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La nonviolenza e' in cammino. 1222
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1222
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 2 Mar 2006 00:17:07 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1222 del 2 marzo 2006 Sommario di questo numero: 1. Richiamare la coscienza. Alcuni testi da "Arca notizie" (parte seconda e conclusiva) 2. Andrea Cozzo: Il rappel di Lanza del Vasto, appello fisico e mentale all'attenzione 3. Liliana Tedesco: Il canto come richiamo alla presenza 4. Alberta Nelli: Riflessioni ed esperienze sul rappel 5. Antonino Drago: Il richiamo 6. Jean-Baptiste Libouban: Preparare il corpo alla nonviolenza attiva 7. Enzo e Maria Sanfilippo: Samasthiti: attenzione e distensione nello yoga 8. Eutichio Silvestroni: Una dichiarazione di voto 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. RICHIAMARE LA COSCIENZA. ALCUNI TESTI DA "ARCA NOTIZIE" (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) Ringraziamo di cuore Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per averci messo a disposizione tutti i testi di "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005, fascicolo monografico sul tema "Richiamare la coscienza". Il movimento dell'Arca, come e' noto, si richiama alla figura e all'insegnamento di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, una delle piu' rilevanti figure della nonviolenza. * "Arca notizie" e' un foglio di collegamento e di riflessione tra gli alleati e gli amici dell'Arca in Italia. Articoli e lettere vanno inviati a: Enzo Sanfilippo, via E. Carnevale 4, 90145 Palermo, e-mail: v.sanfi at virgilio.it. L'indirizzo internet dell'Arca in Italia e': http://digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto Per ricevere "Arca Notizie", il contributo e' di 15 euro da versare sul conto corrente postale numero 14079214 intestato a: Zendali Patrizia, Via Sottocampagna 65, 21020 Comabbio (Va). * Alcuni altri materiali, e una piu' ampia premessa, abbiamo gia' pubblicato nel notiziario di ieri, cui rinviamo. 2. RIFLESSIONE. ANDREA COZZO: IL RAPPEL DI LANZA DEL VASTO, RICHIAMO FISICO E MENTALE ALL'ATTENZIONE [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005. Questo testo abbiamo gia' pubblicato nel n. 913 del nostro notiziario. Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) e' docente universitario di cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita' didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di), Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999; Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001; Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando', A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa, Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2, 2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232, febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e' il nome che gli attribui' Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della nonviolenza; nato nel 1901 a San Vito dei Normanni da madre belga e padre siciliano, studi a Parigi e Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram. Tornato in Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e un'esperienza comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica. Promuove e partecipa a numerose iniziative per la pace e la giustizia. E' deceduto in Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per vela, Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book, Milano (che ha pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana, Molfetta (Ba). Le comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche di questa esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la riflessione e l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti: digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese) www.canva.org] Premessa redazionale Abbiamo chiesto ad Andrea Cozzo un contributo sul tema del "Rappel". Andrea insegna lingua e letteratura greca presso l'Universita' di Palermo. Amico dell'Arca, ha scritto un saggio su Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, apparso sul n. 2 (2002) di "Quaderni Satyagraha". Conduce, presso la Facolta' di Lettere il "Laboratorio di teoria e pratica della nonviolenza", insegnamento riconosciuto ufficialmente dall'Ateneo Palermitano. Da alcuni anni organizza inoltre corsi di formazione alla nonviolenza per agenti della Guardia di Finanza e dell'Arma dei Carabinieri. E' autore del libro Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Mimesis, Milano 2004. La redazione di "Arca notizie" * Rappel significa "richiamo". E' un esercizio che - suggerisce Shantidas - puo', per chi si sente oppresso dalla fretta, contentarsi di cinque minuti: "anzi cinque minuti sono forse troppi; tagliamoli in cinque: cinque volte un minuto durante la giornata, due la mattina, una a mezzogiorno, due la sera" (1). Un minuto, o due, per far che? "Or dunque, distendetevi; per un minuto fermatevi. Deponete l'arnese, mettetevi in verticale. Respirate a pieni polmoni. Ritirate i vostri sensi all'interno. Restate sospesi davanti al buio e al vuoto interiore. E anche se non succede niente, avrete rotto la catena, quella della precipitazione. Ripetete: 'Mi richiamo, mi riprendo', e basta. Ditelo a voi stessi, ma soprattutto fatelo. Raccoglietevi, come si dice cosi' bene: raccogliersi e' radunare tutti i pezzi di se' sparsi e attaccati qua e la'. Rispondete come Abramo a Dio che lo chiamava 'Eccomi presente'. Si tratta quindi di restare presenti a se stessi e a Dio per circa un minuto". Tutto in queste parole e' pregnante, tanto che esse risuonano significative in tutte le lingue, come avviene ogni volta che e' lo spirito a soffiare. Richiamo e' la ripresa di se stessi attraverso l'interruzione dell'azione e il respiro che, come lo yoga insegna, solo la postura eretta consente che avvenga lento e profondo; e poi affidarsi al vuoto. Non e' detto che avvenga nulla di speciale; anzi, proprio non avviene. Ma se si raggiunge il vero vuoto dei pensieri, allontanando con calma e senza rabbia quelli che sopravvengono, allora il vuoto e il pieno, come dice Buddha, coincidono. Cos'e' questa coincidenza tra vuoto e pieno, o quell'essere "presente a se stesso e a Dio"? Per me che non sono seguace di alcuna fede religiosa si tratta dell'entrata, per