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La nonviolenza e' in cammino. 1200
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1200
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 8 Feb 2006 02:08:21 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1200 dell'8 febbraio 2006 Sommario di questo numero: 1. Lorella Pica: Una lettera dal Guatemala 2. Augusto Cavadi: Danilo Dolci, un anniversario 3. Leggere Bateson a Roma 4. Il "Cos in rete" di febbraio 5. Enrico Peyretti: Ragioni e civilta', torti e barbarie 6. Giancarla Codrignani: Illegittima difesa 7. Antonio Caronia presenta "Vite precarie" di Judith Butler 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. ESPERIENZE. LORELLA PICA: UNA LETTERA DAL GUATEMALA [Ringraziamo Lorella Pica dell'associazione "Sulla strada" (per contatti: sullastrada at iol.it) per questa lettera. Lorella Pica (per contatti: lorellapic at libero.it), gia' apprezzata pubblica amministratrice, e' impegnata nell'associazione "Sulla strada", nella rivista "Adesso", in molte iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza. Per sostenere le attivita' di solidarieta' in America Latina e in Africa dell'associazione "Sulla strada": via Ugo Foscolo 11, 05012 Attigliano (Tr), tel. 0744992760, cell. 3487921454, e-mail: sullastrada at iol.it, sito: www.sullastradaonlus.it; l'associazione promuove anche un periodico, "Adesso", diretto da Arnaldo Casali, che si situa nel solco della proposta di don Primo Mazzolari; per contattare la redazione e per richiederne copia: c. p. 103, 05100 Terni, e-mail: adesso at reteblu.org, sito: www.reteblu.org/adesso] Carissime e carissimi, non ho potuto scrivere prima e me ne scuso con tutti voi e soprattutto con i tanti che hanno chiesto notizie. Siamo contenti della vostra vicinanza e ci fa tanto bene sapere che ci pensate con affetto. Qui al villaggio tutto bene. * Abbiamo stipulato con le famiglie piu' povere un contratto per la costruzione delle case. Tutti sono strafelici, i bambini non stanno nella pelle per la contentezza di avere finalemente una casa di mattoni dove non entra pioggia e freddo, dove possono avere degli spazi per loro, dove ci sara' un bagno (anche se ogni volta che lo nominiamo ridono a crepapelle...), e dove ci sara', nella sala comune, una specie di cappa-camino per consentire al fumo del fuoco della "cucina" di uscire dalla casa. Abbiamo cercato di rispettare gli usi delle famiglie e, questo del fuoco nella casa, e' stato quello che ci ha dato piu' da fare: loro sono abituati a fare il fuoco per cucinare le tortillas e i fagioli al centro della loro capanna; la capanna e' fatta di canne e di fango e il fumo (insopportabile per noi) rimane nella casa in gran quantita'. I bambini e gli adulti hanno tutti dei problemi ai polmoni per respirare questo fumo. Allora abbiamo cercato di ripettare l'uso del fuoco nella casa e di fare una specie di cappa (canna fumaria) che porti il fumo fuori. Anche per il bagno e' stata una bella battaglia. Abbiamo iniziato con la scuola a pretendere che i bambini usassero il bagno, e l'uso del bagno e' la prima lezione che si fa per i nuovi iscritti. In un primo momento non capivano l'importanza igienica del bagno e sopratutto per loro era impensabile buttare acqua sopra la cacca per mandarla via. L'acqua e' un bene prezioso e come si puo' buttarla sopra la cacca? Ormai tutti i bambini hanno compreso l'importanza del bagno e l'importanza di lavarsi le mani dopo averlo usato. Infatti le malattie dovute alla scarsa igiene sono molto diminuite da quando siamo qui e soprattutto da quando abbiamo portato l'acqua corrente che prima non c'era. Quello di avere un bagno in casa e' un altro passo in avanti che tutti insieme faremo. Abbiamo previsto dei corsi di formazione per le famiglie per l'uso della casa, della cucina e del bagno. L'unico neo della vicenda e' stata la bufala che abbiamo preso per esserci fidati del governo guatemalteco che aveva promesso un grande contributo da parte sua per la costruzione delle case e invece ora si dimostra latitante. Alla fine la cifra che dobbiamo investire in questo progetto si e' triplicata. Pero' abbiamo fiducia nella generosita' della gente che sempre ci sostiene e nella voglia di fare della gente di qui che si e' rimboccata le maniche e ha messo a disposizione l'unica ricchezza che possiede: le loro braccia. Per le famiglie che non hanno la possibilita' di mettere neanche la mano d'opera (donne sole abbandonate o che hanno i propri mariti a lavorare clandestini negli Stati Uniti) i vicini collaboreranno o provvederemo noi con un prestito per poter prendere la mano d'opera. Se Dio vuole a dicembre del prossimo anno tutte le famiglie piu' bisognose avranno la loro casa. Questo