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Nonviolenza. Femminile plurale. 50
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 50
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 9 Feb 2006 13:55:54 +0100
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 50 del 9 febbraio 2006 In questo numero: 1. Ida Dominijanni: Lo sguardo, la morte 2. Francesca Manenti: La memoria della Shoah nella scrittura delle testimoni 3. Lidia Menapace: Perche' ho accettato la candidatura al senato 4. Gabriella Freccero presenta "La rivendicazione di Antigone" di Judith Butler 1. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LO SGUARDO, LA MORTE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 febbraio 2006. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005. Andrea Santoro e' il sacerdote cattolico assassinato in Turchia alcuni giorni fa] Padre Andrea Santoro aveva a cuore il dialogo fra civilta' ed e' rimasto vittima dello scontro di civilta' che impazza attorno allo "scandalo" delle vignette. Non e' la prima vittima e non sara' l'ultima; e serve a poco interrogarsi su quanto sia diretto o indiretto il nesso fra la sua morte, la satira su Allah in Europa e le manifestazioni islamiche antieuropee in Medioriente. Diretto o indiretto che sia, il nesso c'e' e sta in questa sorta di "bipolarismo culturale" in cui il mondo s'e' cacciato in sostituzione del bipolarismo politico, per diretta responsabilita' dei fondamentalisti islamici da un lato e del fondamentalismo identitario americano ed europeo dall'altro, nemici a parole e alleati nei fatti nel costruire lo scontro di civilta'. Che non e' affatto un destino ineluttabile inscritto nei codici genetici della razza della religione e della cultura, ma un preciso progetto politico, comune al peggio delle due sponde dell'Atlantico e al peggio del mondo islamico, nonche' al peggio dei tre monoteismi. Padre Andrea Santoro ne e' vittima come ne sono vittime tutti quelli e quelle che oppongono alla "confrontation" frontale dei valori e degli dei la pratica minuta, quotidiana, puntuale, della relazione fra differenze irriducibili, o non facilmente riducibili alla retorica a sua volta troppo semplice del dialogo e della tolleranza. Vengono in mente le parole di Freud sulla veridicita' inconscia del motto di spirito di fronte all'assurdita' della vicenda delle vignette, poco o nulla spiegabile in termini razionali. Non ha nulla di razionale non tanto la prima decisione di pubblicarle del quotidiano danese, quanto la pervicacia degli altri quotidiani europei nel ripubblicarle in seguito come bandierina della liberta' di stampa. E non ha nulla di razionale - ma in compenso molto di strategico: i due termini non sempre sono sinonimi - la reazione di protesta montata in Medioriente a sei mesi di distanza come bandierina della dignita' dell'Islam. Come il motto di spirito, le vignette funzionano da sintomo e lapsus, rivelando il materiale conscio e inconscio che lavora dietro le quinte dello scontro di civilta': il razzismo (stavolta islamofobico, altre volte antisemita o anticristiano) di certi tratti della satira, l'islamofobia della destra danese simile a tutte le nuove destre europee, l'intolleranza della protesta islamica che chiede tolleranza all'Europa, lo svuotamento dell'universalismo occidentale dei diritti di liberta' che di giorno in giorno, in guerra e in pace, si dimostrano sempre meno universali, le trappole in cui incorrono e le controbiezioni a cui si espongono molte posizioni pur ottimamente intenzionate: chi si appella al rispetto assoluto per le religioni si espone all'accusa di bacchettonismo, chi si appella alla virtu' dell'ironia si espone al sospetto di imperialismo culturale perche' non si puo' pretendere da ogni cultura lo stesso tasso di disincanto della nostra, chi si appella al senso della misura si espone all'accusa di opportunismo perche' non si sa chi dovrebbe decidere la misura e in base a q uali parametri. Per non dire del solito Marcello Pera, l'antirelativista che stavolta domanda reciprocita' e parita' di comportamenti fra "noi" e "loro", con una mano fomentando lo scontro di valori e con l'altra pretendendo di ridurlo a un minuetto simmetrico e ben regolato. Comunque la si prenda, resta materia incandescente, cui si addice solo la logica paziente della decostruzione, del "noi" e del "loro", dei diritti e dei poteri, dell'intolleranza e della tolleranza, delle parole pesanti e delle vignette leggere, dell'universalismo delle liberta' e del relativismo dell'indifferenza. Nonche' di cio' che chiamiamo Europa: il nome che avrebbe dovuto fare da barriera allo scontro "preventivo" di civilta', e si ritrova invece oggi investito in pieno dalla sua onda, sempre piu' svuotato, fragile, frammentato. 2. RIFLESSIONE. FRANCESCA MANENTI: LA MEMORIA DELLA SHOAH NELLA SCRITTURA DELLE TESTIMONI [Dalla rivista telematica "Per amore del mondo", fascicolo dell'inverno 2005-2006, nel sito www.diotimafilosofe.it, riprendiamo il seguente testo che riprende sinteticamente la tesi di laurea di Francesca Manenti su "Etty Hillesum: la scrittura spezzata" presso l'Universita' di Bergamo (relatrice la professoressa Federica Sossi). Francesca Manenti ha dedicato un intenso studio alle testimonianze femminili sulla Shoah. Federica Sossi e' docente di filosofia teoretica all'universita' di Bergamo. Tra le sue opere: (a cura di), Pensiero al presente, Cronopio, Napoli 1999; Autobiografie negate. Immigrati nei lager del presente, Manifestolibri, Roma 2002. Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002] La storiografia ci offre una vasta produzione di libri che hanno per argomento la persecuzione e lo sterminio degli ebrei. Molte persone sopravvissute alla Shoah hanno sentito il dovere di testimoniare e questo senso del dovere ha portato all'atto della scrittura per la ricostruzione degli eventi e per la creazione di una memoria. Le memorie, sia che fossero scritte o orali, hanno aiutato gli studiosi a ricostruire gli eventi del nazionalsocialismo e vista l'eta' avanzata dei testimoni sopravvissuti, oggi e' ancora piu' importante la raccolta di queste testimonianze per lasciare un futuro alle prossime generazioni. Molte testimonianze sono nate da un bisogno interiore di raccontare, altre invece per dare delle risposte a domande legate all'esigenza di giustizia. I nazisti non temevano le vittime perche' queste, a loro avviso, non erano un pericolo. L'intenzione dei nazisti era di cancellare il popolo ebraico dalla storia del mondo e di imporre il proprio dogma. Himmler e gli altri non pensarono mai alla possibilita' che, invece, sarebbero stati proprio i deportati a scrivere le pagine di questa storia. Certi scritti furono portati alla luce quando la guerra fu terminata e vennero raccolti in vari archivi; alcuni di questi furono ritrovati in luoghi significativi del processo di distruzione degli ebrei d'Europa, come nel ghetto di Varsavia. Qui, infatti, le testimonianze lasciate dagli abitanti del ghetto furono sotterrate in tre diversi punti usando bidoni del latte o casse. Dopo la repressione dell'insurrezione di questo ghetto (nel 1943) tutto fu raso al suolo. La politica nazista era che non solo gli ebrei dovevano scomparire, ma anche i luoghi dove avevano vissuto. Gli archivi sono, dunque, formati non solo da manoscritti ma anche da cronache, lettere di bambini, diari dove venivano registrati gli eventi e le notizie che circolavano ma venivano anche annotate le sensazioni e le paure vissute in quei momenti; sono formati anche da libri abbandonati dagli intellettuali morti nel ghetto e da diverso materiale proveniente dall'amministrazione tedesca ed ebraica come ordini, discorsi, corrispondenza e cosi' via. Molte testimonianze, pero', probabilmente giudicate prive di valore, furono distrutte e cosi' scomparvero documenti di notevole interesse. Molti scritti furono ritrovati anche nei campi di concentramento, ad esempio nel campo di Auschwitz-Birkenau, nascosti in scavi. Furono ritrovati scritti dei membri del Sonderkommando i quali avevano il compito di cremare i cadaveri, ma dei circa trenta scritti sepolti, solo tre furono ritrovati. Altri scritti furono portati nei campi di concentramento sempre dagli internati dei ghetti i quali li conservavano nei loro bagagli. Una volta varcata la soglia dei campi di concentramento, le valigie venivano sepolte per ordine dei nazisti. La scrittura, dunque, diventa necessaria per lasciare una traccia di questi eventi che sfidano l'immaginazione, eventi nei confronti dei quali le generazioni nate dopo la Shoah rivolsero uno sguardo cieco. * La paura di non essere creduti rinchiuse nel silenzio molte vittime del genocidio: i sopravvissuti si renderanno conto sempre piu' che sara' difficile raccontare quello che e' accaduto nei Lager, ma ancora di piu' sara' difficile essere creduti, come conferma Lidia Beccaria Rolfi ne L'esile filo della memoria, un libro che narra il ritorno dal Lager. Questa paura di non essere credute e' presente anche nelle testimonianze di tre donne sopravvissute ad Auschwitz, raccolte da Daniela Padoan nel suo libro Come una rana d'inverno. Una prima testimonianza e' quella di Liliana Segre la quale riprende la paura di non essere credute anche come un aspetto che gravava piu' sulle donne: il sospetto era quello che si fossero prostituite o che avessero in qualche modo collaborato con i tedeschi per il fatto di essere sopravvissute. La seconda e' di Goti Bauer, la quale testimonia che: "le persone non volevano piu' credere e non volevano piu' sentir parlare di tristezze, perche' anche qui avevano sofferto per la guerra, per i bombardamenti, per le privazioni, per i lutti. Basta, adesso non parliamo piu' di dispiaceri, bisogna andare incontro a una nuova vita fatta di speranza e di propositi, non parliamo piu'. La gente non voleva ascoltare e soprattutto non poteva credere. Hanno cominciato a credere quando sono arrivate le cronache dei giornalisti e dei militari che andavano ad aprire i campi e vedevano quello che era rimasto. Ma prima sembrava che raccontassimo cose inventate". La terza testimonianza e' quella di Giuliana Tedeschi, la quale documenta alla Padoan che il desiderio di raccontare svaniva perche' la gente non voleva ascoltare: nessuno voleva saperne e nessuno chiedeva niente. Il desiderio di raccontare viene puntualizzato anche dagli uomini sopravvissuti allo sterminio; uno di questi sara' Robert Antelme il quale confermera' nel suo libro La specie umana la necessita' di parlare ed essere finalmente ascoltati; anche Primo Levi sottolineera' questa paura, una paura che era un incubo assillante gia' nei primi giorni del Lager. Tutto quello che stavano vivendo era qualcosa di inimmaginabile. Nel libro di Soazig Aaron La donna che disse no - un libro che tratta il ritorno da Auschwitz -, viene messa in luce sempre l'incredulita' ma nell'ambito familiare; in questa testimonianza si vedra' quanto sia difficile per la cognata e amica di una sopravvissuta, Klara, credere a quello che e' successo. Angelika, la cognata, dovra' fare appello a tutta la sua buona volonta' per reputare vera l'esperienza di Klara. I testimoni, quindi, furono messi a tacere per mancanza di ascolto ma alla fine si mosse qualcosa. Con il processo di Eichmann si assistette ad una svolta per quanto riguarda la memoria del genocidio e si ebbe un'ondata di racconti e romanzi. Inizialmente doveva essere un processo al carnefice, ad Adolf Eichmann, e invece prese una rotta diversa: quello che interessava era la testimonianza ed era la prima volta da quando era finita la guerra che il testimone finalmente veniva ascoltato. Alcuni sopravvissuti, pero', per arrivare all'atto della scrittura e per poter testimoniare l'inimmaginabile si dovettero confrontare con la propria interiorita' tanto da dover diventare un'altra persona, e in piu' dovettero considerare anche il trascorrere del tempo perche' quest'ultimo poteva portare ad un cambiamento della realta' nel ricordo. I testimoni si resero conto che il tempo per testimoniare stava per esaurirsi perche' stavano diventando sempre meno, sia perche' alcuni erano deceduti, sia perche' altri, essendo invecchiati, facevano fatica a raccontare. Il racconto divenne possibile solo quando si spezzo' il silenzio ed il merito fu anche dei ragazzi e delle scuole. * Nella produzione di libri che hanno per argomento la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, i racconti di donne deportate sono spesso considerati solo marginalmente e spesso le testimonianze delle sopravvissute vennero considerate meno importanti in confronto a quelle lasciate dagli uomini. In molte opere sull'Olocausto scritte da uomini, le donne sono rappresentate come figure indifese e fragili. Ruth Klueger (sopravvissuta a Theresienstadt, Auschwitz, Grossrosen), nel suo libro Vivere ancora, attesta la consapevolezza dell'essere stata messa a tacere, sia perche' donna, sia