La nonviolenza e' in cammino. 1202



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1202 del 10 febbraio 2006

Sommario di questo numero:
1. Noi ricordiamo
2. Peppe Sini: per Marco Benanti
3. "Azione nonviolenta" di gennaio-febbraio
4. Cindy Sheehan: Numeri
5. Enrico Peyretti: La testimonianza di Cindy Sheehan
6. Stefania Cantatore: L'11 febbraio a Napoli
7. "194 parole per la liberta'"
8. Lucia Vantini: Teologia femminista
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. NOI RICORDIAMO

Noi ricordiamo le vittime delle foibe. Noi ricordiamo tutte le vittime.
Noi sappiamo che nessuna uccisione e' giusta. Noi sappiamo che ogni guerra
e' omicida. Noi sappiamo che ogni vita umana deve essere salvata. Noi
sappiamo che nessun assassinio mai puo' essere dimenticato, perdonato,
legittimato.
Noi sappiamo che e' compito arduo ma fondamentale di ogni essere umano
salvare le vite degli esseri umani, serbare memoria degli esseri umani,
costruire un presente e un futuro in cui gli esseri umani che sono e che
verranno possano vivere in dignita', solidarieta', felicita'.
Noi ricordiamo. Noi ricordiamo tutte le vittime.

2. I COMPITI DELL'ORA. PEPPE SINI: PER MARCO BENANTI
[Marco Benanti, giornalista antimafia, gia' collaboratore di quotidiani
locali, dell'Ansa e di altri media, disoccupato nel "mestiere" ufficiale per
le sue scelte di impegno nel giornalismo di inchiesta e denuncia, per
sopravvivere lavora come operaio scaricatore di aerei a Sigonella: dove
viene licenziato come provvedimento punitivo per il suo agire coerente con
l'impegno intensamente sentito di costruttore di pace e di operatore
democratico dell'informazione. Per esprimere solidarieta' a Marco Benanti:
"Comitato a sostegno del giornalista-operaio Marco Benanti", e-mail:
dostimolo at tiscali.it]

Marco Benanti, giornalista impegnato contro la mafia e il regime della
corruzione, e per questo perseguitato. Marco Benanti, operaio pacifista, e
per questo licenziato. A Marco Benanti esprimiamo la nostra solidarieta', la
nostra gratitudine, la nostra amicizia.

3. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI GENNAIO-FEBBRAIO
[Dalla redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: an at nonviolenti.org)
riceviamo e volentieri diffondiamo]

E' uscito il numero di gennaio-febbraio 2006 di "Azione nonviolenta",
rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964;
mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della
nonviolenza in Italia e nel mondo.
*
In questo numero: Verso le elezioni politiche per preparare il cambiamento,
di Daniele Lugli; Che succede in Brasile dopo la sconfitta del referendum
contro il commercio di armi? Delusioni e speranze, ma la strada e' aperta,
di Gigi Eusebi; Cosa bolle nella pentola dell'Irlanda del Nord? La rabbia
protestante e le ragioni della nonviolenza, di Roberto Belloni; Nelle
banlieues francesi telecamere e fuochi si sono spenti. Ma la violenza e'
davvero finita? Cosa resta di quei giorni? intervista a Vincent Ferry a cura
di Elena Buccoliero; Una forza piu' potente. Scheda 1: Danimarca 1940-1945.
Vivere con il nemico, di Angela Dogliotti Marasso; A meta' strada di un
Decennio, del Comitato italiano per il decennio; Indice di "Azione
nonviolenta" anni 2002-2005, a cura di Elena Zampiccoli e Daria Tognetti.
Inoltre le rubriche: Giovani. Sconfiggere l'inferno mafioso per fare della
Calabria un paradiso, a cura di Laura Corradini; Educazione. Resilienza e
coscientizzazione per educare nel tempo della globalizzazione, a cura di
Pasquale Pugliese; Economia. Un obiettivo nonviolento: garantire a tutti il
diritto al lavoro. Ma quale lavoro? Per fare cosa? Quanto lavorare? Per chi?
a cura di Paolo Macina; Per esempio. I magnifici sette che non pagano la
guerra, a cura di Maria G. Di Rienzo; Disarmo. Quando i numeri contano. La
campagna "banche armate", a cura di Massimiliano Pilati; Musica. Storie di
guerre e lacrime, speranze e desideri, a cura di Paolo Predieri; Cinema. La
luce della storia illumina la memoria, a cura di Flavia Rizzi;  Libri. La
coscienza e la parola per diventare uomini, a cura di Sergio Albesano;
Movimento. Medici obiettori contro il porto d'armi, a cura della redazione.
In copertina: Aiuti dopo l'uragano Katrina; in ultima: Nonviolenza e
politica; in seconda: Pax et Biani: Ritiri Uniti...
*
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org
*
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile
chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail a: an at nonviolenti.org,
scrivendo nell'oggetto "copia Azione nonviolenta".

4. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: NUMERI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq;
per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch
in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di
parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua
figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio
movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro
Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel
sito www.koabooks.com]

