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La nonviolenza e' in cammino. 1232
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1232
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 12 Mar 2006 00:20:11 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1232 del 12 marzo 2006 Sommario di questo numero: 1. Benito D'Ippolito: Tom 2. Osvaldo Caffianchi: Una leggenda apocrifa ovvero eulogia di Massimiliano di Cartagine 3. Maria Luisa Boccia: Un ricordo di Nadia Gallico Spano 4. Maria G. Di Rienzo: 8 marzo 2006 5. Guido Caldiron intervista Tahar Ben Jelloun 6. Augusto Cavadi: Rouault a Palermo 7. Un corso di perfezionamento a Firenze 8. Enrico Peyretti presenta "Principi e voti" di Gustavo Zagrebelsky 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: TOM In un sacco di plastica, in una discarica, bucata dai proiettili e' stata ritrovata la salma di Tom Fox. Gli assassini cosi' la ridussero. L'anima no. Essa risplende per sempre nella gloria, nella memoria dell'umanita'. 2. RIFLESSIONE. OSVALDO CAFFIANCHI: UNA LEGGENDA APOCRIFA OVVERO EULOGIA DI MASSIMILIANO DI CARTAGINE [Riproponiamo il seguente testo steso anni fa dal nostro collaboratore Osvaldo Caffianchi. Il 12 marzo e' la data in cui si fa memoria del martirio di quel Massimiliano, che per essere fedele alla sua fede rifiuto' il servizio militare e ne fu ucciso nel 195 d. C. (cosi' vuole la tradizione, e qui non conta se sia storia o leggenda). L'agiografia - invero - non solo avverte dell'incertezza della tradizione, ma racconta una storia diversa, e finanche piu' commovente: il padre militare, e solidale col figlio; la citta' che e' un'altra; il dono della veste al carnefice che lo decapito'. Ma questa variazione del nostro collaboratore (il cui elefantiaco titolo completo sarebbe "Una leggenda apocrifa ovvero eulogia di Massimiliano di Cartagine, in forma di litania che finisce in parenesi o istigazione che dir si voglia") ci e' parsa comunque non priva di una sua patetica verita', e la offriamo ai lettori] I. Solo questo so di te, che nell'anno 195 ti fucilarono perche' obiettore al servizio militare. Immagino che venne un centurione coi suoi esperti di pubbliche relazioni, psicologi, pubblicitari, sceneggiatori di telenovelas, a dirti mentre eri in galera sei un bravo giovane, chi te lo fa fare vieni con noi, imparerai un mestiere. E Massimiliano rispose di no. Mandarono da lui certi suoi parenti, certi prominenti concittadini, a dirgli lo sai che noi cartaginesi siamo gia' guardati con sospetto per certe vecchie storie di Alpi e di elefanti di annibali e di asdrubali e scipioni non metterti a fare casino vesti la giubba, non c'e' altro da fare e combattere per l'impero ha pure i suoi vantaggi. Ma Massimiliano rispose di no. E vennero allora a persuaderlo certi amici di quando al campetto giocavano insieme a pallone, gli amici del bar: Massimilia' falla finita da quando ti sei messo con quei tizi del galileo morto ammazzato ti stai mettendo in un mare di guai. Che diamine mai hai contro i marines? Falla finita con quei beduini dà retta al nostro buon signor Belcore la paga e' buona ed il lavoro e' poco. E quello cocciuto, come un mulo a dire no. II. Dicono male delle corti marziali dicono male dei plotoni d'esecuzione forse che e' meglio farlo col coltello in un vicolo buio di notte? Dicono che siamo repressori e genocidi addirittura; e andiamo! forse che non ci vuole anche un po' d'ordine in questo letamaio di colonie? e il roman way of life non costa niente? Eppure la volete, la televisione il telefonino. E allora poche storie, lo ammazzammo perche' dovemmo, mica potevamo lasciarlo andare il vile disertore oltretutto terrone, anzi affricano. La civilta', insomma, va difesa. III. Quante incertezze, quanta paura certo durasti. Solo i babbei pensano che gli eroi sono una specie di nazisti spretati. E invece i martiri hanno paura come noi, e tremano come noi, come noi dubitano di star tutto sbagliando, di sprecare per nulla la vita. Ma infine ristette fermo nel suo no Massimiliano di Cartagine. E fu fucilato. IV. Ecco, io mi alzo in piedi nell'assemblea e prendo la parola, e dico: obietta alla guerra e alle uccisioni combatti contro gli eserciti e le armi scegli la nonviolenza. Ecco, io prendo la parola in assemblea, mi alzo in piedi e dico: fermiamo le fabbriche di armi assediamo le basi militari impediamo i decolli dei bombardieri strappiamo gli artigli alle macchine assassine. Ecco, io dico al soldato: diserta io dico al ferroviere: ferma il convoglio io dico al vivandiere: non preparare di carne umana il pranzo al generale. Ecco, io dico, la guerra puo' essere, deve essere fermata. Con l'azione diretta nonviolenta. Con il gesto del buon Massimiliano cartaginese, che i romani fucilarono. 3. MEMORIA. MARIA LUISA BOCCIA: UN RICORDO DI NADIA GALLICO SPANO [Da "Noi donne" di marzo 2006 (disponibile anche nel sito: www.noidonne.org). Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002. Nadia Gallico Spano, nata a Tunisi nel 1916, antifascista, partigiana, dirigente del Pci, tra le figure storiche del movimento operaio e del mmovimento delle donne, prese parte alla Costituente e fu parlamentare. E' deceduta nel gennaio 2006. Da un articolo di Maria R. Calderoni apparso sul quotidiano "Liberazione" del 21 gennaio 2006 riprendiamo i seguenti passi: "Una combattente in prima persona. Nata a Tunisi, subisce con la famiglia la durissima repressione organizzata da Petain contro la Resistenza. Nel 1944 rientrata in Italia, milita nelle file del Pci clandestino. Sara' una delle 21 donne che partecipano all'Assemblea Costituente. Nella preparazione della Carta Costituzionale si occupa prevalentemente di questioni della famiglia (si batte contro il matrimomio "indissolubile") e sara' lei a celebrare, in seno alla Costituente, il primo 8 Marzo della Liberazione. Col marito, Velio Spano - anche lui dirigente di primo piano del Pci, uno dei primi direttori dell''Unita'' - svolge la sua intensa attivita' politica soprattutto in Sardegna. E' deputato per dieci anni, dal '48 al '58, nella prima e nella seconda legislatura. Appena giunta a Napoli, nel marzo 1944, a lei Togliatti affida la grande responsabilita' del lavoro tra le donne, con il compito di gettare le basi di una organizzazione femminile di massa e di fondare un giornale. Nacque l'Udi, e nacque pure il suo giornale, 'Noi donne', la testata - racconta lei stessa nella sua ultima intervista di pochi mesi fa - che era nata in Francia negli anni Trenta tra le emigrate del Comitato internazionale contro il fascismo e la guerra. 'Insieme a Rosetta Longo, Marisa Rodano, Rita Montagnana, Giuliana Nenni, avviammo in Italia un grande lavoro tra le donne', racconta sempre nella stessa intervista. Non ha mai smesso di combattere, fino agli ultimi mesi. E' una delle personalita' che firma l'appello contro la riabilitazione dei repubblichini di Salo'. "Si puo' anche capire che i giovani che andarono con la Repubblica di Salo' furono ingannati o vittime di ragioni morali o patriottiche, ma dopo 60 anni un giudizio storico va dato e non possiamo dimenticare o sottovalutare che c'e' stata la Resistenza". E sottolineava che il valore piu' grande di oggi e' la partecipazione... Soltanto alcuni giorni fa e' uscita in libreria la sua autobiografia: 'Mabruk'". Riportiamo di seguito anche il messaggio di cordoglio del Presidente della Repubblica: "Partecipo con intensita' di sentimenti al dolore per la scomparsa dell'onorevole Nadia Gallico Spano. Giovane combattente per la liberta' nella Resistenza, e' stata protagonista e testimone del processo di rifondazione dello Stato e della nascita della Repubblica. Animata da profonda passione civile, ha offerto la sua straordinaria esperienza di vita per l'affermazione di nuovi diritti e liberta' per le donne e per il consolidamento nella societa' dei valori di giustizia e di solidarieta'. Giunga alla famiglia l'espressione del mio commosso e partecipe cordoglio"] E' con "Noi donne" nel 1943 che Nadia Gallico Spano comincia la sua attivita' politica in Italia. Viene da Tunisi, da poco liberata, ed ha gia' vissuto l'esperienza drammatica della lotta clandestina antifascista nel Pci. Come altri compagni e compagne del "gruppo tunisino" ha accettato di proseguire quell'impegno nell'Italia ancora lacerata dalla guerra. Raggiunge a Napoli il marito Velio Spano, ma deve lasciare a Tunisi le due figlie, Paola e Chiara. Come immagine per la prima copertina del giornale Nadia sceglie il volto di una donna giovane e sorridente al futuro, preferendola a quella di una donna "stanca e malvestita in piedi di fronte alle pentole". Allora le casalinghe erano circa 13 milioni, prive di qualsiasi diritto, impegnate a fronteggiare le pesanti condizioni di vita in un paese distrutto dalla guerra. L'immagine di una massaia povera e oppressa dalla fatica poteva quindi risultare piu' realistica. Nadia scelse di rappresentare "le studentesse", scelse cioe' l'immagine di donna che, grazie anche alla politica della quale il giornale era voce, sarebbe divenuta realta'. Le lettere di approvazione delle lettrici le dettero ragione. E pero' quella scelta di guardare al futuro non significa in alcun modo estraniarsi dalla vita delle donne. Nell'Italia del dopoguerra prima a Napoli, poi a Roma e in Sardegna, Nadia impara a conoscere le questioni della politica, non nella loro generalita', ma caso per caso, dalla viva voce di questa o quella donna prima o dopo le riunioni; e conosce quanto sia frustrante non poter dire o fare niente, non avere una soluzione da indicare, perche' non c'e'. Sara' questo il segno peculiare, direi la qualita', della sua attivita' politica: attenzione ai mille volti del bisogno e della sofferenza umana, desiderio e capacita' di relazione, volonta' di vincere la frustrazione dell'impotenza. Per questo interrompe senza rimpianto l'esperienza al giornale quando il Pci decide - e allora non si discuteva, si accettava e basta - di impegnarla nel lavoro politico con le donne, perche' le e' piu' congeniale fare politica con l'incontro, in rapporto con il territorio. * Nel '46 Nadia Gallico Spano e' eletta all'Assemblea Costituente; su oltre 530 membri le deputate erano 21, ed e' a loro che dobbiamo se tra i principi fondativi della societa' e dello Stato furono posti anche quelli della cittadinanza delle donne. E' un'eredita' ed un debito che riconosco. Ed e' certo innanzitutto per questo che Nadia va ricordata e fatta conoscere alle giovani donne. Ma non si puo' comprendere appieno la presenza nella Costituente, se non la si mette in rapporto con quella peculiare qualita' politica, di cui ho parlato. Ed anche a quel ponte tra presente e futuro che Nadia