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Nonviolenza. Femminile plurale. 46
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 46
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 12 Jan 2006 12:30:11 +0100
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 46 del 12 gennaio 2006 In questo numero: 1. Luisa Morgantini: Morire di cancro a Gaza 2. Cinque poesie di Wislawa Szymborska 3. Un'intervista di Cristina Valenti a Luce Fabbri del 1993 (parte terza e conclusiva) 4. Serena Fuart: Una cultura dell'amore 5. Maria G. Di Rienzo: Censure 1. TESTIMONIANZE. LUISA MORGANTINI: MORIRE DI CANCRO A GAZA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 gennaio 2006. Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini at europarl.eu.int), parlamentare europea, presidente della delegazione del Parlamento Europeo al Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo... In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace". Opere di Luisa Morgantini: Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma 2004] Fatma Barghouth e' morta il 24 dicembre a 29 anni, divorata da un cancro che dal seno si e' esteso alla colonna vertebrale. E' stata sepolta nel cimitero di Gaza citta'. Nella tomba non e' sola, i corpi di altre due donne sono seppelliti con lei. Troppa gente muore a Gaza e non ci sono piu' spazi. La famiglia avrebbe voluto darle sepoltura nel cimitero nei pressi del campo profughi di Jabalia dove, per i morti, vi e' ancora un po' di terra disponibile. Non e' stato possibile: in quel mattino c'era uno scambio di fuoco tra l'esercito israeliano e un gruppo armato palestinese. L'esercito tirava con l'artiglieria e bombardava l'area, una bomba aveva distrutto la strada che da Jabalia porta al cimitero. Non sono state semplici l'agonia e la morte di Fatma - come la sua vita, del resto. Nell'aprile 2003 Fatma aveva sentito un nodulo al seno. Aveva 26 anni, era bella, vestiva nel modo tradizionale palestinese, non il velo dell'islam, ma il fazzoletto delle contadine, un grande sorriso e grandi occhi neri, una voglia di vivere e di resistere che le ha dato la forza di combattere contro il suo male e contro ogni burocrazia e sopraffazione. Vi diro' delle sue vicissitudini per raggiungere l'ospedale israeliano dove l'attendevano per essere curata , vi diro' della dedizione dei Medici per i diritti umani (Physicians for Human Rights, in sigla: Phr, sito: www.phr.org.il), associazione israeliana che si batte contro le persecuzioni e le discriminazioni quotidiane nel campo della salute che i palestinesi subiscono da parte delle autorita' israeliane. I Phr si prendono cura dei malati palestinesi, che senza il loro aiuto morirebbero o non potrebbero mai raggiungere un ospedale specializzato israeliano. Con Fatma, malgrado tutti i loro sforzi, non ce l'hanno fatta. Troppe volte, quando doveva recarsi a fare la chemioterapia, il check point di Erez, al confine fra Gaza Nord e Israele, era chiuso. Fatma, mentre il dolore la divorava, passava ore da sola, in attesa di vedere il cancello di ferro aprirsi. Aveva tutti i permessi, ottenuti anche con sentenze del tribunale israeliano; anche i medici dell'ospedale Tel Hashomer telefonavano al coordinamento israeliano di Erez, per chiedere di lasciarla passare e per confermare che doveva sottoporsi a chemioterapia, ma ufficiali e soldati ai check point il piu' delle volte non intendevano ragioni. Fatma non poteva nemmeno vederli: sentiva solo gli ordini, dati in ebraico dalla voce gracchiante degli altoparlanti - ordini, di cui poteva capire solo il si' e il no. Questioni di sicurezza, diceva il soldato al checkpoint. E intanto il male si diffondeva nel corpo di Fatma. Il suo calvario non e' dipeso pero' solo dal muro brutale dell'occupazione, dalla mancanza di umanita' e compassione dei militari israeliani: anche la rassegnazione e la mancanza di specializzazione delle strutture ospedaliere palestinesi hanno fatto la loro parte. * Quando per la prima volta , il 15 aprile 2003, si reca all'ospedale di Gaza, lo Shifa Hospital, per verificare il nodulo che ha scoperto al seno, il medico sottopone Fatma a una radioscopia e a una biopsia. Il primo esame, dopo dieci giorni di attesa, risulta insoddisfacente. Altra biopsia e dopo due settimane di attesa il medico le dice di non preoccuparsi, il nodulo e' benigno. Si tratta, dice, di un fibroadenoma. A giugno il tumore si e' ingrossato e Fatma sente di avere altri due piccoli grumi. Dopo varie insistenze, il medico accetta di asportarle il nodulo; due settimane dopo il reparto di oncologia conferma che il tumore asportato e' benigno. Ma il corpo di Fatma comincia ad essere invaso. Dopo l'operazione appaiono nuovi grumi. In agosto si reca nella clinica privata (tutto il mondo e' paese) del medico dello Shifa Hospital. Nessun problema, le dice il medico, "devi aver stretto troppo il tuo reggiseno". Fatma, testarda, chiede una nuova biopsia al chirurgo che l'ha operata, e questa volta i risultati sono chiari: Fatma ha un carcinoma maligno che si sta estendendo. Dopo nove cicli di chemioterapia all'ospedale di Gaza, Fatma decide di rivolgersi all'ospedale israeliano Tel Hashomer: invia il risultato della biopsia, lo staff dell'ospedale risponde subito chiedendole di presentarsi prima possibile. * Qui