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La nonviolenza e' in cammino. 1221
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1221
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 1 Mar 2006 03:33:52 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1221 del primo marzo 2006 Sommario di questo numero: 1. Richiamare la coscienza. Alcuni testi da "Arca notizie" 2. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto: Della distrazione e del richiamo 3. Rene' Doumerc: Colloquio con Shantidas 4. Giovanni Vannucci: Richiamo e preghiera 5. M. Ferre': Il conflitto e il rappel (con una premessa di Antonino Drago) 6. Leo Sassicaldi: Una dichiarazione di voto 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. RICHIAMARE LA COSCIENZA. ALCUNI TESTI DA "ARCA NOTIZIE" (PARTE PRIMA) Ringraziamo di cuore Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per averci messo a disposizione tutti i testi di "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005, fascicolo monografico sul tema "Richiamare la coscienza". Il movimento dell'Arca, come e' noto, si richiama alla figura e all'insegnamento di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, una delle piu' rilevanti figure della nonviolenza. * "Arca notizie" e' un foglio di collegamento e di riflessione tra gli alleati e gli amici dell'Arca in Italia. Articoli e lettere vanno inviati a: Enzo Sanfilippo, via E. Carnevale 4, 90145 Palermo, e-mail: v.sanfi at virgilio.it. L'indirizzo internet dell'Arca in Italia e': http://digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto Per ricevere "Arca Notizie", il contributo e' di 15 euro da versare sul conto corrente postale numero 14079214 intestato a: Zendali Patrizia, Via Sottocampagna 65, 21020 Comabbio (Va). * Del fascicolo citato riportiamo qui di seguito l'intero sommario: - Continuiamo il cammino - Della distrazione e del richiamo, di Lanza del Vasto - Colloquio con Shantidas, di R. Dumerc - Richiamo e preghiera, di G. Vannucci - Il conflitto e il rappel, di M. Ferre' - Il rappel di Lanza del Vasto, richiamo fisico e all'attenzione, di A. Cozzo - Il canto come richiamo alla Presenza, di L. Tedesco - Riflessioni ed esperienze sul rappel, di A. Nelli - Il richiamo, di A. Drago - Preparare il corpo alla nonviolenza attiva, di J. B. Libouban - Samasthiti: attenzione e distensione nello Yoga, di E. e M. Sanfilippo - "Famiglia Cristiana" si schiera per l'obiezione alle spese militari - Vita dell'Arca - Incontro per il rinnovo della promessa - Capitolo generale internazionale - Lettera dalle Tre Finestre, di N. Restivo - Notizie da Casciago, di G. e P. Zendali - Benvenuta Laura - Convegno su nonviolenza e mafia * Trascriviamo e ridiffondiamo attraverso il nostro notiziario quotidiano alcuni dei materiali li' proposti. Con alcune forse opportune avvertenze. E ci si perdoni la frettolosita' delle righe seguenti. In primo luogo: abbiamo scelto solo alcuni testi, quelli piu' specificamente di riflessione. In secondo luogo: segnaliamo che, come e' noto, purtroppo le traduzioni italiane degli scritti e dei discorsi di Lanza del Vasto sono sovente inadeguate: sarebbe giunto da un bel pezzo il momento di procedere sia a un'edizione critica dell'opera di Lanza del Vasto, sia a una traduzione italiana integrale condotta con criteri filologici adeguati. In terzo luogo: la proposta di Lanza del Vasto e' solo una delle tradizioni della nonviolenza. Altre ve ne sono. Lo scriviamo affinche' non abbiano luogo atteggiamento dogmatici o penosi fraintendimenti. Chi scrive queste righe, e di questo persuasamente plurivoco notiziario quotidiano reca per cosi' dire la responsabilita' ultima, ad esempio, personalmente propone un approccio alla nonviolenza, e della nonviolenza una nozione, per piu' versi finanche alquanto distanti e sostanzialmente diversi da quelli degli amici dell'Arca, e non condivide alcuni aspetti talora anche centrali della riflessione, dello stile e della proposta di Lanza del Vasto (come, del resto, anche di altre figure assai significative della nonviolenza, Gandhi incluso, per cui prova comunque grande ammirazione ed al cui ascolto, va da se', sia pur criticamente comunque si colloca): la cosa migliore della nonviolenza e' che essa non e' un canone, ne' un'ideologia, ma una scelta di lotta contro la violenza e di ricerca della verita', di pensiero critico e di azione coerente, che ogni persona che ad essa si accosta puo' e deve fondare non solo sulla conoscenza di esperienze e riflessioni gia' date ma anche su originali, autonome, persuase meditazioni e scelte (e ad esempio chi scrive queste righe ritiene che le due maggiori esperienze storiche della nonviolenza in cammino siano quella del movimento dei lavoratori e quella del movimento delle donne; le esperienze e le riflessioni di Gandhi, o di Capitini, o di King, o di Dolci, sono certo utilissimi punti di riferimento, ma chi ritenesse che la nonviolenza consiste nell'adeguarsi pedissequamente a quelle - e, peggio, solo a quelle - esperienze e riflessioni, assunte come verita' assolute, destorificate, adialettiche e decontestualizzate, tradirebbe il senso stesso della scelta nonviolenta, che e' sempre anche appello alla responsabilita' personale nella concretezza dell'impegno esistenziale e storico, analisi contestuale e lotta situata, e quindi altresi' ripudio e contrasto di ogni autoritarismo e totalitarismo, di ogni alienazione e asservimento). La nonviolenza e' molte cose: in primis lotta contro la violenza e la menzogna che denega l'umana dignita', e quindi e' anche un campo di ricerche e di discussione sempre aperta: chi volesse ridurla a una sola delle sue molte tradizioni o esperienze, o irrigidirla in un involucro di precetti indiscutibili o in un'istituzione gerarchica o in uno stile che esclude altre culture ed altre visioni, con cio' stesso la denegherebbe alla radice. Vi sono nella scelta della nonviolenza alcuni principi fondamentali: come il ripudio intransigente della violenza e della menzogna, che si estrinseca e invera nella lotta contro ogni forma di oppressione; il riconoscimento di umanita' che umanita' invera nella relazione con l'altra e l'altro, ovvero la lotta per la dignita' umana di ogni essere umano; la coerenza tra i mezzi e i fini; ma questi criteri per l'azione, che l'azione nonviolenta caratterizzano, sono traducibili in vari linguaggi, componibili con diverse tradizioni di prassi e di pensiero, e per cosi' dire vivono nell'infinita apertura al tu e ai tutti. 