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La nonviolenza e' in cammino. 1202
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1202
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 10 Feb 2006 00:07:16 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1202 del 10 febbraio 2006 Sommario di questo numero: 1. Noi ricordiamo 2. Peppe Sini: per Marco Benanti 3. "Azione nonviolenta" di gennaio-febbraio 4. Cindy Sheehan: Numeri 5. Enrico Peyretti: La testimonianza di Cindy Sheehan 6. Stefania Cantatore: L'11 febbraio a Napoli 7. "194 parole per la liberta'" 8. Lucia Vantini: Teologia femminista 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. NOI RICORDIAMO Noi ricordiamo le vittime delle foibe. Noi ricordiamo tutte le vittime. Noi sappiamo che nessuna uccisione e' giusta. Noi sappiamo che ogni guerra e' omicida. Noi sappiamo che ogni vita umana deve essere salvata. Noi sappiamo che nessun assassinio mai puo' essere dimenticato, perdonato, legittimato. Noi sappiamo che e' compito arduo ma fondamentale di ogni essere umano salvare le vite degli esseri umani, serbare memoria degli esseri umani, costruire un presente e un futuro in cui gli esseri umani che sono e che verranno possano vivere in dignita', solidarieta', felicita'. Noi ricordiamo. Noi ricordiamo tutte le vittime. 2. I COMPITI DELL'ORA. PEPPE SINI: PER MARCO BENANTI [Marco Benanti, giornalista antimafia, gia' collaboratore di quotidiani locali, dell'Ansa e di altri media, disoccupato nel "mestiere" ufficiale per le sue scelte di impegno nel giornalismo di inchiesta e denuncia, per sopravvivere lavora come operaio scaricatore di aerei a Sigonella: dove viene licenziato come provvedimento punitivo per il suo agire coerente con l'impegno intensamente sentito di costruttore di pace e di operatore democratico dell'informazione. Per esprimere solidarieta' a Marco Benanti: "Comitato a sostegno del giornalista-operaio Marco Benanti", e-mail: dostimolo at tiscali.it] Marco Benanti, giornalista impegnato contro la mafia e il regime della corruzione, e per questo perseguitato. Marco Benanti, operaio pacifista, e per questo licenziato. A Marco Benanti esprimiamo la nostra solidarieta', la nostra gratitudine, la nostra amicizia. 3. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI GENNAIO-FEBBRAIO [Dalla redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: an at nonviolenti.org) riceviamo e volentieri diffondiamo] E' uscito il numero di gennaio-febbraio 2006 di "Azione nonviolenta", rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964; mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. * In questo numero: Verso le elezioni politiche per preparare il cambiamento, di Daniele Lugli; Che succede in Brasile dopo la sconfitta del referendum contro il commercio di armi? Delusioni e speranze, ma la strada e' aperta, di Gigi Eusebi; Cosa bolle nella pentola dell'Irlanda del Nord? La rabbia protestante e le ragioni della nonviolenza, di Roberto Belloni; Nelle banlieues francesi telecamere e fuochi si sono spenti. Ma la violenza e' davvero finita? Cosa resta di quei giorni? intervista a Vincent Ferry a cura di Elena Buccoliero; Una forza piu' potente. Scheda 1: Danimarca 1940-1945. Vivere con il nemico, di Angela Dogliotti Marasso; A meta' strada di un Decennio, del Comitato italiano per il decennio; Indice di "Azione nonviolenta" anni 2002-2005, a cura di Elena Zampiccoli e Daria Tognetti. Inoltre le rubriche: Giovani. Sconfiggere l'inferno mafioso per fare della Calabria un paradiso, a cura di Laura Corradini; Educazione. Resilienza e coscientizzazione per educare nel tempo della globalizzazione, a cura di Pasquale Pugliese; Economia. Un obiettivo nonviolento: garantire a tutti il diritto al lavoro. Ma quale lavoro? Per fare cosa? Quanto lavorare? Per chi? a cura di Paolo Macina; Per esempio. I magnifici sette che non pagano la guerra, a cura di Maria G. Di Rienzo; Disarmo. Quando i numeri contano. La campagna "banche armate", a cura di Massimiliano Pilati; Musica. Storie di guerre e lacrime, speranze e desideri, a cura di Paolo Predieri; Cinema. La luce della storia illumina la memoria, a cura di Flavia Rizzi; Libri. La coscienza e la parola per diventare uomini, a cura di Sergio Albesano; Movimento. Medici obiettori contro il porto d'armi, a cura della redazione. In copertina: Aiuti dopo l'uragano Katrina; in ultima: Nonviolenza e politica; in seconda: Pax et Biani: Ritiri Uniti... * Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org * Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail a: an at nonviolenti.org, scrivendo nell'oggetto "copia Azione nonviolenta". 4. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: NUMERI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com] L'ormai famosa maglietta nera con le scritte in bianco che indossavo il 31 gennaio al discorso presidenziale sullo stato dell'Unione, originariamente aveva la scritta: 2000 morti. Quanti altri, ancora? La maglietta era stata confezionata dai "Veterani per la pace" in occasione del duemillesimo soldato americano ucciso in Iraq. Quel tragico numero venne raggiunto il 25 settembre 2005. Circa quattro mesi dopo, la mattina del 31 gennaio, prima che la mia compagna in attivismo pacifista e dissenso patriottico Ann Wright ed io si andasse alla nostra avventura giornaliera, Ann mise del nastro adesivo coprente sugli zeri del numero 2000 e scrisse: 242. Cio' cambiava il numero in 2.242, che era il disturbante totale delle perdite per quel giorno. Prima che io cominciassi il mio viaggio fatale verso il Palazzo del governo, scoprimmo che il numero era tristemente salito a 2.245. Mentre Ann ed io davamo il "discorso del popolo sullo stato dell'Unione", quel pomeriggio, assieme al deputato John Conyers, alla coraggiosa deputata Lynn Woolsey e all'attivista per i diritti delle vittime dell'uragano Katrina Malik Rahim, altre tre famiglie americane erano state gettate in una spirale di perdita, dolore e disperazione dalla quale non guariranno mai completamente. Il numero sulla mia maglietta fu cambiato a 2.245. 