cosi' dire, nell'orizzonte del tutto. Il richiamo quindi e' al rapporto che ciascuno, che se ne avveda o no, ha con ogni cosa del mondo (e' necessario ricordare l'"effetto butterfly", la teoria per cui il battito d'ali di una farfalla in Brasile contribuisce a determinare un ciclone in Australia, per convincersene?); il "richiamo" e' richiamo al valore di cio' che si sta facendo, perche' l'azione smetta di essere semplicemente tecnica ed acquisti senso in una dimensione piu' vasta: so perche' sto facendo questo, a che cosa esso serve fatto in questo particolare modo, come (e, ancor prima, se) aiuta a fare andare bene il mondo e cosi' di seguito. Il richiamo e' la consapevolezza del senso che hanno le cose che facciamo, dell'aspetto etico (o contrario all'etica) di ogni nostra azione; esso ci richiama alla nostra responsabilità nei confronti del mondo: che non possiamo mai dire "ho fatto questo perche' qualcuno mi ha detto di farlo", ma piuttosto "sto facendo questo perche' io ho scelto responsabilmente di farlo". Oppure, "poiche' non mi pare un atto buono, ho scelto di non farlo". I Greci antichi lo mettevano in atto attraverso la formula "conosci te stesso" a cui invitava Apollo, il dio della saggezza e del limite di se', il dio della coscienza della condizione umana che permette il corretto rapporto col tutto e che e' fratello e figura complementare a Dioniso, il dio dell'uscita da se' e dell'entrata nel tutto - e l'insieme di questi due comportamenti e' forse quello che i taoisti chiamano "essere nel flusso" -; oppure attraverso il rapporto etimologico che instauravano tra l'essere saggio (phronein, pepnymenos) e i polmoni (phrenes) e il respirare (pnein); oppure ancora, come avveniva presso i Pitagorici, attraverso l'atto di rimemorazione che permette all'anima (soffio) di concentrarsi per viaggiare fuori dal corpo: il respiro individuale che si fa tutt'uno con l'aria respirata, il passaggio dall'"io respiro" al "c'e' un respiro che e' unico per tutto il mondo". Non e' quello che, con le parole di Mumon, il maestro zen, significa diventare "porta senza porta"? I non credenti, almeno per quel che personalmente mi riguarda, praticano il richiamo chiamandolo semplicemente "attenzione" o "consapevolezza"; ma cio' non vuol dire che pronunciare queste parole significhi anche saperle mettere in pratica. Per farlo, ritengo, e' importante non solo l'elemento mentale ma, come emerge dalle varie "testimonianze" fin qui prodotte - da quella di Shantidas alle ultime ritrovate nell'antica Grecia e nel buddhismo zen -, anche quello fisico. Non si tratta infatti solo di un atteggiamento del pensiero ma anche di un atteggiamento del corpo, di una postura, mediati nella loro relazione dal respiro, che e' soffio, spirito come suggerisce il latino. Siamo davanti ad un esercizio spirituale, cioe' non appannaggio di un credo religioso, ma possibile ad ogni essere che respira ed ha qualche capacita' di pensare il suo respiro. Il richiamo, insomma, e', per come io lo sento, il raccordo del nodo alla rete, e se non alla rete nella sua interezza (che e' cosa difficile e forse sovrumana) almeno ad un certo numero di maglie; e' l'orientamento dell'azione rispetto ai valori; e' l'osservazione dell'eticita' dello scopo e dei mezzi. E' il chiedersi, ed il tenersi viva sempre sotto pelle (2), la domanda "cosa sto facendo, a quale fine, in che modo, con quali effetti (pur indipendenti dalla mia intenzione)?". * Note 1. Lanza del Vasto, Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1980, p. 34 (dalla stessa pagina e dalla seguente sono tratte anche le altre citazioni che seguono nel corso del testo). 2. Come dice ancora Shantidas, nella pagina gia' citata, "se vogliamo non soltanto ricordare noi stessi alla coscienza, ma ricordare che dobbiamo ricordarci ogni tanto, dovremo esercitarci ad un richiamo latente e continuo". 3. RIFLESSIONE. LILIANA TEDESCO: IL CANTO COME RICHIAMO ALLA PRESENZA [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005. Liliana Tedesco (per contatti: lylium at neomedia.it), musicista, insegnante, amica della nonviolenza, del movimento dell'Arca (l'esperienza nonviolenta promossa da Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, una delle grandi figure della nonviolenza), e' da sempre partecipe delle lotte contro la mafia, per la pace e i diritti umani di tutti gli esseri umani] Qi, nella cultura cinese, e' il nome della forza del mutamento che sottende ogni forma di vita, e' il Soffio, l'Energia, la forza vitale che scorre, irrora e nutre. Contiene la I, come "Dio", come la parola che in tante lingue diverse indica "io"; la I della verticalita', del legame fra cielo e terra... Infinita la simbologia legata a questa vocale. Marie Louise Aucher, fondatrice della psicofonia, ha applicato questa parola ad un incipit gregoriano, da lei stessa poi sviluppato e concluso, lavoro fatto in base alla percezione attenta della qualita' delle risonanze che nel suo corpo e nel suo spirito questo incipit induceva. Il mio proporlo qui [lo spartito era riprodotto nell'ultima pagina della rivista, per esigenze grafiche lo abbiamo qui omesso - ndr] e' la conseguenza dell'esperienza che ne ho fatto io in questo ultimo anno di vita: cantato con cura, con attento ascolto interiore, con l'occhio rivolto al suo scorrere interno e intimo dentro di me, e' stato mezzo importantissimo di richiamo alla Presenza, e non di rado mi e' servito da "boa" in mezzo ai flutti. 