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Voci e volti della nonviolenza. 4
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 4
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 10 Jan 2006 14:14:47 +0100
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 4 del 10 gennaio 2006 In questo numero: 1. Anna Achmatova 2. Requiem, nella traduzione di Carlo Riccio 3. Requiem, nella traduzione di Evelina Pascucci 4. Et coetera 1. ANNA ACHMATOVA Requiem e' il ciclo di poesie cui Anna Achmatova affida la sua piu' nitida e lancinante testimonianza contro il totalitarismo. Straziata da tanto orrore, colpita negli affetti piu' intimi dall'arresto del figlio, ed anch'essa perseguitata, Anna Achmatova leva qui la sua voce - sottile come un sospiro, e forte come una tempesta - a nome di tutte le vittime, in nome dell'umanita' intera. 2. REQUIEM, NELLA TRADUZIONE DI CARLO RICCIO [Da Anna Achmatova, Poema senza eroe e altre poesie, Einaudi, Torino 1966, 1993, pp. 24-55] Requiem 1935-1940 No, non sotto un estraneo cielo, Non al riparo d'ali estranee: Ero allora col mio popolo, La' dove il mio popolo, per sventura, era. 1961 * In luogo di prefazione Nei terribili anni della "ezovscina" ho trascorso diciassette mesi a fare la coda presso le carceri di Leningrado. Una volta un tale mi "riconobbe". Allora una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me, e che, certamente, non aveva mai udito il mio nome, si ridesto' dal torpore proprio a noi tutti e mi domando' all'orecchio (li' tutti parlavano sussurrando): - Ma lei puo' descrivere questo? E io dissi: - Posso. Allora una specie di sorriso scivolo' per quello che una volta era stato il suo volto. I aprile 1957. Leningrado * Dedica Davanti a questa pena s'incurvano i monti, Non scorre il grande fiume, Ma tenaci sono i chiavistelli del carcere, E dietro ad essi le "tane dell'ergastolo" E una mortale angoscia. Per chi spiri il vento fresco, Per chi sia delizia il tramonto, Noi non sappiamo, siamo ovunque le stesse, Sentiamo solo l'odioso strider delle chiavi E i passi pesanti dei soldati. Ci si alzava come a una messa mattutina, Si andava per la capitale abbandonata, La' ci s'incontrava, piu' inanimate dei morti, Il sole piu' in basso e piu' nebbiosa la Neva, Ma la speranza canta sempre di lontano. La condanna... E subito sgorgano le lagrime, Ormai divisa da tutti, Come se con dolore la vita dal cuore le strappassero. Come se con rozzezza la rovesciassero indietro, Ma cammina... Barcolla... Sola... Dove sono ora le amiche occasionali Di questi due miei anni maledetti? Che appare loro nella bufera siberiana, Che balugina nel disco lunare? A loro invio il mio saluto d'addio. Marzo 1940 * Introduzione Cio' accadde allorche' a sorridere Era solo chi e' morto - lieto della pace. E, appendice inutile, si sbatteva Leningrado intorno alle sue carceri. E allorche', impazzite di tormento, Condannate ormai andavano le schiere E breve canzone di distacco I fischi cantavano delle locomotive. Stelle di morte incombevano su noi E innocente la Russia si torceva Sotto sanguinosi stivali E copertoni di neri cellulari. * 1. Ti hanno portato via all'alba, Io ti venivo dietro, come a un funerale, Nella stanza buia i bambini piangevano, Sull'altarino il cero sgocciolava. Sulle tue labbra il freddo dell'icona. Il sudore mortale sulla fronte... Non si scorda! Come le mogli degli strelizzi, ululero' Sotto le torri del Cremlino. 