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La nonviolenza e' in cammino. 1201
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1201
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 9 Feb 2006 01:53:27 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1201 del 9 febbraio 2006 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace ricorda Betty Friedan 2. Stefania Giorgi ricorda Betty Friedan 3. Betty Friedan: Un problema inespresso 4. Maya Angelou: Pace meravigliosa 5. Lynn Woolsey: Il re e' nudo 6. Enrico Peyretti: Sapere, agire, amare 7. Luca Rossomando: Lounes Matoub 8. Elena Buccoliero: Il 10 febbraio a Ferrara 9. "Salviamo la Costituzione". Ultimi giorni per firmare per il referendum 10. Oscar Luigi Scalfaro: Difendere la Costituzione 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. LIDIA MENAPACE RICORDA BETTY FRIEDAN [Dal quotidiano "Liberazione" del 7 febbraio 2006. Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004. Betty Friedan (1921-2006), intellettuale americana, tra le promotrici della consapevolezza e del movimento femminista; allieva di Koffka, uno dei fondatori della psicologia della Gestalt, ha partecipato ai primi esperimenti di dinamica di gruppo sotto la direzione di Kurt Lewin, per lavorare poi nel campo della psicologia clinica e nella ricerca applicata in scienze sociali; brillante pubblicista, il suo libro del 1963, La mistica della femminilita', ebbe un'importanza straordinaria; attivista femminista, fondo' nel 1966 la "Now" (National Organization for Women), una delle piu' esperienze del movimento femminista statunitense. Opere di Betty Friedan: The Feminine Mystique (1963); The Second Stage (1981); The Fountain of Age (1993); Life So Far (2000); in italiano: La mistica della femminilita', Comunita', Milano 1964; L'eta' da inventare: la seconda meta' della vita, Frassinelli, Milano 2000] Dopo decenni di silenzio e marginalita', seguiti a una breve stagione trionfale, se ne e' andata repentinamente Betty Friedan, un nome che probabilmente non dice nulla alle giovani donne anche femministe. La storia brucia tappe alla svelta: studiavamo a scuola il fenomeno detto "accelerazione della storia" e lo ritroviamo addirittura attraversare le memorie di una vita. Forse per questo e' cosi' facile cancellare le memorie e falsificarle. Comunque Betty Friedan autrice del fortunatissimo Mistica della femminilita' in quella accelerazione ci stava proprio bene. Non per nulla le forme associative statunitensi delle quali fu un'alfiera avevano nomi puntati sul presente: "now!", ora, era la parola piu' comune e segnava una urgenza che in Europa era meno avvertita prima del sessantottino "Tutto e subito!". Negli Usa l'emancipazione delle donne aveva una storia lunga e mai del tutto tralasciata, ma anche un atteggiamento rivendicativo che non metteva in questione i fondamenti della storia del paese, era una specie di proseguimento della rivoluzione americana: ci si poteva rifare persino alle "figlie della rivoluzione". Tutto rimaneva, almeno nei primi avvenimenti, rigorosamente bianco e universitario. Della vecchia alleanza tra donne e neri tipica appunto della rivoluzione americana si prendevano spunti e gesti e linguaggi, ma senza relazioni. "Donna e' bello", lo slogan che faceva il paio con "Nero e' bello" proseguiva la storia parallela dei due soggetti scontenti e non ridotti al silenzio dal predominio delle forze borghesi patriarcali e capitalistiche Usa. Si ricordera' che le donne ricche del sud aiutarono gli schiavi neri a fuggire con forme di solidarieta' che li conducevano fino al nord abolizionista e questo rimane ancora un aspetto della politica democratica negli Usa con l'alleanza arcobaleno dei pastori neri che lottano per i diritti civili e della quale fanno parte anche le femministe. Ma recente e' lo scontro delle femministe afroamericane contro il femminismo maggioritariamente bianco e che non include la differenza (anche sociale) delle donne nere. Ho anticipato argomenti che sembrano non rientrare in un discorso su Betty Friedan, ma sono molto colpita dalla velocita' con la quale Betty attraversa la fama, rientra quasi nei ranghi, viene lasciata ai margini e scompare. * Betty Friedan divento' famosa anche da noi col suo primo fortunatissimo libro Mistica della femminilita' nel quale in modo vivace, facile e molto efficace, ma anche confuso, metteva avanti critiche, rivendicazioni, giudizi pungenti, insomma un vero libello, nella tradizione dei cahiers de doleances della Rivoluzione francese: per questo trovo' eco immediata in molte, moltissime, anche se poi non si capiva bene che cosa si dovesse fare subito, dato che "now!" era il motto, il filo conduttore del libro. Qui da noi suscito' una forte impressione anche per il modo di scrivere tutto a salti e balzi con nessi che sembravano superficiali e casuali e talora lo erano. Mi ricordo Marisa Rodano irritatissima come altre donne dell'Udi, abituate a ben altro rigore, osservare: "Sembra una che si mette alla macchina per scrivere e butta giu' senza una scaletta, senza un ordine logico". Era vero, e del resto quel modo un po' sconclusionato di scrivere era parte del suo fascino, perche' trasmetteva davvero l'urgenza del fare. Che cosa? Tutto quello che ci veniva in mente, purche' fosse