Nonviolenza. Femminile plurale. 50



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 50 del 9 febbraio 2006

In questo numero:
1. Ida Dominijanni: Lo sguardo, la morte
2. Francesca Manenti: La memoria della Shoah nella scrittura delle testimoni
3. Lidia Menapace: Perche' ho accettato la candidatura al senato
4. Gabriella Freccero presenta "La rivendicazione di Antigone" di Judith
Butler

1. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LO SGUARDO, LA MORTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 febbraio 2006.
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di
liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania
Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005.
Andrea Santoro e' il sacerdote cattolico assassinato in Turchia alcuni
giorni fa]

Padre Andrea Santoro aveva a cuore il dialogo fra civilta' ed e' rimasto
vittima dello scontro di civilta' che impazza attorno allo "scandalo" delle
vignette. Non e' la prima vittima e non sara' l'ultima; e serve a poco
interrogarsi su quanto sia diretto o indiretto il nesso fra la sua morte, la
satira su Allah in Europa e le manifestazioni islamiche antieuropee in
Medioriente. Diretto o indiretto che sia, il nesso c'e' e sta in questa
sorta di "bipolarismo culturale" in cui il mondo s'e' cacciato in
sostituzione del bipolarismo politico, per diretta responsabilita' dei
fondamentalisti islamici da un lato e del fondamentalismo identitario
americano ed europeo dall'altro, nemici a parole e alleati nei fatti nel
costruire lo scontro di civilta'. Che non e' affatto un destino ineluttabile
inscritto nei codici genetici della razza della religione e della cultura,
ma un preciso progetto politico, comune al peggio delle due sponde
dell'Atlantico e al peggio del mondo islamico, nonche' al peggio dei tre
monoteismi.
Padre Andrea Santoro ne e' vittima come ne sono vittime tutti quelli e
quelle che oppongono alla "confrontation" frontale dei valori e degli dei la
pratica minuta, quotidiana, puntuale, della relazione fra differenze
irriducibili, o non facilmente riducibili alla retorica a sua volta troppo
semplice del dialogo e della tolleranza. Vengono in mente le parole di Freud
sulla veridicita' inconscia del motto di spirito di fronte all'assurdita'
della vicenda delle vignette, poco o nulla spiegabile in termini razionali.
Non ha nulla di razionale non tanto la prima decisione di pubblicarle del
quotidiano danese, quanto la pervicacia degli altri quotidiani europei nel
ripubblicarle in seguito come bandierina della liberta' di stampa. E non ha
nulla di razionale - ma in compenso molto di strategico: i due termini non
sempre sono sinonimi - la reazione di protesta montata in Medioriente a sei
mesi di distanza come bandierina della dignita' dell'Islam.
Come il motto di spirito, le vignette funzionano da sintomo e lapsus,
rivelando il materiale conscio e inconscio che lavora dietro le quinte dello
scontro di civilta': il razzismo (stavolta islamofobico, altre volte
antisemita o anticristiano) di certi tratti della satira, l'islamofobia
della destra danese simile a tutte le nuove destre europee, l'intolleranza
della protesta islamica che chiede tolleranza all'Europa, lo svuotamento
dell'universalismo occidentale dei diritti di liberta' che di giorno in
giorno, in guerra e in pace, si dimostrano sempre meno universali, le
trappole in cui incorrono e le controbiezioni a cui si espongono molte
posizioni pur ottimamente intenzionate: chi si appella al rispetto assoluto
per le religioni si espone all'accusa di bacchettonismo, chi si appella alla
virtu' dell'ironia si espone al sospetto di imperialismo culturale perche'
non si puo' pretendere da ogni cultura lo stesso tasso di disincanto della
nostra, chi si appella al senso della misura si espone all'accusa di
opportunismo perche' non si sa chi dovrebbe decidere la misura e in base a q
uali parametri. Per non dire del solito Marcello Pera, l'antirelativista che
stavolta domanda reciprocita' e parita' di comportamenti fra "noi" e "loro",
con una mano fomentando lo scontro di valori e con l'altra pretendendo di
ridurlo a un minuetto simmetrico e ben regolato.
Comunque la si prenda, resta materia incandescente, cui si addice solo la
logica paziente della decostruzione, del "noi" e del "loro", dei diritti e
dei poteri, dell'intolleranza e della tolleranza, delle parole pesanti e
delle vignette leggere, dell'universalismo delle liberta' e del relativismo
dell'indifferenza. Nonche' di cio' che chiamiamo Europa: il nome che avrebbe
dovuto fare da barriera allo scontro "preventivo" di civilta', e si ritrova
invece oggi investito in pieno dalla sua onda, sempre piu' svuotato,
fragile, frammentato.

2. RIFLESSIONE. FRANCESCA MANENTI: LA MEMORIA DELLA SHOAH NELLA SCRITTURA
DELLE TESTIMONI
[Dalla rivista telematica "Per amore del mondo", fascicolo dell'inverno
2005-2006, nel sito www.diotimafilosofe.it, riprendiamo il seguente testo
che riprende sinteticamente la tesi di laurea di Francesca Manenti su "Etty
Hillesum: la scrittura spezzata" presso l'Universita' di Bergamo (relatrice
la professoressa Federica Sossi).
Francesca Manenti ha dedicato un intenso studio alle testimonianze femminili
sulla Shoah.
Federica Sossi e' docente di filosofia teoretica all'universita' di Bergamo.
Tra le sue opere: (a cura di), Pensiero al presente, Cronopio, Napoli 1999;
Autobiografie negate. Immigrati nei lager del presente, Manifestolibri, Roma
2002.
Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel
1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo
valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua
meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la
riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985,
1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum:
AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di
"Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia
Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal
Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma
2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni
Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore,
Edizioni Messaggero, Padova 2002]

La storiografia ci offre una vasta produzione di libri che hanno per
argomento la persecuzione e lo sterminio degli ebrei.
Molte persone sopravvissute alla Shoah hanno sentito il dovere di
testimoniare e questo senso del dovere ha portato all'atto della scrittura
per la ricostruzione degli eventi e per la creazione di una memoria. Le
memorie, sia che fossero scritte o orali, hanno aiutato gli studiosi a
ricostruire gli eventi del nazionalsocialismo e vista l'eta' avanzata dei
testimoni sopravvissuti, oggi e' ancora piu' importante la raccolta di
queste testimonianze per lasciare un futuro alle prossime generazioni.
Molte testimonianze sono nate da un bisogno interiore di raccontare, altre
invece per dare delle risposte a domande legate all'esigenza di giustizia.
