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La nonviolenza e' in cammino. 1208
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1208
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 16 Feb 2006 01:58:31 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1208 del 16 febbraio 2006 Sommario di questo numero: 1. Il 17 febbraio a Ferrara 2. Il 18 febbraio a Massa 3. Il 18 febbraio a Pisa 4. Il 10 marzo "Diamo voce alla pace" 5. Luisa Muraro: Di Dio che e' amore, e di un'enciclica 6. Umberto Galimberti: Un principio di civilta' 7. Simona Forti presenta "Hannah Arendt. La vita, le parole" di Julia Kristeva 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. IL 17 FEBBRAIO A FERRARA [Da Elena Buccoliero (per contatti: e.buccoliero at comune.fe.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Elena Buccoliero, nata a Ferrara nel 1970, collabora ad "Azione nonviolenta" e fa parte del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento; lavora per Promeco, un ufficio del Comune e dell'azienda Usl di Ferrara dove si occupa di adolescenti con particolare attenzione al bullismo e al consumo di sostanze, e con iniziative rivolte sia ai ragazzi, sia agli adulti; a Ferrara, insieme ad altri amici, anima la Scuola della nonviolenza. E' autrice di diverse pubblicazioni, tra cui il recente (con Marco Maggi), Bullismo, bullismi, Franco Angeli, Milano 2005. Un piu' ampio profilo biobibliografico di Elena Buccoliero e' nel n. 836 di questo foglio] Venerdi' 17 febbraio 2006, alle ore 21, presso il Centro "Alexander Langer", in viale Cavour 142, a Ferrara, nell'ambito della "Scuola della nonviolenza" si svolgera' un incontro con Elena Buccoliero sul tema del bullismo. C'e' quasi un senso di estraneita' che avvolge e separa dagli adulti il mondo dei ragazzi e degli adolescenti, a maggior ragione quando essi si rendono protagonisti di episodi che paiono fuori controllo, impossibili da riconoscere e, quasi, da comprendere. Eppure non sono necessari i fatti piu' eclatanti, e pure presenti in tante citta' e anche nella nostra, per sapere che il bullismo e' una realta' ricorrente, sotto forma di prepotenze che avvengono ripetutamente, tra i ragazzi e le ragazze, all'interno delle scuole. Ma non e' neppure corretto - come pure accade soprattutto sui media - nominare cosi' ogni irrequietezza, ogni difficolta' di relazione, ogni situazione di conflitto che si presenti nel contesto scolastico, quasi che l'etichetta avesse l'effetto di criminalizzare i diretti protagonisti e sfumare le responsabilita' degli adulti. L'incontro di venerdi' sera sara' l'occasione per una prima esplorazione del mondo della scuola e dei rapporti di ordinaria, piccola grande prepotenza che vi si svolgono, tra i ragazzi e con gli adulti - dove la violenza agita si accompagna e si nutre di omerta' e indifferenza. Lasceremo spazio alla parola dei ragazzi, alla realta' che essi vivono dall'interno, ma ci saranno stimoli anche per ritrovare i segni che esperienze di questo tipo lasciano sui percorsi di crescita di ognuno di noi. Solo un piccolo assaggio prima di incontrare i due prossimi ospiti, che raccomandiamo - Salvatore Pirozzi, maestro di strada napoletano (24 febbraio) e Roberto Maurizio, giudice minorile onorario (3 marzo) - con la ricchezza di esperienza e l'ampiezza, la profondita' di sguardo che li contraddistingue. Per questo ci vediamo venerdi' 17 febbraio alle ore 21, presso il Centro di documentazione "Alexander Langer", in viale Cavour 142 a Ferrara. * La Scuola della Nonviolenza di Ferrara e' promossa congiuntamente da Movimento Nonviolento, Pax Christi, Legambiente, Gruppo Ferrara Terzo Mondo e Commercio Alternativo, ed ha il patrocinio del Comune di Ferrara - progetto "Ferrara citta' per la pace". Per informazioni: Centro "Alexander Langer", tel 0532204890, e-mail: langer at ferraraterzomondo.it oppure: daniele.lugli at libero.it 2. INCONTRI. IL 18 FEBBRAIO A MASSA [Da Gino Buratti (per contatti: buragino at tin.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Gino Buratti e' fortemente impegnato nell'esperienza dell'Accademia apuana della pace, del cui notiziario settimanale e' l'infaticabile animatore] Sabato 18 febbraio, dalle ore 16 alle ore 20, a Massa, nella Sala della Resistenza del Palazzo Ducale si terra' l'assemblea annuale dell'Accademia apuana della pace. * Programma dei lavori - ore 16: apertura dei lavori - ore 16.15: presentazione di esperienze e testimonianze significative (tra cui la Scuola della pace di Lucca e il Coordinamento comasco per la pace) - ore 17: saluto delle autorita' - ore 17.15: relazione del portavoce uscente - ore 17.30: relazione del tesoriere - ore 17.45: dibattito - ore 19: approvazione delle linee operative programmatiche emerse in assemblea e delle proposte nominative per l'elezione dei membri della struttura direttiva e del nuovo portavoce. * La pace e' proprio un'altra storia rispetto a quella che vediamo quotidianamente. A due anni e mezzo dalla costituzione dell'Accademia apuana della pace e' giunto il momento di fare un primo bilancio, ripensando il cammino fatto per costruire le condizioni del procedere di domani, con l'obiettivo di realizzare quello spazio aperto, condiviso, abitato da associazioni e singoli, nel quale sperimentare pratiche e culture di pace, al fine di contribuire, nel nostro piccolo, alla realizzazione, fin dal nostro territorio provinciale, di un altro mondo possibile. Vi invitiamo a partecipare ai lavori di questa assemblea, portando ciascuno il proprio contributo per costruire questo spazio. * Per ulteriori informazioni: www.aadp.it 3. INCONTRI. IL 18 FEBBRAIO A PISA [Da Giovanni Mandorino (per contatti: gmandorino at interfree.