ci riempie di felicita' e sopratutto dona nuova speranza alle famiglie e ai bambini. Anzi, per dire il vero, due famiglie sono ancora in sospeso: quella di Tomas e quella di Alfonso. Purtroppo sono proprio i piu' poveri e non hanno ancora un pezzo di terra dove poter costruire la propria casetta. Alfonso sopratutto e' quello piu' sfortunato perche' e' rimasto vedovo due anni fa, la moglie e' morta di una semplice polmonite e gli ha lasciato quattro figlie da crescere. Speriamo di poter fare qualcosa anche per loro. * Intanto il gruppo medico (circa 25 tra medici chirurghi, anestesisti, infermieri, ginecologhi, internisti) ha fatto veramente un ottimo lavoro. Sono state visitate oltre settecento persone, sono stati fatti decine e decine di interventi. Un bambino e' venuto con le dita delle mani tutte attaccate tra loro e questo non gli consentiva di fare niente: proprie ieri e' stato dimesso contentissimo di poter giocare, scrivere e fare con le mani e con le dita. Sono nate cinque bambine. La prima che ha inaugurato le nostre settimane mediche e' nata il sabato 20, il giorno dopo il nostro arrivo. Un parto cesareo molto difficile (anche per la precarieta' della situazione) che la nostra ginecologa Gabriella ha fatto in condizioni non ottimali, e invece e' nata una bambina del nostro villaggio e la mamma per riconoscenza l'ha chiamata Gabriella. Il personale sanitario e quello ausiliario hanno fatto veramente miracoli in questi giorni, hanno lavorato giorno e notte senza risparmiarsi mai. Sempre gentili e disponibili hanno assistito tutti i poveri del paese e anche quelli che dopo ore e ore di cammino sono venuti dai paesi piu' lontani. Al mattino presto quando ci alzavamo gia' c'era una fila interminabile di gente indigena fuori dalla porta dell'ospedale che aspettava. L'attesa a volte durava tutto il giorno ma alla fine nessuno e' tornato a casa senza essere assistito e senza avere le medicine del proprio caso per tutta la durata della terapia. La fatica e' stata tanta ma la gioia di stare con questa gente e di esserle utile l'ha superata. Soprattutto il clima che si e' creato tra noi e' stato magico e ci ha dato la forza per andare avanti bene anche tra le tante difficolta'. Per le prossime giornate mediche che ci saranno durante l'anno (speriamo di poter coprire tutto l'arco dell'anno) porteremo anche dei medici oculisti e dei dentisti perche' ci siamo resi conto che qui ce n'e' tanto bisogno. Quindi se qualcuno vuol farsi avanti volentieri potra' partire con noi. * Ecco, quello che potevo l'ho detto, rimane la stupenda senzazione che ho nel cuore ogni volta che vengo qui e che ho la possibilita' di stare con i bambini (che sento sempre piu' i miei bambini) e con questa gente (che sento sempre piu' la mia gente). Quella non la posso descrivere ma e' di quella che ogni giorno ringrazio Dio! Ciao a tutte e tutti, Lorella 2. MEMORIA. AUGUSTO CAVADI: DANILO DOLCI, UN ANNIVERSARIO [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione il seguente intervento, parzialmente apparso nella cronaca di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 2 febbraio 2006. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa). Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. il dvd di Alberto Castiglione, Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004] Il 2 febbraio del 1956 un giovane sociologo triestino, quasi sconosciuto, organizza nell'entroterra siciliano lo "sciopero alla rovescia" di un migliaio di contadini, operai, intellettuali e disoccupati: invece di astenersi dal lavoro per un giorno, lavorano gratis per sistemare una strada pubblica. A dimostrazione che espressioni inflazionate come "nel Sud manca il lavoro" sono filologicamente inesatte: cose da fare ce ne sono in abbondanza, manodopera pure, ma manca la volonta' politica di impiegare i soldi in maniera produttiva. Ai privati e ai politici di professione riescono piu' convenienti (almeno nel breve termine) parassitismo e clientelismo. Quell'iniziativa consenti' a Danilo Dolci di attrarre l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale sui mali della Sicilia e sui tentativi di attivare strategie terapeutiche. Per ricordarne il cinquantesimo anniversario un Comitato, promosso dal figlio Amico e dal "Centro per lo sviluppo creativo", con l'apporto convinto dell'amministrazione comunale di Partinico, ha organizzato per la mattinata l'intitolazione della via "Sciopero alla rovescia" (presso la scuola media "N. Cassara'") e la proiezione di un cortometraggio; per il pomeriggio, un incontro pubblico con interventi di Vito Lo Monaco, Nino Fasullo, Salvatore Costantino. Anche se non e' cio' che accade di regola, sarebbe importante che - al di la' della ricorrenza temporale - si traesse spunto dall'occasione per riflettere criticamente, ed operativamente, sul quadro odierno delle lotte sociali. Tranne rare eccezioni (penso soprattutto al "Comitato cittadino di lotta per la casa" palermitano e, su piu' ampia scala, alle cooperative promosse da "Libera" per l'utilizzazione dei beni confiscati ai mafiosi), pare che il pendolo oscilli tristemente fra immobilismo e mobilitazione strumentale. L'immobilismo delle organizzazioni della sinistra storica, i cui esponenti sono troppo impegnati a preparare convegni per lavorare nei quartieri del centro storico, per ascoltare i bisogni effettivi delle donne e degli uomini delle periferie, per sollecitare il volontariato ad assumere una prospettiva politica piu' matura; la mobilitazione strumentale di capipopolo improvvisati capaci di parlare all'animo della gente ma per rubarne il consenso a fini elettorali (solitamente a favore del centro-destra) o, peggio, per alimentare meccanismi di sfruttamento paramafiosi. Chi, come me, ha conosciuto Danilo Dolci non e' certo incline a farne l'apologia acritica. In piu' di un'occasione questa persona eccezionale ha mostrato, insieme ai limiti delle sue iniziative, delle spiazzanti debolezze soggettive. Ma il significato complessivo della sua opera si staglia con nettezza: come pochi altri, infatti, si e' preoccupato - per riprendere la celebre espressione di don Milani - di servire i poveri piu' che di servirsene. Proprio nel 1956 un altro gigante della nonviolenza in Italia, Aldo Capitini, sintetizzava in dieci punti i principi "espressi e praticati" dal suo amico trapiantato in Sicilia: "lavorare per una societa' che sia veramente di tutti; cominciare piu' affettuosamente e piu' attentamente dagli ultimi; portare le cose piu' alte a contatto dei piu' umili; partecipare per comprendere; superare continuamente i propri possessi dando aiuti; creare strumenti di lavoro e di civilta' per tutti; dare amorevolezza a tutte le persone, non considerandole chiuse nei loro errori; usare nelle azioni e nelle lotte il metodo rivoluzionario nonviolento; nei casi estremi e nei momenti decisivi offrire il proprio sacrificio (per esempio, il digiuno), prendendo su di se' la sofferenza; promuovere riunioni e assemblee per il dialogo su tutti i problemi". Lo so, siamo troppo scaltriti - o troppo cinici - per non sorridere con aria di superiorita' davanti a criteri operativi di questo genere. Senza negare l'opportunita' di tradurli in un linguaggio meno ingenuo, la sostanza del messaggio rimane di attualita' inalterata: allora come oggi, non si modifica la condizione effettiva di un territorio se l'utopia di una civilta' diversa non si coniuga con la concretezza dei piccoli passi quotidiani. Gina D'Angelo Matassa, un'attenta lettrice di Sciascia, l'ha scritto anni fa con efficacia: "le rivoluzioni che non cambiano i codici di comportamento degli individui e sfruttano le infinite soluzioni della paura per le infinite possibilita' del potere, non sono rivoluzioni ma cambi di guardia" (La ruota e il serpente, Nuova Ipsa, p. 130). Gandhi, cui Dolci ha sempre guardato con docilita' creativa, l'aveva saputo dire ancor piu' sinteticamente: "Sii tu per primo quel cambiamento del mondo che vorresti". 3. INCONTRI. LEGGERE BATESON A ROMA [Dal Circolo Bateson di Roma (per contatti: circolo.bateson at tiscali.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. Gregory Bateson e' nato nel 1904 in Inghilterra, figlio di un eminente scienziato; compie studi naturalistici ed antropologici, di logica, cibernetica e psichiatria; un matrimonio con la grande antropologa Margaret Mead; Bateson ha dato contributi fondamentali in vari campi del sapere ed e' uno dei pensatori piu' influenti del Novecento; e' scomparso nel 1980. Opere di Gregory Bateson: Naven, Einaudi, Torino; Verso un'ecologia della mente; Mente e natura; Una sacra unita'; Dove gli angeli esitano (in collaborazione con la figlia Mary Catherine Bateson), tutti editi da Adelphi, Milano. Si vedano anche i materiali del seminario animato da Bateson, "Questo e' un gioco", Raffaello Cortina Editore, Milano. Opere su Gregory Bateson: per un avvio cfr. AA. VV. (a cura di Marco Deriu), Gregory Bateson, Bruno Mondadori, Milano; Sergio Manghi (a cura di), Attraverso Bateson, Raffaello Cortina Editore, Milano. Cfr. anche Rosalba Conserva, La stupidita' non e' necessaria, La Nuova Italia, Scandicci (Fi), particolarmente sulle implicazioni educative e la valorizzazione in ambito pedagogico della riflessione e dell'opera di Bateson. Una bibliografia fondamentale e' alle pp. 465-521 di Una sacra unita', citato sopra. Indicazioni utili (tra cui alcuni siti web, ed una essenziale bibliografia critica in italiano) sono anche