta, di partecipazione politica, come di un modo per "amare il
prossimo" (don Lorenzo Milani definiva cosi' la politica).
*
C'e' bisogno quindi di ripensare completamente la politica. E io credo che
cio' potra' essere fatto utilmente solo con le categorie della nonviolenza:
amore, verita', ripudio della violenza, dialogo, empatia, mitezza, coraggio,
abnegazione, pazienza, coscienza.
Purtroppo le forme attuali della politica stanno andando in senso
diametralmente opposto: i partiti, la legge e la campagna elettorale ne sono
uno specchio.
Il sistema bipolare obbliga ad alleanze innaturali, elimina le differenze ed
esalta la mediocrita'.
La legge elettorale ha affidato tutto il potere alle oligarchie dei partiti,
che hanno gia' deciso la composizione del nuovo parlamento, esautorando
l'elettore da qualsiasi possibilita' di scelta delle persone. Gli eletti non
saranno votati dai cittadini, ma sono stati indicati dai partiti, per di
piu' senza esprimere la territorialita'.
La campagna elettorale non e' basata su veri dibattiti e confronti, ma
pressoche' esclusivamente sulla "telecrazia". Pochi leader (si fa per
dire...) accedono ai salotti buoni degli studi televisivi e parlano per
tutti, piu' attenti a come dicono, piuttosto che a cosa dicono. Spesso lo
spettacolo e' nauseante, comunque sempre ininfluente. Milioni di cittadini
hanno l'illusione di "occuparsi di politica" solo perche' assistono ad un
teatrino i cui attori sono giornalisti e politici, e "tifano" per uno dei
"duellanti".
Quale abisso vertiginoso, tra la piccola saletta dove si riunivano i
partecipanti al Centro di orientamento sociale (C. O. S.) di Aldo Capitini
per "ascoltare e parlare" con "tensione e familiarita'" sui tanti problemi
della comunita' locale ed internazionale, e quella grande piazza virtuale
che e' lo schermo televisivo del "duello" verbale e d'immagine fra i due
candidati alla presidenza del consiglio. Come siamo caduti in basso. Che
pena.
*
Gli amici della nonviolenza hanno una concezione altissima della politica,
che e' tale solo se c'e' vera partecipazione, vero dialogo, vero confronto.
E la nonviolenza vorrebbe andare persino oltre, passando dalla democrazia
all'omnicrazia, il potere di tutti.  Anziche' avanti, pero', negli ultimi
decenni siamo andati indietro, precipitando dalla democrazia alla
telecrazia.
Non abbiamo saputo impedirlo, abbiamo tollerato l'abbrutimento  del sistema
maggioritario, abbiamo accettato la deriva del "meno peggio", abbiamo subito
la spettacolarizzazione della politica. Anziche' disertare, come si sarebbe
dovuto fare fin da quando anche partiti di centrosinistra hanno sostenuto il
sistema maggioritario, ci si e' piegati pur di stare in gioco. Ma cosi' si
diventa uguali all'avversario, come sempre avviene quando la violenza degli
oppressi rende questi ultimi uguali all'oppressore. E' dunque una questione
di metodo, oltre che di fine.
In questo senso capisco chi non andra' a votare, o per rifiuto di questo
sistema politico degradato, o perche' pensa che la logica del meno peggio fa
cadere sempre piu' in basso e poi non ci si risolleva piu'. Lo capisco ma
non lo condivido. A me pare che oggi l'urgenza sia quella di togliere di
mezzo l'ostacolo maggiore per la ripresa in mano della politica da parte dei
cittadini, e cioe' il governo attuale della coalizione di centrodestra.
Dunque e' necessario dare un voto all'Unione (sapendo che e' ancora solo un
voto "contro") con tre obiettivi chiari e prioritari: ritirare le truppe
italiane dall'Iraq, respingere con il referendum le modifiche della
Costituzione, lavorare da subito per cambiare la legge elettorale in senso
proporzionale.
Ma se l'Unione vincera' e andra' al governo (come speriamo) sappiamo anche
che quello non sara' il nostro governo, e che bisognera' lavorare molto dal
basso per altri cambiamenti nella giusta direzione. Infatti i segnali venuti
durante la campagna elettorale non lasciano aperte molte speranze ad un
rapporto costruttivo con l'Unione. A febbraio, a firma Movimento
Internazionale della Riconciliazione e Movimento Nonviolento, abbiamo
elaborato una proposta di pace per il programma dell'Unione. L'abbiamo
inviata a tutti i partiti del centro-sinistra e ai loro segretari.
Risultato? Nemmeno una risposta, nemmeno un cenno di riscontro. Neanche per
gentilezza, cortesia o educazione.
I partiti dovrebbero essere uno strumento di collegamento fra la societa' e
le istituzioni, per trasformare in proposta politica gli interessi generali,
e quindi l'atteggiamento dei partiti dovrebbe essere quello di grande
ascolto e di attenzione per cio' che si muove dal basso. Invece, niente:
ciechi e sordi. Siamo ben coscienti di essere un piccolo movimento, un
gruppo minoritario, ma abbiamo anche la consapevolezza di essere portatori
(per fortuna non da soli, non unici) di una proposta di fondamentale
importanza per il futuro di tutti: la nonviolenza. I temi della pace e della
nonviolenza (cioe' l'unica speranza di futuro per il pianeta stesso) sono
stati completamente oscurati durante la campagna elettorale, e poco spazio
hanno avuto anche nel programma.
*
Per questo c'e' da insistere, e per questo riporto come promemoria per tutti
noi quei cinque punti di governo che ritengo essere il minimo essenziale.
- Ridurre le spese militari, finora sempre crescenti, almeno del 5% annuo
progressivo, per finanziare forme di difesa nonviolenta quali ad esempio i
Corpi civili di pace, unico mezzo degno per dare aiuto e solidarieta'
democratica ai popoli vittime della guerra.
- Spostare su un apposito capitolo di spesa il denaro sottratto al bilancio
del Ministero della Difesa, per istituire il Ministero per la Pace, dotato
di portafoglio, per adottare una rigorosa politica costituzionale di pace
che obblighi a ripudiare la guerra come metodo di risoluzione delle
controversie.