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Giovanni Mandorino e' una delle piu' rigorose e attive persone impegnate per la nonviolenza, partecipa all'esperienza del Centro Gandhi di Pisa e cura il sito della rivista "Quaderni satyagraha" (pdpace.interfree.it)] Il "Centro Gandhi" di Pisa, il "Gruppo Franz Jaegerstaetter per la nonviolenza" di Pisa e la "Tavola della pace e della cooperazione" di Pontedera promuovono e invitano al convegno sul tema "Servizio civile e Difesa popolare nonviolenta. Un convegno sulle proposte di riforma del Servizio civile e sull'attuazione della Difesa popolare nonviolenta" che si svolgera' il 18 febbraio 2006 con inizio alle ore 15 presso la ex Stazione Leopolda (vicino Piazza Guerrazzi) a Pisa. Si confrontano (l'elenco e' ancora provvisorio): Antonino Drago (Universita' di Pisa, Centro Gandhi), Alberto L'Abate (Universita' di Firenze, Corpi Civili di Pace), Licio Palazzini (Responsabile nazionale Servizio civile Arci), Luca Orsoni (Responsabile regionale della Toscana Servizio civile Caritas), Elettra Deiana (parlamentare, Prc), Silvana Pisa (parlamentare, Ds). * Studiosi e attivisti della nonviolenza, rappresentanti di alcuni dei maggiori enti che utilizzano personale in servizio civile, esponenti politici a confronto sul tema del servizio civile, un tema di grande importanza (e lo sara' ancor piu' nella prossima legislatura): sono state presentate alcune proposte di legge per la sua riforma, suscitando un dibattito molto acceso sull'ipotesi di rendere obbligatorio il servizio civile per tutti i cittadini, e sulle finalita' del servizio (attivita' "assistenziali", difesa del territorio, difesa nonviolenta). E' essenziale che questo dibattito sia svolto in modo pubblico e allargato, e che si tenga conto delle esperienze molto importanti fatte negli ultimi anni nel campo della difesa popolare nonviolenta, della interposizione nonviolenta, della gestione/trasformazione dei conflitti. Tutti gli interessati sono invitati a partecipare. Ulteriori informazioni e documenti sono disponibili nel sito: http://pdpace.interfree.it 4. INIZIATIVE. IL 10 MARZO "DIAMO VOCE ALLA PACE" [Dalla Tavola della pace (per contatti: e-mail: segreteria at perlapace.it, sito: www.tavoladellapace.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. la Tavola della pace e' il principale network pacifista italiano] Cari amici, come sapete, il 10 marzo si svolgera' la Giornata nazionale per una informazione e comunicazione di pace "Diamo voce alla pace". Vi rinnoviamo l'invito ad aderire alla Giornata (l'appello lo trovate nel nostro sito: www.tavoladellapace.it). Non possiamo infatti restare a guardare. Il grave stato dell'informazione nel nostro paese (sottolineato oggi dai ripetuti interventi di Ciampi) e l'assenza dalla campagna elettorale di ogni attenzione ai grandi problemi della pace non ci puo' lasciare indifferenti. Facciamo in modo che il 10 marzo, in tanti, nelle scuole, nelle citta', negli enti locali, diano voce alla pace. Da oggi e' possibile scaricare direttamente dal nostro sito il manifesto e i loghi della giornata (www.tavoladellapace.it nelle news della homepage e nella sezione attivita' dedicata alla Giornata del 10 marzo 2006). Sono disponibili inoltre dei manifesti cartacei che e' possibile richiedere contattando la segreteria nazionale della Tavola della pace al numero 0755736890 o scrivendo all'indirizzo 10marzo at perlapace.it. Contiamo sulla Vostra collaborazione e partecipazione e vi inviamo i nostri cari saluti, la Tavola della pace * Per maggiori informazioni rivolgersi a: Tavola della Pace, via della viola 1, 06100 Perugia, tel. 0755736890, fax: 0755739337, e-mail: 10marzo at perlapace.it, sito: www.tavoladellapace.it 5. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: DI DIO CHE E' AMORE, E DI UN'ENCICLICA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 febbraio 2006 (in cui questo articolo e' apparso col titolo "Dio e' amore e gli piace la politica"). Luisa Muraro, una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] Esclusi alcuni testi dirompenti come la Pacem in terris, fino a dieci anni fa, chi di noi andava a leggere quello che scriveva il papa? i piu' neanche sapevano che cosa fosse un'enciclica, o i relativi commenti. E chi li scriveva, dove si trovavano, questi commenti, visto che i giornali che noi leggiamo non li pubblicavano, per non parlare del testo dell'enciclica, praticamente introvabile prima che ci fosse internet. Faceva eccezione, qualche volta, "Il manifesto". Adesso, della Deus caritas est di Benedetto XVI, tutt'altro che un testo dirompente, nel senso giornalistico della parola, troviamo notizie, anticipazioni e commenti su tutti i giornali, perfino sulla prima pagina. Va detto che i giornalisti non cattolici si sono trovati in difficolta', si sente dalla loro prosa stiracchiata, non sapendo da che parte prendere un testo di questa natura. Ma questo non fa che evidenziare la novita' che dicevo. E' una novita' ambigua di cui molti di noi farebbero a meno. Infatti, a questo cambiamento contribuisce non poco la volonta' di assegnare il cristianesimo alla civilta' occidentale e di tirare la Chiesa di Roma da una determinata parte politica. Ma c'e' anche altro e va tenuto presente. Alcuni, molti, molte, fra noi, quanti non so, quanto consapevolmente non so, hanno smesso di vedere nella religione un ostacolo alla liberta' e all'intelligenza, anzi, si sono convinti che l'assenza di religione ci rende forse