L'ormai famosa maglietta nera con le scritte in bianco che indossavo il 31
gennaio al discorso presidenziale sullo stato dell'Unione, originariamente
aveva la scritta: 2000 morti. Quanti altri, ancora?
La maglietta era stata confezionata dai "Veterani per la pace" in occasione
del duemillesimo soldato americano ucciso in Iraq. Quel tragico numero venne
raggiunto il 25 settembre 2005. Circa quattro mesi dopo, la mattina del 31
gennaio, prima che la mia compagna in attivismo pacifista e dissenso
patriottico Ann Wright ed io si andasse alla nostra avventura giornaliera,
Ann mise del nastro adesivo coprente sugli zeri del numero 2000 e scrisse:
242. Cio' cambiava il numero in 2.242, che era il disturbante totale delle
perdite per quel giorno.
Prima che io cominciassi il mio viaggio fatale verso il Palazzo del governo,
scoprimmo che il numero era tristemente salito a 2.245. Mentre Ann ed io
davamo il "discorso del popolo sullo stato dell'Unione", quel pomeriggio,
assieme al deputato John Conyers, alla coraggiosa deputata Lynn Woolsey e
all'attivista per i diritti delle vittime dell'uragano Katrina Malik Rahim,
altre tre famiglie americane erano state gettate in una spirale di perdita,
dolore e disperazione dalla quale non guariranno mai completamente.
Il numero sulla mia maglietta fu cambiato a 2.245. 2.245 morti. Quanti
altri, ancora?
*
Al 31 gennaio 2006, almeno 2.245 famiglie hanno pagato il prezzo estremo per
le stupide e insensibili politiche in Iraq di questa amministrazione.
Migliaia e migliaia di giovani uomini e donne sono stati feriti, alcuni
assai seriamente, per l'arroganza dell'impero. Innumerevoli iracheni sono
stati macellati mentre vivevano le loro vite di ogni giorno, grazie al
metodo superficiale e senza cuore del "combatterli laggiu', cosi' non
dovremo combatterli qui".
Oggi, nella citta' dell'amore fraterno [Filadelfia - ndt] ho presenziato ad
una cerimonia di premiazione dello "Shalom Peace Center", dove mi e' stato
conferito un riconoscimento per il mio essere una "voce profetica" (non e'
un lavoro facile); ma non e' questa la cosa importante. La cosa importante
e' che uno dei miei amici e piu' grandi sostenitori ha portato del nastro
adesivo coprente ed un pennarello, e molti di quelli che erano presenti
indossarono una striscia di nastro con su scritto il numero 2.250.
Questo significa che cinque angeli di piu' sono stati mandati ad una tomba
precoce dallo scorso martedi', che a cinque madri in piu' e' stata comminata
in modo ingiusto e non necessario una condanna al dolore che durera' tutta
la vita, che cinque padri in piu' inizieranno un'odissea, perlopiu'
silenziosa, di sofferenza nei loro cuori: un numero incalcolabile di
famiglie rovinate per la nostra politica estera preventiva contro nemici
immaginari.
Io credo che sia che si sostengano le guerre di aggressione dell'impero
della malvagita' che ci sta portando via i nostri diritti civili, e sta
mandando la nostra gioventu' ad uccidere ed essere uccisa, sia che ci si
opponga all'omicidio preventivo, tutti dovremmo onorare i nostri figli, che
hanno dato nobilmente la vita per una causa cosi' ignobile.
I numeri spaventano la gente. Il numero di croci che i "Veterani per la
pace" piantano ogni domenica, su spiagge diverse della California,
terrorizza le esistenze luminose di chi sostiene George e le sue politiche
omicide. Queste persone reclamano perche' a loro dire i Veterani stanno
facendo politica, e vogliono che quei numeri se ne vadano e non li
disturbino. Confrontarsi con i numeri, i volti e la realta' e' semplicemente
troppo per alcune persone. Come ex-insegnante di matematica, so che molta
gente ha un'irragionevole paura dei numeri. Il numero delle nostre vittime
di guerra in Iraq e' assai spaventoso. So che i numeri sono allarmanti,
specialmente quando per essi non c'e' alcuna ragione logica.
Noi sappiamo che George Bush si sottrasse al suo pericoloso dovere in
Vietnam, entrando nella Air National Guard dell'Alabama. Suppongo che li
stesse combattendo in Alabama, cosi' non avrebbe dovuto combatterli in
Massachusetts. Sappiamo che George Bush non ha la pur minima briciola di
coraggio dei nostri soldati, da quando ha rifiutato di incontrarsi con me
faccia a faccia, nel suo prato adottivo di Crawford in Texas. Ora il mondo
intero sa che non ha neppure la forza di fronteggiare una maglietta.
Come esseri umani, tutti sappiamo che e' duro affrontare i propri errori,
specie quando persone innocenti hanno pagato un prezzo orribile per tanta
stupidita'. Ma di che sto parlando? Dai fallimenti negli affari, a quelli
complici, dolorosi e imperdonabili nella sua vita pubblica, George Bush non
ha mai ammesso un solo errore, ne' mai ne ha guardato uno. Ebbene, e' ora
che affronti questo errore e che in qualche modo senta un'intensa vergogna
per l'errore piu' grande della sua vita di miserabili sbagli.
*
Chiedo a coloro che tengono alla pace ed alla giustizia di indossare il
numero sui loro petti ogni giorno, vicino ai loro cuori. Per onorare i
nostri morti, ma anche per contrastare coloro che stanno volendo questa
guerra e sostenendo i dispensatori di morte, ma che non rischierebbero la
propria carne ed il proprio sangue nei crimini contro l'umanita' che vengono
perpetrati quotidianamente.
Io imploro tutti negli Usa, di ricordare che ogni numero in questa cifra
orribile rappresenta un membro vivente, respirante, meraviglioso, amabile ed
indispensabile di una famiglia, di una comunita' e di una nazione. Non sono
solo numeri. Erano esseri umani prima di essere sfruttati per il petrolio e
l'avidita'.
Indossate il numero per i nostri morti. Indossate il numero per le loro
famiglie. Indossate il numero per i feriti. Indossate il numero per i nostri
figli che ancora si trovano in pericolo, la cui confusione rispetto alla
loro missione sta crescendo, e che vogliono solo tornare a casa. Indossate
il numero per le persone che si troveranno in mezzo alle future guerre di
aggressione che i criminali di guerra a Washington stanno gia' pianificando.
Indossate il numero per la pace.
(Per conoscerlo ogni giorno consultate: www.icasualties.org)

5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA TESTIMONIANZA DI CINDY SHEEHAN
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento (ad un tempo proposta, testimonianza, riflessione), che estraiamo
da una piu' ampia lettera. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura
e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e
filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il
mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore
per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede
dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato
scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita'
piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha",
edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la
Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale
della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005;
Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa
Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a
stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio
nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la
traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo
foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche
nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

