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Nonviolenza. Femminile plurale. 51
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 51
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 16 Feb 2006 16:56:27 +0100
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 51 del 16 febbraio 2006 In questo numero: 1. Hannah Arendt: La pietra di paragone 2. Maria G. Di Rienzo: Chiedere il pane e le rose, nello Zimbabwe 3. Antonia Sani: Sveliamo la laicita' 4. Enrico Peyretti: Ascoltando Etty Hillesum 5. Giovanna Romualdi presenta "La giustizia negata" di Giuliana, Marisa e Gabriella Cardosi 6. Gabriella Freccero presenta "Le lacrime di Achille" di Helene Monsacre' 1. MAESTRE. HANNAH ARENDT: LA PIETRA DI PARAGONE [Da Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993, p. 317. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] La pietra di paragone di un atto libero e' sempre la consapevolezza da parte nostra che avremmo potuto non realizzare cio' che invece abbiamo di fatto realizzato. 2. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: CHIEDERE IL PANE E LE ROSE, NELLO ZIMBABWE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo articolo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Il 14 febbraio la polizia dello Zimbabwe ha arrestato ad Harare, la capitale, piu' di quattrocento persone, fra cui 242 donne del gruppo di attiviste "Woza" (Women of Zimbabwe Arise, ovvero Donne dello Zimbabwe alzatevi). Nello stesso giorno 181 donne del medesimo gruppo, e 15 dei loro bambini, hanno passato la notte in prigione a Bulawayo, una citta' del sud del paese. La protesta organizzata dalle donne di "Woza" e' diretta contro la durezza della situazione economica e sociale dello Zimbabwe, e si e' tenuta nel giorno di S. Valentino, come spiega la portavoce Annie Sibanda, per chiedere "il pane e le rose": "Abbiamo marciato per chiedere prezzi accessibili per i cibi di base, e rispetto per la nostra dignita'". La polizia ha accusato le dimostranti principalmente di schiamazzi ed ostruzione del traffico, in alcuni casi e' stata avanzata l'accusa di aver contravvenuto alle leggi sulla sicurezza. Ma come e' accaduto anche in precedenza, i tribunali rifiutano di dare inizio "motu proprio" all'azione legale, chiedendo alla polizia di procedere con mandati di comparizione. In questi giorni, infatti, come racconta l'avvocata del gruppo Perpetua Dube, le donne vengono rilasciate: "Sono perlopiu' casalinghe, le persone che devono cucinare quel poco cibo che c'e'. E dicono solo che abbiamo bisogno di amore e di cibo". Sono tre anni che la polizia impedisce a "Woza" di tenere dimostrazioni il giorno di S. Valentino, per evitare che il gruppo metta in luce i problemi sociali ed economici che nel paese affliggono in maggior misura donne e bambini. Le lamentele concernono la mancanza di cibo, la mancanza di carburanti e la disoccupazione (lo Zimbabwe ha tra l'altro il piu' alto tasso di inflazione al mondo). Il governo ha bandito le dimostrazioni e le riunioni in pubblico nel 2000, quando le tensioni furono tali da metterlo in crisi. Il presidente Mugabe ha sostenuto che i problemi economici sono il risultato di una sorta di "cospirazione" internazionale che sostiene nel paese gli agricoltori e proprietari terrieri bianchi. Ci ricorda qualcuno dei nostri governanti, non e' vero? (Fonti: Reuters, Irin News) 3. RIFLESSIONE. ANTONIA SANI: SVELIAMO LA LAICITA' [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net). Antonia Sani, prestigiosa intellettuale e docente, amica della nonviolenza, tra i membri fondatori del Comitato nazionale scuola e Costituzione (1985) e presidente del Crides (Centro romano per la difesa dei diritti nella scuola), collabora con varie riviste ed ha contribuito con saggi e interventi a molte pubblicazioni] Il significato originario del termine svelare e' liberare dal velo; vien fatto di pensare a un velo fitto che nasconde i tratti caratteristici di cio' che non deve essere visto. E' un'immagine, questa del velo fitto, che mi perseguita in tempi in cui sempre piu' la parola laicita' viene agitata sul mercato elettorale in contrapposizione allo slogan intollerabile cui e' stata ridotta sul medesimo mercato dallo schieramento opposto la parola famiglia. Si tratta infatti di una laicita' velata: il velo le e' stato imposto dalle mediazioni dei tavoli programmatici di un'unione politica improbabile quanto necessaria in questo deprecabile sistema maggioritario. Cio' che e' arretramento per gli uni e' avanzamento per altri. A farne le spese e' in primis il principio della laicita'. Di laicita' dello Stato molto parlano le forze del centro-sinistra in questa tornata elettorale, costrette a farlo dall'invadente presenza del Vaticano, ma quando si passa dalle facili enunciazioni- che dovrebbero aver presa su un generico elettorato laico - agli aspetti concreti delle questioni sul tappeto, ecco che dobbiamo fare i conti col fitto velo. I Pacs vanno bene per sanare