almeno un po' iconoclasta rispetto all'immagine tradizionale delle donne, appunto alla mistica della femminilita'. Se non altro la maternita' di quello scossone salutare le deve essere attribuita e riconosciuta. * Era una donna di corporatura imponente, alta e formosa, con i capelli piuttosto lunghi sciolti sulle spalle (niente permanente!) e abiti larghi e lunghi che accompagnavano un corpo niente affatto in linea con i dettami della moda e della richiesta magrezza, un parlare piacevole e accattivante, non particolarmente nuovo ne' profondo, pero' molto gradevole e utile. La vidi non al tempo di Mistica della femminilita', ma alcuni anni dopo quando un gruppo di associazioni femminili cattoliche la invito' a Roma durante un suo viaggio in Europa e dopo che aveva fatto il suo secondo gesto clamoroso, quello di un relativo rientro nei ranghi. Era certamente sincera e in qualche modo colpita dalle conseguenze estreme che le sue parole avevano fomentato. Il punto sul quale inciampo', come del resto tutte, fu la famiglia. Lo slancio iniziale del neofemminismo degli anni Settanta che nella critica a tutte le istituzioni non aveva certo risparmiato la famiglia tradizionale a direzione patriarcale e ruoli predeterminati, non resse, ed ebbe il suo primo momento di difficolta' e di riflusso appunto a proposito di relazione col compagno, con i figli, con la sessualita' e le sue varie scelte, insomma le questioni che smuovevano e smuovono i fondamenti della storia che viviamo e abbiamo dentro di noi. Si capi' che sarebbe stato un cammino molto piu' lungo del previsto e che il "now!" gridato da tutte era un desiderio non poggiato su un solido terreno. * Sembra quasi simbolico che se ne sia andata mentre infuria addosso alle donne una pressione tremenda per il rilancio della famiglia, del patriarcato, dei ruoli, delle forme "normali" di comportamento, di riduzione pesante dei diritti civili. Lei si era in qualche modo saggiamente sottratta e pero' non aveva fatto della sua sottrazione un modello, un esempio da seguire, aveva sopportato piuttosto una certa oscurita'. In fondo e' difficile sopportare una sconfitta senza cercare di negarla, ne' pero' coprendola e allontanandola da se'. Me la ricordo vestita di colori vivaci con i capelli gia' ingrigiti e le sue solite forme abbondanti portate con disinvoltura: non era possibile non volerle bene, era simpatica, schietta e generosa, anche quando non si poteva essere d'accordo con una sua certa superficialita'. Era una donna vera e rappresentativa dei desideri e dei sogni delle donne non particolarmente grandi, geniali, belle, colte, ricche e famose, una di noi insomma. 2. MEMORIA. STEFANIA GIORGI RICORDA BETTY FRIEDAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 febbraio 2006. Stefania Giorgi e' giornalista e saggista, da anni animatrice delle pagine culturali del quotidiano "Il manifesto", ha scritto molti articoli, densi e illuminanti, su temi civili e morali, e in particolare di bioetica, di difesa intransigente della dignita' umana, quindi dal punto di vista del pensiero delle donne. Opere di Stefania Giorgi: (a cura di, con Simona Bonsignori, Ida Dominijannii), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005] Alla vigilia del suo ottantacinquesimo compleanno il suo cuore ha ceduto, stroncato da un infarto. Betty Friedan era nata il 4 febbraio 1921 a Peoria nell'Illinois, da una famiglia ebraica del Midwest. Porta la sua firma un libro cruciale per il femminismo - La mistica della femminilita' - testo di riferimento e formazione per generazioni di donne venute dopo di lei, al pari de Il secondo sesso di Simone de Beauvoir (1949) e di altri libri, tutti datati tra gli anni '60 e '70, come La politica del sesso di Kate Millet, La dialettica dei sessi di Shulamith Firestone, L'eunuco femmina di Germaine Greer, Noi e il nostro corpo del Boston Women's Health Book Collective. Figura e testimone di passaggio tra il "prima" di Virginia Woolf e Simone de Beauvoir, e il "dopo" della seconda ondata del femminismo dal 1968 a oggi, Friedan - di orientamento liberale, pragmatica, riformista, sensibile ai diritti e all'uguaglianza - non ha mai avuto pretese di pensatrice, non ha elaborato teorie ma e' stata soprattutto la straordinaria cronista del malessere delle donne americane del dopoguerra. Una saggista che, con uno stile brillante, ha contribuito a dare la sveglia alle americane, all'America intera e al mondo. * Betty Naomi Goldstein - il padre, Harry Goldstein, era un gioielliere, la madre Miriam aveva lasciato il suo lavoro di giornalista per dedicarsi alla famiglia - si era laureata in psicologia allo Smith College nel 1942 e, dopo un anno di perfezionamento a Berkeley, si era trasferita a New York. Nel 1947 si era sposata con l'impresario teatrale Carl Friedan (dal quale divorziera' nel 1969). Per i successivi dieci anni fu moglie e madre di tre figli, lavorando al contempo come giornalista freelance. Ma nella sua vita, come in quella di milioni di americane, qualcosa non quadrava. Nel 1957, Friedan decise cosi' di inviare un questionario alle sue ex-compagne dello Smith College. Chiedeva loro se erano soddisfatte della loro vita. Solo una ristretta minoranza rispose di si'. Si trattava di donne bianche, di classe media, che avevano