aveva voluto simbolicamente significare con la copertina di "Noi donne". E' lei a dirlo con chiarezza: "le deputate avevano una convinzione comune, si sentivano rappresentanti delle donne e volevano meritare la fiducia che avevano ricevuto" ed erano unite nel guardare "avanti, il piu' avanti possibile, lasciando la porta aperta alle conquiste future". Certo, c'era una sorta di divisione del lavoro tra uomini e donne. I primi si riservavano la costruzione dello Stato, lasciando alle donne "i temi piu' vicini alla loro sensibilita'", come famiglia, figli, scuola, assistenza. Commenta Nadia: "Ritengo ancora oggi una fortuna che siano stati affidati a noi". Perche' comunque il compromesso politico tra culture diverse, perfino opposte, era ricercato a partire dalla concretezza di analisi e avendo a riferimento la piena uguaglianza tra i sessi scritta nell'articolo 3 della Costituzione. E' indicativo che la battaglia piu' accesa fu sull'accesso alla magistratura, per il radicato pregiudizio che la donna difetta di equilibrio, razionalita' ed autonomia; e fu Maria Federici, democristiana, a contrastare e vincere le resistenze maschili, piu' forti nel suo partito. * Nelle due legislature in cui Nadia e' deputata per la Sardegna tutta la sua attivita' parlamentare e' caratterizzata dal forte radicamento nel territorio, dalla invenzione di soluzioni ai problemi concreti di lavoro, di istruzione dei figli, di servizi e diritti sociali. Sempre costruendo relazioni con le donne, sempre privilegiando il lavoro capillare, sempre portando nell'aula di Montecitorio le esperienze di lotta e di vita. Ed anche dopo, fino agli ultimi anni, la campagna elettorale per ogni tipo di elezione, come per i referendum sul divorzio e l'aborto, e' non solo un impegno costante, ma e' forse quello nel quale e' piu' a suo agio ed esprime appieno le sue migliori capacita'. * Nadia ci ha lasciato con un libro di ricordi, Mabruk ("benedetto", parola di augurio in Tunisia), assolutamente da leggere (AM&D Edizioni, pp. 426, euro 15). E' un dono prezioso non solo per conoscere, attraverso la memoria di una protagonista, la storia del Novecento, ma per capire cosa e' la vita politica. Nel duplice senso: di come e' una vita indissolubilmente intrecciata con la politica e di come e' la politica se la consideriamo nel suo farsi vita, segnando l'esperienza, le relazioni, le idee e le scelte, insomma il modo di essere e di agire nel mondo di uomini e donne. E non e' certo un caso che sia una donna ad offrirci un libro di ricordi in cui la politica e' intessuta di vita come la vita lo e' di politica. 4. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: 8 MARZO 2006 [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] E' l'otto marzo 2006. Centinaia di donne di ogni provenienza sociale prendono parte ad un raduno pubblico per il giorno internazionale della donna. L'appuntamento e' alle quattro del pomeriggio, ma gia' un'ora prima le donne formano capannelli in due parchi cittadini. Le studentesse universitarie arrivano con manifesti e striscioni. I due gruppi si uniscono, i parchi sono entrambi nel nord della citta'. Comincia ad arrivare anche la polizia. Molti poliziotti sono in divisa, altri, alcuni armati di fucili, sono in borghese. Sette minuti dopo le quattro, le forze dell'ordine cominciano a pressare la folla affinche' le dimostranti si disperdano. Quattrocento donne siedono a terra, tenendo alti i cartelli. Le scritte dicono: "L'eguaglianza e' nostro naturale diritto", "L'era della schiavitu' deve finire", "La violenza contro le donne deve finire". Cantano: "Vogliamo giustizia, vogliamo pace". Su costoro si scatena immediatamente l'attacco degli uomini in uniforme, con manganelli, bastoni elettrici e cavi di gomma. I mezzi della polizia chiudono le uscite. Chi ha cellulari, macchine fotografiche o videocamere, anche se non sta partecipando al sit in, viene arrestato. Sara (il cui cognome viene omesso per la sua sicurezza) era presente: "Volevamo radunarci e leggere una dichiarazione. Gli agenti del regime erano la' ad aspettarci. Ci hanno aggredite con un odio e una brutalita' inaudite. Voi non avete idea di cosa siamo costrette ad affrontare, nel nostro paese. Ogni giorno non vediamo altro che violenza e discriminazione". Mehri Amiri, attivista per i diritti delle donne, aggiunge: "Persino i diritti di base piu' comuni non vengono riconosciuti alle donne, percio' non abbiamo scelta, dobbiamo lottare. Questo governo rifiuta le donne ed e' per questo che abbiamo bisogno di essere ascoltate dalla comunita' internazionale. Vogliamo che la comunita' internazionale riconosca la nostra resistenza. Noi continueremo a lottare fino a che il regime cambiera': un regime che non e' riuscito a tollerare una sola ora di raduno pacifico. Il prezzo della liberta' e' alto, ma noi donne siamo disposte a pagarlo. Stiamo soffrendo, ma non siamo prive di potere; crediamo nel cambiamento e sappiamo che e' possibile". In questo stesso paese, le donne salgono dal retro degli autobus e non possono mischiarsi agli uomini, sedere loro accanto. Lo spirito di Rosa Parks quanto deve soffrire ancora? Cosa deve ancora accadere perche' queste donne ottengano la nostra solidarieta'? Il governo sta progettando per loro "marciapiedi separati", e si preoccupa molto di come sono vestite al punto da frustarle se "sgarrano", ma non si preoccupa del fatto che in 300.000 vaghino per le citta' mendicando un pezzo di pane, adulte e bambine. La citta' in cui e' accaduto questo 8 marzo e' Teheran, il paese e' l'Iran. Per maggiori informazioni: www.wfafi.org 5. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA TAHAR BEN JELLOUN [Dal quotidiano "Liberazione" del 9 marzo 2006. Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale, Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002. Tahar Ben Jelloun, nato a Fes in Marocco nel 1944, trasferitosi a Tangeri nel 1955, a Parigi dal 1971, e' scrittore arabo di lingua francese di nitido impegno democratico. Opere di Tahar Ben Jelloun: segnaliamo particolarmente alcuni lavori saggistici: Le pareti della solitudine, Einaudi, Torino 1990, 1997; Il razzismo spiegato a mia figlia, Bompiani, Milano 1998, L'estrema solitudine, Bompiani, Milano 1999; La scuola o la scarpa, Bompiani, Milano 2000; L'islam spiegato ai nostri figli, Bompiani, Milano 2001; Jenin. Un campo palestinese, Bompiani, Milano 2002; i suoi sempre appassionanti romanzi sono pubblicati dagli editori Bompiani ed Einaudi] "Il mondo arabo potra' esistere il giorno in cui sara' unito non dall'irrazionalita' religiosa o da passioni oscure, ma da un progetto economico serio, da una moneta unica; unito dall'assenza di frontiere e di visti, dalla libera circolazione dei cittadini e dal libero esercizio della democrazia. Dunque, siamo modesti e lucidi: incominciamo col riconoscere le nostre lacerazioni, i nostri tradimenti, le nostre incompetenze. Prima di accusare gli altri, facciamo pulizia in casa nostra, e cerchiamo di essere degni di coloro che hanno portato la lingua e la cultura arabe all'apogeo delle civilta'". Con un suo breve intervento, intitolato La prigione araba, Tahar Ben Jelloun aveva fatto i conti gia' pochi anni fa con quanti fingono di non vedere le dittature e i fondamentalismi che, spesso in nome della stessa "comunita' musulmana" o della "nazione araba", finiscono per opprimere buona parte dei cittadini del mondo arabo. Oggi, con un libro che non potrebbe essere in realta' piu' intimo e riflessivo, Mia madre, la mia bambina, (Einaudi, pp. 184, euro 16,50). lo scrittore nato in Marocco e considerato da tempo come uno dei maggiori interpreti della narrativa europea, indirizza il proprio giudizio verso l'Occidente e verso quei valori, in particolare la solidarieta', che quest'ultimo avrebbe da tempo messo da parte in nome dell'individualismo piu' spinto. "Mia madre, la mia bambina" e' in realta' il diario minuto della malattia della madre dell'autore, Lalla Fatma, colpita dall'Alzheimer. L'omaggio di Ben Jelloun alla donna, la storia commovente della sua fine, i gesti di affetto, di tenerezza, di cura compiuti nei suo confronti, servono pero' anche a raccontare una storia: quella di una donna coraggiosa rimasta a Tangeri e di un figlio che ha scelto invece di andarsene dal Marocco. Insieme i due rivivono gli anni passati lontano l'uno dall'altra, le esperienze concluse, in particolare dal giovane intellettuale emigrato prima a Londra e quindi a Parigi, e quelle sognate, annunciate come speranze nella casa di famiglia a Fes o a Tangeri. Sul fondo il confronto tra due mondi, due culture, due forme di intendere - sembra suggerirci Tahar Ben Jelloun - perfino gli affetti e le attenzioni piu' delicate. Quasi una risposta in nome dell'amore e attraverso le carezze agli apologeti dello "scontro di civilta'" provenienti dagli opposti, simmetrici, schieramenti. Nato a Fes nel 1944, Tahar Ben Jelloun vive a Parigi dal 1971. Autore di romanzi, racconti, poesie e drammi, ha ricevuto il premio Goncourt nel 1987 e nel 1996 il premio Flaiano. Tra le sue opere piu' note si possono ricordare Creature di sabbia, Le pareti della solitudine, A occhi bassi e Ospitalita' francese. * - Guido Caldiron: Monsieur Ben Jelloun, in "Mia madre, la mia bambina" lei racconta una storia che non potrebbe essere piu' intima, eppure si ha l'impressione di avere a che fare con una riflessione profonda sulle sue radici familiari ma anche sul rapporto tra il mondo arabo e l'Europa. Cosa voleva raccontarci insieme all'affetto profondo che ha nutrito per sua madre? - Tahar Ben Jelloun: Attraverso la vicenda di mia madre, che e' il punto da cui sono partito per questo libro, volevo effettivamente andare piu' in la' e riflettere sul valore della civilta' e le differenze di valori tra l'Occidente e il mondo arabo-musulmano. Penso infatti che se vi e' un luogo nel quale alcuni valori fondamentali si sono un po' perduti, ebbene questo luogo e' l'Occidente. Penso ai valori che evoco nella storia di mia madre - anche attraverso il rapporto diretto con lei - vale a dire ai rapporti con gli anziani in una determinata societa'. Nel mondo africano e in quello arabo la nozione di famiglia, l'idea del rispetto per i genitori e gli anziani e' qualcosa di sacro. Qualcosa su cui potrei dire che arriva a fondarsi l'intera societa'. * - Guido Caldiron: Si ha l'impressione che nelle societa' arabe questa rete informale di relazioni, costruite intorno alla famiglia e agli affetti piu' intimi, custodisca e garantisca anche spazi di liberta' che sono invece spesso negati sul piano pubblico, in termini di diritti della persona. Qual e' la situazione reale? - Tahar Ben Jelloun: Credo che il rispetto nei confronti