Una proposta: raccogliere in uno o piu' numeri del notiziario tutti gli
scritti finora pubblicati di Cindy Sheehan, anche per suggerire ad un
editore di farne un libro. Sarebbe una bella testimonianza dell'America
civile, offesa e ferita dalla guerra di Bush.
Sapete che Cindy, insieme a Alice Mahon (parlamentare laburista inglese
dimessasi per protesta contro le menzogne belliche di Blair) e' stata qui a
Torino il 19 e 20 scorsi. L'abbiamo ascoltata in ben tre incontri nello
spazio di 20 ore: uno numerosissimo alla Cgil, uno ristretto (una o due
decine di persone) nel Centro Studi Sereno Regis, uno al Politecnico,
interrogata dagli studenti. Per vari motivi, io non ho potuto prendere
appunti, come faccio di solito, sicche' non ho potuto scriverne un resoconto
preciso. Ma posso dire che e' una persona mite, tranquilla, che reagisce in
modo ammirabile al suo dolore, che ancora la strazia (espone sul tavolo la
foto del figlio ucciso, Casey, e le piange la voce a parlarne: il prossimo 4
aprile saranno due anni dalla sua morte), con forza interiore e volonta' di
verita' e costruttivita'.
E' una figura familiare: sembra una zia, una sorella (secondo l'eta' di chi
la guarda), parla in modo piano, lucido, non recita il personaggio... Noto,
tra l'altro, che Cindy scrive efficacemente, forse anche piu' di come parla.
Prima di Torino e' stata a Perugia e Roma. Sul momento, ricordo che in una
risposta ha parlato di "fascismo", reale pericolo per gli Usa.
E' l'anima bella e civile degli Usa. La sua calma e limpida daterminazione
di rendere onore e riscatto al figlio ucciso dalla guerra infame di Bush
(lei dice: ucciso da Bush), e a tutte le altre vittime, e' impressionante,
proprio per la quotidianita' umana in cui ce la comunica.
Merita il nostro appoggio solidale...

6. APPELLI. STEFANIA CANTATORE: L'11 FEBBRAIO A NAPOLI
[Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo. Stefania
Cantatore (per contatti: stefi49 at libero.it o anche udinapoli at libero.it),
impegnata nel movimento delle donne e promotrice di molte iniziative per la
pace e i diritti umani, e' una delle animatrici dell'Udi (Unione donne in
Italia) di Napoli]

Il 14 gennaio a Milano, le donne hanno parlato al paese, a donne e uomini,
al governo e all'opposizione. Una giornata di lotta e di parola per dire che
l'autodeterminazione, la conquistata possibilita' di appellarsi alla legge
194, sono ormai coscienza e diritto inalienabile per le donne, condizione
prima per la costruzione di una piu' civile convivenza tra generi.
"Uscire dal silenzio" e' il messaggio affidato alle reti, con la forza della
dignita' ferita dalle campagne concentriche agite dalle istituzioni
politiche e religiose, che pretendono di rinegoziare un patto sulle donne
senza le donne. Il messaggio e' stato accolto da migliaia donne in tutto il
paese, se pure in una consapevolezza: l'assordante silenzio che circonda la
protesta e il disagio delle donne nell'Italia galvanizzata da contrattazioni
di potere (nelle quali non vengono mai considerate parte in causa), non
consiste nella loro afonia, bensi' nell'ovattata insonorizzazione dei luoghi
del potere.
E dunque l'immediatezza della risposta all'appello, col solo sostegno delle
reti di cui ci siamo dotate, e' stata il segno non solo di una condivisione,
ma anche che quello che stava avvenendo a Milano stava costruendosi altrove.
Nell'Italia disuguale, sull'orlo di un federalismo grossolanamente egoista,
la solidarieta' tra donne e' un magistero, forse l'unico punto fermo, che
promette visibilita' scambievole nell'interesse comune ad  agire opposizione
e rifiuto alla riorganizzazione della catena di comando fondata sulla
subalternita' femminile.
Dal sud, non da svantaggiate, ma per aver svelato la connivenza tra
patriarcato mafioso e gerarchie a vario titolo istituzionali, abbiamo osato
e voluto il secondo degli appuntamenti per l'11 febbraio.
La scelta quasi obbligata di una data simbolica, per esprimere quella
laicita' che le donne inverano nel rapporto con l'altra, con gli altri,
traducendo nella relazione linguaggi differenti ed uguali bisogni.
Laicita', non come semplice riconoscimento di una separazione formale tra
stato e chiese, ma dissacrazione del comando e quotidiana istanza di
reciprocita' delle regole tra cittadini e tra governo e cittadini.
Laicita' ed autodeterminazione definiscono, forse riassumono, ma non
spiegano automaticamente la consapevolezza che le donne hanno acquisito
sulla qualita' e la molteplicita' degli attacchi di cui sono oggetto. Si e'
fatto sistema intorno alla riduzione delle liberta' femminili con sapienza e
determinazione: il sottacimento e la fattuale tolleranza del femminicidio
domestico e degli stupri, l'introduzione nelle case di nuovi pericoli legati
alla liberalizzazione del ricorso alle armi, la privazione del diritto
all'abitazione per "chi non ha famiglia", tanto per citare a caso, non sono
che i fatti di attualita' piu' vicina.
La comunicazione giornalistica puo', qualcuna pensa che deve, chiamarsi ad
esercitare un ruolo nel dar conto del fatto che le donne, uscite dal
silenzio, saranno in piazza a Napoli per spiegare a tutti che verranno
pronunciate "194 parole per la liberta'" di tutti e tutte.
E' l'autoconvocazione nella quale chi crede davvero nella forza della
denuncia puo' cogliere l'occasione per la riapertura di un dibattito piu'
complessivo sulla direzione politica del paese. L'atteggiamento tenuto fino
ad oggi dal giornalismo, anche quello che amiamo sentire piu' vicino, sembra
pero' avere qualche motivo di reticenza, e sembra che l'occasione non verra'
colta. Per Milano sono state, Assunta Sarlo per prima, proprio le
giornaliste a parlare a se stesse, per indurre i propri giornali a rompere
il "loro" silenzio, e noi da Napoli le abbiamo appoggiate aggiungendo al
loro il nostro appello. Solo cosi' e' stato possibile il tardivo
ravvedimento degli ultimi "fatidici" tre giorni. Non possiamo prevedere se
qualcosa si muovera', ma quello che si puo' dire fin d'ora e' che se non
accadra', ci sara' qualche buon motivo. Di sicuro non edificante.