preferito per lo piu' abbandonare studi e carriera per realizzarsi come casalinghe. Ma si sentivano incomplete, prive di identita', ridotte a un lavoro patologicamente ripetitivo, deluse, depresse, ingannate. "C'e' un problema che per molti anni e' rimasto sepolto, inespresso nella mente delle donne americane. E' una strana inquietudine, un senso di insoddisfazione che la donna americana ha cominciato a provare intorno alla meta' del ventesimo secolo", scrive Friedan. Uno stato di frustrazione e insoddisfazione privo di parola, "the problem that has no name". "Il problema senza nome era condiviso da innumerevoli donne americane... ma che cos'era questo problema? Quali parole usavano le donne quando cercavano di esprimerlo? Talvolta c'era chi diceva: 'Ogni tanto mi sento vuota... incompleta'. Oppure: 'Mi pare di non esistere'". Talvolta questa sensazione veniva annullata con un tranquillante, una nuova casa, un nuovo marito... Ma erano ormai sempre piu' quelle che le confessavano: "Voglio qualcosa di piu' del marito, dei figli e della casa". Friedan decide allora di allargare la ricerca con altri questionari, interviste, incontri e discussioni. * Il risultato della sua lunga indagine si traduce ne La mistica della femminilita'. Un libro potente e deflagrante, forse oltre le intenzioni della stessa Friedan. Il libro giusto al momento giusto. Sciocco' l'America del baby boom, della crescita delle aree suburbane, venne riconosciuto come proprio, aderente al proprio vissuto, da milioni di donne, venne tradotto in moltissime lingue e divenne un bestseller mondiale (in Italia fu tradotto per la prima volta nel 1970 dalle Edizioni di Comunita'). Friedan in quel libro parlava della donna che aveva retto l'home front ed era stata poi prontamente rimandata a casa al ritorno degli uomini in armi. Tutto doveva tornare come prima. Quale migliore destino per le donne se non quello di vestirsi, acconciarsi, cucinare, fare figli, piacere agli uomini e render loro piu' piacevole l'esistenza? Gloria in eterno alla femminilita' domestica. Friedan denunciava con inflessibilita' e preoccupazione il regresso americano: alla fine degli anni '50 l'eta' media del matrimonio era scesa a 20 anni e stava scendendo ancora; nel 1920 la proporzione delle donne che frequentavano il college, rispetto agli uomini, era del 47%, nel 1958 era scesa al 35%. Cent'anni prima le donne si erano battute per l'istruzione superiore, ora le ragazze andavano al college per trovarvi marito. A meta' degli anni '50 il 60% di loro lasciava il college per sposarsi o perche' temeva che "troppa" istruzione potesse essere un impedimento al matrimonio. La casalinga perfetta del quartiere residenziale era (o sembrava essere) l'immagine ideale delle giovani americane. Reginette incoronate con elettrodomestici fiammanti, frigoriferi, aspirapolvere, lavatrici, televisori, alle prese con peonie e bambini. Protagoniste dell'happy ending di tanti film e romanzi dell'epoca. L'essere inchiodate al ruolo eterno di seconde, come denunciava de Beauvoir, era un problema francese, non certo americano. Friedan descrive e denuncia, ma le sue proposte di uscita dalla condizione in cui la mistica della femminilita' ha cacciato le donne, spesso con il loro consenso, sono modeste e tutt'altro che radicali. Friedan ritiene infatti che per curare la "malattia" provocata dall'accettazione della triade della mistica della femminilita' (marito-figli-casa) la donna deve trovarsi un lavoro fuori di casa, senza pero' rinnegare la famiglia. Cercando di coniugare carriera e famiglia. Il ruolo dell'uomo, la cultura patriarcale restano in ombra. Ruolo e responsabilita' che vengono invece messi in luce da Mary MacCarthy nel suo straordinario romanzo Il gruppo (scritto l'anno dopo, nel 1964) dove si intrecciano i destini di un gruppo di amiche che hanno frequentato il prestigioso Vassar College. * La tesi di Friedan era che le donne venivano spinte a credere che la felicita' risiedesse nella devozione alla casa e alla famiglia, mentre - spiegava - le aspirazioni femminili non dovevano limitarsi al matrimonio e ai bambini. Nel solco di questa convinzione nel 1966 Friedan fondo', insieme ad Aileen Hernandez e Pauli Murray e a un gruppo di attiviste decise a promuovere e rafforzare il riconoscimento dei diritti civili delle donne, il Now (National Organization for Women). Di orientamento esplicitamente liberale, promotore di iniziative per modificare la legislazione per eliminare le ineguaglianze derivanti dalla differenza sessuale. Come sua presidente, Friedan condusse campagne contro la pubblicita' che rafforzava le rappresentazioni convenzionali della donna, per accrescere la presenza femminile nel governo, legalizzare l'aborto, estendere la cura dei figli ai servizi sociali. Anche dopo aver lasciato la presidenza del Now, nel '70, Friedan continuo' la sua battaglia: fu una delle principali promotrici del Women's Strike for Equality del 26 agosto 1970 (cinquantesimo anniversario del suffragio femminile negli Usa) e lavoro' per la ratifica dell'Equal Rights Amendment alla Costituzione americana. Dal 1977 il Now fece della ratifica all'Equal Rights Amendment (Era) il suo principale obiettivo, insieme alle battaglie contro la violenza sulle donne e la discriminazione nel