1935. Mosca (Kutaf'ja) * 2. Placido scorre il placido Don, Gialla luna entra nella casa. Entra col cappello sulle ventitre', Vede l'ombra la gialla luna. Questa donna e' malata, Questa donna e' sola, Il marito nella tomba, il figlio in prigione. Pregate per me. * 3. No, non sono io, e' qualcun altro che soffre. Io non potrei esser cosi', ma quel che e' successo Neri drappi lo ricoprano, E portino via le lanterne... Notte. * 4. Se mostrato t'avessero, burlona E prediletta fra tutti gli amici, Di Carskoe Selo' allegra peccatrice, Quel che sarebbe della tua vita: Startene, col pacco, Trecentesima sotto le Croci E con le tue lagrime cocenti Sciogliere dell'anno nuovo il ghiaccio. La' si dondola il pioppo del carcere, E non un suono - ma quante Incolpevoli vite vi hanno fine... * 5. Diciassette mesi che grido, Ti chiamo a casa. Mi gettavo ai piedi del boia, Figlio mio e mio terrore. Tutto s'e' confuso per sempre, E non riesco a capire Ora chi sia belva e chi uomo, E se a lungo attendero' l'esecuzione. E solo fiori polverosi, e il tintinnio Del turibolo, e le tracce Chissa' dove nel nulla. E diritto negli occhi mi fissa E una prossima morte minaccia L'enorme stella. * 6. Lievi volano le settimane, Quel che e' stato non capisco. Come ti guardavano, figlio, Le notti bianche, in carcere, Com'esse di nuovo guardano Con occhio ardente di sparviero, E della tua alta croce E della morte parlano. 1939 * 7. La sentenza Ed e' caduta la parola di pietra Sul mio petto ancor vivo. Non e' nulla, vi ero preparata, Ne verro' a capo in qualche modo. Ho molto da fare, oggi: Bisogna uccidere fino in fondo la memoria, Bisogna che l'anima si pietrifichi, Bisogna di nuovo imparare a vivere, Se no... L'ardente stormire dell'estate, Come una festa oltre la finestra. Da tempo avevo presentito questo Giorno radioso e la casa vuota. 1939. Estate * 8. Alla morte Tu lo stesso verrai - perche' non subito allora? T'aspetto - ho molta pena. Ho spento la luce e aperto l'uscio A te, cosi' semplice e prodigiosa. Prendi per questo l'aspetto che vuoi, Penetra come un proiettile avvelenato O furtiva avvicinati come un esperto bandito, O avvelenami col delirio del tifo. O con una storiella da te inventata E a tutti nota fino alla nausea, Ch'io veda l'azzurra sommita' del berretto E il capofabbricato pallido di paura. Ora tutto e' uguale per me. Turbina lo Enisej, Brilla la stella polare. E l'estremo terrore offusca Il bagliore turchino degli occhi adorati. 19 agosto 1939. Casa delle Fontane * 9. La follia ormai con la sua ala Ha coperto una meta' dell'anima. E un vino di fuoco mesce E in una nera valle invita. E ho compreso che ad essa Devo cedere la vittoria, Prestando ascolto al mio delirio Come se ormai fosse di un altro. E nulla essa mi consente Di portare via con me (Per quanto la si implori E la si annoi con le preghiere): Ne' gli occhi spaventosi di mio figlio - Pietrificata sofferenza -, Ne' il giorno in cui venne la bufera, Ne' l'ora della visita in prigione, Ne' il caro refrigerio delle mani, Ne' le ombre agitate dei tigli, Ne' un lieve suono di lontano - Le parole dei conforti estremi. 4 maggio 1940. Casa delle Fontane * 10. La crocifissione Non singhiozzare per Me, Madre, che giaccio nella bara. I. Il coro degli angeli glorifico' l'ora solenne E i cieli si sciolsero nel fuoco. Al Padre disse: "Perche' Mi hai abbandonato?" E alla Madre: "Oh, non singhiozzare per Me..." II. Maddalena si disperava e singhiozzava, Il discepolo prediletto era impietrito, E la' dove in silenzio stava la Madre Nessuno osava neppure volgere lo sguardo. 1940-1943 * Epilogo I. Ho appreso come s'infossino i volti, Come di sotto alle palpebre s'affacci la paura, Come dure pagine di scrittura cuneiforme Il dolore tracci sulle guance, Come i riccioli da cinerei e neri D'un tratto si facciano d'argento, Il sorriso appassisca sulle labbra rassegnate, E in un ghigno arido tremi lo spavento. E non per me sola prego, Ma per tutti coloro che erano con me, laggiu', Nel freddo spietato, nell'afa di luglio, Sotto la rossa muraglia abbacinata. II. S'e' di nuovo avvicinata l'ora del suffragio. Vi vedo, vi ascolto, vi sento: E colei che fu a stento condotta allo spioncino, E colei che non calpesta il suolo natale, E colei