4. RIFLESSIONE. ALBERTA NELLI: RIFLESSIONI ED ESPERIENZE SUL RAPPEL [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005.. Alberta Nelli e' impegnata nel movimento dell'Arca] Uso la parola in francese, perche' in fondo per me il Rappel e' il Rappel, intraducibile. L'italiano Richiamo, quanto la Llamada spagnola, mi sembrano spostare il significato verso un qualcuno che ci manda a chiamare, a cui noi dovremmo rispondere. Anche in francese a dire il vero Rappel ha questo significato: nelle Comunita' dell'Arca il momento del Richiamo e' appunto segnato dal suono della campana, a seguito del quale la gente si ferma, interrompe quel che sta facendo, cerca la verticale e generalmente chiude gli occhi per ritrovare se stessa in un brandello di meditazione. Per un osservatore esterno sembra il gioco delle belle statuine, 1-2-3-stella, o qualcosa del genere... in realta' e' un assaggio di pace interiore. Nella vita di tutti i giorni non ho campana, ne' sveglie, e tutto sommato non ne sento la mancanza, pero' il Rappel e' un soffio di vita, e' per me essere presente al presente, sentire l'Armonia del creato, il ritmo del respiro farsi piu' lento e godere di essere parte del tutto, amata e felice, senza ansia, ne' pensieri, ne' paura. La bellezza del mondo risplende piu' nuova, dopo aver attinto alla sorgente della vita che e' in noi e fuori di noi. Quando rituffarsi in se' e nell'abbraccio di Dio? Ogni volta che ne ho bisogno: a letto appena sveglia, e la sera prima di dire arrivederci al giorno, quando sono arrabbiata o preoccupata per ritrovare la calma, quando sono contenta per rendere grazie, prima di affrontare un momento difficile per essere pronta. Posso riconoscere di aver maturato questa pratica soltanto recentemente, per molti anni invece il Rappel e' stato piuttosto un tentativo saltuario di darmi una disciplina: mi concentro, mi sforzo, provo a fare il vuoto, a "scendere in cantina", ma la tensione non aiuta a raggiungere lo scopo; trovo che sia meglio concentrarsi sul respiro e lasciarsi andare con il rilassamento: una dose omeopatica di cielo e' a portata di tutti. 5. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO: IL RICHIAMO [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005. Antonino (Tonino) Drago, nato a Rimini nel 1938, e' stato il primo presidente del Comitato ministeriale per la difesa civile non armata e nonviolenta; gia' docente universitario di Storia della fisica all'Universita' di Napoli, attualmente insegna Storia e tecniche della nonviolenza all'Universita' di Firenze, e Strategie della difesa popolare nonviolenta all'Universita' di Pisa; da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997] Per essere persone spirituali molti cercano di andare a sentir parlare una persona spirituale. Il che non e' sbagliato; perche' cercare un maestro e' sempre la miglior via per crescere. Ma ogni persona ha la sua personalita'; anche il piu' diligente dei discepoli, dopo un po' di tempo, deve scostarsi dalla via che gli e' stata insegnata per rispondere alle sue individuali esigenze. L'atteggiamento di cercare l'esperto per appoggiarsi ad esso e' ancor piu' forte nella chiesa cattolica, che unica ha sviluppato una ben graduata e potente scala gerarchica, che, specie prima del Concilio, lasciava ai laici un posto di minimo livello: ogni laico a priori era calcolato come sprovvisto di vita interiore rispetto ai monaci, frati, preti, canonici, teologi, vescovi, cardinali, papi. Ora il rapporto dell'ascoltatore con l'esperto genera un gioco di proiezioni di se stesso su di lui e di investimenti delle proprie potenzialita' sulle strade che l'altro suggerisce. Dalla frequentazione dell'esperto e dai colloqui con lui nasce un gioco a specchio in cui le due personalita' si uniscono, si intrecciano e magari si fondono anche. Il che, rispetto ad una crescita spirituale, puo' essere un bel percorso, anche luminoso. Ma alla fine della nostra vita saremo sempre noi che risponderemo di noi stessi. Senza andare lontano, Gesu' ce lo dice chiaro e netto (Mt 25, 31-46): verremo giudicati non per le nostre appartenenze o suggestioni o imitazioni; ma per quello che faremo noi, proprio noi personalmente. Ecco allora l'esigenza primaria della vita spirituale: giungere alla maturita'. Che' se si fosse persone mature umanamente e infantili spiritualmente si sarebbe dei giocherelloni spirituali; al peggio saremmo degli ipocriti che dicono: "Io come cristiano farei questo; ma siccome la realta' e' questa e non ci si puo' fare niente, allora faccio il contrario" (e non faccio un passo per iniziare la via di quello che appare impossibile umanamente, ma e' spiritualmente obbligatorio). Concludo che per essere persone spirituali occorre essere delle persone, cioe' autonome e adulte, anche in senso spirituale. Nessuna appartenenza ad una Chiesa, per quanto potente e rassicurante essa sia, potra' toglierci questo compito. Qui io vedo la prima grandezza dell'insegnamento spirituale di Shantidas: in un tempo di fascismo, di Chiesa gerarchica e trionfante che non lasciava autonomia ai laici, indirizzare la gente a stare sui propri piedi e costruirsi dritti, senza cercare stampelle, nell'avventura spirituale umana di diventare figli di Dio, secondo una grande novita' storica: la nonviolenza. Pero' e' fatica trovare l'alimento della nostra vita spirituale. Per non sapere che fare, si va a cercarlo in quanto e' stato accumulato finora dall'insegnamento spirituale. Ma anche qui c'e' da lavorare: non troviamo subito quello che ci invita. Occorre saper scegliere e prenderlo al meglio, cercando di purificarlo dalle scorie. La scoria piu' grossa e' data dal fatto che di solito l'insegnamento religioso si sforza di essere molto pedagogico, fino a trattare le persone come infantili, perche' avendo sicuramente tutti noi passato questo stadio di sviluppo, tutti possiamo comprendere facilmente quanto ci viene suggerito secondo questa modalita' di trasmissione. Ma per crescere all'eta' matura della vita spirituale occorre comprendere ben di piu'. Per farlo possiamo cercare di capire che cosa sta dall'altra parte degli atteggiamenti educativi che ci vengono proposti; e farcene invece attori, come se fossimo noi a doverli insegnare, perche' se non altro li dobbiamo insegnare a noi stessi. Infatti ormai abbiamo accumulato molti anni di vita spirituale (piu' o meno malridotta, ma sempre vita spirituale e'; perche' il Padre a chi gli chiede il pane non da' pietre; e quindi sempre abbiamo avuto qualche alimentazione). Allora per crescere un metodo possibile e' quello di rispondere alla domanda: se io dovessi insegnare la vita spirituale ad altri, come mi rivolgerei loro? Che cosa cercherei di invitare a fare o a vivere? A me sembra che l'oggetto dell'insegnamento di vita spirituale possa essere presentato sotto tre aspetti: a) come invitante a compiere atti precisi (riti in genere, confessione, perdono, elemosina, riconciliazione, ecc.); b) come sollecitante l'emotivita' della persona, mediante sia la descrizione suggestiva di immagini che la sollecitazione di sentimenti (sia pure vissuti mentalmente); c) come motivante a prendere scelte cruciali di vita. Se guardiamo gli scritti di Shantidas, notiamo che egli ha subordinato il secondo atteggiamento (emotivita') al primo e al terzo. Al terzo (motivazioni), perche' innanzitutto ha indirizzato la gente dell'Occidente (i padroni del mondo) a scegliere la nonviolenza, cioe' a compiere una scelta radicale di ribaltamento della propria vita, in termini religiosi: una conversione della propria vita dalla civilta' troppo tecnicizzata. L'ha subordinato al primo (atti rituali), perche' l'insegnamento fondamentale della nonviolenza gandhiana e' il lavoro su di se'. Ma non tanto il lavoro spirituale tradizionale (cosi' come hanno fatto i nostri avi; e i testi sacri ce lo insegnano da millenni); ma quello che concepisce l'uomo come persona adulta. Quindi non come un bambino che teme i castighi ed obbedisce ad un Essere del tutto superiore; ma come una persona che, come ogni adulto, ha raggiunto la conoscenza di se stesso (anima e corpo), controlla i suoi dinamismi interni e li usa per offrirsi ad altre persone; allora sapra' offrirsi alla prima Persona nel mondo, Dio ("per la conoscenza, il possesso e il dono di se stessi"). Shantidas, da uomo emancipato dall'insegnamento spirituale tradizionale, non critica mai la spiritualita' usuale in maniera diretta, ma la rifonda a partire dalla considerazione seguente. "Si dice che l'uomo e' composto di un corpo e di un'anima e cio' basta per definirlo come Dio l'ha fatto. Si aggiunge che l'anima e il corpo si oppongono e cosi' si spiegano le virtu' e gli errori. "Ma tra il naturale e lo spirituale, ecco che appare un terzo piano: quello dell'artificiale. "Che non si creda che questo non abbia importanza, poiche' l'artificiale e' contingente e temporaneo; infatti e' proprio li' che, nella sua falsa autocoscienza e nella sua vanita', l'uomo si colloca tutto intero, cosi' come e' successo da dopo la caduta del peccato originale... Questa terza natura, di per se' vuota, prende sostanza dalla altre due e si sviluppa a loro spese. Con la ricerca del piacere e al di fuori di ogni ragionevolezza e limite naturale, essa si fabbrica una animalita' superiore, esigente; ed opera a scapito della buona salute del corpo, mentre che, per curiosita' intellettuale e ricerca del successo, con l'esaltazione dei sentimenti nella ricerca della felicita', essa si inventa una spiritualita' a danno della salute dell'anima. "La sua natura, manipolata e snaturata, lo spirito degradato e civilizzato si amalgamano su questo terzo piano, dove il loro contrasto sbiadisce; e dove con l'educazione l'esercizio e l'abitudine, finiscono per accordarsi. "E questo piano non sta sulla terra ne' in cielo, ma in qualche modo sopra la terra... dove proviamo delle soddisfazioni piu' o meno immaginarie" (I quattro Flagelli, pp. 14-15, trad. mia). Shantidas ha potuto proporre questo nuovo (vecchio) indirizzo perche' ha attraversato le ritualita' di varie religioni e ne ha comparato gli insegnamenti utili, separandoli da quelli caduchi e contingenti. Percio' e' arrivato a vederne la struttura interna, riconoscendone i tratti comuni; e di essi ha saputo riconoscerne gli atti basilari. Appunto, qual e' l'atto basilare di una vita personale spirituale? Shantidas qui propone una chiarificazione che gli fa compiere un balzo in avanti rispetto a tutta la tradizione occidentale, impantanata nell'artificiale. La vita spirituale e' innanzitutto vita interiore, quella in noi che e' data da solamente corpo e anima. Se riprendiamo in mano Lezioni di vita, o Introduzione alla vita interiore, questo messaggio di ritrovare la vita interiore e' chiarissimo, a cominciare dal titolo della sua opera fondamentale per la vita spirituale. Le prime "lezioni" insegnano solo questo. Quindi il primo lavoro da compiere da parte di una persona che voglia essere adulta spiritualmente e' quello di cercare la propria interiorita'. Il che non e' facile; perche' Shantidas spiega che siamo come galline che vanno in giro con la testa in avanti cercando sempre qualcosa da beccare; il nostro atteggiamento e' quello di guardare avidamente attorno a noi per cercare qualche segno di vitalita', che ci sia edificante o trascinante, che riscaldi il nostro umore, che ci dia la soddisfazione di aver portato qualcosa a casa. Allora, come rivolgersi alla propria interiorita' quando si ha costantemente questo atteggiamento esternato e per di piu' si hanno delle attivita' esteriori che ci sono indispensabili, per la sopravvivenza materiale ed anche per la sopravvivenza affettiva? Ecco allora il segno che dimostra che Shantidas e' arrivato a comparare tutte le grandi religioni e con cio' a coglierne il fondo comune. Lo ha fatto non solo e non tanto teologicamente, con l'interpretazione del peccato originale e di Apocalisse 13, intesi come testi sacri sostanzialmente comuni a tutte le religioni (testi interpretati come lotta tra Bene e Male, attualizzata alla civilta' occidentale contemporanea, quella che ha minacciato la sopravvivenza di tutte le religioni del mondo). Ma ha colto il fondo comune anche delle pratiche religiose personali: e si e' sforzato di esprimerlo in Introduzione alla vita interiore. Quale e' la pratica che inizia questo ribaltamento e che e' la finestra sul mondo che si va cercando? Il richiamo. Infatti esso e' l'inizio di qualsiasi atto veramente religioso, quello che, preghiera, culto, meditazione, siamo costretti a fare per essere noi stessi e per disporci ad aprirci ad un altro, all'Altro. Alle volte siamo aiutati dalla ritualita' che ci suggerisce di compiere atti semplici e modesti; alle volte ci appoggiamo ad una sequenza di parole o di giaculatorie; alle volte ci rifugiamo dentro una chiesa o un luogo chiuso per vivere concretamente l'opera di rientro in un luogo conchiuso come e' l'interno di noi stessi; alle volte facciamo una lunga camminata, i cui passi ritmici ci fanno immedesimare nelle bellezze originarie della nostra vita; alle volta si va a pesca per incantarsi davanti ad uno spettacolo naturale la cui trama ci va al fondo dell'anima, ecc. In maniera distorta lo fa anche il fumatore accanito, il quale si accende una sigaretta per ritrovare non tanto il suo interiore profondo, ma quell'interiorita' che gli serve per affrontare una particolare situazione, anche se quell'interiorita' e' semplicemente un meccanismo umano; oppure un altro prende un caffe', per avere all'interno una sensazione corporale forte che lo eccita e lo tiene teso, pronto a tutte le