comincia la tragica trafila dei permessi e del checkpoint. Per tre volte Fatma presenta la richiesta di visto all'Ufficio di coordinamento. Nessuna risposta. Il 13 novembre, Fatma chiede l'intervento dei Phr. Il professor Rafi Waldan riesce a darle un appuntamento urgente per il 25 novembre. Nuova richiesta di visto: il giorno dell'appuntamento arriva, ma nessuna risposta per il permesso. I Phr decidono di appellarsi in tribunale con procedura urgente. L'avvocato di Fatma e' Yossi Tzur dello studio legale Carmeli-Arnon. La risposta del tribunale arriva il 12 dicembre: permesso accordato per sottoporsi al trattamento a Tel Hashomer Hospital. Almeno un primo ostacolo e' rimosso. Ma l'odissea e' appena iniziata. Ogni volta che deve recarsi all'ospedale devono intervenire i medici israeliani; e malgrado cio' ogni volta deve attendere ore prima di poter attraversare il cancello del checkpoint. Nessuno dei suoi familiari puo' accompagnarla: nessun permesso e' stato accordato per loro. In uno dei suoi appuntamenti, nel gennaio 2004, al checkpoint la rimandano indietro. Nuovo intervento dell'avvocato Yossi Tzur, nuovo permesso e nuovo appuntamento per il giorno dopo. Fatma arriva al checkpoint al mattino presto, la fanno attendere fino alle 13. Quando arriva all'ospedale e' troppo tardi, il reparto e' gia' chiuso.Il 9 febbraio Fatma deve recarsi all'ospedale per togliere il tumore. Arriva a Erez molto presto al mattino; attende, sola, fino alle 17,30. Intervengono i medici israeliani, l'avvocato, chiamano tutti, persino la giornalista Carmela Menashe di Kol Israel, ma la soldatessa che ha il permesso di entrata per Fatma non e' sul posto, e' addetta ai servizi di cucina e nessuno puo' sostituirla. Finalmente alle 18,30 Fatma puo' passare. Arriva all'ospedale e il giorno successivo la operano. Due giorni dopo il medico la informa che il tumore si e' sparso ed e' necessaria una vasectomia totale. Sempre sola, malgrado i medici abbiano chiesto piu' volte il permesso per alcuni familiari. Sola, in un ospedale i cui medici sono solidali con lei ma non parlano la sua lingua. Dimessa, torna a Gaza. Il 25 marzo, altro appuntamento in preparazione della radioterapia. Il permesso non viene dato, le e' proibito lasciare Gaza. Nuovo appuntamento due settimane dopo: questa volta riesce a passare. Il suo trattamento consiste in 25 giorni consecutivi di radioterapia. Impossibile recarsi ogni giorno da Gaza in Israele. I medici di Phr chiedono per Fatma e per un'altra paziente, anch'essa col cancro al seno, il permesso di restare in Israele per il periodo di cura. Negato. Non resta che tornare in Tribunale. Ai Phr si aggiunge il gruppo, sempre israeliano, di "One in nine: Women for victim of breast cancer". Ricorso accolto, le due pazienti possono restare in Israele; ma per Fatma non e' finita, il suo permesso e' di un mese e il suo trattamento deve essere di cinque settimane in piu'. Nuovo impegno dei Phr, che la fanno restare nella loro casa a dormire, clandestina. * Ritorna a Gaza, apparentemente la cura e' andata bene. Non e' cosi', dopo un mese il cancro riappare. Fatma si aggrava, soffre di forti dolori alla schiena e alle gambe. Il 22 luglio viene ricoverata di nuovo, questa volta passa in ambulanza, con la sua mamma. Il test mostra che la metastasi ha colpito la spina dorsale. La tengono in ospedale, lei peggiora. Vuole vedere la sua famiglia. I Phr fanno una domanda urgente e il 2 agosto ottengono risposta: solo il padre e due sorelle possono passare. Ma neppure loro arrivano. Al checkpoint di Erez, dopo ore di attesa, la polizia di frontiera rifiuta l'entrata a meno del versamento di 30.000 shekel (quasi 6.000 euro) ciascuno come deposito di garanzia. Dopo l'intervento del solito avvocato Yossi Tzur, la polizia scende a compromessi: invece di 30.000 shekels riduce la somma a 20.000. Impossibile per la famiglia trovare quei soldi. Altra causa in tribunale nuovo permesso, il 9 agosto: ma ancora non passano: la polizia di frontiera li ferma. Interviene anche un parlamentare israeliano, inutilmente. Il 16 agosto, tre settimane dopo la richiesta, le due sorelle riescono a raggiungere Fatma e la madre; il padre invece non ottiene il permesso, e resta a Gaza. Problemi di sicurezza, dicono i soldati. Lo staff del reparto oncologico si prodiga al massimo per Fatma. Quando riprende le forze, terminato il ciclo, Fatma torna a Gaza dove dovrebbe continuare la chemioterapia. Ma passa un mese prima che il ministro della salute palestinese approvi il pagamento, molto costoso, della cura e che tutti i medicinali necessari arrivino all'ospedale Shifa di Gaza. Fatma pero' peggiora, fa fatica a respirare. Il medico dell'ospedale di Tel Hashomer le dice di tornare da lui senza ritardi. Nuovo permesso. Il 5 settembre al checkpoint il soldato non la fa passare perche' gli risulta che Fatma sia entrata precedentemente in Israele senza permesso. La questione si risolve verso le 19. Un giorno intero al checkpoint. Il trattamento radiologico e chemioterapico dovrebbe iniziare il 14 settembre. Contatti frenetici da parte dei Phr e dei medici dell'ospedale con il coordinatore israeliano di Gaza per la salute, Weinberger. Promette che rilascera' il permesso. Il giorno 14, alle 17,30, il Dco informa che c'e' il permesso, ma solo per Fatma: niente accompagnatori, niente ambulanza. Fatma non si regge in piedi: e cosi' niente ospedale. * Si ricomincia una nuova pratica per il permesso. Il 27 settembre una delegazione di donne medici israeliane si reca a Gaza per parlare con il comandante israeliano. Dopo una lunga attesa non appare nessun comandante ma solo un ufficiale che si impegna a facilitare il passaggio di Fatma. Il giorno dopo lei e la madre arrivano al checkpoint: attesa fino alle 17, Fatma soffre e si stende a terra perche' non c'e' nulla su cui appoggiarsi o sedersi. Inizia finalmente il check, il soldato chiede a Fatma di togliersi i vestiti perche' il sistema di sicurezza indica che c'e' qualcosa nel suo petto. Fatma esegue gli ordini e cerca di spiegare che in seguito all'operazione nel petto ha del silicone. Arriva un altro soldato, la interpella urlando in arabo e le dice che e' proibito togliersi i vestiti, Fatma spiega l'ordine ricevuto, ma non c'e' niente da fare. Fatma e la mamma vengono rimandate indietro. L'ufficiale spiega ai Phr che le due donne non hanno superato il controllo di sicurezza. Il permesso e' finalmente pronto il mattino del 29 settembre. Fatma e' in un ambulanza con altri pazienti, tutti diretti allo stesso ospedale. Sulla strada di Beit Lahiyah, verso Erez, l'ambulanza e' costretta a fermarsi per operazioni militari in corso. Alle 16,30 sono ancora fermi; il tentativo di arrivare a Erez per una strada diversa fallisce, alle 17,40 l'ambulanza e il suo carico tornano a Gaza. Impossibile mandare le medicine dall'ospedale di Tel Hashomer, i valichi sono tutti chiusi. Il permesso per Fatma c'e' ma le strade sono distrutte e occupate dai carri armati, l'ambulanza non puo' passare. Nuova richiesta di permesso, nuova attesa. Il 4 ottobre il permesso non c'e' ancora. Fatma viene ricoverata all'ospedale di Gaza sotto la tenda a ossigeno. Un paziente malato di cancro e' morto, sono rimasti due giorni del suo trattamento chemioterapico, vengono usati per Fatma. * Una settimana dopo il Dco dice ai Phr di presentare la richiesta del nuovo permesso al coordinatore sanitario palestinese, Ahmad Abu Raza, ma lui e' bloccato dal coprifuoco nel campo profughi di Nuseirat. Il giorno successivo arriva a Gaza, ma non puo' presentare la richiesta di Fatma, il fax israeliano e' rotto. I medici del Phr chiedono agli israeliani di coordinarsi a voce con Ahmad. D'ora in poi non basteranno i permessi, sara' necessario anche coordinarsi. La mattina del 14 ottobre Fatma non riesce a stare in piedi, puo' muoversi solo in ambulanza: che pero' non riesce a passare per le strade distrutte. I Phr riescono a trovare un veicolo della Croce Rossa,l'unico capace di passare attraverso le rovine. Ma verso le 13, prima di arrivare ad Erez, nei pressi del villaggio di Abraj al-Awda, il veicolo viene preso a fucilate dai soldati. E' solo alle 19 che puo' riprendere la strada per il checkpoint. E' passato un mese dal primo appuntamento per la chemioterapia. * L'agonia di Fatma finisce quando chiude definitivamente gli occhi, il 24 dicembre 2004. Ma l'agonia della sua famiglia e di qualche milione di palestinesi continua. Il primo gennaio 2006 al checkpoint di Erez, mentre rientriamo in Israele, c'e' un uomo, piu' di ottanta anni, anche lui diretto all'ospedale Tel Hashomer. E' pieno di tubi, su una sedia a rotelle. Con la vecchia moglie sta aspettando davanti al cancello di ferro da tutto il pomeriggio. La sedia a rotelle non e' permessa, questioni di sicurezza; lui non sta in piedi e non riesce a parlare. Telefono ad un ufficiale israeliano che non e' a Gaza, imploro, si tratta di un caso umanitario e comunque noi (siamo 18 italiani) non ce ne andremo fino a quando non passera' anche il vecchio. Dopo qualche ora e tante altre telefonate, il cancello si apre. La donna mi abbraccia e sorride raggiante. Io controllo con estremo sforzo la rabbia, il dolore, l'indignazione. Ringrazio l'ufficiale israeliano. E mi chiedo fino a quando permetteremo tutto questo, fino a quando la comunita' internazionale permettera' questo scempio dei diritti, della compassione e dell'umanita'. Lo so, domanda retorica. 2. POESIA E VERITA'. CINQUE POESIE DI WISLAWA SZYMBORSKA [Da Wislawa Szymborska, Discorso all'Ufficio oggetti smarriti, Adelphi, Milano 2004, alle pp. 84, 105, 137, 146-147, 148. Wislawa Szymborska, poetessa, premio Nobel per la letteratura 1996, e' nata a Bnin, in Polonia, nel 1923; ha studiiato lettere e sociologia a Cracovia, dove risiede; dal 1953 al 1981 collaboro' alla rivista "Vita letteraria", nel 1980, sotto lo pseudonimo di Stancykowna, alle riviste "Arka" e "Kultura"; ltre al Nobel ha ricevuto per la sua opera poetica altri importanti riconoscimenti: nel 1954 il Premio per la letteratura Citta' di Cracovia, nel 1963 il Premio del ministero della cultura polacco, nel 1991 il Premio Goethe, nel 1995 il Premio Herder e la Laurea ad honorem dell'Universita' di Poznan "Adam Mickiewicz", nel 1996 il Premio "Pen - Book of the Month Club Translation Prize". Trale opere di Wislawa Szymborska in edizione italiana: La fiera dei miracoli, Scheiwiller, Milano 1994; Gente sul ponte, Scheiwiller, Milano 1996; La fine e l'inizio, Scheiwiller, Milano 1997; Trittico: tre poesie di Wislawa Szymborska, tre collage di Alina Kaczylska, Scheiwiller, Milano 1997; 