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Nonviolenza. Femminile plurale. 56
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 56
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 23 Mar 2006 11:50:18 +0100
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 56 del 23 marzo 2006 In questo numero: 1. Rita Borsellino: Uno straordinario giorno qualsiasi. Contro la mafia 2. Vandana Shiva: Contro i semi di morte, semi di pace 3. Libere nella vita, libere nella politica 4. Annamaria Rivera: Antisemitismo, con delitto 5. Adriana Perrotta Rabissi: Cristina Campo, il sacro, la fiaba 1. TESTIMONIANZE. RITA BORSELLINO: UNO STRAORDINARIO GIORNO QUALSIASI. CONTRO LA MAFIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 marzo 2006. Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino assassinato dalla mafia, e' da molti anni insieme a don Luigi Ciotti la principale animatrice dell'associazione "Libera", la principale rete dei movimenti della societa' civile impegnati contro la mafia. Per coordinare e diffondere le informazioni sulla campagna a sostegno della candidatura di Rita Borsellino a presidente della Regione Sicilia e' attivo il sito: www.ritapresidente.it] Questo 21 marzo e' stato per me molto particolare. Per anni ho vissuto questa giornata lavorando per organizzarla, come vicepresidente nazionale di Libera prima, da presidente onorario dopo. Ieri l'ho fatto privatamente, rimanendo in strada, in mezzo alla gente, e per me e' stata un'esperienza molto intensa. Un'esperienza che mi ha fatto sentire, forte come non mai, il senso di responsabilita' per le persone che restano, per i familiari delle vittime e per chi non vuole voltare le spalle a tanta ingiustizia e violenza. Quante donne e uomini sotto la pioggia. Quanti, colpiti negli affetti piu' cari. E quanti giovani venuti da tutta Italia. Li ho guardati da vicino, ne ho osservato i volti, ne ho seguito i passi. Per la prima volta senza ruolo ufficiale: non quello di candidata alla presidenza della Regione siciliana, ne' quello di esponente di Libera, da cui ho scelto di autosospendermi per un senso di opportunita'. Ma proprio questo mio confondermi con gli altri (da tempo non mi era piu' stato possibile) mi ha fatto vedere ogni cosa da una prospettiva diversa. E' stato quasi un tirare le fila di questi ultimi 13 anni. Tornare indietro per cogliere a pieno quanto e' cambiato. Tornare indietro per ricordare tutta la strada percorsa. In un momento particolare: in cui si vota il nuovo governo del Paese e c'e', si avverte nelle strade, nelle piazze, tra la gente una nuova coscienza politica e sociale. In un momento in cui anche il mio percorso personale e' cambiato per diventare progetto di governo. E in un momento in cui la mafia e' tornata a lanciare segnali: l'auto bruciata a Dino Paternostro giornalista e sindacalista di Corleone, l'intimidazione a Sonia Alfano nel messinese, quella alla cooperativa Lavoro e non solo che in provincia di Agrigento gestisce terreni confiscati alla mafia, e tanti altri episodi che testimoniano il nervosismo della criminalita' organizzata rispetto ai cambiamenti in corso. Rispetto a questa nuova coscienza civile che adesso vuole diventare e affermarsi come progetto. * Ho sempre pensato che lo scandire uno per uno i nomi delle vittime di mafia, avesse in se' qualcosa di magico. Una sorta di canto propiziatore: ricordare non per piangere ma per costruire. Per far crescere qualcosa di nuovo, nel giorno in cui tutto rinasce: il primo giorno della primavera. Ieri, per tutte le ragioni che ho gia' detto, questa sensazione e' stata ancora piu' forte. Ed ho pensato alla formica, simbolo di questa undicesima edizione. Al suo essere tanto piccola e tanto instancabile. Un simbolo importante come i temi in discussione: economia, politica, informazione, migranti e sport. Temi concreti che per diventare risposta concreta hanno bisogno di ritrovare l'etica e il senso della giustizia sociale. Ed hanno bisogno di tante formiche, ognuno con la sua piccola mollica da portare al formicaio. Guardando dietro e avanti a me ho visto centinaia, migliaia di persone convinte della stessa cosa. Pronte a rimboccarsi le maniche. Senza differenze di razza, di eta', di religione. Convinte che legalita', solidarieta' e giustizia per essere vere devono tenersi assieme e devono calarsi nella realta': diventare materia attorno alla quale costruire una nuova economia, una nuova politica, una nuova informazione. * Io credo che rispetto ad 11 anni fa quando ci fu la prima giornata della memoria, questa coscienza sia infinitamente piu' forte. Al Sud come al Nord ci sono battaglie comuni sui diritti. Penso all'acqua che oggi e' diventata la materia su cui milioni di persone in tutto il mondo si confrontano organizzando manifestazioni e comitati civici contro la privatizzazione e portando in piazza lo stesso manifesto: un manifesto che mette accanto paesi ricchi e paesi poveri. Ma penso anche ai movimenti che nel nostro Paese sono sorti spontaneamente contro scelte calate dall'alto come il ponte sullo Stretto. Si e' capito che non basta fare, ma bisogna fare bene, altrimenti il futuro resta dietro l'angolo. E ad essere piu' forte e' anche il senso di unita' del Paese, la voglia di tenerlo unito nonostante tutto: devolution, lega, crisi economica. Nel mio percorso verso la presidenza della Regione siciliana ho trovato accanto a me tanti giovani, uomini e donne di tutt'Italia. Persone che non potendo votare in Sicilia perche' sono emiliani, piemontesi, laziali, toscani organizzano cene di finanziamento per contribuire come possono al percorso di cambiamento dell'isola dove la mafia e' sempre stata forte. Formiche del cambiamento che portano al formicaio la loro piccola, grande mollica. 2. MONDO. VANDANA SHIVA: CONTRO I SEMI DI MORTE, SEMI DI PACE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 marzo 2006. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005] Quando a Curitiba, Brasile, si terra' l'ottava Conferenza sulla convenzione Onu per la diversita' biologica, con le riunioni sul Protocollo per la biosicurezza (20-31 marzo), in cima all'agenda ci saranno i semi assassini dell'industria delle biotecnologie. Semi che uccidono la biodiversita', i coltivatori e la liberta' delle persone. Tra questi vi e' il Bt.Cotton della Monsanto che ha gia' spinto migliaia di agricoltori indiani ai debiti, alla disperazione e alla morte. I governi di Australia, Nuova Zelanda e Canada, agendo da strumenti del governo Usa e dell'industria delle biotecnologie, stanno cercando di minare la moratoria dell'Unione Europea attualmente esistente su tutti gli alimenti e i semi geneticamente modificati e su quella che e' stata chiamata la tecnologia Terminator, una tecnologia che fa produrre semi sterili alle piante geneticamente modificate. Contro la moratoria dell'Unione Europea si e' espresso - il 7 febbraio scorso - il Wto. E il messaggio e' chiaro: la liberta' dei cittadini di scegliere cosa coltivare e cosa mangiare non ha cittadinanza in un mondo regolato dai profitti delle corporations. Il Bt.Cotton, un cotone geneticamente modificato venduto dalla Monsanto, ha ripetutamente deluso gli agricoltori indiani da quando la societa' inizio' illegalmente le sperimentazioni nel 1998. E da quando, nel 2002, e' stata autorizzata la commercializzazione dei suoi semi. La pubblicita' della Monsanto prometteva ai contadini una produzione di 15 quintali per acro e circa 226 dollari di guadagni aggiuntivi, ma per un gran numero di agricoltori il Bt.Cotton ha causato la perdita di interi raccolti. Molti altri hanno avuto raccolti medi di soli tre quintali per acro, un quinto di cio' che era stato loro promesso. * Le nostre ricerche sulle colture delle stagioni precedenti hanno evidenziato nel Maharashtra e nell'Andhra Pradesh raccolti medi di 1,2 quintali per acro. Uno studio del Centro per l'agricoltura sostenibile ha evidenziato che mentre i semi del Bt.Cotton costano ai contadini 36 dollari per acro, i semi dei coltivatori organici costano soltanto 10 dollari per acro, cioe' meno di un terzo. Il Bt.Cotton e' stato trattato con pesticidi che vengono spruzzati tre volte e mezzo, a un costo di 59 dollari per acro. I coltivatori organici, al contrario, per il controllo dei parassiti hanno usato sostanze ecologiche che costano meno di 9 dollari per acro, cioe' meno di un sesto del costo del Bt. A causa degli alti costi di coltivazione e dei bassi guadagni, i contadini indiani si sono trovati intrappolati in pesanti indebitamenti, per sfuggire ai quali si stanno togliendo la vita. Nell'ultimo decennio, in India, piu' di 40.000 agricoltori si sono suicidati - anche se sarebbe piu' esatto parlare di omicidio o genocidio. Piu' del 90% degli agricoltori che si sono uccisi nel Maharashtra e nell'Andhra Pradesh, nella stagione del cotone 2005 avevano piantato il Bt.Cotton. Eppure i lobbisti delle biotecnologie, come Graham Brookes e Peter Barfoot, manipolano i dati per nascondere questo orrore. In un recente viaggio in India, Brookes ha sostenuto che gli agricoltori indiani, coltivando il Bt.Cotton, avrebbero guadagnato 113 milioni di dollari, con un incremento di 45 dollari per ettaro. In realta' usare i semi Monsanto e' costato ai coltivatori altri 50 dollari per acro, il che ammonta a oltre 226 milioni di dollari di perdite. Questo e' il motivo per cui i governi dell'Andhra Pradesh e del Gujarat hanno portato la Monsanto in giudizio. * La monopolizzazione dei semi da parte delle corporations globali e' una ricetta per distruggere la biodiversita' e i contadini. Piu' del 90% del mercato dei semi geneticamente modificati e' costituito da quattro soli tipi di colture: grano, soia, canola, cotone. Solo due varieta' sono state commercializzate su larga scala: le colture resistenti agli erbicidi e le colture di Bt.Cotton. E piu' del 90% del mercato dei semi geneticamente modificati e' controllato da una sola compagnia: la Monsanto. * Lo studio di Brookes e Barfoot non e' basato su dati empirici primari ma su estrapolazioni tratte da falsi presupposti e studi manipolati. Per quanto riguarda gli Usa, i lobbisti sostengono che il cotone resistente agli erbicidi frutterebbe agli agricoltori americani 66,59 dollari per ettaro di guadagni aggiuntivi. Eppure 90 coltivatori di cotone texani hanno fatto causa alla Monsanto per aver subito grosse perdite nei raccolti: la Monsanto non li avrebbe avvertiti di un difetto presente nel suo cotone geneticamente modificato. La causa si propone di ottenere un'ingiunzione contro quella che viene definita "una lunga campagna di inganni". Il tentativo di introdurre la tecnologia Terminator fara' aumentare la vulnerabilita' degli agricoltori indiani e la minaccia alla biodiversita'. Quando a gennaio si e' riunito a Granada il gruppo di lavoro sull'articolo 8 (j) della Convenzione sulla diversita' biologica, gli Usa hanno sostenuto la falsa tesi che la tecnologia Terminator, una tecnologia che crea sterilita', farebbe "incrementare la produttivita'". * Le popolazioni indigene vedono la tecnologia Terminator come una minaccia alla loro liberta' e sovranita'. Come ha affermato in Brasile Mariana Marcos Tarine a nome del Forum internazionale indigeno sulla biodiversita', "la tecnologia Terminator rappresenta una minaccia al nostro benessere e alla nostra sovranita' alimentare, e costituisce una violazione del nostro diritto all'autodeterminazione". E ad essere in gioco non e' solo la liberta' delle popolazioni indigene. Il pronunciamento del Wto sulla questione degli Ogm minaccia la liberta' di tutti noi sui semi e sull'alimentazione. Nel 2003, quando il presidente Bush comincio' la disputa, noi avviammo una campagna mondiale. Al meeting del Wto 2005 di Hong Kong, io e l'agricoltore attivista francese Jose Bove' abbiamo consegnato al Wto piu' di 60 milioni di firme con le quali si dichiara che la liberta' dagli Ogm e' parte integrante del nostro fondamentale diritto a scegliere liberamente le colture che coltiviamo e gli alimenti che mangiamo. Non ci faremo asservire dai giganti della genetica. Non permetteremo che i loro semi assassini uccidano i nostri agricoltori e le nostre liberta'. Continueremo a conservare i nostri semi come un dovere verso la creazione e verso le nostre comunita'. Diffonderemo le zone "ogm-free" come zone della nostra biodiversita' e della nostra liberta' alimentare. Diffonderemo semi di pace e fermeremo la diffusione dei semi di morte. 