lavoro, e per la difesa della legislazione sull'aborto. Nel 1981 pubblica il libro The second stage nel quale il suo atteggiamento ancor meno radicale e piu' "riformista" provoco' un certo sconcerto in molte femministe. Nel novembre del 1985, Friedan pubblico' sul "New York Times Magazine" un documento politico dove da un lato analizzava la crisi del movimento femminista americano, e dall'altro avanzava delle proposte per superarla. Tra queste, l'invito a smetterla "con l'ossessione della pornografia e affrontare la vera oscenita', che e' quella della poverta'". Per oltre 15 anni, dal 1975 al 1989 circa, il femminismo americano si era infatti molto concentrato intorno a un acceso dibattito sulla pornografia, con una parte schierata a sostenere che la pornografia e' la causa principale della violenza sulle donne. Alla conferenza mondiale delle donne di Pechino, nel 1995, Friedan aveva denunciato la degradante e stereotipata immagine delle donne che i media continuano a proporre e la condizione di miseria di tante donne del terzo mondo e di tante nere americane. Nel 1993, quando aveva gia' varcato la barriera dei 70, aveva applicato la lezione femminista del "partire da se'" alla propria vecchiaia, L'eta' da inventare (pubblicato in Italia da Frassinelli). * Ma Betty Friedan restera' per tutte noi la donna capace di squarciare il velo di una rappresentazione falsa e mortificante, di un altarino familistico che in cambio domandava (e domanda) l'annullamento di desideri e capacita' femminili. Di aver saputo offrire alle donne le parole per nominare abissi di depressione e cupezza e scommettere sulla propria liberta'. Per una di quelle strane coincidenze che la storia spesso ci pone dinnanzi, La mistica della femminilita' usci' lo stesso anno in cui, dopo aver riordinato la casa e accompagnato i figli a scuola, Sylvia Plath si toglieva la vita. 3. MEMORIA. BETTY FRIEDAN: UN PROBLEMA INESPRESSO [Da Betty Friedan, La mistica della femminilita', Edizioni di Comunita', Milano 1964, 1970, riportiamo l'incipit del capitolo primo, Un problema inespresso, a p. 13] C'e' un problema che per molti anni e' rimasto sepolto, inespresso, nella mente delle donne americane. E' una strana inquietudine, un senso di insoddisfazione, che la donna americana ha cominciato a provare intorno alla meta' del ventesimo secolo. Per piu' di quindici anni non si e' fatta parola di questo turbamento nelle rubriche, nei libri, negli articoli scritti sulle donne e per le donne da esperti che sostenevano che il compito di queste ultime era di cercare la realizzazione della loro personalita' come mogli e madri. Dalla voce della tradizione e da quella degli ambienti freudiani le donne appresero che non potevano desiderare destino migliore di quello di gloriarsi della propria femminilita'. Gli esperti insegnarono loro come accalappiare un uomo e tenerlo, come allattare i figli e insegnargli ad andare al gabinetto, come affrontare la rivalita' tra fratelli e la ribellione dell'adolescenza; come comprare un lavastoviglie, fare il pane in casa, cucinare lumache alla francese e costruire una piscina con le loro mani; come vestire, acconciarsi e comportarsi in modo piu' femminile e come rendere il matrimonio meno noioso; come impedire ai mariti di morir giovani e ai figli di diventare delinquenti. Impararono a compatire quelle donne nevrotiche, poco femminili e infelici che volevano fare le poetesse, le scienziate o essere presidentesse di qualche associazione. Appresero che le donne veramente femminili non desiderano perseguire una professione, ricevere un'istruzione superiore, esercitare i loro diritti politici: che cioe' non desiderano quell'indipendenza e quelle prospettive per cui le femministe d'altri tempi avevano combattuto. Qualche donna tra i quaranta e i cinquant'anni si ricordava ancora di aver rinunciato con rammarico a quei sogni, ma le donne giovani, nella grande maggioranza, non ci pensavano nemmeno. Migliaia di esperti plaudivano alla loro femminilita', al loro adattamento, alla loro nuova maturita'. Non si chiedeva loro che di dedicare la vita, sin dall'infanzia, a trovare un marito e a partorire figli. 4. POESIA E VERITA'. MAYA ANGELOU: PACE MERAVIGLIOSA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente poesia di Maya Angelou (dal suo nuovo libro "Amazing Peace", Random House, New York 2005). Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005. Maya Angelou, nata nel 1928, poetessa, scrittrice, storica, conduttrice di programmi radiofonici e televisivi, cantante, attrice, regista, sceneggiatrice, attivista in difesa dei diritti civili. E' una delle figure piu' vive della cultura nordamericana. Tra le opere di Maya Angelou: Il canto del silenzio, Frassinelli, 1996; Unitevi nel mio nome, Frassinelli, 1999. Per molte utili informazioni si visiti il suo sito: www.mayaangelou.com] Nella gioia, pensiamo di udire un sussurro. All'inizio e' troppo soffice. Lo sentiamo solo a meta'. Ci mettiamo ad ascoltare attentamente, mentre raccoglie forza. Udiamo una sorta di dolcezza. La parola e' Pace. Il suono e' piu' alto, ora. E' piu' alto dell'esplosione delle bombe. Tremiamo al quel suono. Siamo elettrizzati dalla sua presenza. E' cio' di cui eravamo affamati. Non la mera assenza di guerra. Ma la vera Pace. Un'armonia dello spirito, un conforto di gentilezze. Sicurezza per i nostri amati, per gli amati loro. Noi, Angeli e Mortali, Credenti e Non Credenti, guardiamo in direzione del cielo e diciamo a voce alta la parola: Pace. Ci guardiamo l'un l'altro, poi guardiamo dentro noi stessi. E diciamo senza timidezza, o scuse, o esitazioni: Pace, fratello mio. Pace, sorella mia. Pace, anima mia. 5. RIFLESSIONE. LYNN WOOLSEY: IL RE E' NUDO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente dichiarazione della deputata statunitense Lynn Woolsey, sul discorso di Bush sullo "stato dell'Unione", e sull'arresto di Cindy Sheehan (che era presente tra il pubblico proprio su invito di Lynn Woolsey). Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com] Da quando la liberta' di parola e' relativa al fatto che si sia o meno d'accordo con il Presidente? Cindy Sheehan, che ha dato la propria stessa carne ed il proprio stesso sangue per questa guerra disastrosa, non ha violato alcuna delle regole del Parlamento. Semplicemente indossava una maglietta che metteva in luce il costo umano della guerra in Iraq, esprimendo un'opinione diversa da quella del Presidente. La liberta' di parola ed il Primo Emendamento esistono per proteggere affermazioni di dissenso come quella della Signora Sheehan di ieri sera [31 gennaio - ndr]. Soffocare la verita' non rendera' gli americani ciechi rispetto all'immoralita' del mandare giovani a morire in una guerra non necessaria, contro una nazione che non poneva alcuna minaccia alla nostra sicurezza. Il discorso di ieri sera del Presidente e' stato un ulteriore tentativo di distorcere la storia, quando ha suggerito (per l'ennesima volta) che i terroristi dell'11 settembre venivano dall'Iraq. Tutti sanno che non e' vero. Non dobbiamo aver paura di dire che il re e' nudo. E' ora di portare a casa i nostri soldati. 6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: SAPERE, AGIRE, AMARE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] L'Occidente conosce solo, dell'essere umano, il sapere e l'agire, la conoscenza e l'azione, la teoria e la prassi. E lo scopo del sapere e dell'agire e' prevalentemente il risultato, il successo, la conquista, la potenza: "Sapere e' potere" (Francis Bacon, all'inizio della scienza moderna), volonta' di potenza. Nella tradizione indu', in particolare nella sapienza trasmessa nella Bhagavad-gita (Il canto del glorioso Signore; II secolo d. C.), che era il "vangelo" di Gandhi, l'azione e' il compito che Dio ci affida nella vita e va compiuto senza "attaccamento" al risultato. Ci vedo una corrispondenza con quel cuore dell'etica evangelica a-egoistica, a-capitalistica, a-efficientistica, che sta nel dare senza attendere restituzione (Luca 6, 35), fidenti nella ricompensa piu' grande, nella vita che si guadagna perdendola, donandola ad altri. Il credente indu' cerca il non-attaccamento mediante una triplice disciplina, indicativa di tre aspetti essenziali della natura umana: karma-yoga (disciplina dell'azione), jnana-yoga (disciplina della conoscenza), bhakti-yoga (disciplina dell'amore devoto). Conoscenza e azione non nascono dall'io, e non bastano, ma sono autentiche in quanto partecipazione alla vita divina. * (Vedi Roberto Mancini, L'amore politico, Cittadella, Assisi 2005, p. 118; Pier Cesare Bori e Saverio Marchignoli, Per un percorso etico tra culture. Testi antichi di tradizione scritta, Carocci, Roma 2003, pp. 83-105). 7. MEMORIA. LUCA ROSSOMANDO: LOUNES MATOUB [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 febbraio 2006. Luca Rossomando e' giornalista e saggista. Tra le opere di Luca Rossomando: La voragine, Editori Riuniti, Roma 2002. Lounes Matoub, cantore della musica e della cultura berbera, difensore dei diritti umani, nato nel 1956, e' stato assassinato nel 1998] "Il berbero e' sempre stata la mia lingua materna; il francese uno strumento di lavoro. In arabo so scrivere solo il mio nome e cognome". Rispondeva cosi' Lounes Matoub, cantante algerino e martire della causa berbera, a chi gli chiedeva che rapporto avesse con la lingua ufficiale del suo paese. "Dopo l'indipendenza - continuava - il tamazight, la lingua parlata nella mia terra, la Cabilia, venne vietata dal nuovo potere. La cultura berbera, essenzialmente orale, venne considerata sovversiva e non si fece nulla per assicurarne la trasmissione. Durante la mia adolescenza l'Algeria attraverso' un forte processo di arabizzazione. Ma l'arabo non e' la mia lingua - concludeva - e siccome hanno cercato di impormela l'ho rifiutata". Lounes Matoub era nato il 24 gennaio del '56 a Taourirt Moussa, un piccolo villaggio di montagna circondato dagli ulivi, in Cabilia, regione berbera dell'Algeria. Tra i suoi primi ricordi, i canti delle donne del villaggio, ma soprattutto la voce della madre. "Al villaggio la invitavano a cantare ai matrimoni o durante le veglie funebri. La sera, a casa, mi raccontava le fiabe della nostra tradizione, storie di sultani, guerrieri e splendide donne". Le canzoni, invece, parlavano d'esilio, di partenze e separazioni. Il padre di Matoub, come migliaia di suoi connazionali, aveva lasciato il paese nel 1946 per andare a lavorare in Francia. * I bambini giocavano alla guerra Durante la guerra d'indipendenza la Cabilia, con le sue montagne ricoperte di