7. APPELLI. "194 PAROLE PER LA LIBERTA'"
[Da varie strutture e persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo]

Dopo Milano, Napoli: il testimone passa e l'autorita' della parola delle
donne continua.
L'11 febbraio saremo in piazza:
- per difendere la legge 194 sulla maternita' libera e responsabile, perche'
non abbiamo nulla da nascondere e nulla di cui scusarci, perche' del corpo
delle donne decidono le donne;
- per parlare dal sud, dove la salute delle donne non e' ancora considerata
un bene comune, dove la legge 194 e' indispensabile per non ritornare
nell'illegalita', dove il tempo della maternita' e' negato dal ricatto di un
lavoro precario;
- per valorizzare il ruolo dei consultori come luoghi trasparenti di
autodeterminazione delle donne e dei giovani e come sostegno ai percorsi di
crescita dell'infanzia e dell'adolescenza;
- perche' il ricatto fatto alle donne e' un ricatto contro il riconoscimento
pubblico delle liberta' e dei diritti nelle differenze;
- perche' alla difesa della legge 194 si aggiunga la lotta per il
riconoscimento giuridico dei patti civili di solidarieta'.
Ora piu' che mai parliamo nelle piazze di liberta', di laicita', di diritti
come nodo fondamentale di ogni civilta'.
*
Manifestazione nazionale a Napoli, l'11 febbraio 2006. Ore 14: corteo da
piazza del Plebiscito a piazza Matteotti.
Promossa dal cartello per l'autodeterminazione delle donne in Campania
"194paroleperlaliberta'": Cgil Campania, Donne Ds, Udi di Napoli, Donne
laiche di sinistra, Forum Prc, Uil Campania, Mamme antismog, Arcidonna, Arci
Napoli, Arci lesbica, Dame, Donnesudonne, La rosa e' donna, Onda rosa, I
Ken, Arci gay, Gay left, Circolo coming out, Comitato legge 194, Citta'
libera, Associazione Self, Amica Cicogna, Il liberatorio politico,
Collettivo Alice, Comitato donne Chiaia Posillipo, Associazione Pimentel,
Libreria delle donne Evaluna, Attivamente, Associazione Anna Lindth, Donne
in nero, Sportello rosa Filcams Campania, Sinistra giovanile, Studenti in
movimento, Laboratorio occupato "Insurgencia", Orientale agitata, Collettivo
studentesco universitario, Giovani comunisti, Radicali Campania, Donne
Verdi, Comunisti italiani, Sdi, Italia dei Valori, Le Metec Alegre,
Coordinamento donne area Flegrea, Associazione le Kassandre Ponticelli.
*
Per informazioni e contatti: e-mail: 194parolexlaliberta at libero.it, sito:
http://194parolexlaliberta.ilcannocchiale.it

8. RIFLESSIONE. LUCIA VANTINI: TEOLOGIA FEMMINISTA
[Dalla rivista telematica "Per amore del mondo", fascicolo dell'inverno
2005-2006, nel sito www.diotimafilosofe.it]