2.245 morti. Quanti altri, ancora? * Al 31 gennaio 2006, almeno 2.245 famiglie hanno pagato il prezzo estremo per le stupide e insensibili politiche in Iraq di questa amministrazione. Migliaia e migliaia di giovani uomini e donne sono stati feriti, alcuni assai seriamente, per l'arroganza dell'impero. Innumerevoli iracheni sono stati macellati mentre vivevano le loro vite di ogni giorno, grazie al metodo superficiale e senza cuore del "combatterli laggiu', cosi' non dovremo combatterli qui". Oggi, nella citta' dell'amore fraterno [Filadelfia - ndt] ho presenziato ad una cerimonia di premiazione dello "Shalom Peace Center", dove mi e' stato conferito un riconoscimento per il mio essere una "voce profetica" (non e' un lavoro facile); ma non e' questa la cosa importante. La cosa importante e' che uno dei miei amici e piu' grandi sostenitori ha portato del nastro adesivo coprente ed un pennarello, e molti di quelli che erano presenti indossarono una striscia di nastro con su scritto il numero 2.250. Questo significa che cinque angeli di piu' sono stati mandati ad una tomba precoce dallo scorso martedi', che a cinque madri in piu' e' stata comminata in modo ingiusto e non necessario una condanna al dolore che durera' tutta la vita, che cinque padri in piu' inizieranno un'odissea, perlopiu' silenziosa, di sofferenza nei loro cuori: un numero incalcolabile di famiglie rovinate per la nostra politica estera preventiva contro nemici immaginari. Io credo che sia che si sostengano le guerre di aggressione dell'impero della malvagita' che ci sta portando via i nostri diritti civili, e sta mandando la nostra gioventu' ad uccidere ed essere uccisa, sia che ci si opponga all'omicidio preventivo, tutti dovremmo onorare i nostri figli, che hanno dato nobilmente la vita per una causa cosi' ignobile. I numeri spaventano la gente. Il numero di croci che i "Veterani per la pace" piantano ogni domenica, su spiagge diverse della California, terrorizza le esistenze luminose di chi sostiene George e le sue politiche omicide. Queste persone reclamano perche' a loro dire i Veterani stanno facendo politica, e vogliono che quei numeri se ne vadano e non li disturbino. Confrontarsi con i numeri, i volti e la realta' e' semplicemente troppo per alcune persone. Come ex-insegnante di matematica, so che molta gente ha un'irragionevole paura dei numeri. Il numero delle nostre vittime di guerra in Iraq e' assai spaventoso. So che i numeri sono allarmanti, specialmente quando per essi non c'e' alcuna ragione logica. Noi sappiamo che George Bush si sottrasse al suo pericoloso dovere in Vietnam, entrando nella Air National Guard dell'Alabama. Suppongo che li stesse combattendo in Alabama, cosi' non avrebbe dovuto combatterli in Massachusetts. Sappiamo che George Bush non ha la pur minima briciola di coraggio dei nostri soldati, da quando ha rifiutato di incontrarsi con me faccia a faccia, nel suo prato adottivo di Crawford in Texas. Ora il mondo intero sa che non ha neppure la forza di fronteggiare una maglietta. Come esseri umani, tutti sappiamo che e' duro affrontare i propri errori, specie quando persone innocenti hanno pagato un prezzo orribile per tanta stupidita'. Ma di che sto parlando? Dai fallimenti negli affari, a quelli complici, dolorosi e imperdonabili nella sua vita pubblica, George Bush non ha mai ammesso un solo errore, ne' mai ne ha guardato uno. Ebbene, e' ora che affronti questo errore e che in qualche modo senta un'intensa vergogna per l'errore piu' grande della sua vita di miserabili sbagli. * Chiedo a coloro che tengono alla pace ed alla giustizia di indossare il numero sui loro petti ogni giorno, vicino ai loro cuori. Per onorare i nostri morti, ma anche per contrastare coloro che stanno volendo questa guerra e sostenendo i dispensatori di morte, ma che non rischierebbero la propria carne ed il proprio sangue nei crimini contro l'umanita' che vengono perpetrati quotidianamente. Io imploro tutti negli Usa, di ricordare che ogni numero in questa cifra orribile rappresenta un membro vivente, respirante, meraviglioso, amabile ed indispensabile di una famiglia, di una comunita' e di una nazione. Non sono solo numeri. Erano esseri umani prima di essere sfruttati per il petrolio e l'avidita'. Indossate il numero per i nostri morti. Indossate il numero per le loro famiglie. Indossate il numero per i feriti. Indossate il numero per i nostri figli che ancora si trovano in pericolo, la cui confusione rispetto alla loro missione sta crescendo, e che vogliono solo tornare a casa. Indossate il numero per le persone che si troveranno in mezzo alle future guerre di aggressione che i criminali di guerra a Washington stanno gia' pianificando. Indossate il numero per la pace. (Per conoscerlo ogni giorno consultate: www.icasualties.org) 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA TESTIMONIANZA DI CINDY SHEEHAN [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento (ad un tempo proposta, testimonianza, riflessione), che estraiamo da una piu' ampia lettera. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Una proposta: raccogliere in uno o piu' numeri del notiziario tutti gli scritti finora pubblicati di Cindy Sheehan, anche per suggerire ad un editore di farne un libro. Sarebbe una bella testimonianza dell'America civile, offesa e ferita dalla guerra di Bush. Sapete che Cindy, insieme a Alice Mahon (parlamentare laburista inglese dimessasi per protesta contro le menzogne belliche di Blair) e' stata qui a Torino il 19 e 20 scorsi. L'abbiamo ascoltata in ben tre incontri nello spazio di 20 ore: uno numerosissimo alla Cgil, uno ristretto (una o due decine di persone) nel Centro Studi Sereno Regis, uno al Politecnico, interrogata dagli studenti. Per vari motivi, io non ho potuto prendere appunti, come faccio di solito, sicche' non ho potuto scriverne un resoconto preciso. Ma posso dire che e' una persona mite, tranquilla, che reagisce in modo ammirabile al suo dolore, che ancora la strazia (espone sul tavolo la foto del figlio ucciso, Casey, e le piange la voce a parlarne: il prossimo 4 aprile saranno due anni dalla sua morte), con forza interiore e volonta' di verita' e costruttivita'. E' una figura familiare: sembra una zia, una sorella (secondo l'eta' di chi la guarda), parla in modo piano, lucido, non recita il personaggio... Noto, tra l'altro, che Cindy scrive efficacemente, forse anche piu' di come parla. Prima di Torino e' stata a Perugia e Roma. Sul momento, ricordo che in una risposta ha parlato di "fascismo", reale pericolo per gli Usa. E' l'anima bella e civile degli Usa. La sua calma e limpida daterminazione di rendere onore e riscatto al figlio ucciso dalla guerra infame di Bush (lei dice: ucciso da Bush), e a tutte le altre vittime, e' impressionante, proprio per la quotidianita' umana in cui ce la comunica. Merita il nostro appoggio solidale... 