la situazione economica delle vecchie coppie di fatto (ce ne sono tante in Emilia-Romagna), le donne fanno bene a protestare perche' non venga toccata la 194 per una "maternita' consapevole", le scuole devono aprirsi laicamente alla "multiculturalita'". E, beninteso, c'e' sempre l'aggiunta che la famiglia non si tocca, anzi. Allora, la voglia di togliere, di strappare il velo a questa laicita' "sana" e' davvero grande. I politici facciano pure le loro evidentemente irrinunciabili mediazioni, ma noi no. E' bene che nelle piazze, in piu' piazze, si gridi che cosa si intende per laicita'. Gridino le donne che laicita' e' oltre la l94, e' la liberta' delle scelte sul proprio corpo, la gestione della propria sessualita', condizionata come sempre da modelli e interventi imposti da un ossequio, magari oggi praticato con maggiore indifferenza, ma comunque praticato, nei confronti delle gerarchie cattoliche. Si gridi che oltre i Pacs c'e' il riconoscimento delle convivenze omosessuali, che questo e' l'orizzonte in cui si iscrive la laicita' dello Stato programmata nell'articolo 3 della nostra Costituzione. Gridino gli insegnanti, gli studenti, i genitori, che non ci stanno alla confusione quotidianamente propinata tra interculturalita' e laicita'. La laicita' della scuola e' oltre l'accoglienza delle diversita', e' formazione critica della persona, liberazione delle coscienze dal predominio esercitato dai privilegi (intoccabili) della Chiesa cattolica. In questo momento e' importante la pluralita' dei luoghi, la radicalita' e la caratterizzazione delle istanze. E, perche' no? anche la contemporaneita' degli eventi. Affinche' passi all'opinione pubblica (tv e stampa permettendo!), ai ragazzi e alle ragazze, la percezione della complessita' della materia in cui si innerva il principio della laicita', la consapevolezza che non ci sara' mai uno Stato laico se laica non sara' in tutte le sue pieghe la societa' che elegge i propri rappresentanti nelle istituzioni. Bene dunque la manifestazione dei vecchi e nuovi movimenti delle donne a Napoli "194 parole per la liberta'" e la contemporanea manifestazione "Facciamo breccia" a Roma, (e magari ce ne fosse anche una per la lacita' della scuola...). A patto pero' che tutte insieme concorrano a svelare il volto autentico della laicita'. 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: ASCOLTANDO ETTY HILLESUM [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario. Wanda Tommasi e' docente di storia della filosofia contemporanea all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica di "Diotima". Opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del deserto, Liguori, Napoli 2004. Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002] Il saggio di Wanda Tommasi, "Etty Hillesum, testimone e vittima della Shoah" (riproposto ne "La nonviolenza e' in cammino", n. 1195), e' quanto di meglio mi e' accaduto di leggere sulla "grande anima" Etty... Su un punto solo, tra i tanti belli e importanti, intendo soffermarmi. Wanda Tommasi dice che Etty come Jonas esclude la potenza di Dio a favore della sua bonta', essendo incompatibili le due qualita'. Questo e' diventato un luogo comune, da ripensare. Di quale potenza si parla? La bonta' e' una reale e grande potenza. Se pensiamo alla potenza violenta e invasiva, travolgente e risolutiva, di un dio mago che puo' dunque deve arrestare e sostituire la drammatica liberta' umana, sradicare il male e ridurre tutto a bene forzato e necessario, certo questa non sta insieme alla bonta' tollerante e paziente. Facciamo piuttosto l'ipotesi che la vera potenza sia il fermento umile della bonta', compagna della fatica e dello smarrimento, anche della malvagita' umana, per riscaldarla interiormente, liberamente, ora o domani, alla fiammella dell'amore tenace, incondizionato, mai desistente. Facciamo l'ipotesi di una bonta' che prende su di se' il male del mondo. Facciamo l'ipotesi di quel Dio, scandaloso per le religioni nette e le leggi sicure sul bene e sul male, che "fa sorgere il suo sole sui cattivi come sui buoni e fa piovere sui giusti come sugli empi" (Matteo 5, 45). Non e' questa la piu' grande buona potenza? Quel dio a cui rimproveriamo di essere potente ma colpevole perche' non esercita la sua potenza annientatrice del male, e' un dio creatore dell'inferno, piu' che della vita, giudice tagliateste, troppo somigliante a noi. Grazie a Dio, quel dio non esiste, o non esiste piu'! Propongo una poesia apparsa a firma di Luca Sassetti sulla rivista "Il foglio, mensile di alcuni cristiani torinesi", n. 304, settembre 2003 (sito: www.ilfoglio.org): un suggerimento in questa direzione. * Onnipotente Dio Onnipotente si', tu sei onnipotente non come noi crediamo non come ti vorremmo che' della nostra micidiale potenza sei tu il piu' povero il piu' libero. Tu sei potente nel dare e ridare respiro alla vita nell'amare chi non ama nel perdonare in sovrabbondanza nel ricordare gli scomparsi e dimenticati nel pregare chi non ti prega nel rimanere a fianco di condannati e dannati nell'abitare ogni solitudine pur se ignorato nel far emergere la verita' dalla negazione allo splendore nel riscattare la vittima senza fare altre vittime nel persuadere i cuori di cui sciogli la pietra in sensibile carne nell'ascoltare i muti nel farti occhio dei ciechi ali degli storpi e speranza dei disperati perche' dove noi ci facciamo potenti tu sei l'impotente e quando siamo deboli ci ricordiamo di te perche' ti somigliamo e perche' la tua debolezza e' piu' forte di ogni nostra potenza. 