Nonviolenza. Femminile plurale. 51



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 51 del 16 febbraio 2006

In questo numero:
1. Hannah Arendt: La pietra di paragone
2. Maria G. Di Rienzo: Chiedere il pane e le rose, nello Zimbabwe
3. Antonia Sani: Sveliamo la laicita'
4. Enrico Peyretti: Ascoltando Etty Hillesum
5. Giovanna Romualdi presenta "La giustizia negata" di Giuliana, Marisa e
Gabriella Cardosi
6. Gabriella Freccero presenta "Le lacrime di Achille" di Helene Monsacre'

1. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA PIETRA DI PARAGONE
[Da Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993, p.
317. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu
allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

La pietra di paragone di un atto libero e' sempre la consapevolezza da parte
nostra che avremmo potuto non realizzare cio' che invece abbiamo di fatto
realizzato.

2. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: CHIEDERE IL PANE E LE ROSE, NELLO ZIMBABWE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo articolo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di
Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti,
Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza
velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli
2005]

Il 14 febbraio la polizia dello Zimbabwe ha arrestato ad Harare, la
capitale, piu' di quattrocento persone, fra cui 242 donne del gruppo di
attiviste "Woza" (Women of Zimbabwe Arise, ovvero Donne dello Zimbabwe
alzatevi). Nello stesso giorno 181 donne del medesimo gruppo, e 15 dei loro
bambini, hanno passato la notte in prigione a Bulawayo, una citta' del sud
del paese.
La protesta organizzata dalle donne di "Woza" e' diretta contro la durezza
della situazione economica e sociale dello Zimbabwe, e si e' tenuta nel
giorno di S. Valentino, come spiega la portavoce Annie Sibanda, per chiedere
"il pane e le rose": "Abbiamo marciato per chiedere prezzi accessibili per i
cibi di base, e rispetto per la nostra dignita'".
La polizia ha accusato le dimostranti principalmente di schiamazzi ed
ostruzione del traffico, in alcuni casi e' stata avanzata l'accusa di aver
contravvenuto alle leggi sulla sicurezza. Ma come e' accaduto anche in
precedenza, i tribunali rifiutano di dare inizio "motu proprio" all'azione
legale, chiedendo alla polizia di procedere con mandati di comparizione. In
questi giorni, infatti, come racconta l'avvocata del gruppo Perpetua Dube,
le donne vengono rilasciate: "Sono perlopiu' casalinghe, le persone che
devono cucinare quel poco cibo che c'e'. E dicono solo che abbiamo bisogno
di amore e di cibo".
Sono tre anni che la polizia impedisce a "Woza" di tenere dimostrazioni il
giorno di S. Valentino, per evitare che il gruppo metta in luce i problemi
sociali ed economici che nel paese affliggono in maggior misura donne e
bambini. Le lamentele concernono la mancanza di cibo, la mancanza di
carburanti e la disoccupazione (lo Zimbabwe ha tra l'altro il piu' alto
tasso di inflazione al mondo). Il governo ha bandito le dimostrazioni e le
riunioni in pubblico nel 2000, quando le tensioni furono tali da metterlo in
crisi. Il presidente Mugabe ha sostenuto che i problemi economici sono il
risultato di una sorta di "cospirazione" internazionale che sostiene nel
paese gli agricoltori e proprietari terrieri bianchi. Ci ricorda qualcuno
dei nostri governanti, non e' vero?
(Fonti: Reuters, Irin News)

3. RIFLESSIONE. ANTONIA SANI: SVELIAMO LA LAICITA'
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net). Antonia Sani,
prestigiosa intellettuale e docente, amica della nonviolenza, tra i membri
fondatori del Comitato nazionale scuola e Costituzione (1985) e presidente
del Crides (Centro romano per la difesa dei diritti nella scuola), collabora
con varie riviste ed ha contribuito con saggi e interventi a molte
pubblicazioni]