- Cominciare subito il ritiro continuo e completo della presenza militare
italiana di appoggio alla guerra e occupazione dell'Iraq.
- Decidere l'espulsione dall'Italia delle molte decine di bombe nucleari
presenti nelle basi Usa, in violazione clamorosa e inammissibile della
Costituzione e dei patti internazionali.
- Ripristinare e rafforzare la legge 185, limitativa del commercio delle
armi, che e' causa primaria dei conflitti omicidi nel mondo, e disumano
criminale esercizio del profitto economico.
*
Si dice che ogni popolo ha il governo che si merita. Io penso anche che "la
gente" non sia poi tanto migliore di chi la governa (se non altro perche' ha
permesso che cio' avvenisse). Dunque, in fondo, il nuovo governo
rappresentera' proprio cio' che l'Italia e' oggi. Nel bene e nel male. Gli
amici e le amiche della nonviolenza, per la loro piccola parte, fanno parte
di questo popolo, e non intendono rinunciare alle proprie responsabilita'.
Per questo, e solo per questo, andro' a votare. E votero' quel partito
dell'Unione che, a mio giudizio, piu' ha fatto e fara' per ripensare la
politica. A partire da se stesso.

2. INCONTRI. OGGI A ORTE
[Carlo Sansonetti (per contatti: carlo.sansonetti at libero.it), parroco di
Attigliano, ha preso parte a varie rilevanti esperienze di solidarieta'
concreta in Italia e in America Latina, ed e' trascinante animatore
dell'esperienza di "Sulla strada".
Lorella Pica (per contatti: lorellapic at libero.it), gia' apprezzata pubblica
amministratrice, e' impegnata nell'associazione "Sulla strada", nella
rivista "Adesso", in molte iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza.
Per sostenere le attivita' di solidarieta' in America Latina e in Africa
dell'associazione "Sulla strada": via Ugo Foscolo 11, 05012 Attigliano (Tr),
tel. 0744992760, cell. 3487921454, e-mail: sullastrada at iol.it, sito:
www.sullastradaonlus.it; l'associazione promuove anche un periodico,
"Adesso", diretto da Arnaldo Casali, che si situa nel solco della proposta
di don Primo Mazzolari; per contattare la redazione e per richiederne copia:
c. p. 103, 05100 Terni, e-mail: adesso at reteblu.org, sito:
www.reteblu.org/adesso]

Mercoledi' 5 aprile, nell'ambito del corso di educazione alla pace del Liceo
scientifico di Orte, si svolgera' un incontro con don Carlo Sansonetti e
Lorella Pica dell'associazione di solidarieta' "Sullastrada". L'incontro si
tiene nell'aula biblioteca dell'Istituto tecnico commerciale "Fabio Besta"
di Orte (Vt) con inizio alle ore 14.

3. RIFLESSIONE. ROSSANA DE GENNARO: L'UTOPIA RAZIONALE E I BISOGNI RADICALI.
RIPENSARE AGNES HELLER
[Da "Le passioni di sinistra", n. 6, maggio-agosto 2004 (disponibile nel
sito: www.lepassionidisinistra.info).
Rossana De Gennaro e' saggista di acuto impegno civile.
Agnes Heller, illustre filosofa ungherese, nata a Budapest nel 1929,
sopravvissuta alla Shoah, allieva e collaboratrice di Lukacs, allontanata
dall'Ungheria, ha poi insegnato in Australia e in America. In Italia e'
particolarmente nota per la "teoria dei bisogni" su cui si ebbe nel nostro
paese un notevole dibattito anche con riferimento ai movimenti degli anni
'70. Su posizioni democratiche radicali, e' una interlocutrice preziosa
anche laddove non se ne condividessero alcuni impianti ed esiti teorici. Dal
sito della New school for social research di New York (www.newschool.edu)
presso cui attualmente insegna traduciamo questa breve notizia biografica
essenziale aggiornata al 2000: "Nata nel 1929 a Budapest. Sopravvissuta alla
Shoah, in cui ha perso la maggior parte dei suoi familiari morti in diversi
campi di concentramento. Allieva di Gyorgy Lukacs dal 1947 e successivamente
professoressa associata nel suo dipartimento. Prima curatrice della 'Rivista
ungherese di filosofia' nel dopoguerra (1955-'56). Destituita dai suoi
incarichi accademici insieme con Lukacs per motivi politici dopo la
rivoluzione ungherese. Trascorse molti anni ad insegnare in scuole
secondarie e le fu proibita ogni pubblicazione. Nel 1968 protesto' contro
l'invasione sovietica della Cecoslovacchia, e subi' una nuova persecuzione
politica e poliziesca. Nel 1973, sulla base di un provvedimento ad personam
delle autorita' del partito, perse di nuovo tutti gli incarichi accademici.