I nazisti non temevano le vittime perche' queste, a loro avviso, non erano
un pericolo. L'intenzione dei nazisti era di cancellare il popolo ebraico
dalla storia del mondo e di imporre il proprio dogma. Himmler e gli altri
non pensarono mai alla possibilita' che, invece, sarebbero stati proprio i
deportati a scrivere le pagine di questa storia.
Certi scritti furono portati alla luce quando la guerra fu terminata e
vennero raccolti in vari archivi; alcuni di questi furono ritrovati in
luoghi significativi del processo di distruzione degli ebrei d'Europa, come
nel ghetto di Varsavia. Qui, infatti, le testimonianze lasciate dagli
abitanti del ghetto furono sotterrate in tre diversi punti usando bidoni del
latte o casse. Dopo la repressione dell'insurrezione di questo ghetto (nel
1943) tutto fu raso al suolo. La politica nazista era che non solo gli ebrei
dovevano scomparire, ma anche i luoghi dove avevano vissuto. Gli archivi
sono, dunque, formati non solo da manoscritti ma anche da cronache, lettere
di bambini, diari dove venivano registrati gli eventi e le notizie che
circolavano ma venivano anche annotate le sensazioni e le paure vissute in
quei momenti; sono formati anche da libri abbandonati dagli intellettuali
morti nel ghetto e da diverso materiale proveniente dall'amministrazione
tedesca ed ebraica come ordini, discorsi, corrispondenza e cosi' via. Molte
testimonianze, pero', probabilmente giudicate prive di valore, furono
distrutte e cosi' scomparvero documenti di notevole interesse.
Molti scritti furono ritrovati anche nei campi di concentramento, ad esempio
nel campo di Auschwitz-Birkenau, nascosti in scavi. Furono ritrovati scritti
dei membri del Sonderkommando i quali avevano il compito di cremare i
cadaveri, ma dei circa trenta scritti sepolti, solo tre furono ritrovati.
Altri scritti furono portati nei campi di concentramento sempre dagli
internati dei ghetti i quali li conservavano nei loro bagagli. Una volta
varcata la soglia dei campi di concentramento, le valigie venivano sepolte
per ordine dei nazisti.
La scrittura, dunque, diventa necessaria per lasciare una traccia di questi
eventi che sfidano l'immaginazione, eventi nei confronti dei quali le
generazioni nate dopo la Shoah rivolsero uno sguardo cieco.
*
La paura di non essere creduti rinchiuse nel silenzio molte vittime del
genocidio: i sopravvissuti si renderanno conto sempre piu' che sara'
difficile raccontare quello che e' accaduto nei Lager, ma ancora di piu'
sara' difficile essere creduti, come conferma Lidia Beccaria Rolfi ne
L'esile filo della memoria, un libro che narra il ritorno dal Lager.
Questa paura di non essere credute e' presente anche nelle testimonianze di
tre donne sopravvissute ad Auschwitz, raccolte da Daniela Padoan nel suo
libro Come una rana d'inverno. Una prima testimonianza e' quella di Liliana
Segre la quale riprende la paura di non essere credute anche come un aspetto
che gravava piu' sulle donne: il sospetto era quello che si fossero
prostituite o che avessero in qualche modo collaborato con i tedeschi per il
fatto di essere sopravvissute. La seconda e' di Goti Bauer, la quale
testimonia che: "le persone non volevano piu' credere e non volevano piu'
sentir parlare di tristezze, perche' anche qui avevano sofferto per la
guerra, per i bombardamenti, per le privazioni, per i lutti. Basta, adesso
non parliamo piu' di dispiaceri, bisogna andare incontro a una nuova vita
fatta di speranza e di propositi, non parliamo piu'. La gente non voleva
ascoltare e soprattutto non poteva credere. Hanno cominciato a credere
quando sono arrivate le cronache dei giornalisti e dei militari che andavano
ad aprire i campi e vedevano quello che era rimasto. Ma prima sembrava che
raccontassimo cose inventate". La terza testimonianza e' quella di Giuliana
Tedeschi, la quale documenta alla Padoan che il desiderio di raccontare
svaniva perche' la gente non voleva ascoltare: nessuno voleva saperne e
nessuno chiedeva niente.
Il desiderio di raccontare viene puntualizzato anche dagli uomini
sopravvissuti allo sterminio; uno di questi sara' Robert Antelme il quale
confermera' nel suo libro La specie umana la necessita' di parlare ed essere
finalmente ascoltati; anche Primo Levi sottolineera' questa paura, una paura
che era un incubo assillante gia' nei primi giorni del Lager. Tutto quello
che stavano vivendo era qualcosa di inimmaginabile.
Nel libro di Soazig Aaron La donna che disse no - un libro che tratta il
ritorno da Auschwitz -, viene messa in luce sempre l'incredulita' ma
nell'ambito familiare; in questa testimonianza si vedra' quanto sia
difficile per la cognata e amica di una sopravvissuta, Klara, credere a
quello che e' successo. Angelika, la cognata, dovra' fare appello a tutta la
sua buona volonta' per reputare vera l'esperienza di Klara.
I testimoni, quindi, furono messi a tacere per mancanza di ascolto ma alla
fine si mosse qualcosa. Con il processo di Eichmann si assistette ad una
svolta per quanto riguarda la memoria del genocidio e si ebbe un'ondata di
racconti e romanzi.
Inizialmente doveva essere un processo al carnefice, ad Adolf Eichmann, e
invece prese una rotta diversa: quello che interessava era la testimonianza
ed era la prima volta da quando era finita la guerra che il testimone
finalmente veniva ascoltato.
Alcuni sopravvissuti, pero', per arrivare all'atto della scrittura e per
poter testimoniare l'inimmaginabile si dovettero confrontare con la propria
interiorita' tanto da dover diventare un'altra persona, e in piu' dovettero
considerare anche il trascorrere del tempo perche' quest'ultimo poteva
portare ad un cambiamento della realta' nel ricordo. I testimoni si resero
conto che il tempo per testimoniare stava per esaurirsi perche' stavano
diventando sempre meno, sia perche' alcuni erano deceduti, sia perche'
altri, essendo invecchiati, facevano fatica a raccontare. Il racconto
divenne possibile solo quando si spezzo' il silenzio ed il merito fu anche
dei ragazzi e delle scuole.
*
Nella produzione di libri che hanno per argomento la persecuzione e lo
sterminio degli ebrei, i racconti di donne deportate sono spesso considerati
solo marginalmente e spesso le testimonianze delle sopravvissute vennero
considerate meno importanti in confronto a quelle lasciate dagli uomini. In
molte opere sull'Olocausto scritte da uomini, le donne sono rappresentate
come figure indifese e fragili.