piu' razionali e calcolatori ma non moralmente migliori ne' piu' felici, per dirla con Giacomo Leopardi. Ho continuato a dire "noi": intendo quelli, quelle, che non aderiscono a un credo ma non sono anticlericali. Paradossalmente, siamo questi "noi", che non appartengono a nessuna chiesa, quelli che ristabiliscono, in qualche modo, una liberta' religiosa che era andata perduta. Intendo non la liberta' religiosa che il papa e le gerarchie reclamano per se' e i loro fedeli nei confronti dello Stato o della societa' decristianizzata, ma quella che toccherebbe a loro, semmai, promuovere, quella che ha fatto fiorire la ricerca mistica, liberta' di cercare Dio senza subordinare la propria ricerca alle istituzioni e agli uomini che fanno da intermediari. Edoardo Benvenuto, un teologo laico, fa l'esempio di Dante che, senza venir meno alla sua fede religiosa, mette tre papi in una buca dell'inferno, compreso quello regnante. E commenta: oggi una simile liberta' non sarebbe piu' ammissibile, il tramonto della cristianita' come civilta' comune ha trovato una specie di rimedio nell'imposizione della Chiesa (e del suo capo) quale oggetto di fede dei fedeli, da soggetto della fede qual era prima. Anche noi rifiutiamo l'oggettivazione e cerchiamo, con i nostri mezzi, di ritrovare una dimensione religiosa soggettiva per quello che ha di liberante e di inverante. Per strade che adesso non importa ricostruire, mi sono resa conto che la civilta' religiosa premoderna e' ricca di idee che si puo' tentare di tradurre in parole e forme buone per noi oggi, nel senso della possibilita' di essere liberi e di dire il vero, purche' non abbiamo rinunciato a quest'ultima possibilita' e purche' non cadiamo nella mera conservazione o, peggio, restaurazione del passato, come a un certo momento si e' messa a fare la pur grande e a molti carissima Cristina Campo. * Lo splendore di quelle idee della civilta' religiosa premoderna traluce anche in certi passi della prima enciclica di Benedetto XVI, come in quello su "l'agire imprevedibile e in un certo senso inaudito di Dio", che richiama le ultime righe della Medea di Euripide ("quello che abbiamo previsto non accade, dio si apre la strada per l'impossibile"), insieme al pensiero di una donna dotata di un vivo senso della liberta' religiosa, Simone Weil. Un altro esempio, piu' articolato, del valore che possono prendere certe idee religiose nel nostro presente, ce lo da' la critica del marxismo (e del comunismo) fatta dal papa con un argomento inedito. Al marxismo il papa oppone non il diritto alla proprieta' privata, tanto caro al pensiero borghese, ma la priorita' del qui e ora rispetto al futuro, perche' l'essenziale domanda e' di valere al presente e non venire usato come strumento per carpire l'obbedienza delle masse. Valere al presente, ma come? Con la testimonianza della carita' cristiana, e' la risposta. Non necessariamente una trascendenza, ma un'apertura si' - apertura dell'orizzonte, qui e ora, ad altro da quello che gli uomini pretendono di conoscere e controllare. Presentando l'enciclica, un signore della curia romana ha attribuito al suo autore la tesi di un superamento definitivo del comunismo. Non puo' essere che il papa abbia inteso questo, perche' sarebbe storicismo, cioe' chiusura dell'orizzonte. O forse si', ma in tal caso il suo testo si esporrebbe allo stesso trattamento, quello di un giudizio storico che mette fuori gioco i perdenti. E si spegnerebbe. * E' vero, come e' stato notato anche da Rossana Rossanda, che l'enciclica non sprizza novita', che la sua prosa e' un po' scolastica e la composizione risulta disuguale perche' nella prima parte e' una teologia dell'amore che lascia il posto a un discorso sul senso delle opere di carita' dei cattolici, discorso per tanti aspetti interessante (e destinato a qualche controversia, prevedo), ma rispondente a una maniera chiaramente limitata d'intendere il Dio che e' amore. Eppure, ogni tanto, questo testo non brillante in se', si mette a brillare. Non sono i ragionamenti per sistemare questo e quello, la ragione e la fede, lo Stato e la Chiesa, la politica e la carita', che lo fanno brillare, ma quello che, invece, non si lascia mettere a posto, che in definitiva e' proprio quella parola, amore, e quell'idea, che Dio e' amore (e non ci lascia stare, aggiungo io), che compaiono nel titolo dell'enciclica. Che cosa voglio dire con questo strano parlare? Che in mezzo ai tanti squilibri, contrasti e contraddizioni che gli umani, compreso l'uomo che ha scritto la Deus caritas est, tentano di affrontare e risolvere, con maggiore o minore successo, permane, senza risoluzione, uno scarto tra le realizzazioni umane e cio' che puo' dare loro un qualche senso e valore. Separate da questo, quelle scadono, lo sappiamo bene, che si tratti di fare un giornale (o di scrivere un'enciclica), di gestire un ospedale, di sposarsi e crescere dei bambini, di governare una casa o un paese... Dove lo prendiamo questo valore senza il quale cio' dietro a cui ci affatichiamo, scade nella sua risibile pochezza, e noi pure, ancora piu' scadenti? Le donne che si spendono dietro ai bambini, molte di loro almeno, una buona risposta devono averla trovata, ma qui parlo per quelli, in primis il papa, che non sono mamme ne' maestre di scuola. Allora, dove? O lo troviamo nel mondo dei rapporti di forza, sotto forma di soldi, prestigio, successo, padronanza sugli altri, oppure... Oppure lottiamo per un altro ordine di rapporti, non pero' da rimandare al futuro (e qui Ratzinger, lo ripeto, ha ragione su Marx) ma da praticare qui e ora. Subito. E