3. RIFLESSIONE. LIBERE NELLA VITA, LIBERE NELLA POLITICA [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo. Abbiamo cassato l'ultimo capoverso del documento, in quanto di mera propaganda elettorale] Libere nella vita, libere nella politica e l'Italia cambia davvero Cambiare davvero l'Italia si puo'. Vogliamo farlo a partire da quello che e' gia' cambiato in noi stesse e nei rapporti privati e pubblici, tra donne e tra uomini e donne. Cambiare davvero per noi significa innanzitutto incidere in profondita' sulla miscela di liberismo ed integralismo autoritario che e' il segno dominante della cultura e della politica del centrodestra. Liberismo economico a vantaggio dei ceti piu' forti, piu' ricchi, privilegiati, favorendo rendite, speculazioni, affarismo ed illegalita'; liberismo sociale favorendo il privato e demolendo il pubblico nei servizi, nella scuola ed universita', nella sanita'. Integralismo autoritario nel contrapporre valori assoluti alle differenti scelte di vita libere e responsabili; nella pretesa arrogante di proibire, punire, discriminare in nome di un unico modello di famiglia, di sessualita', di relazioni affettive, di convivenza sociale; nell'innalzare frontiere contro le differenze, alimentando il conflitto di identita'. Al vertice di questo intreccio c'e' la guerra, dove la logica dei rapporti di forza si coniuga a quella degli affari e l'una e l'altra si ammantano dell'ideologia dei valori di democrazia, diritti umani e civilta' occidentale da esportare nel mondo. Gli effetti devastanti nella societa' sono allarmanti: si sono aggravate e diffuse le condizioni di disuguaglianza, precarieta', iniquita'; e vi e' una diffusa sfiducia, perfino un risentimento nei confronti delle istituzioni. * Ma vi e' anche attiva e radicata la volonta' di cambiamento. Si e' espressa in movimenti e conflitti visibili, e soprattutto nelle scelte di tanti e tante che hanno dato corpo ad un altro modo di essere e fare societa'. Le donne ne sono protagoniste, e vi imprimono, sempre piu' spesso ed in modi diversi, il segno del loro autonomo e differente punto di vista. Le recenti manifestazioni di Milano, Napoli, Roma, le assemblee autoconvocate in tante citta', rappresentano un punto di incontro di questa molteplicita' di percorsi politici e di esperienze di vita. * Una vittoria dell'Unione il 9 e 10 aprile sara' importante per determinare un'inversione di tendenza nella politica istituzionale e di governo. Ma e' ai soggetti, alle loro pratiche, alle loro culture che noi affidiamo la speranza e la possibilita' che l'Italia cambi davvero. Oggi come candidate, domani se elette, vogliamo assumerci la responsabilita' di costruire con le donne i contenuti e i modi della politica. Nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze, in primo luogo tra noi. La parola femminile non c'e' nel programma dell'Unione. Non ci riferiamo a contenuti o interessi femminili, "specifici". In assenza di parola femminile, tutto il programma, a cominciare dalle sue priorita' (pace, lavoro, democrazia, cittadinanza, giustizia) rischia di occultare la differenza tra i sessi e il modo in cui essa attraversa e segna ogni aspetto della vita, dunque ogni questione e scelta della politica. E' un programma frutto di un confronto e accordo tra gruppi dirigenti politici, a forte prevalenza maschile. Da questo punto di vista e' perfino un buon programma. Ma c'e' per noi oggi tutta intera la sfida di colmare quell'assenza, per indurre gli uomini a mettere in gioco la propria differenza. A partire da alcune priorita'. * Il ripudio della guerra L'esplicito richiamo nel programma all'articolo 11 della Costituzione e' un impegno a costruire soluzioni politiche ai conflitti, alternative alla guerra. Un impegno che non puo' fermarsi al rifiuto della guerra preventiva, ne' considerarsi compiuto con il ritiro unilaterale delle truppe dall'Iraq. Chiede un coinvolgimento attivo nelle aree di conflitto e di guerra, in primo luogo in Medio Oriente, in rapporto con le popolazioni. La prospettiva di operare per la pace preventiva indicata nel programma dell'Unione non e' realistica se la politica e' ridotta a rapporti di forza, a lotta per il potere e per l'appropriazione delle risorse, a dominio e controllo sulle vite. E se non si va alla radice della violenza, affrontando i nessi che legano nella storia e nell'immaginario la sessualita' all'esercizio della forza, la reificazione del corpo femminile alla violenza nella vita quotidiana, la negazione della differenza sessuale alla lotta virile tra amico e nemico nella politica. * Costituzione e democrazia Come e' scritto nel programma "non proponiamo una grande riforma costituzionale semplicemente perche' non ve ne e' alcun bisogno". Il disegno di revisione del centrodestra non e' solo estraneo al costituzionalismo, e' la vera carta di identita' del centrodestra, perche' riproduce il suo sistema materiale di governo e la sua concezione della politica. In questa campagna elettorale se ne parla troppo poco, rinviandone al referendum la cancellazione. Ma non bastera' il ripristino del testo costituzionale per contrastare l'emergenza democratica prodotta da una pratica di governo fondata sulla concentrazione del potere, sul dispotismo di maggioranza e sul populismo. Vi e' bisogno di attuare la Costituzione, ricostruendo la sfera pubblica, oggi annullata dalla scena mediatica, riqualificando la rappresentanza, rimuovendo gli ostacoli alla partecipazione attiva alla politica. * Liberta' di decidere del proprio corpo La netta prevalenza di astensioni al referendum non puo' essere interpretata come un giudizio favorevole sulla legge. Lascia del tutto impregiudicata la volonta' del Parlamento. Se davvero non si vuole un voto sulla vita, questa legge deve essere abrogata. Il paradosso di questa legge e' il fatto che assume in pieno il nocciolo essenziale del discorso scientifico-tecnologico ammantato di fondamentalismo cattolico. E' in nome di una presunta verita' biologica che vengono affermati i diritti del concepito: alla vita, all'identita' genetica, ai genitori biologici. Ed e' su questo che si e' avuta la convergenza sulla tutela della Vita fin dal suo inizio con la conseguenza inevitabile di negare la liberta' e responsabilita' femminile. Ma non puo' che essere la donna a decidere se accettare o no un concepimento come inizio, non solo biologico, di un essere umano. Riconoscerlo vuol dire porre un limite preciso all'intervento sulla legge per l'aborto, come sui consultori e sulla procreazione assistita. * Cittadinanza universale sociale sessuata Perche' il dibattito sull'immigrazione assuma un significato non neutro occorre che si dia spazio alla parola delle donne, alle loro pratiche, alla loro capacita' di attraversare confini e frontiere dentro e fuori l'Europa: la cittadinanza di residenza, che noi siamo impegnate a costruire anche nei social forum europei, non puo' non tener conto che i generi sono due e che l'universalismo dei diritti va coniugato con la differenza sessuale e la molteplicita' delle