nel servizio con vari materiali alle pp. 5-15 della rivista pedagogica "Ecole", n. 57, febbraio 1998. Tra i frutti e gli sviluppi del lavoro di Bateson c'e' anche la "scuola di Palo Alto" di psicoterapia relazionale: di cui cfr. il classico libro di Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini, Roma; e su cui cfr. Edmond Marc, Dominique Picard, La scuola di Palo Alto, Red Edizioni, Como] Il Circolo Bateson inaugura un nuovo ciclo di incontri - ciascuno della durata di un solo pomeriggio - dal titolo: "Leggere e discutere gli scritti di Bateson" per riflettere (anche) sulla storia contemporanea. Il primo di questi incontri si terra' sabato 18 febbraio 2006 pressso la facolta' di Ingegneria, via Eudossiana, Roma, auletta del chiostro (piano terra), ore 15,30-19,30. Verra' letto e poi discusso il saggio "Ecologia e flessibilita' della civilta' urbana" (in Verso un'ecologia della mente, edizione ampliata del 2000). L'incontro sara' articolato in questo modo: a) lettura della pagine di Bateson; b) due interventi programmati; c) discussione. L'incontro e' aperto a tutti. * Altre notizie 1) vi informo che i materiali relativi al seminario del 21-22 gennaio si trovano sul sito www.circolobateson.it , chi preferisse ricevere i testi (la' inseriti) via e-mail, in allegato, si rivolga alla responsabile dell'archivio Rita Proietti: rita.proietti at tin.it Sul nostro sito troverete anche tutte le informazioni relative alla nostra attivita', e se vorrete un contatto diretto, potrete scrivere a Carlo Bonotto (webmaster) indirizzando a seminari at circolobateson.it 2) a chi partecipa ai gruppi quindicinali di lettura e a chi vorra' iniziare a partecipare ecco le prossime date: - venerdi' 10 febbraio, ore 16,30 (presso il Cidi, piazza Sonnino 13), lettura de "La vita della mente" di Hannah Arendt; - mercoledi' 15 febbraio, ore 16,30 (presso la casa di Cecilia Orfei, via Costantino 95), lettura di "Mente e natura" di Gregory Bateson. 4. MATERIALI. IL "COS IN RETE" DI FEBBRAIO [Dall'"Associazione nazionale Amici di Aldo Capitini" (per contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e volentieri diffondiamo] Vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di febbraio 2006 del "Cos in rete", www.cosinrete.it Nello spirito del Cos di Capitini, le nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo, tra cui: Premi Aldo Capitini; Il valore aggiunto della donna; I bilanci all'italiana; I sogni violenti degli intellettuali; Gesu' desaparecido; Piu' Fiorello per tutti; Gli ingenui della globalizzazione; I miracoli del sangue dei vinti; Le decisioni dall'alto e le proposte dal basso; La muta e malinconica musica di Francesco; Non mettiamo le mani in tasca ai ricchi; Il divieto di capire; ecc., piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al Cos in rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi a capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del Cos a http://cos.splinder.com Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato indirizzo in www.aldocapitini.it 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: RAGIONI E CIVILTA', TORTI E BARBARIE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento del 3 febbraio 2006 (dati i successivi drammatici sviluppi della vicenda di cui qui si parla, in questo caso la data conta). Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Vedo una ragione e un torto tanto nella vasta protesta islamica contro le vignette satiriche (che non ho visto) su Mohammed (nome italianizzato in Maometto), quanto nella reazione europea. * La ragione islamica e' che i sentimenti vanno rispettati, specialmente i piu' profondi, anche quando non li condividiamo. Tali sono i sentimenti religiosi, in qualunque religione; tali sono gli affetti familiari, o l'amore per il proprio popolo o paese. Percio', quando in questo modo veniamo offesi, dobbiamo reagire con dignita' e non restare passivi. Si puo' discutere con serieta' ogni religione, teologia, tradizione e costumi, ma sbeffeggiare cio' che per altri vale molto non e' liberta', ma reato contro la buona relazione umana tra persone e civilta'. Il torto della protesta islamica nasce quando si minaccia o si fa violenza fisica, perche' la vita umana, anche di chi e' colpevole, e' sacra quanto tutti i simboli religiosi e gli affetti profondi. Le religioni sanno che chi ha commesso offesa deve e puo' pentirsi del proprio male e tornare a rispettare quelli che ha offeso, percio' al colpevole deve essere lasciata e favorita questa possibilita': per questo la pena di morte e' sempre un male che peggiora ogni male. Le religioni sanno che rispondere al male col male non ottiene alcun bene, ma accresce la malvagita'. Sanno che la persona religiosa