6. APPELLI. STEFANIA CANTATORE: L'11 FEBBRAIO A NAPOLI [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo. Stefania Cantatore (per contatti: stefi49 at libero.it o anche udinapoli at libero.it), impegnata nel movimento delle donne e promotrice di molte iniziative per la pace e i diritti umani, e' una delle animatrici dell'Udi (Unione donne in Italia) di Napoli] Il 14 gennaio a Milano, le donne hanno parlato al paese, a donne e uomini, al governo e all'opposizione. Una giornata di lotta e di parola per dire che l'autodeterminazione, la conquistata possibilita' di appellarsi alla legge 194, sono ormai coscienza e diritto inalienabile per le donne, condizione prima per la costruzione di una piu' civile convivenza tra generi. "Uscire dal silenzio" e' il messaggio affidato alle reti, con la forza della dignita' ferita dalle campagne concentriche agite dalle istituzioni politiche e religiose, che pretendono di rinegoziare un patto sulle donne senza le donne. Il messaggio e' stato accolto da migliaia donne in tutto il paese, se pure in una consapevolezza: l'assordante silenzio che circonda la protesta e il disagio delle donne nell'Italia galvanizzata da contrattazioni di potere (nelle quali non vengono mai considerate parte in causa), non consiste nella loro afonia, bensi' nell'ovattata insonorizzazione dei luoghi del potere. E dunque l'immediatezza della risposta all'appello, col solo sostegno delle reti di cui ci siamo dotate, e' stata il segno non solo di una condivisione, ma anche che quello che stava avvenendo a Milano stava costruendosi altrove. Nell'Italia disuguale, sull'orlo di un federalismo grossolanamente egoista, la solidarieta' tra donne e' un magistero, forse l'unico punto fermo, che promette visibilita' scambievole nell'interesse comune ad agire opposizione e rifiuto alla riorganizzazione della catena di comando fondata sulla subalternita' femminile. Dal sud, non da svantaggiate, ma per aver svelato la connivenza tra patriarcato mafioso e gerarchie a vario titolo istituzionali, abbiamo osato e voluto il secondo degli appuntamenti per l'11 febbraio. La scelta quasi obbligata di una data simbolica, per esprimere quella laicita' che le donne inverano nel rapporto con l'altra, con gli altri, traducendo nella relazione linguaggi differenti ed uguali bisogni. Laicita', non come semplice riconoscimento di una separazione formale tra stato e chiese, ma dissacrazione del comando e quotidiana istanza di reciprocita' delle regole tra cittadini e tra governo e cittadini. Laicita' ed autodeterminazione definiscono, forse riassumono, ma non spiegano automaticamente la consapevolezza che le donne hanno acquisito sulla qualita' e la molteplicita' degli attacchi di cui sono oggetto. Si e' fatto sistema intorno alla riduzione delle liberta' femminili con sapienza e determinazione: il sottacimento e la fattuale tolleranza del femminicidio domestico e degli stupri, l'introduzione nelle case di nuovi pericoli legati alla liberalizzazione del ricorso alle armi, la privazione del diritto all'abitazione per "chi non ha famiglia", tanto per citare a caso, non sono che i fatti di attualita' piu' vicina. La comunicazione giornalistica puo', qualcuna pensa che deve, chiamarsi ad esercitare un ruolo nel dar conto del fatto che le donne, uscite dal silenzio, saranno in piazza a Napoli per spiegare a tutti che verranno pronunciate "194 parole per la liberta'" di tutti e tutte. E' l'autoconvocazione nella quale chi crede davvero nella forza della denuncia puo' cogliere l'occasione per la riapertura di un dibattito piu' complessivo sulla direzione politica del paese. L'atteggiamento tenuto fino ad oggi dal giornalismo, anche quello che amiamo sentire piu' vicino, sembra pero' avere qualche motivo di reticenza, e sembra che l'occasione non verra' colta. Per Milano sono state, Assunta Sarlo per prima, proprio le giornaliste a parlare a se stesse, per indurre i propri giornali a rompere il "loro" silenzio, e noi da Napoli le abbiamo appoggiate aggiungendo al loro il nostro appello. Solo cosi' e' stato possibile il tardivo ravvedimento degli ultimi "fatidici" tre giorni. Non possiamo prevedere se qualcosa si muovera', ma quello che si puo' dire fin d'ora e' che se non accadra', ci sara' qualche buon motivo. Di sicuro non edificante. 7. APPELLI. "194 PAROLE PER LA LIBERTA'" [Da varie strutture e persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo] Dopo Milano, Napoli: il testimone passa e l'autorita' della parola delle donne continua. L'11 febbraio saremo in piazza: - per difendere la legge 194 sulla maternita' libera e responsabile, perche' non abbiamo nulla da nascondere e nulla di cui scusarci, perche' del corpo delle donne decidono le donne; - per parlare dal sud, dove la salute delle donne non e' ancora considerata un bene comune, dove la legge 194 e' indispensabile per non ritornare nell'illegalita', dove il tempo della maternita' e' negato dal ricatto di un lavoro precario; - per valorizzare il ruolo dei consultori come luoghi trasparenti di autodeterminazione delle donne e dei giovani e come sostegno ai percorsi di crescita dell'infanzia e dell'adolescenza; - perche' il ricatto fatto alle donne e' un ricatto contro il riconoscimento pubblico delle liberta' e dei diritti nelle differenze; - perche' alla difesa della legge 194 si aggiunga la