differenze. Per questo e' importante che il diritto di asilo comprenda le violazioni della liberta' femminile. In questo contesto si possono superare le ideologie identitarie in cui soprattutto le donne hanno rischiato di trasmettere attraverso le comunita' familistiche i valori dell'etnicismo patriarcale. * Una scuola pubblica laica che valorizzi le differenze La scuola pubblica, laica, in cui convivono e si confrontano quotidianamente ragazze e ragazzi di culture e religioni differenti, e' condizione imprescindibile per una cittadinanza critica e consapevole. * Liberta' di convivere I Pacs, o in quale altro modo si voglia definire il riconoscimento di relazioni amorose, sessuali, di convivenza, eterosessuali o omosessuali non inventano la pluralita' delle unioni, danno risposta a problemi concreti: la reversibilita' della pensione, l'assistenza in caso di malattia, il diritto alla successione e a non perdere la casa, la tutela in caso di separazione. I diritti delle persone non risolvono molti di questi problemi e non rispondono all'esigenza di dare la stessa dignita' pubblica alle diverse forme di convivenza. Non si vede quale danno questo possa fare. Siamo convinte che il bisogno di condivisione pubblica delle relazioni non possa ridursi al riconoscimento giuridico. E che la liberta' di convivere, di sperimentare nuove relazioni, nuovi legami affettivi, non possa avere la famiglia come unico modello di riferimento. Ma non vediamo quale danno possa fare alla famiglia estenderne i diritti e le garanzie. * Liberta' nel lavoro Sul lavoro il programma dell'Unione ha un indirizzo di riforma. Tanto piu' pesa l'assenza di una lettura sessuata, attenta ai grandi mutamenti che le donne hanno portato in tutti i lavori. Cosi' come mancano i nessi con la riproduzione, a partire dal lavoro di cura, e di conseguenza con la presenza delle immigrate. Per le donne giovani precarieta' significa molto spesso impossibilita' di scegliere se divenire madri. Ed il sussidio economico spesso non e' una soluzione alla difficolta' di combinare aspirazioni e progetti di vita. Ma la questione piu' importante e difficile e' quale lavoro per chi e per quale vita? Dietro la frammentazione dei tipi di contratti, dei tempi e delle attivita' vi sono infatti complesse strategie di vita che non si lasciano ridurre ad una misura comune. Il nostro intento e' quello di aprire un dibattito che affronti il tema del rapporto tra nuove condizioni di lavoro e diritto a nuove forme di reddito. * Con la presenza delle donne e' la politica a guadagnarci. In questi ultimi mesi si e' avuta una grottesca rappresentazione di misoginia maschile nei tentativi, falliti, di inserire nella nuova legge elettorale le cosiddette "quote rosa". Sulle quote le valutazioni possono essere le piu' diverse: c'e' chi le ritiene indispensabili, chi le giustifica, anche se non convincono, perche' un Parlamento cosi' sfacciatamente monosessuale risulta insopportabile, chi le ritiene inefficaci, perche' diventano un mezzo di cooptazione da parte degli uomini, chi le rifiuta perche' confermerebbero l'immagine di un sesso debole e secondo. A prescindere dal giudizio sulle quote noi riteniamo che sia simbolicamente rilevante l'ambizione femminile di agire anche nella politica istituzionale la propria autonomia, piu' dell'affermazione giuridica del "politicamente corretto"... * Prime firmatarie: Imma Barbarossa, Maria Luisa Boccia, Giovanna Capelli, Rita Corneli, Elettra Deiana, Cinzia Dell'Aera, Titti De Simone, Daniela Dioguardi, Erminia Emprin, Mercedes Frias, Lidia Menapace, Linda Santilli, Titti Valpiana. 4. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: ANTISEMITISMO, CON DELITTO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 marzo 2006. L'articolo e' accompagnato da una scheda redazionale che di seguito riproduciamo: "Il 13 febbraio 2006, accanto ai binari della stazione di Sainte-Genevieve-des-Bois, nella regione parigina, viene ritrovato agonizzante Ilan Halimi, che morira' durante il trasporto in ospedale. E' nudo, imbavagliato, ammanettato, il corpo martoriato dalle sevizie subite e quasi interamente ustionato. 23 anni, commesso in un negozio parigino di telefonia mobile, d'una famiglia di ebrei d'origine marocchina, Ilan Halimi era stato sequestrato a Parigi il 21 gennaio da una banda di giovani delinquenti, trasportato a Bagneux, non lontano da Parigi, e tenuto prigioniero prima in un appartamento e poi nello scantinato di una palazzina abitata. I suoi rapitori avevano tentato di estorcere alla famiglia un riscatto di 450.000 euro, persuasi che comunque avrebbe pagato la comunita' ebraica, poi riducendo via via la somma a cinquemila euro, fino a che la polizia non aveva ingiunto ai familiari d'interrompere con loro ogni contatto. Una ventina di giovani, fra i quali quattro ragazze - una appena diciassettenne - sono sospettati d'aver partecipato al rapimento e all'omicidio con ruoli diversi. La gang sarebbe stata capeggiata da un francese di ventisei anni, d'origine ivoriana, con precedenti per furti, rapine e oltraggio, che si faceva chiamare 'brain of barbarians', il cervello dei barbari, secondo una terminologia che sembra uscita da un videogioco o da una serie televisiva di bassa lega. La banda aveva tentato estorsioni ed altri sequestri simili, reclutando delle ragazze - come in questo caso - per adescare le vittime. Due settimane dopo il ritrovamento del corpo di Ilan, nel centro di Parigi sfila un grande corteo antirazzista, a cui partecipano anche le massime cariche dello Stato e del governo. Alcuni giorni dopo il 'cervello dei barbari' e' arrestato ad Abidjian ed estradato in Francia". Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it), antropologa, fortemente impegnata nella difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, docente di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e Kilani, L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di), L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003; La guerra dei simboli, Dedalo, Bari 2005] Il fatto di cronaca, avvenuto di recente nella regione parigina, e' ben noto e, per quanto atroce, forse sarebbe stato presto archiviato dai mass media se la vittima non fosse stata un giovane ebreo: Ilan Halimi, sequestrato per ventitre' giorni e torturato a morte da una banda di giovani balordi, che avevano tentato invano di estorcere alla famiglia, di modeste condizioni economiche, un cospicuo riscatto. Certo, il crimine ha tutti gli ingredienti per attrarre i mezzi di comunicazione, appassionare il pubblico, soddisfare pulsioni necrofile: uno scenario da film dell'orrore, una banda che si e' data il nome di barbarians, una bella ragazza reclutata dalla gang per adescare la vittima, il presunto capobanda che fugge in Costa D'Avorio, le umiliazioni, le torture, lo strazio smisurato inflitti alla vittima, tali da far ipotizzare agli inquirenti una mimesi delle immagini di Abu Ghraib, quale perverso effetto della comunicazione globale. D'altra parte, come alcuni hanno osservato, l'intero svolgimento del crimine sembra imitare la trama e le immagini di un film di Christian Tavernier, L'Appat, che a sua volta era stato ispirato da un fatto di cronaca. Tuttavia, gli elementi che hanno fatto scattare l'attenzione dei mass media, sollecitato mobilitazioni di massa e trasformato un crimine abietto in un affare di Stato sono stati soprattutto l'appartenenza religiosa della vittima e il sospetto di un movente antisemita: la vittima sarebbe stata scelta in base al pregiudizio che vuole che ogni ebreo sia ricco; le torture inflittegli sarebbero state accompagnate da insulti antisemiti. V'e' stato chi si e' affrettato a leggere l'omicidio secondo il consueto schema che riconduce ogni male alla banlieue, alle popolazioni d'origine immigrata, al "comunitarismo", parlando d'una gang organizzata su base etnica, quando invece a connotarla e' proprio la mixite' (fra i criminali vi sono "franco-francesi" come giovani d'origine ivoriana, portoghese, maghrebina, antillana, iraniana...). * Nell'ex cintura rossa Alcuni componenti e il presunto capo della gang - che peraltro appartiene ad una famiglia operaia senza particolari problemi sociali - sono di un quartiere popolare di Bagneux, una cittadina a soli due chilometri dalla Porta d'Orleans, collegata con Parigi da una fitta rete di servizi di trasporto pubblico. Bagneux fa parte di cio' che resta della "cintura rossa": ben amministrata da una giunta di sinistra, ha per sindaco una comunista sensibile ai temi "dello sviluppo urbano sostenibile", come scrive di se stessa, ed ostile alle politiche liberiste del governo "che alimentano disuguaglianza e precarieta'". E' qui, dove le strade portano nomi di partigiani e la sala comunale delle feste e' intitolata a Leo Ferre' - e dove non vi sono problemi d'emarginazione sociale e di segregazione urbana di particolare acutezza - che e' potuto accadere che un giovane fosse tenuto prigioniero e torturato per alcune settimane nello scantinato di uno stabile abitato, senza che alcuno se ne rendesse conto. L'orrendo delitto ha suscitato grande emozione collettiva e non solo nella comunita' ebraica. Come spesso accade in Francia, all'emozione si sono accompagnate feroci polemiche. Da una parte, coloro che hanno dato subito per scontato il carattere antisemita del crimine: la madre della vittima e la comunita' ebraica, anzitutto, poi i massimi rappresentanti delle istituzioni e del governo (che parteciperanno compatti alle commemorazioni e manifestazioni pubbliche), i piu' importanti partiti politici e, paradossalmente, le formazioni d'estrema destra, antisemite e negazioniste. Sul versante opposto e in posizione minoritaria coloro che hanno invocato discrezione e prudenza, denunciando i tentativi di strumentalizzare il delitto per fini elettorali e di politica estera, e paventando un'ulteriore stigmatizzazione della "racaille". Alcuni hanno protestato che le vittime di omicidi razzisti appartenenti ad altre minoranze non hanno meritato la stessa attenzione dei mass media, del governo, della classe politica, ne' suscitato un'ondata emotiva e un'indignazione comparabili. Le stesse autorita' che si occupano del caso si sono divise: i giudici istruttori hanno accolto l'aggravante dell'antisemitismo, sostenendo che lo stereotipo che vuole che ogni ebreo sia ricco e' parte del movente e che le sevizie inflitte alla vittima hanno una connotazione razzista; secondo la procura e gli inquirenti, invece, il fatto che la cultura degli autori del delitto sia venata da antisemitismo non e' sufficiente a definire il crimine come razzista, essendo il principale movente non l'antisemitismo ma l'estorsione di denaro. * Riflettori al massimo E' vero: per ragioni non tutte riconducibili ad un preciso disegno e ad interessi elettorali e politici, sul caso Halimi i riflettori sono stati accesi con la massima potenza. Altrettanto vero e' che si e' corso il rischio che la presunzione e l'enfatizzazione di un'incerta connotazione razzista del crimine alimentassero l'astio e le tensioni interetniche. Tuttavia, per quanto fondata, saggia e garantista sia questa posizione, e' dubbio che l'assassinio di Ilan Halimi possa essere banalizzato come un qualsiasi fatto di cronaca nera. Ne' lo si puo' analizzare compiutamente ricorrendo a vaghe spiegazioni socio-psicologiche che evocano il vuoto morale di una gioventu' emarginata, privata di futuro e di speranza, e percio' tanto attratta dagli oggetti-simbolo del consumismo da ricorrere a qualsiasi mezzo per procurarseli. In quest'episodio v'e' qualcosa che eccede lo stesso carattere efferato del crimine. E' vero, di delitti accompagnati da sadismi atroci la cronaca nera e' piena: basta ricordare un caso italiano, quello di P. D. N., detto "er canaro", che nel 1988 uccise la sua vittima dopo avergli inflitto ogni sorta di umiliazioni, torture, nefandezze. Il di piu' sta nella pregnanza simbolica che quest'omicidio ha messo in scena: gli stereotipi antisemiti e la totale deumanizzazione della vittima; la mimesi delle immagini provenienti dall'universo carcerario iracheno, a tal punto interiorizzate dai sequestatori da divenire, come sembra, modus operandi del delitto; infine, il clima in cui si e' inserito il fatto di cronaca, avvelenato da una crescente polarizzazione identitaria, dalla sua strumentalizzazione politica, dal riflesso delle vicende internazionali su un tessuto sociale gia' disgregato dalle politiche neoliberiste, dalle scelte governative, da un razzismo sistemico che aggrava l'emarginazione e la precarieta' di numerose fasce, soprattutto giovanili, di popolazione "d'origine immigrata". In realta', lo stereotipo che connette gli ebrei al denaro e' uno dei fili che legano l'antisemitismo storico a quello dei nostri giorni; e cosi' il tema secondo cui dietro ogni persona di religione o di cultura ebraica vi sarebbe una comunita' ricca e potente. Stereotipi di tal genere appartengono ad un repertorio sedimentato ed implicito negli