perche' si pensava che le guerre appartenessero ai maschi, e anche perche' la gente non voleva ricordare l'Olocausto. Gli studi fatti, dimostrarono che le donne ebree tedesche subirono l'antisemitismo prima dei loro mariti perche' nella vita di tutti i giorni assistevano alle difficolta' dei figli subite nell'ambito scolastico e nelle amicizie; le donne, poi, subirono l'indifferenza dei vicini di casa con i quali, prima di tutto questo, avevano un buon rapporto, e si resero conto del tradimento di molte amiche e colleghe. Oltre all'isolamento sociale, gli ebrei sia donne che uomini, vennero colpiti anche dalla disoccupazione. Le donne ebree, grazie alla loro flessibilita' e al fatto che erano piu' adattabili degli uomini, e probabilmente al fatto che sarebbero state meno attaccate dai nazisti, riuscirono a trovare nuove occupazioni e per molte famiglie questo fu l'unico sostentamento. Successivamente le donne furono impiegate come forza lavoro e cosi' si sobbarcarono un gran numero di pesanti obblighi. Le testimonianze delle donne all'interno dei ghetti si riferiscono anche alla fatica del lavoro di fornitura di prodotti per l'utilizzo militare e civile da trasportare in Germania. Qui le donne riuscirono anche ad organizzarsi in reti di gruppi di soccorso per aiutare chi non aveva piu' niente e per gli ammalati. Nel periodo seguente alla deportazione, le donne non "ariane" dovevano lavorare per squadre speciali e i nazisti sfruttavano queste donne nei lavori piu' duri. Molte donne di eta' diversa, di diversa nazionalita' ed estrazione sociale, di diversa religione e scelta politica, pero', reagirono diversamente all'universo nazista, alcune con la ribellione, con il sabotaggio, con azioni di contrabbando, altre si impegnarono in azioni altruistiche e altre, invece, si ritirarono in solitudine. Le donne e ragazze che si ribellarono poterono contare sul loro aspetto "ariano" riuscendo a nascondere la propria identita' ebraica con maggiore facilita'. Una donna quando sceglieva di passare per "ariana" cominciava a vivere come una "fuorilegge". Le donne non agivano sempre da sole ma anche con i colleghi maschi; sovente si pensava che i movimenti di resistenza fossero guidati solo da maschi, ma nella resistenza e nei gruppi nazionali c'erano sia uomini che donne. Raccoglievano notizie militari ed economiche, preparavano film, fotografie da mandare agli alleati, ottenevano informazioni per i notiziari radio britannici ed americani, scrivevano e distribuivano volantini, discorsi ed istruzioni per ogni genere di sabotaggio. Nelle testimonianze narrate dalle donne sono presenti anche gli aspetti legati alla femminilita' e, infatti, sottolineeranno molto spesso nei loro racconti i problemi legati al ciclo mestruale. Nei campi di concentramento le donne si ponevano il problema di come avessero fatto a provvedere in quel momento del mese, dato che non avevano biancheria intima e niente da utilizzare e per di piu' c'era una mancanza di igiene, di servizi igienici adeguati. Questo era uno dei tanti modi usati per colpire le persone nella loro intimita'. Il problema delle mestruazioni pero' fu presto risolto: le deportate non ebbero il flusso per tutto il periodo in cui vissero nel Lager e si sosteneva che fosse dovuto ad una polverina misteriosa messa nella zuppa, il cibo quotidiano dei deportati. Le donne sottolineano che questa mancanza di mestruazioni le faceva sentire vecchie, in menopausa e destinate ormai alla sterilita': si sentivano mutilate. Sono interessanti le pagine de L'esile filo della memoria della Beccaria Rolfi quando tratta il suo ritorno alla vita normale: la civilta' e' per lei legata alle cose semplici, come puo' essere la vista della carta igienica, e ad abitudini quotidiane, come fare un bagno caldo e avere abiti puliti e profumati. La femminilita' e' stata una delle cose piu' profondamente ferite dall'istituzione del Lager ma, nello stesso tempo, e' stata anche un terreno dove si e' affinata la capacita' di resistenza di molte donne, la capacita' di adeguarsi e di continuare la lotta per la sopravvivenza. Questa lotta per la sopravvivenza, con le relative difficolta' e precarieta', si nota ancora di piu' nel momento della nascita di bambini nei campi di concentramento e nei ghetti: questo era un evento difficoltoso da portare a termine e soprattutto traumatico poiche' in questi luoghi la vita, la nascita, si trasformava in morte. Umiliazioni molto forti riguardanti la sessualita' le dovettero subire sia donne che uomini, come l'esposizione pubblica del loro corpo e la rasatura delle parti intime. Le donne dovevano sfilare nude davanti ai soldati in divisa e questi decidevano se dovessero morire oppure no; questo atto era una persecuzione umiliante perche' queste donne venivano guardate come dei capi di bestiame. Nei Lager non si era piu' padrone neanche del proprio corpo: questo era aggredito, deturpato ed era un dramma essere esposte alla vista degli altri. Il corpo era un involucro scrutato, ispezionato per giustificarne la fine al crematorio. Sia uomini che donne durante la vita nel campo di concentramento usavano le proprie abilita' per procurarsi cibo, procurarsi medicine, abiti consunti e tutto quello che ritenevano necessario per vivere almeno degnamente, usando anche il baratto. Questo aiuto e scambio reciproco favoriva cosi' i rapporti tra gli internati. * Nei Lager le donne si unirono in famiglie sostitutive dopo la perdita dei propri cari. La madre di Ruth Klueger, ad esempio, ad Auschwitz "adotto'" una bambina di nome Ditha, la quale era rimasta sola nel Lager. Le disse di unirsi a lei e alla figlia Ruth e da quel momento furono in tre a lottare per la sopravvivenza. Molte donne sostennero che la loro salvezza fosse dovuta alle amiche trovate nei campi, alle "sorelle di campo" le quali si aiutavano dividendosi la razione di pane, incoraggiandosi a vicenda nell'assistenza alle malattie per evitare il ricovero in infermeria, soccorrendosi nella liberazione dai pidocchi e sostenendosi durante il lungo ed estenuante appello, cercando d'inverno di riscaldarsi stando una vicina all'altra. La Tedeschi usa anche una bellissima figura che rende l'idea dell'aiuto femminile: "Le donne sono maglie, se una si perde, si perdono tutte". Questi rapporti di amicizia tra internati erano visti come un pericolo dai nazisti e dunque venivano troncati sul nascere: appena i tedeschi si accorgevano di questa confidenza facevano in modo