5. LIBRI. GIOVANNA ROMUALDI PRESENTA "LA GIUSTIZIA NEGATA" DI GIULIANA, MARISA E GABRIELLA CARDOSI [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo la seguente recensione di Giovanna Romualdi del libro di Giuliana, Marisa e Gabriella Cardosi, La giustizia negata. Clara Pirani, nostra madre, vittima delle leggi razziali, Edizioni Arterigere/Essezeta, Varese 2005. Giovanna Romualdi e' coordinatrice editoriale de "Il paese delle donne". Giuliana, Marisa e Gabriella Cardosi, figlie di Clara Pirana Cardosi, deportata e deceduta ad Auschwitz; testimoni e studiose della Shoah, hanno svolto una lunga attivita' di ricerca in archivi e biblioteche in Italia e all'estero e pubblicato rilevanti studi. Tra le opere di Giuliana, Marisa e Gabriella Cardosi: Das Problem der "Mischehen" waehrend der Rassenverfolgung in Italien. 1938-1945, Darmstadt 1985; Sul confine. La questione dei "matrimoni misti" durante la persecuzione antiebraica in Italia e in Europa (1935-1945), Zamorani, Torino 1998; La giustizia negata. Clara Pirani, nostra madre, vittima delle leggi razziali, Edizioni Arterigere/Essezeta, Varese 2005] Giuliana, Marisa e Gabriella Cardosi hanno gia' pubblicato altri saggi di documentazione storica sulla persecuzione antiebraica durante il fascismo ed in particolare sulla questione dei matrimoni misti. Qui, in questo libro, testimoniano piu' direttamente, con pagine di toccante umanita' intrecciata alla documentazione storica, sulle tragiche vicende da loro vissute nella infanzia e giovinezza. Innanzi tutto il periodo della persecuzione: l'allontanamento dall'insegnamento, perche' ebrea, della madre Clara Pirani; l'arresto nel maggio 1944 , l'internamento in carcere e poi al campo di Fossoli; il silenzio, ancora velato di speranza, sulla sua sorte ad Auschwitz. Solo negli ultimi mesi del '45 cominciano ad arrivare le prime notizie e testimonianze: all'arrivo ad Auschwitz "la mamma fu assegnata nella fila di quelli che non furono mai piu' rivisti". E quando nel '74, in un incontro con una ebrea sopravvissuta, questa sorte fu nuovamente testimoniata con tutto il carico delle sofferenze subite da chi era sopravvissuto in quel campo, "solo da quel momento accettammo per sempre la morte della mamma, da allora non abbiamo piu' desiderato che la mamma fosse sopravvissuta, perche' solo la morte poteva essere stata pietosa. Anche se per qualche straordinaria risorsa fisica la mamma fosse riuscita a sopravvivere, come avrebbe potuto riacquistare la sua umanita' infranta?". Il dopoguerra e' segnato dall'amarezza: l'esigenza di giustizia del padre - preside di un liceo statale aveva sempre creduto nelle istituzioni - viene mortificata dapprima dagli esiti ambigui del processo sulla corresponsabilita' delle autorita' della Repubblica sociale italiana nella caccia contro gli ebrei. C'e' poi la stagione dei "diritti disconosciuti": la burocrazia statale chiude una lunga e dolorosa pratica per la tutela dei diritti acquisiti in vita da Clara Pirani durante il periodo d'insegnamento, non riconoscendo alcun diritto ad una pensione di reversibilita' "perche' mancavano 7 mesi e 23 giorni al compimento del decennio prescritto". Nella premessa al libro, Giuliana Cardosi dice: "Se durante la persecuzione razziale noi avevamo confidato nello Stato, illudendoci che le leggi in vigore ci proteggessero e tale errore aveva causato la nostra tragedia, ora, di nuovo sentivamo venir meno in noi la fiducia nelle nascenti istituzioni repubblicane". Sul piano storico, il valore di questo libro viene sottolineato da Claudio Pavone che in una lettera alle autrici riportata ad inizio testo dice fra l'altro: "Il racconto preciso, documentato e analitico di un caso particolare... giova di piu' di molti discorsi generali, riconducendo sul terreno di una realta' vissuta giorno per giorno una vicenda che oggi viene mortificata e ridotta a grossolane polemiche politiche". Sul piano umano, credo che piu' di tante parole di commento valga riportare quanto dice - sempre in premessa - Giuliana Cardosi: "Per partecipare ad una normale vita sociale e' stato... necessario chiudere in noi il passato senza attendere dal di fuori comprensione o appoggio. Essendo la nostra particolare condizione legata all'identita' personale non abbiamo mai potuto assimilarci ad altri gruppi per condividere il nostro disagio. Forse da qui derivo' per noi la scelta di non trasmettere a dei figli questa eredita' tormentata". 