'Disoccupata per motivi politici', tra il 1973 e il 1977 lavoro' come
traduttrice. Nel 1977 emigro' in Australia. A partire dall'enorme
cambiamento del 1989, attualmente trascorre parte dell'anno nella nativa
Ungheria dove e' stata designata membro dell'Accademia ungherese delle
scienze. Nel 1995 le sono stati conferiti il 'Szechenyi National Prize' in
Ungheria e l''Hannah Arendt Prize' a Brema; ha ricevuto la laurea ad honorem
dalla 'La Trobe University' di Melbourne nel 1996 e dall'Universita di
Buenos Aires nel 1997". Opere di Agnes Heller: nella sua vastissima ed
articolata produzione segnaliamo almeno: Per una teoria marxista del valore,
Editori Riuniti, Roma 1974; La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli,
Milano 1974, 1978; Sociologia della vita quotidiana, Editori Riuniti, Roma
1975; L'uomo del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1977; La teoria, la
prassi e i bisogni, Savelli, Roma 1978; (con Ferenc Feher), Le forme
dell'uguaglianza, Edizioni aut aut, Milano 1978; Morale e rivoluzione,
Savelli, Roma 1979; Per cambiare la vita, Editori Riuniti, Roma 1980; Teoria
dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1980, 1981; Teoria della storia,
Editori Riuniti, Roma 1982; (con Ferenc Feher), Ungheria 1956, Sugarco,
Milano 1983; Il potere della vergogna. Saggi sulla razionalita', Editori
Riuniti, Roma 1985; Le condizioni della morale, Editori Riuniti, Roma, 1985;
(con Ferenc Feher), Apocalisse atomica. Il movimento antinucleare e il
destino dell'Occidente, Milano 1985; Oltre la giustizia, Il Mulino, Bologna,
1990; (con Ferenc Feher), La condizione politica postmoderna, Marietti,
Genova 1992; Etica generale, Il Mulino, Bologna 1994; Filosofia morale, Il
Mulino, Bologna, 1997; Dove siamo a casa. Pisan Lectures 1993-1998, Angeli,
Milano 1999. Opere su Agnes Heller: la rivista filosofica italiana "aut aut"
ha spesso ospitato e discusso la riflessione della Heller; cfr. in
particolare gli studi di Laura Boella]

"Le illusioni e gli altri mali sono volati fuori dal vaso di Pandora, ma e'
rimasta la speranza, assolutamente fondamentale per poter rendere l'uomo al
mondo ed il mondo casa dell'uomo" (Ernst Bloch, Il principio speranza)

1. Una pensatrice "eretica"
A proposito della dottrina del materialismo dialettico e del totalitarismo
comunista sovietico la filosofa ungherese Agnes Heller si esprimeva con
queste parole nel suo scritto La dittatura sui bisogni: "Le due funzioni
principali della dottrina (totalizzazione e controllo della totalizzazione)
si risolvono in un processo che puo' essere chiamato de-illuminismo. (...)
Se illuminismo implica l'uso della propria ragione, de-illuminismo significa
non usarla, ma affidarsi all'intelletto collettivo del partito che pensa al
posto del singolo individuo. (...) L'illuminismo esalta la liberta'
personale, il de-illuminismo sostituisce ad essa la mera obbedienza. Il
de-illuminismo libera l'umanita' dalla liberta' morale, intellettuale e
politica. Nulla esprime meglio lo spirito anti-illuministico dello slogan
del Komsomol, l'organizzazione della gioventu' comunista, 'la scuola
preliminare' per i futuri membri di partito: 'Il partito e' la nostra
ragione, onore, coscienza'. In questo slogan il de-illuminismo svela il suo
segreto: l'auto-alienazione diventa un credo pubblicamente professato".(1).
La societa' socialista sovietica e' considerata una "dittatura sui bisogni",
un disvalore, una negazione di quell'idea di "libera associazione" tra
individui che rappresentava - sia per Marx che per i socialisti - l'ideale
stesso della societa' emancipata.
Meglio di altri pensatori dissidenti dell'Est europeo la Heller rappresenta
l'autocritica degli intellettuali al fallimento dell'esperienza socialista
sovietica; non manca d'altra parte nei suoi scritti un costante riferimento
polemico alle anime belle dell'eurocomunismo per la mancata ricezione delle
esperienze dei filosofi dell'Est e del loro tentativo di pensare un marxismo
aperto (2).
Nata nel 1929 a Budapest, Agnes Heller e' stata una singolare testimone del
nostro tempo: ebrea, sopravvissuta alla barbarie nazista, sin dal 1956
risulto' "scomoda" per il regime del socialismo reale che l'accuso' di
revisionismo, cacciandola dall'Universita' di Budapest, dove lavorava, e dal
partito, quando in Ungheria la repressione militare sovietica mise fine
all'illusione degli intellettuali di potere trovare una "via ungherese al
socialismo".
La maturazione, negli anni successivi al '56, dei temi fondamentali del suo
pensiero: il tema dell'etica nella prassi sociale, il tema della vita
quotidiana, l'idea di un soggetto che si presenti come una mediazione di
felicita' e valore, bisogno e significato, si verifico' negli anni bui in
cui agli intellettuali ungheresi era proibita la liberta' di espressione
delle proprie idee.
Con la sua ricerca che ancora oggi, a settantuno anni, conduce tra Budapest
e New York, ha posto con forza le ragioni dell'etica nell'ambito del
pensiero politico intendendo la prassi fondata sul valore irripetibile
dell'essere personale, sul soggetto inteso come relazione e comunita' con
gli altri soggetti.
La sua riflessione, incentrata su un duplice asse: la possibilita' di
fondare una antropologia marxista ed il riferimento costante della politica
all'ambito dei valori, ha conosciuto svolte teoriche ed esistenziali
cruciali: negli anni tra il '65 ed il '68 partecipo' all'esaltante
esperienza della scuola di Budapest (3), quel circolo di filosofi che
tentavano di approfondire il pensiero di Marx partendo da una rilettura
dell'opera di Lukacs.
Fu, questa, una delle esperienze su cui si fondo', in quegli anni, una
rinascita del marxismo, insieme alla rivista jugoslava "Praxis" (4) e alla
scuola estiva di Korcula, alle cui discussioni sui testi del giovane Lukacs
partecipavano anche Bloch e Goldmann. Nella scuola di Budapest e nella
scuola estiva di Korcula, invece, si rileggeva Storia e coscienza di classe:
si verificava in queste sedi un approfondimento verso la formulazione di una
"filosofia positiva", fondata su una nuova ricezione del marxismo, inteso
come teoria pluralistica all'interno di un movimento mondiale.
In questo scritto vorrei soffermarmi su alcuni aspetti della riflessione
sviluppata da Agnes Heller intorno agli anni '70 sul tema filosofia e
politica, per metterne in evidenza l'attualita'. Puo' essere utile rileggere
il pensiero della Heller e ripercorrere l'esperienza del marxismo ungherese
che, nell'ambiente ostile dell'Universita' di Budapest, si confrontava con
l'esperienza pluralistica dei movimenti sorti in Francia, in Germania, in
America e in Italia a partire dal '68, perche' in quella esperienza si legge
il tentativo di pensare nei termini di un marxismo aperto, metodo critico di
trasformazione permanente dell'esistente a partire dalle strutture della
vita quotidiana: la famiglia, le comunita', il lavoro.