25 poesie, Mondadori, Milano 1998; Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998; Taccuino d'Amore, Scheiwiller, Milano 2002; Discorso all'Ufficio oggetti smarriti, Adelphi, Milano 2004] Vietnam Donna, come ti chiami? - Non lo so. Quando sei nata, da dove vieni? - Non lo so. Perche' ti sei scavata una tana sottoterra? - Non lo so. Da quando ti nascondi qui? - Non lo so. Perche' mi hai morso la mano? - Non lo so. Sai che non ti faremo del male? - Non lo so. Da che parte stai? - Non lo so. Ora c'e' la guerra, devi scegliere. - Non lo so. Il tuo villaggio esiste ancora? - Non lo so. Questi sono i tuoi figli? - Si'. * Discorso all'Ufficio oggetti smarriti Ho perso qualche dea per via dal Sud al Nord, e anche molti dei per via dall'Est all'Ovest. Mi si e' spenta per sempre qualche stella, svanita. Mi e' sprofondata nel mare un'isola, e un'altra. Non so neanche dove mai ho lasciato gli artigli, chi gira nella mia pelliccia, chi abita il mio guscio. Mi morirono i fratelli quando strisciai a riva e solo un ossicino festeggia in me la ricorrenza. Non stavo nella pelle, sprecavo vertebre e gambe, me ne uscivo di senno piu' e piu' volte. Da tempo ho chiuso su tutto cio' il mio terzo occhio, ci ho messo una pinna sopra, ho scrollato le fronde. Perduto, smarrito, ai quattro venti se n'e' volato. Mi stupisco io stessa del poco di me che e' restato: una persona singola per ora di genere umano, che ha perso solo ieri l'ombrello sul treno. * Le tre parole piu' strane Quando pronuncio la parola Futuro, la prima sillaba gia' va nel passato. Quando pronuncio la parola Silenzio, lo distruggo. Quando pronuncio la parola Niente, creo qualche cosa che non entra in alcun nulla. * Contributo alla statistica Su cento persone: che ne sanno sempre piu' degli altri - cinquantadue; insicuri a ogni passo - quasi tutti gli altri; pronti ad aiutare, purche' la cosa non duri molto - ben quarantanove; buoni sempre, perche' non sanno fare altrimenti - quattro, be', forse cinque; propensi ad ammirare senza invidia - diciotto; viventi con la continua paura di qualcuno o qualcosa - settantasette; dotati per la felicita' - al massimo poco piu' di venti; innocui singolarmente, che imbarbariscono nella folla - di sicuro piu' della meta'; crudeli, se costretti dalle circostanze - e' meglio non saperlo neppure approssimativamente; quelli col senno di poi - non molti di piu' di quelli col senno di prima; che dalla vita prendono solo cose - quaranta, anche se vorrei sbagliarmi; ripiegati, dolenti e senza torcia nel buio - ottantatre' prima o poi; degni di compassione - novantanove; mortali - cento su cento. Numero al momento invariato. * Fotografia dell'11 settembre Sono saltati giu' dai piani in fiamme - uno, due, ancora qualcuno sopra, sotto. La fotografia li ha fissati vivi, e ora li conserva sopra la terra verso la terra. Ognuno e' ancora un tutto con il proprio viso e il sangue ben nascosto. C'e' abbastanza tempo perche' si scompiglino i capelli e dalle tasche cadano gli spiccioli, le chiavi. Restano ancora nella sfera dell'aria, nell'ambito di luoghi che si sono appena aperti. Solo due cose posso fare per loro - descrivere quel volo senza aggiungere l'ultima frase. 3. MEMORIA. UN'INTERVISTA DI CRISTINA VALENTI A LUCE FABBRI DEL 1993 (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Dal sito www.socialismolibertario.it riprendiamo la seguente intervista a Luce Fabbri realizzata da Cristina Valenti a Castel Bolognese, il 31 ottobre 1993 e pubblicata su "A. Rivista anarchica", anno 28, n. 247, estate 1998, col titolo "Vivendo la mia vita" (intervista disponibile anche nel sito della rivista: www.arivista.org). Cristina Valenti e' docente presso il Dams dell'Universita' di Bologna; proveniente da studi di carattere storico e filologico (il suo volume Comici artigiani ha vinto il Premio Pirandello per la saggistica teatrale nel 1994), negli ultimi anni ha rivolto la sua attivita al teatro contemporaneo d'innovazione, al quale si e' dedicata sia sul piano della produzione scientifica sia sul piano dell'organizzazione. Ha diretto l'organizzazione del Centro Teatrale La Soffitta del Dams di Bologna (1991-2001), al quale collabora tuttora sul piano progettuale, e ha realizzato numerosi progetti e iniziative culturali negli ambiti del teatro di ricerca e di ispirazione sociale. I suoi interessi attuali riguardano i teatri del disagio (handicap, carcere), il teatro di impegno sociale e civile, la ricerca delle giovani generazioni (in particolare come direttrice artistica dell'Associazione Scenario); collabora a varie riviste teatrali e culturali. Svolge collaborazioni drammaturgiche e organizzative per diversi artisti, compagnie e strutture teatrali.; ha in preparazione un volume sui Teatri delle dis/abilita'. Fra gli ultimi volumi pubblicati: Conversazioni con Judith Malina (1995); Living with The Living 1998); Oiseau Mouche. Personnages (con Antonio Calbi, 2000); Il teatro nelle case (2001); Katzenmacher (2004). Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e generosa, un punto di riferimento per tutti gli amici della dignita' umana e della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929 in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio segnaliamo l'ampia e preziosa intervista a cura di Cristina Valenti in questo foglio riproposta. Tra le sue opere in volume ed in opuscolo segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore, Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL, Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962; El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona 1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo 1932; Propinqua Libertas, Bfs, Pisa 2005; c) scritti di storia e di critica letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena & Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41 (disponibile anche nel sito: www.arivista.org)] Un problema molto serio - Cristina Valenti: Nel vasto panorama delle idee e dei movimenti politici, quali pensi che siano quelli piu' vicini alle posizioni del movimento anarchico? - Luce Fabbri: In questo momento mi pare che in Italia non ci sia niente del genere, pero' qualche corrente ci deve essere, probabilmente in campo femminista o ecologico, oppure fra i dissidenti socialisti e comunisti. Nel passato ho sentito molto vicina "Giustizia e Liberta'" e anche alcune correnti repubblicane e settori del socialismo democratico e riformista. Nel periodo del 1921-'22 mi sembravano piu' affini alcuni socialisti riformisti che non i rivoluzionari e i massimalisti come Bucco, o prima ancora Mussolini, anche se costui, quando era ancora un socialista rivoluzionario, veniva a sfogarsi con mio padre contro i riformisti. Turati indubbiamente non ci era vicino perche' puntava tutto sui meccanismi della politica, pero' era onesto e socialista, sinceramente socialista. Ho conosciuto il socialista Da Vinchie, che sarebbe poi morto di stenti durante l'esilio in Germania, i fascisti l'hanno bastonato per tre volte lasciandolo tramortito, era un socialista evangelico e nonviolento, non era un anarchico pero' ci era davvero vicino. Oggi nell'Uruguay ci sono alcune tendenze socialiste che ricercano forme comunitarie non statali, e credo che si possa avere qualche contatto con loro, anche se ancora tutto e' molto vago e ben poco organico, almeno per il momento. Penso in ogni modo che si possa lavorare con gli altri, noi ad esempio facemmo un tentativo in questo senso, negli ultimi anni della guerra, dando vita al movimento Socialismo e liberta', che pur nel rispetto delle differenze, ci vide collaborare con socialisti e repubblicani. * - Cristina Valenti: Claudio Venza dice che coloro che si occupano di anarchismo e che lo studiano dal punto di vista storico girano sempre attorno ad un rovello: cioe' scoprire quali sono gli ostacoli maggiori per cui l'anarchismo non solo non s'e' realizzato, ma non e' nemmeno diventato l'ideale maggiormente condiviso o una pratica di vita. Cos'e' che a un certo punto ne frena lo sviluppo, quali sono gli ostacoli che si frappongono? - Luce Fabbri: Penso che l'ostacolo maggiore sia l'istinto che spinge la natura umana a prevalere, l'istinto autoritario. L'autorita' non si puo' eliminare, ma va combattuta, domata, non solo nella societa', ma anche e soprattutto dentro di noi. Penso che l'ostacolo principale sia proprio questo ricrearsi continuamente dello spirito autoritario in noi e nel movimento ed e' per questo che e' cosi' difficile combatterlo: noi lottiamo contro lo Stato, ma lo Stato si riproduce anche nel nostro ambito. Penso pertanto che ci sia un lungo lavoro educativo da fare, che si debba educare soprattutto alla liberta', e insistendo sul terreno dei doveri piu' che su quello dei diritti. A questo, che e' l'ostacolo principale, se ne aggiungono altri, come ad esempio l'interesse economico anche se poi, in ultima analisi, anch'esso e' riconducibile all'istinto autoritario, perche' la ricchezza in se', oltre che essere un'ingiustizia, diventa pericolosa quando viene utilizzata come strumento di potere. E' lo spirito autoritario dunque, a mio parere, l'ostacolo principale, il nostro vero nemico, oltre a tutto anche un nemico subdolo che spesso non ci si presenta direttamente. * - Cristina Valenti: Non puo' essere anche che gli anarchici, che tanto amano la liberta', diano per scontato che tutti amino la liberta', piu' di quanto in effetti non sia? Se in alcuni individui e' evidente il desiderio di prevalere, mi sembra piu' diffuso pero' il desiderio dei tanti di obbedire, di non prendersi responsabilita'. La gente mi sembra piu' interessata alla sicurezza che non alla liberta', perche' la liberta' vuol dire affrontare responsabilmente i problemi e assumersi delle responsabilita'. Forse si tratta anche di un ottimismo antropologico degli anarchici. - Luce Fabbri: In tutti c'e' un istinto di liberta', una sincera insofferenza nei confronti dell'autorita', questa pero' e' compensata dalla paura nei confronti della responsabilita', e da una certa pigrizia, soprattutto mentale. Te ne accorgi con chiarezza nel lavoro dell'insegnante, e' indicativo l'esempio dello scolaro che e' piu' disposto a copiare dieci pagine pur di non doverne imparare una a memoria o di farne il riassunto. Preferisce perdere due ore a copiare, piuttosto che impiegare mezz'ora a ragionarci sopra, e questa pigrizia puo' essere il substrato della tendenza alla tranquillita', al desiderio che siano gli altri a pensare per poter restarsene tranquilli nel proprio buco. Questo pero' non toglie che non si avverta anche l'insofferenza