6. LIBRI. GABRIELLA FRECCERO PRESENTA "LE LACRIME DI ACHILLE" DI HELENE MONSACRE' [Dal sito www.url.it/donnestoria/ riprendiamo la seguente recensione di Gabriella Freccero del libro di Helene Monsacre', Le lacrime di Achille. L'eroe, la donna e il dolore nella poesia di Omero, Medusa 2003. Gabriella Freccero, nata a Savona nel 1966, impegnata sulle tematiche pacifiste e del disarmo, sul pensiero e la scrittura delle donne, laureata in storia ad indirizzo antico con una tesi su "A scuola da Aspasia: uomini e donne tra retorica e politica nell'Atene del V secolo", ha pubblicato vari contributi su "Donne e conoscenza storica" (www.url.it/donnestoria), sito della Comunita' di pratica e riflessione pedagogica e di ricerca storica di Milano affiliata alla Libreria delle Donne, per cui cura recensioni di libri su donne e antichita' e sulla filosofia femminista; ha curato le schede di Aspasia di Mileto, Jane Hellen Harrison, Aphra Behn per il progetto "Dominae" del sito www.arabafelice.it di Anna Santoro. Collabora con il bimestrale "La Civetta" di Savona e con la rivista "Leggere donna" di Luciana Tufani. Helene Monsacre', prestigiosa ellenista, dirige per "Les belles lettres" la collana dei Classiques en poche che ripropone in edizione economica i classici della fondamentale collezione "Bude'". Tra le opere di Helene Monsacre': Les Larmes d'Achille, Albin Michel, Paris 1984 (trad. it.: Le lacrime di Achille, Medusa 2003); (con Jean Bottero), Babylone et la Bible, Les Belles Lettres, Paris 1994; (con Jean Bottero, Marc-Alain Ouaknin, Joseph Moingt, Jean-Louis Schlegel), La plus belle histoire de Dieu, Seuil, Paris 1997, 2004; ha curato l'edizione dell'Iliade per Les Belles Lettres, Paris 2002] Il programma educativo di Platone rivolto a coloro che avrebbero dovuto guidare la citta' ideale comprendeva un vasto ridimensionamento - o per dire piu' realisticamente, una drastica censura - del ruolo della poesia e del mito. Cosi' nella Repubblica, mettendosi di buona lena ad emendare gli "errori" omerici in un vasto passaggio del libro III (387e - 388b), egli non esita tra l'altro ad affermare: "Giustamente dunque sopprimeremo i lamenti per gli uomini illustri e li lasceremo alle donne, anzi nemmeno alle donne serie; e degli uomini a quanti siano dappoco, affinche' ci facciano nascere lo sdegno d'una simile condotta in coloro che diciamo di voler allevare a custodia del paese... E percio' di nuovo chiederemo ad Omero e agli altri poeti che non rappresentino Achille, il figlio di una dea, 'ora sul fianco giacente, ed ora invece supino, ed ora anche prono', che a volte si leva in piedi con l'animo agitato, errando sul lido del mare infaticabile e prende a due mani la nera polvere per cospargersene il capo, e neppure ch'egli prorompa in tutti quei pianti e lamenti, come poeto' Omero, e neppure che Priamo, di stirpe quasi divina, e supplichi e si rotoli nel fango, e gli uomini tutti invochi ad uno ad uno per nome" (trad. G. Pugliese Carratelli). Fortunatamente, secoli di corretta tradizione filologica ci hanno trasmesso i poemi omerici in versione integrale, senza le espunzioni o i rifacimenti stilistici auspicati da Platone. Tra i fatti che il filosofo trova disturban ti egli mette in primo piano l'abbondanza delle lacrime versate, sia da eroi forti e valorosi che da donne, mentre il filosofo le riserverebbe al solo sesso femminile, e alle sole rappresentanti "meno serie" di esso. Iliade e Odissea roba da donnicciole, dunque? * Lo studio di Helene Monsacre' va alla ricerca di un mondo di ideali eroici che gia' nel IV secolo a. C., ai tempi di Platone, era irrimediabilmente perduto, o consapevolmente obliato. Il suo interesse iniziale e' individuare una "mappa del sistema di ripartizione dei valori maschili e femminili nell'epopea omerica" (p. 9); iniziando a tracciarla si accorge che il polo femminile, presunto minoritario nel poema della guerra e dell'ira del Pelide, risulta invece chiaro e presente, mentre la materia narrativa sembra opporre resistenza a una netta separazione dei due mondi, presentando continue interferenze e rimandi da un polo di genere all'altro. La faccenda si fa clamorosa rispetto al tema delle lacrime: come e' possibile trovare eroi di provatissima virilita', riconosciuti esempi di comportamento, piangere disperati, rotolarsi a terra nel fango fra i singhiozzi, cercare consolazione presso le madri umane o divine, trepidare e gemere sul destino degli amici? * Una lunga prima parte e' dedicata a definire il comportamento eroico. Eroico e' andare a combattere in campo aperto, mostrando coraggio, forza, abnegazione, sprezzo del pericolo. Vile e' starsene rinchiusi a Troia, nelle stanze del palazzo regale, godendosi mentre gli altri combattono - incredibile caduta di stile - i favori erotici di una compagna sottratta con l'inganno al marito. Nel campo troiano Ettore e Paride incarnano rispettivamente l'ideale di eroismo e di