che, scrollando la bella testa, Disse: "Qui vengo, come a casa". Avrei voluto chiamare tutte per nome, Ma hanno portato via l'elenco, e non so come fare. Per loro ho intessuto un'ampia coltre Di povere parole, che ho inteso da loro. Di loro mi rammento sempre e in ogni dove, Di loro neppure in una nuova disgrazia mi scordero', E se mi chiuderanno la bocca tormentata Con cui grida un popolo di cento milioni, Che esse mi commemorino allo stesso modo Alla vigilia del mio giorno di suffragio. E se un giorno in questo paese Pensassero di erigermi un monumento, Acconsento ad esser celebrata, Ma solo a condizione di non porlo Ne' accanto al mare dov'io nacqui: Col mare l'ultimo legame e' reciso, Ne' del giardino dello zar presso il desiato ceppo, Dove l'ombra sconsolata mi cerca, Ma qui, dove stetti per trecento ore E dove non mi aprirono il chiavistello. Perche' anche nella beata morte temo Di dimenticare lo strepito delle nere "marusi", Di dimenticare come sbatteva l'odiosa porta E una vecchia ululava da bestia ferita. E che dalle immobili palpebre di bronzo Come lagrime fluisca la neve disciolta. E il colombo del carcere che tubi di lontano, E placide per la Neva vadano le navi. 1940. Marzo 3. REQUIEM, NELLA TRADUZIONE DI EVELINA PASCUCCI [Da Anna Achmatova, Io sono la vostra voce..., Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1990, 1995, pp. 192-207] Requiem 1935-1940 No! Non sotto estraneo cielo, Non sotto ali straniere a difesa, Ero con il mio popolo allora, La' dove esso era, per sciagura 1961 * In luogo di prefazione Negli anni terribili della "ezovscina" io trascorsi diciassette mesi in code d'attesa fuori del carcere, a Leningrado. Un giorno qualcuno mi "riconobbe". Allora una donna dietro di me, con le labbra livide, che certamente in vita sua mai aveva sentito il mio nome, riprendendosi dal torpore mentale che ci accomunava, mi domando' all'orecchio (li' comunicavamo tutti sottovoce): "Ma lei questo puo' descriverlo?". E io dissi: "Posso". Allora una specie di sorriso scorse per quello che una volta era il suo viso. I aprile 1957 Leningrado * Dedica Le montagne si piegano dinanzi a questa ambascia, Non scorre l'ampio fiume, Ma del carcere sono saldi i chiavistelli, Le "tane della catorga" al di la' di quelli E mortale un'angoscia. Per qualcuno aleggia fresco il vento, Per qualcuno e' diletto il tramonto - Noi non sappiamo, siamo ovunque le stesse, Solo sentiamo delle chiavi l'odioso cigolio E dei soldati i pesanti passi. Ci levavamo come per la prima messa, Andavamo per la Capitale in stato di abbandono, C'incontravamo la', piu' esanime dei morti, Piu' basso il sole, la Neva piu' nebbiosa, La speranza pur sempre canta, ascosa. La condanna... E in una prorompe in lacrime, Da tutti ormai separata, Come se le cavassero la vita dal cuore con dolore, Come se brutalmente l'atterrassero, Ma cammina... Vacilla... Sola. Dove sono ora le spontanee amiche Di questi miei dannati due anni? Che cosa appare loro nella tormenta siberiana, Che cosa sembra loro di vedere nel disco della luna? A loro invio il mio saluto d'addio. Marzo 1940 * Introduzione Questo fu quando sorrideva Soltanto il defunto, contento della pace. E si dibatteva, inutile appendice, Presso le sue prigioni Leningrado. E quando, per il supplizio impazzite, Andavano colonne di condannati ormai E una breve canzone di commiato Cantavano i fischi delle locomotive. Verticali su di noi stelle di morte E innocente la Rus' si contorceva Sotto stivali insanguinati E copertoni di nere marusi. * I All'alba ti hanno portato via, Dietro di te, come a un funerale, andavo, Nella camera buia piangevano i bambini, Il cero sgocciolava sull'altarino. Sulle tue labbra il freddo dell'icona. Sulla fronte un sudore di morte... Come dimenticare! Urlero', come le mogli degli strelcy, Sotto le torri del