Il significato originario del termine svelare e' liberare dal velo; vien
fatto di pensare a un velo fitto che nasconde i tratti caratteristici di
cio' che non deve essere visto. E' un'immagine, questa del velo fitto, che
mi perseguita in tempi in cui sempre piu' la parola laicita' viene agitata
sul mercato elettorale in contrapposizione allo slogan intollerabile cui e'
stata ridotta sul medesimo mercato dallo schieramento opposto la parola
famiglia.
Si tratta infatti di una laicita' velata: il velo le e' stato imposto dalle
mediazioni dei tavoli programmatici di un'unione politica improbabile quanto
necessaria in questo deprecabile sistema maggioritario. Cio' che e'
arretramento per gli uni e' avanzamento per altri. A farne le spese e' in
primis il principio della laicita'.
Di laicita' dello Stato molto parlano le forze del centro-sinistra in questa
tornata elettorale, costrette a farlo dall'invadente presenza del Vaticano,
ma quando si passa dalle facili enunciazioni- che dovrebbero aver presa su
un generico elettorato laico - agli aspetti concreti delle questioni sul
tappeto, ecco che dobbiamo fare i conti col fitto velo.
I Pacs vanno bene per sanare la situazione economica delle vecchie coppie di
fatto (ce ne sono tante in Emilia-Romagna), le donne fanno bene a protestare
perche' non venga toccata la 194 per una "maternita' consapevole", le scuole
devono aprirsi laicamente alla "multiculturalita'". E, beninteso, c'e'
sempre l'aggiunta che la famiglia non si tocca, anzi. Allora, la voglia di
togliere, di strappare il velo a questa laicita' "sana" e' davvero grande.
I politici facciano pure le loro evidentemente irrinunciabili mediazioni, ma
noi no. E' bene che nelle piazze, in piu' piazze, si gridi che cosa si
intende per laicita'. Gridino le donne che laicita' e' oltre la l94, e' la
liberta' delle scelte sul proprio corpo, la gestione della propria
sessualita', condizionata come sempre da modelli e interventi imposti da un
ossequio, magari oggi praticato con maggiore indifferenza, ma comunque
praticato, nei confronti delle gerarchie cattoliche.
Si gridi che oltre i Pacs c'e' il riconoscimento delle convivenze
omosessuali, che questo e' l'orizzonte in cui si iscrive la laicita' dello
Stato programmata nell'articolo 3 della nostra Costituzione.
Gridino gli insegnanti, gli studenti, i genitori, che non ci stanno alla
confusione quotidianamente propinata tra interculturalita' e laicita'.
La laicita' della scuola e' oltre l'accoglienza delle diversita', e'
formazione critica della persona, liberazione delle coscienze dal predominio
esercitato dai privilegi (intoccabili) della Chiesa cattolica.
In questo momento e' importante la pluralita' dei luoghi, la radicalita' e
la caratterizzazione delle istanze. E, perche' no? anche la contemporaneita'
degli eventi.
Affinche' passi all'opinione pubblica (tv e stampa permettendo!), ai ragazzi
e alle ragazze, la percezione della complessita' della materia in cui si
innerva il principio della laicita', la consapevolezza che non ci sara' mai
uno Stato laico se laica non sara' in tutte le sue pieghe la societa' che
elegge i propri rappresentanti nelle istituzioni.
Bene dunque la manifestazione dei vecchi e nuovi movimenti delle donne a
Napoli "194 parole per la liberta'" e la contemporanea manifestazione
"Facciamo breccia" a Roma, (e magari ce ne fosse anche una per la lacita'
della scuola...). A patto pero' che tutte insieme concorrano a svelare il
volto autentico della laicita'.

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: ASCOLTANDO ETTY HILLESUM
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento.
Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio,
ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con
altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio",
che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi
"Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research
Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi
per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della
rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro
Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e
del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie
prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario.
Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima".
Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le
scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani,
Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano
1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori,
Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum.
L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del
deserto, Liguori, Napoli 2004.
Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel
1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo
valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua
meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la
riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985,
1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum:
AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di
"Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia
Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal
Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma
2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni
Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore,
Edizioni Messaggero, Padova 2002]

Il saggio di Wanda Tommasi, "Etty Hillesum, testimone e vittima della Shoah"
(riproposto ne "La nonviolenza e' in cammino", n. 1195), e' quanto di meglio
mi e' accaduto di leggere sulla "grande anima" Etty...
Su un punto solo, tra i tanti belli e importanti, intendo soffermarmi. Wanda
Tommasi dice che Etty come Jonas esclude la potenza di Dio a favore della
sua bonta', essendo incompatibili le due qualita'. Questo e' diventato un
luogo comune, da ripensare.
Di quale potenza si parla? La bonta' e' una reale e grande potenza. Se
pensiamo alla potenza violenta e invasiva, travolgente e risolutiva, di un
dio mago che puo' dunque deve arrestare e sostituire la drammatica liberta'
umana, sradicare il male e ridurre tutto a bene forzato e necessario, certo
questa non sta insieme alla bonta' tollerante e paziente.
Facciamo piuttosto l'ipotesi che la vera potenza sia il fermento umile della
bonta', compagna della fatica e dello smarrimento, anche della malvagita'
umana, per riscaldarla interiormente, liberamente, ora o domani, alla
fiammella dell'amore tenace, incondizionato, mai desistente. Facciamo
l'ipotesi di una bonta' che prende su di se' il male del mondo. Facciamo
l'ipotesi di quel Dio, scandaloso per le religioni nette e le leggi sicure
sul bene e sul male, che "fa sorgere il suo sole sui cattivi come sui buoni
e fa piovere sui giusti come sugli empi" (Matteo 5, 45). Non e' questa la
piu' grande buona potenza?
Quel dio a cui rimproveriamo di essere potente ma colpevole perche' non
esercita la sua potenza annientatrice del male, e' un dio creatore
dell'inferno, piu' che della vita, giudice tagliateste, troppo somigliante a
noi. Grazie a Dio, quel dio non esiste, o non esiste piu'!
Propongo una poesia apparsa a firma di Luca Sassetti sulla rivista "Il
foglio, mensile di alcuni cristiani torinesi", n. 304, settembre 2003 (sito:
www.ilfoglio.org): un suggerimento in questa direzione.
*
Onnipotente

Dio Onnipotente
si', tu sei onnipotente
non come noi crediamo
non come ti vorremmo
che' della nostra micidiale potenza
sei tu il piu' povero
il piu' libero.
Tu sei potente
nel dare e ridare respiro alla vita
nell'amare chi non ama
nel perdonare in sovrabbondanza
nel ricordare gli scomparsi e dimenticati
nel pregare chi non ti prega
nel rimanere a fianco
di condannati e dannati
nell'abitare ogni solitudine
pur se ignorato
nel far emergere la verita'
dalla negazione allo splendore
nel riscattare la vittima
senza fare altre vittime
nel persuadere i cuori
di cui sciogli la pietra in sensibile carne
nell'ascoltare i muti
nel farti occhio dei ciechi
ali degli storpi
e speranza dei disperati
perche' dove noi ci facciamo potenti
tu sei l'impotente
e quando siamo deboli
ci ricordiamo di te
perche' ti somigliamo
e perche' la tua debolezza
e' piu' forte di ogni nostra potenza.