di dissolvere i gruppi che si erano formati. Essi temevano questa complicita' per paura di qualche atto di sabotaggio. Non tutti gli internati, pero', vedevano questi rapporti di amicizia come qualcosa di positivo. Liliana Segre disse che, per lei, queste relazioni non erano diventate essenziali: lei non voleva attaccarsi alle persone perche' non avrebbe sopportato un eventuale distacco. Lei preferiva la solitudine: era una solitudine voluta, i suoi sentimenti si erano inariditi sempre piu'. * Negli scritti, sia femminili che maschili, si ritrova la costante della fame continua che non li abbandonava mai. Ad un pezzo di pane si legava la speranza di continuare a vivere. Le donne nei loro scritti annotarono di quando nelle baracche, dopo una giornata di lavoro estenuante, ricordavano l'abbondanza di cibo nel periodo precedente la guerra e la preparazione dei pasti: immaginavano di mangiare piatti succulenti e facevano una specie di gara in cui ognuna inventava il pranzo piu' buono. Si scambiavano anche ricette di piatti gustosi e prelibati ed inviti per un futuro. Questa fame corrodeva lo stomaco, bruciava, era una cosa tremenda, e a volte, a causa di questa continua fame, non si riusciva piu' a tenere un comportamento normale. * Per sfuggire a quello che stavano vivendo e per continuare ad avere una speranza per un futuro, le donne raccontavano la storia della loro famiglia, raccontavano il modo di gestire la loro casa, parlavano del loro passato e discutevano anche di libri, di rappresentazioni teatrali e recitavano anche canzoni e versi di opere conosciute o studiate ai tempi della scuola. Nei loro scritti, infatti, sono presenti punti in cui viene posto l'accento sulla loro passata vita domestica, sulla lotta per il sostentamento della loro famiglia durante i periodi di carenze alimentari e di mezzi a causa della guerra. Le donne, di fronte a queste atrocita' subite, manifestarono un grande coraggio grazie ad una resistenza spirituale e psicologica: le prigioniere nei campi portavano avanti la loro preghiera e per farlo sottraevano materiale dai magazzini dei nazisti da usare nei loro riti religiosi. Era importante per loro fare progetti per il ritorno, per un futuro migliore. Le internate, dunque, ricordavano la loro vita culturale: opere, commedie, canzoni, libri letti, e lo facevano per tenere allenata la mente a non dimenticare. Cercavano di ricordare anche semplicemente un compito in classe fatto a scuola anni prima, tutto per resistere, per andare contro la vita del Lager, contro i propositi dei nazisti che volevano disumanizzare le persone. Gli internati non volevano perdere la ragione: e' facile perderla per chi viene esposto all'esperienza della nuda vita, quella vissuta nei campi di concentramento. Il mondo dei Lager era studiato nei minimi particolari: era studiata la razione di cibo giornaliera che doveva essere distribuita, la mescolanza di persone diverse per creare scompiglio e per far se' che l'antisemitismo arrivasse anche nel campo. Era studiata anche la mancanza di logica che aleggiava nei campi e la vista continua della fiamma del crematorio: questa visione era un terrore che scuoteva l'animo. La paura, l'ossessione del crematorio e l'odore di carne bruciata che si attaccava addosso rimarranno per tutta la vita nella testa delle persone che vissero questa esperienza. * Una testimonianza ce l'ha lasciata anche Etty Hillesum, una giovane donna ebrea che si e' trovata a vivere all'eta' di ventisette anni l'orrore della Shoah. Etty Hillesum ci ha lasciato come testimonianza della sua breve vita il Diario relativo al periodo dal marzo 1941 all'ottobre del 1942 e le Lettere. Nel Diario la Hillesum registra la sua evoluzione umana e spirituale scoprendo Dio dentro di se' e inizio' un dialogo intimo con Lui; arrivera' ad un punto della sua crescita spirituale in cui Dio e la preghiera saranno due capisaldi della sua maturazione ed imparera' a pregare e ad inginocchiarsi. Come sfondo a questa crescita ci sono le vicende della seconda guerra mondiale e della Shoah. Le Lettere sono invece scritte agli amici, una testimonianza diretta della stessa Etty della deportazione degli ebrei nel campo di smistamento di Westerbork. Etty sentira' il desiderio di ospitare dentro di se' i problemi degli uomini e concepisce la sua esistenza come un aiuto nei confronti dei bisognosi e, cosi', decidera' di andare a Westerbork per dare un aiuto concreto agli internati. Decidera' di non sottrarsi al proprio destino e cosi' andra' spontaneamente in questo campo di internamento e anche in questo luogo continuera' ad amare la vita e vivra' ogni momento nella sua pienezza. Il Diario e le Lettere sono una testimonianza di "resistenza esistenziale" al nazismo. Il suo Diario e le sue Lettere ci dimostrano, inoltre, la sua capacita' di scrivere: capacita' poetica che si rileva anche nella registrazione del quotidiano, e documentano anche la ricerca difficoltosa del trovare le parole giuste in grado di esprimere l'orrore del nazismo, orrore che supera ogni immaginazione. La sua esigenza e' di trovare una lingua nuova che non la riduca solo a semplice cronista dei suoi tempi: lei e' anche una testimone che vuole portare avanti qualcosa con la sua scrittura. E' una testimone e conosce il suo ruolo, il ruolo fondamentale che ha per il futuro. Sente l'urgenza, la necessita', il bisogno di lasciare una sua traccia attraverso la scrittura: una traccia delle sue emozioni, riflessioni, del suo modo di vivere in quelle condizioni pietose causate dalle persecuzioni naziste; infatti, il suo grande desiderio era quello di diventare scrittrice, ma il suo desiderio venne spezzato dalla sua prematura morte nel campo di concentramento di Auschwitz. Era consapevole del valore, della capacita' poetica che aveva in se'. Il suo compito e' arduo: lei deve trovare le parole giuste, non solo piu' parole come forma di arte, ma parole con un senso, un senso profondo, che sappiano descrivere l'orrore, l'angoscia, la disperazione del momento sia proprio, sia quello di tutti gli internati nei campi di concentramento. A lei urge lasciare una testimonianza scritta e questa sua intenzione non diminuisce: si affievolisce, Etty cadra', si sentira' debole ma poi riprendera' in mano le redini della sua vita, si rialzera' e ricomincera'. Nelle Lettere descrive minuziosamente la vita del campo, il campo stesso e le sue baracche, anche se nella descrizione di questo, sembra che faccia una