2. RIFLESSIONE. GIUSEPPE GIOVANNI LANZA DEL VASTO: DELLA DISTRAZIONE E DEL RICHIAMO [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto ("Shantidas" e' il nome che gli attribui' Gandhi) e' una delle figure piu' grandi della nonviolenza; nato nel 1901 a San Vito dei Normanni da madre belga e padre siciliano, studi a Parigi e Pisa. Viaggia e medita. Nel 1937 incontra Gandhi nel suo ashram. Tornato in Europa fonda la "Comunita' dell'Arca", un ordine religioso e un'esperienza comunitaria nonviolenta, artigianale, rurale, ecumenica. Promuove e partecipa a numerose iniziative per la pace e la giustizia. E' deceduto in Spagna nel 1981. Tra le opere di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto segnaliamo particolarmente: Pellegrinaggio alle sorgenti, Vinoba o il nuovo pellegrinaggio, Che cos'e' la nonviolenza, L'arca aveva una vigna per vela, Introduzione alla vita interiore, tutti presso Jaca Book, Milano (che ha pubblicato anche altri libri di Lanza del Vasto); Principi e precetti del ritorno all'evidenza, Gribaudi; Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze; In fuoco e spirito, La Meridiana, Molfetta (Ba). Le comunita' dell'Arca - cosi' come gruppi e persone amiche di questa esperienza - sono diffuse in vari paesi e proseguono la riflessione e l'esperienza del fondatore; per informazioni e contatti: digilander.libero.it/arcadilanzadelvasto/ e anche (in francese) www.canva.org] Pensate a una giornata qualsiasi. La sveglia suona, sono le 6 e mezza. Aprite un occhio e pensate: "Ah! oggi e' mercoledi': non devo dimenticare l'appuntamento che ho con quello la' alle 4 oggi pomeriggio al Caffe' del Progresso...". Non avete ancora aperto il secondo occhio che gia' vi trovate proiettati dall'altra parte della citta', dieci ore prima, con quello la'. Torniamo a noi: presto, il bagno. La colazione: il giornale per sapere cosa succede nel Sud-est asiatico o in Nicaragua. Ore 7 e 20, stavo per dimenticare l'ora. Uno sguardo in giro prima di uscire dalla camera. Non ho dimenticato niente? Il portafoglio, la cravatta, le chiavi, no, niente. Si'. Che cosa? Te stesso. Ma l'importante e' non perdere l'autobus. Lo prendo per un pelo. Arrivo in ufficio, sbrigo la posta, rispondo al telefono. Ricevo due visite. Firmo un contratto. Mezzogiorno, rientro, mangio. Riparto, la posta, il telefono, il contratto, le visite. Finalmente arriva la sera. Crollo dalla fatica: andiamo al cinema a vedere le galoppate nelle Montagne Rocciose, corriamo a indossare altre vite al posto della nostra. Rientro tardi, vado a letto. Spengo. Questa volta sono solo con me stesso, o perlomeno ho rischiato di esserlo per un momento, ma subito mi sono addormentato... Ecco l'incatenamento: la catena dei doveri, dei lavori, delle preoccupazioni, delle abitudini, delle necessita', della vanita' che si legano fuori, all'Altro. Come uscirne? Si', come uscire dall'esteriore? Tu me lo chiedi? Eppure e' facile: voltandoti indietro. Quest'azione semplice e decisiva si chiama per lo spirito conversione. La Conversione e' liberarsi e distaccarsi dal mondo e dirigere l'intelligenza, il cuore, i gusti, le forze verso il Dentro. Verso il "divino Dentro delle cose" come dicono gli Egizi, ma prima di tutto verso il dentro di Se stessi. Poco fa parlavamo di venti contrari. Il piu' forte, quello che ci manda alla deriva, e' precisamente la Distrazione. Ci sono tre gradi di distrazione: 1. Prima di tutto, la distrazione totale: la distrazione di chi e' perennemente stordito; l'occhio vacuo, la bocca aperta, non e' mai li' dove e'. Non pensa mai a niente. Sbatte contro tutto. Casca li'... E' lo stato di distrazione disastrosa... Di un uomo in collera si dice che e' "fuori di se'". Il distratto passa la vita a essere fuori di se', senza nessuna collera. Questo stato di distrazione, di disordine, di incoerenza, di perpetua stupidita', non e' uno stato piacevole, e' la polvere dell'anima, e' la corruzione dell'intelligenza - ma corruzione e' troppo umido, troppo odoroso -, diciamo polvere. 2. Poi c'e' la distrazione gradevole di chi si diverte a distrarsi, di chi si compiace. E' molto ricercata la distrazione, le dis-trazioni... i di-vertimenti... perche' e' la stessa parola "dis": al di fuori, a caso, e-vertere: voltarsi. Ci si distrae ogni volta che si puo', ma non si puo' sempre: non si puo' vivere nelle distrazioni, purtroppo; non ci si puo' divertire tutto il tempo; bisogna cercare di essere seri. 3. Ci sono poi le distrazioni serie. Che si chiamano gli affari. Oppure gli studi. Se cercate la ragione del grande zelo che spinge la gente agli studi o agli affari, non crediate che si tratti di un immenso amore per il dovere, o di uno sforzo immenso per vincere la pigrizia. No. Ve ne accorgerete il giorno in cui li si mette in pensione; non sanno piu' cosa fare di se stessi... Questi essi stessi di cui non si sono mai occupati, ecco cio' che cade nelle loro braccia... Ben presto si dedicheranno a qualche malattia, sola distrazione sufficientemente seria per rimpiazzare le passate occupazioni. Se la Distrazione e' una malattia dello Spirito, come guarirne se non attraverso l'Attenzione, l'Attenzione Interiore? Ma quando, chiudendo gli occhi, volgo lo sguardo verso il Dentro, cosa vedo? Niente, il nero. E' per questo che mi spavento o mi annoio, e' per questo che mi sfuggo. E dite un po', vi e' mai successo, lasciando una strada soleggiata, di entrare in una cantina? Cosa vedete nella cantina? Il buio. No, neanche il buio, ma un offuscamento di puntini luminosi danzanti negli occhi. E quanto tempo ci vorra' per vedere nel buio? Venti minuti. E se nella cantina c'e' un tesoro, quanto tempo per veder luccicare il tesoro? Un'ora. Ma chi di voi e' rimasto per un'ora, lo sguardo fisso nell'ombra del Dentro? Fatelo e vedrete! Non vi dico cio' che vedrete e non vi domando di credermi. Non vi domando di credere a quello che avete sentito dire o a quello che avete letto, ma di andare a vedere e di ritornare a dire quello che avete visto. Certo, tenersi un'ora di seguito davanti a se stessi nell'ombra, non sara' il primo passo, perche' e' troppo difficile. Bisognera' incamminarsi un po' alla volta. Il primo passo sara' vincere "la corrente