5. LIBRI. GIOVANNA ROMUALDI PRESENTA "LA GIUSTIZIA NEGATA" DI GIULIANA,
MARISA E GABRIELLA CARDOSI
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo la
seguente recensione di Giovanna Romualdi del libro di Giuliana, Marisa e
Gabriella Cardosi, La giustizia negata. Clara Pirani, nostra madre, vittima
delle leggi razziali, Edizioni Arterigere/Essezeta, Varese 2005.
Giovanna Romualdi e' coordinatrice editoriale de "Il paese delle donne".
Giuliana, Marisa e Gabriella Cardosi, figlie di Clara Pirana Cardosi,
deportata e deceduta ad Auschwitz; testimoni e studiose della Shoah, hanno
svolto una lunga attivita' di ricerca in archivi e biblioteche in Italia e
all'estero e pubblicato rilevanti studi. Tra le opere di Giuliana, Marisa e
Gabriella Cardosi: Das Problem der "Mischehen" waehrend der Rassenverfolgung
in Italien. 1938-1945, Darmstadt 1985; Sul confine. La questione dei
"matrimoni misti" durante la persecuzione antiebraica in Italia e in Europa
(1935-1945), Zamorani, Torino 1998; La giustizia negata. Clara Pirani,
nostra madre, vittima delle leggi razziali, Edizioni Arterigere/Essezeta,
Varese 2005]

Giuliana, Marisa e Gabriella Cardosi hanno gia' pubblicato altri saggi di
documentazione storica sulla persecuzione antiebraica durante il fascismo ed
in particolare sulla questione dei matrimoni misti. Qui, in questo libro,
testimoniano piu' direttamente, con pagine di toccante umanita' intrecciata
alla documentazione storica, sulle tragiche vicende da loro vissute nella
infanzia e giovinezza.
Innanzi tutto il periodo della persecuzione: l'allontanamento
dall'insegnamento, perche' ebrea, della madre Clara Pirani; l'arresto nel
maggio 1944 , l'internamento in carcere e poi al campo di Fossoli; il
silenzio, ancora velato di speranza, sulla sua sorte ad Auschwitz. Solo
negli ultimi mesi del '45 cominciano ad arrivare le prime notizie e
testimonianze: all'arrivo ad Auschwitz "la mamma fu assegnata nella fila di
quelli che non furono mai piu' rivisti".
E quando nel '74, in un incontro con una ebrea sopravvissuta, questa sorte
fu nuovamente testimoniata con tutto il carico delle sofferenze subite da
chi era sopravvissuto in quel campo, "solo da quel momento accettammo per
sempre la morte della mamma, da allora non abbiamo piu' desiderato che la
mamma fosse sopravvissuta, perche' solo la morte poteva essere stata
pietosa. Anche se per qualche straordinaria risorsa fisica la mamma fosse
riuscita a sopravvivere, come avrebbe potuto riacquistare la sua umanita'
infranta?".
Il dopoguerra e' segnato dall'amarezza: l'esigenza di giustizia del padre -
preside di un liceo statale aveva sempre creduto nelle istituzioni - viene
mortificata dapprima dagli esiti ambigui del processo sulla
corresponsabilita' delle autorita' della Repubblica sociale italiana nella
caccia contro gli ebrei.
C'e' poi la stagione dei "diritti disconosciuti": la burocrazia statale
chiude una lunga e dolorosa pratica per la tutela dei diritti acquisiti in
vita da Clara Pirani durante il periodo d'insegnamento, non riconoscendo
alcun diritto ad una pensione di reversibilita' "perche' mancavano 7 mesi e
23 giorni al compimento del decennio prescritto".
Nella premessa al libro, Giuliana Cardosi dice: "Se durante la persecuzione
razziale noi avevamo confidato nello Stato, illudendoci che le leggi in
vigore ci proteggessero e tale errore aveva causato la nostra tragedia, ora,
di nuovo sentivamo venir meno in noi la fiducia nelle nascenti istituzioni
repubblicane".
Sul piano storico, il valore di questo libro viene sottolineato da Claudio
Pavone che in una lettera alle autrici riportata ad inizio testo dice fra
l'altro: "Il racconto preciso, documentato e analitico di un caso
particolare... giova di piu' di molti discorsi generali, riconducendo sul
terreno di una realta' vissuta giorno per giorno una vicenda che oggi viene
mortificata e ridotta a grossolane polemiche politiche".
Sul piano umano, credo che piu' di tante parole di commento valga riportare
quanto dice - sempre in premessa - Giuliana Cardosi: "Per partecipare ad una
normale vita sociale e' stato... necessario chiudere in noi il passato senza
attendere dal di fuori comprensione o appoggio. Essendo la nostra
particolare condizione legata all'identita' personale non abbiamo mai potuto
assimilarci ad altri gruppi per condividere il nostro disagio. Forse da qui
derivo' per noi la scelta di non trasmettere a dei figli questa eredita'
tormentata".