troviamo il senso delle nostre vite nel tenere aperto il passaggio a quel di piu' che ha tanti nomi, anche Dio, e puo' illuminare il nostro agire dal suo stesso interno. In breve, io sto parlando di politica, la politica in cui mi riconosco, che ho imparato con il movimento delle donne, in cui si riconosce anche un numero crescente di uomini. Politica che fa anche la Chiesa, comprese naturalmente le Chiese che non fanno capo a Roma, quando non cedono ai poteri e ai calcoli di questo mondo, ma, costrette a starci, continuano a lottare, anche al loro interno, compreso l'interno di ogni singola persona, per aprire l'orizzonte alla possibilita' di Dio che e' amore (volendo parlare questo meraviglioso linguaggio). * Questo lo dico in parziale contrasto con quello che si legge nell'enciclica. A un certo punto, infatti, sembra che il suo autore voglia assecondare quell'idea di origine ottocentesca e borghese secondo cui la Chiesa non dovrebbe fare politica. Quest'idea viene meccanicamente ripetuta da tante parti, da persone che credono forse che serva a risolvere i problemi che nascono da quello scarto senza risoluzione che dicevo prima. Non e' veramente possibile che la Chiesa non agisca politicamente, tant'e' che non ha mai smesso di farlo, lo sappiamo, piaccia o non piaccia, bene o male, perche' lo scarto che dicevo esiste ed e' anzi piu' forte per uno spirito religioso (forse e' perfino troppo forte tanto da portare ad una scissione, ma questo e' un problema ulteriore, quello di Dante quando se la prende con papa Celestino). Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004) c'e' scritto e sottolineato che "il lavoro ha una priorita' intrinseca rispetto al capitale": in certi contesti, oggi piu' che mai, se prese onestamente, queste parole sono pari pari una sfida politica - per fare solo un esempio. Molto dipende da quale politica abbiamo in mente, mi sono detta notando che la definizione che della politica da' l'enciclica - realizzazione della giustizia nel contingente (qui e ora) da parte dello Stato - non risponde al mio agire politico, e di tanti altri, che e' piuttosto di attivare un senso di indipendenza simbolica da tutte le forme di dominio, insieme alla capacita' di mettere il proprio bene in circolo con il bene del maggior numero possibile di altri esseri umani. Tuttavia, a pensarci bene e, soprattutto, se teniamo presente la profonda idea cristiana di giustizia, le due concezioni, quella del papa e la mia (si parva licet...) non sono irrelate, a parte il ruolo dello Stato in cui mi pare che Ratzinger conceda qualcosa di troppo alla filosofia tedesca (Hegel). Ho letto che un altro papa, Paolo VI, ha detto che la politica e' la forma piu' alta di carita': confesso che mi pare esagerato, ma e' un'affermazione che corregge o integra alla grande il corso di pensieri seguito da questo papa nella sua prima enciclica. Qualcosa, in effetti, dipende anche da quale Chiesa. Ci vuole una Chiesa piu' libera, non nel senso moderno liberale ma in quello che gli sta a monte, di cui ha parlato san Paolo. All'inizio ho citato Edoardo Benvenuto, che era come Dante, un uomo polemico e fedele verso la Chiesa di Roma. Faccio riferimento a lui ma anche ad altre persone, le femministe cattoliche e riformate che conosco, come anche alla mia passata appartenenza al cattolicesimo, per dire che l'ansia dell'unita', la paura della divisione, la diffidenza verso la laicita', non servono l'impegno politico di un'istituzione che si pone dichiaratamente tra la terra e il cielo. Non c'e' da confezionare su questa terra una parvenza di quello che sara' possibile solo in cielo, che non sappiamo neanche che cosa sia, ma da tenere viva e feconda l'inevitabile tensione fomentatrice di politica. 6. RIFLESSIONE. UMBERTO GALIMBERTI: UN PRINCIPIO DI CIVILTA' [Dal quotidiano "La Repubblica" del 6 febbraio 2006 riprendiamo il seguente articolo, li' apparso col titolo "Ma il sacro esige rispetto assoluto". Umberto Galimberti, filosofo, saggista, docente universitario; dal sito http://venus.unive.it riprendiamo la seguente scheda aggiornata al settembre 2004: "Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, e' stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 e' professore ordinario all'universita' Ca' Foscari di Venezia. Dal 1985 e' membro ordinario dell'international Association for Analytical Psychology. Dal 1987 al 1995 ha collaborato con "Il Sole-24 ore" e dal 1995 a tutt'oggi con il quotidiano "la Repubblica". Dopo aver compiuto studi di filosofia, di antropologia culturale e di psicologia, ha tradotto e curato di Jaspers, di cui e' stato allievo durante i suoi soggiorni in Germania: Sulla verita' (raccolta antologica), La Scuola, Brescia 1970; La fede filosofica, Marietti, Casale Monferrato 1973; Filosofia, Mursia, Milano 1972-1978, e Utet, Torino 1978; di Heidegger ha tradotto e curato: Sull'essenza della verita', La Scuola, Brescia 1973. Opere di Umberto Galimberti: Heidegger, Jaspers e il tramonto dell'Occidente, Marietti, Casale Monferrato 1975, Il Saggiatore, Milano 1994); Linguaggio e civilta', Mursia, Milano 1977, seconda edizione ampliata 1984); Psichiatria e Fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1979; Il corpo, Feltrinelli, Milano 1983; La terra senza il male. Jung dall'inconscio al simbolo, Feltrinelli, Milano 1984; "Antropologia culturale", ne Gli strumenti del sapere contemporaneo, Utet, Torino 1985; Invito al pensiero di Heidegger, Mursia, Milano 1986; Gli equivoci dell'anima, Feltrinelli, Milano 1987; "La parodia dell'immaginario", in W. Pasini, C. Crepault, U. Galimberti, L"immaginario