Ruth Klueger (sopravvissuta a Theresienstadt, Auschwitz, Grossrosen), nel
suo libro Vivere ancora, attesta la consapevolezza dell'essere stata messa a
tacere, sia perche' donna, sia perche' si pensava che le guerre
appartenessero ai maschi, e anche perche' la gente non voleva ricordare
l'Olocausto.
Gli studi fatti, dimostrarono che le donne ebree tedesche subirono
l'antisemitismo prima dei loro mariti perche' nella vita di tutti i giorni
assistevano alle difficolta' dei figli subite nell'ambito scolastico e nelle
amicizie; le donne, poi, subirono l'indifferenza dei vicini di casa con i
quali, prima di tutto questo, avevano un buon rapporto, e si resero conto
del tradimento di molte amiche e colleghe.
Oltre all'isolamento sociale, gli ebrei sia donne che uomini, vennero
colpiti anche dalla disoccupazione. Le donne ebree, grazie alla loro
flessibilita' e al fatto che erano piu' adattabili degli uomini, e
probabilmente al fatto che sarebbero state meno attaccate dai nazisti,
riuscirono a trovare nuove occupazioni e per molte famiglie questo fu
l'unico sostentamento. Successivamente le donne furono impiegate come forza
lavoro e cosi' si sobbarcarono un gran numero di pesanti obblighi. Le
testimonianze delle donne all'interno dei ghetti si riferiscono anche alla
fatica del lavoro di fornitura di prodotti per l'utilizzo militare e civile
da trasportare in Germania. Qui le donne riuscirono anche ad organizzarsi in
reti di gruppi di soccorso per aiutare chi non aveva piu' niente e per gli
ammalati. Nel periodo seguente alla deportazione, le donne non "ariane"
dovevano lavorare per squadre speciali e i nazisti sfruttavano queste donne
nei lavori piu' duri.
Molte donne di eta' diversa, di diversa nazionalita' ed estrazione sociale,
di diversa religione e scelta politica, pero', reagirono diversamente
all'universo nazista, alcune con la ribellione, con il sabotaggio, con
azioni di contrabbando, altre si impegnarono in azioni altruistiche e altre,
invece, si ritirarono in solitudine. Le donne e ragazze che si ribellarono
poterono contare sul loro aspetto "ariano" riuscendo a nascondere la propria
identita' ebraica con maggiore facilita'. Una donna quando sceglieva di
passare per "ariana" cominciava a vivere come una "fuorilegge".
Le donne non agivano sempre da sole ma anche con i colleghi maschi; sovente
si pensava che i movimenti di resistenza fossero guidati solo da maschi, ma
nella resistenza e nei gruppi nazionali c'erano sia uomini che donne.
Raccoglievano notizie militari ed economiche, preparavano film, fotografie
da mandare agli alleati, ottenevano informazioni per i notiziari radio
britannici ed americani, scrivevano e distribuivano volantini, discorsi ed
istruzioni per ogni genere di sabotaggio.
Nelle testimonianze narrate dalle donne sono presenti anche gli aspetti
legati alla femminilita' e, infatti, sottolineeranno molto spesso nei loro
racconti i problemi legati al ciclo mestruale. Nei campi di concentramento
le donne si ponevano il problema di come avessero fatto a provvedere in quel
momento del mese, dato che non avevano biancheria intima e niente da
utilizzare e per di piu' c'era una mancanza di igiene, di servizi igienici
adeguati. Questo era uno dei tanti modi usati per colpire le persone nella
loro intimita'. Il problema delle mestruazioni pero' fu presto risolto: le
deportate non ebbero il flusso per tutto il periodo in cui vissero nel Lager
e si sosteneva che fosse dovuto ad una polverina misteriosa messa nella
zuppa, il cibo quotidiano dei deportati. Le donne sottolineano che questa
mancanza di mestruazioni le faceva sentire vecchie, in menopausa e destinate
ormai alla sterilita': si sentivano mutilate.
Sono interessanti le pagine de L'esile filo della memoria della Beccaria
Rolfi quando tratta il suo ritorno alla vita normale: la civilta' e' per lei
legata alle cose semplici, come puo' essere la vista della carta igienica, e
ad abitudini quotidiane, come fare un bagno caldo e avere abiti puliti e
profumati.
La femminilita' e' stata una delle cose piu' profondamente ferite
dall'istituzione del Lager ma, nello stesso tempo, e' stata anche un terreno
dove si e' affinata la capacita' di resistenza di molte donne, la capacita'
di adeguarsi e di continuare la lotta per la sopravvivenza.
Questa lotta per la sopravvivenza, con le relative difficolta' e
precarieta', si nota ancora di piu' nel momento della nascita di bambini nei
campi di concentramento e nei ghetti: questo era un evento difficoltoso da
portare a termine e soprattutto traumatico poiche' in questi luoghi la vita,
la nascita, si trasformava in morte.
Umiliazioni molto forti riguardanti la sessualita' le dovettero subire sia
donne che uomini, come l'esposizione pubblica del loro corpo e la rasatura
delle parti intime. Le donne dovevano sfilare nude davanti ai soldati in
divisa e questi decidevano se dovessero morire oppure no; questo atto era
una persecuzione umiliante perche' queste donne venivano guardate come dei
capi di bestiame.
Nei Lager non si era piu' padrone neanche del proprio corpo: questo era
aggredito, deturpato ed era un dramma essere esposte alla vista degli altri.
Il corpo era un involucro scrutato, ispezionato per giustificarne la fine al
crematorio.
Sia uomini che donne durante la vita nel campo di concentramento usavano le
proprie abilita' per procurarsi cibo, procurarsi medicine, abiti consunti e
tutto quello che ritenevano necessario per vivere almeno degnamente, usando
anche il baratto. Questo aiuto e scambio reciproco favoriva cosi' i rapporti
tra gli internati.
*
Nei Lager le donne si unirono in famiglie sostitutive dopo la perdita dei
propri cari. La madre di Ruth Klueger, ad esempio, ad Auschwitz "adotto'"
una bambina di nome Ditha, la quale era rimasta sola nel Lager. Le disse di
unirsi a lei e alla figlia Ruth e da quel momento furono in tre a lottare
per la sopravvivenza.
Molte donne sostennero che la loro salvezza fosse dovuta alle amiche trovate
nei campi, alle "sorelle di campo" le quali si aiutavano dividendosi la
razione di pane, incoraggiandosi a vicenda nell'assistenza alle malattie per
evitare il ricovero in infermeria, soccorrendosi nella liberazione dai
pidocchi e sostenendosi durante il lungo ed estenuante appello, cercando
d'inverno di riscaldarsi stando una vicina all'altra.
La Tedeschi usa anche una bellissima figura che rende l'idea dell'aiuto
femminile: "Le donne sono maglie, se una si perde, si perdono tutte".