immaginari collettivi, che in determinati contesti e circostanze storiche puo' essere riattivato con funzioni le piu' varie. In Francia, il lepenismo ha reso moneta corrente l'antisemitismo e il negazionismo; e la Nouvelle Droite (bazzicata perfino da certe ambigue sette dell'ortodossia "marxista", anche italiana, antisemita ed ostile all'immigrazione) ha contribuito a conferire ad essi legittimazioni piu' o meno dotte. Ma e' indubbio che v'e' anche un antiebraismo "spontaneo" che alligna in eleganti quartieri parigini come nei ghetti urbani. In certi ambienti connotati da segregazione e marginalita', dove la discriminazione, la stigmatizzazione, il razzismo sono patiti quotidianamente, il risentimento, il senso d'impotenza, la rabbia conseguenti possono nutrire, reattivamente, cliche' e stereotipi: l'ebreo puo' allora essere percepito come il "diverso" che si e' integrato ed ha avuto successo e che dunque rappresenta le istituzioni e la societa' dominante. * "Orgoglio africano" Umori di tal genere serpeggiano sotterraneamente nel corpo sociale e talvolta emergono in forme piu' o meno esplicite. Benche' cio' che circola nella rete non sia rappresentativo di orientamenti collettivi, poiche' spesso ne esprime il peggio, possiamo assumere come indizio un forum sull'omicidio di Halimi, ospitato in un sito francese dell'"orgoglio africano" (da alcuni anni in Francia sono comparsi gruppuscoli, marginali e non rappresentativi della comunita' nera, i quali predicano la separazione delle "razze" se non la superiorita' della "razza negra"). I partecipanti - che si definiscono "negres", e non si tratta solo di una forma di "rovesciamento dello stigma", ma d'un termine con intonazioni razzialiste - mostrano di condividere, con rare eccezioni, i peggiori cliche' antisemiti: [omettiamo qui gli esempi - ndr]. Non mancano affermazioni del tutto deliranti: [omettiamo anche questo esempio - ndr]. Non e' il solo esempio. La rete e' ormai densa di siti che incitano all'odio razzista, in un perverso gioco speculare: basta ricordare un caso di qualche anno fa, quello di sos.racaille.org, frutto della convergenza fra estremisti cristiani-nazionalisti ed ebrei integralisti, un sito nel quale si manifestava una tale violenza verbale antiaraba ed antiislamica da meritare l'attenzione della magistratura. L'antiebraismo non e' certo monopolio dei "quartieri sensibili" e dei giovani d'origine immigrata, come sostengono una certa stampa e una certa pubblicistica: a farne un'opinione come un'altra hanno provveduto anzitutto gli imprenditori politici dell'islamofobia e dell'antisemitismo. In un clima avvelenato dall'acutezza dei problemi sociali, dal razzismo neocoloniale, dalle fratture e dalle polarizzazioni seguite all'11 settembre, il rischio e' che la strumentalizzazione di un crimine atroce, che meglio sarebbe stato affidare alla sola verita' giudiziaria, segni un'ulteriore tappa verso l'autorealizzazione della profezia dello scontro di civilta'. 5. RIFLESSIONE. ADRIANA PERROTTA RABISSI: CRISTINA CAMPO, IL SACRO, LA FIABA [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo, apparso su "La Mosca di Milano. Rivista di poesia, arte e filosofia", n. 13, dicembre 2005. Adriana Perrotta Rabissi e' docente di italiano e storia e fa parte della Libera Universita' delle Donne; si occupa di storia del femminismo, di lavoro, di linguaggio dal punto di vista psicosociale. Dal 1981 al 1994 e' stata membro della segreteria del Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia (trasformatosi nel 1994 in Fondazione Elvira Badaracco); per il Centro ha svolto attivita' di organizzazione e coordinamento di convegni nazionali ed internazionali e seminari di studio su temi relativi alla condizione delle donne, al linguaggio sessuato, alla letteratura e alla scrittura delle donne, alla storia dei movimenti politici delle donne; attivita' di ricerca nei campi della storia dei movimenti politici delle donne, in particolare dell'emancipazionismo e del neofemminismo degli anni Settanta e Ottanta, della storia, della scrittura e della letteratura delle donne; attivita' di documentazione nell'Archivio del Centro. Fa parte del comitato scientifico della Fondazione Badaracco, per la quale cura i rapporti con la Rete Lilith (la rete dei centri, biblioteche e archivi delle donne in Italia) e organizza momenti seminariali e convegni nazionali e internazionali. E' socia dell'Associazione per una libera universita' delle donne di Milano, per cui progetta, organizza e conduce dal 1994 corsi e seminari su temi relativi alla condizione delle donne in Italia e alle sue modificazioni strutturali in relazione al sessismo della lingua, alle rappresentazioni del maschile e del femminile sedimentate nella lingua di comunicazione, alla storia e alla letteratura delle donne nel Novecento, ai mutamenti sociali verificatisi nel campo della famiglia e del lavoro. Svolge dal 1979 attivita' di formazione, di educazione degli adulti, di aggiornamento dei docenti delle secondarie e delle/degli operatrici e operatori culturali. Ha organizzato e condotto corsi monografici delle 150 ore sulla condizione delle donne per il Consorzio Ticino 3; dal 1991 organizza e conduce corsi rivolti alla cittadinanza per il Comune di Milano sui temi del linguaggio sessuato, della letteratura, della storia delle donne, delle modificazioni della condizione delle donne nella famiglia e nel lavoro. E' stata docente di storia del Novecento, storia delle donne e della letteratura delle donne in corsi di aggiornamento dei docenti di Milano, Grosseto, Bergamo, Bolzano, Ferrara, Rovigo, e per l'Istituto svizzero di pedagogia per la formazione professionale di Lugano. E' stata formatrice in corsi e seminari sui linguaggi documentari e sull'indicizzazione tramite thesaurus, organizzati da Istituzioni italiane, dalla Cee, da Centri di ricerca e documentazione delle donne. Ha pubblicato saggi e articoli nelle riviste "Dwf", "Lapis", "Leggere donna", "La Balena Bianca", "il Paese delle Donne", "Golem. L'indispensabile". Tra le opere di Adriana Perrotta Rabissi: "Itinerario bibliografico sul rapporto donne/scrittura", in Calabro' A. R., Grasso L. (a cura di), Dal movimento femminista al movimento diffuso. Ricerca e documentazione nell'area lombarda, Milano, Franco Angeli, 1985; "Questo balsamo, la lettura: ovvero la necessita' della cultura", in Buttafuoco A., Zancan M. (a cura di), Svelamento. Sibilla Aleramo: una biografia intellettuale, Milano, Feltrinelli, 1988; Assolo. Sibilla