folta vegetazione, divenne un rifugio sicuro per molti guerriglieri. "Nei villaggi - ricordava Matoub - i bambini giocavano alla guerra. I loro eroi erano i combattenti alla macchia. Le truppe francesi, naturalmente, il nemico". Quel che piu' spaventava i bambini erano le perquisizioni dei soldati nel cuore della notte, sempre piu' frequenti verso la fine della guerra. Il giorno dell'indipendenza, lui aveva sei anni. Espulso da tutte le scuole secondarie della zona per assenze o ritardi sistematici, il giovane Lounes faceva molta vita di strada, finendo spesso in qualche rissa notturna. Passo' un mese in prigione. Quando usci' si iscrisse a un corso di meccanica, con la speranza di andare a lavorare in Francia. Ma dopo sei mesi di officina, arrivo' la chiamata per il servizio militare. Era il 1975. Il servizio durava due anni. In quel periodo, per fuggire la ristrettezza di spirito che lo circondava, comincio' a scrivere poesie. Ne aveva gia' composte in precedenza, ma si trattava solo di un passatempo. Qualche volta si era esibito con la chitarra durante le feste tradizionali del villaggio. Quando termino' il servizio militare, il padre, tornato definitivamente dalla Francia, lo fece assumere nell'economato della scuola in cui lavorava come cuoco. Lavoro d'ufficio. Ma invece di annotare entrate e uscite, Matoub continuava a scrivere poesie. Ne compose a decine, togliendo tempo al lavoro. Fu ammonito diverse volte. Quando lo licenziarono, decise di partire per la Francia. * Quattromila franchi in tasca Era il 1978. Ad Annemasse, in Alta Savoia, c'era una numerosa comunita' cabila, su cui avrebbe potuto contare in caso di bisogno. Nella cittadina c'era una vivace vita notturna, molti locali con musica dal vivo. In uno di questi, tenuto da un connazionale, Matoub venne invitato a esibirsi. Diede fondo al suo repertorio e a fine serata si ritrovo' con quattromila franchi nelle tasche. Non ne aveva mai visti tanti, tutti insieme. Per la prima volta comincio' a pensare seriamente di imboccare la strada della musica. Dopo qualche tempo si trasferi' a Parigi. Suonava nei bar degli immigrati, dalle parti di Barbes. C'era piu' concorrenza che ad Annemasse, ma a Parigi conobbe i vecchi cantanti cabili, che lo invitarono a cantare con loro. Uno di essi, Idir, lo convinse ad entrare in uno studio di registrazione. Gli misero un microfono davanti e Matoub attacco' un canto di festa del suo paese. Dall'altra parte del vetro cominciarono a registrare. Ne venne fuori il suo primo disco. E fu subito un successo. Nel 1980 fu invitato all'Olympia di Parigi. In Algeria, nel frattempo, le rivendicazioni berbere si erano organizzate in una struttura politica, il Movimento culturale berbero. La repressione da parte del potere algerino non si fece attendere. Nel marzo di quell'anno lo scrittore Mouloud Mammeri si apprestava a tenere una conferenza sulla poesia cabila all'universita' di Algeri. Le autorita' proibirono la lezione. Gli studenti cabili si riunirono davanti all'universita' di Tizi Ouzu, la capitale della regione. Nei giorni seguenti la protesta si estese alle scuole e a tutti gli edifici pubblici. Il 16 aprile venne indetto lo sciopero generale in tutta la Cabilia. Tre giorni dopo, nella notte tra il 19 e il 20, l'esercito ricevette l'ordine di dare l'assalto: furono investiti i licei, le universita', gli ospedali. Ci furono centinaia di persone ferite e molti arresti, ma nessun morto. Matoub si trovava a Parigi. Quello dell'Olympia era il suo primo grande concerto e non poteva rinunciare. Entro' in scena, la chitarra in una mano, indossando una tenuta militare. "Il mio paese e' in guerra" - spiego' alla platea. Prima di cominciare chiese un minuto di silenzio, in segno di solidarieta' con la sua gente. Gli avvenimenti del 1980 in Cabilia prenderanno il nome di "Primavera berbera". Per la generazione di Matoub sara' un nuovo atto di nascita. Da allora il 20 aprile viene celebrato come una festa nazionale. Matoub non manchera' piu' all'appuntamento. Ogni anno rientrera' in Cabilia per festeggiare l'anniversario, chiudendo la giornata di festa con uno dei suoi concerti. La popolarita' del cantante berbero cresceva rapidamente. Le sue canzoni, proibite alla radio e alla televisione algerina per le critiche agli abusi dei governanti e i richiami alla causa berbera, venivano cantate in coro negli stadi e scandite nelle marce di protesta. Matoub viveva in Francia ma tornava spesso in Cabilia, dove conduceva la vita di sempre, frequentando i bar e fermandosi per strada a parlare con la gente. "Non smettero' mai di bere - dira' qualche anno piu' tardi, in piena guerra civile - solo perche' qualche fanatico dell'islam vuole impormi la sua legge". * I moti per il pane Nell'ottobre del 1988 l'Algeria attraversava una grave crisi economica. Nella capitale si verificarono moti spontanei per il pane e le autorita' proclamarono lo stato d'assedio. In Cabilia, davanti all'universita' di Tizi Ouzu, gli studenti diffondevano volantini in sostegno ai manifestanti di Algeri. Quel giorno anche Matoub si trovava davanti all'universita'. Aveva un pacco di volantini ed era salito in macchina per distribuirli lungo il cammino. Lo accompagnavano due studenti. Durante il tragitto vennero bloccati da una jeep della gendarmeria. I