per l'autorita', coesistono entrambe le cose. Sono convinta quindi che ci sia ancora molto da lavorare, prima di tutto in famiglia per opera dei genitori, poi alle elementari, alle secondarie, all'Universita', per risvegliare l'orgoglio dell'autosufficienza. Per riassumere, all'istinto della liberta' si accompagna l'istinto di comandare, di prevalere sugli altri, la volutta' di schiacciare l'altro, di mettergli il piede sopra, e' una cosa che si avverte fin da bambini, pero' c'e' anche la servitu' volontaria. Questi sono gli ostacoli veri. * - Cristina Valenti: Ed esiste un problema di rapporti generazionali nel movimento anarchico? E' un problema che si e' mai posto, considerando anche che e' un movimento di cosi' lunga data? - Luce Fabbri: Credo che il problema generazionale si ponga oggi in modo diverso, molto piu' intenso che non al principio di secolo. Io l'ho sentito come tutti, nei confronti di mio padre, ma molto soavemente, l'ho sentito invece molto piu' forte con mia figlia, e fortissimo con i miei nipoti. E ancora non ho pronipoti pero' sono convinta che il problema si vada aggravando seriamente perche' oggi i cambiamenti sono sempre piu' accelerati, e questa accelerazione ben presto sara' superiore alle capacita' di adattamento dell'uomo. Gia' adesso i bambini adoperano il computer molto meglio degli adulti, pare che si muovano con grande agilita' e facilita', presto si imparera' a leggere e scrivere sul computer e la difficolta' di capirsi andra' via via aumentando. Questo e' un problema molto serio, che il movimento dovrebbe studiare e affrontare. Ci sono molti problemi che dovrebbero essere discussi urgentemente, il mondo e' cambiato e noi andiamo ripetendo piu' o meno le stesse cose di sempre. Non si tratta piu' dello Stato, ma degli Stati invisibili delle multinazionali che sono molto piu' potenti degli Stati. Anche il ruolo dell'esercito e' cambiato e non ci si puo' piu' limitare ad affermare come ho letto anche recentemente in un opuscolo intitolato Che cos'e' l'anarchismo, che l'esercito e' lo strumento dello Stato, perche' non e' piu' solo cosi'. La Nato non e' lo strumento del governo degli Stati Uniti ma vive un'esistenza propria. In America tutti gli anni si riuniscono gli stati maggiori degli eserciti di quei Paesi, per mettersi d'accordo su quello che intendono fare, indipendentemente dai governi. Dietro le apparenze dei loro incontri, le vere decisioni che prendono sono quelle che non vengono pubblicate e che non vengono assolutamente rese visibili; ci sono centri di potere, centri di ricerca scientifica, fabbriche di armi dirette da tecnici e scienziati, sono dei castelli, dei centri di potere ormai autonomi e protetti dal segreto militare e noi continuiamo a combattere uno Stato che e' un paravento. Pochi giorni fa, a Barcellona, sono rimasta malissimo, perche' nella discussione sull'antimilitarismo ci si e' limitati a parlare della coscrizione e della obiezione di coscienza totale, argomenti indubbiamente molto interessanti, pero' si e' continuato a ripetere che l'esercito e' solo uno strumento, il braccio armato dello Stato. E invece no! Oggi le cose sono cambiate, l'esercito e' una forza autonoma. Il Pentagono negli Stati Uniti non e' la Casa Bianca, non ubbidisce alla Casa Bianca, e' un potere a parte. Quindi viviamo in un mondo che non conosciamo in realta', che conosciamo ben poco. Le nuove generazioni vivono in questo mondo che probabilmente impareranno a conoscere meglio di noi, ma rimane un ostacolo culturale molto forte, cioe' che i giovani sono molto piu' ignoranti in certi campi ma molto piu' abili in altri che per noi sono di difficile comprensione. Credo che sia molto, molto importante aggiornarsi tecnicamente e il movimento deve svolgere un'opera di acculturazione in tutti i sensi per evitare la frattura generazionale al suo interno. (Fine) 4. RIFLESSIONE. SERENA FUART: UNA CULTURA DELL'AMORE [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo la trascrizione dell'intervento di Serena Fuart all'incontro svoltosi al Circolo della Rosa, a Milano, martedi' 20 dicembre 2005. L'articolo di Luce Irigaray cui Serena Fuart fa ripetutamente riferimento e' stato pubblicato anche - con diverso titolo - nel n. 1168 del nostro foglio. Serena Fuart e' una prestigiosa intellettuale femminista. Luce Irigaray, nata in Belgio, direttrice di ricerca al Cnrs a Parigi, e' tra le piu' influenti pensatrici degli ultimi decenni. Opere di Luce Irigaray: Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Questo sesso che non e' un sesso, Feltrinelli, Milano 1978; Amante marina. Friedrich Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1981; Passioni elementari, Feltrinelli, Milano 1983; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985; Sessi e genealogie, La Tartaruga, Milano 1987; Il tempo della differenza, Editori Riuniti, Roma 1989; Parlare non e' mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; Io, tu, noi, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Amo a te, Bollati Boringhieri, Torino 1993; Essere due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; L'oblio dell'aria, Bollati Boringhieri, Torino 1996] Dov'e' l'amore della chiesa? In questo periodo ho molto riflettuto sul moralismo imperante della chiesa sulla questione dell'aborto. E