Aleramo", in "Donnawomanfemme", n 3,1986; (a cura di, con Perucci M. B. ), Perleparole. Le iniziative a favore dell'informazione e della documentazione delle donne europee, Atti del convegno internazionale del Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia, Utopia, Roma 1988; "Dalle parole delle donne a 'Linguaggiodonna'", in Perleparole, cit.; (con Perucci M. B.), Perleparole, in "Minerva", n. 9, settembre 1988; "Tra nuova sinistra e autocoscienza. Milano:1972-1974", in Crispino A. M. (a cura di), Esperienza storica femminile nell'eta' moderna e contemporanea. Parte seconda, Roma, Udi - La Goccia,1989; (con Perucci M.B.), Linguaggiodonna. Primo thesaurus "di genere" in lingua italiana, Centro di studi storici sul movimento di liberazione della donna in Italia, II ed., Milano 1991; (con Perucci M. B.), Un Convegno sull'informazione 'al femminile', in "Biblioteche oggi", n. 4, luglio-agosto 1988; "Le parole per dire", in Buttafuoco A. (a cura di), Modi di essere. Studi,riflessioni, interventi sulla cultura e la politica delle donne in onore di Elvira Badaracco, Bologna, E M Ricerche, 1991; Fra una parola e l'altra. La riflessione delle donne tra storia e memoria di genere, in "La Balena Bianca. I fantasmi della societa' contemporanea", n. 4, 1992; "Di corpi e di parole. Viaggio attraverso un dizionario di parolechiave, in "La Balena Bianca. I fantasmi della societa' contemporanea", n. 5, 1992; "Parlare e scrivere senza cancellare uno dei due sessi", in Eleonora Chiti (a cura di), Educare ad essere donne e uomini. Intreccio tra teoria e pratica, Torino, Rosenberg e Sellier, 1998;(con Luciana Tavernini), "Un percorso storiografico del Novecento", nell'ipertesto consultabile al sito Donne e conoscenza storica, www.url.it/donnestoria/; Sono soldi i soldi?, in "Golem. L'indispensabile", giugno 2001; La lingua e' neutrale rispetto ai sessi?, nel sito www.retelilith.it; (con varie coautrici), L'in-canto delle parole, Milano, Universita' delle donne, 2002; Donne di parole, in "Scuola ticinese", a. XXXII, serie III, n. 254, gennaio-febbraio 2003; (con varie coautrici), Le parole mal-trattate, Milano, Universita' delle donne, 2003. Cristina Campo, pseudonimo di Vittoria Guerrini (Bologna, 1923 - Roma, 1977), scrittrice, straordinaria traduttrice e finissima critica, una delle voci piu' profonde e segrete, preziose e schiudenti, della letteratura e della spiritualita' del Novecento. Opere di Cristina Campo: Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987; La Tigre Assenza, Adelphi, Milano 1991; Sotto falso nome, Adelphi, Milano 1998; Lettere a un amico lontano, Scheiwiller, Milano 1998; L'infinito nel finito. Lettere a Piero Polito, Via col Vento edizioni, Pieve a Fievole 1998; Lettere a Mita, Adelphi, Milano 1999. Opere su Cristina Campo: Alessandro Spina, Conversazione in Piazza Sant'Anselmo. Per un ritratto di Cristina Campo, Scheiwiller, Milano 1993; Monica Farnetti, Cristina Campo, Luciana Tufani Editrice, Ferrara 1996; M. Farnetti, G. Fozzer (a cura di), Per Cristina Campo, Scheiwiller, Milano 1998; Laura Boella, Le imperdonabili, Tre Lune Edizioni, Mantova 2000; Cristina De Stefano Belinda e il mostro, Adelphhi, Milano 2002; Margherita Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, Edizioni Studium, Roma 2005. Lev Tolstoj, nato nel 1828 e scomparso nel 1910, non solo grandissimo scrittore, ma anche educatore e riformatore religioso e sociale, propugnatore della nonviolenza. Opere di Lev Tolstoj: tralasciando qui le opere letterarie (ma cfr. almeno Tutti i romanzi, Sansoni, Firenze 1967; e alcuni dei piu' grandi racconti, come La morte di Ivan Il'ic, e Padre Sergio), della gigantesca pubblicistica tolstojana segnaliamo particolarmente almeno Quale scuola, Emme, Milano 1975, Mondadori, Milano 1978; La confessione, SE, Milano 1995; Perche' la gente si droga? e altri saggio su societa', politica, religione, Mondadori, Milano 1988; Il regno di Dio e' in voi, Bocca, Roma 1894, poi Publiprint-Manca, Trento-Genova 1988; La legge della violenza e la legge dell'amore, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1998; La vera vita, Manca, Genova 1991; l'antologia Tolstoj verde, Manca, Genova 1990. Opere su Lev Tolstoj: dal nostro punto di vista segnaliamo particolarmente Pier Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1985; Pier Cesare Bori, Tolstoj, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1991; Pier Cesare Bori, L'altro Tolstoj, Il Mulino, Bologna 1995; Amici di Tolstoi (a cura di), Tolstoi il profeta, Il segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (Vr) 2000] Nella prefazione a Il flauto e il tappeto, pubblicato nel 1971, Campo definisce il proprio testo "un piccolo tentativo di dissidenza dal gioco delle forze, una professione di incredulita' nell'onnipotenza del visibile" (1); osserva infatti che il semplice atto del vedere non da' vera conoscenza se non ci "si solleva [dalla pura vista] alla percezione", il che significa "riconoscere cio' che soltanto ha valore, ci che soltanto esiste veramente. E che altro veramente esiste - si domanda - in questo mondo se non cio' che non e' di questo mondo?". Come esempio Campo rilegge la favola di Belinda e il Mostro: quando Belinda passa dallo sguardo "con gli occhi della carne" alla percezione della bonta' del mostro si innamora di lui superando la ripugnanza iniziale provata nei suoi confronti e solo allora si compie la trasformazione del Mostro in principe, ora che a lui non e' piu' necessaria alcuna magia per assicurarsi l'amore di Belinda; l'evento della metamorfosi, ormai inutile e quindi totalmente gratuito, determina soltanto un sovrappiu' di godimento per entrambi. La riflessione sulle fiabe, sia orientali che occidentali, delle quali Campo mostra una conoscenza approfondita, dura lungo tutto l'arco della sua vita e costituisce il nucleo generatore della sua poetica; le riletture che ne da' sono piu' complesse delle interpretazioni abituali, incentrate in prevalenza sugli aspetti di natura psicologica e antropologica e orientate ad una prospettiva pedagogica. Campo accomuna il mondo dei racconti di fate ai miti e alle religioni e ricerca in essi possibili risposte alle domande di senso intorno agli eventi fondamentali della nostra vita quali la nascita, la morte, l'amore, il desiderio di felicita'; che in altre parole rappresentano il bisogno umano della dimensione del sacro. Osserva infatti che "In Toscana la fiaba fu sempre chiamata 'la novella', proprio come tra i