Parto dalla convinzione che rimettere in discussione categorie che appaiono
ovvie come quelle di bisogno, di eguaglianza, di partecipazione, alla luce
di un pensiero che si presenta come filosofia radicale, forse puo' essere
utile per ripensare il progetto di societa' di una sinistra che voglia
assumere dal proprio passato non solo la pesante eredita' del fallimento dei
comunismi ma un metodo radicalmente critico di lettura e di trasformazione.
Non rientra fra gli intenti di questa breve ricognizione, l'indagine sui
rapporti fra la filosofia radicale della Heller ed il pensiero di Lukacs, ma
ai fini del nostro discorso basti dire che, gia' in questi anni, la filosofa
ungherese non si riconosceva piu' lukacsiana. In una intervista rilasciata
non molti anni fa ai redattori del "Manifesto", in occasione del suo arrivo
a Parigi per partecipare a un convegno su "Il '68 nella cultura politica
europea", sostiene che il '68 e' stato dappertutto un movimento contro le
grandi narrazioni, che, pur difendendo valori della modernita' anche diversi
fra loro, aveva alla base la difesa vitale della liberta'.
"Alla fine degli anni '60, inizio '70, eravamo alla scuola di Lukacs. Ma ne'
io, ne' i miei amici, eravamo impegnati nel movimento di rinnovamento del
marxismo che proponeva il ritorno alle radici, alle fonti marxiane.Quello
che ci sembro' evidente, era il venire alla luce di molte varianti del
marxismo, di molte interpretazioni possibili, in competizione tra loro: ed
era precisamente questo cio' che piu' mi interessava" (5).
Cosi' si esprime la Heller a proposito del clima culturale in cui nacque la
sua riflessione e quella dei suoi compagni della scuola di Budapest: Mihaly
Vayda, Giorgy Bence, Janos Kis.
Erano gli anni in cui gli echi della mobilitazione degli studenti americani
contro il Vietnam, il maggio francese, l'esperienza delle comuni in Germania
si propagavano sino nella cultura e nella politica di un'Italia perbenista e
conservatrice. Contemporaneamente, i movimenti introducevano il germe della
critica alla struttura centralistica e dirigistica del partito comunista, ne
mettevano in discussione il modello togliattiano e la funzione di "cerniera"
della trasformazione rivoluzionaria.
E' tanto piu' comprensibile che in quegli anni si rinnovasse la speranza
della realizzazione di una societa' socialista aperta se si pensa che i
protagonisti della scuola erano intellettuali ai quali i dieci giorni della
rivolta ungherese del '56 avevano dato una lezione formidabile, insegnando
loro che il socialismo e' un movimento reale che parte dal basso e non un
processo importato dall'alto, da una elite rivoluzionaria. Dopo quei dieci
giorni, "vissuti come una catastrofe", molti intellettuali rinunciarono
all'idea di un socialismo ungherese e presero a difendere i metodi
repressivi del sistema sovietico, altri scontarono con l'espulsione
dall'Universita' l'espressione delle proprie idee libertarie, e, fra questi,
la Heller.
L'esperienza dell'eresia rispetto alle direttive del partito si rinnovo' nel
'68 quando lei e gli altri della scuola di Budapest parteciparono al
movimento cecoslovacco della Primavera di Praga e firmarono, dopo la
repressione con i carri armati da parte dell'Unione Sovietica, il manifesto
degli intellettuali della scuola estiva di Korcula. La sua protesta verra'
pagata di persona con il licenziamento dall'Accademia delle scienze dove
lavorava come sociologa. Fu la scuola di Budapest nel suo complesso ad
essere investita dall'interdetto: i suoi esponenti vennero accusati di
pluralismo, accusa da cui discenderebbero altre forme di deviazione:
antisocialismo, antimarxismo, identificazione dell'atteggiamento radicale
con gli hippies.
*
2. Sulle tracce di un marxismo etico
Ad una sintetica ricostruzione della genesi della filosofia radicale puo'
fornire un utile contributo un'intervista che la Heller rilascio' nel 1978
ad Amedeo Vigorelli e Laura Boella sui temi della sua riflessione e i
problemi del marxismo nei paesi dell'est, pubblicata in seguito in un agile
libretto dal titolo Morale e rivoluzione, uscito nelle edizioni Savelli. Lei
stessa sottolinea il rapporto tra il suo pensiero e la rivolta giovanile del
'68.
"In quegli anni avevo appena terminato di scrivere La rivoluzione della vita
quotidiana: ero giunta alla conclusione che presupposto di un'autentica
societa' socialista avrebbe dovuto essere la rivoluzione delle forme di
vita, la creazione di nuove comunita'. E proprio allora in Europa ci fu un
movimento di estensione mondiale che incarnava le stesse aspirazioni. Quei
giovani si accingevano a realizzare nuove forme di vita. Erano l'utopia
"materializzata". Lo slogan della rivolta francese: 'Siamo realisti,
tentiamo l'impossibile', mi commosse fino alle lacrime. Finalmente si
trattava dell'espressione non piu' di una dialettica negativa, bensi'
positiva" (6).
Pur non essendo d'accordo con tutto quello che avveniva nei movimenti
giovanili, nell'insieme li riteneva un inconfutabile segno dell'emergere di
un nuovo concetto e di una nuova prassi della rivoluzione "che non si doveva
identificare con l'accezione politico-giacobina nel senso stretto della
parola, ma doveva intendersi piuttosto come rivoluzione della societa'
civile, delle forme di vita" (7). Rimanendo fedele all'idea che la
trasformazione delle forme politiche non sara' mai sufficiente a determinare
un vero mutamento sociale, immagina la rivoluzione della vita quotidiana
come un processo di lunga durata che si svolge sul terreno della societa'
civile ed e' correlato alla trasformazione del sistema dei bisogni.
Con la ricchezza interpretativa dei movimenti la Heller avrebbe fatto i
conti anche in seguito, negli anni '70, quando, sulla scorta di una
interpretazione anti-economicistica di Marx, lavora infatti intorno al
progetto di un'antropologia marxista che si concretizza in parte nella sua
indagine sulla teoria dei "bisogni radicali", uno dei nuclei fondamentali
della sua riflessione.