vilta', ed e' la capacita' di sapersi sottrarre alle forze di Afrodite a determinare i valori positivi del guerriero. Anche Paride occasionalmente combatte, ma lo fa con armi non virili come la lancia, con l'arco e le frecce; trovatosi di fronte il furore guerriero di Menelao, si salva col solo aiuto di Afrodite, che avvolgendolo in una nube lo sottrae allo scontro. Chi e' devoto alla dea nata dalla schiuma del mare non trova nulla di allettante nei valori eroici; ma anche sottrarsi completamente all'influenza di Afrodite non e' un esempio da imitare. L'eroe che conosce solo il furore del combattimento, il crudo Diomede, che arriva a ferire la dea sul campo di battaglia, rischia di perdere le stesse caratteristiche umane e di passare dal lato del selvaggio, della ferinita'. Ed e' ancore Ettore, l'eroe perfetto, a conciliare la visione guerriera con una moderata frequentazione del femminile: egli incontra la moglie alle porte Scee, commuovendosi con lei, incontra la madre Ecuba, incontra Elena che si lamenta con lui di aver causato questo stato di cose, ma torna poi in battaglia a far risplendere il suo valore guerriero. Lo splendore eroico non e' solo delle imprese, ma anche dei corpi; i guerrieri omerici sono innanzitutto belli, dove la bellezza e' innanzitutto vigore e possanza delle parti del corpo che devono combattere: il petto, le braccia, le spalle. La statura e' importante per impressionare il nemico, come fa Aiace; se non e' elevata, conta la larghezza delle spalle e l'essere ben piantati, come puo' dire di Odisseo Elena a Priamo descrivendolo dall'alto dei bastioni. L'eroe deve potersi fidare delle sue braccia e delle mani adatte a maneggiare le armi; ma anche le gambe devono servirlo adeguatamente, per resistere all'assalto ben piantate a terra o per fuggire velocemente; il ginocchio e' l'articolazione fondamentale del corpo, dove la forza si attiva o viene meno. Con immagini sempre dinamiche e concrete, la forza penetra nei corpi guerrieri o li abbandona, piegandoli a terra come fantocci senza burattinaio. L'eroe e' bello anche in quanto e' giovane e possiede al massimo le doti fisiche richieste; farsi cogliere dalla morte in questo stato di perfezione e vigore rappresenta l'ideale del guerriero omerico e anche il fulcro del suo destino tragico. L'armatura costituisce un prolungamento delle potenzialita' belliche dell'eroe; protezione per il corpo, arriva a identificarsi come seconda pelle di chi la indossa; cosi' a Patroclo si adatta subito la corazza di Achille, per l'identificazione profonda di uno con l'altro, mentre l'armatura di Patroclo ucciso non e' della misura giusta per Ettore, che deve farsela adattare addosso da Zeus. Le armi prendono vita e prolungano la volonta' del guerriero di ferire ed uccidere: vogliono mordere, divorare, sudano con chi le indossa e si stancano con lui. L'eroe deve respingere il mondo di Afrodite per abbracciare il solo culto di Ares: ma non nuova certo neanche ad Omero doveva risultare la metafora del combattimento come incontro erotico. La stessa menis, il furore dell'eroe al momento dello scontro, non appare diversa dall'invasamento erotico, desiderio di una conquista totale dell'altro nell'uno e nell'altro caso. L'eros, la brama di guerra e' ricordata dal saggio Nestore, e da Achille per spronare i compagni Mirmidoni. Affondare la lancia nelle belle carni da' all'eroe un compiacimento speciale; le immagini stesse delle carni morbide, bianche e rosee dell'avversario richiamano il desiderio di affondarvi altrimenti dentro. Sullo scudo di Achille il fabbro divino Efesto ha scolpito una danza di giovani che richiama il tempo di pace e dell'amore; ma i guerrieri devono danzare la sola danza di Ares, afferma Ettore assalendo la montagna di muscoli di Aiace. Chi balla la danza di Afrodite in tempo di guerra e' un vile ed un imbelle, ricorda Priamo esacerbato appena morto Ettore, riferendosi al solito irredimibile Paride. Achille sogna ad occhi aperti di conquistare la citta' di Troia da solo con Patroclo, immaginando di "sciogliere i sacri veli di Troia" con metafora di stupro, assimilando l'abbattimento delle forti mura allo strappo del velo che ricopre la dignita' delle donne; metafora ripresa da Odisseo al momento di riconquistare Itaca, mentre a colloquio con Atena vagheggia "quando sciogliemmo i ricchi veli di Troia". Come un muro della citta' che cade conquistata crolla a terra il velo dal capo di Andromaca alla notizia della morte di Ettore, con tutti i componenti della complessa acconciatura quali pietre rotolanti giu' dai bastioni, prima ancora che l'infelice cada a terra soggiogata dal colpo (immagine ridiscussa piu' avanti come immagine reduplicata della morte di Ettore); Ecuba - con gesto piu' maschio - getta via il suo d'impulso, alla tremenda notizia della disfatta. La guerra consegna ad un sonno di bronzo chi e' colpito dalla Chera fatale, invece che ad un morbido riposo nel talamo nuziale; cosi' capita ad Ifidamante, giovane