Da qualche decennio alcune teologhe, puntando sulla possibilita' ermeneutica
di mettere in relazione il discorso su Dio con l'istanza femminista, si sono
addentrate in un nuovo ambito di ricerca. Hanno tentato di dar forma ad un
connubio inedito che e' in qualche modo ricaduto sul pensiero gia'
sedimentato con tutta la complessita' e il carattere aperto delle indagini
ancora sperimentali.
Ecco perche' il panorama che oggi ci e' consegnato non e' affatto omogeneo
ma si presenta in maniera frastagliata e intermittente. Non e' sempre
agevole riconoscere le varie prospettive, valutarne lo spessore ermeneutico,
discriminare dove, dietro ad un linguaggio comune, sussiste una qualche
divergenza, e dove una difformita' formale nasconde una confluenza.
Non e' superfluo ricordare che la teologia femminista nasce essenzialmente
da due istanze:
- dal senso di estraneita' che alcune donne hanno provato di fronte a
qualche passo della Scrittura e alla procedura teologica che esse stesse
utilizzavano: un disagio legato alla sensazione che l'interrogativo posto a
partire dalla differenza femminile imponesse urgentemente un altro approccio
metodologico;
- dalla consapevolezza che le Sacre Scritture e la loro interpretazione sono
inserite in un contesto androcentrico, hanno, come norma e veicolo, un
soggetto umano maschile che si e' ritrovato a funzionare come soggetto
universale.
Difficile, riduttivo, parziale, ma necessario, classificare le varie
prospettive: disporre di un ordine, per quanto penalizzato dalla
semplificazione, consente tuttavia di addentrarci con maggiore
consapevolezza nelle questioni fondamentali. E' in questo senso che mi
sembra utile sottolineare tre "passaggi-chiave" che hanno significativamente
attraversato la ricerca teologica femminista.
*
Si e' verificato un primo bivio gia' nell'approccio al testo sacro.
Alcune teologhe, definendosi "post-cristiane" hanno ritenuto la Scrittura e
la Tradizione troppo compromesse dall'ottica androcentrica per potervisi
ancora misurare: un principio parziale ha funzionato non tanto come
riferimento formale quanto piuttosto come un presupposto pericolosamente
oppressivo e stagnante da far degenerare irrimediabilmente il contenuto
stesso. L'unica via praticabile per una teologia femminile libera e
politicamente efficace rimaneva l'uscita dalla Chiesa e la realizzazione di
uno spostamento dell'interesse dal testo sacro e dal suo contesto
patriarcale all'esperienza femminile, un'esperienza che e' in grado di fare
comunita'. Emblematico si rivela in questo senso il percorso di Mary Daly,
che si struttura a partire dal tentativo di leggere la tradizione biblica ed
ecclesiastica secondo la prospettiva della donna, convinta che il vangelo
rimanga pur sempre un messaggio di speranza, e che approda in seguito, gia'
da Al di la' di Dio Padre (1973), ad una posizione di rifiuto del
cristianesimo giudicato come l'ideologia della societa' maschilista, come
irreversibile distorsione dei rapporti umani. L'autrice auspica l'avvento di
una comunita' di sole donne, in aperta rottura con l'ordine patriarcale
della chiesa. Ella pero' continua ad orientare la sua ricerca alla
trascendenza, correndo il rischio di sottovalutare la difficolta' di
conservare questa apertura senza relazione ne' con la tradizione religiosa
ne' con una comunita' di fede (1).
Le femministe cristiane, invece, continuano a credere che la Scrittura, pur
deformata dalla parzialita' di un'ermeneutica androcentrica, continui a
lasciar intravedere il volto misericordioso di Dio, a veicolare un messaggio
di liberta' che rimane sensato anche per le donne. Una ricchezza che si
lascia intuire anche dietro le incrostazioni e i filtri ermeneutici.
Questa non e' comunque una prospettiva ingenua, che non tiene conto delle
molteplici interferenze che disturbano la linearita' della ricerca, della
ricerca teologica soprattutto.
Nessuna teologa femminista si illude di poter dar vita ad un discorso "puro"
su Dio, privo di limiti e fraintendimenti. Tutte sanno che ogni discorso e'
storico, contingente. Innestando il loro discorso su questo strutturale
radicamento in un contesto particolare, storico e parziale, mai pretendono
di assurgere al livello dell'universalita'.  Mirano piuttosto a creare
pensiero autentico.
*
Dal punto di vista metodologico, la teologia femminista si pone anzitutto un
problema ermeneutico ed esegetico: quale rapporto c'e' fra testo e
messaggio?
La teologia femminista risponde utilizzando il metodo storico-critico: si
muove infatti nella consapevolezza che i testi biblici sono sempre frutto di
mediazioni culturali e simboliche. La Bibbia non consegna un'esperienza ma
comunica l'esperienza di altri e altre. E' Parola di Dio, certo, ma
riflettuta all'interno di coordinate umane, spaziali e temporali: e' sempre
"situata". La teologia femminista e' diffidente verso quelle letture
spirituali che non fanno i conti con un'esegesi scientifica e storica: esse
aggirano l'ostacolo, vi passano sotto (2) autoestromettendosi dal confronto
teologico serio e sensato. Essa ritiene imprescindibile questa metodologia
che differenzia il valore teologico di un testo dalla modalita' storica e
contestuale con cui questo valore e' enunciato e veicolato (3).
Solo cosi' e' possibile pensare di ricercare nella Scrittura, e non fuori di
essa, quel messaggio di liberta' offuscato da categorie a volte discutibili.
E' il percorso intrapreso ad esempio da Rosemary Radford Reuther (4) che
riconosce nel discorso profetico un'istanza rivelativa che funzionava gia'
all'interno del testo, e da Phyllis Trible, che parla di un "principio
depatriarcalizzante" (5) intrabiblico.
Delineata su una discontinuita'-continuita' fra testo e messaggio, questa
prospettiva giudica equivalenti, dal punto di vista metodologico,
l'interpretazione biblica misogina, che assume i dati biblici per
legittimare una presunta inferiorita' della donna, e l'interpretazione
biblica femminista postcristiana, che prende le distanze dalla Bibbia
perche' ormai definitivamente compromessa con il paradigma androcentrico:
entrambe identificano testo e messaggio (6).
*
Riconosciamo un secondo guadagno di pensiero nell'emergere piu' recente di
un atteggiamento piu' cauto verso quell'ansia iniziale di dissotterrare e
restituire visibilita' alle figure femminili che l'ottica tradizionale aveva
reso marginali, mute, insignificanti. Prima appariva decisiva ed efficace
l'attenzione alla realta' di donne che la storia, come un filtro troppo
largo, non era riuscita a far affiorare. Il progetto di recupero di quelle
dimensioni che la trasmissione non aveva veicolato sembrava consegnare
finalmente alle donne un passato utilizzabile come radice (7). L'idea-guida
era quella di separare, nella tradizione, cio' che conservava un senso
vivificante per le donne da cio' che le mortificava. Ma si trattava di
un'operazione che ancora dipendeva da una logica olistica: in nome di una
omogeneita' apparentemente legata alla differenza sessuale, pretendeva di
tenere insieme dati femminili contrassegnati da scarti spazio-temporali
notevoli. E' stata la Gender Analysis ad introdurre una nuova metodologia,
attenta al contesto storico, sociale, politico, culturale e religioso,