Cremlino. Autunno 1935 Mosca * II Placido scorre il placido Don, La gialla luna entra nella casa, Entra con il cappello di sghimbescio, Vede la gialla luna un'ombra. Questa donna e' inferma, Questa donna e' sola, Il marito nella fossa, il figlio in cella. Pregate per me. * III No, non sono io, e' qualcun altro a soffrire Io cosi' non potrei, ma quanto e' successo Sia da neri drappi coperto, E portino via le lucerne... Notte. * IV T'avessero mostrata, scherzosa E prediletta di tutti gli amici, Di Carskoe Selo peccatrice gioiosa, Che ne sarebbe stato della tua vita: Come con l'involto, trecentesima, Sotto Kresty avresti atteso E con le tue lacrime ardenti Fuso il ghiaccio del nuovo anno. La' si culla il pioppo del carcere, E non c'e' suono - ma quante Vite innocenti la' si concludono... * V Diciassette mesi a gridare, A chiamarti a casa, Ai piedi del carnefice gettata, Figlio mio e mio terrore. Tutto si e' sovvertito per sempre E non capisco ora Chi sia la belva, chi l'umana creatura E se lunga per l'esecuzione sara' l'attesa. E solo rigogliosi fiori E del turibolo il tinnire, e in qualche dove Orme verso nessun dove. E dritto negli occhi mi guarda E di morte imminente minaccia Enorme una stella. * VI Volano lievi le settimane, Che cosa sia successo non capisco. Come in carcere, figlio, Le notti bianche ti guardassero, Come nuovamente guardino Con occhio di sparviero, ardente Dell'alta tua croce Parlino, e di morte. * VII La condanna E la parola di petra e' caduta Sul mio petto ancora vivo. Non e' nulla, ecco, ero preparata. In qualche modo la superero'. Oggi ho molto da fare: Occorre la memoria annientare, Occorre fare l'anima impietrire, Occorre reimparare a vivere. Se no... Infuocato il sussurro dell'estate, Come una festa oltre la mia finestra. Avevo da molto presentito questo Radioso giorno e la casa rimasta vuota. Estate 1939 * VIII Alla morte Tu comunque verrai - perche' non adesso, allora? Ti aspetto - mi e' cosi' penoso. Ho spento la luce e dischiuso la porta A te, cosi' semplice e prodigiosa. Assumi per questo qualsiasi aspetto: Penetra da piombo avvelenato O quatta con un peso avvicinati, da bandito provetto, O attossicami con delirio da tifo. O con una fandonia ideata da te E, fino alla nausea, da tutti conosciuta, Cosi' ch'io veda la sommita' di un berretto azzurro E pallido di paura il capopalazzo. Ora per me tutto e' lo stesso. Turbina lo Enisej, La stella polare brilla. E degli occhi amati il terrore estremo Offusca la turchina scintilla. 19 agosto 1939 * IX Gia' la follia con l'ala Meta' dell'anima ha coperto, E offre ardente un vino E attrae nella nera dolina. E ho capito che a lei Cedere devo la vittoria, Dando al mio delirio ascolto Come fosse ormai di un altro. E nulla ella permette Ch'io porti via con me (Per quanto supplicata E tediata con la preghiera): Ne' del figlio gli occhi terribili - Sofferenza impietrita, Ne' il giorno in cui arrivo' il terrore Ne' in carcere l'ora della visita, Ne' la cara freschezza delle mani Ne' dei tigli le ombre agitate, Ne' un lieve suono lontano - Le parole dei conforti estremi. 4 maggio 1940 * X La crocifissione Non singhiozzare per Me, Madre, che sono nella tomba. 1 Il coro degli angeli magnifico' l'ora grande E i cieli si fusero nel fuoco. Al Padre disse: "Perche' mi hai abbandonato!". A alla Madre: "Oh, non singhiozzare per Me...". 2 Maddalena si dibatteva e singhiozzava, Il discepolo prediletto impietriva, Ma la', dove la Madre stava muta, Nessuno volgere lo sguardo neppure osava. * Epilogo 1 Ho provato come si scavino i volti, Come di sotto le palpebre occhieggi la paura, Come di scrittura cuneiforme ruvide pagine Tracci la sofferenza sulle guance, Come le ciocche, da nere e color cenere, Argentee si facciano di colpo, Su rassegnate labbra il sorriso declini E in un freddo ghigno tremi lo spavento. E io non per me sola prego, Ma per coloro tutti che stavano li' con me, E nel freddo atroce e nell'afa di luglio, Sotto le rosse mura abbacinate. 