6. LIBRI. GABRIELLA FRECCERO PRESENTA "LE LACRIME DI ACHILLE" DI HELENE
MONSACRE'
[Dal sito www.url.it/donnestoria/ riprendiamo la seguente recensione di
Gabriella Freccero del libro di Helene Monsacre', Le lacrime di Achille.
L'eroe, la donna e il dolore nella poesia di Omero, Medusa 2003.
Gabriella Freccero, nata a Savona nel 1966, impegnata sulle tematiche
pacifiste e del disarmo, sul pensiero e la scrittura delle donne, laureata
in storia ad indirizzo antico con una tesi su "A scuola da Aspasia: uomini e
donne tra retorica e politica nell'Atene del V secolo", ha pubblicato vari
contributi su "Donne e conoscenza storica" (www.url.it/donnestoria), sito
della Comunita' di pratica e riflessione pedagogica e di ricerca storica di
Milano affiliata alla Libreria delle Donne, per cui cura recensioni di libri
su donne e antichita' e sulla filosofia femminista; ha curato le schede di
Aspasia di Mileto, Jane Hellen Harrison, Aphra Behn per il progetto
"Dominae" del sito www.arabafelice.it di Anna Santoro. Collabora con il
bimestrale "La Civetta" di Savona e con la rivista "Leggere donna" di
Luciana Tufani.
Helene Monsacre', prestigiosa ellenista, dirige per "Les belles lettres" la
collana dei Classiques en poche che ripropone in edizione economica i
classici della fondamentale collezione "Bude'". Tra le opere di Helene
Monsacre': Les Larmes d'Achille, Albin Michel, Paris 1984 (trad. it.: Le
lacrime di Achille, Medusa 2003); (con Jean Bottero), Babylone et la Bible,
Les Belles Lettres, Paris 1994; (con Jean Bottero, Marc-Alain Ouaknin,
Joseph Moingt, Jean-Louis Schlegel), La plus belle histoire de Dieu, Seuil,
Paris 1997, 2004; ha curato l'edizione dell'Iliade per Les Belles Lettres,
Paris 2002]