lo trovo fuori luogo. Soprattutto rispetto al mio pensiero in seguito alla lettura di Luce Irigaray e alla mia esperienza passata di cattolica praticante. La cultura cristiana e' una cultura dell'amore. E anche la gravidanza e' una questione d'amore. Per spiegare il mio pensiero faccio riferimento appunto all'articolo di Luce Irigaray "Dentro il corpo di tutte le donne". Luce Irigaray parla della nascita di un figlio come il perpetuarsi di un atto d'amore. Comprende quindi il corpo della donna assieme a esperienze, vissuti, emozioni, sentimenti propri di lei e in rapporto con il corpo, l'esperienza, i vissuti, emozioni e sentimenti del suo partner. Gravidanza come perpetuarsi di un atto d'amore, quindi. La sua interruzione avverra' per mancanza di questo o a seguito di gravi altre difficolta'. Non sono certo io la prima a pensare che abortire non sia una scelta facile o indolore. Luce Irigaray sostiene che la maternita' e' una questione che riguarda la sfera dell'amore e non il moralismo. Questo il punto che mi ha colpito e su cui concordo. L'amore pero' e' anche il centro della cultura cristiana. "E se rileggo i Vangeli portatori della 'Buona novella' - scrive Luce Irigaray-, e' di amore che sento parlare e non di morale, un amore che passa anche attraverso i corpi, che si toccano e diventano cosi' capaci di compiere miracoli". Scrive anche di Maria che concepisce Gesu' a seguito dell'Annunciazione dell'Angelo che le chiede se vuole diventare madre del Salvatore. "Questo passo in piu' nello sbocciare dell'umano - scrive - e' stato possibile perche' il Signore ha condiviso con Maria un soffio divino prima di metterla incinta 'naturalmente'. Questo ci insegna l'evento dell'Annunciazione in cui l'angelo del Signore chiede a Maria se vuole essere la madre del Salvatore del mondo". * Ma io, Serena, sentendo i media e le sentenze moraleggianti dei portavoce della cultura cristiana, non sento il messaggio d'amore: come si fosse perso per strada. Eppure nella mia esperienza passata di cattolica ho vissuto molto amore. Un amore che ho sentito nella relazione con dei preti maschi, in particolare con uno, padre Vittorio. Un'esperienza che non ritrovo nel pensiero della Chiesa che sento nei media. Dov'e' l'amore della cultura cristiana? Perche' e' l'amore in questione, anche quando si parla di aborto. Perche' allora non ci si intende? Il moralismo sulla questione dell'aborto che aleggia, impera e si espande mi lascia perplessa. Non sono certo la prima a dire e pensare che abortire non fa certo piacere alle donne. Si tratta di una questione che lega corpo e sentimenti, emozioni, storie, vissuti propri di lei e in rapporto con quelli del suo partner. Mi colpiscono molto le parole di Luce Irigaray quando nel suo testo "Dentro il corpo di tutte le donne", parla della gravidanza come perpetuazione di un atto d'amore. Irigaray scrive inoltre: "Se la gravidanza risulta da un atto d'amore, non c'e' dubbio che il desiderio della donna sara' di perpetuare in se' l'unione amorosa. Certo, ospitare l'altro in se' durante nove mesi non e' una cosa solo agevole e gradita in ogni momento. Ma per amore, per l'amore, le donne sono capaci di oltrepassare i limiti della solita umanita'. Sfortunatamente, succede troppo spesso che la gravidanza non sia il frutto di un'unione amorosa di corpi e di anime". Mi trovo molto in sintonia con queste parole anche se ci sono alcuni punti nel resto dell'articolo che mi lasciano un po' perplessa. Il primo e' quando scrive: "La donna non ospita solamente un futuro individuo ma l'unione dei due corpi e delle anime che l'hanno generato". Mi chiedo se questa frase lasci forse intendere che nell'interruzione di gravidanza sia fortemente coinvolto l'uomo. In questa prospettiva il padre avrebbe quindi dei diritti. Se questo intende, non sono d'accordo. La legge 194 lascia la decisione solo alla donna. E questo, almeno secondo me, e' importantissimo e deve restare cosi'. La gravidanza, anche se porta in se' un'esperienza di due, e' comunque un fatto che riguarda il corpo di lei solo. E' lei che genera, porta avanti il progetto di vita e infine mette al mondo la creatura. L'uomo, a parte l'inseminazione che avviene durante il rapporto sessuale, con la gravidanza e la sua eventuale interruzione non c'entra nulla. C'e' anche una parola dell'articolo su cui mi sono imbattuta e su cui ho voluto riflettere. Luce Irigaray definisce il feto "straniero". Dice: "ma spesso accade che la gravidanza non e' il frutto di un'unione amorosa di corpi e anime. E l'ospite non sia la perpetuazione di un atto d'amore. L'ospite e' uno straniero e questo non e' facile...". Straniero lo interpreto come Altro da me, pero' puo' capitare di intendere questo termine come "corpo estraneo". Non penso che Luce Irigaray intendesse questo, tuttavia vorrei chiarire che "straniero" per come l'ho interpretato io, intendo straniero come Altro da me. * Tornando ai punti dell'articolo a me cari, riporto alcuni passi che mi hanno profondamente colpito in quanto coinvolgono la cultura cristiana. "L'interpretazione piu' positiva della 'Buona novella' del Cristianesimo consisterebbe nella riconciliazione fra corpo e anima. Il Cristo ne sarebbe il primo frutto se lo consideriamo come l'avvento o il ritorno del divino nella carne... il