contraria" dell'incatenamento, il "vento contrario" del trascinamento, della dispersione, della dissipazione totale che e' lo stato del non-essere. Essere disperso e' come non essere. Il primo esercizio che vi proponiamo, amico frettoloso e carico di affari importantissimi, non vi domandera' ne' un'ora, ne' una mezz'ora, ne' un quarto d'ora, ma tre minuti; e qual e' l'uomo indaffarato che non prende tre minuti per lavarsi le mani? Ancora, forse tre minuti sono troppi; tagliamoli in sei pezzi: sei volte durante la giornata, tre volte al mattino, tre volte al pomeriggio, tenetevi sospesi. Fermatevi. Avete fretta? Ragione di piu' per riprendervi! Avete da fare? Fermatevi, altrimenti farete delle sciocchezze. Dovete occuparvi degli altri? Ragione di piu' per cominciare da voi stessi, per paura di far del male agli altri. Dunque, staccate, distendetevi: mezzo minuto ogni due ore, fermatevi. Lasciate l'attrezzo. Tenetevi nella verticale. Respirate largamente. Ritirate i vostri sensi all'interiore. Restate sospesi davanti al nero e al vuoto interiore. E anche se non succede niente, avrete rotto la catena della precipitazione. Ripetete "mi richiamo, mi riprendo". E' tutto. Ditelo a voi stessi, ma soprattutto fatelo. Raccoglietevi, come si dice cosi' efficacemente. Raccogliersi, e' radunare tutte le briciole disperse del Se', che restavano aggrappate qua e la'. Rispondete come Abramo a Dio che lo chiamava, rispondete "Presente" (adsum). Si tratta dunque di restare presenti a se stessi e a Dio per mezzo minuto. Sospeso all'apertura del pozzo interiore. E' poco probabile che in cosi' poco tempo si arrivi a un tuffo profondo nel mistero dell'Io, ma non e' impossibile con la grazia di Dio. Nonostante cio', anche se non succede niente in questo momento di sospensione, avremo rotto la catena degli avvenimenti che ci tiene prigionieri, l'avremo rotta in sei punti, e avremo innescato la liberazione. Inoltre, se vogliamo non solo richiamarci alla coscienza, ma anche ricordarci che dobbiamo richiamarci ogni due ore, ci dovremo esercitare a un richiamo latente e continuo che ci sara' di sostegno a tutte le azioni e a tutti i pensieri della giornata. Il Richiamo e' il primo passo verso la conoscenza di se' o coscienza... E certamente niente e' piu' necessario di questo tuffarsi nella notte. Perche' l'uomo e' incapace di verita' fino a quando non riconosce l'errore concernente il proprio essere. Riconoscere l'errore e' gia' apertura alla verita' e spinta verso di essa. Poiche' non si puo' andare piu' lontano del nulla. E nel nero non si puo' dimorare. Il richiamo e' il primo passo in senso inverso, il piu' umile grado della risalita. Questo primo passo, anche se piccolo, e' decisivo e d'infinita conseguenza perche' e' il primo, senza di esso gli altri sono impossibili o illusori. Abbiamo visto che tutto comincia dalla testa. L'inizio della testa e' l'occhio. L'inizio del pensiero e' lo sguardo dell'intelligenza o Attenzione. Il Richiamo e' la conversione dell'Attenzione, il ritorno dello sguardo. Per mirare al bersaglio, arciere, i tuoi due occhi sono di troppo: chiudine uno! Se il bersaglio e' interiore, chiudine due e tira! Il primo passo sulla buona strada. E la strada e' buona, anche se e' in salita, pietrosa e soprattutto stretta. Piu' stretta della cruna di un ago, ne' i cammelli bardati ne' le ricche intelligenze potranno passare in quel punto esatto e rigoroso che e' il vero Io. Ma al di la' tutto si apre e si tramuta in luce. Sappiatelo, vi invito ad una grande avventura! (Da Lanza del Vasto, Introduzione alla vita interiore, Jaca Book, Milano 1989, pp.41-44). 3. RIFLESSIONE. RENE' DOUMERC: COLLOQUIO CON SHANTIDAS [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005. Rene' Doumerc e' responsabile di una comunita' di "Amici dell'Arca". opere di Rene' Doumerc: Dialogues avec Lanza del Vasto, Albin Michel, Paris 1983. Shantidas, come e' noto, e' il nome dato da Gandhi a Lanza del Vasto] - Doumerc: Mi permetta d'insistere. Quando scoprii il suo insegnamento, fui colpito da questo primo esercizio che lei proponeva, "le Rappel", "il Richiamo della Coscienza". Mi ricordo quei primi opuscoli mensili, "Les Nouvelles de l'Arche", nei quali lei presentava questo esercizio di entrata in se'. Lei sottolineava che non si trattava che di un primo passo. Eppure sembrava che lei proponesse questa introduzione di carattere essenziale e circoscritto precisamente a causa di questa sua sobrieta' intesa come protezione contro le sensibilita' affettate di devozione. Sembrava esserci in lei una diffidenza verso l'affettivita', e questo aspetto, devo dire, mi era piaciuto. Anche in Approche de la Vie Interieure lei ricollega questo metodo alla tradizione carmelitana della quale dice di condividere la diffidenza (se non il rifiuto) per le "consolazioni sensibili", le immaginazioni e i ragionamenti discorsivi. - Shantidas: Non ho mai posto il nostro metodo come esclusivo di una vita religiosa sentita. E' il contrario della sentimentalita' il fatto di riunirsi e cercare di sentire la presenza di Dio indipendentemente dai legami che ci sono fra noi, di mettere fra noi il legame della Presenza di Dio. Fin dall'inizio ho parlato di conoscenza, di possesso e di dono. C'e' una tecnica per la conoscenza e il possesso di se'; su questa tecnica si doveva insistere subito, altrimenti non vi e' possibilita' di dono. Non rinnego affatto questo aspetto, lo mantengo: se non conosci te stesso, se non ti possiedi, non puoi dare niente ne' a Dio ne' agli altri. Ma per il dono non vi e' tecnica, il dono e' precisamente l'effusione, la spontaneita' e l'abbandono al movimento dello Spirito. Il senso critico consiste a ben verificare se si tratta di un movimento dello Spirito o di altro, di qualche ubriacatura personale o collettiva. Il dono di se' suppone una conoscenza di se stessi e un possesso di se stessi, ma quando soffia lo Spirito non si tratta solo di dare, si deve anche ricevere dall'Alto e lasciar passare un'ispirazione attraverso di se'. - Doumerc: Il richiamo della coscienza permetterebbe dunque all'ispirazione di scendere: ispirazione e raccoglimento non sono due aspetti della vita spirituale senza legame; il ritirarsi in se' e' quindi una preparazione e un'attesa di questa ispirazione? - Shantidas: Come abbiamo sempre detto, il richiamo della coscienza prepara