2 Di nuovo del suffragio si e' avvicinata l'ora. Vi vedo, vi sento, vi percepisco: E lei che a stento allo spioncino condussero, E lei che non calca il suolo natio, E lei che, scrollata la bella testa, Disse: "Qui vengo come a casa!" Vorrei tutte chiamarle per nome, Ma l'elenco sottrassero e, dove saperli? Per loro un ampio drappo ho intessuto Di povere parole presso di loro orecchiate. Loro ricordo sempre e in ogni dove, Loro non dimentichero' in una nuova sciagura neppure, E se chiuderanno la mia bocca estenuata Con cui un popolo di cento milioni grida, Che ugualmente mi commemorino esse Alla vigilia del mio funebre di'. E se in questo paese un giorno Di erigermi un monumento si proponessero, A tale celebrazione acconsento, ma A condizione solo che non lo innalzino Ne' presso il mare dove nacqui: E' spezzato col mare l'ultimo legame, Ne' presso il sospirato ceppo nel giardino dello zar, Dove l'ombra inconsolabile mi cerca, Ma qui, dove trecento ore sono stata E dove il chiavistello non fu aperto per me. Poiche' nella beata morte appunto temo Di dimenticare delle nere marusi il fragore, Di dimenticare come la porta odiosa cigolasse E una vecchia ululasse come bestia ferita. E che dalle palpebre immobili di bronzo Come lacrime, disgelata, scorra la neve, E il colombo del carcere in lontananza tubi, E pacifiche vadano per la Neva le navi. 1940, marzo. Fontannyj Dom 4. ET COETERA Anna Achmatova (pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko, nata a Odessa nel 1889 e deceduta a Domodedovo, presso Mosca, nel 1966) e' una delle grandi poetesse del Novecento. Il ciclo di poesie Requiem, concluso gia' nel '40, conservato per anni solo nella memoria dell'autrice e di pochi amici fidati, fu dall'autrice steso su carta solo nel 1962, e fu pubblicato per la prima volta a Monaco di Baviera nel 1963; la prima traduzione italiana, di Carlo Riccio, apparve su "Tempo presente" nel 1964; solo nel 1987 fu pubblicato nella patria della poetessa. In italiano sono disponibili varie raccolte di scritti di Anna Achmatova, oltre le due da cui abbiamo estratto le traduzioni riportate sopra, segnaliamo anche almeno quella a cura di Michele Colucci, Anna Achmatova, La corsa del tempo. Liriche e poemi, Einaudi, Torino 1992, alla cui bibliografia rinviamo per ulteriori suggerimenti di lettura. Tra le opere su Anna Achmatova segnaliamo particolarmente Lidija Cukovskaja, Incontri con Anna Achmatova. 1938-1941, Adelphi, Milano 1990. Per un accostamento alla poesia russa del Novecento segnaliamo particolarmente le belle antologie di Renato Poggioli e di Angelo Maria Ripellino (Renato Poggioli, Il fiore del verso russo, Einaudi, Torino 1949, Mondadori, Milano 1961, 1991; Angelo Maria Ripellino (a cura di), Poesia russa del Novecento, Guanda, Parma 1954, Feltrinelli, Milano 1960, 1979); per un'ampia e aggiornata panoramica cfr. anche Stefano Garzonio, Guido Carpi (a cura di), Antologia della poesia russa, E-ducation.it, Firenze 2004, Gruppo editoriale L'Espresso, Roma 2004. Per un accostamento alla letteratura russa cfr. almeno Ettore Lo Gatto, Storia della letteratura russa, Sansoni, Firenze 1992 (la prima edizione e' del 1942), e Dmitrij P. Mirskij, Storia della letteratura russa, Garzanti, Milano 1965, 1998. Ma tre libri almeno ancora vorremmo segnalare, la cui lettura riteniamo indispensabile: Margarete Buber-Neumann, Prigioniera di Stalin e Hitler, Il Mulino, Bologna 1994, 2005; Aleksandr Solzenicyn, Arcipelago Gulag, Mondadori, Milano 1974-1978, 1995; Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 4 del 10 gennaio 2006 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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