sposo che muore ucciso da Agamennone senza conoscere il letto di casa sua; sono gli uccelli spazzini, i rapaci ed i cani affamati a bramare l'eroe morto, non la legittima sposa. La morte rappresenta il supremo incontro di Ares ed Eros; il corpo di Ettore appena morto suscita la meraviglia e il desiderio dei guerrieri Achei giunti sul posto ad ammirarlo. Il cadavere di Ettore per intervento divino e' reso incorruttibile; Afrodite lo unge con olio di rose di origine divina mentre Achille si adopera a oltraggiarlo trascinandolo nella polvere; Apollo stende una nube di umidita' sulla pianura per evitare che si dissecchi al sole. Ettore e' il piu' bel cadavere che si sia mai visto, fresco e rugiadoso come un giovane vivo e vegeto, a simboleggiare la rigenerazione della vita e della natura nella metafora erotica racchiusa nel suo corpo. Gli eroi trovano di tanto in tanto il tempo per frequentare l'universo femminile, ed e' principalmente il sentimento della philotes, l'amore passionale, che unisce uomini e donne. Achille asserisce che cio' e' normale fra uomini e donne, mentre dichiara di non aver salito il letto di Briseide. Non solo gli Atridi amano le loro spose, ma tutti gli uomini, generalizzando il proprio sentimento. Cosi', sembra da ridimensionare l'affermazione di Moses Finley che accorda solo una tiepidezza di sentimenti agli eroi omerici nei confronti delle donne, concentrati come sono sul loro obiettivo eroico. Odisseo augura a Nausicaa di trovare un buon marito con cui dividere la gestione della casa con un'anima sola. Un sentimento profondo unisce Andromaca e Ettore, genitori di un figlio nato dall'amore; Ettore e' da lei definito il suo parakoitin, compagno di letto, con espressione molto concreta e passionale. Odisseo e' l'eroe piu' desiderato dell'epopea: ma se Circe e Calipso lo trattengono a scopo erotico piu' di quanto l'eroe desideri, lo ricambiano poi con saggi consigli sul ritorno; anche l'ingenua Nausicaa, cui l'eroe ispira un forte desiderio, facendosi una ragione della sua partenza, lo aiutera' nell'impresa. Ma se la passione avvicina uomini e donne, il lato del femminile rimane quello del disvalore; e' come se arrivati ad esprimere l'universo dei valori, cio' che conta e cio' che no, l'epos non potesse che assegnare al femminile il lato negativo; se l'eroe si comporta da donna, e' per lui un insulto; se e' la donna ad avere comportamenti virili, cio' non e' per lei motivo di biasimo. E' chiaro insomma che il valore positivo di riferimento e' solo uno: il polo maschile. * L'autrice segue l'interpretazione per cui nel mondo omerico non e' ancora cosi' evidente (vincente) la misoginia e la prevaricazione patriarcale, che sara' compiutamente teorizzata da Platone in avanti; nei poemi omerici si trovano cosi' mescolati punti di vista del "nuovo" maschilismo trionfante, insieme a esempi di forza e dignita' femminile tipici probabilmente di una precedente cultura ellenica; di qui il carattere ibrido della poesia omerica, e interessante per seguire le trasformazioni di una cultura nel momento in cui si verificano. Omero e' ancora molto esplicito sulle ragioni per cui i sessi si frequentano: perche' uniti dalle reciproche passioni (con le mogli, le amanti, e anche con le madri, punto interessante e indicativo di una forma di eros che il patriarcato odia e osteggia particolarmente e invece Omero ancora riconosce e accoglie; madri che si presentano tra l'altro con tutta l'autorita' simbolica che compete loro). Gli eroi non odiano quindi le donne, anzi ne cercano spesso conforto, calore, consiglio, protezione persino: ma ricalati nell'universo della battaglia, nel branco omosessuale maschile, devono negare l'universo positivo di valori che circonda il femminile, che riconoscono quando lo frequentano in privato, e affermare pubblicamente il loro disvalore. Si tratta quindi per l'eroe di vivere una vera dicotomia fra pubblico e privato; l'interessante e' che Omero dedichi spazio a questi sipari di incontro fra uomini e donne inframmezzati alle battaglie, non negando che esistano, perche' potrebbe anche passarci sopra e riassumere piu' velocemente, mentre invece sono i pezzi di poesia spesso piu' belli del poema, e il poeta evidentemente li cura molto. L'eroe vive un mondo di contraddizioni; piange, ma deve anche essere un animale da guerra; vive rapporti significativi con le donne, ma deve pubblicamente attribuire loro il lato perdente. Sono eroi ancora almeno tormentati dal dubbio, internamente divisi, anche se la guerra piace loro in un maniera erotica che davvero li estrania dalle donne. Tersite e Menelao hanno occasione di apostrofare i compagni per spronarli: Achee, non Achei! Tipico della vilta' femminile in guerra sarebbe lanciare insulti invece che combattere, usare le frecce invece che la lancia, gemere chiedendo di tornare a casa, rimanere nudi del proprio corredo di guerra. Anche la regressione all'universo dell'infanzia e' rimproverato: e' tipico