non solo a ricevere ma anche a contenere. Non dobbiamo essere un vaso bucato nel quale la grazia scende e se ne va; dobbiamo essere capaci di contenere quello che abbiamo ricevuto, farlo maturare per poterlo dare in un secondo tempo. Solo coloro i cui vasi non hanno crepe possono farlo. - Doumerc: La pratica del Rappel (Richiamo a se') non ci da' inoltre un certo discernimento in rapporto a quelle invasioni che possono essere o sentimentali o spirituali? Lo stato di Richiamo, il ritorno a se', permette di fare la discriminazione; si puo' anche filtrare cio' che arriva. Non pensa? - Shantidas: Si', ma non c'e' solo il Rappel, c'e' anche lo spirito critico: cosi' come il buon senso. Si parla della follia della Croce, ma e' una follia agli occhi degli imbecilli; e' una sapienza di Dio. - Doumerc: Per quanto mi riguarda, quello che il Rappel mi ha insegnato e' proprio a tenere i pensieri, a far si' che non sia trascinato automaticamente dalle idee. Lei dice giustamente in Approches de la Vie Interieure che non si tratta di rimbambirsi, ma di imparare a pensare, o qualcosa di simile... E' in questo senso che l'esercizio di presenza a se' mi pare atto a controllare ogni esaltazione e a dare il discernimento delle vere piste spirituali, nella misura in cui ci insegna a contenere questa intrusione forte ma confusa di sentimenti, immagini o idee. - Shantidas: I trascinamenti contro i quali dobbiamo guardarci sono quelli dal basso e di lato: ci lasciamo andare a qualsiasi impulso. Le idee che circolano, le prendiamo senza neanche accorgercene e le ripetiamo come se le avessimo inventate noi, ecco quello che dobbiamo evitare. Dobbiamo chiuderci verso il basso e aprirci verso l'alto; se ti chiudi dappertutto sei morto. Non si tratta di chiudere tutte le porte, ma di consolidare le pareti e il fondo. - Doumerc: Questo ritorno silenzioso su di se' che chiamiamo Rappel, sono sorpreso di sentirle dire che inclina all'aridita'. Noi lo predichiamo continuamente ai nostri amici del Gruppo come esercizio da fare con pazienza e costanza, poiche' ci apre la porta di mille presenze; perche' considero che dia una presenza a se' e agli altri e alle cose, a quei grandi alberi del parco che guardo in questo momento, una presenza incredibile, che mi sostiene continuamente. Il fatto di praticare il Rappel fedelmente mi ha fatto uscire dalla mia aridita' e dalla mia angoscia perche' mi ha messo in comunicazione con il mondo e gli esseri. Certo, se ci esaminiamo continuamente al punto di dirci: "devo ad ogni costo cacciare tutti i pensieri... vediamo se i pensieri sono spariti, vediamo se ci sono ancora...", capisco che possa diventare un rompicapo; dunque... potreste forse completare quello che cerco di esprimere? - Shantidas: No, la vostra testimonianza e' eccellente. Non si e' mai trattato di negare il Rappel. Non ho parlato di aridita' come conseguenza necessaria del Rappel, ho parlato di un rischio quando non se riceve nulla dall'Alto. Lo stesso accade con la meditazione, se non ti succede mai altro che lo sforzo di concentrarti senza raggiungere la gioia nel riposo. E' a quel punto che occorre anche altro... L'uccello spirituale ha due ali, se ne fai battere solo una, cadi... - Doumerc: C'e' un'altra critica che viene fatta a volte al Rappel: sarebbe un esercizio che, riportandoci a noi stessi, impedirebbe il dono di se'; il richiamo a se' sarebbe in contraddizione con la chiamata al dono. Come rispondere a questo appunto? - Shantidas: Rispondiamo come l'Ecclesiaste: "Vi e' un tempo per raccogliere le pietre e un tempo per lanciare le pietre". Se vuoi lanciare le pietre senza mai raccoglierle non avrai pietre da lanciare; se vuoi sempre precipitarti verso l'altro e dare, dare, dare e dimenticare te stesso, ti sfinirai, ti vuoterai, senza colmare nessuno. Dunque ripeto: non vi e' contraddizione nel fare gesti complementari. Vi e' un alto, un basso, un avanti, un dietro, un lato e un altro lato; e' necessario prendere la vita spirituale in tutte le direzioni, ma credo che l'insegnamento fin dall'inizio, dica queste cose. In Approches de la Vie Interieure tutti questi aspetti vengono esaminati; si puo' essere attirati piu' da una parte o da un'altra secondo le proprie tendenze personali, ma dobbiamo sempre tendere a completarci. - Doumerc: La mia esperienza e' che la pratica stessa del Rappel e' un apprendistato del dono di se', perche' e' un esercizio che consiste a rifiutare un certo "io", a metterlo da parte per un momento, a dimenticare un momento, per esempio, lo smacco che questo "io" ha appena subito, o a non pensare alla replica, alla presa, al possesso che riempiranno il vuoto, ed e' in questo che e' difficile il Rappel. E' un esercizio nel quale si rinuncia a se', umilmente e per breve tempo certo, ma in modo vero. E' gia questo un esercitarsi al dono di se', poiche' e' quantomeno esercitarsi alla rinuncia a se' e il germe del dono e' proprio li' in questo assottigliarsi del personaggio, nel distacco e nel silenzio: questo breve rivolgimento interiore mi dara' in seguito, se Dio aiuta, il potere di disfarmi delle mie formicolanti preoccupazioni e calcoli per rivolgermi completamente verso quel passante che chiama, per rendermi completamente disponibile... se', esercizio di Amore. - Shantidas: Hai detto molto bene, non ho nulla da aggiungere. - Doumerc: Lei dice che questo esercizio di presenza a se' e' una condizione per porsi veramente in presenza di Dio. In questo silenzio vigile di tutto l'essere, la preghiera trovera' la sua sorgente e la sua forza... - Shantidas: Il Rappel e' un "seme di contemplazione", per riprendere una espressione di Thomas Merton... (Da Rene' Doumerc, Dialogues avec Lanza del Vasto, Albin Michel, Paris 1983, capitolo "Ispirazione, richiamo, preghiera", p. 127). 