evenienze, non importa se con reazioni a fior di pelle, e cosa' via. Invece il richiamo insegnatoci da Shantidas e' un atto naturale, semplice e lineare; che giunge allo scopo voluto con la minor fatica possibile, perche' sa bene qual e' lo scopo; non fa sbagliare strada, ne' si affida a stampelle che possono talvolta essere utili, ma che, come il girello, sono degli impicci per chi sa camminare verso la meta. Una volta conosciuto l'atto da compiere e riconosciuta la bonta' ed eleganza del metodo per compierlo, si e' non solo ottenuta l'introduzione alla vita interiore, ma si e' ottenuta anche l'introduzione al metodo per viaggiare nella vita interiore. Infatti se si e' entrati nella vita interiore in maniera naturale e semplice, allora si sa riconoscere se le costruzioni interiori successive, sicuramente piu' impegnative, sanno di artificiale o sono rispondenti alla vita genuina che si cerca. Un appello. Il testo di Shantidas in francese originariamente aveva un altro titolo, piu' modesto: Approcci alla vita interiore. Se intendo bene, egli voleva dire che: oltre quello cattolico dominante, c'e' anche un altro approccio (quello orientale); e in generale ci possono essere piu' approcci, perche' ogni approccio deve essere individualizzato; e soprattutto voleva dire che la sua maniera di presentare la vita interiore era solo un suo tentativo di penetrare nelle tradizioni millenarie per cercare una nuova sintesi; non era sicuro di averla trovata. E in effetti, a distanza di cinquant'anni sembra opinione comune che quel libro e' un gran valido aiuto, ma non e' una soluzione completa. A quando un ripensamento della traccia lasciataci da Shantidas per riformulare oggi l'approccio nonviolento alla vita interiore? E, grande novita', dell'approccio al femminile della vita interiore, che Shantidas non mi sembra abbia mai concepito? E, piu' difficile ancora, come mettere in relazione quel suo approccio e il suo pensiero trinitario espresso ne La Trinita' spirituale? 6. RIFLESSIONE. JEAN-BAPTISTE LIBOUBAN: PREPARARE IL CORPO ALLA NONVIOLENZA ATTIVA [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005. Jean-Baptiste Libouban e' responsabile dell'Arca, l'esperienza fondata da Lanza del Vasto] La seguente presentazione di esercizi e del rappel e' stata fatta a Montpellier in occasione di una sessione di preparazione alla difesa popolare nonviolenta organizzata da un gruppo di Amici. Era rivolta a persone senza ricerca interiore particolare ma che comprendevano l'interesse di questo lavoro. Come avviene abitualmente nelle sessioni dell'Arca, all'esposizione ha fatto seguito una dimostrazione pratica. * Puo' sembrare strano che un'azione nonviolenta che si sviluppa in campo sociale o politico necessiti di una preparazione per quanto riguarda il corpo; ma questa nonviolenza e' attiva, e mira a ristabilire un equilibrio, a fare sparire un'ingiustizia, e' una lotta. La nonviolenza, che e' basata sul rispetto delle persone, degli animali e delle piante si sviluppa, con il nome di non violenza passiva, in medicina o in pedagogia per esempio. Questa nonviolenza, invece, e' cosi' poco passiva da richiedere una preparazione e una formazione. Entrare nella nonviolenza attiva, significa affrontare con tutto il proprio essere, dunque con il corpo, le tensioni violente che nascono in ogni lotta. Significa anche dover affrontare le reazioni che si svilupperanno in me in direzione opposta. Stranamente, vedremo che la nonviolenza attiva implica e sviluppa una pedagogia verso se stessi che e' quindi dell'ordine della non violenza passiva. Le persone la cui attivita' pubblica e' direttamente orientata verso la lotta, come i militari o i poliziotti, riconoscono la necessita' di una preparazione. Non e' sufficiente possedere un fucile. La violenza, per essere efficace, impone delle esercitazioni. Un'armata indisciplinata, incapace di obbedire, i cui riflessi non sono stati addestrati a situazioni di combattimento, e' destinata allo sbandamento e alla sconfitta. La nonviolenza, con tutt'altro spirito pero', deve sapere imparare da loro questa necessita' di una preparazione per affrontare la lotta. Preparazione personale e anche formazione in gruppo. Senza un minimo di conoscenza e di esercizio, si rischia di essere facilmente sopraffatti, noi l'abbiamo sperimentato chiaramente nelle azioni nonviolente alle quali abbiamo partecipato. Parliamo anzitutto della formazione personale, poiche' rappresenta la base dell'edificio. La disciplina personale di uomini che hanno il controllo su di se' in una manifestazione puo' influenzare notevolmente il comportamento di quelli che li circondano. In tutte le arti del combattimento, vi e' una posizione, che e' allo stesso tempo di guardia e di attacco, vigilanza e tenuta del corpo. Colui che pratica queste arti, ponendosi in questa postura di combattimento, ristabilisce anzitutto il controllo su se stesso, dei suoi movimenti, delle sue membra, delle sue emozioni. E' pronto ad ogni eventualita'. Attaccare un pugile che si e' messo in guardia e' pericolosissimo. Cosi' come e' pericoloso attaccare un maestro in arti marziali in posizione di combattimento: la risposta sara' fulminea. Esiste qualcosa di simile nella nonviolenza? Esiste una posizione di combattimento che non ci porra' in un atteggiamento di attacco o di difesa? Poiche' di fatto la nonviolenza e' questo: questa terza possibilita'. Non affronteremo le cose allo stesso modo, ma e' necessario essere pronti. In una situazione di aggressione sono capace io di non percepire l'aggressione come l'essenziale? L'essenziale, invece, e' cio' che in me e' vivo, e' la vita che percepisco, e' la coscienza che io ho di me stesso. Occorre essere capaci di giungere a questo livello. Per poter attribuire all'altro la vita e la coscienza, e' necessario che io l'esperimenti anzitutto in me stesso, come un sesto senso. E' la base della nonviolenza personale, che va sperimentata nell'esercizio, prima di provarne la forza nell'azione nonviolenta. Dovrebbe essere l'oggetto di un esercizio quotidiano. All'Arca, questo esercizio viene chiamato "rappel" - il ritorno all'essenziale in se stessi. E' molto semplice. Si tratta, ponendosi in una posizione verticale e rilassata, di riprendere coscienza del proprio respiro; di lasciarlo salire e scendere secondo il suo proprio ritmo. Dirsi: "ecco, sono qui, sono