militari li fecero scendere dalla macchina. Misero le manette ai due studenti. Poi uno di loro imbraccio' il kalashnikov e sparo' a Matoub, a bruciapelo, ferendolo al braccio. Matoub vacillo', senza capire. Era una reazione sproporzionata. Ma subito dopo arrivo' un'altra raffica, cinque proiettili. Uno gli attraverso' l'intestino, spappolando il femore destro. Non sentiva piu' la gamba, crollo' a terra. I gendarmi lo caricarono sulla jeep. Nel primo ospedale lo affidarono ai medici: "Ecco il vostro figlio di un cane". Tre giorni dopo fu trasferito ad Algeri. Nonostante lo stato d'assedio centinaia di persone erano davanti all'ospedale per salutare il suo arrivo. Le operazioni al femore gli lasceranno una gamba piu' corta di cinque centimetri. Nel 1991 il Fronte islamico di salvezza vinse le elezioni in Algeria. L'oligarchia al potere decise di annullare le elezioni e mise fuori legge il partito islamico. Comincio' in questo modo la "sporca" guerra civile algerina. In quegli anni Matoub era impegnato direttamente nel Movimento culturale berbero, in particolare nelle lotte per il riconoscimento del tamazight come lingua ufficiale dello stato. La sua condotta sregolata, la fama di miscredente, l'influenza su di un vasto pubblico collocavano il suo nome in cima alla lista dei gruppi islamici armati. Matoub sapeva di essere un bersaglio. Riceveva lettere anonime, minacce. Alcuni falsi posti di blocco, che gli integralisti usavano per le loro imboscate, erano stati segnalati sulla strada tra Tizi Ouzu e il suo villaggio. Avrebbe dovuto lasciare la Cabilia, smettere di cantare, chiudersi in casa. Invece amava uscire, andare nei bar, discutere fino a notte fonda. Continuo' la vita di sempre, con qualche precauzione in piu'. Pochi mesi prima di essere rapito, quando si contavano ogni giorno decine di morti tra forze dell'ordine, intellettuali e giornalisti, ma soprattutto tra i cittadini inermi, Lounes Matoub si esibi' a Tizi Ouzu, in uno stadio strapieno, contro il terrorismo islamico, ma anche contro gli abusi di potere e il lassismo delle autorita' algerine. Il 25 settembre 1994 Matoub fu rapito da un commando del Gia mentre rientrava in Cabilia da Algeri alla guida della sua auto. Dopo alcuni giorni di prigionia in un punto imprecisato delle montagne cabile, i fondamentalisti gli comunicarono che sarebbe stato sottoposto a un giudizio. Il processo si svolse in un nascondiglio scavato dentro la roccia. Tre giovani barbuti, i cosiddetti emiri, conducevano l'interrogatorio. A causa dell'umidita', le coperte su cui erano inginocchiati erano completamente fradice. Venne azionato un registratore e cominciarono le domande. Gli emiri conoscevano tutte le sue canzoni. Gli contestavano i passi che ritenevano offensivi per il Corano e per la religione musulmana. Matoub provava a difendersi: "Io canto, non c'e' altro". Poi gli chiesero informazioni sui comitati di vigilanza in Cabilia. Sembravano preoccupati dalla reazione dei villaggi. Da quando si era diffusa la notizia del rapimento, gli abitanti si riunivano in gruppi e uscivano ogni giorno a cercare Matoub. Le basi del Gia, da qualche parte sulle montagne, non dovevano essere lontane. C'era stata anche una marcia a Tizi Ouzu. Una regione intera si era mobilitata per dimostrare che non avrebbe ceduto alle intimidazioni. L'interrogatorio duro' molte ore. Gli emiri lo obbligarono a registrare un messaggio ai cabili, con la dichiarazione che avrebbe smesso di cantare per sempre. In cambio, gli offrivano i mezzi per cambiare vita, un aiuto economico per aprire un negozio. Il verdetto arrivo' due giorni dopo. Condanna a morte, per avere offeso il profeta. Eppure, da quel momento qualcosa cambio'. Tra i suoi carcerieri cominciarono le esitazioni, il nervosismo; la vigilanza raddoppio'. La mattina del 10 ottobre, dopo 15 giorni di prigionia, lo spinsero dentro un'auto, senza spiegazioni. Girarono per tutto il giorno. Quando gia' era buio si fermarono in un villaggio, gli tolsero la benda e lo condussero in un bar, con le armi in pugno. Strapparono le carte da gioco degli avventori, distrussero le bottiglie, confiscarono i pezzi del domino. Poi si presentarono: "Siamo il Gia. Siamo noi che abbiamo rapito Matoub. Da questo momento, finche' non rientra a casa, e' sotto la vostra responsabilita'". E se ne andarono. * Un bersaglio designato "Sono un bersaglio designato" - dira' Matoub qualche mese dopo. "Eppure, non sono cambiato. La mia popolarita' e' aumentata e questo per loro rappresenta una sfida. Ormai non appartengo piu' a me stesso, questa specie di resurrezione la devo alla mobilitazione della mia gente; e devo tradurla nella mia battaglia. Ma non sono un puro, non voglio cambiare i miei comportamenti abituali. Sono prima di tutto un poeta, un saltimbanco, un vagabondo sempre in cerca di qualcosa. 'Se non rispetti la parola data ti ritroveremo dappertutto', mi hanno detto. 'Non ci sara' un luogo del pianeta dove ti sentirai al sicuro'. La prossima volta avranno la mia pelle, ne sono certo. E stavolta non avviseranno". Lounes Matoub verra' ucciso quattro anni dopo, il 25 giugno 1998, in un agguato teso da un gruppo di uomini armati sulla strada per Tizi Ouzu. Cinque giorni dopo il Gia rivendichera' l'attentato, ma da allora, tra inerzia, depistaggi e falsi colpevoli, la giustizia algerina non e' riuscita a determinare la verita' sui mandanti e sugli esecutori del delitto. Un mese prima della morte era uscito il disco "Lettera aperta...", l'ultimo atto d'accusa di Lounes Matoub contro "quelli che hanno impresso il terribile marchio della religione e del panarabismo sul volto dell'Algeria". 