Sin dall'inizio degli anni '60, intendendo superare l'antinomia weberiana
tra etica dell'intenzione ed etica della responsabilita', si mette sulle
tracce di una tradizione di pensiero che fondi la sua scelta per un pensiero
marxista etico e la trova nel pensiero filosofico greco, nella filosofia del
Rinascimento, nelle idee di Rousseau. Si fa strada nel suo pensiero l'idea
che le premesse per costruire una vita umanamente degna sono la democrazia e
la comunita'. In questa fase, in cui scrive L'etica di Aristotele (1959), e
L'uomo del Rinascimento (1963), non considerava "ancora adeguata ai problemi
e ai bisogni del nostro tempo la teoria di Marx e le sue interpretazioni";
non aveva ancora rinvenuto una teoria alternativa al Diamat che rifiutava
come forma di materialismo volgare.
Le scelte teoriche di questo periodo sarebbero state ricche di conseguenze
per la formulazione successiva del suo pensiero: dalle ricerche su
Aristotele, sul Rinascimento e su Rousseau, nasceva l'invito ai marxisti
dell'Occidente ad esercitare una funzione critica nei confronti del proprio
passato, a comprendere che la trasformazione delle forme della politica
suppone una critica della razionalita' strumentale e l'assunzione di una
prospettiva razionale che includa i valori (8).
Come la stessa Heller chiarisce nell'intervista, si trattava di progettare
l'etica senza scivolare nell'ontologia, di creare un modello teorico che
permettesse lo spostamento dall'idealismo etico allo spazio politico. La sua
"filosofia radicale" prende quindi le forme di una critica del modello
scientifico avalutativo che domina nell'ambiente delle accademie e che
suppone una netta separazione tra il momento etico e quello razionale e si
struttura come una ricerca dei fondamenti materialistici della teoria del
valore (9); da queste premesse nasce l'incontro con i testi di Marx nei
quali rinviene la categoria dei bisogni radicali quale fondamento
storicamente determinato dei valori a cui la teoria e la prassi si devono
riferire.
*
3. La teoria dei bisogni radicali
Il breve saggio La teoria dei bisogni radicali in Marx, del 1974, era in
origine un frammento di uno studio piu' ampio sull'antropologia (10).
Tradotto in molti paesi europei e in America, costituisce una lettura a dir
poco eretica di Marx, nella chiave dei bisogni radicali. Si tratta di una
lettura che non ha interessato molto gli studiosi di Marx, ma piuttosto
alcuni livelli del movimento della sinistra rivoluzionaria.
L'oggetto teorico - la teoria dei bisogni in Marx - si presta a fare
esplodere le contraddizioni dell'accademia dove impera la versione riduttiva
di un marxismo economicistico e l'idea che la scienza marxista sia
depositaria della verita'.
La Heller sostiene di volere analizzare la tendenza principale negli scritti
del pensatore di Treviri poiche' e' consapevole che la natura "non
sistematica" delle opere di Marx, specie dei Grundrisse, rende possibili
molteplici interpretazioni; non esiste un'interpretazione "vera", pero' e'
possibile riscontrare una tendenza principale che e' l'umanesimo, una
concezione antropologica che pone i bisogni radicali come la espressione
qualitativa dell'uomo.
E' opportuno ricordare l'interpretazione che la Heller fornisce della
prospettiva marxiana sui bisogni: "Secondo Marx la riduzione del concetto di
bisogno al bisogno economico e' una espressione della estraneazione
(capitalistica) dei bisogni, in una societa' in cui il fine della produzione
non e' il soddisfacimento dei bisogni, ma la valorizzazione del capitale, in
cui il sistema dei bisogni e' fondato sulla divisione del lavoro e il
bisogno compare soltanto sul mercato, nella forma di domanda solvibile"
(11).
Seguendo le oscillazioni della teoria fra economicismo e prospettiva
filosofico-antropologica, Heller nota che, dai Manoscritti
economico-filosofici sino ai Grundrisse e al Capitale, Marx concepisce la
categoria di "bisogno" come categoria di valore, "base e metro per qualsiasi
raggruppamento o classificazione dei bisogni".
La studiosa ungherese cerca di dimostrare che in Marx ogni giudizio
riguardante i bisogni e' misurato in base al valore positivo di "bisogni
umani ricchi", categoria che rappresenta, secondo lei, la prospettiva
critica adottata da Marx per proporre un modello positivo di sviluppo.
"Per Marx (...) la categoria di valore piu' importante e' la ricchezza; cio'
costituisce anche una critica dell'uso che l'economia politica classica
faceva della categoria 'ricchezza', identificandola con la ricchezza
materiale. Per Marx il presupposto di questa ricchezza umana e' solo la base
per il libero sfogo di tutte le capacita' e i sensi umani, cioe' per
l'esplicazione della libera e molteplice attivita' di ogni individuo. Il
bisogno come categoria di valore non e' altro che il bisogno di questa
ricchezza" (12).
I bisogni radicali sono il piano qualitativo da cui nasce il bisogno di
comunismo: nascono nell'ambito di rapporti di produzione estraneati ma li
trascendono perche' non possono essere soddisfatti in una societa' fondata
su rapporti di subordinazione e di dominio. Il bisogno di estrinsecare la
ricchezza delle possibilita' umane, conduce verso quella che Marx chiama la
societa' dei produttori associati.
E' il fondamento che consente di respingere la distinzione tra beni/bisogni
di lusso, beni/bisogni necessari, di rifiutare una societa' che da un lato
crea ricchezza e dall'altro crea un'assoluta miseria, di condannare la
struttura economica capitalistica perche' la sua dinamica e' motivata dai
bisogni di valorizzazione del capitale e non dai bisogni di sviluppo, di
proporre un modello positivo del futuro dove il lavoro assurge a bisogno
vitale e il tempo libero e' destinato ad attivita' multiformi.