ben presente, sono cosciente". Questo vale sempre, ogni giorno della nostra vita. Allora, il giorno in cui le cose non vanno, cammini, respiri, e ti dici "Ma sono vivo! Perche' mi creo tanti problemi con me stesso? Sono qui, sono presente, questo e' l'essenziale; non sono un pezzo di legno o di metallo che reagisce alla pressione che viene esercitata su di lui con una forza che vi si oppone. Non sono in rapporto di reazione a cio' che l'ambiente m'impone". Questo e' cio' che bisogna scoprire. Ho in fondo a me stesso una capacita' di sperimentare altro da quello che mi si presenta attorno. Vi e' dentro di me un centro di pace e di liberta' che mi permettera' una atteggiamento diverso dalla paura, con i suoi ingranaggi di difesa o di attacco, e che liberera' un'altra energia. Prima di tutto, questa posizione di combattimento nonviolento mi rendera' il controllo di me stesso e mi permettera' di ritrovare nella dignita' un atteggiamento anche di fermezza. Solo la posizione verticale permette dignita', distensione e fermezza. La verticale e' abbondantemente presente nella statuaria di tutti i popoli d'Oriente come d'Occidente, d'Africa e d'America, perche' e' la linea del risveglio, in rapporto alla linea orizzontale che e' quella del sonno; fra queste due vi sono tutte le posizioni di abbandono, di rilassamento. Bisogna sapere che questa dignita', questa distensione, impressionano l'avversario. Se sente in voi la paura, diventate un aggressore potenziale. Se siete rilassato, gli permettete di essere disteso a sua volta. La verticale e la distensione del corpo permettono di entrare nuovamente nella propria respirazione. Si potra' riprendere fiducia in se stessi, rifare esperienza della propria coscienza, della propria realta', della propria esistenza. Questo ci obbliga a vedere che colui che ci e' di fronte non e' un meccano. Attraverso il nostro gesto, attribuiamo anche a lui la vita e la coscienza. Questa esperienza l'abbiamo vissuta in molte manifestazioni. Nel Larzac, vedemmo arrivare in ranghi stretti le forze dell'ordine con i loro scudi di plastica, i caschi in testa, i manganelli in mano; erano impressionanti come guerrieri greci. Non si poteva non sentir salire la paura. Ci si diceva "fra qualche istante ci colpira' in testa...". In quel momento, se non volete fuggire, se volete veramente restare e testimoniare che la vostra causa e' giusta, non vi resta che una cosa da fare: rilassarvi, rientrare in voi stessi, accettare, avere fiducia. Forse avrete la fortuna di vederli far marcia indietro, come a noi e' successo. Erano arrivati ad un metro da noi; eravamo in piedi, impassibili, distesi, e loro hanno fatto marcia indietro. Solo la nonviolenza a tutti i livelli aveva permesso questo indietreggiare incomprensibile di quella forza armata davanti ad un pugno di uomini disarmati. La piu' piccola reazione da parte nostra avrebbe scatenato su di noi la valanga di manganellate e calci che era stata loro ordinata. Abbiamo fatto la stessa esperienza a Parigi, quando vi andammo con i contadini del Larzac. Pare certo che la polizia avesse inviato dei provocatori, e le forze dell'ordine tiravano bombe lacrimogene contro gli autonomi, che a loro volta tirarono pietre e ogni sorta di cose. Abbiamo deciso, un gruppo di noi, di frapporci fra loro. Siamo entrati nella nuvola di gas lacrimogeno perfettamente eretti, tutti in fila, per fermare il conflitto. Anche in quel momento bisogna fare il tuffo nel profondo di se stessi, perche' non si sa cio' che ci aspetta dall'altra parte. E un'altra forza sale in voi, ed e' quella che vi permette di avanzare. A Malville, mentre i gendarmi ancora una volta tiravano lacrimogeni a destra e a manca, si era creato un grande scompiglio e tutti correvano da tutte le parti. Una compagna della Comunita' si e' concentrata nel Rappel. Si e' fermata, ha cominciato a rilassarsi, a respirare e a riprendere fiducia in se stessa. Due o tre persone allora sono venute vicino a lei: "Si vede che non hai paura, allora veniamo con te, aiutaci". Ne sono uscite senza incidenti. In una manifestazione, se si arriva allo sbandamento, allo scompiglio, cio' e' gravissimo, poiche' significa lo smembramento della manifestazione. La gente puo' fare qualsiasi cosa, e si possono avere conseguenze molto gravi. Allora rilassiamoci, respiriamo; ma per essere in grado di farlo e' necessario averne fatto molta pratica. Non vi verra' certo spontaneo se non ne avete gia' il riflesso in voi. E' esattamente come per il pugile quando viene attaccato: si mette in guardia. Per voi, il vostro mettervi in guardia contro l'aggressione e' il rientrare in voi stessi, l'entrare in cio' che avete di essenziale in voi, e che vi collega a tutti gli altri. Di fatto, gli uomini hanno sempre creduto che vi sia un solo essere, e' una convinzione presente in tutta la storia. Voi siete collegati agli altri, essi lo sentono, e reagiscono anche in funzione di questo. Un'altra compagna era entrata a far parte di un movimento rivoluzionario, che non era specificamente nonviolento. Questo avveniva in Marocco. E' stata arrestata e torturata dalla polizia. L'hanno buttata in una cantina e la picchiavano. Era per terra, schiacciata. Poi, improvvisamente, si', le e' tornato alla mente il Rappel. Si e' rimessa diritta, ha ripreso il suo respiro, si e' rilassata e li ha guardati. Quelli che la picchiavano hanno abbassato le braccia e hanno smesso di picchiarla. Si sono resi conto allora che era una persona. E' importante rompere la relazione persecutore-perseguitato. Il coniglio fugge davanti al cacciatore, e cosi' lo eccita. Ogni persona che fugge eccita colui che lo perseguita. Vincere, dominare, e' la legge del gioco. La nonviolenza tenta di rompere il gioco per ritrovare una relazione vera. E' per questo che nella nonviolenza non dobbiamo fuggire, perche' sarebbe dare ragione al persecutore. Io l'ho sperimentato personalmente in alcuni scontri violenti. Il fatto di restare diritti e rilassati davanti a qualcuno che vuole colpirti esercita una grandissima forza. Forse colui che e' davanti a te ti colpira', non puoi saperlo. Se riesci a rilassarti (non dico essere sorridente, ma semplicemente in te), e' possibile che l'avversario abbassi le braccia. A me e' accaduto due volte. La nonviolenza ha compiuto la sua opera, ma poteva anche non succedere; non e' sistematico; fate