Il programma educativo di Platone rivolto a coloro che avrebbero dovuto
guidare la citta' ideale comprendeva un vasto ridimensionamento - o per dire
piu' realisticamente, una drastica censura - del ruolo della poesia e del
mito. Cosi' nella Repubblica, mettendosi di buona lena ad emendare gli
"errori" omerici in un vasto passaggio del libro III (387e - 388b), egli non
esita tra l'altro ad affermare:
"Giustamente dunque sopprimeremo i lamenti per gli uomini illustri e li
lasceremo alle donne, anzi nemmeno alle donne serie; e degli uomini a quanti
siano dappoco, affinche' ci facciano nascere lo sdegno d'una simile condotta
in coloro che diciamo di voler allevare a custodia del paese... E percio' di
nuovo chiederemo ad Omero e agli altri poeti che non rappresentino Achille,
il figlio di una dea, 'ora sul fianco giacente, ed ora invece supino, ed ora
anche prono', che a volte si leva in piedi con l'animo agitato, errando sul
lido del mare infaticabile e prende a due mani la nera polvere per
cospargersene il capo, e neppure ch'egli prorompa in tutti quei pianti e
lamenti, come poeto' Omero, e neppure che Priamo, di stirpe quasi divina, e
supplichi e si rotoli nel fango, e gli uomini tutti invochi ad uno ad uno
per nome" (trad. G. Pugliese Carratelli).
Fortunatamente, secoli di corretta tradizione filologica ci hanno trasmesso
i poemi omerici in versione integrale, senza le espunzioni o i rifacimenti
stilistici auspicati da Platone. Tra i fatti che il filosofo trova disturban
ti egli mette in primo piano l'abbondanza delle lacrime versate, sia da eroi
forti e valorosi che da donne, mentre il filosofo le riserverebbe al solo
sesso femminile, e alle sole rappresentanti "meno serie" di esso. Iliade e
Odissea roba da donnicciole, dunque?
*
Lo studio di Helene Monsacre' va alla ricerca di un mondo di ideali eroici
che gia' nel IV secolo a. C., ai tempi di Platone, era irrimediabilmente
perduto, o consapevolmente obliato. Il suo interesse iniziale e' individuare
una "mappa del sistema di ripartizione dei valori maschili e femminili
nell'epopea omerica" (p. 9); iniziando a tracciarla si accorge che il polo
femminile, presunto minoritario nel poema della guerra e dell'ira del
Pelide, risulta invece chiaro e presente, mentre la materia narrativa sembra
opporre resistenza a una netta separazione dei due mondi, presentando
continue interferenze e rimandi da un polo di genere all'altro. La faccenda
si fa clamorosa rispetto al tema delle lacrime: come e' possibile trovare
eroi di provatissima virilita', riconosciuti esempi di comportamento,
piangere disperati, rotolarsi a terra nel fango fra i singhiozzi, cercare
consolazione presso le madri umane o divine, trepidare e gemere sul destino
degli amici?
*
Una lunga prima parte e' dedicata a definire il comportamento eroico.
Eroico e' andare a combattere in campo aperto, mostrando coraggio, forza,
abnegazione, sprezzo del pericolo. Vile e' starsene rinchiusi a Troia, nelle
stanze del palazzo regale, godendosi mentre gli altri combattono -
incredibile caduta di stile - i favori erotici di una compagna sottratta con
l'inganno al marito. Nel campo troiano Ettore e Paride incarnano
rispettivamente l'ideale di eroismo e di vilta', ed e' la capacita' di
sapersi sottrarre alle forze di Afrodite a determinare i valori positivi del
guerriero. Anche Paride occasionalmente combatte, ma lo fa con armi non
virili come la lancia, con l'arco e le frecce; trovatosi di fronte il furore
guerriero di Menelao, si salva col solo aiuto di Afrodite, che avvolgendolo
in una nube lo sottrae allo scontro. Chi e' devoto alla dea nata dalla
schiuma del mare non trova nulla di allettante nei valori eroici; ma anche
sottrarsi completamente all'influenza di Afrodite non e' un esempio da
imitare. L'eroe che conosce solo il furore del combattimento, il crudo
Diomede, che arriva a ferire la dea sul campo di battaglia, rischia di
perdere le stesse caratteristiche umane e di passare dal lato del selvaggio,
della ferinita'. Ed e' ancore Ettore, l'eroe perfetto, a conciliare la
visione guerriera con una moderata frequentazione del femminile: egli
incontra la moglie alle porte Scee, commuovendosi con lei, incontra la madre
Ecuba, incontra Elena che si lamenta con lui di aver causato questo stato di
cose, ma torna poi in battaglia a far risplendere il suo valore guerriero.
Lo splendore eroico non e' solo delle imprese, ma anche dei corpi; i
guerrieri omerici sono innanzitutto belli, dove la bellezza e' innanzitutto
vigore e possanza delle parti del corpo che devono combattere: il petto, le
braccia, le spalle. La statura e' importante per impressionare il nemico,
come fa Aiace; se non e' elevata, conta la larghezza delle spalle e l'essere
ben piantati, come puo' dire di Odisseo Elena a Priamo descrivendolo
dall'alto dei bastioni. L'eroe deve potersi fidare delle sue braccia e delle
mani adatte a maneggiare le armi; ma anche le gambe devono servirlo
adeguatamente, per resistere all'assalto ben piantate a terra o per fuggire
velocemente; il ginocchio e' l'articolazione fondamentale del corpo, dove la
forza si attiva o viene meno. Con immagini sempre dinamiche e concrete, la
forza penetra nei corpi guerrieri o li abbandona, piegandoli a terra come
fantocci senza burattinaio.
L'eroe e' bello anche in quanto e' giovane e possiede al massimo le doti
fisiche richieste; farsi cogliere dalla morte in questo stato di perfezione
e vigore rappresenta l'ideale del guerriero omerico e anche il fulcro del
suo destino tragico.
L'armatura costituisce un prolungamento delle potenzialita' belliche
dell'eroe; protezione per il corpo, arriva a identificarsi come seconda
pelle di chi la indossa; cosi' a Patroclo si adatta subito la corazza di
Achille, per l'identificazione profonda di uno con l'altro, mentre