Questi rapporti di amicizia tra internati erano visti come un pericolo dai
nazisti e dunque venivano troncati sul nascere: appena i tedeschi si
accorgevano di questa confidenza facevano in modo di dissolvere i gruppi che
si erano formati. Essi temevano questa complicita' per paura di qualche atto
di sabotaggio.
Non tutti gli internati, pero', vedevano questi rapporti di amicizia come
qualcosa di positivo. Liliana Segre disse che, per lei, queste relazioni non
erano diventate essenziali: lei non voleva attaccarsi alle persone perche'
non avrebbe sopportato un eventuale distacco. Lei preferiva la solitudine:
era una solitudine voluta, i suoi sentimenti si erano inariditi sempre piu'.
*
Negli scritti, sia femminili che maschili, si ritrova la costante della fame
continua che non li abbandonava mai. Ad un pezzo di pane si legava la
speranza di continuare a vivere.
Le donne nei loro scritti annotarono di quando nelle baracche, dopo una
giornata di lavoro estenuante, ricordavano l'abbondanza di cibo nel periodo
precedente la guerra e la preparazione dei pasti: immaginavano di mangiare
piatti succulenti e facevano una specie di gara in cui ognuna inventava il
pranzo piu' buono. Si scambiavano anche ricette di piatti gustosi e
prelibati ed inviti per un futuro. Questa fame corrodeva lo stomaco,
bruciava, era una cosa tremenda, e a volte, a causa di questa continua fame,
non si riusciva piu' a tenere un comportamento normale.
*
Per sfuggire a quello che stavano vivendo e per continuare ad avere una
speranza per un futuro, le donne raccontavano la storia della loro famiglia,
raccontavano il modo di gestire la loro casa, parlavano del loro passato e
discutevano anche di libri, di rappresentazioni teatrali e recitavano anche
canzoni e versi di opere conosciute o studiate ai tempi della scuola. Nei
loro scritti, infatti, sono presenti punti in cui viene posto l'accento
sulla loro passata vita domestica, sulla lotta per il sostentamento della
loro famiglia durante i periodi di carenze alimentari e di mezzi a causa
della guerra.
Le donne, di fronte a queste atrocita' subite, manifestarono un grande
coraggio grazie ad una resistenza spirituale e psicologica: le prigioniere
nei campi portavano avanti la loro preghiera e per farlo sottraevano
materiale dai magazzini dei nazisti da usare nei loro riti religiosi.
Era importante per loro fare progetti per il ritorno, per un futuro
migliore.
Le internate, dunque, ricordavano la loro vita culturale: opere, commedie,
canzoni, libri letti, e lo facevano per tenere allenata la mente a non
dimenticare. Cercavano di ricordare anche semplicemente un compito in classe
fatto a scuola anni prima, tutto per resistere, per andare contro la vita
del Lager, contro i propositi dei nazisti che volevano disumanizzare le
persone.
Gli internati non volevano perdere la ragione: e' facile perderla per chi
viene esposto all'esperienza della nuda vita, quella vissuta nei campi di
concentramento.
Il mondo dei Lager era studiato nei minimi particolari: era studiata la
razione di cibo giornaliera che doveva essere distribuita, la mescolanza di
persone diverse per creare scompiglio e per far se' che l'antisemitismo
arrivasse anche nel campo. Era studiata anche la mancanza di logica che
aleggiava nei campi e la vista continua della fiamma del crematorio: questa
visione era un terrore che scuoteva l'animo. La paura, l'ossessione del
crematorio e l'odore di carne bruciata che si attaccava addosso rimarranno
per tutta la vita nella testa delle persone che vissero questa esperienza.
*
Una testimonianza ce l'ha lasciata anche Etty Hillesum, una giovane donna
ebrea che si e' trovata a vivere all'eta' di ventisette anni l'orrore della
Shoah.
Etty Hillesum ci ha lasciato come testimonianza della sua breve vita il
Diario relativo al periodo dal marzo 1941 all'ottobre del 1942 e le Lettere.
Nel Diario la Hillesum registra la sua evoluzione umana e spirituale
scoprendo Dio dentro di se' e inizio' un dialogo intimo con Lui; arrivera'
ad un punto della sua crescita spirituale in cui Dio e la preghiera saranno
due capisaldi della sua maturazione ed imparera' a pregare e ad
inginocchiarsi. Come sfondo a questa crescita ci sono le vicende della
seconda guerra mondiale e della Shoah.
Le Lettere sono invece scritte agli amici, una testimonianza diretta della
stessa Etty della deportazione degli ebrei nel campo di smistamento di
Westerbork. Etty sentira' il desiderio di ospitare dentro di se' i problemi
degli uomini e concepisce la sua esistenza come un aiuto nei confronti dei
bisognosi e, cosi', decidera' di andare a Westerbork per dare un aiuto
concreto agli internati. Decidera' di non sottrarsi al proprio destino e
cosi' andra' spontaneamente in questo campo di internamento e anche in
questo luogo continuera' ad amare la vita e vivra' ogni momento nella sua
pienezza.
Il Diario e le Lettere sono una testimonianza di "resistenza esistenziale"
al nazismo.
Il suo Diario e le sue Lettere ci dimostrano, inoltre, la sua capacita' di
scrivere: capacita' poetica che si rileva anche nella registrazione del
quotidiano, e documentano anche la ricerca difficoltosa del trovare le
parole giuste in grado di esprimere l'orrore del nazismo, orrore che supera
ogni immaginazione. La sua esigenza e' di trovare una lingua nuova che non
la riduca solo a semplice cronista dei suoi tempi: lei e' anche una
testimone che vuole portare avanti qualcosa con la sua scrittura. E' una
testimone e conosce il suo ruolo, il ruolo fondamentale che ha per il
futuro. Sente l'urgenza, la necessita', il bisogno di lasciare una sua
traccia attraverso la scrittura: una traccia delle sue emozioni,
riflessioni, del suo modo di vivere in quelle condizioni pietose causate
dalle persecuzioni naziste; infatti, il suo grande desiderio era quello di
diventare scrittrice, ma il suo desiderio venne spezzato dalla sua prematura
morte nel campo di concentramento di Auschwitz. Era consapevole del valore,
della capacita' poetica che aveva in se'.
Il suo compito e' arduo: lei deve trovare le parole giuste, non solo piu'
parole come forma di arte, ma parole con un senso, un senso profondo, che
sappiano descrivere l'orrore, l'angoscia, la disperazione del momento sia
proprio, sia quello di tutti gli internati nei campi di concentramento. A
lei urge lasciare una testimonianza scritta e questa sua intenzione non
diminuisce: si affievolisce, Etty cadra', si sentira' debole ma poi
riprendera' in mano le redini della sua vita, si rialzera' e ricomincera'.