invoca da Dio un animo piu' grande e piu' generoso, capace di misericordia e perdono verso l'offensore, pur dichiarando senza reticenze cio' che e' male nei rapporti umani e nel cammino umano verso la verita'. * Vedo una ragione e un torto nella reazione europea alla reazione islamica. La ragione e' che la liberta' di opinione e di parola e' un diritto umano, e non deve essere impedita da censure preventive o da argomenti intoccabili. Il torto sta nel pensare che la liberta' permetta tutto, e che non debba invece essere regolata dalla giustizia e dal rispetto dovuto ad altri. Come la liberta' economica non e' piu' liberta' umana e degna quando cerca un profitto a danno dei diritti e dei bisogni fondamentali degli altri, ma e' rapina, cosi' la liberta' di parola e di critica non e' piu' umana e civile quando, con presuntuosa superiorita', offende e deride cio' che non sa comprendere. Questo atteggiamento e' violenza mentale, radice e causa di tutte le violenze strutturali e belliche. * Le due ragioni possono comprendersi e incontrarsi, per un progresso di civilta' e di pace. Se i due torti si accumulano nella reciproca provocazione, avanzera' la barbarie. 6. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: ILLEGITTIMA DIFESA [Dal sito di "Mosaico di pace" (http://italy.peacelink.org/mosaico/) riprendiamo il seguente intervento di Giancarla Codrignani. Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it), presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994; L'amore ordinato, Edizioni Com nuovi tempi, Roma 2005] Ennesimo colpo alla civilta' giuridica del nostro Paese: il governo ha riscritto l'art. 52 del codice penale sulla "legittima difesa", che non escludeva l'autotutela quando il cittadino che si trovasse nell'impossibilita' di contare sull'autorita' pubblica, era autorizzato a provvedere, in forma proporzionata all'offesa, alla propria difesa. Fino a oggi non era consentito uccidere un ladro per impedirgli di impadronirsi della refurtiva, poiche' si riteneva che la persona umana avesse valore incommensurabile rispetto alle cose. Questa logica, grazie alla Lega, che ha applaudito l'approvazione della norma caldeggiata, e al centro-destra, che l'ha votata con 244 voti contro 175 dell'opposizione, sparisce. La cultura di un governo che ama in tutte le forme il Far West, si e' adeguata alla giurisprudenza americana, che consente al cittadino di detenere tutte le armi che vuole e di farsi giustizia da se'. Eppure tutti sanno che i cittadini degli Stati Uniti non vivono piu' sicuri degli europei, ma hanno invece maggior quantita' di violenza e maggior numero di morti per armi da fuoco usate impunemente anche da minori o squilibrati. Gli italiani vivono un periodo di forte insicurezza e di precarieta' dei diritti: non sappiamo che cosa potra' accadere dal momento che la legge consente che una persona aggredita possa reagire, con armi "legittimamente detenute", sempre, in casa e ogni altro luogo "ove venga esercitata un'attivita' commerciale, professionale o imprenditoriale", per difendere la propria o l'altrui incolumita' e "i beni" propri o altrui. Siamo di fronte a una regressione pericolosa, sia per l'incentivazione indiretta a fornirsi di armi, sia per l'equiparazione della persona ai beni. Si suppone che il cardinal Ruini, che ha di recente invitato a non votare candidati favorevoli all'aborto o ai Pacs, stia scrivendo l'estensione a non votare chi sostiene il legittimo omicidio per salvare il portafoglio. Come cristiani dovremmo sentire offesi, mercificati e violentati proprio i valori della vita. 7. LIBRI. ANTONIO CARONIA PRESENTA "VITE PRECARIE" DI JUDITH BUTLER [Dal sito www.socialpress.it riprendiamo il seguente intervento del 29 luglio 2004, che recensisce il libro di Judith Butler, Vite precarie. Contro l'uso della violenza in risposta al lutto collettivo, a cura di Olivia Guaraldo, Meltemi 2004, pp. 190, euro 15. Antonio Caronia e' giornalista, scrittore, traduttore (tra l'altro di fondamentali libri di J. G. Ballard), operatore culturale; nato a Genova nel 1944 (ma residente a Milano, dove lavora) ha studiato matematica, laureandosi con una tesi su Noam Chomsky; e' docente di comunicazione all'Accademia di Brera; di formazione scientifica, con esperienze politiche e interessi filosofici, si muove fra la teoria della comunicazione e l'antropologia della tecnica; e' particolarmente interessato agli effetti politici dell'innovazione tecnologica e agli aspetti estetici del comportamento sociale in relazione alle nuove tecnologie; studioso di scienze, tecnologia, letteratura e comunicazioni, svolge un'intensa attivita' di saggista, divulgatore e traduttore di testi e romanzi stranieri. Dal sito www.mediamente.rai.it