selezione di quello che scrive. Alcuni elementi presenti in altre testimonianze sono pero' presenti anche nei suoi scritti come, per esempio: il sovraffollamento del campo, delle baracche, l'esistenza di un ospedale, le condizioni igieniche orribili, l'intimita' perduta, il fango, la paura sempre presente per la deportazione, le separazioni tra madri e figli... Etty si sofferma anche sui sentimenti, le emozioni, le reazioni della gente; per lei, infatti, quello che conta nella vita non sono i fatti, ma conta solo cio' che grazie ai fatti si diventa. La sua particolarita' e' che lei scrive da una situazione di confine cioe' da una situazione drammatica dove sta con occhio, cuore e mente uniti tra loro e dove man mano aumenta anche la capacita' di vivere, anche se aumentano i dolori: anche se e' sulla soglia lei dichiara amore per la vita. A Westerbork il libro che ha davanti a se' e' un libro vivente, che bisogna capire e tradurre, e qui affronta la dura prova della scrittura. Chiede a Dio un aiuto: il dono di saper scrivere per poi essere in grado di narrare la sventura e la bellezza di Westerbork, le due singolarita' che ha questo luogo. La prova piu' dura sara' la sua esperienza a Westerbork: dovra' decifrare e tradurre questa esperienza per la gente che non la stava vivendo. Durante la giornata tra mille impegni e malanni fisici e anche di sera, pur essendo stremata, cercava un angolo nascosto del campo per poter continuare a scrivere le proprie memorie e per lasciare la sua testimonianza. * Questa e' l'ansia dei sopravvissuti presente nelle loro testimonianze. 3. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: PERCHE' HO ACCETTATO LA CANDIDATURA AL SENATO [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Carissime e carissimi, come saprete ho accettato la candidatura al Senato in Friuli Venezia Giulia nelle liste di Rifondazione. Ho ricevuto adesioni e approvazioni e auguri da molte e molti, e anche qualche interrogativo: percio' vorrei motivare le ragioni del mio si'. Ho desiderato essere parlamentare, ma non e' stato mai possibile per ragioni varie che attribuisco alla mia difficolta' di stare alle regole di un partito o di costruirmi uno strumento di pressione, che sono le due forme lecite di azione ad hoc, ma non si adattano a me. Tuttavia in varie circostanze altre donne hanno cercato di ottenere una mia candidatura ed elezione. Ricordo le due che ritengo piu' significative. Rosangela Pesenti anni fa raccolse numerose firme per proporre il mio nome al Pds, e la cosa arrivo' fino alla sera in cui si chiudeva la presentazione delle liste, quando ci fu comunicato che non si era trovato posto per me: sono molto grata a Rosangela e ad "Avvenimenti" che allora ospito' e sostenne la campagna. Piu' tardi, l'anno passato, il Comitato 8 marzo di Perugia e la sua presidente Marcella Bravetti lancio' una raccolta di firme per proporre al presidente Ciampi che fossi nominata senatrice a vita, anche per ottenere un certo riequilibrio della rappresentanza tra i generi. Anche questa volta le firme raccolte furono davvero tante, sia di singole e singoli, sia di organizzazioni (ricordo in particolare il Forum delle Donne di Rifondazione, l'Udi, le Donne in nero, ecc.). La sottoscrizione fu consegnata al Quirinale, ma il presidente Ciampi non prese in considerazione il riequilibrio e nomino' senatori a vita Napolitano e Pininfarina. Adesso il mio nome e' stato proposto nelle liste di Rifondazione al Senato con un gruppo di candidati e candidate non iscritte al partito, ma impegnate nella costruzione della Sinistra Europea e per altri motivi che sono gli stessi indicati anche nelle due precedenti iniziative, cioe' l'essere femminista e pacifista. * In effetti da tempo rifletto sull'azione nonviolenta, su una politica di pace, sul rinnovamento delle forme della politica (sistema pattizio tra forme politiche) e sull'avvio di una cultura politica di sinistra che rilegga il mondo, fondata sul lavoro nell'epoca di grandi trasformazioni e contro la globalizzazione neoliberista, sul movimento delle donne, dei diritti civili, su uno stato sociale posto sui beni comuni, della cultura ambientalista e degli intellettuali come esperti della comunicazione. Sono molto legata a queste mie riflessioni, come a quelle precedenti contro il servizio militare delle donne (e anche degli uomini) e per la formazione di un progetto di difesa popolare nonviolenta e servizio civile obbligatorio, una proposta di riforma delle Nazioni Unite e un progetto di neutralita'. Ho anche svolto riflessioni sul lavoro della riproduzione (biologica, domestica e sociale). Insisto sul tema della ricerca, perche' tengo ad avere un qualche riconoscimento di aver prodotto qualche briciola di pensiero teorico, dato che alle donne generalmente si riconosce dedizione, generosita', sollecitudine e altre molte belle e utili virtu', non capacita' teoriche. * Considero le due precedenti raccolte di firme come specie di primarie, e forse indicazione anche di una possibile procedura da seguire in futuro se si vorra' rendere stabile un rapporto tra espressioni di movimenti e partiti, una questione cui non si puo' sfuggire quando si comincia a proporre in misura significativa la presenza di persone non iscritte e non con la formula pur benemerita dell'"indipendente", ma in rappresentanza autonoma e molteplice di soggettivita' problematiche, critiche, ecc. * Per queste ragioni a un dipresso ho accettato la candidatura e ve ne rendo conto. Se dovessi essere eletta daro' conto attraverso la mailing list "Lisistrata" con regolarita' delle attivita' cui mi dedichero', per mantenere un rapporto preciso col movimento nella prospettiva di una democrazia partecipata. La mia candidatura e' in Friuli Venezia Giulia, un collegio non sicuro, e quindi, se siete interessate e interessati a che questa prospettiva si possa realizzare, e se volete fare qualcosa che mi dara' gioia, e non potra' ripetersi, sostenete la mia candidatura segnalandola a chi conoscete in Friuli Venezia Giulia. Vi ringrazio di cuore, Lidia Menapace 4. LIBRI. GABRIELLA FRECCERO PRESENTA "LA RIVENDICAZIONE DI ANTIGONE" DI JUDITH BUTLER [Dal sito www.url.it/donnestoria/ riprendiamo la seguente recensione del libro di Judith Butler, La rivendicazione di Antigone. La parentela tra la vita e la morte, Traduzione di Isabella Negri, Bollati Boringhieri, Torino, 2003. Gabriella Freccero, nata a Savona nel 1966, impegnata sulle tematiche pacifiste