lotta per il riconoscimento giuridico dei patti civili di solidarieta'. Ora piu' che mai parliamo nelle piazze di liberta', di laicita', di diritti come nodo fondamentale di ogni civilta'. * Manifestazione nazionale a Napoli, l'11 febbraio 2006. Ore 14: corteo da piazza del Plebiscito a piazza Matteotti. Promossa dal cartello per l'autodeterminazione delle donne in Campania "194paroleperlaliberta'": Cgil Campania, Donne Ds, Udi di Napoli, Donne laiche di sinistra, Forum Prc, Uil Campania, Mamme antismog, Arcidonna, Arci Napoli, Arci lesbica, Dame, Donnesudonne, La rosa e' donna, Onda rosa, I Ken, Arci gay, Gay left, Circolo coming out, Comitato legge 194, Citta' libera, Associazione Self, Amica Cicogna, Il liberatorio politico, Collettivo Alice, Comitato donne Chiaia Posillipo, Associazione Pimentel, Libreria delle donne Evaluna, Attivamente, Associazione Anna Lindth, Donne in nero, Sportello rosa Filcams Campania, Sinistra giovanile, Studenti in movimento, Laboratorio occupato "Insurgencia", Orientale agitata, Collettivo studentesco universitario, Giovani comunisti, Radicali Campania, Donne Verdi, Comunisti italiani, Sdi, Italia dei Valori, Le Metec Alegre, Coordinamento donne area Flegrea, Associazione le Kassandre Ponticelli. * Per informazioni e contatti: e-mail: 194parolexlaliberta at libero.it, sito: http://194parolexlaliberta.ilcannocchiale.it 8. RIFLESSIONE. LUCIA VANTINI: TEOLOGIA FEMMINISTA [Dalla rivista telematica "Per amore del mondo", fascicolo dell'inverno 2005-2006, nel sito www.diotimafilosofe.it] Da qualche decennio alcune teologhe, puntando sulla possibilita' ermeneutica di mettere in relazione il discorso su Dio con l'istanza femminista, si sono addentrate in un nuovo ambito di ricerca. Hanno tentato di dar forma ad un connubio inedito che e' in qualche modo ricaduto sul pensiero gia' sedimentato con tutta la complessita' e il carattere aperto delle indagini ancora sperimentali. Ecco perche' il panorama che oggi ci e' consegnato non e' affatto omogeneo ma si presenta in maniera frastagliata e intermittente. Non e' sempre agevole riconoscere le varie prospettive, valutarne lo spessore ermeneutico, discriminare dove, dietro ad un linguaggio comune, sussiste una qualche divergenza, e dove una difformita' formale nasconde una confluenza. Non e' superfluo ricordare che la teologia femminista nasce essenzialmente da due istanze: - dal senso di estraneita' che alcune donne hanno provato di fronte a qualche passo della Scrittura e alla procedura teologica che esse stesse utilizzavano: un disagio legato alla sensazione che l'interrogativo posto a partire dalla differenza femminile imponesse urgentemente un altro approccio metodologico; - dalla consapevolezza che le Sacre Scritture e la loro interpretazione sono inserite in un contesto androcentrico, hanno, come norma e veicolo, un soggetto umano maschile che si e' ritrovato a funzionare come soggetto universale. Difficile, riduttivo, parziale, ma necessario, classificare le varie prospettive: disporre di un ordine, per quanto penalizzato dalla semplificazione, consente tuttavia di addentrarci con maggiore consapevolezza nelle questioni fondamentali. E' in questo senso che mi sembra utile sottolineare tre "passaggi-chiave" che hanno significativamente attraversato la ricerca teologica femminista. * Si e' verificato un primo bivio gia' nell'approccio al testo sacro. Alcune teologhe, definendosi "post-cristiane" hanno ritenuto la Scrittura e la Tradizione troppo compromesse dall'ottica androcentrica per potervisi ancora misurare: un principio parziale ha funzionato non tanto come riferimento formale quanto piuttosto come un presupposto pericolosamente oppressivo e stagnante da far degenerare irrimediabilmente il contenuto stesso. L'unica via praticabile per una teologia femminile libera e politicamente efficace rimaneva l'uscita dalla Chiesa e la realizzazione di uno spostamento dell'interesse dal testo sacro e dal suo contesto patriarcale all'esperienza femminile, un'esperienza che e' in grado di fare comunita'. Emblematico si rivela in questo senso il percorso di Mary Daly, che si struttura a partire dal tentativo di leggere la tradizione biblica ed ecclesiastica secondo la prospettiva della donna, convinta che il vangelo rimanga pur sempre un messaggio di speranza, e che approda in seguito, gia' da Al di la' di Dio Padre (1973), ad una posizione di rifiuto del cristianesimo giudicato come l'ideologia della societa' maschilista, come irreversibile distorsione dei rapporti umani. L'autrice auspica l'avvento di una comunita' di sole donne, in aperta rottura con l'ordine patriarcale della chiesa. Ella pero' continua ad orientare la sua ricerca alla trascendenza, correndo il rischio di sottovalutare la difficolta' di conservare questa apertura senza relazione ne' con la tradizione religiosa ne' con una comunita' di fede (1). Le femministe cristiane, invece, continuano a credere che la Scrittura, pur deformata dalla parzialita' di un'ermeneutica androcentrica, continui a lasciar intravedere il volto misericordioso di Dio, a veicolare un messaggio di liberta' che rimane sensato anche per le donne. Una ricchezza che si lascia intuire anche dietro le incrostazioni e i filtri ermeneutici. Questa non e' comunque una prospettiva ingenua, che non tiene conto delle molteplici interferenze che disturbano la linearita' della ricerca, della ricerca teologica soprattutto. Nessuna teologa femminista si illude di poter dar vita ad un discorso "puro" su Dio, privo di limiti e fraintendimenti. Tutte sanno che ogni discorso e' storico, contingente. Innestando il loro discorso su questo strutturale radicamento in un contesto particolare, storico e parziale, mai pretendono di assurgere al livello dell'universalita'. Mirano piuttosto a creare pensiero autentico. * Dal punto di vista metodologico, la teologia femminista si pone anzitutto un problema ermeneutico ed esegetico: quale rapporto c'e' fra testo e messaggio? La teologia femminista risponde utilizzando il metodo storico-critico: si muove infatti nella consapevolezza che i testi biblici