prendendo le mosse da una concezione sociologica di "differenza sessuale":
la "mascolinita'" e la "femminilita'" sono delineate in relazione al
contesto sociale in cui sono inserite (8).
Nonostante i correttivi, molte teologhe hanno posto l'accento sui rischi
latenti di un procedere "topico" che si orientava su un "tema femminile"
lasciando intatta quella metodologia tradizionale da cui si tentava invece
di prendere le distanze. La teologia femminista non e' una "teologia della
donna", una "teologia del genitivo", cioe' un percorso settoriale,
concentrato sul "femminile", che tenta di reagire alle astrazioni della
prospettiva neoscolastica. Anzi, la teologia femminista prende le distanze
da questa impostazione, unilaterale e appoggiata alle medesime strutture di
pensiero di cui si vorrebbe liberare. Se si vuole continuare a mantenere la
categoria del "genitivo" per descrivere questo itinerario del pensiero, e'
necessario specificare la natura soggettiva di quest'espressione: il rimando
non e' solo alla settorialita' dell'oggetto indagato ma a quella del
soggetto indagante. E' una teologia di donne fatta da donne. Da donne che
sentono l'esigenza di riflettere sulla loro esperienza cristiana e di
metterla criticamente in circolo.
*
Chiaramente la teologia femminista si forma in un rapporto stretto, di
adesione e di critica, rispetto alle istanze del femminismo moderno, e si
registra in essa il medesimo passaggio che si e' verificato all'interno del
movimento femminista: dalla tensione emancipatoria (che riuscirebbe al
massimo a strappare una collocazione migliore alla donna ma pur sempre nello
stesso ordine di prima) alla riconfigurazione simbolica, che e' anche
trasformazione, del mondo in cui uomini e donne sono inseriti e stanno in
relazione. Un'istanza femminista in termini di uguale o pari dignita'
uomo-donna si e' rivelata insufficiente, sia dal punto di vista pratico sia
dal punto di vista teoretico. Quella di uguaglianza non era una categoria
incontaminata e integra ma una nozione ormai irreparabilmente inficiata di
androcentrismo: paradossalmente, un ulteriore luogo di alienazione
femminile.
Ecco perche' si e' rivelata ben presto necessaria la ricerca di un'ulteriore
chiave interpretativa, quella della "differenza" (9).
Non era piu' il momento di "denunciare" ma di "costruire". Le teologhe
femministe hanno quindi scelto di radicare il loro lavoro in quel "partire
da se'" su cui il movimento delle donne si e' fondato. Naturalmente e' un
"partire da se'" che non si ripiega sull'io, che non ritorna al punto
iniziale, ma che conduce fuori di se', nella relazione. Una relazione con
Dio, innanzitutto, ma anche un confronto con altre teologie. Purtroppo i
tempi non sono ancora maturi per uno scambio autentico con una teologia
esplicitamente maschile, che accetta di sfilarsi la veste
dell'universalita'. In questo senso allora la teologia femminista evita di
definirsi come "teologia femminile", una definizione che avrebbe senso in un
orizzonte di reciprocita', di dialogo con un pensiero maschile che ha
compiuto un analogo percorso di riconoscimento della propria parzialita',
che ha interiorizzato il segno maschile delle sue idee. Tutto questo, lo
ribadisco, non e' ancora accaduto.
*
La prospettiva femminista ha sollevato e chiama in causa tuttora questioni
di teologia sistematica (10):
a) Circa la dottrina su Dio, cerca di correggere e integrare quel linguaggio
religioso sessista che legge Dio come Padre, e tenta un recupero della
femminilita' di Dio. Nasce da qui la ripresa del culto della Dea che
permetterebbe l'affermazione del potere simbolico femminile come benefico e
creativo, permetterebbe una rivalutazione della corporeita' femminile,
restituirebbe alla volonta' femminile il riconoscimento di una sua propria
dimensione energetica, attiva, potenzierebbe i legami fra donne (11). In
questa prospettiva si insiste su alcune immagini e concetti biblici: Sophia
per l'Antico Testamento e lo Spirito Santo per il Nuovo Testamento.
Chiaramente si tratta di un'operazione simbolica e complessa: non si tratta
di una declinazione al femminile di un linguaggio originariamente maschile.
b) Circa la cristologia, la teologia femminista si interroga sul senso della
mascolinita' di un Salvatore universale. Se non avesse significato
soteriologico ma fosse un semplice fattore accidentale, questo avrebbe forti
ripercussioni ecclesiologiche (andrebbe ripensata la questione della
strutturazione della comunita' cristiane). Vanno qui menzionati i lavori di
Doris Strahm, teologa svizzera che si e' particolarmente occupata di
cristologia femminista mettendo in rilievo soprattutto le diverse
cristologie sviluppate dalle donne in Asia, Africa e America (12).
c) La mariologia si presenta, per la teologia femminista, sotto la cifra del
l'ambivalenza. Da una parte essa significa il recupero della dimensione
simbolica femminile in Dio all'interno del dogma cristiano e il ripensamento
della figura di Maria in termini profetici e non piu' come modello di
sottomissione. Dall'altra pero' costringe a misurarsi con la sua posizione
subordinata alla cristologia. Questa riflessione inoltre mette in guardia
dalla divinizzazione di Maria e quindi dall'archetipizzazione della sua
femminilita': la sua giusta subordinazione rispetto alla Trinita' si
trascinerebbe dietro una legittimazione della soggezione femminile. La
tensione e' verso il recupero di una mariologia profetica, che riconosca
nella figura di Maria quella di una donna aperta allo Spirito, che esprime
il suo si' a Dio nel Magnificat, che si dona a Lui nella fede. Allo stesso
tempo indaga come Maria, rappresentante di quella dimensione carismatica
cosi' essenziale alla chiesa, possa acquistare una sua visibilita' ed
entrare veramente in comunicazione, nella chiesa, accanto al "principio
petrino", alla dimensione istituzionale (13).
d) L'ecclesiologia e' toccata dalla teologia femminista e ne costituisce un
luogo ermeneutico delicato e complesso. Le dispute si incentrano
sull'esclusione delle donne dal sacerdozio, sancita dalla Dichiarazione
Vaticana Inter Insigniores, del 1976. Questo rimane comunque il punto focale
di un discorso piu' ampio, proteso ad operare il passaggio da una teologia
(e da una pratica) dell'esclusione ad una prospettiva inclusiva.
e) Nel campo dell'etica, la teologia femminista cerca di convertire l'etica
della competitivita' (maschile) in un'etica della riconciliazione
(femminile) e ridisegna in senso relazionale le nozioni etiche fondamentali.
Non si puo' comunque ascrivere esclusivamente alla teologia femminista il
recupero di questa dimensione relazionale (che e' biblica) delle nozioni
etiche. Gia' durante il Concilio Vaticano II, c'e' da dire, i Padri avevano
avvertito la necessita' di affrancarsi dall'impostazione casistica
postridentina, da un'etica legalistica sganciata dalla dimensione del
soggetto, e avevano ridisegnato il male in senso relazionale, come una
fondamentale distorsione dei rapporti. Quello che e' ascrivibile al pensiero
teologico femminista e' pero' la partenza antropologica duale. Il soggetto
da recuperare nella riflessione etica e' gia' "due". Questo si visibilizza
ad esempio nella riconfigurazione "binaria" della nozione di "peccato": il