4. RIFLESSIONE. GIOVANNI VANNUCCI: RICHIAMO E PREGHIERA [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005. Un profilo di Giovanni Vannucci - curato dalla redazione di "Arca notizie" - e' in apertura del testo che segue] Premessa redazionale Riprendiamo da Invito alla preghiera di G. Vannucci, L.E.F., Firenze, 1979 il capitolo dal titolo "Silenzio" (pp. 13-19). Padre Giovanni Vannucci (1913-1984), sacerdote dal 1937, monaco dell'Ordine dei Servi di Santa Maria, fu a piu' riprese insegnante di esegesi biblica e di lingua greca ed ebraica, e piu' tardi di storia delle religioni presso il suo Ordine. La sua vita, animata da un grande amore per la verita' e la fraternita' condivisa, ebbe alterne vicende; soffri' incomprensioni a causa della sua vastita' e liberta' di pensiero, in anticipo sui tempi. I suoi interessi culturali vastissimi, affrontati con passione e serieta', spaziavano tra Sacra Scrittura, liturgia e tradizione, mistica, ricerca linguistica e gnoseologica. Vannucci scrisse molto, curo' alcune collane e collaboro' a varie riviste. Il frutto piu' bello della sua vita e della sua ricerca, pero', si concretizzo' nel 1967 quando pote' dare avvio a una nuova forma di vita monastica nell'eremo di San Pietro alle Stinche, presso Panzano in Chianti (Firenze), con il semplice intento di offrire un luogo di silenzio, di lavoro e di meditazione aperto a tutti. E' autore de Il libro della preghiera universale, utilizzato all'Arca per la preghiera quotidiana in comunione ogni giorno con una diversa tradizione religiosa. Le introduzioni ai vari giorni sono le stesse che ritroviamo ne L'Arca aveva una vigna per vela di Lanza del Vasto, pubblicato in Francia nello stesso anno. La redazione di "Arca notizie" * Non si prega soltanto col sentimento o con le labbra o con la mente, ma e' l'uomo stesso che deve trasformarsi in creatura orante, cioe' deve trovare l'equilibrio perfetto del suo essere, passare dal disordine ad uno stato di armonia, di pace, di rasserenamento delle sue forze. Ora vorrei indicare un modo di preghiera che risponda meglio alla vostra necessita' di uomini che vivono in tempi agitati e rumorosi: quello che consiste nel creare durante il corso delle giornate delle pause di silenzio, che favoriscano la comunione con quanto veramente ha valore. Tutti gli spiriti grandi hanno avuto momenti di supremo raccoglimento e anche noi dobbiamo riuscire nella nostra giornata a trovare quella sosta nella quale ci sia consentita la scoperta della santita' del nostro essere, la rivelazione del senso della vita, per poi rientrare nell'esistenza cosi' chiassosa e travagliata, con mente piu' calma, con una capacita' di sicuro dominio di noi e degli eventi; con una forza nuova di spirito, che ci permetta di attraversare i giorni senza fare spreco del dono del tempo. Nel primo capitolo del Vangelo di San Giovanni, ci viene comunicata una grande verita': il Verbo di Dio era la luce degli uomini; luce che illumina ognuno che viene in questo mondo. Parola sconfinata! Il Verbo di Dio illumina ogni uomo senza distinzioni di razza, di sangue, di nazione. Ogni uomo: senza distinzione di titoli, di partiti, di religione. Egli illumina il cinese come il romano, l'uomo che nasce a Mosca come chi nasce a Roma; illumina il boscimano e il pigmeo come illumina il genio. Ogni uomo dunque, fin dal suo apparire, e' illuminato dalla luce di Cristo. E noi portiamo nella parte piu' santa del nostro essere tale luce che viene da lui. Ora, l'impegno religioso di ciascuno, mi sembra consista nello scoprire la luce che scende in noi dall'alto. E come arrivare a tanto, se permettiamo che siano accesi nella nostra esistenza altri chiarori di origine diversa? Come possiamo ascoltare la parola di Dio, quando i nostri orecchi sono sensibili a troppe altre voci che giungono dal di fuori? Consideriamo il mistero della nascita di Cristo: non nasce nella citta' distratta e piena di rumori, ma nella grotta silenziosa e nel buio della notte. Tale e' il mistero della nascita di Dio in noi: non puo' nascere in noi finche' siamo travolti e storditi dal rumore, finche' in noi ci siano delle forze che ci trascinano all'esterno. Eppure la luce di Dio e' la perla preziosa che portiamo nel cuore. Il cammino verso il silenzio che accoglie la nascita di Dio e' l'impegno religioso che risponde alla nostra condizione piu' di tutte le altre pratiche devozionali che possiamo avere escogitato. Tale impegno mi sembra consista precisamente nel riuscire a vedere la luce del Verbo di Dio che splende in noi. Perche' in noi c'e' il Signore e c'e' la possibilita' di raggiungerlo; in noi c'e' lo Spirito ed abbiamo la possibilita' di entrare in comunione con lui. Se ancora non abbiamo coscienza che Egli e' presente, cio' significa che siamo distratti. Se ancora non siamo uomini ordinati, rinati, emersi dal caos del mondo meccanico, dipende unicamente ed esclusivamente da noi. Dio e' sempre presente, da noi richiede la generosita' di passare in una dimensione del tutto diversa da quella della nostra vita giornaliera, dove splendono luci che non sono di Dio. In Dio esiste solo il silenzio, dal quale germoglia la parola eterna, che aiuta la nostra realta' terrena a trovare il vero ordine. Di tanto in tanto accadono fatti che ci colgono di sorpresa colpendoci nel profondo: la morte improvvisa di una persona cara, per brevi istanti, ci fa entrare nella dimensione delle realta' non effimere; un insuccesso, una malattia, qualcosa che non va secondo la nostra aspettativa, possono costituire un richiamo violento ai veri valori. Pero' appena abbiamo consegnato la persona cara alla tomba, torniamo a casa parlando di tutt'altre cose, dimentichi del mistero che e' passato su noi. Siamo dei grandi disordinati ed allora dobbiamo trovare con costanza e fermezza e sforzo continuo quegli atteggiamenti che ci permettano di scorgere la luce del Verbo. Tale sforzo mi sembra che avanti tutto debba essere volto a distaccare la nostra luce interiore, la parte piu' santa di noi, da tutte le realta' esterne; e rientrare in noi stessi, e vivere in perfetta comunione con le realta' sacre, dalle quali siamo continuamente stornati dal mondo che ci assedia, per creare degli spazi di silenzio nella nostra giornata. Cio' non vuol dire che dobbiamo soffermarci in una qualsiasi meditazione religiosa; ad esempio, se sosto a pensare sul mistero di Dio e cerco di ricordare la moltitudine delle definizioni che di Dio sono state date; a rievocare quanto su Dio hanno detto tutte le religioni, non faccio silenzio in me, perche' in me resta ancora attiva la mente. Il nostro pensiero e' sempre qualcosa di aggiunto al nostro io interiore. La mente e' lo strumento che ci serve per il dominio dell'universo, per la scoperta delle leggi dell'esistenza, ma nella comunione con lo Spirito dobbiamo far tacere la nostra mente ed il pensiero. Se mi chiedete come, risponderei cosi': scegliete