appello pero' a qualcosa che e' nel piu' profondo dell'altro; voi lo sperimentate, e lui, forse, si desta dal suo turbamento. Cercare di entrare in questa profondita', in questo centro di noi stessi, ci fa scoprire un nuovo aspetto di noi sconosciuto, o piuttosto non riconosciuto in modo volontario. Volersi rilassare puo' sembrare contrario al buon senso, poiche' per rilassarsi bisogna abbandonare la volonta'. Ma la presa di coscienza della respirazione volontaria e controllata conduce al rilassamento. Noi respiriamo ma non sappiamo neppure che respiriamo. Se fermiamo la "cogitazione" e il nostro interesse per tutto cio' che ci circonda, iniziamo a ri-centrarci. Se osserviamo cio' che accade in noi indipendentemente da tutto, scopriremo questo movimento regolare e tranquillizzante. Fa pensare un poco a cio' che fa la madre quando culla il suo bambino: piangeva, aveva paura, si calma e riprende fiducia. E' un modo semplice per controllare le proprie emozioni, di sciogliere i nodi della paura. Non abbiamo inventato nulla, e' esperienza di migliaia di anni. E' certo sempre da reinventare, da scoprire nuovamente da parte di ognuno di noi. E' anche una scoperta di noi stessi, che non richiede nessuna conoscenza intellettuale e che permette di ricentrarci. Ma perche' il corpo si rilassi, e' importante prendere la posizione verticale. Se vi e' capitato di dover tenere una scala, lunga o corta che sia, avrete notato che nella posizione verticale la tenevate senza sforzo. Lo stesso avviene per il nostro corpo, bisogna evitare alla colonna vertebrale le tensioni muscolari inutili a mantenere il nostro centro di gravita'. La gravita', l'otterrete, e sara' anche sinonimo di dignita'. Tutto cio', pero', puo' portarci lontano, perche' potrete trovarvi in situazioni senza via di uscita. Potrete finire in prigione. E' un rischio assai frequente della nonviolenza. Allora, anche in prigione, e' necessario conservare, rafforzare le vostre energie, non demoralizzarsi. Questa sorgente di energia di vita, l'avete dentro di voi, e puo' aiutarvi a far si' che la prigione non sia un arresto della vita. Questa apertura a questa liberta' interiore e' il contrario della disperazione, e' attaccamento tenace alla vita, fondamento del combattimento nonviolento. Spingendo gli avvenimenti fino al loro estremo, e' possibile che la morte si profili davanti a voi. E' sempre il rischio di ogni combattimento, ed e' necessario affrontare questa eventualita' a viso aperto. E' l'origine di molte angosce, apparentemente irrazionali. Dato che comunque la incontreremo sul nostro cammino, e' meglio guardarla in faccia piuttosto che farci prendere al collo dal di dietro. Questo mi ricorda una storia del maestro zen Deshimaru. Si trovava durante la guerra su una nave giapponese carica di esplosivi e di munizioni, nel bel mezzo del Pacifico. I sottomarini americani accerchiavano la nave e i siluri passavano sempre piu' vicino. Tutti a bordo erano sconvolti e si dicevano disperati: "salteremo da un momento all'altro!". Se ci rimangono pochi minuti da vivere, bisogna dedicarli a noi stessi. Cosi' Deshimaru si e' seduto, ha preso la sua posizione di combattimento, cioe' la verticale, e - nella respirazione, il rilassamento, la concentrazione - ha scacciato la paura, ha ripreso la coscienza di se stesso. Quel che doveva succedere e' successo. L'esplosione e' avvenuta, e se conosciamo questa storia e' perche' Deshimaru si e' ritrovato in mare ma - per pura fortuna - c'era una tavola di legno a portata di mano. Non avremo certo sempre una boa provvidenziale a portata di mano, ma avremo molto di piu', avremo imparato ad andarcene senza angoscia. Abbiamo fatto appello a qualcosa che abitualmente ci supera, e non sappiamo mai cio' che potra' accadere. Il ritorno alla coscienza e' importante nella vita di ogni giorno, e essenziale quando le cose vanno male. E' certamente un'esperienza fondamentale nella vita. Non farlo, e' passare accanto a un'opportunita'. Faro' forse tante cose in questa vita senza pero' essermi concesso un solo sguardo. Forse non mi saro' mai incontrato. Non mi conosco, non so chi sono. Forse sono il prodotto del mio ambiente sociale o culturale, o forse la reazione a questo ambiente. Continuamente la mia liberta' mi sfugge quando credo di esercitarla. Qui mi identifico con il mio ventre e i miei appetiti, la' mi confondo con le ragioni della mia intelligenza. Continuamente metto in moto un elemento particolare della mia persona, ma raramente nel vero. Occorre una certa distanza, uno sguardo esteriore, per giudicare l'atto che sto ponendo, gli eventi che mi interpellano. Non s'impara in un giorno. Necessita un continuo esercizio, e non si raggiunge mai completamente. Vi sono persone che anche senza esercizi, riescono a raggiungere questo distacco e questa distanza. E' una bella cosa. Per quanto riguarda gli altri, bisogna che sappiano che e' comunque possibile sviluppare questa coscienza, e anche ritrovarla quando la si e' persa. Bisogna praticare questo esercizio elementare, che anche una nonna di ottant'anni pero' puo' fare, e anche un infermo motorio, poiche' si tratta di smettere di "funzionare" e ritrovare se stessi. Penso che capite bene che questo piccolo atto e' sovversivo al massimo punto. Contesta una societa' meccanizzata, una societa' di aggressione, di velocita', di rumore. Mi chiedo se e' possibile dire in citta' che si passeggia; e' vero che presso i latini questo termine significava "spingere gli animali davanti a se gridando e minacciandoli": Eccoci. In ogni caso, cerchiamo di respirare al semaforo rosso, invece di imprecare. Torniamo in noi; riprendiamo coscienza che vi e' qualcosa di molto piu' importante, di ben piu' essenziale. Cio' ci rappacifichera'. Lanza del Vasto diceva: "Quando non posso agire sull'ambiente esterno, posso sempre lavorare su me stesso". Il richiamo della coscienza e' l'elemento positivo di questo lavoro su se stessi. E' fondamentale per evitare la disperazione. Quando nulla funziona, io sono il primo oggetto del lavoro sul quale intervenire. Qui sta la radice della nonviolenza. (Da "Nouvelles de l'Arche", XXXII, 10, 1984, pp. 150-154, titolo originale: "Preparation corporelle a' la non-violence active"). 