sono sempre frutto di mediazioni culturali e simboliche. La Bibbia non consegna un'esperienza ma comunica l'esperienza di altri e altre. E' Parola di Dio, certo, ma riflettuta all'interno di coordinate umane, spaziali e temporali: e' sempre "situata". La teologia femminista e' diffidente verso quelle letture spirituali che non fanno i conti con un'esegesi scientifica e storica: esse aggirano l'ostacolo, vi passano sotto (2) autoestromettendosi dal confronto teologico serio e sensato. Essa ritiene imprescindibile questa metodologia che differenzia il valore teologico di un testo dalla modalita' storica e contestuale con cui questo valore e' enunciato e veicolato (3). Solo cosi' e' possibile pensare di ricercare nella Scrittura, e non fuori di essa, quel messaggio di liberta' offuscato da categorie a volte discutibili. E' il percorso intrapreso ad esempio da Rosemary Radford Reuther (4) che riconosce nel discorso profetico un'istanza rivelativa che funzionava gia' all'interno del testo, e da Phyllis Trible, che parla di un "principio depatriarcalizzante" (5) intrabiblico. Delineata su una discontinuita'-continuita' fra testo e messaggio, questa prospettiva giudica equivalenti, dal punto di vista metodologico, l'interpretazione biblica misogina, che assume i dati biblici per legittimare una presunta inferiorita' della donna, e l'interpretazione biblica femminista postcristiana, che prende le distanze dalla Bibbia perche' ormai definitivamente compromessa con il paradigma androcentrico: entrambe identificano testo e messaggio (6). * Riconosciamo un secondo guadagno di pensiero nell'emergere piu' recente di un atteggiamento piu' cauto verso quell'ansia iniziale di dissotterrare e restituire visibilita' alle figure femminili che l'ottica tradizionale aveva reso marginali, mute, insignificanti. Prima appariva decisiva ed efficace l'attenzione alla realta' di donne che la storia, come un filtro troppo largo, non era riuscita a far affiorare. Il progetto di recupero di quelle dimensioni che la trasmissione non aveva veicolato sembrava consegnare finalmente alle donne un passato utilizzabile come radice (7). L'idea-guida era quella di separare, nella tradizione, cio' che conservava un senso vivificante per le donne da cio' che le mortificava. Ma si trattava di un'operazione che ancora dipendeva da una logica olistica: in nome di una omogeneita' apparentemente legata alla differenza sessuale, pretendeva di tenere insieme dati femminili contrassegnati da scarti spazio-temporali notevoli. E' stata la Gender Analysis ad introdurre una nuova metodologia, attenta al contesto storico, sociale, politico, culturale e religioso, prendendo le mosse da una concezione sociologica di "differenza sessuale": la "mascolinita'" e la "femminilita'" sono delineate in relazione al contesto sociale in cui sono inserite (8). Nonostante i correttivi, molte teologhe hanno posto l'accento sui rischi latenti di un procedere "topico" che si orientava su un "tema femminile" lasciando intatta quella metodologia tradizionale da cui si tentava invece di prendere le distanze. La teologia femminista non e' una "teologia della donna", una "teologia del genitivo", cioe' un percorso settoriale, concentrato sul "femminile", che tenta di reagire alle astrazioni della prospettiva neoscolastica. Anzi, la teologia femminista prende le distanze da questa impostazione, unilaterale e appoggiata alle medesime strutture di pensiero di cui si vorrebbe liberare. Se si vuole continuare a mantenere la categoria del "genitivo" per descrivere questo itinerario del pensiero, e' necessario specificare la natura soggettiva di quest'espressione: il rimando non e' solo alla settorialita' dell'oggetto indagato ma a quella del soggetto indagante. E' una teologia di donne fatta da donne. Da donne che sentono l'esigenza di riflettere sulla loro esperienza cristiana e di metterla criticamente in circolo. * Chiaramente la teologia femminista si forma in un rapporto stretto, di adesione e di critica, rispetto alle istanze del femminismo moderno, e si registra in essa il medesimo passaggio che si e' verificato all'interno del movimento femminista: dalla tensione emancipatoria (che riuscirebbe al massimo a strappare una collocazione migliore alla donna ma pur sempre nello stesso ordine di prima) alla riconfigurazione simbolica, che e' anche trasformazione, del mondo in cui uomini e donne sono inseriti e stanno in relazione. Un'istanza femminista in termini di uguale o pari dignita' uomo-donna si e' rivelata insufficiente, sia dal punto di vista pratico sia dal punto di vista teoretico. Quella di uguaglianza non era una categoria incontaminata e integra ma una nozione ormai irreparabilmente inficiata di androcentrismo: paradossalmente, un ulteriore luogo di alienazione femminile. Ecco perche' si e' rivelata ben presto necessaria la ricerca di un'ulteriore chiave interpretativa, quella della "differenza" (9). Non era piu' il momento di "denunciare" ma di "costruire". Le teologhe femministe hanno quindi scelto di radicare il loro lavoro in quel "partire da se'" su cui il movimento delle donne si e' fondato. Naturalmente e' un "partire da se'" che non si ripiega sull'io, che non ritorna al punto iniziale, ma che conduce fuori di se', nella relazione. Una relazione con Dio, innanzitutto, ma anche un confronto con altre teologie. Purtroppo i tempi non sono ancora maturi per uno scambio autentico con una teologia esplicitamente maschile, che accetta di sfilarsi la veste dell'universalita'. In questo senso allora la teologia femminista evita di definirsi come "teologia femminile", una definizione che avrebbe senso in un orizzonte di reciprocita', di dialogo con un pensiero maschile che ha compiuto un analogo percorso di riconoscimento della propria parzialita', che ha interiorizzato il segno maschile delle sue idee. Tutto questo, lo ribadisco, non e' ancora accaduto. * La prospettiva femminista ha sollevato e chiama in causa tuttora questioni di teologia sistematica (10): a) Circa la dottrina su Dio, cerca di correggere e integrare quel linguaggio religioso