l'armatura di Patroclo ucciso non e' della misura giusta per Ettore, che
deve farsela adattare addosso da Zeus. Le armi prendono vita e prolungano la
volonta' del guerriero di ferire ed uccidere: vogliono mordere, divorare,
sudano con chi le indossa e si stancano con lui.
L'eroe deve respingere il mondo di Afrodite per abbracciare il solo culto di
Ares: ma non nuova certo neanche ad Omero doveva risultare la metafora del
combattimento come incontro erotico. La stessa menis, il furore dell'eroe al
momento dello scontro, non appare diversa dall'invasamento erotico,
desiderio di una conquista totale dell'altro nell'uno e nell'altro caso.
L'eros, la brama di guerra e' ricordata dal saggio Nestore, e da Achille per
spronare i compagni Mirmidoni. Affondare la lancia nelle belle carni da'
all'eroe un compiacimento speciale; le immagini stesse delle carni morbide,
bianche e rosee dell'avversario richiamano il desiderio di affondarvi
altrimenti dentro. Sullo scudo di Achille il fabbro divino Efesto ha
scolpito una danza di giovani che richiama il tempo di pace e dell'amore; ma
i guerrieri devono danzare la sola danza di Ares, afferma Ettore assalendo
la montagna di muscoli di Aiace. Chi balla la danza di Afrodite in tempo di
guerra e' un vile ed un imbelle, ricorda Priamo esacerbato appena morto
Ettore, riferendosi al solito irredimibile Paride.
Achille sogna ad occhi aperti di conquistare la citta' di Troia da solo con
Patroclo, immaginando di "sciogliere i sacri veli di Troia" con metafora di
stupro, assimilando l'abbattimento delle forti mura allo strappo del velo
che ricopre la dignita' delle donne; metafora ripresa da Odisseo al momento
di riconquistare Itaca, mentre a colloquio con Atena vagheggia "quando
sciogliemmo i ricchi veli di Troia". Come un muro della citta' che cade
conquistata crolla a terra il velo dal capo di Andromaca alla notizia della
morte di Ettore, con tutti i componenti della complessa acconciatura quali
pietre rotolanti giu' dai bastioni, prima ancora che l'infelice cada a terra
soggiogata dal colpo (immagine ridiscussa piu' avanti come immagine
reduplicata della morte di Ettore); Ecuba - con gesto piu' maschio - getta
via il suo d'impulso, alla tremenda notizia della disfatta. La guerra
consegna ad un sonno di bronzo chi e' colpito dalla Chera fatale, invece che
ad un morbido riposo nel talamo nuziale; cosi' capita ad Ifidamante, giovane
sposo che muore ucciso da Agamennone senza conoscere il letto di casa sua;
sono gli uccelli spazzini, i rapaci ed i cani affamati a bramare l'eroe
morto, non la legittima sposa.
La morte rappresenta il supremo incontro di Ares ed Eros; il corpo di Ettore
appena morto suscita la meraviglia e il desiderio dei guerrieri Achei giunti
sul posto ad ammirarlo. Il cadavere di Ettore per intervento divino e' reso
incorruttibile; Afrodite lo unge con olio di rose di origine divina mentre
Achille si adopera a oltraggiarlo trascinandolo nella polvere; Apollo stende
una nube di umidita' sulla pianura per evitare che si dissecchi al sole.
Ettore e' il piu' bel cadavere che si sia mai visto, fresco e rugiadoso come
un giovane vivo e vegeto, a simboleggiare la rigenerazione della vita e
della natura nella metafora erotica racchiusa nel suo corpo.
Gli eroi trovano di tanto in tanto il tempo per frequentare l'universo
femminile, ed e' principalmente il sentimento della philotes, l'amore
passionale, che unisce uomini e donne. Achille asserisce che cio' e' normale
fra uomini e donne, mentre dichiara di non aver salito il letto di Briseide.
Non solo gli Atridi amano le loro spose, ma tutti gli uomini, generalizzando
il proprio sentimento. Cosi', sembra da ridimensionare l'affermazione di
Moses Finley che accorda solo una tiepidezza di sentimenti agli eroi omerici
nei confronti delle donne, concentrati come sono sul loro obiettivo eroico.
Odisseo augura a Nausicaa di trovare un buon marito con cui dividere la
gestione della casa con un'anima sola. Un sentimento profondo unisce
Andromaca e Ettore, genitori di un figlio nato dall'amore; Ettore e' da lei
definito il suo parakoitin, compagno di letto, con espressione molto
concreta e passionale.
Odisseo e' l'eroe piu' desiderato dell'epopea: ma se Circe e Calipso lo
trattengono a scopo erotico piu' di quanto l'eroe desideri, lo ricambiano
poi con saggi consigli sul ritorno; anche l'ingenua Nausicaa, cui l'eroe
ispira un forte desiderio, facendosi una ragione della sua partenza, lo
aiutera' nell'impresa.
Ma se la passione avvicina uomini e donne, il lato del femminile rimane
quello del disvalore; e' come se arrivati ad esprimere l'universo dei
valori, cio' che conta e cio' che no, l'epos non potesse che assegnare al
femminile il lato negativo; se l'eroe si comporta da donna, e' per lui un
insulto; se e' la donna ad avere comportamenti virili, cio' non e' per lei
motivo di biasimo. E' chiaro insomma che il valore positivo di riferimento
e' solo uno: il polo maschile.
*
L'autrice segue l'interpretazione per cui nel mondo omerico non e' ancora
cosi' evidente (vincente) la misoginia e la prevaricazione patriarcale, che
sara' compiutamente teorizzata da Platone in avanti; nei poemi omerici si
trovano cosi' mescolati punti di vista del "nuovo" maschilismo trionfante,
insieme a esempi di forza e dignita' femminile tipici probabilmente di una
precedente cultura ellenica; di qui il carattere ibrido della poesia
omerica, e interessante per seguire le trasformazioni di una cultura nel
momento in cui si verificano.
Omero e' ancora molto esplicito sulle ragioni per cui i sessi si
frequentano: perche' uniti dalle reciproche passioni (con le mogli, le
amanti, e anche con le madri, punto interessante e indicativo di una forma
di eros che il patriarcato odia e osteggia particolarmente e invece Omero