nella vostra giornata una pausa di raccoglimento, possibilmente al mattino - e' l'ora migliore - oppure al vespero, quando tutta la natura si placa. Un tempo di silenzio totale c'e' anche nella natura, nel passaggio dalla luce alle tenebre e viceversa. Cercate, in questi attimi, di essere soli; totalmente soli,liberi dalle onde che vengono dal nostro essere sia mentale, sia emotivo, sia fisico; di sentirvi delle realta' oranti, in comunione con lo Spirito Santo. Fate che queste pause siano cosi' intense da stabilire il silenzio intorno e dentro di voi. Dio esiste, lo Spirito passa sulla nostra vita, la luce di Cristo continua a irradiare la parte piu' viva di noi, ma se noi teniamo gli occhi chiusi non abbiamo alcun diritto di lamentarci se continuiamo a sentire Dio lontano. Siamo come l'uomo che tiene le finestre chiuse e si lagna che il sole non sorge. Apri le finestre e poi il sole entrera' trionfante, anche nella tua stanza. Questi non sono che dei suggerimenti. Ognuno dovra' comportarsi secondo il proprio spirito e le proprie possibilita'. Ma vorrei che ciascuno sapesse vincere tutte le pigrizie per eseguire con fedelta' questo esercizio. Scegliete dunque il momento: al mattino o alla sera; poi scegliete anche un posto che sia tutto vostro; un posto adatto, raccolto, che aiuti anche il fisico a placarsi, dite addio a tutto, e liberatevi da ogni inquietudine. Il lavoro vi attende? Il lavoro aspettera' la sua ora. Preoccupazioni, problemi seri, angosce forse, difficolta' di qualsiasi genere, malattie, amarezze, tristezze, alla soglia di quel recinto devono tacere. E' necessaria una grande costanza, e non avvilirsi mai, e non stancarsi mai. Noi occidentali non siamo piu' abituati alla contemplazione, lo sforzo deve essere piu' rigoroso ed assiduo. Impiegheremo degli anni, e molti forse, prima di riuscire a fare in noi un silenzio totale; insistendo, il proposito sara' pienamente coronato. Ma uno potrebbe dire ancora: come faccio a dimenticare i problemi urgenti della mia famiglia e del mio lavoro? Ecco, se non voglio pensare a una sedia, quando mi si presenta l'idea della sedia, rimango fermo come se questa idea non si fosse presentata allo spirito. Ad un certo momento cessera' di salire sullo schermo della mia fantasia ed io potro' continuare il cammino della contemplazione. Oggi ho un esame, una lezione che mi impegna, un lavoro urgentissimo e difficile, non importa: in quel momento mettete tutto da parte. Questi pensieri torneranno, ma se voi rimanete fermi come statue, vedrete che essi lentamente si dilegueranno, per ripresentarsi, al momento in cui dovrete affrontarli. Avete delle persone in famiglia che vi danno inquietudine? Avete qualcuno che vi angustia? In quel momento dimenticate tutto. Non dico questo perche' siate privi di amore; ma quel momento e' tutto vostro; e' l'ora del cammino che parte da voi e termina in Dio. E' il cammino che Plotino definiva come "solus ad solum"; e' il movimento del solitario per raggiungere ed immergersi nella pienezza divina dello Spirito Santo. Mettete da parte tutti i vostri piani di lavoro, le vostre speranze, quanto vi attende nella giornata; dimenticate tutto, ogni legame con il mondo. In quel momento dovete essere soli. Immaginate che questa pausa di preghiera totale sia come l'istante della morte. Quando arriveremo al momento del trapasso, saremo soli, anche se attorniati da persone a noi unite per amore, le quali partecipino pienamente del grande mistero che sta per compiersi. Saremo soli, soli di fronte all'Eterno. Tale deve essere il momento della nostra preghiera. E tutto cio' per raggiungere la pace del cuore. Perche' il nostro Dio e' il Dio della pace, ed egli non si comunica nell'agitazione, ne' si comunica a persone distratte e divagate, che pregando pensano alla loro barba o al lavoro, o alla malattia della persona cara. Dio ci vuole liberi, calmi e pacificati. Vedete che sforzo enorme si richiede da parte nostra; non direi neppure sforzo, perche' noi non dobbiamo portare sforzo nella preghiera. Lo sforzo e' attivita' puramente umana, e introduce nella preghiera elementi che vengono dal basso. Quindi, in qualche modo, e' un ritornare nell'agitazione. Ecco, figurate di essere nel momento di preghiera: sentirete la vostra mente, la vostra fantasia, i vostri sentimenti invasi da stormi di pensieri, di preoccupazioni, di impazienze, da movimenti impensati del corpo. Cosa fare? Rimanete fermi e silenziosi. Tutte queste cose non appartengono piu' a noi. Le preoccupazioni della giornata che mi aspettano, attendano pure: in quel momento non mi appartengono. Le stesse persone della mia famiglia, in quel momento non sono piu' mie, le angosce, le gioie, le speranze, che pure sono l'anima della mia esistenza, in quel momento non sono piu' cose mie. Io devo essere una creatura in uno stato perfetto di preghiera, una creatura che ascende dalla terra, penetra nei cieli ed entra in comunione pacificante con lo Spirito Santo. 5. RIFLESSIONE. M. FERRE': IL CONFLITTO E IL RAPPEL (CON UNA PREMESSA DI ANTONINO DRAGO) [Da "Arca Notizie", trimestrale del movimento dell'Arca in Italia, anno XX, n. 1, gennaio-marzo 2005. Antonino (Tonino) Drago, nato a Rimini nel 1938, e' stato il primo presidente del Comitato ministeriale per la difesa civile non armata e nonviolenta; gia' docente universitario di Storia della fisica all'Universita' di Napoli, attualmente insegna Storia e tecniche della nonviolenza all'Universita' di Firenze, e Strategie della difesa popolare nonviolenta all'Universita' di Pisa; da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997. Su M. Ferre' purtroppo non siamo riusciti a reperire dati biobibliografici certi] Premessa di Antonino Drago E' noto che Galtung definisce un conflitto come un A-B-C. Il che vuol dire le seguenti affermazioni: 1) un conflitto, pur di saperlo prendere per i versi giusti, e' semplice come l'ABC delle elementari; 2) un conflitto e' Assunzione, comportamento (Behavior), Contraddizione; 3) piu' in generale e piu' precisamente, un conflitto e' un aspetto motivazionale (A), un aspetto oggettivo (B) e un aspetto soggettivo (C); 4) in altri termini, un conflitto e' in maniera essenziale tre idee in un'idea; 5) tutti e tre questi aspetti debbono essere tenuti uniti per raggiungere quella soluzione che sia una vittoria comune delle due parti; 