Nelle Lettere descrive minuziosamente la vita del campo, il campo stesso e
le sue baracche, anche se nella descrizione di questo, sembra che faccia una
selezione di quello che scrive. Alcuni elementi presenti in altre
testimonianze sono pero' presenti anche nei suoi scritti come, per esempio:
il sovraffollamento del campo, delle baracche, l'esistenza di un ospedale,
le condizioni igieniche orribili, l'intimita' perduta, il fango, la paura
sempre presente per la deportazione, le separazioni tra madri e figli...
Etty si sofferma anche sui sentimenti, le emozioni, le reazioni della gente;
per lei, infatti, quello che conta nella vita non sono i fatti, ma conta
solo cio' che grazie ai fatti si diventa.
La sua particolarita' e' che lei scrive da una situazione di confine cioe'
da una situazione drammatica dove sta con occhio, cuore e mente uniti tra
loro e dove man mano aumenta anche la capacita' di vivere, anche se
aumentano i dolori: anche se e' sulla soglia lei dichiara amore per la vita.
A Westerbork il libro che ha davanti a se' e' un libro vivente, che bisogna
capire e tradurre, e qui affronta la dura prova della scrittura.
Chiede a Dio un aiuto: il dono di saper scrivere per poi essere in grado di
narrare la sventura e la bellezza di Westerbork, le due singolarita' che ha
questo luogo.
La prova piu' dura sara' la sua esperienza a Westerbork: dovra' decifrare e
tradurre questa esperienza per la gente che non la stava vivendo. Durante la
giornata tra mille impegni e malanni fisici e anche di sera, pur essendo
stremata, cercava un angolo nascosto del campo per poter continuare a
scrivere le proprie memorie e per lasciare la sua testimonianza.
*
Questa e' l'ansia dei sopravvissuti presente nelle loro testimonianze.

3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: PERCHE' HO ACCETTATO LA CANDIDATURA AL
SENATO
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il
futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo.
Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento
politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia
Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza
sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara
Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il
papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna,
Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Carissime e carissimi,
come saprete ho accettato la candidatura al Senato in Friuli Venezia Giulia
nelle liste di Rifondazione. Ho ricevuto adesioni e approvazioni e auguri da
molte e molti, e anche qualche interrogativo: percio' vorrei motivare le
ragioni del mio si'.
Ho desiderato essere parlamentare, ma non e' stato mai possibile per ragioni
varie che attribuisco alla mia difficolta' di stare alle regole di un
partito o di costruirmi uno strumento di pressione, che sono le due forme
lecite di azione ad hoc, ma non si adattano a me.
Tuttavia in varie circostanze altre donne hanno cercato di ottenere una mia
candidatura ed elezione. Ricordo le due che ritengo piu' significative.
Rosangela Pesenti anni fa raccolse numerose firme per proporre il mio nome
al Pds, e la cosa arrivo' fino alla sera in cui si chiudeva la presentazione
delle liste, quando ci fu comunicato che non si era trovato posto per me:
sono molto grata a Rosangela e ad "Avvenimenti" che allora ospito' e
sostenne la campagna.
Piu' tardi, l'anno passato, il Comitato 8 marzo di Perugia e la sua
presidente Marcella Bravetti lancio' una raccolta di firme per proporre al
presidente Ciampi che fossi nominata senatrice a vita, anche per ottenere un
certo riequilibrio della rappresentanza tra i generi. Anche questa volta le
firme raccolte  furono davvero tante, sia di singole e singoli, sia di
organizzazioni (ricordo in particolare il Forum delle Donne di Rifondazione,
l'Udi, le Donne in nero, ecc.). La sottoscrizione fu consegnata al
Quirinale, ma il presidente Ciampi non prese in considerazione il
riequilibrio e nomino' senatori a vita Napolitano e Pininfarina.
Adesso il mio nome e' stato proposto nelle liste di Rifondazione al Senato
con un gruppo di candidati e candidate non iscritte al partito, ma impegnate
nella costruzione della Sinistra Europea e per altri motivi che sono gli
stessi indicati anche nelle due precedenti iniziative, cioe' l'essere
femminista e pacifista.
*
In effetti da tempo rifletto sull'azione nonviolenta, su una politica di
pace, sul rinnovamento delle forme della politica (sistema pattizio tra
forme politiche) e sull'avvio di una cultura politica di sinistra che
rilegga il mondo, fondata sul lavoro nell'epoca di grandi trasformazioni e
contro la globalizzazione neoliberista, sul movimento delle donne, dei
diritti civili, su uno stato sociale posto sui beni comuni, della cultura
ambientalista e degli intellettuali come esperti della comunicazione.
Sono molto legata a queste mie riflessioni, come a quelle precedenti contro
il servizio militare delle donne (e anche degli uomini) e per la formazione
di un progetto di difesa popolare nonviolenta e servizio civile
obbligatorio, una proposta di riforma delle Nazioni Unite e un progetto di
neutralita'.
Ho anche svolto riflessioni sul lavoro della riproduzione (biologica,
domestica e sociale). Insisto sul tema della ricerca, perche' tengo ad avere
un qualche riconoscimento di aver prodotto qualche briciola di pensiero
teorico, dato che alle donne generalmente si riconosce dedizione,
generosita', sollecitudine e altre molte belle e utili virtu', non capacita'
teoriche.
*
Considero le due precedenti raccolte di firme come specie di primarie, e
forse indicazione anche di una possibile procedura da seguire in futuro se
si vorra' rendere stabile un rapporto tra espressioni di movimenti e
partiti, una questione cui non si puo' sfuggire quando si comincia a
proporre in misura significativa la presenza di persone non iscritte e non
con la formula pur benemerita dell'"indipendente", ma in rappresentanza
autonoma e molteplice di soggettivita' problematiche, critiche, ecc.
*
Per queste ragioni a un dipresso ho accettato la candidatura e ve ne rendo
conto. Se dovessi essere eletta  daro' conto attraverso la mailing list
"Lisistrata" con regolarita' delle attivita' cui mi dedichero', per
mantenere un rapporto preciso col movimento nella prospettiva di una
democrazia partecipata.
La mia candidatura e' in Friuli Venezia Giulia, un collegio non sicuro, e
quindi, se siete interessate e interessati a che questa prospettiva si possa
realizzare, e se volete fare qualcosa che mi dara' gioia, e non potra'
ripetersi, sostenete la mia candidatura segnalandola a chi conoscete in
Friuli Venezia Giulia.