dei genitori e degli anziani, insieme alla solidarieta' familiare, giochino ancora un ruolo fondamentale in quelle societa' perche' la nozione di "individuo", cosi' come la conosciamo in Europa, non e' ancora molto diffusa. Mi spiego: l'individuo in quanto tale, la sua personalita', il suo carattere soggettivo, non hanno ancora oggi lo stesso peso delle sue origini familiari o della sua appartenenza a questa o quella tribu'. In Occidente assistiamo invece al pieno trionfo dell'individualismo, con le sue virtu', certo, ma anche con le sue derive e i suoi rischi. Quando parlo dei rischi di questo modo di pensare, faccio riferimento agli anziani morti durante l'estate del 2003, secondo me piu' a causa della solitudine in cui vivevano che per il caldo torrido che si registro' allora. * - Guido Caldiron: Dopo aver scritto "La prigione araba" qualche anno fa, lei ha scelto oggi di misurarsi con quella che considera come una crisi di valori dell'Occidente. Con quale spirito ha affrontato questo tema? - Tahar Ben Jelloun: Con uno spirito di tolleranza e di rispetto. La nozione di rispetto ha perso la sua importanza nel mondo occidentale, nel senso che e' stata rimpiazzata dall'applicazione delle leggi. Quando oggi qualcuno pronuncia un insulto razzista o aggredisce un anziano in un paese europeo, interviene la legge. Mentre invece nelle societa' arabe sono nozioni morali come la vergogna o il giudizio critico della comunita' a colpire chi compie simili atti. E' percio' questo spirito di fondo a differenziare maggiormente i due modelli di societa'. * - Guido Caldiron: Oggi si parla molto, e spesso in modo sbagliato, di "Occidente". Per lei che e' nato in un paese arabo come il Marocco, ha scelto di vivere a Parigi e di scrivere della cultura musulmana in francese, che cosa vuol dire questa parola? - Tahar Ben Jelloun: Che cosa e' per me l'Occidente? Credo di aver preso dall'Europa e dall'Occidente cio' che ha di meglio da offrire, vale a dire parole dal significato importante, se non fondamentale, come liberta', creativita'. Questo oltre a gran parte del mio bagaglio culturale. Tutto cio' non mi ha pero' mai impedito di coltivare anche la critica di quegli aspetti dello stesso mondo occidentale che considero sbagliati. Credo infatti che l'Occidente stia attraversando, in particolare negli ultimi decenni, una profonda crisi di valori. Stiamo assistendo a una sorta di crisi progressiva che passa per la perdita di molti valori che hanno sempre caratterizzato il mondo occidentale. Penso alla Francia, il paese in cui vivo, che e' attraversato da una crisi gravissima. Nelle scuole, la' dove vengono formati i cittadini del futuro, capita sempre piu' spesso che gli insegnanti vengano aggrediti fisicamente da alcuni dei loro allievi, ragazzi talvolta poco piu' che adolescenti. Qualcosa di assolutamente impensabile ad esempio in Marocco. Ecco, mi sembra che un clima del genere segnali una crisi vera, un'assenza di solidarieta' tra le generazioni che, in una societa' dominata dall'egoismo e dall'indifferenza verso gli altri, non annuncia certo nulla di buono. Da questo punto di vista non so se l'Occidente potra' invertire la tendenza, ritrovare i propri valori migliori. * - Guido Caldiron: Una ventina di anni fa lei scrisse un libro, recentemente ristampato nel nostro paese, intitolato "Ospitalita' francese", nel quale offriva un quadro davvero fosco del razzismo d'oltralpe. Oggi come le sembra la situazione? - Tahar Ben Jelloun: Quando scrissi quel libro mi interessava spiegare come la storia della Francia contenesse diversi elementi, spesso anche contraddittori. Nel senso che il paese dei Diritti dell'uomo ha tenuto a battesimo anche il razzismo. Partendo dal 1894 con l'affaire Dreyfus, che ha fatto da detonatore per la ripresa dell'antisemitismo nel paese, ho seguito la storia di Francia per individuare ogni grumo di razzismo presente in questa societa'. E questo fino ai giorni nostri. C'e' chi pensa che il razzismo possa rappresentare un momento, una fase momentanea della lunga storia di un paese. Mentre invece personalmente ritengo che si tratti di qualcosa che resta incollato addosso a una cultura o a una civilta', qualcosa della cui esistenza non ci si deve dimenticare mai. Cosi', anche in modo volutamente brutale o fastidioso, ho scelto di ricordare a tutti che se esistono i francesi che lottano contro il razzismo, esistono pero' anche coloro che partecipano alla sua creazione, e non solo sul piano simbolico ma con atti concreti. Al punto che oggi in Francia penso si possa parlare apertamente di una banalizzazione del razzismo. Qualcosa di cui la politica sembra spesso non rendersi conto. * - Guido Caldiron: In Francia le discriminazioni sembrano avere diversi volti. Cosa ha letto nella recente rivolta delle banlieue? - Tahar Ben Jelloun: Il governo e le autorita' di Parigi si sono mostrati sorpresi per quanto accaduto nelle banlieue. Non hanno capito davvero lo spirito di questa rivolta che io considero una sorta di richiesta d'aiuto da parte di giovani che, credo sia importante ripeterlo sempre, non sono immigrati, ma cittadini francesi a tutti gli effetti. Dei giovani francesi che non si sentono ne' amati ne' considerati dal resto del paese e che bruciando delle macchine sembravano dire "metteteci in condizione di vivere qui in modo normale, da cittadini veri". 6. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: ROUAULT A PALERMO [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione la traccia del suo intervento tenuto il 3 marzo 2006 all'inaugurazione di una mostra di riproduzioni fotografiche del "Miserere" di Rouault. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa). Georges Rouault (Parigi 1871-1958) e' uno dei grandi pittori fioriti tra Otto e Novecento] "Avemmo la gioia di conoscere bene Rouault e di vederlo assai spesso durante gli anni in cui egli e noi abitavamo a Versailles. Egli era allora in tutto simile ad alcuni dei suoi Pierrots o dei suoi pagliacci... Fu da lui che noi imparammo a conoscere quello che puo' essere la sensibilita', la lealta' nei confronti della propria arte, l'eroismo di un grande artista": cosi' scrive, ne I grandi amici, Raissa Maritain nel 1941. Usa la prima persona plurale perche' include il marito, il filosofo tomista Jacques Maritain, ed un po' anche la sorella Vera; il ricordo si riferisce ai primi anni del XX secolo. A cosa si deve l'ammirazione sconfinata per questo loro amico, considerato addirittura "uno dei piu' grandi pittori di ogni tempo"? Innanzitutto, dal punto di vista etico, la sua perseverante ricerca di coerenza. Rouault (che a ventitre' anni aveva gia' dipinto quadri alla Rembrandt che gli attiravano fama e soldi) non esito' a perseguire "la purezza della sua coscienza d'artista", rinunziando, nonostante i quattro figli da sfamare, a "fare della pittura che si vende subito, facilmente a tutti". La coerenza, pero', non e' di per se' un titolo di merito. La sua qualita' dipende dai principi a cui si resta fedeli. E questi principi sono, sostanzialmente, condivisi dai coniugi Maritain: come scrive Jacques, "le sue piu' violente esasperazioni contro la borghesia e contro il nostro ordine sociale sono in tal modo come delle disillusioni di un'anima presa da un ordine interiore che essa vuole troppo avidamente ritrovare nelle strade, nei tribunali e nel metro'". Per quanto essenziali, i pregi etici non giustificherebbero da soli l'apprezzamento di un pittore in quanto pittore. Leon Bloy, ad esempio, pur consapevole dello spessore morale del suo giovane amico Rouault, non gli risparmiava le critiche piu' feroci dal punto di vista estetico: "Voi - gli scrive in una lettera del primo maggio 1907 - siete attirato soltanto dal brutto". Ma su questo punto i Maritain non se la sentono di condividere la durezza del comune maestro. Essi riconoscono nella pittura dell'amico il merito di giocare il tutto per tutto pur di sconfiggere "le forme regolari di tutti gli accademisti". Come un Cezanne, un Rousseau, Rouault ha provato "a fare della bellezza con le deformazioni". Che e' il miracolo della "sovrana presenza della poesia". Si', e' vero, dipinge quadri che "sull'istante suscitano un senso di repulsione, ma che poi non si puo' fare a meno di ammirare". Vi e', insomma, in Rouault come un parallelismo fra l'inquietudine etica e l'irrequietezza estetica. Meglio ancora: la sua pittura rompe gli schemi tradizionali come, e perche', la sua soggettivita' insorge contro le strutture socio-culturali dominanti. La sua rivolta contro le forme canoniche "classiche" e', in un certo senso, l'espressione plastica della sua intolleranza verso ogni forma di mediocrita', di conformismo e di ipocrisia. Soprattutto nella fase in cui si e' ispirato alle vetrate delle cattedrali gotiche, egli stava effettuando nelle arti figurative cio' che i Maritain tentavano, con i meriti e le ambiguita' del caso, nell'ambito filosofico-teologico: riattualizzare il meglio del Medioevo come antidoto alla decadenza del Moderno. Quando i Maritain scrivono la maggior parte delle loro pagine su Rouault, questo artista "primitivo" - come Chagall apparentemente naif - non e' ancora arrivato a cio' che e' considerato uno dei suoi capolavori: la serie di 58 incisioni su rame note col titolo complessivo di "Miserere" (pubblicate originariamente dall'autore qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale). Una raccolta completa di queste tavole e' custodita nella Galleria d'arte contemporanea della "Cittadella cristiana" di Assisi (che ne ha curato anche la pubblicazione in un volume in lingua italiana). * Da oggi al 26 marzo una riproduzione fotografica delle tavole, realizzata dal maestro Elio Ciol e corredata da didascalie scritte di pugno dall'artista francese, sara' liberamente accessibile a Palermo presso il Tabularium del Loggiato San Bartolomeo alla Marina. Il tema della mostra didattica itinerante e' la passione di Gesu' di Nazareth, in cui il pittore vede simboleggiata la sofferenza che sfigura le vittime della storia. Ma la tematica religiosa non lo distrae dalla sua ispirazione originaria e continua: come nelle opere in cui rappresenta "donne di strada, pagliacci, giudici e megere", anche qui egli persegue "il proprio accordo interiore nell'universo della forma e del colore". E lo persegue andando all'essenziale perche' - nota ancora Jacques - "piu' un artista e' grande, piu' egli semplifica, operando una scelta e omettendo". Che la mostra passi da Palermo, infine, potrebbe non essere privo di significati. Innanzitutto s'impone una ragione di carattere generale: la nostra citta' ha bisogno di iniezioni di bellezza. Lo storico Paolo Viola, da poco scomparso, mi diceva