sessista che legge Dio come Padre, e tenta un recupero della femminilita' di Dio. Nasce da qui la ripresa del culto della Dea che permetterebbe l'affermazione del potere simbolico femminile come benefico e creativo, permetterebbe una rivalutazione della corporeita' femminile, restituirebbe alla volonta' femminile il riconoscimento di una sua propria dimensione energetica, attiva, potenzierebbe i legami fra donne (11). In questa prospettiva si insiste su alcune immagini e concetti biblici: Sophia per l'Antico Testamento e lo Spirito Santo per il Nuovo Testamento. Chiaramente si tratta di un'operazione simbolica e complessa: non si tratta di una declinazione al femminile di un linguaggio originariamente maschile. b) Circa la cristologia, la teologia femminista si interroga sul senso della mascolinita' di un Salvatore universale. Se non avesse significato soteriologico ma fosse un semplice fattore accidentale, questo avrebbe forti ripercussioni ecclesiologiche (andrebbe ripensata la questione della strutturazione della comunita' cristiane). Vanno qui menzionati i lavori di Doris Strahm, teologa svizzera che si e' particolarmente occupata di cristologia femminista mettendo in rilievo soprattutto le diverse cristologie sviluppate dalle donne in Asia, Africa e America (12). c) La mariologia si presenta, per la teologia femminista, sotto la cifra del l'ambivalenza. Da una parte essa significa il recupero della dimensione simbolica femminile in Dio all'interno del dogma cristiano e il ripensamento della figura di Maria in termini profetici e non piu' come modello di sottomissione. Dall'altra pero' costringe a misurarsi con la sua posizione subordinata alla cristologia. Questa riflessione inoltre mette in guardia dalla divinizzazione di Maria e quindi dall'archetipizzazione della sua femminilita': la sua giusta subordinazione rispetto alla Trinita' si trascinerebbe dietro una legittimazione della soggezione femminile. La tensione e' verso il recupero di una mariologia profetica, che riconosca nella figura di Maria quella di una donna aperta allo Spirito, che esprime il suo si' a Dio nel Magnificat, che si dona a Lui nella fede. Allo stesso tempo indaga come Maria, rappresentante di quella dimensione carismatica cosi' essenziale alla chiesa, possa acquistare una sua visibilita' ed entrare veramente in comunicazione, nella chiesa, accanto al "principio petrino", alla dimensione istituzionale (13). d) L'ecclesiologia e' toccata dalla teologia femminista e ne costituisce un luogo ermeneutico delicato e complesso. Le dispute si incentrano sull'esclusione delle donne dal sacerdozio, sancita dalla Dichiarazione Vaticana Inter Insigniores, del 1976. Questo rimane comunque il punto focale di un discorso piu' ampio, proteso ad operare il passaggio da una teologia (e da una pratica) dell'esclusione ad una prospettiva inclusiva. e) Nel campo dell'etica, la teologia femminista cerca di convertire l'etica della competitivita' (maschile) in un'etica della riconciliazione (femminile) e ridisegna in senso relazionale le nozioni etiche fondamentali. Non si puo' comunque ascrivere esclusivamente alla teologia femminista il recupero di questa dimensione relazionale (che e' biblica) delle nozioni etiche. Gia' durante il Concilio Vaticano II, c'e' da dire, i Padri avevano avvertito la necessita' di affrancarsi dall'impostazione casistica postridentina, da un'etica legalistica sganciata dalla dimensione del soggetto, e avevano ridisegnato il male in senso relazionale, come una fondamentale distorsione dei rapporti. Quello che e' ascrivibile al pensiero teologico femminista e' pero' la partenza antropologica duale. Il soggetto da recuperare nella riflessione etica e' gia' "due". Questo si visibilizza ad esempio nella riconfigurazione "binaria" della nozione di "peccato": il peccato femminile appare come una tendenza alla dispersione di se', come la perdita del proprio centro, come un continuo etero-appoggiarsi del soggetto; quello maschile invece si disegnerebbe piuttosto come il risultato di un autocentramento, di un egoismo, un ripiegamento sull'io (14). * Ne viene fuori comunque un volto di Dio che non sta solo fuori, che non e' tutto di la'. Il Dio che cercano le donne si rivela come un Dio che e' anche in loro stesse. Un Dio vicino, immanente, contingente, veramente incarnato, intensamente implicato nelle vicende umane, al punto da lasciarsene toccare. Un Dio che, pensato a partire "dal margine", si rivela periferico, sfuggente alle categorie di onnipotenza e perfezione ontologica. Un Dio che ci vuole "in piedi" e che si ritrova ovunque i nostri piedi stiano camminando. La teologia femminista comunque non si situa mai al di fuori dell'orizzonte della rivelazione, non esce da quello spazio relazionale tessuto per iniziativa divina. Dietro alla sua ricerca di un accesso e di una dicibilita' differenti dell'esperienza di trascendenza c'e' gia', previo, il chinarsi di Dio verso l'essere umano. Quello cristiano e' un Dio che "ha parlato" per primo e che continua a comunicarsi e a coinvolgere in maniera pervasiva. L'esperienza di Dio vissuta e interpretata da donne si inserisce in questo evento relazionale non come un fatto accidentale, come un elemento occasionale che da' concretezza ad una struttura formale astratta: e' piuttosto condizione stessa del rivelarsi di Dio. Accade quindi che alcune donne, partendo dalla loro personale esperienza di rivelazione (esperienza che comunque non viene mai sganciata dall'evento gratuito e personale dell'autocomunicazione di Dio) si ritrovano ad interpretarla e a rimetterla nel circolo del pensiero secondo una modalita' che sentono piu' vicina, piu' autentica e rispettosa del loro vissuto (15). Un guadagno reso possibile dal fatto che la presenza salvifica di Dio trascende la struttura di trasmissione umana, sempre segnata dal limite, e ci incontra nella nostra specificita', nella nostra integralita', cosi' come siamo. Non e' facile descrivere come questo possa accadere e accada effettivamente. E' che il testo (16), come tutte le altre dimensioni sacramentali, funziona