peccato femminile appare come una tendenza alla dispersione di se', come la
perdita del proprio centro, come un continuo etero-appoggiarsi del soggetto;
quello maschile invece si disegnerebbe piuttosto come il risultato di un
autocentramento, di un egoismo, un ripiegamento sull'io (14).
*
Ne viene fuori comunque un volto di Dio che non sta solo fuori, che non e'
tutto di la'. Il Dio che cercano le donne si rivela come un Dio che e' anche
in loro stesse. Un Dio vicino, immanente, contingente, veramente incarnato,
intensamente implicato nelle vicende umane, al punto da lasciarsene toccare.
Un Dio che, pensato a partire "dal margine", si rivela periferico, sfuggente
alle categorie di onnipotenza e perfezione ontologica. Un Dio che ci vuole
"in piedi" e che si ritrova ovunque i nostri piedi stiano camminando.
La teologia femminista comunque non si situa mai al di fuori dell'orizzonte
della rivelazione, non esce da quello spazio relazionale tessuto per
iniziativa divina. Dietro alla sua ricerca di un accesso e di una
dicibilita' differenti dell'esperienza di trascendenza c'e' gia', previo, il
chinarsi di Dio verso l'essere umano. Quello cristiano e' un Dio che "ha
parlato" per primo e che continua a comunicarsi e a coinvolgere in maniera
pervasiva.
L'esperienza di Dio vissuta e interpretata da donne si inserisce in questo
evento relazionale non come un fatto accidentale, come un elemento
occasionale che da' concretezza ad una struttura formale astratta: e'
piuttosto condizione stessa del rivelarsi di Dio.
Accade quindi che alcune donne, partendo dalla loro personale esperienza di
rivelazione (esperienza che comunque non viene mai sganciata dall'evento
gratuito e personale dell'autocomunicazione di Dio) si ritrovano ad
interpretarla e a rimetterla nel circolo del pensiero secondo una modalita'
che sentono piu' vicina, piu' autentica e rispettosa del loro vissuto (15).
Un guadagno reso possibile dal fatto che la presenza salvifica di Dio
trascende la struttura di trasmissione umana, sempre segnata dal limite, e
ci incontra nella nostra specificita', nella nostra integralita', cosi' come
siamo.
Non e' facile descrivere come questo possa accadere e accada effettivamente.
E' che il testo (16), come tutte le altre dimensioni sacramentali, funziona
come uno "specchio infranto" (17): e' il segno che rimanda (anche se
frammentariamente) al divino senza star fuori dal divino. Questa
complessita' deve rimanere aperta, in tensione. Essa e' la cifra della
fisionomia stessa della relazione fra noi e Dio: una relazione che "si fa"
attraverso i simboli, prende forma e consistenza attraverso quelle
mediazioni che da un lato indicano e richiamano una realta' altra, ma
dall'altro realizzano, fanno essere questo rimando (18). Sono i simboli,
dunque, a rendere percepibile la vicinanza di Dio, e permetterne la
comunicazione senza tradirla totalmente, senza annullarne la trascendenza.
Avviene qualcosa, nella conoscenza simbolica, per cui facciamo esperienza di
un'ulteriorita' che ci tocca, che ci riguarda. Un'ulteriorita' che fa
traboccare il linguaggio senza renderci muti, una estrema pienezza che non
ci avvilisce mostrandoci il nostro vuoto. Il simbolo fa quello che dice:
crea una relazione effettiva in cui eccesso di Dio e poverta' umana si
toccano per un attimo senza porsi in confronto (19).
Il simbolo travolge, disloca e disorienta ma allo stesso tempo apre spazi di
significazione inediti e inesplorati, crea un luogo vuoto e silenzioso in
cui Dio possa trovare dimora e parola.
E' un evento che non provochiamo, che non costruiamo, che accade
indipendentemente da noi ma non senza di noi.
Questa esperienza di Dio e' gia' sessualmente connotata: essendo una
relazione reale e autentica fra due soggetti, essa mette in gioco,
nell'asimmetria e nella conflittualita' naturale di ogni autentica
relazione, due soggettualita'.
Chiaramente la differenza sessuale si rende visibile in quel lavoro di
codificazione che il simbolo, per sua natura, richiede (20). Qui si gioca
infatti la sensibilita' ermeneutica delle donne, tutta protesa a far
emergere quella promessa di liberta' e di pienezza riflessa, seppur
imperfettamente, nel testo.
*
Attraverso un lavoro lungo, mediato, paziente, che scommette sul senso di
una connessione fra testo ed esperienza, la teologia femminista affronta
anche delle rotture, dei drammi e delle lacerazioni. Innanzitutto chiede di
prendere le distanze dalle letture tradizionali. Questo distacco e' quasi
sempre molto difficile e doloroso. La sensazione provata e' quella di
un'arrischiata sospensione, tutta pervasa da quelle incertezze che colgono
chi lascia il vecchio, consolidato nel tempo, per un nuovo ancora
non-caratterizzato ma comunque affascinante.
Questo "strappo culturale" non e' certo quello piu' penoso: sono le ricadute
sul piano interpersonale a far soffrire di piu', a volte accompagnate da una
non ben tematizzata sensazione di tradimento, dalla effettiva difficolta'
nel dire dei no, nell'assumere posizioni apertamente in conflitto con quelle
dominanti. La creativita' femminile ha necessita' di una gestione sensata e
credibile del conflitto che sia relazionale, che non sia giocata sulla
contrapposizione frontale e antitetica.
Il guadagno del pensiero, comunque, non e' mai "a buon mercato".
Non va taciuto che in questi ultimi anni la teologia femminista ha
registrato l'influsso anche di altre differenze rispetto a quella sessuale:
differenze geografiche, politiche, sociali, culturali hanno dato vita a
diversi luoghi di scambio e di confronto, misurati su differenti tensioni,
segnati da differenti forme di oppressione e da diverse modalita' di
orientare lo sguardo sull'ulteriorita'.
Per questo la teologia femminista e' un incrocio di prospettive e di accenti
che non cessa di respingere un uso formale della categoria di "esperienza
delle donne", categoria che non e' affatto omogenea e onnicomprensiva (21).
Qualora questa categoria funzionasse come qualcosa di statico e chiuso,
finirebbe paradossalmente per cancellare le differenze fra donne.
*
Note
1. Rischio di cui ha discusso con il teologo americano John Cobb. Cfr. R. D.
Griffin - Th. J. J. Altizer, John Cobb's Theology in Process, Westminster,
Philadelphia 1977, pp. 84-98, 171-176.
2. Cfr. Maria Cristina Bartolomei, Le donne dicono Dio. E Dio dice le donne?
3. Cfr. L. Russell, Teologia Femminista, 1974, p. 89.
4. Cfr. R. Radford Reuther, A religion for Women: Sources and strategie, in
Christianity and Crisis, 1979.
5. Cfr. Ph. Trible, Depatriarchalizing in Biblical Interpretation, 1943.
6. Schlusser Fiorenza ritiene improbabile quest'operazione di
differenziazione fra testo e messaggio e quindi le pare insensato valutare
il primo patriarcale e il secondo liberante. Chi ritiene possibile
individuare proprio all'interno della Bibbia l'istanza critica con cui
rapportarsi agli elementi patriarcali si basa sulla scorretta visione di un
testo che non coincide con il messaggio ma che si limita a costituirne il
contenitore in cui e' inserito. Il messaggio finisce col diventare qualcosa
di essenziale e astorico. Cfr. In memoria di lei.
7. Cfr. ad esempio K. E. Borresen, Natura e ruolo della donna in Agostino e
Tommaso d'Aquino (1968).