l'insulto a Paride di assomigliare ad una fanciulla. Volendo esagerare, il paragone con la femmina di un animale spregevole porta l'insulto al grado massimo: cagne, cerve, pecore e colombe rappresentano l'infimo gradino cui scende il paragone con l'umano. La donna puo' farsi eccezionalmente di natura piu' nobile dell'usuale, soprattutto quando riveste il ruolo materno. Achille non puo' fare a meno di incontrarsi a piu' riprese con Teti, Enea con Afrodite, Ettore con Ecuba. In questi incontri e' la fisicita' il linguaggio della comunicazione: Teti accarezza la testa del figlio, gli prende la mano standogli accanto; e' lei con dolci parole a convincerlo a restituire il corpo di Ettore al padre. Afrodite salva fisicamente il figlio dalla furia di Diomede, lo nasconde alla vista avvolgendolo con il peplo splendente come si farebbe con un bambino da proteggere. Ecuba supplica Ettore di non scontrarsi con il tremendo Achille, mostrandogli il seno che lo nutri' da piccolo. Gli eroi non sono altro che bambini cresciuti per le loro madri, ma questo rapporto non svilisce la loro natura guerriera, ma ne esalta l'umanita' e mette in risalto la fragilita' del bene piu' prezioso, la vita, che essi devono sacrificare. Il dolore che il guerriero deve affrontare e' enorme; Agamennone ferito deve sopportare dolori paragonati a quelli di una partoriente; nel dolore si avvicinano valori maschili e femminili. Alla fine di questa prima ricognizione, valori eroici che sembravano nell'epopea guerriera impermeabili ad ogni influenza femminile si scoprono in realta' in continua dialettica con l'altro polo. * Nella seconda parte l'autrice indaga la reale presenza delle donne nell'epos omerico. L'uomo omerico puo' innalzarsi sopra la propria natura, divenire eroe, anche se si tratta di un destino gia' segnato alla nascita. Alla donna questa opportunita' non e' consentita, la sua vicenda si gioca nell'ambito della vita ordinaria prescritta ai mortali. Esiste in quanto compagna ed in riferimento ad un compagno. In guerra le donne sono il bottino da conquistare, tanto piu' preziose quanto di maggior rango sociale. Il rispetto dovutole e' legato alla parentela con un uomo: madri, spose, sorelle di eroi, quando questi sono morti in campo, non hanno piu' difese da opporre a un destino di schiavitu'. La virtu' delle donne e' tutta da svolgere all'interno dell'oikos, deve partecipare alla filatura della lana e proteggere i beni del padrone di casa, compresi i figli generati con lui. Ogni altro comportamento e' foriero di disastri, come e' il caso di Clitemnestra ed Elena. Il corpo delle donne e', al contrario di quello dell'eroe, poco esaltato: al di la' di generici riferimenti alle belle guance o agli occhi lucenti - o alle belle braccia al massimo - non c'e' alcuna descrizione puntuale di un corpo femminile nell'epos, cosi' che a stento distingueremmo le eroine una dall'altra per proprie caratteristiche individuali. Le donne indossano il velo come gli uomini la corazza, se ne ricoprono per uscire all'esterno. I colori della bellezza sono chiari, luminosi, iridescenti. Riguardo a cio' che le donne dicono nei poemi, netta e' la separazione tra Elena e le altre donne. Quest'ultima e' l'unica a prendere la parola in proprio, senza esserne richiesta da un uomo. Descrive, dai bastioni agli anziani radunati, cio' che vede sul campo di battaglia, come un aedo narrando; ma prima ancora e' stata ritratta da Omero mentre ricama le mille prove che Achei e Troiani soffrono a causa sua su un peplo di colore funereo, purpureo. Essa ha parole di biasimo per il nuovo marito Paride, che accusa di codardia e se stessa di scellerataggine per averlo seguito; si rammarica con Ettore dello stato delle cose presente. Parla al termine del poema intonando il lamento funebre per Ettore e le sue sono le ultime parole pronunciate nell'Iliade. E' l'unica donna a non mescolare le parole alle lacrime, piangendo solo al letto funebre del cognato, mostrando una capacita' razionale sua propria e non riflessa. Andromaca invece mischia sempre pianto e parole; Ecuba pronuncia la maggioranza dei discorsi ed e' la donna piu' pia, piu' preoccupata di onorare gli dei. Per lo piu' la voce femminile nei poemi omerici ha una dimensione inarticolata: geme, si lamenta, grida oppure ha una funzione profetica (Cassandra). Il discorso ampio e raziocinante e' prerogativa dell'uomo. Quando le donne assumono comportamenti maschili ne vengono nobilitate. Le Troiane sembrano occuparsi della sfera politica in modo egualitario rispetto ai loro sposi, quando Ettore dice di non voler passare per vile agli occhi dei Troiani e delle Troiane dal lungo peplo. Il consiglio degli anziani presieduto da Priamo ha una controparte nel consiglio delle anziane guidato da Ecuba, con funzioni di custodi dei rapporti con la divinita' Atena. Arete a Scheria gode di un'indiscussa autorita'. Penelope si rivela donna dai sentimenti maschili quando, dopo la strage dei proci, esita a riconoscere