e del disarmo, sul pensiero e la scrittura delle donne, laureata in storia ad indirizzo antico con una tesi su "A scuola da Aspasia: uomini e donne tra retorica e politica nell'Atene del V secolo", ha pubblicato vari contributi su "Donne e conoscenza storica" (www.url.it/donnestoria), sito della Comunita' di pratica e riflessione pedagogica e di ricerca storica di Milano affiliata alla Libreria delle Donne, per cui cura recensioni di libri su donne e antichita' e sulla filosofia femminista; ha curato le schede di Aspasia di Mileto, Jane Hellen Harrison, Aphra Behn per il progetto "Dominae" del sito www.arabafelice.it di Anna Santoro. Collabora con il bimestrale "La Civetta" di Savona e con la rivista "Leggere donna" di Luciana Tufani. Judith Butler, pensatrice femminista americana, nata nel 1956, insegna attualmente retorica e letteratura comparata all'Universita' di Berkeley, California; e' figura di primo piano del dibattito contemporaneo su sessualita', potere e identita'; le sue ricerche rappresentano uno dei contributi piu' originali all'interno dei cultural studies e della queer theory. Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003 riprendiamo questa presentazione di Judith Butler scritta da Ida Dominijanni: "Judith Butler e' una delle massime figure di spicco nel panorama internazionale della teoria femminista. Docente di filosofia politica all'universita' di Berkeley in California, ha pubblicato nell'87 il suo primo libro (Subjects of Desire) e nel '90 il secondo, Gender Trouble, testo tuttora di culto nei campus americani, cruciale per la messa a fuoco delle categorie del sesso, del genere e dell'identita'. Del '93 e' Bodies that matter (Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995), del '97 The Psychic Life of Power. Filosofa di talento e di solida formazione classica, Butler appartiene a quello stile di pensiero post-strutturalista che intreccia la filosofia politica con la psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale; e a quella generazione del femminismo americano costitutivamente attraversata e tormentata dalle differenze sociali, etniche e sessuali fra donne e dalla frammentazione dell'identita' che ne consegue. Decostruzione dell'identita', analisi del corpo fra materialita' e linguaggio, critica della norma eterosessuale e dei dispositivi di inclusione/esclusione che essa comporta, critica del potere e del biopotere sono gli assi principali del suo lavoro, che sul piano politico sfocia in una strategia di radicalita' democratica basata sulla destabilizzazione e lo shifting delle identita'. Fin da subito attenta ai nefasti effetti dell'11 settembre e della reazione antiterrorista sulla democrazia americana, Butler e' fra gli intellettuali americani maggiormente imegnati nel movimento no-war. 'La rivista del manifesto' ha pubblicato sul n. 35 dello scorso gennaio il suo Modello Guantanamo, un atto d'accusa del passaggio di sovranita' che negli Stati Uniti si va producendo all'ombra dell'emergenza antiterrorista: fine della divisione dei poteri, progressivo svincolamento del potere politico dalla soggezione alla legge, crollo dello stato di diritto con le relative conseguenze sul piano del diritto penale (demolizione delle garanzie processuali) e del diritto internazionale (violazione di trattati e convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in nome della liberta' e la soppressione delle liberta' si saldino in un'unica offensiva di abiezione dei 'corpi che non contano', per le strade di Baghdad e nelle gabbie di Guantanamo". Opere di Judith Butler disponibili in italiano: Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995; La rivendicazione di Antigone, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Vite precarie. Contro l'uso della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma 2004; Scambi di genere. Identita', sesso e desiderio, Sansoni, Firenze 2004; La vita come viene. Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006 (di prossima pubblicazione)] Antigone ha affascinato nei secoli filosofi e letterati, e da ultimo il femminismo e i movimenti radicali che la assumono volentieri a simbolo di una resistenza contro un potere che non tiene conto delle necessita' degli individui, cieco e maschilista. Judith Butler si domanda in questo saggio se identificare Antigone come eroina dei diritti degli individui e della famiglia non sia che una ennesima trappola di cio' che lei chiama il paradigma eterosessuale. Ricordiamo che Butler nel suo piu' importante saggio, Gender Trouble del 1990, critica il femminismo per avere identificato le donne come genere oppresso senza problematizzare l'identita' femminile, dimenticando che proprio la polarizzazione di genere maschile/femminile fonda il potere patriarcale, escludendo per principio ogni soggettivita' incerta o liberamente costruita. Di qui l'importanza di considerare l'identita' di genere come una pratica interiorizzata dai soggetti piu' che come un'essenza, circostanza instabile e socialmente manipolata, performance piu' che dato naturale, in una parola oggetto queer, che in inglese designa cio' che e' strano, insolito, eccentrico (da cui la queer theory). * Luce Irigaray ha visto in Antigone una possibile figura di identificazione per molte donne e ragazze di oggi, come colei che combatte lo statalismo e l'autoritarismo appellandosi alle ragioni dell'etica e della fedelta' al proprio sesso. Butler ritiene l'identificazione problematica. Lo schema di opposizione stato/parentela seguito da Irigaray echeggia l'interpretazione hegeliana; per il filosofo tedesco la citta' greca fonda la propria irripetibile grandezza sulla dialettica fra il punto di vista della religione e quello dello stato, che la tragedia interpreta come la lotta dell'eroe contro il suo fato; Antigone rappresenta "l'eterna ironia della comunita'", lo stato di coscienza che precede lo stato - il tribale; due poteri si fronteggiano, l'antico patrimonio di credenze sugli "dei del focolare" e la legge civica. Per consentire la nascita dello stato etico, la parentela deve per Hegel cedere il passo all'universalismo della legge cittadina, essere superato. Nei Lineamenti di filosofia del diritto scrive che "questa legge [di Antigone - ndr] e' mostrata in antitesi di fronte alla legge pubblica, e cio' determina una antitesi che e' la piu' altamente etica e, quindi, la piu' altamente tragica, e nella quale sono individualizzati insieme la femminilita' e