popoli furono detti i Vangeli". Per lei questi tre generi di racconto condividono linguaggio e stile narrativo, sono regolati dalle stesse leggi costitutive del sogno e dell'esperienza mistica; scrive infatti che nelle fiabe "come in un'antica danza di corte, bene e male vi si scambiano le maschere, e che la sorridente regina fosse una negromante, che nella stamberga del menestrello si celasse il magnanimo re Barba-di-Tordo non si appalesera' se non in quel sopramondo delle scadenze imponderabili a cui la fiaba conduce: la' dove le figure rovesciate si ricomporranno nel tessuto splendente, nell'atlante perfetto dei significati. E tuttavia l'eroe di fiaba e' chiamato sin dal principio a leggere in qualche modo quel sopramondo in filigrana, ad assecondarne le leggi recondite nelle sue scelte, nei suoi dinieghi. Gli si chiede nulla di meno che appartenere simultaneamente, sonnambolicamente a due mondi". Solo uno strumento soccorre l'eroe/eroina di fiaba per orientarsi nelle scelte che, nelle fiabe come nella vita reale, si presentano sovente sotto forma di enigmi, vale a dire la capacita' di passare costantemente "ad un nuovo ordine di rapporti". Un altro mondo, dunque, ci indicano le fiabe, che presenta pero' parecchie analogie con quello concreto e terreno; certo un mondo non regolato "dai miti consunti della ragione, dalle sentimentali leggende a lieto fine della scienza, dai gracili tabi' della storia e della psicologia, dalle terroristiche teologie del progresso ('questa idea atea per eccellenza') che da almeno due secoli paralizzavano o distorcevano le piu' elementari operazioni di conoscenza" (2). Forse grazie a questa consapevolezza si potrebbe evitare di cadere in "un umanitarismo che sembra escludere finora, con fredda determinazione, qualsiasi pieta' non sia di ordine strettamente fisiologico: quasi che l'uomo vivesse veramente di solo pane e latte in scatola, quasi che di null'altro potesse venir privato". * L'osservazione di Campo mi ha richiamato alla mente un passo del romanzo Anna Karenina, nel quale un personaggio riflette sul diverso comportamento manifestato dagli uomini e dalle donne nei confronti della morte; un brano che mette in luce un particolare rapporto con il sacro, riscontrabile in donne di diversa eta', cultura, posizione sociale, caratterizzato dall'attenzione alla complessita' della persona che sta morendo, per cui alla cura del benessere fisico, per quanto e' possibile in situazioni di sofferenza, si accompagna la preoccupazione per quello psichico e spirituale. Scrive Tolstoj: "[Levin] non si considerava sapiente, ma non poteva non sapere di essere piu' intelligente di sua moglie e di Agafia Michajlovna, e non poteva non sapere che, quando pensava alla morte, ci pensava con tutte le sue forze interiori. Sapeva anche che molte grandi menti maschili, di cui aveva letto riflessioni nei libri, avevano riflettuto su quel problema senza sapere neppure la centesima parte di cio' che sapevano sua moglie e Agafia Michajlovna. Per quanto diverse fossero le due donne... Entrambe sapevano indubbiamente cos'era la vita e cos'era la morte e, se anche non avrebbero saputo rispondere agli interrogativi che si poneva Levin, e non li avrebbero neppure compresi, erano entrambe certe dell'importanza di quell'evento... senza dubitare un solo istante, sapevano come comportarsi con un moribondo senza provare paura. Sebbene potessero disquisire a lungo sulla morte, Levin e gli altri la temevano e percio' ignoravano del tutto, in modo palese, cosa si dovesse fare quando qualcuno moriva... Che le azioni di Kitty e Agafija Michajlovna non erano istintive, primordiali, irrazionali, era dimostrato dal fatto che, oltre alle cure fisiche, alla capacita' di alleviare le sofferenze, tanto Agafija Michajlovna quanto Kitty pretendevano che un malato ricevesse qualcosa di piu' importante delle cure fisiche, qualcosa che non aveva nulla a che fare con il suo stato fisico" (3). Nel verbo "pretendevano" mi pare siano delineati con felice sintesi un atteggiamento e i conseguenti comportamenti propri di molte donne di fronte a snodi della vita individuale e collettiva; atteggiamento e comportamenti indotti dall'educazione di genere: avere a che fare con la nascita, per ragioni biologiche, e con la "cura" di mondi animati e inanimati, umani e non umani, per ragioni storiche e culturali, comporta una visione piu' ampia e complessa che non quella che riduce gli esseri umani alla dimensione puramente fisica e materiale. * Non a caso Campo osserva che la dimensione delle fiabe e' sovente, anche se non esclusivamente, legata ad una figura femminile, in particolare a una nonna; in proposito afferma: "e sempre la raccontatrice di fiabe - questi evangeli che cosi' leggermente si dicono moralita' - fu la nonna: la decana di casa, la donna di buon consiglio, dama che fosse o contadina" (4), cosi' che ci accompagnera' nella nostra eta' adulta l'intreccio tra la dimensione della fiaba e quella dell'infanzia, in modo che "se si dia un evento essenziale per la nostra vita - incontro, illuminazione - lo riconosceremo prima di tutto alla luce d'infanzia e di fiaba che lo investe". Campo fu una scrittrice-poeta di grande cultura e di vaste conoscenze filosofico-letterarie; scrisse di vari argomenti, ma sempre consapevole del proprio percorso di ricerca, individuato da lei con chiarezza nella molteplicita' e apparente varieta' degli interventi; in un'intervista rilasciata nel 1975, alla domanda se sia da considerarsi una sua svolta l'interesse recentemente dimostrato per la letteratura russa, risponde, dopo aver ricordato di avere iniziato a leggere gli scrittori russi fin da bambina su suggerimento del padre, "Non credo di sapere cosa siano le svolte... La strada e' una, solare, da oriente a occidente. Essa segue quattro linee: il linguaggio, il paesaggio, il rito e il mito", poco piu' avanti nella stessa intervista definiti "i quattro elementi della felicita'" (5). * Note 1. Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987, p. 5. 2. Cristina Campo, Sotto falso nome, a cura di Monica Farnetti, Adelphi, Milano 1998, p. 169. 3. Lev N. Tolstoj, Anna Karenina, Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2005, pp. 587-588. 4. Cristina Campo, Gli imperdonabili, cit., p. 15. 5. Cristina Campo, Sotto falso nome, cit., p. 213. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 56 del 23 marzo 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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