come uno "specchio infranto" (17): e' il segno che rimanda (anche se frammentariamente) al divino senza star fuori dal divino. Questa complessita' deve rimanere aperta, in tensione. Essa e' la cifra della fisionomia stessa della relazione fra noi e Dio: una relazione che "si fa" attraverso i simboli, prende forma e consistenza attraverso quelle mediazioni che da un lato indicano e richiamano una realta' altra, ma dall'altro realizzano, fanno essere questo rimando (18). Sono i simboli, dunque, a rendere percepibile la vicinanza di Dio, e permetterne la comunicazione senza tradirla totalmente, senza annullarne la trascendenza. Avviene qualcosa, nella conoscenza simbolica, per cui facciamo esperienza di un'ulteriorita' che ci tocca, che ci riguarda. Un'ulteriorita' che fa traboccare il linguaggio senza renderci muti, una estrema pienezza che non ci avvilisce mostrandoci il nostro vuoto. Il simbolo fa quello che dice: crea una relazione effettiva in cui eccesso di Dio e poverta' umana si toccano per un attimo senza porsi in confronto (19). Il simbolo travolge, disloca e disorienta ma allo stesso tempo apre spazi di significazione inediti e inesplorati, crea un luogo vuoto e silenzioso in cui Dio possa trovare dimora e parola. E' un evento che non provochiamo, che non costruiamo, che accade indipendentemente da noi ma non senza di noi. Questa esperienza di Dio e' gia' sessualmente connotata: essendo una relazione reale e autentica fra due soggetti, essa mette in gioco, nell'asimmetria e nella conflittualita' naturale di ogni autentica relazione, due soggettualita'. Chiaramente la differenza sessuale si rende visibile in quel lavoro di codificazione che il simbolo, per sua natura, richiede (20). Qui si gioca infatti la sensibilita' ermeneutica delle donne, tutta protesa a far emergere quella promessa di liberta' e di pienezza riflessa, seppur imperfettamente, nel testo. * Attraverso un lavoro lungo, mediato, paziente, che scommette sul senso di una connessione fra testo ed esperienza, la teologia femminista affronta anche delle rotture, dei drammi e delle lacerazioni. Innanzitutto chiede di prendere le distanze dalle letture tradizionali. Questo distacco e' quasi sempre molto difficile e doloroso. La sensazione provata e' quella di un'arrischiata sospensione, tutta pervasa da quelle incertezze che colgono chi lascia il vecchio, consolidato nel tempo, per un nuovo ancora non-caratterizzato ma comunque affascinante. Questo "strappo culturale" non e' certo quello piu' penoso: sono le ricadute sul piano interpersonale a far soffrire di piu', a volte accompagnate da una non ben tematizzata sensazione di tradimento, dalla effettiva difficolta' nel dire dei no, nell'assumere posizioni apertamente in conflitto con quelle dominanti. La creativita' femminile ha necessita' di una gestione sensata e credibile del conflitto che sia relazionale, che non sia giocata sulla contrapposizione frontale e antitetica. Il guadagno del pensiero, comunque, non e' mai "a buon mercato". Non va taciuto che in questi ultimi anni la teologia femminista ha registrato l'influsso anche di altre differenze rispetto a quella sessuale: differenze geografiche, politiche, sociali, culturali hanno dato vita a diversi luoghi di scambio e di confronto, misurati su differenti tensioni, segnati da differenti forme di oppressione e da diverse modalita' di orientare lo sguardo sull'ulteriorita'. Per questo la teologia femminista e' un incrocio di prospettive e di accenti che non cessa di respingere un uso formale della categoria di "esperienza delle donne", categoria che non e' affatto omogenea e onnicomprensiva (21). Qualora questa categoria funzionasse come qualcosa di statico e chiuso, finirebbe paradossalmente per cancellare le differenze fra donne. * Note 1. Rischio di cui ha discusso con il teologo americano John Cobb. Cfr. R. D. Griffin - Th. J. J. Altizer, John Cobb's Theology in Process, Westminster, Philadelphia 1977, pp. 84-98, 171-176. 2. Cfr. Maria Cristina Bartolomei, Le donne dicono Dio. E Dio dice le donne? 3. Cfr. L. Russell, Teologia Femminista, 1974, p. 89. 4. Cfr. R. Radford Reuther, A religion for Women: Sources and strategie, in Christianity and Crisis, 1979. 5. Cfr. Ph. Trible, Depatriarchalizing in Biblical Interpretation, 1943. 6. Schlusser Fiorenza ritiene improbabile quest'operazione di differenziazione fra testo e messaggio e quindi le pare insensato valutare il primo patriarcale e il secondo liberante. Chi ritiene possibile individuare proprio all'interno della Bibbia l'istanza critica con cui rapportarsi agli elementi patriarcali si basa sulla scorretta visione di un testo che non coincide con il messaggio ma che si limita a costituirne il contenitore in cui e' inserito. Il messaggio finisce col diventare qualcosa di essenziale e astorico. Cfr. In memoria di lei. 7. Cfr. ad esempio K. E. Borresen, Natura e ruolo della donna in Agostino e Tommaso d'Aquino (1968). 8. Un guadagno ermeneutico che comunque ha sollevato varie critiche dal "pensiero della differenza sessuale": il pensiero "di genere" finisce per perdere la differenza stessa, ritrovandosi a fare un discorso che non parte dalla singolarita' sessuata ma dal contesto sociale, ad utilizzare metodologie falsamente "neutre", ad invalidare quella che e' una radicale asimmetria fra i sessi, asimmetria che si gioca nel pensiero, nella scrittura, nell'atteggiamento verso la storia e la politica... 