la virilita'", (Butler p. 57). Contro l'interpretazione che vede opporre Antigone a Creonte, che si potrebbe raddoppiare a piacere in scontro natura/cultura, eros/ragione, divino/umano, donna/uomo, secondo Butler e' piu' agevole rintracciare nella tragedia gli elementi che legano i due antagonisti: 1) Antigone assume un'identita' virile nello scontro con il re; 2) l'eroina si oppone alla politica sfoggiando anch'essa un linguaggio politico. Antigone rappresenterebbe piuttosto la sventurata rappresentante di una parentela al di fuori della norma, figlia di colui che e' anche suo fratello (Edipo), avendo sposato sua madre, e secondo diverse allusioni, innamorata del fratello Polinice, una parentela-limite che mostra le ripugnanti distorsioni che comporta oltrepassare il tabu' dell'incesto, e le conseguenze per le generazioni a venire. * Butler si e' occupata dell'importanza attiva del linguaggio in Excitable Speech del 1997, dove discute la capacita' della parola, specie se ingiuriosa, di vulnerare i soggetti, in riferimento al linguaggio militare, pornografico, della censura. Nell'Antigone essa nota che l'atto della sepoltura del reo Polinice e' continuamente oggetto di atti linguistici dei presenti, da coloro che si preoccupano di affermare di non averlo fatto, come la guardia, alla sorella Ismene che domanda invece di attribuirsene la corresponsabilita', ad Antigone che se ne addossa la colpa obliquamente, dicendo di non poter negare di averlo fatto. L'atto della sepoltura diventa sfida verbale, rifiuto di sottomettersi al potere regale negando l'accaduto. Creonte si dimostra quasi piu' colpito dalla rivendicazione di Antigone che dallo stesso gesto, interpretandola giustamente come una sfida di potere (affermo di averlo fatto e non lo nego) nei suoi confronti piuttosto che come trepida confessione della rea; la sfida lo fa infuriare a tal punto che giura che non comandera' una donna finche' lui vivra', mentre non condannare Antigone significherebbe concludere che l'uomo e' ormai lei stessa e non piu' lui. La particolare storia di devianza rispetto alle leggi della parentela rende la soggettivita' di Antigone queer e destabilizzata, e sembra tale da contaminare la stessa mascolinita' del re, minacciando di trasformare la ben salda identita' di genere di Creonte nel suo opposto, un femminile debole e depotenziato. La capacita' della parola di creare atti che si riverberano sul futuro si rivela soprattutto nella maledizione di Edipo verso i figli maschi che egli pronuncia nell'Edipo a Colono, prevedendo lo scontro fra gli eredi e la loro reciproca uccisione, ma travolge la stessa Antigone che pure e' stata per il re di Tebe il bastone d'appoggio durante l'esilio; non si e' infatti resa uomo nello scontro con Creonte? Butler non crede che Antigone rappresenti realmente la sovranita' alternativa espressa dalla legge della parentela come vuole Hegel; e' a suo avviso troppo paradossale che essa affermi di voler seppellire il fratello, ma non per esempio lo sposo o un figlio, poiche' il fratello e' ormai insostituibile essendo morti i genitori che lo generarono, mentre il marito potrebbe essere rimpiazzato e un figlio nuovamente concepito. Questa affermazione di Antigone ha in realta' un senso, ma solamente se la si cala entro un pensiero e un rituale molto piu' antichi delle norme religiose contemporanee di Sofocle, al tempo in cui anche in Grecia prevalevano i culti della fertilita' e la magia, ed aveva particolare importanza, ad esempio, che i ragazzi che partecipavano alle feste religiose avessero entrambi i genitori vivi, per non influenzare negativamente il rituale, o che il figlio piu' importante fosse l'ultimogenito e non il primogenito, come colui che puo' proiettare la vita dei genitori piu' avanti nel tempo rispetto a tutti i fratelli (Cfr. Jane Ellen Harrison, Prolegomena to the Study of Greek Religion e Themis) Butler premette all'inizio del saggio di non essere specialista di antichita', ma in questo punto, che e' pure fondamentale nella tragedia, la sua mancata competenza la svia (Antigone quindi non agisce in nome degli dei della parentela ma violando proprio il mandato di quegli dei, Butler p. 23), in quanto pensa agli dei immaginandosi forse gli olimpici, ma si tratta di una realta' religiosa ben piu' antica che emerge. Cosi' Antigone che parte sfidando la legge dello stato nel momento di compiere la sepoltura, al momento di appropriarsi verbalmente del gesto diventa maschio, materializzando le paure di Creonte, e compie un atto di hybris paragonabile a quello del re e dei fratelli; si oppone al potere assumendone le stesse sembianze tramite un discorso efficace che annulla le distanze tra legge antica e legge moderna e la espone alla violenza della maledizione di Edipo. * Il tabu' dell'incesto, la violazione del quale ha gia' determinato il destino tragico del padre, aleggia come un fantasma nei rapporti tra Antigone e Polinice; secondo Goethe questo legame impedisce di vedere in Antigone l'eroina delle leggi della parentela in lotta contro lo stato, mentre altri esegeti da Hegel a Lacan a Marta Nussbaum fino a Vernant e Vidal-Naquet ne minimizzano la portata, letture che secondo Butler non fanno che confermare il modello di funzionamento dei condizionamenti di potere; non c'e' incesto fra i due fratelli perche' il paradigma nega che ci possa essere, e continuare a ripeterlo assicura la infinita reiterazione e rigenerazione del codice della parentela. Il tabu' dell'incesto si conferma quindi come l'arma piu' potente a difesa del paradigma eterosessuale. Il problema dell'incesto conduce con se' l'altro fatto problematico: la scelta di Antigone di morire, mentre la punizione di Creonte consisterebbe nel solo carcere a vita, sia pure in condizioni di stentata sopravvivenza. Antigone decide di morire perche' il suo legame e' comunque condannato dalle leggi della parentela, o il suo destino di abbracciare i morti al posto dei vivi e' gia' segnato dalla catastrofe di Edipo, ne' puo' essa sfuggirvi in alcun modo? Io vado verso i miei cari morti, tous emautes, dai miei, propriamente, dice Antigone, e sia essa una scelta inevitabile o un tragico destino a trascinarla, per Butler la tragica fine dell'eroina puo' ben esemplificare che essa ha toccato i limiti della parentela, una terra di nessuno dove essa si situa in posizione incomprensibile ai piu', ma forse oggi piu' frequentata che in passato dopo la crisi della famiglia patriarcale, dove