Vi ringrazio di cuore,
Lidia Menapace

4. LIBRI. GABRIELLA FRECCERO PRESENTA "LA RIVENDICAZIONE DI ANTIGONE" DI
JUDITH BUTLER
[Dal sito www.url.it/donnestoria/ riprendiamo la seguente recensione del
libro di Judith Butler, La rivendicazione di Antigone. La parentela tra la
vita e la morte, Traduzione di Isabella Negri, Bollati Boringhieri, Torino,
2003.
Gabriella Freccero, nata a Savona nel 1966, impegnata sulle tematiche
pacifiste e del disarmo, sul pensiero e la scrittura delle donne, laureata
in storia ad indirizzo antico con una tesi su "A scuola da Aspasia: uomini e
donne tra retorica e politica nell'Atene del V secolo", ha pubblicato vari
contributi su "Donne e conoscenza storica" (www.url.it/donnestoria), sito
della Comunita' di pratica e riflessione pedagogica e di ricerca storica di
Milano affiliata alla Libreria delle Donne, per cui cura recensioni di libri
su donne e antichita' e sulla filosofia femminista; ha curato le schede di
Aspasia di Mileto, Jane Hellen Harrison, Aphra Behn per il progetto
"Dominae" del sito www.arabafelice.it di Anna Santoro. Collabora con il
bimestrale "La Civetta" di Savona e con la rivista "Leggere donna" di
Luciana Tufani.
Judith Butler, pensatrice femminista americana, nata nel 1956, insegna
attualmente retorica e letteratura comparata all'Universita' di Berkeley,
California; e' figura di primo piano del dibattito contemporaneo su
sessualita', potere e identita'; le sue ricerche rappresentano uno dei
contributi piu' originali all'interno dei cultural studies e della queer
theory. Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003 riprendiamo questa
presentazione di Judith Butler scritta da Ida Dominijanni: "Judith Butler e'
una delle massime figure di spicco nel panorama internazionale della teoria
femminista. Docente di filosofia politica all'universita' di Berkeley in
California, ha pubblicato nell'87 il suo primo libro (Subjects of Desire) e
nel '90 il secondo, Gender Trouble, testo tuttora di culto nei campus
americani, cruciale per la messa a fuoco delle categorie del sesso, del
genere e dell'identita'. Del '93 e' Bodies that matter (Corpi che contano,
Feltrinelli, Milano 1995), del '97 The Psychic Life of Power. Filosofa di
talento e di solida formazione classica, Butler appartiene a quello stile di
pensiero post-strutturalista che intreccia la filosofia politica con la
psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale; e a quella generazione
del femminismo americano costitutivamente attraversata e tormentata dalle
differenze sociali, etniche e sessuali fra donne e dalla frammentazione
dell'identita' che ne consegue. Decostruzione dell'identita', analisi del
corpo fra materialita' e linguaggio, critica della norma eterosessuale e dei
dispositivi di inclusione/esclusione che essa comporta, critica del potere e
del biopotere sono gli assi principali del suo lavoro, che sul piano
politico sfocia in una strategia di radicalita' democratica basata sulla
destabilizzazione e lo shifting delle identita'. Fin da subito attenta ai
nefasti effetti dell'11 settembre e della reazione antiterrorista sulla
democrazia americana, Butler e' fra gli intellettuali americani maggiormente
imegnati nel movimento no-war. 'La rivista del manifesto' ha pubblicato sul
n. 35 dello scorso gennaio il suo Modello Guantanamo, un atto d'accusa del
passaggio di sovranita' che negli Stati Uniti si va producendo all'ombra
dell'emergenza antiterrorista: fine della divisione dei poteri, progressivo
svincolamento del potere politico dalla soggezione alla legge, crollo dello
stato di diritto con le relative conseguenze sul piano del diritto penale
(demolizione delle garanzie processuali) e del diritto internazionale
(violazione di trattati e convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in
nome della liberta' e la soppressione delle liberta' si saldino in un'unica
offensiva di abiezione dei 'corpi che non contano', per le strade di Baghdad
e nelle gabbie di Guantanamo". Opere di Judith Butler disponibili in
italiano: Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995; La rivendicazione di
Antigone, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Vite precarie. Contro l'uso
della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma 2004; Scambi
di genere. Identita', sesso e desiderio, Sansoni, Firenze 2004; La vita come
viene. Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006 (di prossima
pubblicazione)]

Antigone ha affascinato nei secoli filosofi e letterati, e da ultimo il
femminismo e i movimenti radicali che la assumono volentieri a simbolo di
una resistenza contro un potere che non tiene conto delle necessita' degli
individui, cieco e maschilista. Judith Butler si domanda in questo saggio se
identificare Antigone come eroina dei diritti degli individui e della
famiglia non sia che una ennesima trappola di cio' che lei chiama il
paradigma eterosessuale. Ricordiamo che Butler nel suo piu' importante
saggio, Gender Trouble del 1990, critica il femminismo per avere
identificato le donne come genere oppresso senza problematizzare l'identita'
femminile, dimenticando che proprio la polarizzazione di genere
maschile/femminile fonda il potere patriarcale, escludendo per principio
ogni soggettivita' incerta o liberamente costruita. Di qui l'importanza di
considerare l'identita' di genere come una pratica interiorizzata dai
soggetti piu' che come un'essenza, circostanza instabile e socialmente
manipolata, performance piu' che dato naturale, in una parola oggetto queer,
che in inglese designa cio' che e' strano, insolito, eccentrico (da cui la
queer theory).
*
Luce Irigaray ha visto in Antigone una possibile figura di identificazione
per molte donne e ragazze di oggi, come colei che combatte lo statalismo e
l'autoritarismo appellandosi alle ragioni dell'etica e della fedelta' al
proprio sesso. Butler ritiene l'identificazione problematica.
Lo schema di opposizione stato/parentela seguito da Irigaray echeggia
l'interpretazione hegeliana; per il filosofo tedesco la citta' greca fonda
la propria irripetibile grandezza sulla dialettica fra il punto di vista
della religione e quello dello stato, che la tragedia interpreta come la
lotta dell'eroe contro il suo fato; Antigone rappresenta "l'eterna ironia
della comunita'", lo stato di coscienza che precede lo stato - il tribale;
due poteri si fronteggiano, l'antico patrimonio di credenze sugli "dei del
focolare" e la legge civica. Per consentire la nascita dello stato etico, la
parentela deve per Hegel cedere il passo all'universalismo della legge
cittadina, essere superato. Nei Lineamenti di filosofia del diritto scrive
che "questa legge [di Antigone - ndr] e' mostrata in antitesi di fronte alla
legge pubblica, e cio' determina una antitesi che e' la piu' altamente etica
e, quindi, la piu' altamente tragica, e nella quale sono individualizzati
insieme la femminilita' e la virilita'", (Butler p. 57).