8. Un guadagno ermeneutico che comunque ha sollevato varie critiche dal
"pensiero della differenza sessuale": il pensiero "di genere" finisce per
perdere la differenza stessa, ritrovandosi a fare un discorso che non parte
dalla singolarita' sessuata ma dal contesto sociale, ad utilizzare
metodologie falsamente "neutre", ad invalidare  quella che e' una radicale
asimmetria fra i sessi, asimmetria che si gioca nel pensiero, nella
scrittura, nell'atteggiamento verso la storia e la politica...
9. Un'attenzione ermeneutica si rivela fondamentale, di fronte a questa
categoria che si ritrova a funzionare in contesti diversi e quindi ad
assumere, conseguentemente, accezioni differenti. Possiamo individuare in
questo senso quattro orientamenti:
a) essenzialismo e culturalismo: si parte dal presupposto di qualita' innate
propriamente femminili (qualita' "biofile") atte a produrre una "cultura
femminile", materna, vitale;
b) decostruzionismo: questa posizione nega uno specifico biologico
originario e interpreta l'identita' femminile come una stratificazione di
simboli e di significati che vanno scomposti e disfatti per rivelarne il
carattere fittizio;
c) pensiero della differenza sessuale: approccio che si caratterizza per una
domanda di fondazione del pensiero femminile, in aperta denuncia contro la
falsa neutralita' e universalita' di un pensiero che nasconde in se' una
matrice maschile e parziale. Il punto di partenza e' quello di una
irriducibile essenza corporea sessuale e femminile nel pensiero che induce
alla ricerca di una fondazione autoreferenziale, specificamente femminile e
quindi un una sostanziale irrelazione verso il pensiero maschile. Il
pensiero della differenza si snoda a partire da questa strutturale
asimmetria che segna irriducibilmente il pensiero. Un'asimmetria ricavata
sia osservando che, nel pensiero, siamo implicati integralmente con la
nostra individualita' sessuata, sia anche sottolineando che il percorso di
soggettivazione della persona umana inizia per tutti in relazione con la
madre ma si diversifica nella sua seconda forma, quella dell'identita'
sociale, in un itinerario di sostanziale continuita' con la madre per la
bambina e di riferimento al padre per il bambino;
d) orientamento incentrato sulle differenze situate che conduce a servirsi
di un'altra categoria: quella di genere. Il "genere" e' inteso come
l'insieme dei processi, adattamenti, modalita' di comportamento e di
rapporti con i quali la societa' interviene sulla sessualita' biologica
trasformandola in un prodotto culturale, organizzando la divisione dei
compiti, differenziandoli l'uno dall'altro. Si tratta, riassumendo, della
costruzione sociale della differenza sessuale a partire da un dato biologico
che non si da' mai nella sua purezza ma sempre inserito in una determinata
cultura. Questo approccio funziona in un quadro relazionale: solo in un
quadro di confronto la differenza sembra accessibile. La teologia solo di
recente si e' aperta a questa prospettiva: cfr. Kari E. Borresen, A immagine
di Dio. Modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana, Carocci,
Roma 2001.
Questa classificazione e' tratta da Cettina Militello (a cura di), Donna e
teologia. Bilancio di un secolo, Edb, Bologna 2004.
10. In questo settore, come pure in quello storico, c'e' molto lavoro da
fare (mentre in quello dell'esegesi si cominciano a vedere i primi risultati
riconosciuti e messi in circolo nel dibattito teologico).
11. Cfr C. Christ, Why Women Need Goddes, in C. Christ - J. Plaskow,
Woman-Spirit Rising (1979), pp. 273-286, o Mary Daly, Al di la' di Dio Padre
(1973), A. Roper, Ist Gott ein Mann? Ein Gesprach mit Karl Rahner (1979), o
ancora L. Boff, Il volto materno di Dio. Saggio interdisciplinare sul
femminile e le sue forme religiose, Queriniana, Brescia 1981.
12. Una lista esauriente delle pubblicazioni cristologiche femministe fino
al 1996 composta da D. Strahm si trova in Schlagenbrut 14 (1996), 53, 27-29.
13. Cfr. Cettina Militello, Donna in questione. Un itinerario ecclesiale di
ricerca, Cittadella Editrice, Assisi 1992. L'autrice comunque, in un
confronto con von Balthasar, mette in luce le difficolta' create da una
prospettiva ecclesiologica che, funzionando "per principi", e' incagliata
nella metafisica piu' astratta, riconducendo Maria ad un'istanza spirituale
che ne cancella l'individualita'.
14. Cfr. Valerie Saving, The Human Situation: A feminine View (1960).
15. Cfr. Luisa Muraro, Il Dio delle donne, Mondadori, Milano 2003, e anche
Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Messaggero, Padova
2002.
16. La Scrittura non esaurisce la Parola, anche se rimane il luogo
privilegiato attraverso cui accediamo alla Parola stessa.
17. Espressione di Duquoc.
18. In questo senso ontologico il discorso teologico utilizza il termine
"performativo".
19. Chiaramente affermare questa valenza performativa del simbolo non
significa farla coincidere con la soteriologia.
20. Questa non e' affatto una considerazione pacifica, all'interno della
teologia femminista. Cito ad esempio le obiezioni di Cettina Militello, in
Donna in questione, riguardo all'utilizzo della "differenza" quale unica
chiave ermeneutica per l'esperienza del trascendente e il discorso teologico
delle donne. Per lei bisognerebbe avere il coraggio di affermare che questa
categoria e' estranea al pensiero cristiano delle origini e che essa non
puo' funzionare come categoria portante del discorso teologico: e' una
categoria limitata e che si trascina dietro molti equivoci. Militello
ritiene che interrogarsi sullo specifico femminile conduca inevitabilmente
nelle secche della mistica della femminilita'. Lavorare a partire dalla
differenza, in teologia, chiude la questione femminile di nuovo nel
silenzio, nel privato. La differenza sessuale porta alla coincidenza, nella
donna e solo nella donna, di "corpo" e "natura". Parlare di differenza
significa mettersi al di fuori della soggettualita' e della storia.
Militello ritiene preferibile pensare e porre il femminile, non diversamente
dal maschile, con un'identica metodologia antropologica, metafisica,
teologica. Preferisce utilizzare le categorie di "complementarita'" e
"reciprocita'". In fondo, sottolinea la teologia, il dato biblico racconta
di una comune e reciproca umanita' che precede e fonda la differenza
sessuale (Gen 1, 26-27). Maschio e femmina hanno per lei in comune l'essere
"a immagine di Dio", per cui la sua antropologia teologica e' innestata
sulla reciprocita' trinitaria. La chiave analogica fra l'essere umano e Dio
sarebbe quindi quella della differenza-nella-reciprocita'.
21. Elisabeth Green mette in guardia dal rischio di universalizzare una
femminilita' parziale e suggerisce quindi di utilizzarla come una chiave
dinamica, che si definisce di volta in volta in interazione con i testi
biblici. Schlusser Fiorenza, sensibile alla stessa problematica, suggerisce
di evitare l'astrattezza ancorando la categoria di "esperienza femminile" a
quell'esperienza di dissonanza cognitiva che le donne mettono a tema di
fronte a situazioni di oppressione.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1202 del 10 febbraio 2006

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it