possibile incamminarsi dell'umanita' verso il suo compimento grazie alla redenzione della carne per l'amore. Questo passo in piu' nello sbocciare dell'umano e' stato possibile perche' il Signore ha condiviso con Maria un soffio divino prima di metterla incinta 'naturalmente'. Questo ci insegna l'evento dell'Annunciazione in cui l'angel o del Signore chiede a Maria se vuole essere la madre del Salvatore del mondo... L'accento posto sull'aborto naturale non risulterebbe da una cecita' rispetto a un aborto spirituale all'opera nella storia del Cristianesimo? Per mancanza di attenzione e fedelta' all'unione del corpo e dell'anima che puo' compiere l'amore? La morale non c'entra granche', in questo mistero. La sua preminenza avviene per la nostra incapacita' ad amare. Certo, un diritto civile positivo deve tutelare la possibilita' per la donna di assumere in modo responsabile la sua identita' di donna. Il resto e' un affare d'amore per cui difettiamo tuttora di un insegnamento adeguato, sia laico sia religioso. E se rileggo i Vangeli portatori della 'Buona novella', e' di amore che sento parlare e non di morale, un amore che passa anche attraverso i corpi, che si toccano e diventano cosi' capaci di compiere miracoli. Lo ribadisco: ci manca ancora una cultura dell'amore e del desiderio all'altezza della nostra tradizione". * Quindi nella cultura cristiana si parla di amore e non di moralismi e pregiudizi. Oggi sembra tutto il contrario guardando la televisione o leggendo le dichiarazioni sui giornali. Quello che mi ha fatto riflettere e' anche la mia esperienza di cattolica praticante. Posso dire che quello che ho vissuto e ricordo e' un'esperienza di amore e non di critica morale. Frequentavo una chiesa di rione. Era piccola. Certo seguivo i corsi di dottrina e venivo a contatto con tanti insegnamenti. Non posso negare che sentivo i sensi di colpa, che spesso venivano alimentati. E ne soffrivo. Ma non posso neanche rinnegare esperienze speciali. Che sono quelle che ricordo con una lucidita' che non da' quasi margine di errore. Parlo di una relazione positiva con un prete, padre Vittorio. Non era il mio padre spirituale ma seguivo molto i suoi consigli. Era positivo e sorridente. A 17 anni ho avuto una crisi molto forte. Credevo che esistessero peccati per cui non si venisse mai perdonati. Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse. Lo ha fatto un prete, non uno psicologo. Ed e' stato proprio lui, padre Vittorio, in un incontro privato con lui, un incontro bellissimo. Mi ha fatto capire che Dio e' Amore e Perdono. Sorrideva, evocava l'immagine di Dio come un oceano blu soleggiato (un oceano d'amore). Comunque anche in altre occasioni padre Vittorio mi tranquillizzava sempre. Questo avveniva quando mi confessavo e anche dal pulpito. Dava messaggi di speranza e non di castrazione morale. Non era il solo. Anche padre Marino era cosi', e anche padre Alberto. Ce n'era uno bacchettone invece, uno solo pero'. Le sue prediche, come anche quando ti confessavi da lui, erano infarcite di angoscia e di sensi di colpa. Ma non ero solo io ad avere problemi con lui. Se ne parlava. Io poi mi sono allontanata da quella cultura. Per una crisi mistica che ho avuto mentre ero molto malata. Un discorso lungo. Ora non so bene cosa fare, ma non c'entra adesso. Quello che c'entra e' che ho sentito amore nella mia esperienza cattolica, e un'umanita' che niente ha a che fare con certe dichiarazioni e certi atteggiamenti del presidente della Cei, di altri cardinali e di tutti quelli che vedo in tv e leggo sui giornali. La cultura cristiana e' una cultura dell'amore. E anche la gravidanza e' una questione d'amore. Dov'e' l'amore della cultura cristiana? Perche' e' l'amore in questione anche quando si parla di aborto. Perche' allora non ci si intende? 5. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: CENSURE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questa notizia. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005] Teheran. Il governo iraniano ha ordinato il 2 gennaio la chiusura di un quotidiano ed il bando di una nuova pubblicazione bisettimanale dedicata alle donne. Il Ministro della Cultura ha dichiarato che: "Il Comitato di controllo sulla stampa si e' accordato per la temporanea chiusura del giornale 'Asia' e di 'Nour-e Banovan', ed ha ordinato che i loro casi vengano discussi in tribunale". Nessuna spiegazione e' stata fornita per motivare la decisione, sebbene un giornalista di "Asia", quotidiano economico, sostenga che il giornale aveva avuto un avviso qualche mese fa, perche' aveva pubblicato immagini di donne considerate "impropriamente vestite". "Nour-e Banovan", la pubblicazione bisettimanale diretta alle donne, non ha neppure potuto mandare in stampa il primo numero. Piu' di cento giornali sono stati chiusi dal governo iraniano a partire dal 2000, sebbene molti di essi abbiano riaperto usando nomi differenti. Il giornalista iraniano Isa Saharkhiz dice che il bando e' insolito: "Il Comitato di controllo ha raramente in passato ordinato il bando: questo indica un nuovo giro di vite sulla stampa". Fonte: Reuters. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 46 del 12 gennaio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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