che l'aveva scelta - lui piemontese d'origine, laureato a Pisa, abitante a Roma - perche' a suo parere sarebbe una delle citta' piu' belle d'Italia. Ma e' imbruttita. Anzi - per evitare di pensare ad un processo biologico ineluttabile - abbrutita. Quanto scriveva Vincenzo Consolo ne Le pietre di Pantalica del 1988 resta ancora, per troppi versi, attuale: "Le zone di case lesionate, pericolanti, fatte evacuare, sono state chiuse da mura di cinta. Dietro queste fresche mura di tufo, si accumulano le immondizie del mercato, degli abitanti, le ossa delle macellerie, vi razzolano bambini, cani, gatti, vi ballano topi. Qui Palermo e' una Beirut distrutta da una guerra che dura ormai da quarant'anni, la guerra del potere mafioso contro i poveri, i diseredati della citta'. La guerra contro la civilta', la cultura, la decenza". Ma se la situazione fisica, materiale, e' questa, la bellezza di cui abbiamo bisogno in citta' come la nostra deve evitare anche solo l'apparenza della retorica. Dev'essere nuda, schietta, asciutta. * Proprio come i quadri di Rouault che - com'e' tipico dell'espressionismo - non concedono nulla all'eufemismo, all'abbellimento artificioso. E che aprono gli occhi sulle risorse sepolte in personaggi e paesaggi, ma attraversandone - con pietoso realismo - le ferite oggettive. Basta fare un confronto fra questo Miserere e una Via Crucis "media" esposta nelle nostre chiese, dove il Messia sofferente ha i lineamenti stucchevolmente piacenti di un attore di Hollywood. E' un po' la differenza fra il Gesu' di Pasolini e il Gesu' di Zeffirelli (e non e' un caso, forse, che Pasolini abbia avuto proprio alla Cittadella d'Assisi l'idea del suo "Vangelo secondo Matteo"). Dico di Pasolini, non di Mel Gibson perche' non si tratta di essere sadicamente truculenti: l'arte compie la magia di rendere liberatrice la contemplazione persino delle deformazioni. L'arte di Rouault rispetta la sofferenza dell'uomo Gesu' in tutta la sua cruda concretezza, ma la trasfigura poeticamente: la fa diventare, per cosi' dire, il prototipo della sofferenza di ogni uomo. Per questo, davanti a piu' di una delle tavole esposte, puo' capitare che il visitatore avverta la sensazione di essere davanti ad uno specchio: che rifletta, piu' che la sua "maschera" protettiva, la sua anima indifesa. 7. FORMAZIONE. UN CORSO DI PERFEZIONAMENTO A FIRENZE [Da Giovanni Scotto (per contatti: giovanni.scotto at unifi.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Giovanni Scotto e' uno dei piu' importanti studiosi italiani nell'ambito della peace research, studioso e amico della nonviolenza; gia' ricercatore presso il "Berghof Research Center for Constructive Conflict Management" di Berlino, collaboratore dell'"Institute for Peace Work and Nonviolent Settlement of Conflicts" di Wahlenau, e' docente all'Universita' di Firenze e presidente del "Centro studi difesa civile" di Roma. Tra le opere di Giovanni Scotto: con Emanuele Arielli, I conflitti, Bruno Mondadori, Milano 1998 (seconda edizione notevolmente ampliata: Conflitti e mediazione, Bruno Mondadori, Milano 2003); sempre con Emanuele Arielli, La guerra del Kosovo, Editori Riuniti, Roma 1999] Corso di perfezionamento "Formatori alla trasformazione Nnonviolenta dei conflitti". Anno accademico 2005-2006. Il corso intende preparare i partecipanti alla conduzione di laboratori di formazione esperienziali dedicati all'apprendimento di competenze e conoscenze relative alla gestione costruttiva dei conflitti, all'educazione alla pace, alla nonviolenza. La metodologia didattica utilizzata sara' quella del "training", basato su role-play, gioco e altri strumenti di tipo metaforico ed esperienziale, integrato da momenti di didattica frontale. I partecipanti saranno invitati a sperimentare gli strumenti e le metodologie apprese nel loro contesto sociale e professionale lungo l'arco del corso di perfezionamento. La partecipazione al corso e' limitata ad un massimo di 22 partecipanti. Titolo preferenziale per l'accettazione e' la laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti". La formazione consiste in 125 ore d'aula effettuate durante i fine settimana da maggio a novembre 2006 e in una settimana di formazione residenziale a settembre 2006. La partecipazione al corso comporta l'assegnazione di 25 Cfu. L'assolvimento degli obblighi didattici sara' accertato mediante un esame finale. Al termine del corso verra' rilasciato un attestato di partecipazione. Il corso di perfezionamento costituisce un titolo valido per le graduatorie permanenti del personale docente della scuola. Direttrice: Giovanna Ceccatelli Gurrieri; coordinatore: Giovanni Scotto; docenti: Enrico Euli, Alberto L'Abate, Sonia Montanaro, Silvia Nejrotti, Lennart Parknas, Lorenzo Porta, Giovanni Scotto, Roberto Tecchio, Andrea Valdambrini. Organizzazioni partner: Centro Studi Difesa Civile (Roma); Centro di educazione alla pace e allo sviluppo sostenibile (Cervia); Pax Christi - Casa per la pace (Impruneta). * Le domande di pre-iscrizione al corso di perfezionamento, corredate da un curriculum vitae e da una descrizione delle motivazioni a partecipare, vanno inviate per posta ordinaria o recapitate a mano alla direttrice del corso, prof. Giovanna Ceccatelli Gurrieri, Dipartimento di studi sociali, via Cavour 82, 50129 Firenze, entro il 20 marzo 2006. Le selezioni si svolgeranno entro il mese di marzo. Le persone selezionate dovranno formalizzare l'iscrizione entro il 4 aprile 2006 con il versamento della quota di mille euro sul ccp n. 30992507 intestando il bollettino a "Universita' degli Studi - Tasse Scuole Specializzazione, Servizio di Tesoreria 50121 Firenze", con la causale "Corso di perfezionamento Formatori alla trasformazione nonviolenta dei conflitti. Direttore prof. G. Ceccatelli Gurrieri". Per iscrizioni e ulteriori informazioni: Segreteria del Corso di perfezionamento "Formatore alla trasformazione nonviolenta dei conflitti", Dipartimento di studi sociali, via Cavour 82, Firenze, tel. 0552757700, martedi' ore 14-16, Mercoledi' ore 15-17, e-mail: giovanni.scotto at unifi.it, sito: www.operatoriperlapace.unifi.it 8. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "PRINCIPI E VOTI" DI GUSTAVO ZAGREBELSKY [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario. Gustavo Zagrebelsky, nato nel 1943 a San Germano Chisone (To), illustre costituzionalista, docente universitario, giudice della Corte Costituzionale (e suo presidente, quindi presidente emerito); componente dei comitati scientifici delle riviste "Giurisprudenza costituzionale", "Quaderni costituzionali", "Il diritto dell'informazione", "L'Indice dei libri", e della Fondazione Roberto Ruffilli; socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino, gia' collaboratore del quotidiano "La Stampa"; per la casa editrice Einaudi dirige la collana "Lessico civile"; autore di vari volumi e saggi, ha collaborato al commentario alla Costituzione italiana diretto da Giuseppe Branca. Tra i suoi numerosi lavori segnaliamo particolarmente Amnistia, indulto e grazia. Problemi costituzionali,1972; Manuale di diritto costituzionale. Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, 1974, 1978; La giustizia costituzionale,1978, 1988; Societa', Stato, Costituzione. Lezioni di dottrina dello Stato, 1979; Le immunita' parlamentari, Einaudi, Torino 1979; Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992; Questa Repubblica, Le Monnier, Firenze 1993; Il "crucifige" e la democrazia, Einaudi, Torino 1995; (con Pier Paolo Portinaro e Joerg Luther, a cura di), Il futuro della costituzione, Einaudi, Torino 1996; La giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna 1996; (con Carlo Maria Martini), La domanda di giustizia, Einaudi, Torino 2003; (a cura di), Diritti e Costituzione nell'Unione europea, Laterza, Roma-Bari 2003, 2005; (con M. L. Salvadori, R. Guastini, M. Bovero, P. P. Portinaro, L. Bonanate), Norberto Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005; Imparare la democrazia, Gruppo editoriale L'Espresso, Roma 2005; Principi e voti, Einaudi, Torino 2005] A giugno voteremo su una riforma costituzionale sciagurata. Non di questo parla il libro (Principi e voti. La Corte costituzionale e la politica, Einaudi 2005, pp. 131, euro 8) di Gustavo Zagrebelsky, maestro civile sempre preciso e profondo. Ma, illustrando la sua esperienza di giudice e presidente della Corte costituzionale, di cui spiega bene fini e funzionamento, egli ci aiuta a capire il valore della Costituzione, oggi minacciato. Le nostre societa' politiche sono basate su due patti: il patto con cui si fa societa', e il patto con cui si riconosce il potere. Al primo patto corrisponde la politica come attivita' finalizzata alla convivenza, al secondo patto corrisponde la politica intesa come competizione per l'assunzione e la gestione del potere. La Corte costituzionale e' dentro, come un fattore decisivo, alla politica nel primo significato, ed e' fuori dalla politica nel secondo senso. Senza questa distinzione non si capisce la politica democratica e pacifica, che e' un passo verso la nonviolenza positiva, e si cade nella confusione tra politica e guerra, come fa l'arbitraria definizione di Carl Schmitt, ripetuta da molti, e l'ambigua diffusa definizione di stato data da Max Weber. Non tutto nella politica dipende dalla quantita' di consensi, come vorrebbe l'idea di democrazia corrotta in plutocrazia, in cleptocrazia e in leggi personali. Ci sono cose su cui non si vota, perche' sono i principi e le regole che permettono la democrazia. I giudici della Corte posta a difesa e attuazione della Costituzione difendono la qualita' della repubblica dal criterio grezzo della sola quantita'. Quei giudici non sono elettivi, perche' la loro funzione e' "repubblicana", piu' che democratica, a servizio e tutela della democrazia. Essi non rappresentano altro che la Costituzione, non la loro provenienza ne' la loro personale opinione. Quando siedono in giudizio, sono sotto giudizio. Decidono secondo la Costituzione, non sulla Costituzione. Essi hanno il compito di preservare e promuovere quella volonta' e bisogno di costituzione, che deve essere comune nella coscienza popolare e superiore alle diverse scelte politiche. La conclusione di Zagrebelsky esprime preoccupazione circa la presenza e vitalita' di tale volonta' di costituzione. Il suo lucido contributo ci impegna, nell'occasione referendaria e ben oltre, in questa indispensabile educazione ai principi civili di convivenza, perche' la societa' non sia selvaggia. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1232 del 12 marzo 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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