sessuale, Cortina, Milano 1988; Il gioco delle opinioni, Feltrinelli, Milano 1989; Dizionario di psicologia, Utet, Torino 1992, nuova edizione: Enciclopedia di Psicologia, Garzanti, Milano 1999; Idee: il catalogo e' questo, Feltrinelli, Milano 1992; Parole nomadi, Feltrinelli, Milano 1994; Paesaggi dell'anima, Mondadori, Milano 1996; Psiche e techne. L'uomo nell'eta' della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999; E ora? La dimensione umana e le sfide della scienza (opera dialogica con Edoardo Boncinelli e Giovanni Maria Pace), Einaudi, Torino 2000; Orme del sacro, Feltrinelli, Milano 2000; La lampada di psiche, Casagrande, Bellinzona 2001; I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2003; e' in corso di ripubblicazione nell'Universale Economica Feltrinelli l'intera sua opera"] Jean Daniel concludeva, qualche giorno fa su questo giornale ["La Repubblica" - ndr], il suo articolo La lezione di Voltaire con queste parole: "Le caricature del giornale danese possono essere condannate in nome dell'arte e della sensibilita', ma non si possono vietare in nome dei principi di civilta'". Non sono d'accordo, perche' tra i principi di civilta' c'e' anche l'assoluto rispetto delle religioni altrui. E quando dico "assoluto" mi riferisco al fatto che la religione, siccome affonda le sue radici nella parte pre-razionale di ciascuno di noi, dove e' anche la matrice della nostra identita' e della nostra appartenenza, se non vogliamo offendere questa matrice, nei confronti della religione propria e altrui dobbiamo avere tutti il massimo rispetto. Quanto poi alla sensibilita', la nostra e' cosi' rozza da non farci avvertire che il rapporto che noi occidentali laicizzati abbiamo con la nostra religione (cristiana) non e' lo stesso che i musulmani hanno con la loro? Se, in occasione del Natale, un vignettista musulmano rappresentasse su un giornale arabo la nascita di Gesu' su una piattaforma per l'estrazione del petrolio, invece che in una mangiatoia, noi, forse, per effetto della nostra laicita', ci limiteremmo a sorridere. Ma la laicita', che noi abbiamo guadagnato a fatica e non ancora del tutto da soli due secoli, non e' ancora una conquista del mondo musulmano. E non e' con le vignette che mettono in ridicolo il loro profeta che si accelerano i processi culturali e storici. Che reazione avrebbero gli ebrei se, in occasione di un'occupazione dei territori palestinesi, qualche giornale pubblicasse quelle terribili vignette, frequenti sulla stampa fascista e nazista, che denigravano gli ebrei? Quanto poi alla liberta' di satira, a cui fa riferimento Vittorio Feltri su "Libero" e Giordano Bruno Guerri su "Il Giornale", noi italiani, e soprattutto la parte politica che quei giornali sostengono, dopo l'allontanamento dagli schermi televisivi dei nostri uomini di satira, per non parlare dei giornalisti, dovremmo essere gli ultimi a metter parola. Lo stesso dicasi per la liberta' di stampa. Che ne sappiamo davvero della guerra prima in Afghanistan e poi in Iraq, e delle carceri di tortura disseminate in Europa, oltre alle informazioni che ci provengono dall'amministrazione americana? Voltaire, ci ricorda Jean Daniel, ha scritto: "Non sono affatto d'accordo con cio' che dite, ma mi battero' fino alla morte perche' nessuno vi impedisca di dirlo". Questo e' senz'altro il nostro supremo principio di civilta', ma ci siamo arrivati solo due secoli fa. Prima con le Crociate e poi con l'Inquisizione, ci comportavamo esattamente come si comportano con noi i musulmani. I processi storici sono lenti come i processi culturali che coinvolgono le matrici antropologiche dei popoli. Vogliamo lasciare anche ai musulmani il loro tempo? Pretendere reciprocita' di comportamenti oggi significa non avere alcuna sensibilita' in ordine ai tempi che i processi culturali e antropologici richiedono. Significa, direbbero gli studiosi di antropologia comparata: "Imperialismo culturale". "Gioca coi fanti e lascia stare i santi" dice saggiamente un proverbio popolare. Nel sacro, nel santo affondano, infatti, in modo pre-razionale, l'identita' e l'appartenenza di un popolo. E proprio perche' la matrice e' pre-razionale non c'e' argomento razionale che tenga. Per questo, come opportunamente ha scritto su "Repubblica" Piero Ottone, le religioni al massimo si discutono, ma non si dileggiano con vignette derisorie che, lungi dall'avvicinare i popoli e le culture, li provocano e li rendono ancora piu' nemici. 7. LIBRI. SIMONA FORTI PRESENTA "HANNAH ARENDT. LA VITA, LE PAROLE" DI JULIA KRISTEVA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 febbraio 2006. Simona Forti e' docente universitaria di storia del pensiero politico; laureatasi in filosofia presso l'Universita' di Bologna, ha conseguito il dottorato di ricerca nel 1989 in storia del pensiero politico presso l'Universita' di Torino; ha svolto attivita' di ricerca e didattica presso l'Universita' di Bologna, di Torino e presso la Graduate Faculty della New School for Social Research di New York. Fa parte del comitato di redazione di "Filosofia politica" e collabora a numerose riviste tra cui "Teoria politica", "Il Mulino", "L'Indice dei libri", "MicroMega", "Iride". E' nel comitato di redazione della rivista internazionale "Arendt's Newsletter"; e' autrice di numerosi saggi sulla filosofia politica contemporanea e sul pensiero di Hannah Arendt. Tra le opere di Simona Forti: Vita della mente e tempo della polis. Hannah Arendt tra filosofia e politica, Milano, Franco Angeli, Milano 1994, 1996; (a cura di), Filosofia e politica. Saggi su Hannah