ancora riconosce e accoglie; madri che si presentano tra l'altro con tutta
l'autorita' simbolica che compete loro). Gli eroi non odiano quindi le
donne, anzi ne cercano spesso conforto, calore, consiglio, protezione
persino: ma ricalati nell'universo della battaglia, nel branco omosessuale
maschile, devono negare l'universo positivo di valori che circonda il
femminile, che riconoscono quando lo frequentano in privato, e affermare
pubblicamente il loro disvalore.
Si tratta quindi per l'eroe di vivere una vera dicotomia fra pubblico e
privato; l'interessante e' che Omero dedichi spazio a questi sipari di
incontro fra uomini e donne inframmezzati alle battaglie, non negando che
esistano, perche' potrebbe anche passarci sopra e riassumere piu'
velocemente, mentre invece sono i pezzi di poesia spesso piu' belli del
poema, e il poeta evidentemente li cura molto. L'eroe vive un mondo di
contraddizioni; piange, ma deve anche essere un animale da guerra; vive
rapporti significativi con le donne, ma deve pubblicamente attribuire loro
il lato perdente. Sono eroi ancora almeno tormentati dal dubbio,
internamente divisi, anche se la guerra piace loro in un maniera erotica che
davvero li estrania dalle donne.
Tersite e Menelao hanno occasione di apostrofare i compagni per spronarli:
Achee, non Achei! Tipico della vilta' femminile in guerra sarebbe lanciare
insulti invece che combattere, usare le frecce invece che la lancia, gemere
chiedendo di tornare a casa, rimanere nudi del proprio corredo di guerra.
Anche la regressione all'universo dell'infanzia e' rimproverato: e' tipico
l'insulto a Paride di assomigliare ad una fanciulla.
Volendo esagerare, il paragone con la femmina di un animale spregevole porta
l'insulto al grado massimo: cagne, cerve, pecore e colombe rappresentano
l'infimo gradino cui scende il paragone con l'umano.
La donna puo' farsi eccezionalmente di natura piu' nobile dell'usuale,
soprattutto quando riveste il ruolo materno. Achille non puo' fare a meno di
incontrarsi a piu' riprese con Teti, Enea con Afrodite, Ettore con Ecuba. In
questi incontri e' la fisicita' il linguaggio della comunicazione: Teti
accarezza la testa del figlio, gli prende la mano standogli accanto; e' lei
con dolci parole a convincerlo a restituire il corpo di Ettore al padre.
Afrodite salva fisicamente il figlio dalla furia di Diomede, lo nasconde
alla vista avvolgendolo con il peplo splendente come si farebbe con un
bambino da proteggere. Ecuba supplica Ettore di non scontrarsi con il
tremendo Achille, mostrandogli il seno che lo nutri' da piccolo.
Gli eroi non sono altro che bambini cresciuti per le loro madri, ma questo
rapporto non svilisce la loro natura guerriera, ma ne esalta l'umanita' e
mette in risalto la fragilita' del bene piu' prezioso, la vita, che essi
devono sacrificare.
Il dolore che il guerriero deve affrontare e' enorme; Agamennone ferito deve
sopportare dolori paragonati a quelli di una partoriente; nel dolore si
avvicinano valori maschili e femminili.
Alla fine di questa prima ricognizione, valori eroici che sembravano
nell'epopea guerriera impermeabili ad ogni influenza femminile si scoprono
in realta' in continua dialettica con l'altro polo.
*
Nella seconda parte l'autrice indaga la reale presenza delle donne nell'epos
omerico.
L'uomo omerico puo' innalzarsi sopra la propria natura, divenire eroe, anche
se si tratta di un destino gia' segnato alla nascita. Alla donna questa
opportunita' non e' consentita, la sua vicenda si gioca nell'ambito della
vita ordinaria prescritta ai mortali. Esiste in quanto compagna ed in
riferimento ad un compagno. In guerra le donne sono il bottino da
conquistare, tanto piu' preziose quanto di maggior rango sociale. Il
rispetto dovutole e' legato alla parentela con un uomo: madri, spose,
sorelle di eroi, quando questi sono morti in campo, non hanno piu' difese da
opporre a un destino di schiavitu'. La virtu' delle donne e' tutta da
svolgere all'interno dell'oikos, deve partecipare alla filatura della lana e
proteggere i beni del padrone di casa, compresi i figli generati con lui.
Ogni altro comportamento e' foriero di disastri, come e' il caso di
Clitemnestra ed Elena.
Il corpo delle donne e', al contrario di quello dell'eroe, poco esaltato: al
di la' di generici riferimenti alle belle guance o agli occhi lucenti - o
alle belle braccia al massimo - non c'e' alcuna descrizione puntuale di un
corpo femminile nell'epos, cosi' che a stento distingueremmo le eroine una
dall'altra per proprie caratteristiche individuali. Le donne indossano il
velo come gli uomini la corazza, se ne ricoprono per uscire all'esterno. I
colori della bellezza sono chiari, luminosi, iridescenti.
Riguardo a cio' che le donne dicono nei poemi, netta e' la separazione tra
Elena e le altre donne. Quest'ultima e' l'unica a prendere la parola in
proprio, senza esserne richiesta da un uomo. Descrive, dai bastioni agli
anziani radunati, cio' che vede sul campo di battaglia, come un aedo
narrando; ma prima ancora e' stata ritratta da Omero mentre ricama le mille
prove che Achei e Troiani soffrono a causa sua su un peplo di colore
funereo, purpureo. Essa ha parole di biasimo per il nuovo marito Paride, che
accusa di codardia e se stessa di scellerataggine per averlo seguito; si
rammarica con Ettore dello stato delle cose presente. Parla al termine del
poema intonando il lamento funebre per Ettore e le sue sono le ultime parole
pronunciate nell'Iliade. E' l'unica donna a non mescolare le parole alle
lacrime, piangendo solo al letto funebre del cognato, mostrando una
capacita' razionale sua propria e non riflessa.
Andromaca invece mischia sempre pianto e parole; Ecuba pronuncia la
maggioranza dei discorsi ed e' la donna piu' pia, piu' preoccupata di