si trova oggi chi ha piu' madri e padri a seguito del divorzio dei genitori, chi ha figli da piu' matrimoni, chi ha una famiglia monoparentale, chi piange un compagno di vita dello stesso sesso ma non puo' farlo pubblicamente. La denuncia di Antigone e' che le leggi della parentela descrivono spesso un'idealizzazione dei rapporti di parentela da parte del potere politico, fino ad un vero e proprio impedimento della vita sociale per chi non vi si conforma. Parimenti idealizzanti sono per Butler le piu' significative interpretazioni critiche della tragedia, quella hegeliana e quella lacaniana. Hegel rifiuta la pretesa del femminile di governare lo stato a partire da istanze privatistiche (la comunita' puu' conservarsi solo mediante la soppressione di questo spirito della singolarita', Butler, p. 55) cui fanno appello le leggi non scritte invocate dall'eroina, che antepongono la conservazione degli individui e la riproduzione degli affetti familiari alle necessita' militari e politiche dello stato di disporre della vita dei cittadini ovunque e comunque. * Per Lacan le leggi della parentela sono appartenenti all'ordine simbolico, non discendendo il tabu' dell'incesto da una precisa norma biologica e naturale ma da una evoluzione culturale dell'uomo; la parentela e' il luogo dello strutturarsi del linguaggio: dallo scambio delle donne, luogo di nascita della famiglia, deriva lo scambio di parole; l'insieme dei rapporti linguistici crea la parentela a prescindere dalle reali condizioni sociali, cosi' che si puo' ritrovare una legge del padre in societa' diverse, a partire da un desiderio del padre che opera nel regno del simbolico al di la' del reale rapporto sociale di parentela. Il simbolico avviluppa l'uomo pur essendogli trascendente (quel che c'e' di piu' alto nell'uomo e che non e' nell'uomo ma altrove e' l'ordine simbolico (Butler p. 64). In questo ordine la cui forza e' di essere universale Antigone appare, come Creonte, come l'individuo che tende al bene, ma incontra sulla sua strada qualcosa di enigmatico per la coscienza che lo svia misteriosamente; non e' in causa come per Hegel il conflitto fra stato e famiglia, ma un movimento tutto interno alla dinamica del desiderio del soggetto; questi puo' essere affascinato dalla propria auto-distruzione, in una prospettiva masochistica, come via di fuga verso una salvezza impossibile nella prospettiva della vita. Antigone corre verso la propria morte come affascinata da questa soluzione. Non c'e' catarsi per Lacan alla fine del dramma, Antigone rimane la' a rappresentare l'irrisolto dell'essere umano, l'essere posto sul limite tra vita e morte e in bilico tra le due; da questa posizione di limite (o posizione-limite), si puo' sentire inattaccabile, ma si trova ormai fuori dell'ordine simbolico o confinata alle sue estreme propaggini; l'amore per il fratello non fa parte di cio' che puo' essere interpretato nell'ordine vigente, come non lo e' che i cittadini siano tutti diversi e non interscambiabili nel suo ordine (l'ordine delle leggi non scritte). Di qui lo scandalo, e la minaccia per la comunita', che non puo' far altro che espellere un tale soggetto e consegnarlo sul piano individuale alle sue pulsioni di morte, facendo coincidere la vita con l'ordine simbolico dato. Qui per Butler si situa il limite di Lacan, nel pensare che sia il desiderio di Antigone e non l'operare politico dell'ordine simbolico a condannare a morte l'eroina, il non vedere come la sua sia una morte sociale, che interroga oggi piu' che mai i reciproci rapporti tra individui e potere. Butler ha studiato la modalita' di interscambio tra vita psichica e potere nel saggio The Psychic Life of Power. Secondo la teoria corrente e' il soggetto ad interiorizzare le leggi ricevute, mentre la studiosa esalta la capacita' del potere sociale di creare esso stesso il soggetto, che e' idealistico pensare come pre-esistente; il soggetto e' creato e determinato fin da piccolissimo, quando il bambino interiorizza la norma che egli non puo' amare il genitore dello stesso sesso e deve competere con l'altro genitore per il possesso di quello di sesso diverso dal suo, e per acquisire un'identita' accettabile deve creare una scissione al suo interno, un Super-io che giudichi il proprio se'; di qui nasce il concetto di melancolic gender, frutto di un'identita' che da subito viene posta in lotta contro se stessa e sviata dai propri originari impulsi per acquisire legittimita' e divenire oggetto d'amore dei genitori. Quello di Antigone e' il supremo sforzo di sfuggire alle maglie di una forza coercitiva che agisce fin dall'inizio sull'individuo spingendolo ad assumere precise identita', mentre essa non vuole rinunciare ai suoi attaccamenti originari pre-edipici; il prezzo da pagare e' la morte civica, cui lei preferisce ancora la tutto sommato consolante morte naturale e il ricongiungimento coi suoi. * Antigone e' per Butler cio' che per unanime decisione non e' umano ma parla con voce umana (p. 111); fa parte di quel "regno in ombra" che secondo Hannah Arendt perseguita la sfera pubblica e la ossessiona con le voci di cio' che ne e' escluso ma continua dai margini a chiedere riconoscimento, o almeno possibilita' di vivere; e' colei che segnala la malinconia della sfera pubblica, il mancato legame tra l'ordine dei rapporti privati e l'ordine politico e l'assoggettamento degli individui alle necessita' del potere. Antigone non puo' rappresentare nessuno, perche' lei stessa e' irrappresentabile nel sistema culturale dato, scorretta, eccedente; ma la tragedia dell'escluso trascina con se' anche quella dell'ordine costituito, come nota Hegel nell'Estetica quando dice che sia Antigone che Creonte "vengono presi ed infranti da cio' che appartiene alla cerchia stessa della loro esistenza"; cio significa che nell'epoca moderna la non piu' possibile legittimazione in termini divini rende pressante per il potere riscuotere il consenso dei governati, ma questo e' possibile, come mostra in modo incredibilmente attuale Antigone, attraverso politiche di inclusione e allargamento dei diritti, che a conti fatti, e ragionando in termini globali, sono ancora ben lungi dall'essere realizzate, essendo il popolo degli esclusi numericamente ancora enorme e, cio' che e' peggio, in espansione. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 50 del 9 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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