Odisseo: egli la accusa di avere il cuore piu' duro del sasso, una volonta' di ferro, attributi soliti di un guerriero. Inusuale anche che Omero ne esalti la mano robusta, parallela a quella dello sposo che a breve portera' a termine la strage dei pretendenti. Ancora travestito da mendicante, Odisseo le dichiara: "fama di te sale al vasto cielo come di un re perfetto che, pio verso i numi, alla giustizia e' fedele"; ma e' Penelope stessa a ricusare le attribuzioni regali, quando risponde che valore e bellezza se ne sono andati con la partenza per Troia del suo sposo. Politicamente corretta, la regina; Itaca non e' l'isola dei Feaci, sospesa tra realta' e sogno, e a lei non e' consentito esercitare un potere in proprio come ad Arete. Andromaca partecipa in qualche occasione alle attivita' della guerra: pascola i cavalli di Ettore, ne riceve in consegna le armi di Achille, consiglia persino ad Ettore uno schieramento difensivo dell'esercito dove le mura sono piu' attaccabili. Tutta la sequenza dell'annuncio della morte di Ettore come serie di eventi fisici che colpiscono il suo corpo ricorda da vicino l'abbattimento di un guerriero: tremito delle gambe, cuore che scoppia nel petto, caduta a terra col progressivo disfacimento dell'acconciatura regale; si stende su di lei la nera notte che simboleggia la morte del guerriero. Tuttavia l'assimilazione di Andromaca al patimento virile sta tutto nell'unico destino che la lega al marito (con una sorte nascemmo entrambi). La vicinanza di Elena ai valori maschili e' la piu' compiuta, lei che e' il personaggio femminile piu' autonomo dell'Iliade. Essa ha in comune con Achille il destino di cantare le imprese eroiche, oltre che viverle, come un aedo; essa canta o descrive le prodezze dei combattenti: un duplicato di Omero stesso. * Delineata cosi' la complessita' dei rapporti fra maschile e femminile, l'autrice puo' affrontare il problema delle lacrime nei poemi omerici. L'ethos dell'eroe omerico riassume tutti i valori legati all'eccellenza: coraggio, forza, assennatezza, abnegazione, capacita' di sopportare il dolore. Ma l'eroe e' altresi' cosciente della propria fragilita', legata alla propria natura mortale: per compiere pienamente il suo destino, egli sa che deve morire e veder morire i compagni prediletti. L'eroe non e' una macchina al servizio della guerra: la guerra ha il compito di nobilitarlo, e' l'occasione di mostrare al massimo le sue virtu'; ma e' anche la prova suprema, il destino di morte spesso lo attende. Allora l'eroe, che e' sempre un uomo, piange: per paura, per rabbia, per dolore. Le lacrime sono quasi una camera di compensazione di una richiesta di prestazioni umane di altissimo livello, una decompressione del groviglio di passioni che lo agitano come qualunque mortale, esacerbate dalla preoccupazione di dovere comunque eccellere in tutto. Chi non piange di dolore, piange almeno per la rabbia. L'impassibile Diomede, il guerriero-macchina privo di emozioni, piange per la perdita della gara dei carri durante i giochi funebri per Patroclo. Ma normalmente i guerrieri piangono la morte dei compagni: Aiace su Patroclo, Agamennone per le ferite inflitte a Menelao, e quando i Troiani sembrano prevalere e da Troia si odono voci di canti e festeggiamenti. Ettore piange ferito e Patroclo preoccupato della sorte dei Greci. Le lacrime di Achille scorrono durante tutto il poema, essendo la furia, l'ira con cui si apre il poema, la reazione ad un profondo stato di lutto e di prostrazione che segue l'uccisione di Patroclo. Dal primo libro, dove si ritira a piangere sulla riva del mare per lo sgarbo di Agamennone, e sono ancora lacrime di rabbia per l'onore offeso, al profondo dolore per la perdita del compagno prediletto, materia dei canti XVIII e XIX. Il dolore per la morte del compagno ha anche una componente di prefigurazione della propria morte, che Achille sa incombergli sul capo (La Chera io pure l'accogliero' quando Zeus voglia compierla). Nessuno puo' sfuggire il destino di morte, neanche il possente Eracle, che Atena nomina per ricordarne i pianti e i gemiti per la stanchezza micidiale impostagli dalle fatiche di Euristeo. Le lacrime non sviliscono gli eroi dunque, ma ne esaltano la capacita' umane di soffrire fino in fondo per il loro destino glorioso. Da notare che gli stessi eroi dell'epica nel teatro classico si compiacciono di soffrire senza versare una lacrima: Euripide nell'Eracle fa dire all'eroe di non conoscere il pianto. Anche gli dei piangono i figli morti in combattimento. Le uniche lacrime disapprovate da Omero sono quelle degli uomini semplici: Tersite piange dopo essere stato battuto da Odisseo durante la riunione dei capi achei. Coloro a cui non e' riservata la gloria non godono neanche del privilegio di piangere senza essere derisi. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 51 del 16 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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