onorare gli dei. Per lo piu' la voce femminile nei poemi omerici ha una
dimensione inarticolata: geme, si lamenta, grida oppure ha una funzione
profetica (Cassandra). Il discorso ampio e raziocinante e' prerogativa
dell'uomo.
Quando le donne assumono comportamenti maschili ne vengono nobilitate.
Le Troiane sembrano occuparsi della sfera politica in modo egualitario
rispetto ai loro sposi, quando Ettore dice di non voler passare per vile
agli occhi dei Troiani e delle Troiane dal lungo peplo. Il consiglio degli
anziani presieduto da Priamo ha una controparte nel consiglio delle anziane
guidato da Ecuba, con funzioni di custodi dei rapporti con la divinita'
Atena. Arete a Scheria gode di un'indiscussa autorita'.
Penelope si rivela donna dai sentimenti maschili quando, dopo la strage dei
proci, esita a riconoscere Odisseo: egli la accusa di avere il cuore piu'
duro del sasso, una volonta' di ferro, attributi soliti di un guerriero.
Inusuale anche che Omero ne esalti la mano robusta, parallela a quella dello
sposo che a breve portera' a termine la strage dei pretendenti.
Ancora travestito da mendicante, Odisseo le dichiara: "fama di te sale al
vasto cielo come di un re perfetto che, pio verso i numi, alla giustizia e'
fedele"; ma e' Penelope stessa a ricusare le attribuzioni regali, quando
risponde che valore e bellezza se ne sono andati con la partenza per Troia
del suo sposo. Politicamente corretta, la regina; Itaca non e' l'isola dei
Feaci, sospesa tra realta' e sogno, e a lei non e' consentito esercitare un
potere in proprio come ad Arete.
Andromaca partecipa in qualche occasione alle attivita' della guerra:
pascola i cavalli di Ettore, ne riceve in consegna le armi di Achille,
consiglia persino ad Ettore uno schieramento difensivo dell'esercito dove le
mura sono piu' attaccabili. Tutta la sequenza dell'annuncio della morte di
Ettore come serie di eventi fisici che colpiscono il suo corpo ricorda da
vicino l'abbattimento di un guerriero: tremito delle gambe, cuore che
scoppia nel petto, caduta a terra col progressivo disfacimento
dell'acconciatura regale; si stende su di lei la nera notte che simboleggia
la morte del guerriero. Tuttavia l'assimilazione di Andromaca al patimento
virile sta tutto nell'unico destino che la lega al marito (con una sorte
nascemmo entrambi).
La vicinanza di Elena ai valori maschili e' la piu' compiuta, lei che e' il
personaggio femminile piu' autonomo dell'Iliade. Essa ha in comune con
Achille il destino di cantare le imprese eroiche, oltre che viverle, come un
aedo; essa canta o descrive le prodezze dei combattenti: un duplicato di
Omero stesso.
*
Delineata cosi' la complessita' dei rapporti fra maschile e femminile,
l'autrice puo' affrontare il problema delle lacrime nei poemi omerici.
L'ethos dell'eroe omerico riassume tutti i valori legati all'eccellenza:
coraggio, forza, assennatezza, abnegazione, capacita' di sopportare il
dolore. Ma l'eroe e' altresi' cosciente della propria fragilita', legata
alla propria natura mortale: per compiere pienamente il suo destino, egli sa
che deve morire e veder morire i compagni prediletti. L'eroe non e' una
macchina al servizio della guerra: la guerra ha il compito di nobilitarlo,
e' l'occasione di mostrare al massimo le sue virtu'; ma e' anche la prova
suprema, il destino di morte spesso lo attende. Allora l'eroe, che e' sempre
un uomo, piange: per paura, per rabbia, per dolore. Le lacrime sono quasi
una camera di compensazione di una richiesta di prestazioni umane di
altissimo livello, una decompressione del groviglio di passioni che lo
agitano come qualunque mortale, esacerbate dalla preoccupazione di dovere
comunque eccellere in tutto.
Chi non piange di dolore, piange almeno per la rabbia. L'impassibile
Diomede, il guerriero-macchina privo di emozioni, piange per la perdita
della gara dei carri durante i giochi funebri per Patroclo. Ma normalmente i
guerrieri piangono la morte dei compagni: Aiace su Patroclo, Agamennone per
le ferite inflitte a Menelao, e quando i Troiani sembrano prevalere e da
Troia si odono voci di canti e festeggiamenti. Ettore piange ferito e
Patroclo preoccupato della sorte dei Greci.
Le lacrime di Achille scorrono durante tutto il poema, essendo la furia,
l'ira con cui si apre il poema, la reazione ad un profondo stato di lutto e
di prostrazione che segue l'uccisione di Patroclo.
Dal primo libro, dove si ritira a piangere sulla riva del mare per lo sgarbo
di Agamennone, e sono ancora lacrime di rabbia per l'onore offeso, al
profondo dolore per la perdita del compagno prediletto, materia dei canti
XVIII e XIX.
Il dolore per la morte del compagno ha anche una componente di
prefigurazione della propria morte, che Achille sa incombergli sul capo (La
Chera io pure l'accogliero' quando Zeus voglia compierla). Nessuno puo'
sfuggire il destino di morte, neanche il possente Eracle, che Atena nomina
per ricordarne i pianti e i gemiti per la stanchezza micidiale impostagli
dalle fatiche di Euristeo.
Le lacrime non sviliscono gli eroi dunque, ma ne esaltano la capacita' umane
di soffrire fino in fondo per il loro destino glorioso. Da notare che gli
stessi eroi dell'epica nel teatro classico si compiacciono di soffrire senza
versare una lacrima: Euripide nell'Eracle fa dire all'eroe di non conoscere
il pianto.
Anche gli dei piangono i figli morti in combattimento. Le uniche lacrime
disapprovate da Omero sono quelle degli uomini semplici: Tersite piange dopo
essere stato battuto da Odisseo durante la riunione dei capi achei. Coloro a
cui non e' riservata la gloria non godono neanche del privilegio di piangere
senza essere derisi.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 51 del 16 febbraio 2006

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