6) invece, usualmente si vive un conflitto o distruggendolo assieme all'avversario, o prendendo solo uno dei tre aspetti: o emozioni, o ideali, o giudizi su pochi fatti. Nella storia i conflitti non sono stati mai capiti, perche' per la ragione occidentale il compito era troppo complesso: comprendere tre idee in una; al massimo si capivano due idee in conflitto tra loro per giungere alla vittoria di una delle due, in modo da ritrovare la linearita' e l'unicita' del pensiero. Indipendentemente da tutto cio', M. Ferre' e' giunto a caratterizzare la dinamica di un conflitto interpersonale in maniera ternaria. Il brano seguente mostra l'importanza di pensare i conflitti con tre aspetti, invece di due; anche se qui i tre non sono gli elementi del conflitto, ma gli atti della dinamica interpersonale. Qui si riporta con lievi modifiche il suo scritto, che riesce a descrivere la soluzione nonviolenta di un conflitto in maniera ancor piu' generale della psicoanalisi (e certamente anche del marxismo, che e' schiacciato sulla logica binaria della azione-reazione). Tutto qui dipende dall'interiorizzazione, cioe' dal richiamo a se stessi durante un conflitto, anche il piu' sconvolgente. Nell'antichita' questa prima fase di interiorizzazione e' stata intesa in maniera solo passiva; essa ha dato luogo all'invito alla "patientia"; la radice di questa parola e' "patire", cioe' prima di tutto soffrire in silenzio, fatta salva la capacita' di creare un risposta migliore. Antonino Drago * Il pensare in maniera binaria esprime una mentalita' di contrapposizione; essa genera un comportamento che si puo' riassumere con il meccanismo di azione e reazione (giusto/ingiusto, buono/cattivo, ragione/torto, amico/nemico, ecc.): se mi aggrediscono, io reagisco subito e lo faccio con la stessa forza. Ad esempio, ripensiamo i "film d'azione" hollywoodiani. Sono essenzialmente dei "film di azione-reazione". La sceneggiatura e' semplice e quasi sempre la stessa: l'eroe del film, generalmente un uomo perbene e muscoloso, vive una vita apparentemente soddisfatta. Improvvisamente la cattiveria dello sceneggiatore gli fa subire delle situazioni fortemente dolorose: perdita dei suoi, per esempio. Da quel momento in poi, la violenza dell'"uomo perbene" e' giustificata, anzi, e' desiderata, piu' o meno consciamente, dal pubblico, che cosi' ha il permesso di sfogare nell'immaginario il sovrappiu' di violenza istituzionale o relazionale che vive nel suo quotidiano. Invece un eroe nonviolento non sarebbe una grande attrattiva. E' evidente che questi film binari con budget enormi, non fanno che confermare una visione riduttiva del mondo. Per uscire dall'ingranaggio di azione/reazione, occorre cercare di frapporre un tempo di interiorizzazione e di riflessione; cioe' un terzo tempo (1). Da qui l'interesse a seguire un pensiero ternario che regoli il nostro comportamento. L'atteggiamento ternario puo' essere rappresentato cosi': - un movimento verso l'interiore: interiorizzazione; - un momento dinamico interno: dinamizzazione; - un movimento verso l'esteriore, proiezione. Come funziona tutto cio' nelle situazioni conflittuali? La prima tappa, quella dell'interiorizzazione, ci introduce alla nostra capacita' di apertura e di disponibilita'. Per cosi' dire, si sforza nel compito quasi impossibile di essere "nuovo" in qualsiasi momento. Cio' ci e' difficile soprattutto perche' molti elementi fanno si' che in ogni istante noi evadiamo dal presente, a causa ad esempio della valanga di informazioni che riceviamo costantemente, soprattutto nella vita urbana, oppure a causa della tendenza a parlare continuamente nel proprio intimo, raccontandoci delle storie, o vivendo molto d'immaginazione. Per diminuire questa sovraoccupazione del nostro spirito, possiamo per esempio imparare due comportamenti molto utili: diminuire il nostro consumo di energia; non farci impressionare molto dagli avvenimenti o dai nostri stessi pensieri. Vediamo il primo atteggiamento. Spesso l'origine del comportamento irascibile, violento e' la stanchezza. Questa ci rende ipersensibili, ci fa vivere "a fior di pelle", in maniera terribilmente reattiva (comportamento binario). Quasi sempre si riesce ad evitare questo comportamento imparando, in ogni istante, a utilizzare l'energia giusto necessaria per fare quello che abbiamo da fare. Osserviamo un artigiano esperto. I suoi gesti sono misurati, efficaci, armoniosi. Non si stanca con sforzi inutili perche' il suo modo di lavorare e' vicino al fare yoga. Noi possiamo fare allo stesso modo. Agire in ogni istante in una maniera lineare, avendo coscienza dell'energia che usiamo e trattenendo quella che non e' utile. Questa maniera di concentrarci sul presente ha il merito di mantenerci in forma, pronti agli eventi difficili. Il secondo atteggiamento e' un po' piu' delicato, ma da' molti frutti. Fondamentalmente noi siamo degli esseri impressionabili. Un maestro (Gurdaief) diceva che noi ci nutriamo di alimenti, di aria e di impressioni. Ora, allo stesso modo che esiste una ingordigia alimentare, cosi' c'e' una ingordigia emotiva e sensitiva. La nostra cultura ci inonda di sensazioni che noi viviamo in una maniera passiva e quasi incosciente. Allora noi possiamo imparare a non essere molto impressionabili. Il che chiaramente non vuol dire diventare insensibile. E' piuttosto arrivare ad una certa serenita'. Come fare? Basta che nel momento in cui arriva qualcosa ci diciamo: "A questo non voglio dare un'importanza troppo grande". Dopo una mezz'ora di questa "igiene" delle impressioni, gia' possiamo notare una grande pacificazione del nostro spirito. Allo stesso modo, possiamo praticare una igiene dei pensieri. Perche', stranamente, la stessa cosa avviene con le nostre idee: ci lasciamo facilmente impressionare o affascinare da quello che pensiamo o immaginiamo. Un niente ci fa infiammare come un fuoco di paglia. E questo ci allontana irrimediabilmente dal presente. Invece quando arriva una idea, possiamo accettarla con moderazione, senza lasciarci trascinare da una fantasticheria immaginativa ed emotiva. Dunque, per dirla in breve, per renderci disponibili all'attualita' e agli altri, possiamo proporci un migliore uso della nostra energia interiore e una vigilanza continua della nostra "impressionabilita'" (dare alle cose la loro giusta importanza, senza