Arendt, Bruno Mondadori, Milano 1999; Il totalitarismo, Laterza, Roma-Bari 2001; (a cura di), La filosofia di fronte all'estremo. Totalitarismo e riflessione filosofica, Einaudi, Torino 2004. Ha curato e introdotto i due volumi: Archivio Arendt 1, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2, (Feltrinelli, Milano 2003; ha curato anche la "Bibliografia delle opere di e su Hannah Arendt", in Hannah Arendt, La vita della mente, il Mulino, Bologna 1987 (poi ristampata in Roberto Esposito (a cura di), La pluralita' irrapresentabile. Il pensiero politico di Hannah Arendt, Quattroventi, Urbino 1987). Julia Kristeva e' nata a Sofia in Bulgaria nel 1941, si trasferisce a Parigi nel 1965; studi di linguistica con Benveniste; intensa collaborazione con Sollers e la rivista "Tel Quel"; impegnata nel movimento delle donne, psicoanalista, ha dedicato una particolare attenzione alla pratica della scrittura ed alla figura della madre; e' docente all'Universita' di Paris VII. Opere di Julia Kristeva: tra quelle tradotte in italiano segnaliamo particolarmente: Semeiotike', Feltrinelli, Milano; Donne cinesi, Feltrinelli, Milano; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia; In principio era l'amore, Il Mulino, Bologna; Sole nero, Feltrinelli, Milano; Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano; I samurai, Einaudi, Torino; Colette, Donzelli, Roma; Hannah Arendt. La vita, le parole, Donzelli, Roma. In francese: presso Seuil: Semeiotike', 1969, 1978; La revolution du langage poetique, 1974, 1985; (AA. VV.), La traversee des signes, 1975; Polylogue, 1977; (AA. VV.), Folle verite', 1979; Pouvoirs de l'horreur, 1980, 1983; Le langage, cet inconnu, 1969, 1981; presso Fayard: Etrangers a nous-memes, 1988; Les samourais, 1990; Le vieil homme et les loups, 1991; Les nouvelles maladies de l'ame, 1993; Possessions, 1996; Sens et non-sens de la revolte, 1996; La revolte intime, 1997; presso Gallimard, Soleil noir, 1987; Le temps sensible, 1994; presso Denoel: Histoires d'amour, 1983; presso Mouton, Le texte du roman, 1970; presso le Editions des femmes, Des Chinoises, 1974; presso Hachette: Au commencement etait l'amour, 1985. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente scheda: "Julia Kristeva e' nata il 24 giugno 1941 a Silven, Bulgaria. Nel 1963 si diploma in filologia romanza all'Universita' di Sofia, Bulgaria. Nel 1964 prepara un dottorato in letteratura comparata all'Accademia delle Scienze di Sofia; nel 1965 ottiene una borsa di studio nel quadro di accordi franco-bulgari e dopo il 1965 prosegue gli studi e il lavoro di ricerca in Francia all'Ecole Pratique des Hautes Etudes. Nel 1968 consegue il dottorato sotto la direzione di Lucien Goldmann (con Roland Barthes e J. Dubois). Sempre nel 1968 e' eletta segretario generale dell'Association internationale de semiologie ed entra nel comitato di redazione del suo organo, la rivista 'Semiotica'. Nel 1973 consegue il dottorato di stato in lettere sotto la direzione di J. C. Chevalier. Dal 1967 al 1973 e' ricercatrice al Cnrs di linguistica e letteratura francese, al Laboratoire d'anthropologie sociale, al College de France e all'Ecole des Hautes Etudes en sciences sociales. Nel 1972 tiene un corso di linguistica e semiologia all'Ufr di Letteratura, scienze dei testi e documenti dell'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. E' nominata direttore del Dea di Etudes Litteraires. Nel 1974 viene eletta Permanent visiting professor al Dipartimento di letteratura francese della Columbia University, New York. Nel 1988 e' responsabile del Draps (Diplome de recherches approfondies en psycopathologie et semiologie). Nel 1992 e' nominata direttore della Scuola di dottorato "Langues, litteratures et civilisations, recherches transculturelles: monde anglophone - monde francophone", all'Universita' di Paris VII 'Denis Diderot' e Permanent Visiting Professor al Dipartimento di Letteratura comparata dell'Universita' di Toronto, Canada. Nel 1993 e' nominata membro del comitato scientifico, che affianca il ministro dell'educazione nazionale. Attualmente e' professoressa all'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. Dal 1978 dopo una psicoanalisi personale e una analisi didattica presso l'Institut de psychanalyse, esercita come psicoanalista. Gli interessi scientifici di Julia Kristeva vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi, alla letteratura del XIX secolo. Esponente di spicco della corrente strutturalista francese e in particolare del gruppo di 'Tel Quel', che ha sviluppato in Francia le ricerche iniziate dai formalisti russi negli anni Venti e continuate dal Circolo linguistico di Praga e da Jakobson, Julia Kristeva ritiene che la semiotica sia la scienza pilota nel campo delle cosiddette 'scienze umane'. Pervenuta oggi a un'estrema formalizzazione, in cui la nozione stessa di segno si dissolve, la semiotica si deve rivolgere alla psicoanalisi per rimettere in questione il soggetto senza di cui la lingua come sistema formale non si realizza nell'atto di parola, indagare la diversita' dei modi della significazione e le loro trasformazioni storiche, e costituirsi infine come teoria generale della significazione, intesa non come semplice estensione del modello linguistico allo studio di ogni oggetto fornito di senso, ma come una critica del concetto stesso di semiosi. Opere di Julia Kristeva: Semeitike'. Recherche pour une semanalyse, Seuil, Paris l969; Le texte du roman, Mouton, La Haye l97l; La revolution du language poetique. L'avant-garde a' la fin du XIX siecle: Lautreamont et Mallarme', Seuil, Paris