Contro l'interpretazione che vede opporre Antigone a Creonte, che si
potrebbe raddoppiare a piacere in scontro natura/cultura, eros/ragione,
divino/umano, donna/uomo, secondo Butler e' piu' agevole rintracciare nella
tragedia gli elementi che legano i due antagonisti: 1) Antigone assume
un'identita' virile nello scontro con il re; 2) l'eroina si oppone alla
politica sfoggiando anch'essa un linguaggio politico. Antigone
rappresenterebbe piuttosto la sventurata rappresentante di una parentela al
di fuori della norma, figlia di colui che e' anche suo fratello (Edipo),
avendo sposato sua madre, e secondo diverse allusioni, innamorata del
fratello Polinice, una parentela-limite che mostra le ripugnanti distorsioni
che comporta oltrepassare il tabu' dell'incesto, e le conseguenze per le
generazioni a venire.
*
Butler si e' occupata dell'importanza attiva del linguaggio in Excitable
Speech del 1997, dove discute la capacita' della parola, specie se
ingiuriosa, di vulnerare i soggetti, in riferimento al linguaggio militare,
pornografico, della censura. Nell'Antigone essa nota che l'atto della
sepoltura del reo Polinice e' continuamente oggetto di atti linguistici dei
presenti, da coloro che si preoccupano di affermare di non averlo fatto,
come la guardia, alla sorella Ismene che domanda invece di attribuirsene la
corresponsabilita', ad Antigone che se ne addossa la colpa obliquamente,
dicendo di non poter negare di averlo fatto. L'atto della sepoltura diventa
sfida verbale, rifiuto di sottomettersi al potere regale negando l'accaduto.
Creonte si dimostra quasi piu' colpito dalla rivendicazione di Antigone che
dallo stesso gesto, interpretandola giustamente come una sfida di potere
(affermo di averlo fatto e non lo nego) nei suoi confronti piuttosto che
come trepida confessione della rea; la sfida lo fa infuriare a tal punto che
giura che non comandera' una donna finche' lui vivra', mentre non condannare
Antigone significherebbe concludere che l'uomo e' ormai lei stessa e non
piu' lui. La particolare storia di devianza rispetto alle leggi della
parentela rende la soggettivita' di Antigone queer e destabilizzata, e
sembra tale da contaminare la stessa mascolinita' del re, minacciando di
trasformare la ben salda identita' di genere di Creonte nel suo opposto, un
femminile debole e depotenziato. La capacita' della parola di creare atti
che si riverberano sul futuro si rivela soprattutto nella maledizione di
Edipo verso i figli maschi che egli pronuncia nell'Edipo a Colono,
prevedendo lo scontro fra gli eredi e la loro reciproca uccisione, ma
travolge la stessa Antigone che pure e' stata per il re di Tebe il bastone
d'appoggio durante l'esilio; non si e' infatti resa uomo nello scontro con
Creonte?
Butler non crede che Antigone rappresenti realmente la sovranita'
alternativa espressa dalla legge della parentela come vuole Hegel; e' a suo
avviso troppo paradossale che essa affermi di voler seppellire il fratello,
ma non per esempio lo sposo o un figlio, poiche' il fratello e' ormai
insostituibile essendo morti i genitori che lo generarono, mentre il marito
potrebbe essere rimpiazzato e un figlio nuovamente concepito. Questa
affermazione di Antigone ha in realta' un senso, ma solamente se la si cala
entro un pensiero e un rituale molto piu' antichi delle norme religiose
contemporanee di Sofocle, al tempo in cui anche in Grecia prevalevano i
culti della fertilita' e la magia, ed aveva particolare importanza, ad
esempio, che i ragazzi che partecipavano alle feste religiose avessero
entrambi i genitori vivi, per non influenzare negativamente il rituale, o
che il figlio piu' importante fosse l'ultimogenito e non il primogenito,
come colui che puo' proiettare la vita dei genitori piu' avanti nel tempo
rispetto a tutti i fratelli (Cfr. Jane Ellen Harrison, Prolegomena to the
Study of Greek Religion e Themis) Butler premette all'inizio del saggio di
non essere specialista di antichita', ma in questo punto, che e' pure
fondamentale nella tragedia, la sua mancata competenza la svia (Antigone
quindi non agisce in nome degli dei della parentela ma violando proprio il
mandato di quegli dei, Butler p. 23), in quanto pensa agli dei immaginandosi
forse gli olimpici, ma si tratta di una realta' religiosa ben piu' antica
che emerge.
Cosi' Antigone che parte sfidando la legge dello stato nel momento di
compiere la sepoltura, al momento di appropriarsi verbalmente del gesto
diventa maschio, materializzando le paure di Creonte, e compie un atto di
hybris paragonabile a quello del re e dei fratelli; si oppone al potere
assumendone le stesse sembianze tramite un discorso efficace che annulla le
distanze tra legge antica e legge moderna e la espone alla violenza della
maledizione di Edipo.
*
Il tabu' dell'incesto, la violazione del quale ha gia' determinato il
destino tragico del padre, aleggia come un fantasma nei rapporti tra
Antigone e Polinice; secondo Goethe questo legame impedisce di vedere in
Antigone l'eroina delle leggi della parentela in lotta contro lo stato,
mentre altri esegeti da Hegel a Lacan a Marta Nussbaum fino a Vernant e
Vidal-Naquet ne minimizzano la portata, letture che secondo Butler non fanno
che confermare il modello di funzionamento dei condizionamenti di potere;
non c'e' incesto fra i due fratelli perche' il paradigma nega che ci possa
essere, e continuare a ripeterlo assicura la infinita reiterazione e
rigenerazione del codice della parentela. Il tabu' dell'incesto si conferma
quindi come l'arma piu' potente a difesa del paradigma eterosessuale.
Il problema dell'incesto conduce con se' l'altro fatto problematico: la
scelta di Antigone di morire, mentre la punizione di Creonte consisterebbe
nel solo carcere a vita, sia pure in condizioni di stentata sopravvivenza.
Antigone decide di morire perche' il suo legame e' comunque condannato dalle
leggi della parentela, o il suo destino di abbracciare i morti al posto dei
vivi e' gia' segnato dalla catastrofe di Edipo, ne' puo' essa sfuggirvi in
alcun modo? Io vado verso i miei cari morti, tous emautes, dai miei,
propriamente, dice Antigone, e sia essa una scelta inevitabile o un tragico
destino a trascinarla, per Butler la tragica fine dell'eroina puo' ben
esemplificare che essa ha toccato i limiti della parentela, una terra di
nessuno dove essa si situa in posizione incomprensibile ai piu', ma forse
oggi piu' frequentata che in passato dopo la crisi della famiglia
patriarcale, dove si trova oggi chi ha piu' madri e padri a seguito del
divorzio dei genitori, chi ha figli da piu' matrimoni, chi ha una famiglia
monoparentale, chi piange un compagno di vita dello stesso sesso ma non puo'
farlo pubblicamente.