enfatizzarle).Questi due atteggiamenti ci rendono piu' disponibili e dunque piu' adatti a rispondere con calma e serenita' alla violenza. La seconda tappa e' quella del tempo interiore (quest'ultima e' una parola centrale), durante il quale rifletto su quello che ho appena vissuto. Nel mondo "binario", le persone sono come oggetti (palle da biliardo cieche) non hanno un tempo interiore, che e' tipico degli esseri coscienti (e' per questo motivo che la scienza determinista e meccanicistica non puo' avere un approccio valido con i fenomeni viventi. Tutto e' ridotto a oggetti, molecole e ad azioni/reazioni di tipo fisico-chimico). In fin dei conti, un essere vivente da' l'impressione di essere nient'altro che la somma delle rotelline di un ingranaggio. L'interiorizzazione e' la chiave di volta del nostro atteggiamento nonviolento (o che tende alla nonviolenza). Questo tempo interno, nel quale l'essere umano ha un'attivita' propria, e' la sua ricchezza. Visto dall'esterno e' un momento apparentemente neutro. Mi aggrediscono: io non mi muovo, non reagisco subito, interiorizzo la situazione; ne approfitto per cercare la radice del problema: Dove, in quale angolino si rifugia la sofferenza dell'altro, questa sofferenza che lui mi vuole trasmettere attraverso la violenza, la violenza di cui cerca di liberarsi? Da parte mia, posso forse fargli un po' di spazio ed assorbirne una piccola quantita'? Se ci riesco, allora possiamo dialogare. Se non ci riesco, bisogna che io glielo dica chiaramente e semplicemente, senza versare benzina sul suo fuoco. In tutti i casi e' stato importante ritirarsi per qualche secondo da questa situazione delicata, in modo da lasciare il tempo all'interiorizzazione. La parola centrale di questo atteggiamento e' "buona volonta'". Essa e' come il fermento, come gli enzimi che permettono di migliorare il vivere quotidiano. La terza tappa, infine, e' quella della creazione. Cosi' come un seme duro produce con la sua attivita' un magnifico fiore profumato, noi possiamo utilizzare ogni conflitto come base per una creativita'. Non deve sorprendere che la cosa piu' meravigliosa del comportamento ternario e' che, grazie al tempo dell'interiorizzazione, abbiamo la possibilita' di fare appello all'intuito creativo: che cosa posso portare di "fresco", di nuovo, alla situazione? E da dove viene questa possibilita' di creativita' nel conflitto? In realta', questo momento di tensioni e di crisi e' anche un momento di verita', un punto di partenza. Puo' essere l'incominciare "qualcosa di veramente nuovo". Se riusciamo a stabilizzare un po' la situazione ed arrivare al dialogo, allora puo' nascere, malgrado tutto, una prima maniera di intendersi. Nella relazione quotidiana con i bambini cio' e' possibile con facilita', poiche' essi sono sempre aperti alla novita'. Con loro possiamo sempre stabilire un contratto, proporre una nuova maniera di relazionarci: "A partire da oggi, noi...". Se non usiamo furbescamente questo contratto come una trappola, per loro inizia una relazione in cui si sentiranno un po' piu' riconosciuti come persone. Nella relazione di coppia, l'ideale e' mantenere viva e creativa la vita quotidiana. Sappiamo bene che le tensioni diventano frequenti quando l'altro sembra prevedibile (cioe': non creativo), se non addirittura automatico. Quando poi ci si scontra, quale tipo di creativita' dovrebbe intervenire? Un conflitto aperto, anche se drammatico fino ad arrivare alla rottura, purche' arriviamo a viverlo nella maniera piu' nonviolenta possibile, permette sempre un piccolo miracolo: diventare piu' adulti, crescere. Per fare cio' e' importante mantenerci sempre in contatto con l'intuizione creativa (le persone religiose diranno con Dio), cercare di mantenere il dialogo con l'altro ed esprimere molto chiaramente che non abbiamo nessuna intenzione di ferire l'altro. Nella relazione con lo Stato, sara' necessario il compromesso (che non e' affatto la compromissione), cosi' come lo presenta Lanza del Vasto (riprendendo l'idea di Gandhi): "La bellezza del compromesso e' che qualcosa avvenga, che una parte della Verita' passi nella Realta'". Il che costituisce una creazione per ambedue le parti. Quindi il "comportamento ternario" e' un atteggiamento ricco, perche' attinge all'interiorita' della persona. Ma deve essere innanzitutto un atteggiamento umile e discreto. La nonviolenza non e' tanto il rifiuto della violenza dell'altro, quanto la ferma volonta' di ridurre la mia. Ma perche' dovremmo rispettare la violenza dell'altro? Perche' essa molto spesso non e' altro che l'espressione disperata della sofferenza; e per questo mascheramento la violenza deve essere ascoltata e accolta come una sofferenza. Inoltre, potra' essere piu' o meno giusto che io reagisca con la sua stessa modalita', ma non c'e' niente che disturbi di piu' colui che esprime senza freni il suo dolore che il non vedersi preso sul serio, vedersi minimizzare o disprezzare. D'altra parte, se il nostro atteggiamento "nonviolento" fosse troppo forzato o artificiale, questo sara' vissuto dall'altro come un'incomprensione o una mancanza di compassione. Quindi ricerchiamo con tutte le nostre forze una nuova cultura e una nuova educazione ternaria, perche' senza di esse sara' difficile immaginare un futuro sereno per l'umanita'. * Note 1. Leibniz esprimeva un parallelo tra l'essere flessibili nei rapporti interpersonali e l'elasticita' dei corpi in un urto; questi assorbono il colpo e poi lo restituiscono a molla. L'analogia e' sviluppata in A. Drago e A. Pirolo: "Meccanica, urto e nonviolenza", in A. Drago (ed.), Per un Modello Alternativo di Difesa Nonviolenta, Editoria Universitaria, Venezia 1995, pp. 199-208. 6. CONTROEDITORIALE. LEO SASSICALDI: UNA DICHIARAZIONE DI VOTO [Ringraziamo il nostro buon amico Leo Sassicaldi per questo intervento] Alle prossime elezioni politiche andro' a votare per difendere la legalita' costituzionale, della Costituzione figlia della Resistenza e della Liberazione dal nazifascismo. Costituzione, Resistenza, Liberazione: quali brutte parole so ancora dire. Alle prossime elezioni andro' a votare anche per poterle dire ancora senza dover temere per questo. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1221 del primo marzo 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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