l974; Des chinoises, Editions des femmes, Paris l974; Polylogue, Seuil, Paris l977; Pouvoirs de l'horreur. Essai sur l'abjection, Seuil, Paris l980; Le language, cet inconnu. Une initiation a' la linguistique, Seuil, Paris l98l; Soleil noir. Depression et melancolie, Gallimard, Paris l987; Les Samourais, Fayard, Paris l990; Le temps sensible. Proust et l'experience litteraire, Gallimard, Paris l994. Numerosi articoli di Julia Kristeva sono apparsi sulle riviste 'Tel Quel', 'Languages', 'Critique', 'L'Infini', 'Revue francaise de psychanalyse', 'Partisan Review', 'Critical Inquiry' e molte altre. Tra le opere della Kristeva tradotte in italiano, ricordiamo: Semeiotike'. Ricerche per una semanalisi, Feltrinelli, Milano l978; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia 1979; Storia d'amore, Editori Riuniti, Roma 1985; Sole nero. Depressione e melanconia, Feltrinelli, Milano l986; In principio era l'amore. Psicoanalisi e fede, Il Mulino, Bologna 1987; Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano; Poteri dell'orrore, Spirali/Vel, Venezia; I samurai, Einaudi, Torino 1991; La donna decapitata, Sellerio, Palermo 1997". Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] A tutta prima, sembra un'inedita Kristeva l'autrice di Hannah Arendt. La vita, le parole (il volume, uscito per le edizioni Fayard nel '99 e ora tradotto da Donzelli - pp. VI + 296, euro 23, traduzione di Monica Guerra -, e' parte di una trilogia intitolata "Il genio femminile", dedicata ad Hannah Arendt, Melanie Klein e Colette). Insolito, infatti, e' il tocco leggero e chiaro della scrittura con cui l'intellettuale di origine bulgara e di cultura francese dipana il racconto biografico. Ironico e paradossale puo' apparire l'intento del libro: esporre il pensiero di Hannah Arendt - cosi' esplicitamente avverso alla psicoanalisi - a una sorta di sguardo analitico. Il risultato, per quanto teoreticamente discutibile, e' comunque molto interessante. Credo, infatti, che sebbene vogliano tenersene lontano, le opere arendtiane si prestino piu' di quanto si possa credere a questo tipo di lettura. Il messaggio che Kristeva tacitamente invia ai suoi lettori richiama innanzitutto l'esemplarita' dell'esistenza di Hannah Arendt: una vita femminile che riesce a rendere produttivi i paradossi del secolo che attraversa. E il gioco di specchi tra la vita di chi racconta e la vita raccontata, che senza dubbio trapela tra le righe, riesce a tenersi distante da ogni fastidioso narcisismo. Con grande finezza vengono ritratti tutti i segni della differenza arendtiana: il suo essere una donna, costantemente immersa in ambienti quasi esclusivamente maschili; il suo essere ebrea, ma non praticante e non sionista, studiosa appassionata di teologia cristiana e filosofia tedesca. * Per Kristeva, insomma, tutto nella vita di Hannah Arendt, dalle opere alle scelte personali, parla dal punto prospettico di un'irriducibile estraneita'. Non soltanto gioca un ruolo centrale l'esilio, che la vede a Parigi negli anni Trenta e poi a New York dal 1940. Ogni episodio della sua esistenza, persino i lineamenti somatici cosi' precocemente invecchiati, reca tracce di una lotta, la lotta tipica di chi e' costretto a strapparsi da cio' che e' familiare: luoghi, abitudini, lingua. Ecco allora che la differenza tra il semiotico e il simbolico - nucleo teorico della riflessione kristeviana - trova nel dedalo dei segni offerti dall'"universo-Arendt" una possibilita' d'applicazione particolarmente promettente. Questo fa del testo non un volume di semplice esegesi arendtiana, che si aggiungerebbe a una produzione ormai sterminata, ma un godibile esempio di come possono interagire tra loro, in maniera intelligente e misurata, narrazione e psicoanalisi, analisi testuale e critica filosofica. Alla fine, Julia Kristeva riesce davvero a trasformare la biografia di Hannah Arendt nella testimonianza di un percorso tortuoso, sofferto, contraddittorio quanto si vuole, ma riuscito, in quanto capace di rispondere alla chiamata del proprio daimon. Il "demone" arendtiano chiedeva gia' tirannicamente alla giovane ebrea di cultura tedesca di spendere l'esistenza nella ricerca del senso, nell'interminabile inseguimento di una verita': la radicale finitezza del mondo umano intessuta da una pluralita' irriducibile. * In controtendenza rispetto a tante recenti interpretazioni iperpolitiche della filosofia arendtiana, l'autrice francese ritiene che l'interrogativo che assorbe, affatica e appassiona Hannah Arendt - dalla tesi di dottorato su Agostino a La vita della mente - sia in fondo uno solo: che cos'e' diventata la vita umana; che cosa resta di essa dopo il crollo dei sistemi di riferimento normativi? Se ancora la vita ci appare il bene ultimo, come pensarla a partire dal fatto incontrovertibile che cio' che ha accomunato e accomuna tutti gli "animali totalitari" - quelli del passato e quelli latenti - e' esattamente la pulsione a renderla superflua e a distruggerla nella sua singolarita'? Sarebbe infatti questa la minaccia a fronte della quale The Human Condition, l'opera del '58, intona un inno all'unicita' della vita spesa nell'azione e nella narrazione (bios), di contro a una vita biologicamente riproducibile (zoe). E' la disperazione prodotta dalla storia del secolo, a far scommettere Hannah Arendt su un agire politico pensato come espressione e prolungamento del "miracolo della natalita'". "Donna senza figli - ci dice Julia Kristeva - la Arendt ci lascia in eredita' una versione moderna (e secolarizzata?) del legame giudaico-cristiano con l'amore per la