riprendiamo la seguente notizia: "Antonio Caronia, nato a Genova nel 1944, e', al di fuori del panorama accademico, uno degli studiosi piu' originali e attenti dei fenomeni che riguardano l'impatto sociale e culturale delle nuove tecnologie. E' studioso di scienze, tecnologia, letteratura e comunicazioni; svolge un'intensa attivita' di traduttore e divulgatore di testi e romanzi stranieri. E' interessato alle modalita' d'impiego delle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione nell'arte. E' editorialista del mensile 'Virtual', collaboratore della rivista 'Virus e, con Daniela Brolli, direttore di 'Aphaville'". Opere di Antonio Caronia: Cyborg, Theoria, Roma 1991; Cyberpunk: istruzioni per l'uso, Stampa Alternativa, Viterbo 1995; Il corpo virtuale: dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Muzzio, Padova 1997; (con Domenico Gallo), Houdini e Faust: breve storia del cyberpunk, Baldini & Castoldi, Milano 1997; Archeologie del virtuale. Teorie, scritture, schermi, Ombre corte, Verona 2001; Il cyborg. Saggio sull'uomo artificiale, ShaKe edizioni, Milano 2001. Judith Butler, pensatrice femminista americana, nata nel 1956, insegna attualmente retorica e letteratura comparata all'Universita' di Berkeley, California; e' figura di primo piano del dibattito contemporaneo su sessualita', potere e identita'; le sue ricerche rappresentano uno dei contributi piu' originali all'interno dei cultural studies e della queer theory. Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003 riprendiamo questa presentazione di Judith Butler scritta da Ida Dominijanni: "Judith Butler e' una delle massime figure di spicco nel panorama internazionale della teoria femminista. Docente di filosofia politica all'universita' di Berkeley in California, ha pubblicato nell'87 il suo primo libro (Subjects of Desire) e nel '90 il secondo, Gender Trouble, testo tuttora di culto nei campus americani, cruciale per la messa a fuoco delle categorie del sesso, del genere e dell'identita'. Del '93 e' Bodies that matter (Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995), del '97 The Psychic Life of Power. Filosofa di talento e di solida formazione classica, Butler appartiene a quello stile di pensiero post-strutturalista che intreccia la filosofia politica con la psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale; e a quella generazione del femminismo americano costitutivamente attraversata e tormentata dalle differenze sociali, etniche e sessuali fra donne e dalla frammentazione dell'identita' che ne consegue. Decostruzione dell'identita', analisi del corpo fra materialita' e linguaggio, critica della norma eterosessuale e dei dispositivi di inclusione/esclusione che essa comporta, critica del potere e del biopotere sono gli assi principali del suo lavoro, che sul piano politico sfocia in una strategia di radicalita' democratica basata sulla destabilizzazione e lo shifting delle identita'. Fin da subito attenta ai nefasti effetti dell'11 settembre e della reazione antiterrorista sulla democrazia americana, Butler e' fra gli intellettuali americani maggiormente imegnati nel movimento no-war. 'La rivista del manifesto' ha pubblicato sul n. 35 dello scorso gennaio il suo Modello Guantanamo, un atto d'accusa del passaggio di sovranita' che negli Stati Uniti si va producendo all'ombra dell'emergenza antiterrorista: fine della divisione dei poteri, progressivo svincolamento del potere politico dalla soggezione alla legge, crollo dello stato di diritto con le relative conseguenze sul piano del diritto penale (demolizione delle garanzie processuali) e del diritto internazionale (violazione di trattati e convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in nome della liberta' e la soppressione delle liberta' si saldino in un'unica offensiva di abiezione dei 'corpi che non contano', per le strade di Baghdad e nelle gabbie di Guantanamo". Opere di Judith Butler disponibili in italiano: Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1995; La rivendicazione di Antigone, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Vite precarie. Contro l'uso della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, Roma 2004; Scambi di genere. Identita', sesso e desiderio, Sansoni, Firenze 2004; La vita come viene. Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006 (di prossima pubblicazione)] A che serve la filosofia contro la violenza? E' adeguato contrapporre allo strapotere militare il pacato ragionamento? Come puo' una riflessione sulle origini e le implicazioni della liberta' di ricerca e di espressione avere la meglio sulla radicata smania di censura? Sono domande che si e' posto piu' volte, negli ultimi tre anni, chi scrive. Di fronte a un solo morto in Iraq, in Palestina o in Cecenia, anche un minuto di tempo dedicato allo studio della teoria puo' sembrare non solo inutile, ma forse anche spregevole e offensivo. Ma poi capita di leggere righe come queste, e anche l'intellettuale, allora, puo' pensare di tornare ad avere qualche fiducia nel proprio lavoro: "[Gli eventi dell'11 settembre 2001] hanno sollevato, almeno in maniera implicita, la questione relativa a quale forma debbano assumere le riflessioni e le discussioni politiche se si adottano i parametri del 'danno subito' e dell''aggressione' come punti di partenza della vita politica. Il rischio di poter subire noi stessi un danno, o che altri possano subirlo, l'essere esposti alla morte per il semplice capriccio altrui sono fattori che causano paura e angoscia. Quel che e' meno certo e' se l'esperienza di vulnerabilita' e di perdita debba condurre necessariamente alla violenza e alla punizione militari. Ci sono altri percorsi. Se vogliamo mettere un freno alle spirali di violenza per produrre esiti meno violenti e' importante chiedersi quale uso politico si possa fare dell'angoscia, ben oltre un mero grido di battaglia". Sono alcune delle frasi (pp. 9-10) con cui si apre un recente libro di Judith Butler, Vite precarie, dedicato all'esame delle radici culturali della risposta intollerante e violenta degli Usa al lutto dell'11 settembre 2001, allo scandalo (o al "non-evento", all'evento indicibile, secondo Jean Baudrillard) del crollo delle Twin Towers. E mi hanno fatto pensare che non la violenza in quanto tale (modalita' inerente alla vita di per se', e quindi anche alla vita umana), ma l'uso politico della violenza, da parte dell'uomo, ha comunque radici culturali e linguistiche, non certo "naturali" o "spontanee". E quindi, forse, non e' tempo perso provare a indagare, come fa Butler in questo libro, i processi culturali che sostengono e giustificano, anche agli occhi di molti cittadini Usa, le scelte internazionali di quel governo. Comprendere quei processi puo' aiutare a contrastarli meglio, e piu' efficacemente, in Usa e fuori dagli Usa. Butler e' una delle esponenti piu' importanti e controverse del pensiero femminista americano, e le sue riflessioni sui temi del potere, della sessualita', dell'identita' sono conosciute anche in Italia. Ricordero' solo, fra gli altri, il libro La rivendicazione di Antigone, pubblicato nel 2003 da Bollati Boringhieri. Le domande alle quali in Vite precarie Butler cerca di dare, se non una risposta unica, almeno delle risposte collegate, sono varie. Come si e' passati, negli Usa, da uno stato di diritto a una sospensione di fatto dei diritti umani fondamentali per alcune categorie di persone (per esempio i detenuti di Guantanamo)? Perche' si possono piangere e commemorare i morti delle Twin Towers e non i morti dell'Iraq? O le vittime israeliane degli attentati palestinesi, e non le vittime palestinesi dell'esercito israeliano? Perche' si cerca di far passare ogni critica alla politica del governo di Israele come un cavallo di Troia dell'antisemitismo? (e quest'ultimo interrogativo e' particolarmente bruciante per Judith Butler, ebrea e contraria alla politica israeliana). Cio' che mi ha colpito, nelle righe che ho citato sopra, e' che Butler non passa sotto silenzio l'evento che ha catalizzato e (almeno sul piano cronologico) ha segnato il pieno dispiegarsi della nuova politica aggressiva degli Usa, aprendo l'era della "guerra infinita". Al contrario, lei parte proprio dall'11 settembre, e da una riflessione su alcune caratteristiche della condizione umana che quell'avvenimento ha messo in luce. E il suo tentativo e' proprio quello di individuare le radici della risposta statunitense in una lettura distorta e paranoica ai problemi reali che l'11 settembre ha segnalato. * Semplificando molto (me ne scuso, ma non credo di poter fare altro in questa sede) il ragionamento di Butler e' all'incirca il seguente. La perdita e la vulnerabilita' sono elementi costitutivi della nostra esperienza di esseri umani, di animali sociali. Esporci all'altro, in qualsiasi forma (ed e' questa l'essenza di ogni relazione sociale) comporta la possibilita' di perdere una persona che ci e' cara, o la possibilita' che un'altra persona ci ferisca, ci faccia del male. Come non e' possibile considerarsi immortali, cosi' e' impossibile considerarsi invulnerabili. "Ciascuno di noi in parte e' politicamente costituito dalla vulnerabilita' sociale del proprio corpo - in quanto luogo del desiderio e della vulnerabilita' fisica, luogo di una dimensione pubblica a un tempo esposta e assertiva. La perdita e la vulnerabilita' sono conseguenze del nostro essere corpi socialmente costituiti, fragilmente uniti agli altri, a rischio