I bisogni umani ricchi possiedono un carattere storicamente determinato
perche' sono prodotti dalla stessa struttura capitalistica: e' lo sviluppo
delle forze produttive, che nasce dall'estensione della socializzazione
della produzione, ed entra in contrasto con la concentrazione del possesso
dei mezzi di produzione nelle mani di pochi capitalisti, che produce la
dinamica di polarizzazione di ricchezza/miseria e tutte le antinomie che
derivano dalla generalizzazione della forma-merce.
I bisogni radicali quindi nascono nella coscienza della estraneazione,
quando la produzione di massa fa sorgere un bisogno di universalita' e di
tempo libero che non si puo' soddisfare entro il capitalismo.
Nella interpretazione della Heller i bisogni sono misura critica nei
confronti dell'alienazione capitalistica e termine di riferimento dei valori
per la prassi e la teoria comunista di trasformazione dell'esistente. I
valori non sono dunque concepiti in base ad una visione statica ed
essenzialistica della natura umana ma come il carattere qualitativo di un
determinato tipo di bisogni che si danno storicamente.
Il piano qualitativo dei valori quale fondamento della prassi totalizzante e
verifica pratica della teoria introduce un nuovo criterio di scientificita':
questo e' la capacita' e il rigore dell'interrogazione sul comunismo come
bisogno. La capacita' di cogliere questo livello teorico dentro il modo
della contraddizione deve caratterizzare la teoria nella fase attuale del
capitalismo: riferirsi ai bisogni significa dare risposte sull'individuo,
sul sociale, sul lavoro, sul senso della ricchezza, sulla qualita' della
vita.
*
4. La rivoluzione della vita quotidiana
La teoria dei bisogni non e' priva di conseguenze per la formulazione dei
compiti e delle modalita' della prassi politica marxista; i bisogni radicali
rimandano all'altro nucleo fondamentale della filosofia radicale, l'idea che
la trasformazione della politica e delle sue forme non sia sufficiente ad
operare un significativo mutamento. L'attenzione degli studiosi della scuola
di Budapest come la Heller, Bence e Kis all'argomento della vita quotidiana
si collega alla diffusione dell'opera di Lefebvre e Goldmann, i cui scritti
erano molto conosciuti. Negli studi dei filosofi ungheresi si tratta di
demistificare le forme reificate che l'esistenza immediata dell'uomo assume
tanto nei paesi capitalistici dell'Occidente che in quelli socialisti
dell'Est.
Nei loro scritti la critica delle forme alienate del quotidiano non assume
solo un carattere di critica del feticismo e delle forme della coscienza
estraneata ma e' anche il presupposto per una sua radicale ristrutturazione.
"La riproduzione costante della vita quotidiana" non puo' essere superata o
annullata poiche' e' una struttura fondamentale dello sviluppo storico per
quanto ad essa ineriscano l'alienazione, la ripetizione e l'oggettivazione;
essa e': "La somma complessiva di quelle attivita' che esprimono la continua
possibilita' di riprodurre una societa' tramite atti individuali di
autoriproduzione" (13). Nella prospettiva etico-politica della Heller, essa
e' il regno della convenzione, dell'adattamento passivo allo status quo, del
pragmatismo, dell'opinione, in sostanza, di quell'insieme eterogeneo di
forme di attivita' che non sono mai immediatamente correlate al complesso
della praxis umana.
All'interno dell'apparato concettuale del marxismo - nota la Heller -
l'attualita' del tema e' legata all'imporsi di nuovi problemi alla prassi
rivoluzionaria, sia nei paesi socialisti che in quelli capitalistici. In
Occidente, finita l'era dell'ottimismo e delle illusioni del dopoguerra -
quelle della battaglia collettiva contro l'oppressione - si assiste' alla
restaurazione del mondo della vita quotidiana borghese. Le stesse "forze
sociali rivoluzionarie" sembravano essersi integrate nell'ordine
capitalistico, accettando il compromesso per cui l'innalzamento del tenore
di vita e la possibilita' di soddisfare i bisogni essenziali assicuravano
l'integrazione. Anche nel mondo socialista la destalinizzazione non era
certo sufficiente ad assicurare la formazione di un modo di vita socialista.
La radicalita' della proposta consiste nella critica alla versione dogmatica
del marxismo che passa per scienza e suppone l'ineluttabilita' e
l'automatismo della trasformazione in senso socialista: democratizzare la
sfera del lavoro non e' sufficiente ad eliminare le forme dell'alienazione
nella vita quotidiana.
E' necessario piuttosto realizzare una democrazia di base sviluppando il
bisogno di comunita', adottare "forme istituzionali che permettano la
fruizione di una democrazia diretta da parte di tutta la societa'" (14),
operare una "umanizzazione della vita" che "si attua con la partecipazione
effettiva e non soltanto manipolata" (15), con l'estensione delle forme di
vita comunitarie, l'allargamento degli spazi di democrazia e di dialogo, la
corresponsabilizzazione di tutti i soggetti, la lotta contro il partitismo,
il centralismo democratico, la concezione delle elites ed ogni forma di
visione gerarchica, autoritaria ed elitaria della prassi politica.
La trasformazione delle forme sociali e politiche si attua nell'ambito dello
stato democratico e pluralista ed e' un processo aperto e permanente che si
radica nel mondo della vita - in cui l'individuo non e' sussunto e risolto
in una totalita' sovraordinata in quanto e' concepito come esserci nella
comunita' della comunicazione (16).
La fondazione della teoria e' nel livello immanente del "mondo della vita",
dove si radicano i bisogni, e nello spazio relazionale in cui si definisce
la validita' intersoggettiva delle norme etiche, pena il rischio
dell'abbandono della prassi alla irrazionalita', sostiene la pensatrice
ungherese. Prende forma sin dagli anni '70 un'utopia radicale che vuole
costituire un fondamento idealistico-trascendentale della politica, dove il
principio speranza e' dato dalla possibilita' di assumere un orizzonte etico
collettivo (dove le norme siano condivise dalla comunita' umana), che non
sia un orizzonte metafisicamente fondato ma condizione di validita' e di
possibilita' della comprensione intersoggettiva del senso e del consenso.