vita, attraverso il suo canto reiterato del 'miracolo della nascita', dove si coniugano la casualita' dell'inizio e la liberta' degli uomini di amarsi, pensare e giudicare". E' perche' ci sono nascite - frutto della liberta' di donne e di uomini, prima che prodotti delle combinazioni genetiche - che esiste la possibilita' di essere liberi. La nostra liberta', infatti - commenta Kristeva -, non e' soltanto una costruzione psichica, e' la conseguenza dell'inizio come esperienza della rinnovabilita' del senso. Proseguendo in modo assai eterodosso il discorso arendtiano - in questo caso portandolo al limite del tradimento - l'autrice francese ribadisce qui la propria visione dello psichismo materno come luogo di passaggio dalla zoe al bios. Piu' in generale, presenta il legame con la madre - o meglio, l'incontro primario col femminile - come radice, nel singolo, della possibilita' di "amore per il qualunque", condizione, in ognuno, dell'apertura verso il prossimo, verso la sua stessa fragilita'. E questo varra', conclude Kristeva, almeno fino a quando la tecnica non avra' eliminato, oltre alla novita' della nascita, anche la minaccia della morte. Fino ad allora, l'unico modo per la vita umana di trascendere la propria naturalita' sara' riposto nell'immortalita' della narrazione, o nella possibilita' istantanea, da parte della vita singolare, di essere riconosciuta dal gioco plurale delle parole e degli sguardi altrui. * Proprio sull'"enigmatica essenza" del chi arendtiano si concentrano le pagine piu' belle e penetranti del libro. Altamente problematica appare a Kristeva la sottovalutazione dell'espressivita' del corpo e della psiche nella rivelazione dell'identita' del singolo che agisce. Per eccesso di coerenza con gli assunti della filosofia heideggeriana, Hannah Arendt si precluderebbe cosi' la strada per una compiuta decostruzione della soggettivita' metafisica. Come sostenere, infatti, che la psiche e' abitata in ognuno dalle stesse e identiche pulsioni? Come ignorare che anche a livello del Dna il corpo biologico e' altissimamente individualizzato? Certo rifiutarsi di riconoscere la singolarita' della psiche e del corpo e' un gesto intenzionalmente provocatorio, la cui forza dovrebbe servire a marcare la differenza tra un soggetto che puo' essere tale solo se e quando agisce in mezzo agli altri e un individuo che diviene inevitabilmente un oggetto ogni volta che e' preso nella rete delle funzioni sociali e dei determinismi biologici. La nettezza di questa separazione sembra attenuarsi nell'ultima opera di Hannah Arendt, La vita della mente. La parte dedicata al Pensare, soprattutto, riuscirebbe a ridare al processo del pensiero il carattere di un'esperienza incarnata e sensibile. Tuttavia una nuova insidia teorica si ripresenta nella sezione sul Volere. E' chiara, e per Kristeva anche condivisibile, la scelta nietzscheana della filosofa di contrastare una volonta', che in virtu' del senso di impotenza verso il passato, si trasforma in risentimento, a sua volta foriero di appetito di vendetta e sete di dominio. Se, per sospendere l'accanimento contro il tempo, la risposta di Nietzsche e' l'oblio, quella arendtiana e' il perdono. Tuttavia, come e' possibile per qualcuno perdonare, se si trova privato della sua interiorita' psichica? E' ancora una volta il medesimo desiderio arendtiano di negare la profondita' della psiche a rilanciare una liberta' del tutto svincolata dalla volonta' e abbandonata alla dinamica plurale dell'"io posso". Ma, si chiede polemicamente Julia Kristeva, il potere politico, quand'anche separato dal dominio, puo' davvero fare a meno dell'intenzionalita' della volonta'? Nella sua ricerca di un fondamento non soggettivistico della politica - polemico tanto nei confronti del marxismo quanto dell'esistenzialismo francese - Hannah Arendt non solo non risolve, ma nemmeno affronta queste aporie. * Secondo l'autrice francese, auspicare il perdono al posto della vendetta risentita, puntare sul legame della promessa invece che sul controllo del dominio, significa lasciar emergere, filosoficamente, le risonanze cristiane della formazione giovanile. E insieme a questa eredita', mai esplicitamente ammessa da Arendt, verrebbe alla luce la negazione - in senso propriamente analitico - su cui si regge l'intero edificio arendtiano. Hannah Arendt avrebbe avuto bisogno, per continuare a vivere, ad agire e a pensare, di attaccarsi alla possibilita' che da qualche parte - al di la' forse delle singole persone concrete - e in qualche modo - al di fuori delle parentesi totalitarie - il "senso comune" rimanga "sano". Era questa gia' la tesi di Lyotard che Kristeva sviluppa rintracciandone i segni palesi. "Non e' la lingua tedesca che e' impazzita!"; perche' Hannah Arendt ripete cosi' spesso e ansiosamente questa affermazione? Come ad esempio nella bellissima intervista con Gaus (confronta Archivio Arendt 2. Feltrinelli, 2003). Perche', per quanto abbia genialmente ripensato alla vita come alla possibilita' del miracolo dell'inizio, Hannah Arendt non e' riuscita ad ammettere fino in fondo che in ogni cosa - sia essa la lingua, l'umanita', la madre, il padre, ogni singolo, persino l'essere - e' racchiusa la sua possibilita' di non essere. Resta, tuttavia, l'unica filosofa, non a caso una donna, che ci ha offerto un pensiero dell'inizio come possibilita' per ciascuno di rilanciare la questione del senso della propria vita. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1208 del 16 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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