di perderli, ed esposti agli altri, sempre a rischio di una violenza che da questa esposizione puo' derivare." (p. 40). Noi non siamo qualcosa di immutabile, ma evolviamo, ci costruiamo, raggiungiamo anche cio' che chiamiamo "autonomia" sempre in relazione agli altri. La perdita, il dolore, il lutto, sono elementi costitutivi di noi stessi. Possiamo cercare di elaborarli, non di negarli. Cio' e' vero tanto nel campo delle relazioni private, quanto di quelle pubbliche. Anche la dimensione politica e' il luogo di una dipendenza reciproca (che contiene in se' il rischio della vulnerabilita' e della perdita) che deve essere attentamente considerata. Le stesse rivendicazioni di liberta' e di autonomia, che Butler non intende affatto abbandonare, devono tener conto di questa dimensione intrecciata dei corpi. "Il corpo implica mortalita', vulnerabilita', azione: la pelle e la carne ci espongono allo sguardo degli altri, ma anche al contatto e alla violenza, e i corpi ci espongono al rischio di diventare agenti e strumenti di tutto cio'. Possiamo combattere per i diritti dei nostri corpi, ma gli stessi corpi per i quali combattiamo non sono quasi mai solo nostri. Il corpo ha una sua imprescindibile dimensione pubblica. Il mio corpo, socialmente strutturato nella sfera pubblica, e' e non e' mio." (p. 46). * Ma tutto cio' implica (suggerisce Butler) che non sia possibile trattare la morte, il lutto, la perdita e la vulnerabilita' degli altri in modo diverso da quello con cui trattiamo la nostra. Ogni elaborazione del lutto che costruisca una gerarchia di importanza tra le morti (e le vite) non puo' che condurre alla violenza. Questo e' esattamente cio' che gli Stati Uniti hanno fatto, secondo Butler, dopo l'11 settembre. Erigendo monumenti alle vittime delle Twin Towers, considerando quelle vite spezzate degne di essere piante al contrario di altre, la nazione Usa ha creduto di entrare in lutto, ma in realta' lo ha rifiutato, perche' non e' stata in grado di concepire il proprio dolore come una parte del dolore universale. "Sostengo che una melanconia nazionale, intesa come lutto rifiutato, sopraggiunge a seguito della cancellazione, dalle rappresentazioni pubbliche, di nomi, immagini e storie di coloro che gli Stati Uniti hanno ucciso. Per contro, le perdite degli Stati Uniti sono consacrate negli obitori pubblici elevati a monumenti nazionali. La perdita di alcune vite e' dolorosa. Quella di altre no. La differente ripartizione del dolore che decide quale soggetto merita, o meno, di essere compianto, opera in maniera tale da alimentare e sostenere certe concezioni esclusive relative alla definizione normativa di 'umano': quando una vita puo' dirsi 'vivibile' e una morte 'compatibile'?" (pp. 12-13). Se gli Stati Uniti hanno deciso di imbarcarsi in una guerra infinita (limitata, per ora, solo dalle considerazioni contingenti dei rapporti con gli alleati e dai limiti - comunque esistenti - anche della loro potenza militare), e' anche perche', al di la' di tutte le ragioni economiche, dell'ideologia geopolitica dei neocon, dell'ossessione religiosa di Bush, essi sono incapaci di rapportarsi al "volto" dell'altro (secondo l'immagine e il concetto del filosofo Emmanuel Levinas), sono sordi a una visione realmente universale dell'essere umano. Possono uccidere iracheni e afghani (e domani siriani, iraniani o - dio ne scampi, che' sarebbe veramente una catastrofe - cinesi) perche', al fondo, li considerano esseri umani di serie B. Possono concepire di tenere detenuti per anni i prigionieri di Guantanamo senza uno straccio di processo perche' (come dice il consigliere Haynes e come pensa Rumsfeld) "sono persone pericolose", anche se "non sono necessariamente criminali". In loro la violenza e' costitutiva, innata, quindi a loro non possono essere applicate le usuali leggi che regolano la vita degli esseri umani "normali". Ecco le radici culturali del terrorismo di stato Usa. Bisognera' che - se non Bush e la sua cricca, forse ormai irrimediabilmente malati - i cittadini americani che votano per lui (e forse anche molti di coloro che votano per i democratici) imparino a non aver terrore del volto dell'altro. Sara' un processo lungo, ma non impossibile. Sfortunatamente, cio' passa, ancora una volta, per una sonora e indubbia sconfitta della politica Usa nel mondo. Una sconfitta che non puo' essere loro inflitta con le loro stesse armi e i loro stessi metodi. Una sconfitta che possono produrre solo i nuovi cittadini globali del mondo, pacifici, nonviolenti, insubordinati, non gerarchici. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1200 dell'8 febbraio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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