La denuncia di Antigone e' che le leggi della parentela descrivono spesso
un'idealizzazione dei rapporti di parentela da parte del potere politico,
fino ad un vero e proprio impedimento della vita sociale per chi non vi si
conforma. Parimenti idealizzanti sono per Butler le piu' significative
interpretazioni critiche della tragedia, quella hegeliana e quella
lacaniana. Hegel rifiuta la pretesa del femminile di governare lo stato a
partire da istanze privatistiche (la comunita' puu' conservarsi solo
mediante la soppressione di questo spirito della singolarita', Butler, p.
55) cui fanno appello le leggi non scritte invocate dall'eroina, che
antepongono la conservazione degli individui e la riproduzione degli affetti
familiari alle necessita' militari e politiche dello stato di disporre della
vita dei cittadini ovunque e comunque.
*
Per Lacan le leggi della parentela sono appartenenti all'ordine simbolico,
non discendendo il tabu' dell'incesto da una precisa norma biologica e
naturale ma da una evoluzione culturale dell'uomo; la parentela e' il luogo
dello strutturarsi del linguaggio: dallo scambio delle donne, luogo di
nascita della famiglia, deriva lo scambio di parole; l'insieme dei rapporti
linguistici crea la parentela a prescindere dalle reali condizioni sociali,
cosi' che si puo' ritrovare una legge del padre in societa' diverse, a
partire da un desiderio del padre che opera nel regno del simbolico al di
la' del reale rapporto sociale di parentela. Il simbolico avviluppa l'uomo
pur essendogli trascendente (quel che c'e' di piu' alto nell'uomo e che non
e' nell'uomo ma altrove e' l'ordine simbolico (Butler p. 64). In questo
ordine la cui forza e' di essere universale Antigone appare, come Creonte,
come l'individuo che tende al bene, ma incontra sulla sua strada qualcosa di
enigmatico per la coscienza che lo svia misteriosamente; non e' in causa
come per Hegel il conflitto fra stato e famiglia, ma un movimento tutto
interno alla dinamica del desiderio del soggetto; questi puo' essere
affascinato dalla propria auto-distruzione, in una prospettiva masochistica,
come via di fuga verso una salvezza impossibile nella prospettiva della
vita.
Antigone corre verso la propria morte come affascinata da questa soluzione.
Non c'e' catarsi per Lacan alla fine del dramma, Antigone rimane la' a
rappresentare l'irrisolto dell'essere umano, l'essere posto sul limite tra
vita e morte e in bilico tra le due; da questa posizione di limite (o
posizione-limite), si puo' sentire inattaccabile, ma si trova ormai fuori
dell'ordine simbolico o confinata alle sue estreme propaggini; l'amore per
il fratello non fa parte di cio' che puo' essere interpretato nell'ordine
vigente, come non lo e' che i cittadini siano tutti diversi e non
interscambiabili nel suo ordine (l'ordine delle leggi non scritte). Di qui
lo scandalo, e la minaccia per la comunita', che non puo' far altro che
espellere un tale soggetto e consegnarlo sul piano individuale alle sue
pulsioni di morte, facendo coincidere la vita con l'ordine simbolico dato.
Qui per Butler si situa il limite di Lacan, nel pensare che sia il desiderio
di Antigone e non l'operare politico dell'ordine simbolico a condannare a
morte l'eroina, il non vedere come la sua sia una morte sociale, che
interroga oggi piu' che mai i reciproci rapporti tra individui e potere.
Butler ha studiato la modalita' di interscambio tra vita psichica e potere
nel saggio The Psychic Life of Power. Secondo la teoria corrente e' il
soggetto ad interiorizzare le leggi ricevute, mentre la studiosa esalta la
capacita' del potere sociale di creare esso stesso il soggetto, che e'
idealistico pensare come pre-esistente; il soggetto e' creato e determinato
fin da piccolissimo, quando il bambino interiorizza la norma che egli non
puo' amare il genitore dello stesso sesso e deve competere con l'altro
genitore per il possesso di quello di sesso diverso dal suo, e per acquisire
un'identita' accettabile deve creare una scissione al suo interno, un
Super-io che giudichi il proprio se'; di qui nasce il concetto di melancolic
gender, frutto di un'identita' che da subito viene posta in lotta contro se
stessa e sviata dai propri originari impulsi per acquisire legittimita' e
divenire oggetto d'amore dei genitori. Quello di Antigone e' il supremo
sforzo di sfuggire alle maglie di una forza coercitiva che agisce fin
dall'inizio sull'individuo spingendolo ad assumere precise identita', mentre
essa non vuole rinunciare ai suoi attaccamenti originari pre-edipici; il
prezzo da pagare e' la morte civica, cui lei preferisce ancora la tutto
sommato consolante morte naturale e il ricongiungimento coi suoi.
*
Antigone e' per Butler cio' che per unanime decisione non e' umano ma parla
con voce umana (p. 111); fa parte di quel "regno in ombra" che secondo
Hannah Arendt perseguita la sfera pubblica e la ossessiona con le voci di
cio' che ne e' escluso ma continua dai margini a chiedere riconoscimento, o
almeno possibilita' di vivere; e' colei che segnala la malinconia della
sfera pubblica, il mancato legame tra l'ordine dei rapporti privati e
l'ordine politico e l'assoggettamento degli individui alle necessita' del
potere. Antigone non puo' rappresentare nessuno, perche' lei stessa e'
irrappresentabile nel sistema culturale dato, scorretta, eccedente; ma la
tragedia dell'escluso trascina con se' anche quella dell'ordine costituito,
come nota Hegel nell'Estetica quando dice che sia Antigone che Creonte
"vengono presi ed infranti da cio' che appartiene alla cerchia stessa della
loro esistenza"; cio significa che nell'epoca moderna la non piu' possibile
legittimazione in termini divini rende pressante per il potere riscuotere il
consenso dei governati, ma questo e' possibile, come mostra in modo
incredibilmente attuale Antigone, attraverso politiche di inclusione e
allargamento dei diritti, che a conti fatti, e ragionando in termini
globali, sono ancora ben lungi dall'essere realizzate, essendo il popolo
degli esclusi numericamente ancora enorme e, cio' che e' peggio, in
espansione.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 50 del 9 febbraio 2006

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