8. INCONTRI. ELENA BUCCOLIERO: IL 10 FEBBRAIO A FERRARA [Ringraziamo Elena Buccoliero (per contatti: e.buccoliero at comune.fe.it) per questo comunicato. Elena Buccoliero, nata a Ferrara nel 1970, collabora ad "Azione nonviolenta" e fa parte del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento; lavora per Promeco, un ufficio del Comune e dell'azienda Usl di Ferrara dove si occupa di adolescenti con particolare attenzione al bullismo e al consumo di sostanze, e con iniziative rivolte sia ai ragazzi, sia agli adulti; a Ferrara, insieme ad altri amici, anima la Scuola della nonviolenza. E' autrice di diverse pubblicazioni, tra cui il recente (con Marco Maggi), Bullismo, bullismi, Franco Angeli, Milano 2005. Un piu' ampio profilo biobibliografico di Elena Buccoliero e' nel n. 836 di questo foglio] Venerdi' 10 febbraio 2006, alle ore 21, presso il Centro "Alex Langer", in viale Cavour 142, a Ferrara, nell'ambito della "Scuola della nonviolenza" si terra' l'incontro sul tema "Oltre la strada", con Maria Grazia Lonzi, psicoterapeuta, coordinatrice del progetto contro la tratta, del Centro Donna Giustizia di Ferrara. * Ci sono mondi estremamente complessi nei quali si puo' pensare di affacciarsi solo in punta di piedi, con l'aiuto di chi, per ragioni personali o professionali, ha gia' intrapreso un percorso in questo senso. Lo abbiamo pensato in molti venerdi' scorso, all'incontro sui diritti delle donne nei paesi arabo-musulmani, e possiamo credere che ce ne renderemo conto ancora venerdi' sera parlando di donne vittime della tratta. "Oltre la strada" e' il titolo del progetto regionale che da alcuni anni viene promosso anche a Ferrara, grazie a una collaborazione tra il Centro Donna Giustizia e gli enti locali. Maria Grazia Lonzi e' la psicoterapeuta che coordina il progetto e che potra' aiutarci ad andare davvero "oltre la strada", per capire meglio la provenienza, la condizione, l'esperienza delle donne vittime della tratta, e i percorsi di aiuto che il progetto e' riuscito ad offrire per allontanarsi dalla prostituzione. * La Scuola della Nonviolenza di Ferrara e' promossa congiuntamente da Movimento Nonviolento, Pax Christi, Legambiente, Gruppo Ferrara Terzo Mondo e Commercio Alternativo, ed ha il patrocinio del Comune di Ferrara - progetto "Ferrara Citta' per la Pace". Per informazioni: Centro "Alex Langer", tel. 0532204890, e-mail: langer at ferraraterzomondo.it oppure: daniele.lugli at libero.it 9. APPELLI. "SALVIAMO LA COSTITUZIONE". ULTIMI GIORNI PER FIRMARE PER IL REFERENDUM [Da varie strutture e persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo] Tra pochi giorni scade il termine per firmare per il referendum "Salviamo la Costituzione". Per sapere dove firmare, oltre che presso il proprio Comune di residenza, c'e' un elenco dei tavoli per la raccolta delle firme nel sito www.salviamolacostituzione.it 10. APPELLI. OSCAR LUIGI SCALFARO: DIFENDERE LA COSTITUZIONE [Dal sito www.salviamolacostituzione.it (o anche: www.referendumcostituzionale.org) riprendiamo la lettera del novembre 2004 con la quale Oscar Luigi Scalfaro ha accettato la presidenza del coordinamento delle forze democratiche impegnate per difendere la Costituzione della Repubblica Italiana. Oscar Luigi Scalfaro e' nato il 9 settembre 1918 a Novara; laureato in Giurisprudenza nel 1941, ha vinto il concorso per entrare in magistratura nel 1942; eletto all'Assemblea Costituente, e successivamente eletto deputato al Parlamento dal 1948 al 1992; piu' volte sottosegretario e ministro, e' stato presidente della Camera dei Deputati nel 1992; e' stato Presidente della Repubblica dal 1992 al 1999; successivamente e' divenuto senatore a vita quale ex Presidente della Repubblica] Grazie, cari amici, per l'onore grande che mi fate offrendomi la presidenza del coordinamento di tutte le forze politiche, sociali, di tutti i movimenti, di tutti i cittadini che si ribellano all'attuale capovolgimento della nostra Carta Costituzionale. Dopo aver difeso, come mio dovere, la Costituzione durante il mio settennato, ho subito ripreso a girare l'Italia per rispondere ai tanti inviti, specie di giovani, per questa difesa che sento di dover compiere come impegno sacro anche per rispetto delle gloriose lotte e delle immani sofferenze che sono fondamento e vita di questa Carta preziosa. Accolgo volentieri il vostro unanime invito, ben conoscendo le difficolta' che abbiamo dinnanzi; ma la fede nella liberta' e l'entusiasmo per difenderla nei valori fondamentali della nostra Costituzione non vengono meno. Con l'aiuto di Dio, mettero' ogni impegno per continuare con voi questa pacifica, ma intransigente battaglia per la nostra Italia, per il nostro popolo. Eccomi dunque al vostro fianco con tanto amore. Oscar Luigi Scalfaro 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1201 del 9 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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