9. Un'attenzione ermeneutica si rivela fondamentale, di fronte a questa categoria che si ritrova a funzionare in contesti diversi e quindi ad assumere, conseguentemente, accezioni differenti. Possiamo individuare in questo senso quattro orientamenti: a) essenzialismo e culturalismo: si parte dal presupposto di qualita' innate propriamente femminili (qualita' "biofile") atte a produrre una "cultura femminile", materna, vitale; b) decostruzionismo: questa posizione nega uno specifico biologico originario e interpreta l'identita' femminile come una stratificazione di simboli e di significati che vanno scomposti e disfatti per rivelarne il carattere fittizio; c) pensiero della differenza sessuale: approccio che si caratterizza per una domanda di fondazione del pensiero femminile, in aperta denuncia contro la falsa neutralita' e universalita' di un pensiero che nasconde in se' una matrice maschile e parziale. Il punto di partenza e' quello di una irriducibile essenza corporea sessuale e femminile nel pensiero che induce alla ricerca di una fondazione autoreferenziale, specificamente femminile e quindi un una sostanziale irrelazione verso il pensiero maschile. Il pensiero della differenza si snoda a partire da questa strutturale asimmetria che segna irriducibilmente il pensiero. Un'asimmetria ricavata sia osservando che, nel pensiero, siamo implicati integralmente con la nostra individualita' sessuata, sia anche sottolineando che il percorso di soggettivazione della persona umana inizia per tutti in relazione con la madre ma si diversifica nella sua seconda forma, quella dell'identita' sociale, in un itinerario di sostanziale continuita' con la madre per la bambina e di riferimento al padre per il bambino; d) orientamento incentrato sulle differenze situate che conduce a servirsi di un'altra categoria: quella di genere. Il "genere" e' inteso come l'insieme dei processi, adattamenti, modalita' di comportamento e di rapporti con i quali la societa' interviene sulla sessualita' biologica trasformandola in un prodotto culturale, organizzando la divisione dei compiti, differenziandoli l'uno dall'altro. Si tratta, riassumendo, della costruzione sociale della differenza sessuale a partire da un dato biologico che non si da' mai nella sua purezza ma sempre inserito in una determinata cultura. Questo approccio funziona in un quadro relazionale: solo in un quadro di confronto la differenza sembra accessibile. La teologia solo di recente si e' aperta a questa prospettiva: cfr. Kari E. Borresen, A immagine di Dio. Modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana, Carocci, Roma 2001. Questa classificazione e' tratta da Cettina Militello (a cura di), Donna e teologia. Bilancio di un secolo, Edb, Bologna 2004. 10. In questo settore, come pure in quello storico, c'e' molto lavoro da fare (mentre in quello dell'esegesi si cominciano a vedere i primi risultati riconosciuti e messi in circolo nel dibattito teologico). 11. Cfr C. Christ, Why Women Need Goddes, in C. Christ - J. Plaskow, Woman-Spirit Rising (1979), pp. 273-286, o Mary Daly, Al di la' di Dio Padre (1973), A. Roper, Ist Gott ein Mann? Ein Gesprach mit Karl Rahner (1979), o ancora L. Boff, Il volto materno di Dio. Saggio interdisciplinare sul femminile e le sue forme religiose, Queriniana, Brescia 1981. 12. Una lista esauriente delle pubblicazioni cristologiche femministe fino al 1996 composta da D. Strahm si trova in Schlagenbrut 14 (1996), 53, 27-29. 13. Cfr. Cettina Militello, Donna in questione. Un itinerario ecclesiale di ricerca, Cittadella Editrice, Assisi 1992. L'autrice comunque, in un confronto con von Balthasar, mette in luce le difficolta' create da una prospettiva ecclesiologica che, funzionando "per principi", e' incagliata nella metafisica piu' astratta, riconducendo Maria ad un'istanza spirituale che ne cancella l'individualita'. 14. Cfr. Valerie Saving, The Human Situation: A feminine View (1960). 15. Cfr. Luisa Muraro, Il Dio delle donne, Mondadori, Milano 2003, e anche Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Messaggero, Padova 2002. 16. La Scrittura non esaurisce la Parola, anche se rimane il luogo privilegiato attraverso cui accediamo alla Parola stessa. 17. Espressione di Duquoc. 18. In questo senso ontologico il discorso teologico utilizza il termine "performativo". 19. Chiaramente affermare questa valenza performativa del simbolo non significa farla coincidere con la soteriologia. 20. Questa non e' affatto una considerazione pacifica, all'interno della teologia femminista. Cito ad esempio le obiezioni di Cettina Militello, in Donna in questione, riguardo all'utilizzo della "differenza" quale unica chiave ermeneutica per l'esperienza del trascendente e il discorso teologico delle donne. Per lei bisognerebbe avere il coraggio di affermare che questa categoria e' estranea al pensiero cristiano delle origini e che essa non puo' funzionare come categoria portante del discorso teologico: e' una categoria limitata e che si trascina dietro molti equivoci. Militello ritiene che interrogarsi sullo specifico femminile conduca inevitabilmente nelle secche della mistica della femminilita'. Lavorare a partire dalla differenza, in teologia, chiude la questione femminile di nuovo nel silenzio, nel privato. La differenza sessuale porta alla coincidenza, nella donna e solo nella donna, di "corpo" e "natura". Parlare di differenza significa mettersi al di fuori della soggettualita' e della storia. Militello ritiene preferibile pensare e porre il femminile, non diversamente dal maschile, con un'identica metodologia antropologica, metafisica, teologica. Preferisce utilizzare le categorie di "complementarita'" e "reciprocita'". In fondo, sottolinea la teologia, il dato biblico racconta di una comune e reciproca umanita' che precede e fonda la differenza sessuale (Gen 1, 26-27). Maschio e femmina hanno per lei in comune l'essere "a immagine di Dio", per cui la sua antropologia teologica e' innestata sulla reciprocita' trinitaria. La chiave analogica fra l'essere umano e Dio sarebbe quindi quella della differenza-nella-reciprocita'. 21. Elisabeth Green mette in guardia dal rischio di universalizzare una femminilita' parziale e suggerisce quindi di utilizzarla come una chiave dinamica, che si definisce di volta in volta in interazione con i testi biblici. Schlusser Fiorenza, sensibile alla stessa problematica, suggerisce di evitare l'astrattezza ancorando la categoria di "esperienza femminile" a quell'esperienza di dissonanza cognitiva che le donne mettono a tema di fronte a situazioni di oppressione. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1202 del 10 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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