*
5. Recupero della memoria e radicalismo
Quale senso puo' assumere rispolverare l'interpretazione di un marxismo
aperto e plurale e di una filosofia radicale, oggi che la morte delle
ideologie e il fallimento del comunismo dell'Est hanno sgomberato la strada
al pensiero unico?
Oggi che, avendo accantonato - forse troppo in fretta - la questione
dell'alternativa tra socialismo e barbarie, finita l'era del primo, ci
rimane soltanto la barbarie.
Oggi che - su scala planetaria - il mondo ci appare ossessionato
dall'emergenza del terrorismo, la faccia speculare e connaturata alla
globalizzazione, il destino della politica sembra quello di ridursi a
strategia del governo dell'emergenza affidata ad oligarchie ristrette,
mercantili, tecnocratiche o militari. Di fronte all'insicurezza dilagante le
teorie della "guerra preventiva", dell'aggressione necessaria, si rafforzano
e pretendono di ridisegnare lo spazio possibile della prassi politica.
Forse e' il momento di prendere posizione prima che questo bisogno
collettivo di sicurezza declini verso la costituzione ed il rafforzamento di
scelte politiche di forza che puntino all'ordine e verso la costituzione di
"attori sovranazionali" - l'Europa anzitutto - che rappresentino un semplice
contrappeso alla politica della "superpotenza americana" (17). Riflettere
sul senso della politica e sulla possibilita' di farne un patrimonio di idee
e di progetti condiviso ed "agito" dal protagonismo dei popoli, significa
per la sinistra rivisitare la propria storia ed attingere al proprio
patrimonio di idee senza coltivare il complesso del ripiegamento nostalgico
sul proprio passato se e' vero che la perdita della memoria e' una delle
forme della reificazione della coscienza.
Come invita a fare A. Cavarero in un recente articolo comparso sul
"Manifesto" (18), porsi sul serio il problema della pace significa pensare
un'antropologia completamente nuova rispetto a quella della tradizione
politica occidentale, significa esprimere un'idea del mondo diversa da
quella incentrata sul nesso politica/violenza/guerra. Significa ripensare
alla radice l'essere umano e il suo condividere il mondo, concepire il
soggetto come essere-insieme-con-gli-altri nel suo essere-al-mondo, cosa
piuttosto familiare alla teoria e alla pratica delle donne. Ripensare la
politica in relazione alla misura umana - se si intende l'uomo, con Hannah
Arendt, unicita' incarnata, fragile e bisognosa di senso - significa
trasformare il nostro linguaggio; pensare che la rivoluzione non e'
l'assalto armato al Palazzo d'inverno, ma la trasformazione della vita
quotidiana, la prassi rivoluzionaria che investe le forme dell'agire e del
pensare che stanno alla base del mondo della vita.
Cio' puo' significare una politica che ha a cuore la pace, e non la guerra.
All'interno di questo solco assume il suo significato la proposta di
un'utopia razionale in cui la filosofia radicale si mette alla prova avendo
come unico metro non "i limiti della ragione" ma la propria missione
defeticizzante nei confronti del mondo contemporaneo. La misura critica
rispetto alle forme dell'alienazione sono i bisogni radicali, storicamente
determinati e materialisticamente fondati, la cui realizzazione e' anche la
meta, poiche' trascendono le forme storiche assunte dal mondo
dell'alienazione capitalistica; il primo veicolo tramite cui si realizza la
trasformazione sono le "comunita'", "istituzioni della vita quotidiana",
dove gli uomini possono e devono sviluppare la capacita' di dialogo e la
libera comunicazione sul piano sociale, deterrente contro la
burocratizzazione e la estraneazione della politica nell'ambito del partito
e garanzia di una democrazia pluralistica.
Le esperienze di "auto-organizzazione" e dei movimenti - dalla protesta di
massa contro il piano di riordino della sanita' di Terlizzi al movimento di
Scanzano contro la discarica di scorie radioattive, dalla mobilitazione
nelle piazze per la pace, ai movimenti contro la globalizzazione -
costituiscono una sollecitazione a ripensare i soggetti di una possibile
trasformazione delle forme sociali e politiche e costringono a riflettere
entro l'orizzonte del riferimento costante della prassi politica ai bisogni
della gente. Risalta, nel confronto con queste esperienze, l'attualita' di
una riflessione in cui il marxismo diventa metodo critico che mette in
questione permanentemente le forme reificate ed estraneate dell'esistenza, e
determina la prassi e il progetto della politica come aspirazione a rendere
il mondo piu' umano, utopia concreta, alimentata da quello che Ernst Bloch
chiamava il principio speranza. Ripensare la politica in termini di
riferimento al telos e al mondo dei bisogni non significa proporre il
ritorno di ideologismi o riaffermare visioni sistemiche che abbiano pretese
di verita'; piuttosto costituisce il discrimine fondamentale tra lo
scadimento delle forme della politica a techne e governo dell'esistente - in
cui il legame tra potere e violenza resta indiscusso - e la progettazione di
forme dell'agire che abbiano come protagonisti i soggetti reali, incarnati e
portatori di bisogni. E invita, a partire dai bisogni, a smontare - pezzo
per pezzo - la presunta definitivita' e assolutezza dello stato attuale
delle cose.
*
Note
1. Cfr. A. Heller, La dittatura sui bisogni, Sugarco, Milano 1984, p. 231.
2. "Se il pericolo, spesso adottato, di 'socialdemocratizzazione' significa
una rinuncia ad interrogarsi sui piu' ampi obiettivi storici del movimento a
favore di esigenze puramente pragmatiche, e' importante capire che il
'silenzio diplomatico' dei partiti eurocomunisti sulle cosiddette societa'
socialiste dell'est europeo e' di per se' un fattore importante che esercita
un'influenza proprio in questa direzione". A. Heller, op. cit., p. 19.