7. RIFLESSIONE. ENZO E MARIA SANFILIPPO: SAMASTHITI: ATTENZIONE E DISTENSIONE NELLO YOGA [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005. Vincenzo (Enzo) Sanfilippo e' impegnato nel movimento dell'Arca ed e' uno degli animatori del gruppo-laboratorio palermitano "Percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso". Riportiamo di seguito una breve notizia biografica di Enzo Sanfilippo scritta gentilmente per noi nel 2003 da lui stesso: "Sono nato a Palermo 45 anni fa. Sono sposato e padre di due figli, Manfredi di 18 anni e Riccardo di 15. Sono stato scout e capo scout fino all'eta' di 30 anni. Ho svolto il servizio civile in un Centro di quartiere della mia citta'. Ho frequentato l'Universita' di Trento dove mi sono laureato in sociologia. Ho perfezionato i miei studi a Bologna in sociologia sanitaria. Dal 1989 lavoro nella sanita' pubblica, nei servizi di salute mentale dove mi sono occupato finora di sistemi informativi e inclusione sociale di soggetti con disagio psichico. Chiusa l'attivita' con gli scout, con mia moglie Maria abbiamo cercato di impegnarci nell'area della nonviolenza. Abbiamo fatto parte per diversi anni del Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir) per poi approdare al movimento dell'Arca di Lanza del Vasto al quale aderiamo come alleati dal 1996. Dallo stesso anno facciamo parte di un gruppo di famiglie palermitane ("Famiglie in cammino") con il quale facciamo esperienze di condivisione spirituale e sociale. Frequentiamo il Centro di cultura Rishi di Palermo dove pratichiamo lo yoga. Con gli altri tre alleati dell'Arca siciliani (Tito e Nella Cacciola e Liliana Tedesco) abbiamo organizzato diversi campi su vari aspetti dell'insegnamento dell'Arca (canto, danza, yoga, lavoro manuale, ecumenismo) presso un monastero a Brucoli (Sr) dove Tito e Nella hanno abitato per cinque anni. Quest'anno abbiamo acquistato una casa in campagna presso Belpasso (Ct) dove Tito e Nella andranno ad abitare e a lavorare: la' assieme a loro e a vari amici speriamo di riprendere le attivita' di approfondimento e di lavoro sulla pace, la nonviolenza, l'insegnamento dell'Arca". Opere di Vincenzo Sanfilippo (a cura di), Nonviolenza e mafia, D G Editore, Trapani 2005] "La verticale e' la direzione dell'uomo, il marchio imperativo del suo destino. L'uomo sta in piedi. Gli animali si spingono in avanti a testa bassa: davanti ad essi, rasoterra, stanno la loro preda ed il loro scopo. L'uomo in piedi e' testimone che il suo fine e' la' in Alto, che egli si trova qui per stabilire il legame tra cielo e terra... Siamo attraversati dalla linea verticale... L'atto spirituale compiuto nella Verticale compone i due opposti: l'attenzione e la distensione, la vigilanza e la pace" (Lanza del Vasto) La nostra esperienza di yoga presso il Centro Rishi di Palermo fondato e guidato dal maestro Aruna Nat Ghiri, ci ha subito riportato all'importanza della posizione verticale, fondamentale per la pratica del "rappel". Nello yoga la asana che corrisponde alla posizione di verticalita' si chiama "samasthiti". Questo termine e' composto da stha che significa "tenersi in piedi stabilmente", e da sama che vuol dire "uguale". Si tratta dunque di una posizione in cui il corpo e' nella posizione corretta, uguale, senza movimento, senza tensione e stabile, quindi in equilibrio. Le caratteristiche di questa postura sono le seguenti: La testa non deve essere inclinata ne' a destra ne' a sinistra, ne' davanti ne' indietro, ma situarsi nel prolungamento dell'asse di gravita'. Per far questo possiamo mentalmente immaginare quest'asse che attraversa tutto il nostro corpo e che ci tira dalla parte alta della testa. Il peso e' equamente distribuito tra i due piedi. I glutei sono contratti, il pube e' sollevato. Viste di fronte le clavicole e le spalle devono essere simmetriche e trovarsi entrambe sulla medesima altezza; devono tuttavia essere rilassate: se i muscoli delle spalle sono distesi vi sono buone probabilita' che si distenda tutto il corpo. La nuca deve essere distesa (per questo il mento deve essere leggermente in dentro) e le scapole non essere per nulla sporgenti. I piedi, paralleli e distanti uno-due centimetri devono essere ben piantati per terra. Il peso del corpo non deve poggiare ne' sulla dita dei piedi e' sui talloni, ma uniformemente sull'intero arco plantare. Le braccia sono distese con i palmi delle mani rivolti di fronte. Per prendere consapevolezza del nostro punto d'equilibrio possiamo brevemente "ondeggiare": a destra, a sinistra, in avanti indietro. La respirazione sara' lenta e profonda, coinvolgendo nell'ordine le tre parti dei polmoni: bassa, media, alta. In questa come in altre asanas la espirazione ci aiutera' a distendere gradualmente tutte le parti del nostro corpo rimaste innaturalmente contratte. In questa posizione il nostro corpo e' collegato e si fa attraversare dall'energia che ci circonda: con la nostra concentrazione mentale possiamo collegarci e sentirci in comunione con questa energia. Ecco perche', ripresa la verticale, possiamo concentrarci su alcuni punti del nostro corpo: dalle piante dei piedi captiamo l'energia della terra, dai palmi delle mani e dal plesso solare l'energia solare e infine da un punto appena esterno al nostro corpo fisico, davanti le narici e un po' sopra il labbro superiore (laddove sentiamo l'aria prima che entri nel nostro corpo) capteremo l'energia cosmica. Un'ultima raccomandazione: nello yoga attenzione e distensione sono intrinsecamente unite e devono essere sapientemente controllate: non eccediamo nello sforzo fisico e mentale. Anche i muscoli del volto ci daranno un segno che tutto e' in armonia: gli occhi saranno chiusi ma non serrati e la nostra espressione dovra' apparire rilassata e serena come a comunicare a chi ci osservi pace, forza e gioia. 8. CONTROEDITORIALE. EUTICHIO SILVESTRONI: UNA DICHIARAZIONE DI VOTO [Ringraziamo il nostro buon amico Eutichio Silvestroni per questo intervento] Tra la Costituzione di Ferruccio Parri e quella della P2, tra lo stato di diritto e il regime della televisione, tra la sovranita' popolare e l'asservimento a un imperatore, tra gli immortali principi dell'89 e l'alleanza dei razzisti dei neofascisti e dei mafiosi, c'e' bisogno di dire per cosa votero' alle prossime elezioni politiche? 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1222 del 2 marzo 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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