3. J. Arnason, Il Marxismo dell'est europeo, in Aa. Vv. Storia del marxismo,
vol. 4, Einaudi, Torino 1982, propende per un uso riduttivo della categoria:
"Se si adopera in senso largo, questa etichetta si riferisce ad un gruppo
relativamente eterogeneo unito solo da un comune impegno di critica
socialista, anche se l'espressione e' stata associata talvolta ad una piu'
specifica posizione filosofica" (p. 203). Qui preferiamo assumere
l'espressione "scuola di Budapest" nell'accezione che ne da' A. Vigorelli,
il quale ne sottolinea la omogeneita' di posizioni rispetto ai temi
essenziali della critica al socialismo reale e alla prospettiva di fondare
un marxismo etico a partire da una considerazione antropologica. Questa
ricezione delle teorie dei marxisti ungheresi e' legata alla rivista
"aut-aut" - della quale la stessa Heller e' stata redattrice dal '74 - che
ha sollecitato l'attenzione sul tema dell'incontro tra fenomenologia e
marxismo. Cfr., in particolare, il saggio di Laura Breccia Boella, Filosofia
e politica nella scuola di Budapest ("aut-aut", n. 140, 1974), dove
l'autrice affronta il nodo filosofia e politica soffermandosi, tra l'altro,
sull'incontro di fenomenologia e marxismo nel pensiero di Vajda, dove la
filosofia di Husserl viene colta nel suo carattere di critica della
coscienza feticizzata e richiamo alla fondazione pre-categoriale nella
Lebenswelt (il mondo-della-vita). Sul tema del soggetto e sulla prospettiva
socialista nell'antropologia di A. Heller cfr. anche il n. 157-158, 1977.
4. La cosiddetta "Scuola di Praxis" costitui' il gruppo piu' importante
dell'opposizione marxista jugoslava. L'edizione della rivista usci' dal 1964
al 1975: il suo proposito fu quello di fornire un panorama piu' vasto della
cultura filosofica jugoslava o meglio delle prospettive di analisi che
corrispondevano alla cultura di sinistra piu' avanzata, legata alle
universita' di Zagabria e di Belgrado. Vedi Johann P. Arnason, op. cit., pp.
178-185. Sul tema sono interessanti i saggi comparsi su "aut-aut", fra cui
quello di P. A. Rovatti, "Praxis" e il nuovo marxismo dell'uomo, in
"aut-aut" n. 116, 1970, in cui si sottolinea che la strada di "Praxis" e'
soprattutto combattere lo schematismo della contrapposizione
umanismo/antiumanismo, ponendosi sia contro ogni rinnovato tentativo di
rifondare il marxismo sulla base di una essenza dell'uomo, sia contro la
versione economicistica o strutturalistica e la sua traduzione in termini di
ideologia politica.
5. A. Heller, Morale e rivoluzione, (a cura di L. B. Boella e A. Vigorelli),
Savelli, Roma 1979.
6. A. Heller, op. cit., pp. 46-47.
7. Ibidem.
8. La razionalita' formale, che si identifica con un modello di scienza
avalutativa e neutrale, implica una visione dell'etica in cui vige la
separazione tra pubblico e privato e dove le scelte non sono razionalmente
fondate; una dissociazione teoria/prassi. Rifiutando ogni concezione della
storia di matrice positivistica - in cui lo sviluppo delle forze produttive
debba necessariamente condurre al socialismo - sostiene che: "La critica
dell'onnipotenza della ragione strumentale fa parte della teoria radicale,
ma solo ove la si intenda come limitazione e controllo della ragione
strumentale mediante le discussioni e le scelte di valore razionale di tutti
gli interessati. Ma se si rifiuta totalmente o non si prende in
considerazione la ragione strumentale o la costituzione di un agire
razionale rispetto al valore, l'aspirazione alla trasformazione delle forme
di vita all'interno della comunita' diventa l'ideologia del sangue e del
suolo" (A. Heller, op. cit. pp. 56-57).
9. Le tappe di questa ricerca sono gli scritti: Morale della sociologia o
sociologia della morale,1963; Sociologia della vita quotidiana, Editori
Riuniti, Roma 1975; Valore e storia,1969; Per una teoria marxista del
valore, Editori Riuniti, Roma 1974.
10. Sul tema cfr. Laura B. Boella, Teoria del soggetto e prospettiva
socialista ("aut-aut" n. 157-158, 1977), in cui si mette in evidenza che il
progetto di un'antropologia sociale comprendente cinque parti,
rispettivamente dedicate agli istinti, alla teoria degli affetti, alla
"seconda natura", alla teoria dei bisogni e alla teoria della personalita',
e' sostenuto dalla dichiarazione esplicita delle premesse di valore che la
guidano, da "un'epistemologia che costruisce il proprio oggetto teorico
sulla base di un essenziale riferimento a un ideale di emancipazione". Sono
messi in risalto anche i limiti di questa concezione del soggetto,
prigioniera dell'utopia dell'uomo totale goethiano. Sul tema vedi anche,
nello stesso numero della rivista, A. Vigorelli, Critica del socialismo
burocratico e teoria della vita quotidiana nella scuola di Lukacs, che
invece sottolinea il limite teorico nella mancanza di un'analisi delle
classi.
11. A. Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1978, p.
40.
12. Ibidem.
13. A. Heller, La teoria marxista della rivoluzione e la rivoluzione della
vita quotidiana, in "aut-aut", n. 127, 1972, pp. 58-71.
14. A. Heller, op. cit., p. 48.
15. Ivi, p. 69.
16. Per quanto riguarda il criterio di verita' delle idee di valore
l'autrice ama richiamarsi alle concezioni di filosofi come Apel e Habermas.
La Heller ne condivide l'utopia democratica di una "comunita' di
comunicazione ideale", fondata sul consenso intersoggettivo, ma propone di
sostituire al criterio del "consenso" quello della "discussione" che sfugge
ai pericoli del relativismo etico e allude ad un'utopia radicale fondata sul
pluralismo delle forme di vita e sulla massima della tolleranza
rivoluzionaria.
17. Mi riferisco all'analisi condotta da I. Mortellaro in Concretezza
dell'utopia, "La rivista del manifesto" n. 48, marzo 2004.
18. Vedi A. Cavarero, Una politica oltre il potere, "Il manifesto", 28
febbraio 2004, e in generale tutto il dibattito seguito all'articolo di P.
Ingrao su "Liberazione", 7 gennaio 2004.

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1256 del 5 aprile 2006

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